XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 110 di Mercoledì 5 agosto 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del prefetto di Roma, Franco Gabrielli:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 3 
Mirabelli Franco  ... 3 
Buemi Enrico  ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Falanga Ciro  ... 4 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 4 
Attaguile Angelo (LNA)  ... 5 
Bindi Rosy , Presidente ... 5 
Gabrielli Franco , prefetto di Roma ... 5 
Bindi Rosy , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta inizia alle 14.20.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del prefetto di Roma, Franco Gabrielli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del prefetto di Roma Franco Gabrielli. L'audizione ha ad oggetto un approfondimento sulla situazione del comune di Roma capitale e della provincia di Roma in relazione alle vicende note come «mafia capitale», anche alla luce delle risultanze del lavoro della commissione di accesso e della relazione inviata dal prefetto al Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali, decreto legislativo n. 267 del 2000, relazione che la Commissione ha potuto esaminare grazie alla tempestiva trasmissione dei documenti da parte del prefetto stesso. Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in seduta segreta.
  Nel ringraziare, pertanto, il prefetto non solo per la sua presenza di oggi, ma anche per la particolare collaborazione sin qui mostrata nei confronti della nostra Commissione, voglio ricordare che è la prima volta che il prefetto Gabrielli è audito come prefetto di Roma. Nella passata legislatura era stato audito come prefetto della provincia dell'Aquila, il prefetto ha sempre delle sedi molto interessanti. Nel dicembre scorso avevamo audito, invece, come prefetto di Roma il suo predecessore, prefetto Pecoraro. Prima di dare la parola al prefetto Gabrielli, ricordando che è accompagnato dal dottor Stefano Gambacorta, capo di gabinetto della prefettura di Roma, chiede di intervenire il collega D'Uva sull'ordine dei lavori.

  FRANCESCO D'UVA. Mi scuso con il prefetto, ma chiedo di intervenire sull'ordine dei lavori. Senza un nessun tipo di avversione verso il collega di cui sto per parlare, in generale, come gruppo Movimento 5 Stelle riteniamo inopportuna in questo momento la presenza – pur legittima, perché non c’è nessuna legge che dice il contrario – del collega Esposito, che risulta essere assessore presso il comune oggetto dell'audizione di oggi. Il mio gruppo non la condivide minimamente, quindi ci teniamo a farlo presente. Tra l'altro, so per certo che il collega può dare un contributo serio su Ostia, quindi siamo contenti della sua presenza. Tuttavia, se si premura di venire qua, pur avendo tante cose da fare al comune, riteniamo che potrebbe essere audito successivamente, proprio da quel lato, per darci delle informazioni aggiuntive. In ogni caso, riteniamo inopportuna la sua presenza da questo lato della Commissione. Questo è tutto.

  FRANCO MIRABELLI. Trovo la richiesta del Movimento 5 Stelle assolutamente Pag. 4pretestuosa. Stefano Esposito è membro di questa Commissione e ha avuto modo di accedere in questi mesi a tutti gli atti, ha dato un contributo anche dal punto di vista documentale al lavoro su Ostia. Quindi, non esiste nessuna ragione per cui, essendo stato nominato da una settimana assessore ai trasporti, non partecipi ai lavori di questa Commissione. Presidente, mi permetto di aggiungere che sarebbe utile – lo dico al Movimento 5 Stelle e in generale, proprio prima di questa audizione – se smettessimo di usare la Commissione antimafia e gli atti che ha a disposizione per fare strumentalizzazioni e propaganda politica, e soprattutto di fare polemiche che hanno senso solo se si ritiene questa sede diversa da quella che è, ovvero una sede istituzionale che fa inchieste e approfondisce i temi. Peraltro, è una questione che abbiamo già posto. Penso, però, che questa Commissione non possa diventare la sede di un confronto politico e propagandistico, altrimenti rischiamo di sminuirne il valore e la funzione.

  ENRICO BUEMI. Potrei seguire i colleghi del Movimento 5 Stelle su una rigorosa applicazione degli elementi formali e anche delle potenziali incompatibilità, se ci fosse questo comportamento a tutti i livelli e in tutte le sedi. Tuttavia, siccome si fa un uso abbastanza libero anche delle documentazioni secretate, con richiami e pizzini sventolati come se fossero documenti autentici e quant'altro, credo che si debba rimanere alla sostanza delle cose. In questo caso, la sostanza è che il collega ha una responsabilità da adesso in avanti, non rispetto al passato che è oggetto dell'audizione e delle valutazioni che sono state fatte in sede di commissione d'accesso, di relazione del prefetto e anche di interventi della Commissione antimafia. Mi allineo, quindi, alle posizioni del collega Mirabelli, invitando a un maggiore senso di responsabilità complessivo. Visto che trattiamo una materia complessa e complicata, dobbiamo fare uno sforzo corale e collettivo per portare a casa un risultato che dia la possibilità agli italiani in primo luogo, ma anche a coloro che sono chiamati a svolgere una funzione delicata e importante come il prefetto Gabrielli, di avere il nostro contributo.

  PRESIDENTE. Do la parola a un collega per gruppo, secondo la prassi sia della Camera sia del Senato.

  CIRO FALANGA. Relativamente alle osservazioni del collega del MoVimento 5 Stelle, credo che il prefetto ci parlerà indubbiamente di fatti che sono stati posti alla sua attenzione e che riguardano un periodo pregresso. Le insidie in cui incorre un amministratore o un componente di una giunta di una qualsiasi città, più in particolare una città grande come Roma, sono tante. Allora, la partecipazione del neoassessore del comune di Roma è non soltanto legittima per le ragioni di carattere formale e sostanziale, ma direi addirittura opportuna perché da ciò che ascolterà potrà trarre delle utili informazioni per l'espletamento della sua attività di assessore. Quindi, è proprio l'esatto contrario. Credo sia utile per un amministratore pubblico avere la possibilità di capire dove sono celate le insidie e dove ci possono essere delle zone grigie o ombrose, non soltanto per l'assessore Esposito, ma per la comunità romana e per noi tutti, per la politica. Ritengo, dunque, che l'osservazione fatta dal Movimento 5 Stelle sia del tutto inconferente, inadeguata e inappropriata. Premesso che il collega, giustamente, ha affidato alla sensibilità dell'assessore Esposito eventuali determinazioni, dal momento che il presidente non avrebbe la possibilità di imporre l'allontanamento del componente della Commissione, da parte mia invito l'assessore Esposito a non tener conto della sollecitazione che è venuta dal Movimento 5 Stelle, anzi lo prego di restare in quest'aula perché ritengo che, anche in questo momento, possa svolgere adeguatamente il suo lavoro delicato di assessore del comune romano.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. Sostenere che l'osservazione del collega del Pag. 5Movimento 5 Stelle sia pretestuosa segnala ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la doppia morale con la quale abitualmente il Partito Democratico tratta di queste materie. A me la lettura della presenza del senatore Esposito in quest'aula risulta diversa. Credo che proprio per le nuove determinazioni che ci sono state, ovvero per le funzioni che è andato a svolgere, ci si possa affidare esclusivamente alla sua sensibilità, cioè debba decidere lui se oggi convenga rimanere in quest'aula nella doppia veste, da una parte, di membro della giunta del comune di Roma e, dall'altra, di membro di questa Commissione. Lasciamo, dunque, a lui la valutazione, sulla quale credo vada, però, ravvisato che questa Commissione, essendo d'inchiesta, è tenuta anche a determinati vincoli in merito ai quali bisognerebbe fare qualche riflessione in più.

  ANGELO ATTAGUILE. Anch'io sono d'accordo con quanto espresso dal MoVimento 5 Stelle perché ritengo sia in atto un conflitto di interesse di tipo politico. A questo punto, dovremmo far venire anche il sindaco Marino, così saremo presenti tutti.

  PRESIDENTE. Il sindaco Marino, però, non fa parte di questa Commissione. Non ci sono altri che hanno chiesto la parola. Abbiamo previsto un intervento per gruppo e così è stato. Come ha sottolineato lo stesso onorevole D'Uva, non sta nei poteri della presidente decidere chi ha diritto o meno di partecipare a questa Commissione, perché la sua composizione è definita dai Presidenti di Camera e Senato. È stato fatto appello alla sensibilità politica. Dagli interventi che si sono svolti la linea è molto chiara. Proporrei di cercare di trasformare questa vicenda in un'opportunità politica, anziché in un eventuale conflitto, come diceva l'onorevole Attaguile. Credo che questo sia lo spirito con il quale il senatore Esposito parteciperà a questa e alle altre riunioni. Dopodiché, sulla richiesta di audizione che è stata formulata, verificheremo in Ufficio di Presidenza. Il prefetto ha pazientato, ma credo che anche questo passaggio sia stato utile. Gli cedo, quindi, la parola.

  FRANCO GABRIELLI, prefetto di Roma. In premessa, vorrei fare una richiesta. Svilupperò, infatti, la mia relazione in una parte non classificata e in un'altra per cui chiederò la secretazione. Onorevole presidente e onorevoli membri della Commissione, desidero esordire con un ringraziamento per l'occasione che mi viene offerta di svolgere un punto di situazione sui fenomeni di criminalità organizzata che si registrano nel territorio di Roma e della sua provincia e sull'azione di prevenzione e contrasto che su questo versante la prefettura e le forze di polizia stanno dispiegando. Comprendo perfettamente le esigenze di approfondimento avvertite da questa onorevole Commissione, alla luce delle risultanze emerse dall'indagine della procura della Repubblica di Roma «mondo di mezzo», che ha consentito di individuare e scoprire il sodalizio mafioso divenuto ormai noto come «mafia capitale» e la sua sconcertante capacità di sviluppare traffici illeciti, intessendo relazioni con amministratori locali e pubblici funzionari. La stringente attualità del tema è, del resto, dimostrata anche dalla recentissima operazione condotta dalla Guardia di finanza capitolina che ha portato il 29 luglio scorso all'arresto di quattro soggetti, alcuni dei quali collegati con le consorterie criminali presenti nel territorio di Ostia. Prima di entrare nel merito, mi sembra corretto delineare il particolare momento in cui cade l'odierna audizione. È, infatti, ancora in corso il procedimento all'esito del quale il Consiglio dei ministri, sulla proposta del Ministro dell'interno, deciderà le misure applicabili nei confronti dell'amministrazione comunale capitolina, a seguito dell'accesso effettuato per verificare l'eventuale esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa. Per gli altri comuni oggetto di analoga attività ispettiva, le commissioni incaricate hanno concluso il lavoro nella prima decade di luglio, per cui nei prossimi giorni si svolgeranno le dedicate Pag. 6sedute del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, sulla base del cui parere provvederò a formulare le mie proposte al Ministro dell'interno. Nondimeno, con le cautele d'obbligo in una fase ancora interlocutoria, credo sia possibile fornire a questa onorevole Commissione parlamentare un quadro di insieme più compiuto e globale dei fenomeni di criminalità organizzata della provincia e, al contempo, illustrare più in dettaglio la linea ragionativa alla base delle proposte che ho ritenuto di formulare in merito ai possibili provvedimenti da applicare nei confronti di Roma capitale. Se l'onorevole presidente me lo consente, articolerei questo mio intervento in tre parti. La prima è dedicata a illustrare le criticità della situazione che vive oggi Roma e la sua provincia; la seconda destinata a descrivere gli assetti della criminalità organizzata nel contesto geografico di mia competenza e l'attività di contrasto svolta; la terza focalizzata sul sodalizio «mafia capitale» e soprattutto sulle misure e i provvedimenti che la prefettura ha avviato. Mi sembra indiscutibile che Roma e la sua provincia stiano oggi attraversando un momento di difficoltà sistemica che interessa diversi settori. Lo sfondo è quello di una congiuntura che, non diversamente da quanto accaduto in altre zone del Paese, ha colpito le realtà produttive della capitale e del suo hinterland, rendendo più complesso e articolato il sistema delle relazioni industriali. In questo contesto, problemi storici si sono fatti più acuti con il concreto rischio di assumere un rilievo in termini di ordine pubblico. Penso soprattutto alla questione casa, sulla quale incidono una pluralità di concause riconducibili non solo alla dinamica del mercato delle locazioni, ma anche a politiche locali che hanno affrontato negli anni passati la questione in una logica emergenziale, la quale ha finito per favorire i fenomeni di illegalità e corruzione portati alla luce dall'indagine su «mafia capitale». Su questo terreno si innesta il problema dell'occupazione abusiva di immobili, fenomeno anche in questo caso non recente, ma che nella capitale continua ad avere dimensioni tutt'altro che trascurabili, con conseguenti ricadute sul piano dell'ordine pubblico, dell'incolumità degli stessi occupanti e, non ultimi, sui proprietari. Non a caso, la prefettura sta focalizzando particolarmente l'attenzione su questi temi, secondo una strategia che punta a incidere sul problema, stimolando la regione Lazio e l'amministrazione capitolina a individuare i percorsi per avviare soluzioni strutturali con l'impiego delle risorse stanziate dalla stessa regione. Sarebbero disponibili immediatamente circa 50 milioni di euro, non ancora utilizzati. Sullo specifico versante delle occupazioni abusive, la scelta è quella di bloccare possibili escalation del fenomeno, neutralizzando i tentativi di nuova occupazione. Dal 1o gennaio 2014 ad oggi, gli interventi eseguiti dalle forze di polizia per porre fine alle nuove invasioni sono stati 34, 6 dei quali negli ultimi tre mesi. Nel contempo, è stato avviato un processo volto a superare il fenomeno con interventi di sgombero eseguiti prioritariamente sugli edifici a rischio per l'incolumità pubblica e su quelli utilizzati per fini non abitativi. Questa strategia, sviluppata ricercando anche la collaborazione dell'amministrazione comunale per l'individuazione delle misure di assistenza, ha già consentito una prima riduzione dello stock di immobili occupati sull'intero territorio della provincia, scesi a 111 rispetto ai 116 del marzo di quest'anno. Negli ultimi giorni i media nazionali ed esteri hanno dato grande risalto ai problemi del degrado di Roma, che non solo incidono sulla qualità della vita, ma rischiano di alimentare il terreno di coltura sul quale le manifestazioni di delinquenza comune possono evolversi in forme di criminalità organizzata. In un tessuto urbano così ampio come quello della capitale, in cui singole circoscrizioni arrivano ad avere un'estensione geografica paragonabile a quelle di grandi città come Milano, il fenomeno si presenta con un andamento a macchia di leopardo che non risparmia neanche i quartieri centrali Pag. 7o semicentrali. Sono, però, alcune periferie a soffrirne maggiormente, come l'area del Pigneto, in cui negli ultimi giorni sono state registrate due aggressioni ad equipaggi delle forze di polizia impegnate nell'arresto di alcuni pusher di etnie africane. Per contrastare il fenomeno la questura ha già pianificato un'operazione che punta a disarticolare le attività di spaccio di stupefacenti. Credo, però, che questo tipo di interventi – ovviamente estremamente importanti – debbano essere accompagnati da sforzi continui volti a eliminare le piccole e le grandi cause del degrado. Per questo motivo, a partire dall'aprile scorso, la prefettura ha scelto di andare sul territorio, istituendo, d'intesa con l'amministrazione capitolina, tavoli di osservazione presso ciascun municipio della capitale, cui partecipano anche i presidenti di queste circoscrizioni, i rappresentanti degli uffici e comandi delle forze di polizia dello Stato e della polizia locale. Lo scopo dei tavoli è individuare le criticità del territorio e rimuoverle, secondo linee d'azione destinate a svilupparsi sul breve ovvero sul medio periodo, massimizzando l'impiego delle risorse disponibili esistenti in loco. Si tratta di una declinazione degli indirizzi impartiti dal Ministro dell'interno il 30 aprile scorso, la cui filosofia punta a realizzare non un semplice territorio controllato, ma un territorio sotto controllo. I primi risultati conseguiti mi sembrano incoraggianti, non solo per il numero delle situazioni affrontate e risolte, ma anche e soprattutto per il miglioramento del senso di sicurezza percepita e di vicinanza delle istituzioni che l'iniziativa sta producendo. Non è poco in una realtà che continua a essere afflitta da fragilità che toccano le sue infrastrutture di base. Mi riferisco alle traversie che, dopo l'incendio del 7 maggio scorso, hanno riguardato l'aeroporto internazionale di Fiumicino, in relazione alle quali la prefettura ha svolto un rapporto di cucitura tra i vari enti deputati alle verifiche della salubrità degli ambienti di lavoro, nonché alle difficoltà del sistema del trasporto urbano della capitale, gestito dalla municipalizzata ATAC SpA. Le recenti cronache hanno ampiamente riferito la complessa situazione patrimoniale dell'ATAC SpA e i gravi disagi subiti dall'utenza. Mi limito, allora, soltanto a dire come le proteste dei passeggeri abbiano talora toccato picchi che hanno richiesto interventi delle forze di polizia per evitare comportamenti illegittimi, sconfinati anche in blocchi ferroviari. Il contesto non è, peraltro, agevolato dall'elevato tasso di conflittualità sindacale, come dimostra il fatto che il 27 luglio scorso si è reso necessario precettare il personale di ATAC SpA per evitare di pregiudicare i diritti, costituzionalmente garantiti, alla mobilità della cittadinanza. Alcune veloci note vanno dedicate anche alla situazione degli enti locali. In questi mesi l'attenzione è stata naturalmente monopolizzata dalle vicende di Roma capitale. Non mi pare, però, da sottovalutare il campanello d'allarme che risuona in altre località della provincia, dove anche di recente si sono verificati gravi episodi di maladministration. Nell'arco di tre mesi si è reso necessario procedere alla sospensione dei sindaci di Marino e di Guidonia Montecelio, il comune più popoloso della provincia dopo Roma, entrambi destinatari di misure restrittive della libertà personale disposte nell'ambito di procedimenti penali per gravi fatti di corruzione. Le fragilità del tessuto economico, sociale e istituzionale cui ho fatto breve cenno dimostrano come Roma e la sua provincia presentino fattori che continuano a renderle permeabili ai traffici illeciti delle organizzazioni criminali. Le analisi delle corpose attività investigative di questi anni convergono nel concludere come le mafie tradizionali si muovano in questo ambito geografico secondo un copione non lontano dal modello che cosa nostra aveva attuato, a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, con l'insediamento a Roma del suo cassiere Giuseppe Pippo Calò, uomo capace di intessere alleanze sia con la delinquenza romana della banda della Magliana, sia con frange dell'eversione nera. Su una scala più ampia di quella di allora, i Pag. 8sodalizi storici del crimine organizzato continuano a vedere Roma e il suo circondario come un terreno strategico per il riciclaggio dei capitali illeciti accumulati, soprattutto con il narcotraffico, e l'ingresso nel circuito dell'economia legale attraverso imprese intestate a prestanome. Tra le tecniche del money laundering assume un crescente rilievo il fenomeno delle imprese a partecipazione mafiosa. Le indagini svolte hanno consentito di accertare come, non diversamente da quanto si registra nel nord Italia, i soggetti legati al crimine organizzato preferiscono assumere il controllo di imprese già attive sul territorio, operando in veste di soci o finanziatori occulti e lasciando la gestione delle aziende a persone del luogo compiacenti. Il settore di elezione di questa strategia di penetrazione, che finisce per drogare e impoverire l'economia sana, sono gli esercizi pubblici e commerciali, soprattutto quelli dei settori della ristorazione, dell'abbigliamento e delle concessionarie di autoveicoli, le società finanziarie e il mercato immobiliare. Particolare è la dinamica registrata nella fascia litoranea a sud di Roma, dove i clan camorristici che tentano di radicarsi in quell'area sono fortemente interessati a reimpiegare i capitali illeciti nel settore delle attività balneari. Ciò, naturalmente, non implica la rinuncia alle attività illegali più tradizionali, come dimostra il fatto che le filiazioni delle mafie tradizionali risultano particolarmente attive soprattutto sulla fascia costiera della provincia nel narcotraffico e nell'organizzazione dell'immigrazione clandestina. Il crimine organizzato non disdegna, peraltro, di ingerirsi nel mercato dei prodotti contraffatti, attività illecita capace di generare lucrosi profitti. Colgo qui l'occasione per riferire che è stato messo a punto, con la regia della prefettura, un mirato piano d'azione che coinvolge la Guardia di finanza per i controlli sulla filiera della distribuzione delle merci e la polizia locale di Roma capitale e le altre forze di polizia dello Stato per i controlli sulla rete dei venditori abusivi di tali merci. Queste ultime attività, condotte sulle principali piazze dell'abusivismo commerciale della capitale, hanno consentito, dall'inizio dell'anno, di effettuare circa 17 mila sequestri di prodotti, 8.035 dei quali di natura penale. Come è stato già sottolineato dal procuratore della Repubblica della capitale nella sua recente audizione presso questa onorevole Commissione, assolutamente funzionale a questo scopo è la scelta delle mafie tradizionali di adottare una politica di sommersione e di inabissamento tesa a ricercare alleanze nell'intento di realizzare joint venture criminali ed evitare scontri per il controllo del territorio. Del resto, le analisi degli episodi delittuosi, confermate dalle risultanze delle numerose iniziative di indagine e dall'attività informativa degli organi di polizia, dimostrano come sia in atto un processo di riconfigurazione degli assetti di questi sodalizi, che assumono connotati diversi da quelli che si riscontrano nelle regioni di radicamento storico della delinquenza organizzata. Accanto all'attivismo dei referenti dei gruppi mafiosi tradizionali, sono state registrate dinamiche di allentamento dei legami e in molti casi di aperta recisione dei legami rigidamente gerarchici con i vertici dei clan di riferimento. Il fenomeno vede protagonisti soggetti provenienti soprattutto dalle regioni del Meridione, che si sono ormai stabilmente radicati nel contesto territoriale di Roma e della sua provincia. Costoro, agevolati anche dal fattore lontananza, appaiono particolarmente propensi a dialogare tra loro, nonostante le differenti origini, per realizzare la spartizione dei lucrosi traffici illeciti. La mappa, ricostruita attraverso le importanti indagini e l'intensa attività informativa condotta in questi anni, conferma come nell'area di Roma siano attive filiazioni delle tre mafie storiche. Particolarmente articolata è la presenza della ’ndrangheta dedita a una pluralità di traffici illeciti. Il settore di elezione è quello del riciclaggio e del reimpiego dei capitali illeciti attraverso l'acquisizione di immobili e di attività commerciali. Diverse Pag. 9operazioni condotte dagli organi di polizia hanno messo in luce come siano particolarmente attivi gli aggregati che fanno riferimento a pericolose ’ndrine del vibonese, del crotonese e del reggino. Queste ultime, peraltro, risultano aver intessuto legami stabili anche con la delinquenza romana e in particolare con il clan dei Casamonica. La criminalità organizzata calabrese è comunque attiva anche in settori tradizionali. Soprattutto alcuni sodalizi originari delle zone della provincia di Cosenza risultano aver orientato i propri interessi, con il supporto di elementi dalla delinquenza locale, verso il traffico degli stupefacenti, l'usura, l'estorsione e le rapine. Dinamiche simili sono state accertate anche per la camorra, che si concentra in alcune zone ben precise della capitale, circostanza che supporta l'ipotesi dell'esistenza di un accordo spartitorio tra le mafie tradizionali. Oltre al reinvestimento di capitali sporchi nel mercato immobiliare del centro storico – clan Contini – i sodalizi campani concentrano le proprie attività illecite nei quartieri dell'Esquilino – clan Giuliano – e Ostiense, dove il clan Zaza, in stretto collegamento con il gruppo dei Mazzarella, risulta attivo nella gestione di attività di ristorazione e alberghiere e di scuderie di cavalli. Il traffico degli stupefacenti, appannaggio del clan Moccia, si concentra nell'area di Tor Bella Monaca, una delle periferie di Roma a più forte presenza delinquenziale. Quanto a cosa nostra, il gruppo di più spiccata pericolosità è quello della famiglia Triassi, il cui leader Vito Triassi, pluripregiudicato, è legato alla cosca dei Cuntrera-Caruana. Il sodalizio concentra i suoi interessi, finalizzati al reimpiego dei capitali illeciti, nella zona di Ostia, dove ha stretto un'alleanza con il gruppo dei Fasciani. Un quadro completo della geografia del crimine romano non può prescindere dal gettare uno sguardo anche sulla delinquenza romana. Come dimostrano le numerose iniziative investigative svolte a partire dal 2012 fino ad arrivare all'indagine «mondo di mezzo», si tratta di consorterie di elevato spessore criminale, capaci di intessere rapporti sia con le mafie storiche sia con la stessa «mafia capitale». È il caso del clan dei Casamonica, sodalizio di tipo familistico, che detiene la supremazia in alcuni quartieri dell'area sud di Roma – Appio, Tuscolano, Anagnina, Tor Bella Monaca, Romanina – ma che, grazie ai suoi collegamenti con altri gruppi malavitosi di etnia rom, riesce a sviluppare anche in altri quartieri attività illecite, quali le estorsioni, l'usura, la ricettazione di veicoli rubati e il traffico internazionale di stupefacenti. Non può dirsi ancora totalmente debellato, nonostante le operazioni condotte negli ultimi anni dalla squadra mobile e dalla Guardia di finanza di Roma, il clan Fasciani, strettamente collegato alla famiglia mafiosa dei Triassi e operante nell'area di Ostia, e il gruppo che fa capo a Michele Senese, uomo legato da stretti rapporti con il sodalizio camorristico dei Moccia di Afragola. Del resto, sono ancora attivi nell'area romana elementi legati alla banda della Magliana, come Enrico Nicoletti, che insieme ai suoi tre figli è stato oggetto di investigazioni per attività illecite quali l'usura, l'estorsione e il riciclaggio dei proventi illeciti, che coinvolgono anche il mondo dei colletti bianchi. Tali attività (operazione «trent'anni» della Guardia di finanza) sono culminate il 21 maggio scorso nell'esecuzione di provvedimenti di confisca di beni per un valore di oltre 21 milioni di euro nei confronti dello stesso Enrico Nicoletti e di altri soggetti. Nell'ambito della prevenzione amministrativa antimafia sono stati altresì accertati collegamenti tra il Nicoletti e personaggi in grado di orientare, di fatto, la gestione di due istituti di vigilanza privata nei confronti dei quali la prefettura ha emesso puntualmente altrettanti provvedimenti interdittivi antimafia. Come ho accennato, altri centri della provincia romana non sono rimasti immuni all'attivismo delle mafie storiche. A parte quanto dirò in seguito nel focus su «mafia capitale», le presenze più significative si concentrano particolarmente lungo la fascia costiera a nord e a sud della capitale. In particolare, Pag. 10a Civitavecchia si sono registrati tentativi di ingerenza negli appalti pubblici per i lavori di ristrutturazione delle aree portuali e nel mercato dell'edilizia. A ciò si aggiungono le presenze attive di soggetti legati alla camorra nei comuni dell'alto litorale tirrenico, che si manifestano con maggiore evidenza nell'area di Ladispoli. Il settore più a rischio resta, comunque, quello dell'area pontina, in particolare dei comuni di Velletri, Nettuno, Anzio, Pomezia e Ardea, dove sono in corso importanti indagini nei riguardi di appartenenti alla ’ndrangheta e alla camorra, che si sono stabiliti nella zona attirati dalle opportunità che quei territori offrono per il traffico di stupefacenti, anche in virtù della presenza di strutture portuali e del forte afflusso di turisti nella stagione estiva. Le operazioni condotte dalla squadra mobile capitolina hanno, in particolare, evidenziato l'attività della ’ndrina dei Gallace Novella che, nello sviluppare le proprie attività criminali, si è federata con il pericoloso gruppo delinquenziale romano dei Romagnoli e con quello degli Andreacchio di Nettuno, al fine di utilizzarne le ramificazioni e le basi logistiche nella zona di Anzio e Nettuno. Nel 2012 Nettuno, del resto, è stato teatro dell'omicidio perpetrato ai danni di un appartenente al clan Moccia di Afragola, sodalizio che, come sta emergendo dalle attività investigative, vanta forti interessi e disponibilità di capitali nell'area. Nell'entroterra della provincia l'area più a rischio è quella di Guidonia e di Tivoli, nel cui territorio insiste un rilevantissimo mercato ortofrutticolo e agroalimentare. Proprio tale mercato costituisce la principale attrattiva per la criminalità organizzata campana per praticare l'estorsione e l'usura ai danni dei commercianti del luogo, attività illecite alle quali è dedita anche l'agguerrita delinquenza locale. A questo si aggiunge il traffico degli stupefacenti, in particolare dell'eroina, il cui consumo reca con sé un carico di reati predatori perpetrati dai tossicodipendenti alla ricerca di denaro per l'acquisto della dose quotidiana. Inoltre, presenze di soggetti collegati a formazioni criminali di origine calabrese emergono anche nella cintura dei comuni intorno alla capitale, in particolare nei centri di Vicovaro, Rignano Flaminio, Castelnuovo di Porto, Morlupo e Campagnano di Roma. A completamento di questa panoramica, credo sia opportuno fare cenno anche ai gruppi delinquenziali stranieri operanti nell'area di Roma e nell’hinterland. Uno dei fattori di attrazione è rappresentato dall'aeroporto di Fiumicino che, essendo il più importante scalo internazionale del Paese per volume di traffico, merci e passeggeri, viene visto da queste consorterie come uno snodo strategico del narcotraffico internazionale, in particolare dai sodalizi criminali sudamericani. Al traffico di stupefacenti sono, del resto, interessate anche altre consorterie a base etnica, in particolare quelle composte da soggetti di nazionalità nigeriana e di etnia slavo-albanese. Questi ultimi danno vita a forme delinquenziali di particolare violenza, che spaziano dai reati predatori allo sfruttamento della prostituzione, per finire con il cosiddetto «recupero crediti», realizzato da vere e proprie batterie di picchiatori. Ai reati contro il patrimonio si dedicano, invece, gruppi criminali di origine rumena specializzati, tra l'altro, nella clonazione delle carte di credito, e quelli di origine russo-georgiana. Questi ultimi sono altresì fortemente attivi nel reimpiego e riciclaggio di capitali illeciti accumulati dei sodalizi di appartenenza nei Paesi di provenienza e in altri Stati europei. Differenziati sono gli interessi della criminalità cinese che, oltre al traffico di prodotti contraffatti e di contrabbando, si dedica allo sfruttamento della prostituzione e dell'immigrazione clandestina. Le importanti indagini svolte negli ultimi anni sia dalla DIA sia dalla squadra mobile hanno messo in luce come le triadi abbiano esteso i propri interessi dal quartiere Esquilino, la Chinatown di Roma, verso altre aree urbane in direzione del lido di Ostia. Le stesse indagini hanno documentato le alleanze strette da questi sodalizi con gruppi delinquenziali romani e camorristici Pag. 11per lo stoccaggio dei prodotti di contrabbando, i cui lucrosi proventi vengono spesso ritrasferiti in Cina attraverso una rete di società di intermediazione finanziaria fittizie. Dunque, siamo di fronte a un panorama criminale articolato e complesso, i cui modi operanti sono connotati da duttilità e capacità di mimetizzazione e sommersione. Ciò non toglie che l'azione di contrasto sviluppata dalle forze di polizia abbia consentito, anche in questi mesi, di assestare colpi particolarmente duri ai diversi sodalizi mafiosi che operano nell'area della provincia. Focalizzando l'attenzione sui risultati conseguiti nei primi sei mesi di quest'anno, occorre ricordare come una serie di indagini sviluppate dalla squadra mobile di Roma, anche congiuntamente al locale GICO della Guardia di finanza, abbiano permesso di disarticolare diversi sodalizi legati alla ’ndrangheta. In un caso, con l'operazione «Fiore calabro», le attività investigative svolte hanno portato all'arresto, per il reato di trasferimento fraudolento di valori, aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa, di quattro soggetti di spicco appartenenti alle ’ndrine del reggino, che, trasferitesi nei comuni di Rignano Flaminio e Morlupo, si avvalevano di prestanome per penetrare nella gestione degli esercizi di compro oro, del commercio dei fiori e delle attività di ristorazione, nonché di allevamento e rivendita delle carni. In questo contesto, venivano sottoposte a sequestro società e numerosi immobili siti a Roma e nella fascia dei comuni a settentrione di essa. In un altro caso, le parallele indagini della squadra mobile e del GICO – operazioni «codice San Luca» e «buena ora 2» – alimentate anche dalle dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia, hanno permesso di ricostruire una serie di episodi estorsivi e di smantellare un complesso traffico internazionale di stupefacenti che la ’ndrina dei Pizzata di San Luca gestiva attraverso contatti in Colombia, Spagna, Olanda e Marocco. Con riguardo a tale traffico, la Guardia di finanza, oltre ad avere sequestrato ingenti quantitativi di cocaina, 600 chilogrammi, il 21 gennaio di quest'anno ha eseguito provvedimenti restrittivi della libertà personale nei confronti di sedici soggetti. Nei giorni successivi un altro elemento è stato arrestato in Spagna, mentre in Marocco le locali autorità hanno fermato e estradato in Italia il pericoloso latitante Marco Torello Rollero. Il marzo di quest'anno ha visto, poi, la conclusione di un'indagine condotta dal Comando provinciale dei Carabinieri di Roma, che ha consentito di arrestare tre soggetti legati a gruppi criminali resisi responsabili del sequestro di persona, aggravato dalla finalità mafiosa, del figlio di un collaboratore di giustizia proveniente dalle file di una cosca ’ndranghetista dell'area di Marina di Gioiosa Jonica, Reggio Calabria. Un'altra operazione del marzo di quest'anno – operazione «Crea» – ha consentito di trarre in arresto sette appartenenti della famiglia Crea, originaria di Stilo, località della costa ionica del reggino particolarmente attiva nel quartiere romano di Primavalle, dove gestisce diverse attività commerciali e dove è riuscita a inserirsi anche nel mercato degli affitti in nero delle case popolari. In particolare, il sodalizio si è reso responsabile dei reati di traffico di stupefacenti e di estorsione, attraverso le quali è riuscito ad acquisire la gestione diretta di attività economiche. Sul versante del contrasto alla camorra, l'iniziativa di maggior rilievo è quella della squadra mobile capitolina coordinata dalla procura della Repubblica di Roma, procedimento penale n. 24461 del 2012, che il 21 gennaio scorso ha permesso di individuare e trarre in arresto tredici soggetti coinvolti in un traffico illecito di rifiuti speciali, organizzato da elementi di spicco del clan Cozzolino nell'area di Portici-Ercolano a Napoli. L'attività investigativa svolta, che ha riguardato, oltre a Roma, anche le province di Napoli, Salerno, Novara, Pavia, Macerata e Frosinone, ha messo in luce come una serie di false cooperative avesse ottenuto l'appalto per la raccolta di indumenti usati che venivano spediti dai porti di Salerno e Civitavecchia verso Pag. 12i Paesi del Nord Africa senza essere stati sottoposti preventivamente al prescritto trattamento igienizzante. La vicenda riguarda anche le commesse ottenute da tali cooperative dalla controllata di Roma capitale AMA SpA, attraverso affidamenti diretti, grazie alla rete di conoscenze garantite da soggetti che significativamente fanno parte del côté di imprenditori collusi o collegati con «mafia capitale». Il 10 febbraio scorso, al termine di una lunga indagine coordinata dalla procura della Repubblica di Roma riguardante soggetti legati al clan camorristico Pagnozzi di San Martino Valle Caudina – Avellino – il comando provinciale dei Carabinieri di Roma ha eseguito un'ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti di 61 persone per reati di associazione finalizzati al traffico di stupefacenti, estorsione, rapina, usura e riciclaggio, commessi con l'aggravante dell'agevolazione mafiosa. Un'altra iniziativa investigativa è stata sviluppata dalla DIA nell'area di Ladispoli, all'esito della quale la procura della Repubblica di Civitavecchia ha chiesto e ottenuto l'emissione di misure restrittive della libertà nei confronti di tre soggetti legati al clan camorristico dei Giuliano di Napoli, che gestivano un pericoloso giro di usura e di scommesse clandestine su eventi sportivi. Quanto a cosa nostra, le azioni di contrasto si pongono in linea di continuità con le diverse indagini coordinate dalla procura della Repubblica di Roma, che hanno consentito di fare luce sugli interessi della famiglia Triassi e dei loro alleati locali dei clan Fasciani e Spada. Come ho già accennato, l'operazione «alba nuova» ha consentito di infliggere un durissimo colpo al clan dei Fasciani, disvelando le reti di collusioni di cui esso godeva non solo all'interno del municipio X, competente per la zona di Ostia, ma anche con un demi-monde di imprenditori locali. In questo contesto, è emerso anche il ruolo di Mauro Balini, presidente del porto di Ostia, uomo che intratteneva stretti collegamenti con personaggi come Cleto De Maria, incaricati dai Triassi della gestione delle loro attività economiche. Le attività investigative hanno ricevuto un'importante conferma della sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Roma il 30 gennaio scorso, che per la prima volta riconosce l'esistenza di un'organizzazione mafiosa sul territorio romano. Su questo filone di approfondimento investigativo può essere collocata anche la recentissima operazione della Guardia di finanza capitolina di cui ho detto in esordio, che il 29 luglio scorso ha portato all'arresto di quattro persone, tra cui lo stesso Balini. L'ipotesi accusatoria si riferisce alla bancarotta fraudolenta della società che aveva costruito il porto di Ostia e all'occultamento degli illeciti proventi attraverso operazioni di riciclaggio e di fittizia intestazione di beni. In questo contesto, come hanno riportato le cronache di questi giorni, l'autorità giudiziaria ha anche disposto il sequestro di beni mobili e immobili, quote societarie e conti correnti bancari per un importo che si aggira intorno ai 400 milioni di euro. La strategia messa in campo fa perno su un sempre più ampio ricorso allo strumento delle misure di prevenzione patrimoniale. Queste ultime, nel nuovo assetto normativo delineato dal codice delle leggi antimafia, decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, rappresentano uno strumento sempre più incisivo per aggredire l'accumulazione di ricchezze illecite e per colpire anche l'area grigia fatta di imprenditori, professionisti e operatori della finanza che assicura il supporto e il mascheramento indispensabile a reimmettere il denaro sporco nel circuito dell'economia legale. Le importanti iniziative intraprese su questo versante, unitamente alle indagini per reato di trasferimento fraudolento di valori in elusione di misure di prevenzione patrimoniale, ha consentito di moltiplicare l'entità dei sequestri. Per comprendere la dimensione dei successi conseguiti, credo sia sufficiente ricordare che nel primo semestre dell'anno una serie di operazioni condotte dalla Guardia di finanza, congiuntamente alla squadra mobile e ai Carabinieri della capitale, ha consentito Pag. 13di sequestrare, a Roma e provincia, beni e assetti societari per un valore di poco inferiore ai 350 milioni di euro e di confiscare cespiti pari a 55,225 milioni di euro. A questi si aggiungono ulteriori attività del centro operativo DIA di Roma che, nel periodo compreso tra l'aprile e il luglio scorsi, hanno consentito di sequestrare altri beni per un valore di 6,5 milioni e di confiscare assett economici per un valore di 10 milioni di euro nei confronti di elementi legati al sodalizio della criminalità organizzata calabrese. In questo contesto, mi piace evidenziare come anche la prefettura sia fortemente impegnata nella prevenzione amministrativa delle infiltrazioni mafiose. Mi limito a ricordare che dal 1o gennaio 2014 a oggi sono state interdette, a fini antimafia, 23 imprese, ai sensi dell'articolo 91 del decreto legislativo n. 159 del 2011. A queste si aggiunge il considerevole numero di operatori economici (circa 21), colpiti da analoghe misure in quanto rivelatisi collegati o collusi con il sodalizio «mafia capitale», sui quali mi riservo di dire fra poco. Vengo adesso al tema di «mafia capitale» e alle sue infiltrazioni nel sistema delle autonomie locali, in relazione alle quali, come ho detto, sono ancora in itinere le iniziative ispettive promosse dalla prefettura nel dicembre del 2014. L'esistenza di questo sodalizio è venuta alla luce grazie agli esiti dell'indagine «mondo di mezzo», condotta dai ROS dell'Arma dei carabinieri e coordinata dalla procura della Repubblica di Roma, conseguente all'esecuzione dell'ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal GIP capitolino il 29 novembre 2014 nei riguardi di 37 soggetti. Il 29 maggio di quest'anno una seconda ordinanza ha disposto analoghi provvedimenti portati a esecuzione il 4 giugno scorso nei confronti di 44 persone, diverse delle quali già colpite dalle precedenti misure. Gli esiti di questa rilevantissima iniziativa investigativa sono ampiamente noti. Mi limito, quindi, a sottolinearne alcuni profili che mi sembrano più direttamente pertinenti al tema della mia audizione. Comincio con l'osservare che le risultanze dell'indagine dimostrano come «mafia capitale» sia il prodotto originale e originario dell'evoluzione di alcuni ambienti della criminalità romana. Ne è una sintesi la figura del suo leader indiscusso, Massimo Carminati, uomo che già in passato aveva garantito alleanze e saldature tra il mondo dell'eversione nera, cui apparteneva, e quello della delinquenza romana, segnatamente con il sodalizio della banda della Magliana. I numerosi e inquietanti episodi cui è stato associato, talora senza che sia stato possibile accertare processualmente una sua specifica responsabilità, hanno finito per circondare Carminati di una sinistra fama di grande pericolosità e capacità delinquenziale. Di questa sinistra aura, si sono giovati non solo lo stesso Carminati, ma anche i suoi sodali, che l'hanno puntualmente sfruttata per affermarsi in numerose attività illecite. Come è stato sottolineato dalla procura e confermato dal GIP e dalle successive pronunce dei giudici del riesame, l'organizzazione si è imposta facendo leva sulla sua capacità intimidatoria derivante dallo spessore delinquenziale di Carminati, ma anche dal vincolo associativo, sulla conseguente capacità di instillare un clima di silenzio e omertà, nonché sulla possibilità di acquisire indebiti favori e vantaggi attraverso il potere economico della corruzione. Tutti questi elementi contribuiscono a ricondurre il sodalizio nell'ambito del paradigma normativo dell'associazione di stampo mafioso delineato dall'articolo 416-bis del codice penale. Soprattutto la prima ordinanza del GIP capitolino descrive in maniera puntuale e dettagliata l'organizzazione di «mafia capitale», articolata in due rami, entrambi operanti sotto il rigido controllo di Carminati: l'ala militare, dedita ad attività tipiche delle mafie storiche, come l'usura, l'estorsione e il commercio delle armi, e il branch economico impegnato, con il concreto ausilio di un folto gruppo di imprenditori collusi, ad accaparrarsi appalti e provvidenze pubbliche. In quest'ultimo campo emerge il ruolo di Salvatori Buzzi, anche lui con un passato Pag. 14criminale accreditato di una fama positiva nel mondo della cooperazione sociale e negli ambienti politici vicini a quest'ultima. Costui, sotto la regia di Carminati, ha agito come volto imprenditoriale dell'organizzazione, adoperandosi per mezzo delle società cooperative a lui riconducibili e a una folta rete di contatti, a realizzare disegni criminali finalizzati a permeare la gestione di appalti e risorse pubbliche di amministrazioni locali. Su questo versante l'indagine rileva la pluralità di direzioni lungo le quali l'organizzazione ha sviluppato le sue penetrazioni nella cosa pubblica. Chiedo alla presidente di secretare l'audizione.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto per il contributo fornito e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.30.