XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 51 di Giovedì 2 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione del Direttore della Direzione Centrale della finanza locale del Ministero dell'interno, Giancarlo Verde, sull'attuazione delle procedure di dissesto e riequilibrio finanziari degli enti locali (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Verde Giancarlo , Direttore della Direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno ... 2 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Fornaro Federico  ... 12 
Guerra Maria Cecilia  ... 13 
De Menech Roger (PD)  ... 13 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14 
Verde Giancarlo , Direttore della Direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 17 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Direttore della Direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Direttore della Direzione Centrale della finanza locale del Ministero dell'interno, Giancarlo Verde, sull'attuazione delle procedure di dissesto e riequilibrio finanziari degli enti locali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Direttore della Direzione Centrale della finanza locale del Ministero dell'interno, Giancarlo Verde, sull'attuazione delle procedure di dissesto e riequilibrio finanziario degli enti locali.
  Do la parola al dottor Verde per lo svolgimento della relazione.

  GIANCARLO VERDE, Direttore della Direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno. Buongiorno e grazie per l'invito. Questa mattina approfondiremo gli aspetti che riguardano gli enti locali in difficoltà finanziaria; partiamo dalle norme, perché ovviamente tutto quello che di cui parliamo è disciplinato dall'ordinamento del Testo unico degli enti locali.
  Partiamo, in particolare, dagli articoli 193 e 194, perché spesso si criticano le norme ma, invece, penso che l'ordinamento degli enti locali, che in sostanza risale al 1990, sia fatto veramente bene, insomma e sia ancora oggi valido. Va sicuramente perfezionato in base all'evoluzione che c’è stata in questi anni, però è un ordinamento certamente valido. Esso prevedeva l'eventualità che un bilancio potesse non essere in equilibrio e le conseguenti misure per provvedere. In particolare gli articoli 193 e 194 prevedono che l'ente, laddove l'ente si renda conto di avere un disavanzo (in genere dopo l'approvazione del conto consuntivo o nel riequilibrio di bilancio da fare entro il 30 settembre), possa immettere in bilancio questo problema, affrontarlo e risolverlo, in quell'anno e nei due successivi.
  C'era quindi questo lasso temporale fino ai due anni successivi per dare più tempo all'ente. Negli anni, l'esperienza ha dimostrato che questa norma veniva adoperata per spostare avanti il problema, per cui se emergeva un debito di 1 milione di euro, si faceva 1 euro quest'anno, 1 euro l'anno prossimo e 999.998 euro al terzo anno, posticipando il più possibile la cosa. Il terzo anno comunque arrivava, ai debiti si provvedeva e quindi più o meno si andava avanti.
  Si è visto poi che, in particolare nel periodo a partire dal 2011-2012, i problemi legati alla crisi internazionale, alla necessità di ridurre le spese a carico del bilancio dello Stato e, quindi, la spesa pubblica hanno determinato un periodo pesante per gli enti locali, causando molte difficoltà e determinando più gravi e frequenti disavanzi da sistemare o debiti fuori bilancio, e gli articoli 193 e 194 non sempre hanno funzionato.Pag. 3
  In più, il ricorso al dissesto è un’extrema ratio, per cui nel 2012 è maturata la necessità di concepire una figura giuridica, che fungesse da ponte rispetto alla possibilità del dissesto prevista dal quadro ordinamentale attuale. Fu quindi introdotto nell'ordinamento quello che viene chiamato pre-dissesto, ma non mi piace perché evoca il fatto che si sta per deliberare il dissesto, mentre queste misure tendono a evitarlo, perché si ritiene che l'ente non abbia tutti i presupposti per il dissesto e quindi possa giocare quest'altra carta di un riequilibrio che non è quello dei tre anni, ma non è neanche il dissesto.
  Nel 2012, quindi, con il decreto-legge n. 174 è stato introdotto il riequilibrio finanziario pluriennale, che va, appunto, oltre i tre anni. Che cosa è successo in questi anni ? Come riportato nelle tabelle 4 e 5, siamo partiti nel 2012 e avevamo gli arretrati, quindi gli enti premevano per avere queste disposizioni, e ben 50 comuni hanno attivato questa procedura di riequilibrio pluriennale: nel 2013 sono stati 54, nel 2014, 69, nel 2015, 7. Non deve meravigliare il dato del 2015, perché, a parte che risale ormai a un mese fa, quando abbiamo elaborato questi dati, ma i frutti cadono dall'albero quando sono maturi e in questo caso la maturità viene con il bilancio: quando ci si rende conto che non si può fare il bilancio allora si ragiona.
  Con riferimento a quest'anno non abbiamo il bilancio, quindi ho messo il 2015 per precisione, ma non è significativo, in quanto stanno maturando parecchi piani di riequilibrio e quindi vedrete come cambieranno i numeri e, anzi, come tenderanno ad aumentare. Vediamo quindi che 70 rispetto ai 50 del primo anno sono il 40 per cento in più in soli 3 anni, quindi si tratta di 160-170 enti, numeri non tremendi, che però rappresentano comunque il 2-3 per cento dei comuni italiani.
  È chiaro che non c’è una crisi mondiale, i numeri non sono esagerati, però gli abitanti che stanno dietro a questi problemi sono tanti e comunque sono delle comunità, quindi è un problema da non trascurare.
  Il riparto per regioni, alla tabella n. 6, vede una prevalenza del meridione, ma sappiamo che anche nel mondo degli enti locali, ancor di più in questo periodo storico in cui si sposta l'asse sulle entrate proprie rispetto a quelle trasferite, inevitabilmente prevalgono gli enti locali del meridione; potete vedere, nella tabella n. 7, come nel sud ci siano più enti, addirittura c’è un'esplosione in Calabria e Sicilia, dove sono veramente tantissimi.
  Questo grafico per istogrammi mostra visivamente come questa distribuzione cambi da regione a regione. Tra l'altro, considerate che Piemonte e Lombardia hanno quasi 3.000 comuni, quindi sono 15 comuni su 3.000, mentre invece in Sicilia sono 44 su 6-700. Se si fa una proporzione tra comuni della regione e comuni che hanno adottato il riequilibrio, ovviamente il tasso è ancora più alto, oltre al valore assoluto di 48 e 44.
  Se si va per fascia (tabelle n. 8 e n. 9) si incontra sempre questa curva gaussiana di cui non ci liberiamo, perché qualunque fenomeno che riguardi gli enti locali segue sempre le curve gaussiane quando esaminiamo i dati per numero di abitanti. I picchi non riguardano gli enti molto piccoli e quelli molto grandi e si concentrano ovviamente negli enti di media dimensione. Fino a 5.000 abitanti ce ne sono 5.900.
  Questa suddivisione per fasce si collega anche al fatto che Calabria e Campania hanno comuni più grandi, mentre comuni più piccoli sono addensati in Lombardia, Piemonte, oltre che in Molise e Abruzzo. Puglia e Calabria hanno comuni più grandi da 20-30.000 abitanti che vanno in dissesto e in riequilibrio.
  Non tutti i comuni chiedono l'accesso al Fondo di rotazione (tabelle alle pagine n. 10 e n. 11) perché è previsto che si possa accedere a un prestito, però chi vi accede subisce delle limitazioni, quindi non tutti lo hanno chiesto. La Corte dei conti considera questo un buon segnale, perché evidenzia una maggiore capacità di affrontare il problema autonomamente, senza ricorrere al prestito dello Stato. Anche qui l'anno 2015 presenta il dato di Pag. 41 su 7, mentre invece siamo sul 50 per cento di quelli che l'hanno fatto, in particolare il primo anno. Anche qui il grafico rende il dato più leggibile.
  Le tabelle alle pagine n. 12 e n. 13 riportano l'accesso al Fondo di rotazione suddivisi per regione, In Calabria praticamente tutti quelli che hanno fatto ricorso al fondo hanno chiesto l'assegnazione, mentre in Campania rappresentano un terzo del totale, e anche questo elemento ci dà l'idea di come gli enti locali affrontino il risanamento in modo diverso. Nelle tabelle n. 14 e n. 15 sono riportati i dati relativi all'accesso al Fondo suddivisi per fascia demografica.
  Quali sono i requisiti per accedere al fondo ? Bisogna avere squilibri strutturali di bilancio in grado di provocare il dissesto e accertare che non siano sufficienti e attivabili le misure contenute agli articoli 193 e il 194 di cui ho parlato, nel senso che non è una scelta felice e a questo punto ci sono comunque le norme tipiche per provvedere, occorre accertarsi che non ci si riesca e poi puntare al riequilibrio oppure al dissesto. Va dato quindi atto, nella predisposizione delle deliberazioni del tentativo di deliberare norme più attenuate.
  La deliberazione della procedura deve avvenire entro 90 giorni. In una prima delibera c’è la volontà di aderire, e poi ci sono 90 giorni per costruire il piano. La Corte dei Conti ha affermato che si tratta di un termine perentorio e ciò ha generato dei problemi perché spesso gli enti locali non riescono a farlo nei 90 giorni; sono infatti momenti di aspri confronti in Consiglio comunale, quindi capita di avere problemi a deliberare.
  Tutto il sistema è stato costruito affinché il procedimento non duri più di 180 giorni, almeno nelle intenzioni del legislatore, molto ben ponderate nel momento dell'approvazione del decreto-legge, perché il Ministero della giustizia valutò come «pesante» la sospensione dei pignoramenti nel periodo del riequilibrio e la loro contrarietà si attenuò a fronte del termine di sei mesi. Si decise quindi di evitare per sei mesi il dissesto, che per i creditori è un'eventualità ancora peggiore. Quei 90 giorni, che all'epoca erano 60, potevano teoricamente far arrivare ai 6 mesi, invece sono diventati 90 e molti enti non li rispettano; perciò i tempi si stanno allungando molto.
  Di fronte a questa posizione netta della Corte dei conti, in questi anni, tra leggi di stabilità, decreti sugli enti locali e proroghe dei termini, c’è stata una serie di disposizioni che hanno modificato questo termine, riaprendolo, riaprendolo a fine legislatura e quando viene eletto il nuovo sindaco.
  Ciò ha creato seri problemi, perché noi abbiamo ancora dei piani del 2012 che non sono ancora arrivati alla Corte dei conti, perché vengono riaperti a vario titolo continuamente e quindi la definizione di questo procedimento per noi è molto complessa.
  Si tratta di una procedura che è stata alleggerita nel tempo perché, rispetto alla formulazione originaria, che prevedeva un passaggio per una sottocommissione ministeriale, alla fine è stata modificata ed è stata affidata interamente alla Commissione, in modo molto più semplice. Questa sottocommissione era una parte della Commissione della finanza locale, integrata da componenti dell'ANCI e dell'UPI, che in realtà erano già nella Commissione.
  Per noi il lavoro sotto l'aspetto del procedimento è più semplice, ma di fatto è diventato più complicato, perché si esamina un piano, poi viene riaperto, cambia il sindaco e lo riapre, vince il ricorso e lo riapre, e quindi non riusciamo a concluderne. Ne avevamo conclusi una cinquantina, avremmo potuto farne di più ma questo purtroppo non ci è consentito.
  Ve lo segnalavo perché questo è uno dei problemi, tanto che voi parlamentari siete intervenuti più volte a modificare o a sanare questo termine.
  La norma è fatta bene e il piano prevede tutto, nel senso che questa delibera deve dare atto di perché è successo e proporre misure correttive, per cui obiettivamente l'ente locale fa uno sforzo, e questo è il vero problema per questi enti come per gli enti dissestati: non rispettano Pag. 5i 90 giorni perché tra le cause della difficoltà finanziaria c’è anche l'organizzazione dell'ente.
  Si può dare infatti il caso di un ente che ha problemi – quasi mai di malversazione (so di pochissimi casi finiti alla Corte dei conti) – ma problemi di carenza di risorse e di disorganizzazione, e deve provvedere a questo con degli atti e magari proprio con quegli uffici che sono poco organizzati o poco preparati e ha 90 giorni per cambiare tutto al proprio interno !
  Questo è il vero problema, per cui le carte quasi sempre si presentano in modo accettabile, ma la verità dietro è effettivamente molto complicata. Costruita bene la delibera, ci sono le misure correttive, la ricognizione dei debiti, la quantificazione delle misure, quindi l'idea è buona.
  Che strumenti ha un ente locale per ripristinare la regolarità del suo funzionamento e l'equilibrio di bilancio ? Sulle aliquote, con le tariffe dei tributi locali, e questo è un problema nel 2014 e 2015, perché di fatto esse sono ormai a livello massimo, quindi gli enti non dispongono più di questa possibilità e in genere c’è l'obbligo di arrivare alla copertura integrale dei servizi.
  Emergono dalle norme degli imperativi quasi superflui, ma che nascondono la necessità di dare forza al sindaco e alla Giunta comunale, per cui, se è la legge che obbliga a fare certe cose, magari è più facile superare l'agone politico perché tutti poi sono pronti a difendere le posizioni dei cittadini però poi le imposte non entrano e il comune non può erogare i servizi di cui gli stessi cittadini hanno bisogno.
  L'ente è quindi tenuto ad assicurare la copertura integrale dei servizi; ciò sembrerebbe quasi pleonastico perché è normale che un ente che si trova nei guai si faccia pagare integralmente i servizi, però qui è obbligato perché altrimenti non lo farebbe.
  Ci sono anche casi in cui c’è il controllo da parte del Ministero dell'interno sugli atti, cosa che, normalmente, ormai non avviene più.
  Si tratta di un'attività lavorativa che ci impegna molto: abbiamo 250 fascicoli aperti tra enti dissestati ed enti in riequilibrio, ma dal 2012 l'ufficio non è stato ampliato, quindi affrontiamo questa emergenza con le risorse a disposizione. Per noi è faticoso ma, d'altra parte, è anche interessante, perché possiamo avere un quadro concreto di quanto sta accadendo negli enti locali, posto che 250 enti costituiscono uno spaccato abbastanza veritiero della situazione.
  A questo si aggiungono gli incontri che quotidianamente, a ritmo di uno o due al giorno, sostengo al Ministero con tutti i sindaci, i parlamentari, i ragionieri comunali. Cerco di avere una conoscenza de visu di ciò che accade negli enti locali e questo tipo di controllo fa sì che il Ministero abbia cognizione di ciò.
  Il riequilibrio e il dissesto sono l'occasione per effettuare anche una revisione della spesa, specie se si vuole accedere al fondo di rotazione. Occorre aumentare le imposte, coprire i servizi, però è troppo facile ricorrere all'aumento del costo del contributo a carico dei cittadini; è necessario anche operare una revisione della spesa e cercare di spendere meno e meglio, in modo da incidere il meno possibile sui cittadini.
  Ciò vale essenzialmente per i comuni di ampia dimensione, ma si è scoperto che anche i comuni piccoli hanno partecipazioni in società e, quindi, esigenza di lavorare sugli organismi delle società partecipate, che sono il grande problema, dal punto di vista finanziario, di tutti gli enti locali, specie per quanto riguarda gli enti in difficoltà finanziarie.
  Ci sono piccoli vantaggi, è possibile fare mutui per coprire debiti fuori bilancio, ovviamente purché siano spese di investimento, e si può accedere al Fondo di rotazione gestito dal Ministero dell'interno.
  Laddove si acceda al fondo bisogna però ridurre almeno del 10 per cento le prestazioni di servizi, ridurre del 25 per cento le spese per trasferimenti e bloccare l'indebitamento. Questo è uno dei motivi per cui alcuni enti non accedono al fondo: Pag. 6preferiscono non avere il prestito dello Stato ma non doversi impegnare così pesantemente con queste riduzioni.
  Mi permetto di dire che l'impianto è costruito bene: sono passati tre anni e l'esperienza sul campo ci induce a pensare all'utilità di alcuni miglioramenti, però altri sono stati apportati sull'onda dell'emotività: gli enti rappresentano un problema e, in sede parlamentare, vengono accontentati. Bisogna invece valutare se questi aiuti siano una sorta di carità dagli effetti negativi, perché si induce a comportamenti poco sani e si rinvia il problema.
  Il Fondo di rotazione è un prestito: gli enti locali ricevono questa risorsa e pagano immediatamente i debiti. Ne consegue che il creditore è anche meglio disposto a fare una transazione, e a quel punto gli enti riescono a pagare a rate allo Stato che ha erogato il prestito. È quindi, in qualche modo, una cessione di debito (e tra l'altro ci sono anche degli interessi).
  Che cosa è successo ? È stato approvato un emendamento in base al quale quella somma può essere contabilizzata in conto competenza. Questo significa che i comuni, qualora ne abbiano bisogno, possono mettere in parte corrente il prestito dello Stato, e ciò rappresenta una contraddizione. Al di là degli aspetti tecnici dei principi contabili, è come se si mettesse un mutuo sulla casa per comprare una macchina o, addirittura, dei vestiti nuovi.
  L'equilibrio di parte corrente di un comune si deve basare sulle entrate di parte corrente, non sulle entrate straordinarie. Ora questo è un caso straordinario, perché si tratta del caso di un ente che sta effettuando il riequilibrio, il quale viene quindi aiutato in questo modo. Tuttavia, realizzare il riequilibrio con una posta occasionale non è un aiuto: si corre il rischio di rinviare unicamente il problema, tanto che solo un paio di comuni hanno fatto ricorso a questa norma, mentre quasi tutti non l'hanno attivata (e io dico: per fortuna !).
  Sono stati messi a disposizione 548 milioni di euro nel primo anno, 220 nel secondo, 120 nel 2014 e 200 e nel 2015. Tali oscillazioni sono dovute al fatto che le somme erano uguali, ma poi sono state tagliate e rimodulate per esigenze di bilancio anno per anno. Esse sono sufficienti, perché il primo anno l'importo era molto elevato, posto che concorrevano anche Napoli e Reggio Calabria, che sono comuni molto grandi. A partire dagli anni successivi il numero è ampio, ma il numero degli abitanti è diminuito e in più dal 2014 è cominciata la restituzione delle somme prestate non già nel 2012, perché Napoli li ha presi nel 2013, ma c’è la prima rata, quindi nel tempo, i 200 milioni si sono arricchiti con il meccanismo della rotazione, quindi le somme ci sono sebbene, per il momento, non siano abbondanti; tra uno o due anni potrebbero diventare anche abbondanti, laddove anno per anno cominceranno i rimborsi del 10 per cento (il fondo è a dieci anni).
  Gli strumenti normativi ci sono tutti, nel 2013 sono stati approvati i decreti sulle modalità per accedere, sulla procedura per fare domanda e sulle modalità per l'esame delle domande: Fu creata una sottocommissione poi, fortunatamente, abolita e il DPCM del 2013 spiega come si chiede l'anticipazione.
  C’è una confusione lessicale, perché nel primo anno si poteva chiedere un'anticipazione dell'anticipazione, quindi in questo caso i comuni avevano ragione. Oggi esiste solo l'anticipazione standard, non si può chiedere l'anticipo dell'anticipo, che valeva solo per il primo anno.
  Come funziona ? Anche qui c’è un po’ di confusione: il sigillo lo mette la Corte dei conti. Il Ministero dell'interno ha un ruolo istruttorio, che è altamente significativo; si ragionò molto durante l'esame del decreto-legge, anche in sede di conversione parlamentare, sull'inopportunità di affidare due controlli pieni a due soggetti diversi perché si sarebbe creato il caos.
  Noi abbiamo fatto un passo indietro come Ministero dell'interno, quindi abbiamo noi il confronto diretto con l'ente locale, la Corte dei conti ci ha dato delle linee guida e sulla base di esse aiutiamo gli enti a costruire al meglio il piano finanziario, Pag. 7che poi mandiamo alla Corte dei Conti, la quale ha una sua autonomia.
  Quasi mai questi piani sono ben fatti ma noi non diamo un parere, facciamo una relazione alla Corte, ed è raro trovare una relazione entusiasta; ciò capita in un caso su dieci o quindici. Quasi tutti hanno dei problemi, qualcuno risolto e altri no; emerge dalle carte che addirittura non quadrano i numeri, che il bilancio non è impostato correttamente e che gli enti non sappiano quali cause hanno in corso. Si rende evidente che sono comuni che vanno in dissesto. A tale proposito apro il grande tema dei dipendenti degli enti locali e forse anche dei Ministeri: l'invecchiamento, l'incapacità di attualizzare la loro formazione professionale, l'impossibilità di fare corsi perché non ci sono soldi; nei comuni piccoli ci sono pochi dipendenti e basta che uno vada in pensione per creare grandi difficoltà.
  Quando un comune è in dissesto o in riequilibrio non può assumere, quindi è fenomenale quando si rivolgono a noi dichiarando che il responsabile finanziario è andato in pensione e che hanno 90 giorni per fare il piano ma non hanno un responsabile finanziario ! Sotto questo aspetto è come un cane che si morde la coda, quindi dobbiamo rompere questa spirale in questi momenti topici ed essenziali per un ente locale, perché quando lavorano bene gli enti si rimettono in carreggiata e vedi con soddisfazione dopo anni che molte comunità, dopo il dissesto, si sono riprese.
  C’è quindi la possibilità che questo accada, però dobbiamo dare un minimo di strumenti alla gente che si vuole impegnare, perché, se non hanno adeguate risorse umane, come spesso accade, non arrivano a chiudere.
  Poi c’è il ruolo della Corte dei conti non solo a Roma, ma anche sul territorio, per cui anche lì non sempre c’è un atteggiamento univoco. Noi abbiamo avuto delle linee guida, che però danno un panorama generale, ma non sono strettamente vincolanti per le Corti dei conti regionali e quindi non c’è un panorama uniforme sulle decisioni prese in periferia.
  Vi ho indicato la tempistica (pagina 27 del documento) quasi in modo provocatorio, nel senso che alla fine cerchiamo di rispettarla ma è una battaglia.
  È stata inserita anche la possibilità che la Corte dei conti faccia istruttoria, quindi la Corte conti ha 30 giorni fatto salvo che faccia istruttoria; anche su questo il tempo si può ridurre. Inoltre sono stati inseriti gravami sulle decisioni della Corte dei conti e quindi si può ricorrere a Roma e alla fine il tempo può passare purtroppo. Si può proporre impugnazione laddove la Sezione regionale non approvi e questo fa allungare i tempi.
  Una volta approvato l'atto, l'unico controllo è una relazione semestrale da parte dei revisori alla Corte dei conti. Questo è quello che ricordo sempre agli amministratori che a volte si dolgono quando vedono qualche spunto critico e si chiedono se il Ministero ce l'abbia con loro: cerchiamo di spiegare loro che è inutile che ci si prenda in giro, l'operazione deve essere fatta in modo molto serio, anche perché una volta l'anno si ritorna alla Corte dei conti e quindi è inutile rinviare un problema e magari, dopo due anni, la Corte dei conti manda il comune in dissesto. È, quindi meglio fare le cose nel modo più serio possibile.
  Ho rilevato che la Corte dei conti, in talune regioni, tende a dare credito ai comuni, quindi, anche laddove il bilancio non si presenti al meglio, tendenzialmente la Corte dei conti cerca di accompagnare gli enti. Preferisce non bocciare e, posto che c’è il monitoraggio annuale, piuttosto che fare andare l'ente in dissesto, salva una situazione che presenta dei rischi ma la quale, forse, con una gestione accurata può evitare il dissesto. Abbiamo avuto quindi qualche caso in cui la Corte ha approvato anche dei piani «zoppicanti», perché li ha messi sotto sospensiva per un anno così da verificare l'evoluzione della situazione nel corso del primo anno.
  Ho già accennato alle questioni applicative: la difficoltà nel rispetto dei tempi, le Sezioni regionali della Corte dei conti che non sempre vanno all'unisono e le continue modifiche normative, che effettivamente Pag. 8creano problemi anche a noi, tanto che recentemente abbiamo proposto anche la riscrittura totale di un articolo, perché, a seguito delle varie modifiche introdotte con le leggi di stabilità, l'interpretazione di quell'articolo, anche per noi che ci lavoriamo, è divenuta veramente complicata. Un piccolo testo unico dei riequilibri andrebbe fatto.
  Passando al tema del dissesto, esso è storia vecchia, posto che si parlò per la prima volta di dissesto nell'articolo 25 del decreto-legge n. 66 del 1992. A ciò è seguita la grande riforma operata con legge costituzionale; ad oggi, oltre 500 enti hanno deliberato il dissesto.
  La tabella (pagine 31 e 32) parte dal 2011 per due motivi. Innanzitutto, perché è essenziale che l'ente sia in dissesto nei primi 5 anni. Come vedremo, con il dissesto c’è una scissione tra gestione dell'ente e gestione del dissesto. L'ente è fuori dal dissesto nei 5 anni, perché per 5 anni ha delle limitazioni, quindi dopo non è più dissestato. Permane invece la commissione che invece deve affrontare i debiti.
  Noi monitoriamo attualmente questi 74 enti e 20-25 enti per gli anni pregressi, che sono ancora oggetto di controllo perché le Commissioni non hanno finito e quindi siamo alle prese con il rendiconto finale o comunque con il tentativo di chiudere questi dissesti, come a Taranto con situazioni un po’ spinose, ma ci sono altri 20-30 aperti come Commissione.
  A parte il pregresso di 450 comuni, dopo il 2001, con la riforma costituzionale che ha vietato i mutui per i debiti se non per investimento e il disimpegno statale a concedere mutui, di fatto non c’è stato più il sostegno e i dissesti sono crollati a picco...
  Nel 2007, 2008 e 2009 erano 2-4 all'anno, poi hanno cominciato a crescere nuovamente; questo andamento è legata agli anni e all'autonomia tributaria assegnata agli enti locali, la quale ha creato seri problemi perché, non riscuotendo, gli enti sono finiti in dissesto. Si è passati quindi a 10, 20, 22, 21 dissesti, e anche qui vale il discorso che i dissesti di quest'anno stanno dietro la porta; dobbiamo soltanto aspettare il termine per l'approvazione dei bilanci e i riequilibri, il 30 luglio.
  Il grafico a pagina 32 evidenzia come il fenomeno sia in crescita. Attualmente sono in dissesto i 74 enti che, in base al Testo unico secondo cui l'ente è in dissesto nei 5 anni successivi, ancora sono oggetto di monitoraggio, non possono effettuare assunzioni senza autorizzazione del Ministero e devono avere le imposte al massimo.
  La ripartizione territoriale (pagine 33 e 34) fa emergere come si tratti, principalmente, di un fenomeno presente nel Meridione. Anche se comincia qualche caso altrove, infatti, tale fenomeno risulta concentrato in Campania, Calabria e Sicilia.
  Per fascia demografica (pagine 35 e 36) si evidenzia sempre la curva gaussiana, ci sono anche comuni molto piccoli; non l'abbiamo fatto ma sarebbe interessante capire la massa dei debiti di ogni comune in rapporto agli abitanti: la forbice oscilla, in genere, da 1.000 a 2.000 euro per abitante.
  Attualmente per fortuna non abbiamo quelli molto grandi, nel passato abbiamo avuto il comune e la provincia di Napoli, la provincia di Chieti e, mi pare di ricordare, anche il comune di Chieti.
  Quando gli enti locali concludono il loro dissesto presentano un rendiconto, quindi apprendiamo con esattezza la loro massa passiva e la loro massa attiva. Con il grafico a pagina 37 vi voglio mostrare che differenza c’è in genere tra massa attiva e massa passiva, perché è come un fallimento: da una parte ci sono i crediti precedenti, i residui attivi da riscuotere, il patrimonio venduto o gli avanzi di amministrazione che l'ente è tenuto a dare alla Commissione, dall'altra i debiti che il commissario ha accertato come debito comunale, che è pagabile, sul quale opera le transazioni.
  La parte rossa, che indica la massa passiva, è sempre superiore alla massa attiva, e questo causa gravi difficoltà perché, se tutti accettano la transazione e Pag. 9quindi il 50 per cento, piano piano ce la puoi fare, ma, se non accettano, sono dolori.
  Ci sono poi casi particolari come i comuni di Gallodoro e Roccamonfina, dove questo valore è nettamente superiore, e il grafico evidenzia che occorre che si maturi l'idea di assegnare risorse agli enti locali per chiudere il dissesto. Nel caso di Gallodoro la regione ha dato 4 milioni di euro e hanno chiuso il dissesto, altrimenti un comune così piccolo non avrebbe mai potuto pagare tutti quei debiti.
  Queste sono tutte le norme nel TUEL e fuori del TUEL (pagine 39 e 40) Mi sembra interessante parlare del dissesto guidato, la figura giuridica nata con il decreto legislativo cosiddetto «Premialità e sanzioni agli enti locali», in esito alla legge sul federalismo fiscale del 2009. In base a tale disciplina, è possibile che si arrivi al dissesto anche con un processo guidato da parte della Corte dei conti: dopo una serie di controlli, infatti, se il comune non si adegua la Corte dei conti può mandare l'ente in dissesto, diffidandolo attraverso il prefetto, come avvenuto in alcuni casi.
  Richiamo i contributi straordinari perché, in modo spot purtroppo, i dissesti si sono chiusi quando sono arrivate risorse. La prima volta è avvenuto nel periodo 2004-2006 con 600.000 euro per tre comuni di piccole dimensioni, i quali avevano seri problemi e hanno chiuso il loro dissesto con questa somma che non è andata, quindi, al comune, bensì al commissario per la massa attiva.
  In quegli stessi anni abbiamo avuto anche 4 milioni di euro della Regione Sicilia, mentre la Regione Campania ha stanziato 10 milioni, anche se poi la legge non trovò alcuna applicazione. Una grande manovra da 150 milioni di euro nel 2007, nata per Taranto ed estesa correttamente a tutti i comuni che in quel periodo andarono in dissesto, ha permesso a tutti gli altri comuni di chiudere il dissesto (erano circa 12-14 milioni che furono tagliati dai 150). Per quanto riguarda il comune di Taranto, invece, al momento di chiudere il dissesto ha un'ultima partita di 250 milioni in sospeso e non trova l'accordo con la banca, anche perché erano intervenute alcune sentenze penali pesanti mentre era in corso la trattativa, che secondo il comune potrebbe portare ad abbattere tantissimo questo debito e quindi è ancora congelato, ma la commissione ha pagato tutti i debiti commerciali, quindi ha funzionato.
  Nel 2007 sono stati distribuiti 5 milioni di euro, nel 2010 2 milioni per i comuni della provincia de L'Aquila e poi due operazioni veramente molto utili, che rappresentano un'esperienza importante per il futuro: la prima era l'anticipazione di liquidità. È stata stabilita con il decreto-legge n. 35 del 2013, recante Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, nell'ambito del quale il Tesoro diede alla Cassa depositi e prestiti l'indicazione che non ne fossero destinatari gli enti del dissesto.
  A seguito di un lunghissimo lavoro di quasi un anno e mezzo in Parlamento – perché tutto nacque con un decreto cosiddetto «Salva Roma» che non fu poi convertito ma richiese quasi un anno e mezzo di tempo – 300 milioni di euro (i quali, tra l'altro, non sono stati neanche tutti utilizzati) sono stati destinati agli enti dissestati.
  Queste somme rappresentano un prestito: si tratta quindi di un atteggiamento virtuoso da parte dello Stato nei confronti degli enti locali, in quanto presta tali somme e non le regala. Comuni molto grandi come Alessandria, Caserta, Terracina hanno ricevuto diverse decine di milioni di euro, che hanno apportato la liquidità necessaria agli enti per gli accordi transattivi. Tra un paio d'anni, quindi, tali enti chiuderanno il dissesto. Ovviamente vi hanno avuto accesso anche gli altri comuni, ma questo è stato l'esempio più lampante, perché comuni molto grandi ce l'hanno fatta.
  Questo meccanismo andrebbe riportato a tutte le altre tranches di pagamenti, perché adesso abbiamo altri enti in dissesto Pag. 10e, se non faremo in questo modo, avremo nuovamente il problema già verificatosi in passato.
  In più, c’è una norma a me molto cara, la cui rilevanza segnalai al Parlamento in base alla quale, per gli enti dissestati, a partire dal 1999 lo Stato assicura che il personale che va in mobilità ci vada con il suo stipendio e la copertura per questa operazione, pari a circa 30 milioni, è stata data a valere sui fondi da trasferire agli enti locali. Per legge, quindi, prima di trasferire quello che un tempo era il contributo ordinario ai comuni, sono stati tolti 30 milioni.
  Ora, a seguito dell'evoluzione della situazione delle società partecipate il contributo per la mobilità è un contributo meramente eventuale, perché di fatto non si mette in mobilità quasi nessuno. In più, coloro che sono stati messi in mobilità dal 1989 cominciano ad andare in pensione e noi quindi non diamo più questo contributo.
  Nel 2010-2011 sono andati in economia circa 30 milioni di euro, i quali erano fondi degli enti locali, perché erano stati tolti agli enti locali per questa operazione e, poiché non servirono, il Parlamento decise di destinarli alle masse attive; sono quindi confluiti nella massa attiva degli enti locali per 3 anni (adesso stiamo per assegnare l'ultimo anno).
  Tutto ciò è utilissimo perché nella norma abbiamo posto un tetto di 5.000 abitanti. Ne consegue che non viene preso più di 1 milione o 1,2, il che è poco per un comune come Terracina, Caserta o Alessandria, ma è invece utilissimo per i comuni piccoli. Questo strumento ha quindi permesso di risolvere la situazione in tanti comuni; peraltro, per tre anni, molti comuni hanno ricevuto, nel complesso, 2.100.000 o 900.000 euro e grazie a questi fondi hanno chiuso i loro dissesti.
  L'ultima assegnazione in base a tale norma viene compiuta nel 2015, con le economie registrate dal rendiconto dello Stato nell'anno 2014. Sarebbe il caso, alla prima occasione utile, di reiterare questa norma per gli anni successivi, addirittura, laddove fosse possibile, immaginando dei percorsi di salvaguardia delle somme degli enti locali.
  Il sistema sanzionatorio del Patto di stabilità prevede che gli enti che non rispettano il patto paghino una sanzione: si tratta di una norma con intento un effetto di dissuasione, ma non credo che lo Stato voglia fare cassa sugli enti locali: la multa viene fissata per invogliare ad adempiere; c’è quindi la proposta di dilazionarne il pagamento a dieci anni o addirittura abolirla ma, laddove le sanzioni vengano irrogate, le somme pagate dovrebbero comunque ritornare ad altro titolo agli enti locali.
  Lo Stato le trattiene, ma potrebbe essere utile, nel caso di provvedimenti: una tantum – penso agli enti dissestati, agli enti sciolti per mafia, ai comuni che hanno subìto alluvioni o altri drammi – Laddove ci siano fondi degli enti locali che, per qualche motivo legittimo, non vengono erogati ma ormai hanno trovato la loro copertura, essi potrebbero essere destinati a un fondo unico affinché ritornino agli enti locali.
  Mi auguro che anche quest'anno, magari nella conversione di questo decreto-legge, si possa reiterare per altri tre anni questa norma, a beneficio di tutti gli enti locali che dal 2013 ad oggi sono dissestati e non hanno percepito questo fondo, così che possano ricevere i fondi che, anno per anno, avanzano.
  Perché si arriva al dissesto ? Innanzitutto per le sentenze, perché qualche comune ha l'avvocatura, ma hanno difficoltà a lavorare bene e alla fine si fanno impugnare gli atti e quasi sempre i comuni perdono, perché non sanno lavorare bene (espropri, cause a vario titolo), quindi il primo problema sono le sentenze.
  Il secondo è il disordine contabile, perché emerge dalla documentazione: non sanno tenere la contabilità, non sanno assumere gli impegni, non sanno dare regole precise agli uffici dove spendono. Gli uffici piccoli sono disorganizzati in quanto piccoli e perché mancano le persone, Pag. 11gli uffici grandi non tengono sotto controllo la situazione, perché è talmente sparpagliata che diventa un caos.
  Considero critico questo aspetto, perché noi siamo una grande organizzazione a livello centrale dello Stato e debiti fuori bilancio non ne facciamo, siamo tenuti sotto controllo. Anche da me facciamo debiti fuori bilancio per l'affitto delle caserme che non paghiamo, ma non viene preso un impegno sbagliato: viene tagliato un capitolo benché ci siano 6.000 contratti di affitto, quindi è chiaro che, se la copertura è per 4.000, gli altri 2.000 non li paghi, ma l'ufficio ha lavorato bene, ha fatto un contratto con la copertura.
  Nella mia vita professionale ho fatto un solo debito fuori bilancio di 100 milioni verso gli enti locali per spese elettorali, ma in un modo che sembra una barzelletta, perché la sera l'ufficio ha passato i mandati fino alla lettera P, la notte il Consiglio dei ministri ha votato il decreto-legge Tremonti per il blocco della spesa e il taglio ai Ministeri e per tutti i comuni dalla P in avanti non si è potuto più fare il mandato. Il giorno prima quindi era tutto regolare, la notte il mandato è diventato illegittimo e noi ci siamo trascinati 100 milioni di debiti fuori bilancio per 5 anni, finché non ce li hanno dati 3 anni fa !
  Quello è il mio debito fuori bilancio, ma noi abbiamo uno strumento che blocca qualunque cosa, se non rispetti le regole.
  Un altro motivo è rappresentato dalle entrate proprie scarse, perché tutti gli enti in dissesto incassano poco, sono sempre in anticipazione, seguono degli schemi perché spesso sono relatore nelle commissioni e leggo sempre le stesse cose. Hanno spese elevate, per cui anche se arriva la persona di buona volontà impiega tempo a ridurre le spese, perché le spese sono rigide. Se hai contratti a lungo termine, se i servizi si erogano con certe modalità perché ormai hai comprato gli scuolabus, per ridurre le spese di trasporto impieghi tempo.
  Bilanci fatti con la sovrastima delle entrate e la sottostima delle spese, pur di arrivare a un equilibrio che ovviamente è «drogato», e la scarsa attendibilità dei residui, sulla quale speriamo che sia stato messo un punto fermo dall'armonizzazione contabile che ormai impone ai comuni di fare un vero lavoro sui residui.
  Dopo una prima esperienza in cui veniva affidata al comune la gestione di tutto il risanamento, rispetto alla quale ci si rese conto che qualche sindaco vi si nascondeva e, anzi, gradiva avere il dissesto per 10-15 anni, in modo che i pignoramenti non avvenivano, è stata introdotta una novità che ritengo abbia funzionato: la divaricazione delle funzioni.
  Da una parte il comune o la provincia deve riportate in equilibrio stabile la gestione dell'ente, dall'altra l'organo straordinario, che è una specie di curatore fallimentare, deve ripianare i debiti. Quando, dopo aver presentato il rendiconto, l'Organo straordinario di liquidazione (OSL) va via, è il momento in cui, al di là dei 5 anni, i creditori possono attaccare nuovamente.
  Tutti i creditori insoddisfatti, che sono stati esclusi o ammessi ma hanno rifiutato la proposta transattiva, da quel giorno possono nuovamente riproporre gli atti ingiuntivi. Si tratta quindi di un momento delicato, che decorre oltre i 5 anni, perché non ci sono commissioni che abbiano chiuso la procedura in 5 anni.
  I pro e i contro vengono valutati con gli amministratori, ma in realtà non è una scelta: se c’è il dissesto, lo devi deliberare. I «contro» sono che non puoi fare nuovi mutui, impegnare somme superiori a quelle previste nell'ultimo bilancio, ci sono dei controlli sulla copertura di servizi e devi dare al dissesto tutti i residui attivi, le quote di mutui non utilizzate, quindi il passato non è più tuo.
  I «pro» consistono nel fatto che si riparte con un bilancio che è mondo, perché non ha residui attivi e passivi: parte da zero ed è equilibrato e con il primo bilancio occorre far sì che con le entrate vengano coperte le spese. Si è «riparati» da tutti i creditori, c’è quindi un periodo di calma.
  C'era una norma che ormai ha cessato di esistere, non avendo più motivo d'essere, Pag. 12la quale prevedeva che, laddove un comune fosse sotto la media (nel senso che i trasferimenti erariali erano più bassi) aveva diritto a un contributo che lo riportava alla media (qualcuno ha vinto al totocalcio facendo il dissesto e la sensazione è che l'abbia fatto addirittura apposta) per il personale che eventualmente viene messo in mobilità. In effetti abbiamo avuto un paio di casi in cui il comune era squilibrato semplicemente perché aveva troppi dipendenti, per cui, riducendo la spesa dei dipendenti, è tornato in equilibrio. Laddove ci sono leggi regionali ci sono anche dei contributi regionali.
  Ho terminato la mia relazione e rimango a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie per l'esposizione. Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio il dottor Verde non solo per la relazione, ma anche per il lavoro che svolge, essendone stato testimone e avendo seguito da parlamentare la vicenda di uno dei dissesti più grandi degli ultimi anni, quello del comune di Alessandria.
  La vicenda di Alessandria mi porta però a fare qualche riflessione perché, oltre ad aspetti di carattere normativo, c’è un rapporto anche con l'opinione pubblica locale e con la valutazione degli effetti del dissesto sulla città, i quali hanno una dimensione non solo comunale, ma anche provinciale.
  Rimane una questione, che è ancora oggetto di discussione, di scontro politico e credo anche di «inquinamento», per così dire, dell'intera procedura, riguardo a quale sia il soggetto che deve decretare il dissesto.
  In questo momento, nel rispetto di un principio corretto, la normativa assegna al comune la delibera di dissesto; c’è quindi, ovviamente, il gioco delle parti. L'opposizione, che nel caso di Alessandria era quella che aveva prodotto il dissesto, essendo cambiata l'amministrazione con le elezioni, ha sempre sostenuto di fronte all'opinione pubblica che il dissesto potesse non essere dichiarato e che esso fosse stato quindi il risultato di una volontà politica e non la fotografia della situazione esistente.
  Ciò ha un suo rilievo, se trasmesso all'opinione pubblica e ai contribuenti elettori i quali subiscono gli effetti negativi del dissesto, perché il dissesto significa tariffe al massimo e, ad esempio, buche per le strade, in quanto Alessandria, per ottenere il riequilibrio, è arrivata ad avere «zero» sul capitolo di bilancio Manutenzione strade e ad avere 90 capitoli di bilancio a zero.
  È una questione che va definita. La cosa migliore a mio giudizio sarebbe quella di individuare un soggetto terzo che dichiari il dissesto (la Corte dei conti, il Ministero dell'interno), perché come un comune non si autoscioglie per mafia, ma viene sciolto, allo stesso modo dovrebbe avvenire nella procedura di dissesto (l'esempio è forse sbagliato, ma c’è una certa logica). Un soggetto terzo dichiara il dissesto.
  Per i prossimi vent'anni ad Alessandria questa diatriba rimarrà e «inquinerà» il rapporto con l'opinione pubblica e anche il dibattito tra maggioranza e opposizione, perché sarà un continuo rimpallo non di responsabilità ma – cosa ancor più grave – di accuse di aver voluto il dissesto, mentre la mia tesi, supportata dalla Corte dei conti, è che in quel caso non poteva non essere dichiarato.
  Mi rivolgo al dottor Verde per avere un supporto: credo che tale questione si potrebbe già affrontare nell'ambito del decreto enti locali. Quell'esperienza mi dice che sarebbe opportuno individuare un soggetto terzo, esattamente come lo scioglimento dei Consigli non avviene ad opera del Consiglio stesso.
  Seconda cosa, il problema di carattere economico: il dottor Verde ha giustamente riconosciuto il ruolo molto positivo dell'OSL, che io condivido. Va, però, evidenziato un aspetto: il dissesto non tocca direttamente le società partecipate, perché ad Alessandria una parte significativa del Pag. 13dissesto era dovuta all'impossibilità di assumere personale, quindi all'aver fatto assumere dalla partecipata con un contratto di servizio che pareggiasse il maggior costo. Cosa fa il comune quando cerca di uscire dal dissesto ? Taglia i contratti di servizio ovviamente, quindi fa saltare il sistema delle partecipate.
  Vi è poi la questione del personale, che lei ha tenuto sullo sfondo e che invece, come dimostra l'esempio di Alessandria, è una delle questioni vere, perché per arrivare al riequilibrio ed evitare che il personale sia licenziato dalle partecipate, bisogna avere degli ammortizzatori sociali che consentano, per un certo periodo, la mobilità o l'accesso per le partecipate a forme di ammortizzatori sociali che consentano di gestirlo. Altrimenti sei accusato non solo di aver dichiarato un dissesto che avrebbe potuto essere evitato, ma anche di licenziare, che nel settore pubblico non viene assolutamente accettato.
  Questo però è quanto è avvenuto o per evitarlo hai dovuto fare l'acrobata, assumendoti tutta una serie di rischi e responsabilità. Probabilmente, quindi, non è questo il veicolo e non ci sono i tempi, ma bisognerebbe riaffrontare complessivamente e, in base alle diverse esperienze, (ho citato Alessandria, ma ce ne possono essere altre) individuare i punti oscuri nella gestione, che sono una cosa diversa dal quadro normativo che lei ha descritto e che mi pare tenga. Oggi abbiamo meno comuni in dissesto perché, dal 2012 c’è tutta la normativa sul riequilibrio, che è una diga che ha impedito che il fiume andasse per il suo corso, ma ha probabilmente bisogno di manutenzione, tenuto conto di questi aspetti, non ultimo come si gestisce l'intero comparto del comune insieme alle partecipate.
  Ormai la normativa tende a riconoscerle come un unico soggetto, con il bilancio consolidato. C’è una responsabilità del comune del fallimento delle società partecipate che alcune corti stanno portando avanti (la magistratura su questo ha opinioni differenti). Ad Alessandria infatti le società partecipate sono fallite per forza, perché non si poteva fare diversamente.

  MARIA CECILIA GUERRA. Anch'io ringrazio per questa esposizione come al solito molto completa e chiedo anche se sarà possibile avere le slide.
  Vorrei porre due domande, sperando di poter poi ascoltare le risposte, perché i tempi purtroppo sono sempre molto stretti.
  Non ricordo quali sono le conseguenze in termini di penalizzazione per soggetti che politicamente vengano ritenuti responsabili del dissesto; tale tema era stato affrontato a seguito dell'attuazione del federalismo, perché c’è questo problema di attribuzione della responsabilità nel tempo che credo si riproponga anche per le province con le ultime normative.
  Lei ha insistito più volte sulla questione dell'insufficiente riscossione, ma il problema delle scarse risorse potrebbe dipendere invece da una difficoltà a riscuotere quello che, sulla base delle aliquote, dovrebbero ottenere.
  Anche questa è una responsabilità, da un lato amministrativa, e dall'altro politica, e credo che si riscontri in particolare nei piccoli comuni, dove ovviamente essere aspri e decisi nella riscossione comporta una perdita di consenso tangibile, «uno a uno» nel rapporto con i cittadini. Mi chiedevo quindi se, per ovviare a questo problema, non vada riproposto il tema dell'affidamento della riscossione a soggetti terzi, e quindi cosa pensi del fatto che stiamo ritardando ulteriormente la riforma della riscossione da parte dei comuni.

  ROGER DE MENECH. Premetto velocemente che mi piacerebbe che lo Stato si appassionasse (lo dico come metodo di lavoro nei confronti degli amministratori locali) anche agli enti virtuosi. Noto sempre e ribadisco spesso in Commissione che siamo molto concentrati quando ci sono i problemi, ma, se adottassimo una politica premiale, probabilmente qualcosa cambierebbe.Pag. 14
  Questo potrebbe valere, in questo momento storico, con le nuove formulazioni del bilancio, per quei comuni che invece hanno tenuto perfettamente in regola i conti e si trovano con plusvalenze attive che non possono spendere.
  Al netto di questa considerazione, il problema principale di un ente che va verso il dissesto, quindi non in equilibrio finanziario, è ovviamente legato alla spesa corrente, al cui interno la spesa per il personale, per le consulenze e i servizi è preminente.
  Sarebbe quindi opportuno strutturare un sistema più certo che dal punto di vista delle aziende esiste, perché quando un'azienda è in fallimento, o sta andando verso il disequilibrio finanziario, ristruttura, quindi, operando sul fronte delle entrate, cerca commesse; da questo punto di vista, se è un problema di riscossione, sono d'accordo con la senatrice Guerra che bisognerà intervenire, perché se gli stessi soggetti che non hanno saputo riscuotere sono anche i protagonisti della nuova riscossione, mi chiedo se riusciranno a farlo.
  Anche sul fronte delle uscite, quando parliamo di personale dovremmo avere norme certe, al netto delle distorsioni delle società partecipate, le quali spesso sono state usate come fonte di assunzioni fuori dalla norma.
  Se si tratta, infatti, di dipendenti pubblici assunti regolarmente con un contratto, noi dovremmo strutturare un percorso maggiormente preciso, che stabilisca: 1) il fabbisogno di personale dell'ente; 2) per gli esuberi, un percorso preciso che porti alla ricollocazione – quindi alla mobilità all'interno del settore pubblico nazionale – o ad una forma di ammortizzazione sociale.
  Gli elementi di un bilancio in dissesto sui quali incidere non sono molti di più, perché sono perfettamente d'accordo che, se parliamo di spese di investimento, tutto quello che non è spesa corrente ha un altro percorso e un'altra storia e non dobbiamo confonderli.
  Credo che questo sia il tema e che oggi nella pubblica amministrazione, come stiamo vedendo con la riforma delle aree vaste e delle province, il tema della ricollocazione, riqualificazione e spostamento del personale pubblico e quindi delle mobilità nel settore pubblico, dal Ministero all'ultimo dei comuni, sia uno dei temi centrali per ridare efficienza e congruità economica al sistema del pubblico impiego.
  Quando un comune è in dissesto, i temi sui quali incidere sono questi, quindi credo che, oltre a tutte le fasi molto bene organizzate rispetto alla gestione del bilancio in emergenza, si debba coltivare di più questa fase, anche pensando a una strategia nazionale rispetto a questi aspetti, perché i casi delle società partecipate in cui è esploso il numero del personale ci sono. Abbiamo due strade: ricollocarlo, perché ne abbiamo bisogno altrove, o creare un percorso di ammortizzazione e di ricollocazione, anche al di fuori dal pubblico impiego.
  Non abbiamo altre opportunità, a meno di interventi straordinari i quali, però, non risolvono il problema, perché possono essere finanziati per uno, due o tre anni, ma alla fine, dati i numeri, prima o poi qualcuno ne chiederà conto e il nodo verrà al pettine.

  PRESIDENTE. Un'ultima questione riguarda il tema dell'armonizzazione dei bilanci e, in particolare, del dissesto annunciato di tante province: come vi state attrezzando al Ministero dell'interno rispetto a quella che probabilmente sarà una valanga di situazioni di dissesto ?

  GIANCARLO VERDE, Direttore della Direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno. Per quanto riguarda il personale, effettivamente l'ordinamento del dissesto è nato quando il fenomeno delle partecipazioni non c'era e quindi corrisponde alla situazione fotografata all'epoca: c'era il personale del comune, ci si poneva il problema di doverlo mandare via e del fondo per pagarli, ovviamente.
  Oggi non c’è più niente e il sistema va ripensato. È una riflessione emersa negli ambienti del Ministero dell'interno ma che Pag. 15ora coinvolge anche il Ministero delle infrastrutture, il Ministero del lavoro ed è quindi più complessa; sarebbe però un grave vulnus se la mancanza di questi strumenti ostacolasse il risanamento degli enti locali.
  Sulla possibilità che sia un soggetto terzo a dichiarare il dissesto, ascoltando l'intervento del senatore pensavo che si potrebbe ricorrere a una commissione di accesso non finalizzata allo scioglimento dell'ente, ma finalizzata alla valutazione finanziaria – composta quindi dal Ministero dell'economia e dalla Corte dei conti – la quale, come la relazione che va al prefetto che la porta al Governo, potrebbe andare alla Corte dei conti per fare la eventuale delibera di dissesto.
  Potrebbe essere una costruzione che regge, perché è l'unico modo per intercettare le carte di un ente locale, in quanto oggi non abbiamo più il controllo sugli atti. A volte vengono in ufficio a chiedere se, a mio avviso, sono talmente nei guai da andare in dissesto e noi cerchiamo di capirlo avendo a disposizione due delibere, mentre altra cosa è invece se vai, fai una relazione, stai lì per due mesi e ricavi un'idea. Quindi credo che sia effettivamente un'idea su cui riflettere e, se il Parlamento darà un gancio, cercare di andare avanti.
  Sull'altra questione posta, non c’è penalizzazione politica per chi delibera il dissesto, c’è un solo caso in cui c’è incandidabilità o ineleggibilità: quando la Corte dei Conti rimanda le carte all'ente e gli impone di deliberare il dissesto. Se l'ente non lo fa, la Corte invia le carte al prefetto e manda un commissario per deliberare. In quel caso il soggetto responsabile è renitente, perché è stato avvisato ma continua a non deliberare il dissesto e, quindi, è incandidabile; è questo l'unico caso di responsabilità politica oggettiva. C’è poi l'agone politico, la lotta che indica chi è responsabile e chi meno, ma non potersi candidare capita solo a chi resiste alla Corte dei conti che ha dichiarato che il comune è in dissesto.
  Per quanto riguarda l'aspetto dei tributi, sono stato poco chiaro, perché ci sono entrambi i casi. Ci sono comuni che passano al commissario ruoli mai mandati in riscossione, per cui il commissario va e deve fare i ruoli, perché neanche ci sono i ruoli esattoriali. A Casal di Principe non c'erano i contatori dell'acqua, Casal di Principe è stato sciolto due volte e i commissari della prima volta nel loro mandato non sono riusciti a metterli, quando sono stati messi dai secondi commissari sono state impegnate le bollette.
  Questa è la prima questione; la seconda riguarda il fatto che c’è comunque un tasso minore di esazione di quei ruoli. Da una parte ci sono cittadini che hanno difficoltà a pagare, dall'altra ci sono situazioni oggettive, come l'IMU sui terreni agricoli: con qualunque sindaco voi parliate vi dirà che per un dato terreno gli eredi sono venti persone che lui non riesce a trovare e che stanno in America (sono dati di fatto).
  Ho proposto la legge sui terreni dormienti, su tutti i beni dormienti, per cui dopo dieci anni, se non si sa chi è il proprietario e non c’è un atto interruttivo che dimostri la proprietà al comune, quel bene diventa comunale. Vi propongo quindi di valutare nei modi opportuni questa proposta sui beni dormienti, perché questo per i comuni costituisce un danno; quelle entrate vengono quantificate e magari viene messo anche il residuo attivo che non si riscuote, quindi meglio che sia un altro il soggetto debitore.
  Quella dei tesorieri è una materia che lambisce il mio ufficio, quindi vi posso solo riportare quello che mi dicono gli amministratori locali o i ragionieri comunali: molti denunciano il fatto che all'esattore (chiunque sia, non è detto che sia Equitalia) piace vincere facilmente, quindi riscuote i ruoli più semplici e lascia da parte i più ostili. Questo è un problema serio.
  Mi sembra che, ad esempio, gli accordi fatti dal fisco con i grandi evasori, i quali durano anche 30-40 anni, abbiano funzionato, quindi, a volte, quando trovi il debitore che ha pochi beni, se gli proponi una rateazione a lungo termine, funziona.Pag. 16
  Nel sistema degli enti locali bisogni vedere i regolamenti, c’è sempre il controllo della Corte dei conti sul danno erariale, quindi forse andrebbe costituito qualcosa che preveda queste rateizzazioni molto lunghe, che nel tempo ti consentono di incassare; anche questa potrebbe essere un'idea.
  L'altro aspetto è la capacità fiscale del singolo ente, perché è oggettivo che nei comuni costieri della Calabria si vendono le case piccole a 40.000 euro, e le stesse hanno un valore catastale di 10-15.000 euro, quindi di IMU il Comune fissa l'1 per cento, ma non incassa nulla ! Nel Comune di Roma, invece, con le rendite catastali che ci sono, basta poco per ottenere 100 milioni di euro in più di IMU, quindi la capacità fiscale è veramente molto diversificata tra i diversi enti.
  Il nostro problema è che, per quanto l'informatica ci aiuti, ragioniamo sempre sul macrosistema, che funziona sempre. I conti che fa il MEF tornano sempre, ma il problema emerge quando si vanno a dividere tra tutti gli enti le rendite catastali e le entrate. Lì comincia il dramma di posizionare la rendita vera, perché poi cominciano le questioni dei pollai, delle tensostrutture, degli irreperibili e quindi si alterano le basi imponibili.
  Tener dietro ai versamenti non è facile, perché nella contabilizzazione tutti i versamenti in ritardo o fatti con i codici sbagliati alterano molto il riparto tra gli enti. Il problema quindi non è tanto la norma, che raggiunge poi in qualche modo le coperture, ma quando andiamo a distribuire tra i singoli enti.
  Le premialità sono un problema storico perché parliamo di concetti relativi, in quanto può essere anche facile essere virtuosi quando il comune è molto ricco, anche se abbiamo comuni molto ricchi che sono falliti. Effettivamente non dobbiamo pensare solo a chi è andato in disgrazia, ma dobbiamo anche dare segnali, magari di altre specie come liberatorie sul Patto di stabilità e cose del genere, che vanno sicuramente pensate.
  Vi posso dire per esperienza che abbiamo enti che sono andati in dissesto, in particolare la provincia di Biella, perché hanno fatto troppi mutui, quindi per colpa degli investimenti, ed enti che sono andati in dissesto per il troppo personale (la provincia di Vibo Valentia è un caso specifico).
  Se vi posso riferire la mia esperienza da impiegato statale da 35 anni, in base a quello che vivo nella mia organizzazione di ufficio, il problema della mobilità del personale risente dei legacci che abbiamo nella pubblica amministrazione perché, anche se un dipendente della provincia volesse andare a lavorare in un qualunque Pio istituto, ci sarebbero molti problemi: si violerebbe il Patto di stabilità sul costo del personale; indubbiamente, in questi casi, andrebbero fatte delle liberalizzazioni.
  Ricordo che 7-8 anni fa, quando furono sciolte le comunità montane, si presentò il problema dei 5.000 dipendenti, che le regioni avrebbero preso se non fossero stati quotati sul costo del personale, invece c'erano varie disposizioni legislative e la normativa europea.
  Chiudo con la domanda del presidente. Ho portato una e-mail che mi ha inviato ieri una dirigente della provincia di Vibo Valentia, nella quale i dipendenti non prendono gli stipendi da quattro mesi. Come già nei primi mesi dell'anno, facciamo il possibile per sbloccare la situazione, ma si risolve un mese e, dopo due mesi, si ritrovano nelle stesse condizioni.
  A parte le persone che manifestano sul tetto della provincia e minacciano di suicidarsi, è avvilente per un impiegato pubblico non prendere lo stipendio. Se voi sapeste quello che filtra tra i dipendenti delle province... bisogna anche avere delle certezze; c’è, inoltre, la poca comprensione del fenomeno, perché di solito vai in esubero quando un dato servizio non si svolge più oppure si fa una pianta organica per cui, essendo troppi, si va in esubero, ma non è accaduta nessuna delle due cose: non sono stati soppressi i servizi e nessuno ha detto che i dipendenti assegnati a quelle funzioni sono troppi.
  Ve lo dico da impiegato statale, perché sono contento di aver fatto l'impiegato statale nella mia vita: quella situazione è Pag. 17qualcosa di tremendo, perché sei addetto alle cose pubbliche e vi assicuro che negli enti locali vi sono persone che svolgono il loro ruolo con molta attenzione e dignità, sapendo che anche le buche su una strada provinciale possono causare un incidente di macchina.
  Ricevo molti dirigenti comunali che firmano sotto la loro responsabilità per pagare lo stipendio a una data persona o si fanno fare un'ordinanza con tangibile e urgente del sindaco per tutelarsi, fanno un debito con il bilancio ma tappano la buca per evitare eventuali incidenti.
  Il problema è serio e va affrontato con altri strumenti, altrimenti non risolviamo situazioni come questa della provincia. Queste sono le tipiche situazioni cartina di tornasole che la Corte dei conti denuncia: l'anticipazione stabile di tesoreria che non rimpingui mai fa capire che cominci ad andare in debito, le riscossioni per qualche motivo diminuiscono e cominci a non pagare più neanche gli stipendi.
  Magari, come nel caso della provincia che abbiamo nominato, indubbiamente il personale è troppo, quindi qualche meccanismo andava trovato, ma non pagare 5 mesi di stipendi è una cosa è tremenda !
  Per quanto riguarda il taglio, nel caso specifico le province in dissesto non lo subiscono, quindi Biella e Vibo Valentia che non riescono a mettere i bilanci in equilibrio non hanno neanche subito il taglio del miliardo, che invece subiscono le altre province che come spesa corrente 2013 viaggiano intorno ai 6-6,5 miliardi, di cui 2 per il personale.
  Assorbire un miliardo nel presupposto che quello che hanno perso con le funzioni del personale lo perdano anche di risorse, ma, se tu mi togli una persona con il suo stipendio, il mio bilancio non si è alleggerito...
  Agli enti dissestati lasciamo le risorse e il dipendente va via, ma quando Ferrovie dello Stato ha chiuso come società pubblica ed è diventata un S.p.A. e i ferrovieri sono stati immessi nei comuni, hanno portato con sé anche le risorse per il loro stipendio, quindi lo Stato ha messo del suo.
  Indubbiamente questi aspetti vanno valutati: conosco bene i problemi finanziari che abbiamo in questo momento però non possiamo permetterci (ci vorrà un fondo straordinario) di avere i dipendenti che protestano per cinque mesi di ritardo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Verde per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).

  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.

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