XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 100 di Mercoledì 1 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 9 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 10 
Mirabelli Franco  ... 11 
Esposito Stefano  ... 11 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 12 
Lumia Giuseppe  ... 12 
Molinari Francesco  ... 12 
Manfredi Massimiliano (PD)  ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 14 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 16 
Bulgarelli Elisa  ... 18 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.20.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone. L'audizione odierna ha ad oggetto un aggiornamento sugli sviluppi delle indagini relative alla vicenda nota come «Mafia Capitale». La seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera. Ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta. Do la parola al procuratore Pignatone, che ringrazio per la sua presenza.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Ringrazio io la Commissione e la presidente dell'attenzione con cui viene seguito il lavoro della procura in generale e su questo aspetto in particolare. Farei una breve introduzione, poi cercherò di rispondere, ovviamente nei limiti delle mie possibilità, alle domande, salvo riservarmi in caso di domande di maggiore dettaglio. Tra l'altro, mi scuso da parte dei miei colleghi che sono tutti dispersi in impegni vari. Sono rimasto soltanto io. Pur consapevole del rischio di ripetere alcune delle cose dette a dicembre – la precedente audizione si è svolta sei mesi fa, dopo la prima fase dell'operazione che noi abbiamo chiamato «mondo di mezzo», ma che sui mezzi di informazione ha ben presto cambiato nome ed è diventata «mafia capitale» – credo di dover ricominciare dalla stessa questione essenziale, cioè se l'organizzazione che fa capo a Carminati e Buzzi sia qualificabile come associazione per delinquere di tipo mafioso ai sensi dell'articolo 416-bis. La Commissione, come ho detto prima, sta seguendo in diretta lo svolgimento delle indagini e del procedimento e proprio perché le indagini sono proseguite e proseguono, la Commissione sa che vi sono stati degli elementi ulteriori di grande interesse, sia in punto di diritto che in punto di fatto. Il primo di questi elementi è la decisione della Corte di cassazione che, con due distinte sentenze del 10 aprile di quest'anno, ha sostanzialmente confermato i provvedimenti del tribunale del riesame di Roma che avevano a loro volta confermato in larghissima misura l'ordinanza del giudice delle indagini preliminari eseguita il 2 dicembre 2014, confermando in particolare la contestazione dei reati di cui all'articolo 416-bis del codice penale. Ripeto ancora una volta che naturalmente non siamo in presenza di un'associazione mafiosa delle dimensioni e delle caratteristiche di quelle che chiamiamo «tradizionali»: cosa nostra siciliana, ’ndrangheta calabrese, camorra napoletana. Non abbiamo centinaia o addirittura migliaia di Pag. 4affiliati; non abbiamo il controllo quasi militare di larghe zone del territorio; non abbiamo giuramenti o riti di affiliazione, né una durata che si protrae da oltre 150 anni, né un uso frequente e ostentato della violenza, anche in forme che direi esasperate. Il punto è però – come abbiamo già detto a dicembre e come ora ripetiamo confortati dalla decisione della suprema Corte – che tutte queste caratteristiche che rendono le mafie tradizionali estremamente pericolose e che corrispondono a quella che è la comune percezione direi sociologica – la Cassazione ha adoperato il termine «oleografica» – del concetto di mafia, non sono affatto richieste dalla norma dell'articolo 416-bis del codice penale perché si possa dire sussistente un'associazione di tipo mafioso. La norma richiede, infatti, solo un numero minimo di tre persone; non esige la disponibilità di armi, se questa disponibilità c’è, scatta una specifica aggravante; non esige il controllo del territorio, né quello che prima ho definito l'uso frequente, ostentato ed esasperato della violenza. Quello che la norma richiede per la sussistenza del reato – e infatti la norma si applica, come dice l'ultimo comma, «anche alle altre associazioni, comunque localmente denominate» – è il metodo mafioso, cioè, cito dal codice, il fatto di «avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali». Ebbene, la Cassazione, con le sentenze sopracitate, ha confermato che l'associazione per delinquere che fa capo a Carminati e Buzzi ha proprio queste caratteristiche, usa il metodo mafioso e quindi integra il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, e deve quindi essere qualificata come associazione per delinquere di tipo mafioso, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano processuale – durata delle indagini, scadenza dei termini, durata della custodia cautelare e così via – e sul piano sostanziale, cioè l'entità delle pene che il codice prevede. Naturalmente ripeto quello che ho già detto qui in Commissione a dicembre e che sia io che gli altri colleghi e gli altri giudici che sono interessati abbiamo scritto e detto in più occasioni: Roma non è Palermo, non è Reggio Calabria, non è neanche Napoli; è troppo grande e complessa per essere controllata dalle organizzazioni mafiose, né – altra differenza che a me pare essenziale – c’è una sola organizzazione che sia in grado di controllare il mercato criminale, se così si può dire, escludendo tutte le altre, come invece avviene a Palermo e a Reggio Calabria. Quello che avviene a Roma, invece, secondo quanto ci dicono le indagini, compresa questa indagine che noi continuiamo a chiamare «mondo di mezzo» – gli incontri con Michele Senese, i contatti e le alleanze con il clan ’ndranghetista dei Mancuso e così via – è che vi sono più organizzazioni criminali, nel territorio di Roma Capitale, alcune certamente di stampo mafioso – per esempio il clan Fasciani a Ostia, stando a una sentenza di quest'anno, mafia capitale, se vogliamo usare questo nome – e altre forse no, ma comunque continuiamo le indagini, che coesistono e agiscono sul territorio romano, nel quadro di equilibri mutevoli ma che comunque evitano scontri violenti sulla base di un preciso calcolo di convenienza, cioè che questo è il modo migliore per fare affari e arricchirsi. Precisato questo punto essenziale, torno al filo del mio discorso e alle sentenze della Cassazione. Naturalmente rassicuro che non è mia intenzione leggere le settanta pagine della sentenza della Cassazione, però mi dovete consentire di citare alcuni passaggi che ci portano a esaminare anche l'altro tema fondamentale, che credo di interesse della Commissione, oltre che del procedimento penale, cioè quello della corruzione. Peraltro, questo tema è quello che ha formato oggetto, in misura preponderante, Pag. 5della nuova ordinanza del GIP, quella del 29 maggio eseguita il 2 giugno. La Cassazione ha condiviso la ricostruzione delle ragioni storiche dell'eccezionale notorietà criminale di Carminati, partendo dalla banda della Magliana e così via, definendo «un'eredità criminale complessa e dunque sedimentatasi a strati, lentamente, entro un lungo arco temporale, il cui lascito, sempre vivo e attuale, si è perpetuato nella nuova realtà associativa scaturita dalla fusione con il gruppo di Buzzi, costituendone – e qui cominciamo a valorizzare l'elemento mafioso – una indispensabile riserva di violenza percepibile all'esterno e, per certi versi, un valore aggiunto cui ricorrere, se necessario, per perseguire e attuare gli scopi del sodalizio».
  Nella prospettiva delineata dai giudici di Roma e che la Cassazione appunto condivide, «il salto di qualità – è usata proprio questa espressione – dell'associazione nel settore economico e della pubblica amministrazione è avvenuto grazie all'accordo con il Buzzi ed è stato reso possibile solo in ragione della notorietà criminale di cui godevano il Carminati e il gruppo da lui comandato. In tal modo, l'associazione ha potuto ampliare lo spettro delle sue attività e sfruttare il conferimento del bene derivatole dall'acquisto della capacità di intimidazione già sperimentata nei settori tradizionali dell'estorsione e dell'usura: capacità progressivamente accumulata nel serbatoio criminale di origine e poi trasfusa, con metodi più raffinati, nei nuovi campi di elezione del “mondo di sopra”, ove si è avvalsa del richiamo alla consolidata “fama criminale” acquisita nel tempo, senza tuttavia abbandonare la possibilità di un concreto ricorso ad atti di violenza e intimidazione, quali forme di manifestazione da utilizzare all'occorrenza. La forza di intimidazione dell'associazione è stata così direttamente veicolata all'interno dei meccanismi di funzionamento propri del mondo imprenditoriale e della pubblica amministrazione, alterando – è sempre una citazione letterale dalla sentenza della Cassazione, voglio sottolinearlo – da un lato i principii di legalità, imparzialità e trasparenza nell'azione amministrativa, e, dall'altro lato, quelli della libertà di iniziativa economica e di concorrenza». Secondo la Cassazione, è stato altresì accertato «come le modalità di espletamento delle procedure di gara non siano state connotate dal necessario rispetto delle condizioni di parità degli aspiranti, ma abbiano registrato il condizionamento derivante da una posizione sostanzialmente monopolistica nell'acquisizione degli appalti dei servizi del comune di Roma da parte delle cooperative del Buzzi, attraverso la imposizione di un controllo dell'associazione su buona parte dell'amministrazione capitolina, ottenuto grazie ad un sistema di intese corruttive con una schiera di pubblici funzionari infedeli e, all'occorrenza, per effetto della incombente capacità di intimidazione esercitata sui potenziali concorrenti; una situazione di assoggettamento talmente radicata e pervasiva, di fronte alla quale nessuno, in sede politica ovvero giudiziaria, sia essa penale o amministrativa, ha mai osato innalzare una voce di dissenso». La Cassazione ha poi sottolineato che non esiste «una incompatibilità logica tra la forza intimidatrice esercitata dal sodalizio e il quadro sistematico di collusioni ed intese corruttive che le attività d'indagine hanno disvelato». Infatti, i soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione «non costituivano la controparte dell'organizzazione, bensì, una volta assicurata la loro collaborazione, anche e soprattutto con metodo corruttivo, una provvista di opportunità per il gruppo criminale idonea a costituire un ulteriore motivo di timore da parte dei possibili concorrenti nei settori economici dallo stesso controllati». È chiaro: la forza dell'associazione aumenta ulteriormente se può contare su amministratori e funzionari che fanno il gioco degli associati a danno di altri eventuali concorrenti. La suprema Corte ha poi affrontato il tema estremamente attuale, molto dibattuto e oggetto anche di polemiche – anche in dottrina e in giurisprudenza – della possibilità di ricondurre alla fattispecie prevista dall'articolo 416-bis del codice penale Pag. 6queste associazioni per delinquere diverse – e di dimensioni anche molto inferiori – rispetto alle mafie tradizionali di cui abbiamo parlato. La Cassazione ha confermato l'interpretazione dell'articolo 416-bis fatta dalla procura di Roma e poi dal GIP e dal tribunale del riesame di Roma, quella che ho accennato all'inizio, dicendo: «Certo, vi sono mafie potentissime radicate sul territorio, con una rete estesissima che realizza un fortissimo controllo sociale, anche legittimate da un ambiente che non solo non reagisce ma in molti casi è portato a interagire con il contro-potere criminale. Ma esistono anche tante “mafie” che non hanno tali caratteristiche e che pure possono essere riportate al modello di stampo mafioso solo per la metodologia che adottano. La connotazione tipica dell'associazione ex articolo 416-bis c.p. va dunque ricercata nella metodologia di tipo mafioso e cioè nell'intenzionalità di usare la forza intimidatrice e ciò che da essa, direttamente o indirettamente, ne consegue. L'assoggettamento e l'omertà – di cui parla la legge – sono le conseguenze prevedibili e possibili dell'uso di tale forza intimidatrice, indicano l'obiettivo che l'associazione tende a realizzare». Con riferimento, poi, all'associazione di Carminati e Buzzi, la Cassazione, nel sottolineare l'importanza del ricorso a fatti di corruzione, ha affermato che le indagini hanno dimostrato la «progressiva evoluzione di un gruppo di potere criminale che si è insediato nei gangli dell'amministrazione della capitale d'Italia, cementando le sue diverse componenti di origine – criminali “di strada”, pubblici funzionari con ruoli direttivi e di vertice, imprenditori e soggetti esterni all'amministrazione – sostituendosi agli organi istituzionali nella preparazione e nell'assunzione delle scelte proprie dell'azione amministrativa e, soprattutto, mostrando di potersi avvalere di una carica intimidatoria decisamente orientata al condizionamento della libertà di iniziativa dei soggetti imprenditoriali concorrenti nelle pubbliche gare, al fine di controllare gli esiti delle relative procedure e, ancor prima, di gestire gli stessi meccanismi di funzionamento di interi settori della vita pubblica». Aggiunge la Cassazione, di nuovo apro le virgolette, scusate, ma serve anche per capire quali sono le citazioni testuali: «La dimensione corruttivo-collusiva ha giuocato, dunque, un ruolo determinante nelle strategie di infiltrazione delle organizzazioni mafiose, ed è anzi in tale momento che la lesione dell'ordine economico e la lesione dell'ordine amministrativo raggiungono il loro massimo livello e vengono a congiungersi in una più ampia aggressione allo stesso ordine politico-istituzionale del Paese». Al fine di realizzare gli obiettivi dell'associazione, sottolinea ancora la sentenza della suprema Corte «la forza intimidatrice del vincolo associativo non ha agito direttamente sui pubblici amministratori per condizionarne le scelte, ma se ne è servita aggregandoli al proprio apparato organizzativo per la diretta realizzazione dei suoi interessi, ovvero inducendoli a favorire il gruppo attraverso accordi di tipo corruttivo-collusivo che hanno deformato l'intero funzionamento dell'amministrazione capitolina: in tal modo si è esaltata la capacità di pressione intimidatoria del sodalizio, la cui direzione è stata orientata nei confronti di tutti coloro che avrebbero potuto avvantaggiarsi dei provvedimenti amministrativi e dei contratti della pubblica amministrazione, scoraggiandone la concorrenza e inducendoli a lasciare il campo quando erano in giuoco gli interessi delle imprese utilizzate dall'associazione». Passando all'altro elemento di novità rispetto a dicembre 2014, credo sia inutile esaminare nel dettaglio il contenuto dell'ordinanza di custodia cautelare eseguita il 2 giugno ultimo scorso, dato che abbiamo trasmesso immediatamente alla Commissione l'ordinanza stessa e subito dopo tutti gli atti, che peraltro hanno avuto ampia diffusione da parte degli organi di informazione. Vorrei fare però pochissimi accenni e considerazioni ulteriori. Il primo è che, secondo la nostra ricostruzione, alla luce del complesso delle indagini svolte fino a oggi e sintetizzate nelle ordinanze del GIP c’è anche la terza, la più breve, quella con riferimento ai calabresi Rotolo, Campennì e Ruggiero, Pag. 7l'associazione di Buzzi e Carminati, o meglio di Carminati e Buzzi, si rapporta in modo completamente diverso con le due giunte che si sono succedute nel corso dei due anni circa di durata delle indagini. Ne ho già parlato nella prima audizione ed è una riflessione, ovviamente, sulla stessa linea, ma che si arricchisce dei contenuti della terza ordinanza. Con la giunta guidata da Gianni Alemanno – che è anch'egli indagato in questo procedimento per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, mentre è detenuto per lo stesso reato Luca Gramazio, all'epoca capogruppo della maggioranza di centrodestra in consiglio comunale e poi in consiglio regionale – si registra l'esplosione del fatturato delle cooperative di Buzzi, la nomina di alcuni dei partecipi all'associazione mafiosa – Testa Fabrizio Franco e Panzironi Franco – o di persone ad essa gradite – Berti Giuseppe e Fiscon Giovanni – al vertice di società partecipate dal comune. Si registra, altresì, il dialogo diretto, in posizione sovraordinata, fra Carminati e il più stretto collaboratore del sindaco di allora, Lucarelli, al fine di risolvere un problema delle cooperative Buzzi. C’è un'immagine che a me sembra emblematica di Lucarelli che si precipita per le scale del Campidoglio per incontrare Buzzi che da cinque giorni non riusciva a parlare con lui. Il cambiamento si spiega nella telefonata di Carminati a Lucarelli. Con l'amministrazione successiva questi contatti di Carminati ai livelli più alti non ci sono più, perché questi contatti non li ha il nuovo sindaco, il quale sindaco cambia anche i vertici delle società partecipate. Però non c’è dubbio che rimanga la presenza estremamente pesante di Buzzi e del mondo delle cooperative che ruota attorno a lui, che continuano ad avere un trattamento privilegiato da parte dell'amministrazione e della burocrazia comunale, con molti esponenti delle quali il Buzzi intesse rapporti di tipo corruttivo. Né va mai dimenticato che il Buzzi agisce sempre d'intesa con Carminati, cui va anche parte dei guadagni delle cooperative. Per tutta la durata delle indagini Carminati e Buzzi utilizzano un sistema estremamente raffinato di penetrazione nei vari apparati, in particolare nell'apparato comunale, rendendosi protagonisti di una vera e propria attività di lobbying illecita particolarmente pressante.
  Tale attività di lobbying ha due finalità. Da un lato, imporre la nomina, in posizioni apicali in rami dell'amministrazione o in vertici di aziende sensibili per gli interessi dell'organizzazione, di personaggi che l'associazione ritiene a essa vicini e che lavorano nel suo interesse per realizzare le sue finalità. Dall'altro lato, questa stessa attività di lobbying è finalizzata a imporre nomine anche in negativo, cioè a rimuovere o a ostacolare la nomina, in settori ritenuti di interesse, di soggetti con i quali l'organizzazione ritiene di non poter intavolare i rapporti giusti. Come ho detto, con la nuova amministrazione i rapporti sono diversi, ma è anche vero che tutto sommato Carminati e Buzzi erano tranquilli sull'esito delle elezioni. Naturalmente la loro preferenza andava alla continuazione della giunta precedente, ma non si aspettavano particolari problemi, qualunque fosse stato l'esito del voto, e vantavano di avere candidati amici in entrambi gli schieramenti. In una delle conversazioni intercettate dopo le elezioni e riportate ampiamente nelle ordinanze e sulla stampa, Carminati dice a Buzzi che con questi nuovi eletti devono trattare, per ricevere appalti e incarichi, e conclude con quella frase particolarmente espressiva ampiamente citata: «Mettiti la minigonna e va a battere con questi, amico mio». In un'altra intercettazione, sempre ampiamente pubblica e dello stesso periodo, immediatamente successivo alle elezioni, Carminati dice che lui e i suoi, a cominciare da Buzzi, sono pronti a soddisfare ogni esigenza dei nuovi amministratori. Evito la citazione letterale, che è tanto espressiva quanto volgare. Tuttavia, aggiunge che, se non otterranno quello che vogliono, le conseguenze saranno sgradevoli. A proposito delle conseguenze sgradevoli per i pubblici ufficiali, connesse alla mancata attribuzione di lavori, non è certo il riferimento alla volontà di non rispettare le regole di buona educazione, quanto Pag. 8piuttosto a una precisa opzione o disponibilità nell'esercizio di un potere di intimidazione connesso alle capacità criminali del gruppo. Del resto, considerando insieme le due ordinanze del giudice per le indagini preliminari, sono state disposte misure cautelari per reati contro la pubblica amministrazione, senza l'aggravante di cui all'articolo 7, nei confronti di ben cinque componenti dell'assemblea capitolina, fra cui l'ex presidente della stessa assemblea e un ex assessore della giunta Marino, oltre che dell'ex presidente del municipio X, quello di Ostia, e del sindaco di Castelnuovo di Porto. Numerosi sono, inoltre, i dirigenti e i funzionari dell'amministrazione di Roma Capitale e della partecipata AMA, nei cui confronti sono state disposte misure cautelari per i reati di corruzione, turbativa d'asta e, in alcuni casi, anche per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale. Meno ricche sono le risultanze delle indagini per quanto riguarda i rapporti tra l'associazione di tipo mafioso facente capo a Carminati e Buzzi e la regione Lazio. La vicenda più rilevante concerne la gara per l'aggiudicazione dei servizi relativi al centro unico di prenotazione (CUP), per un valore complessivo di circa 60 milioni di euro. Sul punto è stata accertata un'attività di turbativa, portata a termine da Luca Gramazio, capogruppo dell'opposizione di centrodestra, su richiesta di Carminati, al fine di far aggiudicare uno dei quattro lotti a un raggruppamento di cooperative facente capo a Buzzi Salvatore. Nei confronti del Gramazio è stata disposta la custodia cautelare in carcere per il reato di turbativa d'asta e, con riferimento al complesso delle sue condotte, per il delitto di cui all'articolo 416-bis. In relazione a questa gara d'appalto, è indagato per il reato di turbativa d'asta anche Venafro Maurizio, all'epoca capo di gabinetto del presidente della regione. Venafro ha accolto la richiesta del Gramazio di sostituire uno dei componenti della commissione aggiudicatrice già designata con un funzionario di fiducia del Gramazio – in realtà, la fiducia era di Carminati e Buzzi – tale Scozzafava Angelo, anch'egli tratto in arresto per lo stesso motivo. Un altro settore privilegiato di intervento dell'associazione è quello dell'accoglienza dei migranti. Uso un termine generico, che torna sotto varie sfaccettature. Tale intervento si è concretizzato dal punto di vista delle fattispecie penali in più delitti di corruzione e di turbativa d'asta. Per le cooperative facenti capo a Carminati e Buzzi, le attività in questo settore sono risultate, grazie anche alla complicità di funzionari e pubblici ufficiali di Roma Capitale e degli altri enti pubblici comunque interessati, di grande rilievo economico. Proprio Buzzi ha sintetizzato questo interesse con un'altra frase ormai ben nota: «Si guadagna più con gli immigrati che con la droga». Su questo punto ritengo opportuno fare un'ulteriore precisazione. Le indagini sono partite da Carminati e sono arrivate a Buzzi e, da questo, a Odevaine Luca, componente del tavolo di coordinamento nazionale sull'accoglienza per i richiedenti e i titolari di protezione internazionale. Odevaine è stato tratto in arresto il 2 dicembre dell'anno scorso per il reato di corruzione. Peraltro, lo stesso Odevaine, nel corso di spontanee dichiarazioni, sempre ampiamente pubbliche, ha ammesso di aver ricevuto somme di denaro da Buzzi per la sua attività, che ha definito di «facilitatore» – ognuno è libero di interpretare il significato – in favore delle cooperative a lui facenti capo. Approfondendo le indagini su Odevaine, sono emersi poi ulteriori reati a suo carico, al di fuori dei rapporti con Buzzi e, quindi, dell'associazione mafiosa. Questi delitti ineriscono ai rapporti fra Odevaine e il gruppo La Cascina, con particolare ma non esclusivo riferimento all'appalto per la gestione del CARA di Mineo. Pertanto, in esecuzione dell'ordinanza del 29 maggio 2015, sono stati tratti in arresto per i reati di corruzione e turbativa d'asta Francesco Ferrara, Domenico Cammisa, Salvatore Menolascina e Carmelo Parabita, a vario titolo amministratori societari del gruppo La Cascina.
  È opportuno precisare che, nel quadro di un positivo collegamento di indagini, copia di tutti gli atti relativi al CARA di Pag. 9Mineo è stata trasmessa alla direzione distrettuale antimafia di Catania, per gli ulteriori accertamenti sulla competenza. Si può altresì aggiungere che, per lo meno dagli atti d'indagine della procura di Roma, non sono emersi allo stato fatti penalmente rilevanti a carico di funzionari o altri esponenti del Ministero dell'interno. Aggiungo un'ultima cosa. Vi ringrazio per la cortesia e mi scuso per avervi annoiato con questa lettura e con queste citazioni tra virgolette, che si aprivano e si chiudevano. Mi permetto di dire che c’è una riflessione, che forse è più d'interesse della Commissione che della procura, sul ruolo delle cooperative che emerge dalle indagini di questi ultimi tempi. In Mafia Capitale abbiamo le cooperative di Buzzi e le cooperative di Cascina. Mi permetto di ricordare un'indagine che solo in piccola parte è arrivata anche a Roma. Le misure cautelari sono state eseguite dalla procura di Napoli, mi pare nei confronti della cooperativa CPL Concordia. Il grosso del processo è finito a Modena e dei frammenti sono finiti per competenza alla procura di Roma. Invado un campo non mio, quindi lo dico e subito chiudo. Forse occorre una riflessione sulle agevolazioni di cui godono queste cooperative; sulle riserve di lavori che spettano loro; sulla simpatia che in generale le caratterizza, perché, come sempre, c’è una grandissima parte che è costituita da persone perbene e che svolgono lavori; e probabilmente anche sui controlli meno penetranti rispetto a quelli operati nei confronti degli ordinari operatori economici loro concorrenti. Forse invado il campo della Commissione, dicendo che una riflessione su questo si potrebbe fare, ma non compete certamente alla procura della Repubblica. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, procuratore. Grazie anche per l'apertura e chiusura delle virgolette e per quest'ultima annotazione. Non era sfuggita a questa Commissione l'importanza del capitolo cooperative. Abbiamo già sentito l'attuale presidente della Lega delle cooperative e credo che sentiremo anche i responsabili de La Cascina. Abbiamo colto una certa disponibilità a una riflessione sulla legislazione complessiva delle cooperative da parte degli stessi operatori, consapevoli che la funzione di quella legislazione non era certo quella di facilitare comportamenti corruttivi come quelli che sono emersi in questa vicenda. La sua non è un'invadenza di campo. Del resto, il nostro lavoro è volto a un reciproco aiuto e a una reciproca possibilità di raggiungere meglio gli obiettivi che, pur nella differenza delle due istituzioni, ci proponiamo. Pertanto, la ringrazio per il suo prezioso lavoro e per quanto ci ha detto. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARCO DI LELLO. Io sono molto solleticato in punto di diritto sull'attribuzione, che ci ha ben spiegato anche oggi il procuratore capo, della specificità mafiosa di questa associazione a delinquere. Sono incuriosito dalla struttura. Vorrei sapere se voi su questo avete fatto un approfondimento. Noi abbiamo conosciuto in questi anni diversi tipi di strutture: cosa nostra, ’ndrangheta, camorra. La struttura qui ha una sua originalità e una sua specificità. Io vorrei capire se vi è più chiaro come funziona, se c’è una struttura piramidale e se c’è un rapporto tra più gruppi che lavorano insieme con una sorta di cupola. Lo chiedo a lei, perché sono affascinato dal tema, proprio per la portata innovativa che ha sotto questo versante. Mi convince ulteriormente l'approccio che lei ci racconta e che deriva dalle indagini sul rapporto tra la mafia e la politica. Mi pare che ormai si possa dire che c’è un passaggio dalla situazione in cui la vecchia mafia induceva, appunto con metodi mafiosi, la politica a soccombere ovvero la corrompeva, a una situazione in cui la politica diventa addirittura socia occulta dell'associazione mafiosa. Una vicenda del genere ci è già stata raccontata dalla direzione distrettuale antimafia napoletana. Mi pare che sul punto loro si siano fatti questa convinzione. Io vedo che, nella narrazione che ci ha fatto, lei arriva alle stesse conclusioni. Credo che per questa Pag. 10Commissione sia tutt'altro che irrilevante comprendere il funzionamento.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Io sono siciliano e ho passato quattro anni a Reggio Calabria. Pertanto, credo di poter sapere meglio di chiunque che mafia capitale – lo ripeto ancora – non è cosa nostra siciliana, né la ’ndrangheta. C’è un problema quantitativo, che ovviamente diventa qualitativo. I ragionamenti vanno fatti con attenzione. Se lei mi chiede oggi qual è l'associazione mafiosa più pericolosa in Italia e forse nel mondo, io le rispondo che è senz'altro la ’ndrangheta. È chiaro che la ’ndrangheta è capace di corrompere, di assorbire associazioni di qualsiasi tipo, di avere rapporti con la politica in modo intenso, di essere socia di maggioranza in attività economiche colossali, oltre a trafficare droga, armi eccetera. Dobbiamo mantenere sempre il senso delle proporzioni con il fenomeno di cui stiamo parlando. Peraltro, non è esistita, secondo me, una mitica età dell'oro in cui la mafia non ammazzava i bambini o non corrompeva i pubblici ufficiali. Credo di aver afflitto la volta scorsa la Commissione con le citazioni su questo tema di don Luigi Sturzo del 1900 o di Leopoldo Franchetti del 1876, che sembrano datate 2015. Questa è la risposta alla sua seconda domanda ed è la premessa per rispondere alla prima. Sulla struttura di mafia capitale, credo che ci siano molte osservazioni interessanti, solo in minima parte travasate nella richiesta della procura e nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, nell'informativa del ROS alla base della prima ordinanza, nella quale sono esaminate in modo minuto le regole di ubbidienza, i parametri tipici delle mafie tradizionali, l'uso delle cautele, i cellulari particolarmente occultati, i fatti di omertà eccetera. Per andare al nucleo della sua domanda, noi abbiamo trovato 15-18 persone. Ci sarà qualcun altro che è sfuggito all'indagine, ma non credo che abbia un ruolo importante, perlomeno nella fase di due anni che abbiamo coperto con le nostre indagini. Noi non sappiamo cosa c'era dieci anni fa. Se non si fanno le indagini, non si possono avere le risposte. Comunque, a me sembra che si tratti di una piccola organizzazione. Se parliamo di struttura piramidale, si pensa alla mafia di Buscetta, ammesso che quella sia corrisposta in qualche periodo di tempo alla verità. Nel nostro caso, secondo me, è chiaro che c’è un capo, che è anche all'origine del potere criminale e mafioso, che è Carminati. Quest'ultimo assomma in sé un potere di violenza mafiosa intimidatrice, che, come dice la Cassazione, parte dalla banda della Magliana o addirittura da prima e si è tramandata. A Roma tutti sanno chi è Carminati. Come dice anche la Cassazione in un frammento che io non ho letto, Carminati in questi anni è riuscito a intessere rapporti con esponenti significativi della politica, della pubblica amministrazione e così via, prima che arrivassimo noi con le nostre intercettazioni. Ci sono poi due «bracci» dell'organizzazione. Il primo è un braccio squisitamente di violenza militare, che fa capo a Brugia e comprende alcuni degli altri associati, ed è quello che cura le estorsioni, i fatti di usura e il recupero crediti con modalità violente. Il secondo braccio è costituito da una serie di imprenditori – Gaglianone, Ietto e così via – i quali sono lo strumento essenziale perché l'organizzazione possa arricchire. Il fenomeno della corruzione, come dice la Cassazione, sfocia nell'affidare appalti e servizi agli imprenditori vicini all'associazione ai quali ho appena accennato, scoraggiando la concorrenza nei modi che ho descritto, e soprattutto alle cooperative di Buzzi, perché quello è il cuore dell'associazione, così come noi lo registriamo fra il 2013 e il 2014. Nella figura di Buzzi, emblematicamente e sostanzialmente, si cumulano il versante squisitamente mafioso del suo rapporto con Carminati – non per niente, le cose più interessanti nelle indagini sono le conversazioni fra Buzzi e Carminati – e il suo interfacciarsi con la politica. Ripeto che noi abbiamo due anni di indagine. Pertanto, mi riferisco all'ultimo anno della giunta Alemanno Pag. 11e al primo periodo della giunta Marino. Parlare di una struttura piramidale mi pare eccessivo. La Cassazione usa il termine «piccole mafie». Come dicevo, questa associazione non è né la cosa nostra siciliana, né la ’ndrangheta calabrese, né la camorra napoletana. Tuttavia, è chiaro che c’è una distinzione di ruolo: c’è il capo assoluto, che è Carminati, e ci sono i due bracci, quello operativo e quello imprenditoriale. Spero che fosse questo ciò che voleva sapere.

  FRANCO MIRABELLI. Grazie, procuratore, per il lavoro che state svolgendo e per la chiarezza dell'esposizione. La prima domanda che sorgerebbe spontanea è: «A che punto siamo ?» Tuttavia, non so se me lo può dire e forse non me lo dirà, quindi non le chiedo questo. Parto dalla fine del suo intervento, approfittando della questione che ha posto sulle cooperative. Come ha detto il presidente, stiamo affrontando il tema. Io credo che ci sia una legislazione di favore, giustamente, perché la stragrande maggioranza delle cooperative svolge una funzione sociale importante. Tuttavia, questa vicenda – penso, per esempio, alla questione delle false cooperative – pone al legislatore e al mondo della cooperazione la necessità di intervenire in maniera più determinata sui controlli. Io vorrei approfittare dell'accenno che lei ha fatto per chiederle se dentro l'inchiesta, su questo aspetto della mancanza di controlli o perlomeno del loro fallimento, si è acceso un riflettore. Il tema non concerne esclusivamente il comune di Roma. Come lei sa, gran parte dei servizi che riguardano l'immigrazione, in particolare i centri per i profughi, non dipendono dal comune e non sono pagati da quest'ultimo. Sono altri gli enti che avevano la missione del controllo, che evidentemente è mancato. Vorrei capire se su questo c’è un faro acceso. In secondo luogo, vorrei capire che opinione si è fatto su un punto: quando e perché si forma il sodalizio Buzzi-Carminati ? Credo che questo sia un tema importante per comprendere il rapporto tra mafia, politica e affari. L'inchiesta ci racconta che entrambi i soggetti esistevano e operavano prima, ognuno nel proprio ambito. Perché a un certo punto si incontrano ? Credo che sia importante capire chi a un certo punto ha avuto bisogno dell'altro e per quale ragione. Ritengo che questo sia un tema su cui riflettere.
  Come sa, procuratore, Buzzi sta scrivendo dal carcere. Scrive alcune di queste cose alla o sulla Commissione antimafia. Vorrei capire se lei si è formato un'opinione sul perché Buzzi stia utilizzando tutti questi canali e su quale sia la strategia che c’è dietro a questa sua sovraesposizione letteraria. Questo serve anche a noi per capire cosa fare.

  STEFANO ESPOSITO. Ringrazio anch'io il procuratore e tutta la procura per la loro attività. Se ho capito bene, lei ha detto che, per quello che è a vostra conoscenza in base ai due anni che sono stati indagati, durante la giunta Alemanno c’è stata l'esplosione del fatturato e dell'azione da parte del sistema Buzzi-Carminati. Dall'altra parte, ha anche detto che, con l'arrivo dalla giunta Marino, seppure siano stati interrotti i rapporti con il vertice, cioè con il sindaco, comunque il sodalizio criminale ha continuato a operare. Io le pongo una domanda. Naturalmente, mi risponda per quanto le è possibile. Secondo lei, non c’è una differenza, quindi, nell'operatività del sodalizio tra la fine di un'amministrazione e l'inizio di un'altra, ovvero tra la fine della giunta Alemanno e l'inizio della giunta Marino ? Avete potuto registrare, nelle indagini che avete condotto, una diminuzione dell'utilizzo della «somma urgenza» come pratica per favorire il sistema che ha operato ? Le pongo una terza domanda, chiedendole un'opinione. Naturalmente potrà non rispondermi. In base al lavoro che voi avete svolto con molta puntualità, secondo lei, era impossibile l'individuazione di questo sistema criminale rispetto all'autorevolezza – la chiamo così – che la Cooperativa 29 giugno aveva da molti anni nel quadro politico e sociale della città di Roma e non solo ? Glielo chiedo perché noi, come Commissione, spesso dibattiamo Pag. 12in un'analisi sul post-intervento della magistratura e ci cimentiamo nel tentativo di dare qualche elemento di indirizzo, seppur al momento non vincolante, nei confronti delle forze politiche, per comprendere quando si manifestano situazioni come queste. La Cooperativa 29 giugno, per quello che mi è dato sapere, aveva un nome importante e rispettato, anche dal punto di vista della sua capacità di inserimento di persone svantaggiate. Le pongo un'ultima domanda, procuratore: quanto tutto questo sistema poteva esistere legandosi esclusivamente a relazioni politiche e quanto, invece, aveva la necessità di godere di particolari e forse ancor più importanti relazioni all'interno della struttura amministrativa diffusa ? Ovviamente colpire i politici corrotti è prioritario, ma sarebbe interessante capire in che modo all'azione della magistratura debba corrispondere un intervento sulla macchina amministrativa, per evitare che cambino i politici, ma i meccanismi della struttura restino gli stessi che hanno consentito – naturalmente questa è una mia opinione – lo sviluppo di questo fenomeno.

  FRANCESCO D'UVA. Ringrazio il dottor Pignatone per essere qui a informarci. Ho delle domande molto brevi. La prima concerne i rapporti tra la direzione distrettuale antimafia e le procure del Lazio. Mi chiedo se c’è un buon coordinamento al riguardo. Se non sbaglio, c'era un protocollo di coordinamento, già prima che arrivasse lei a Roma. Vorrei capire se questo protocollo funziona. Mi riferisco alle segnalazioni di attentati e intimidazioni in provincia di Latina e in provincia di Roma, in particolare fra Minturno e Castelforte, oltre che ad Anzio e Pomezia. Sappiamo che a Roma ci sono delle mafie autoctone: il clan Fasciani, mafia capitale, sappiamo anche che c’è la presenza della ’ndrangheta. Mi chiedo quale sia la situazione di cosa nostra nella capitale. Se non sbaglio, è stato detto, proprio durante l'ultima audizione in cui abbiamo avuto il piacere di averla qui, che il sindaco di Sacrofano era stato sostenuto da Carminati. Possiamo parlare di un rapporto tra mafia capitale e politica al di fuori di Roma ? Se è così, ci sono altri casi in provincia di Roma ?

  GIUSEPPE LUMIA. Anch'io ringrazio il procuratore e la sua procura per questo lavoro molto prezioso. Il procuratore ha anche un'esperienza importante nel campo del riciclaggio. Vorrei sapere se in questa indagine avete individuato le piste del riciclaggio, quali strade ha percorso e se si è in grado di colpirlo, come è stato fatto con il prezioso lavoro che è stato svolto sul versante collusivo e sul versante della caratteristica mafiosa dell'organizzazione.
  La seconda questione è che il Carminati eredita non solo alcune caratteristiche tipiche della banda della Magliana, ma probabilmente anche rapporti con apparati, con pezzi dello Stato, che sono importanti anche sul piano investigativo. Volevo sapere, da questo punto di vista, a che punto sono le indagini e quali ulteriori elementi intende offrire il procuratore alla valutazione della Commissione parlamentare antimafia. La terza questione l'aveva posta all'inizio, con un po’ di timidezza, il senatore Mirabelli. Io penso che in Commissione, invece, la possiamo porre. Riguarda gli sviluppi di questa indagine. Già allora, senza naturalmente anticiparci elementi, lei ci aveva parlato di un ulteriore lavoro per la Commissione. Anche questo potrebbe essere un elemento, nelle forme che lei valuterà – abbiamo anche lo strumento della segretazione – per poter offrire alla Commissione antimafia elementi su quali sono i canali. L'ultima cosa, procuratore, riguarda le modalità di rapporto con le altre organizzazioni mafiose. Un po’ le avete tracciate e delineate, ma questa è una questione molto importante, che ci aiuta a capire i rapporti che a Roma si creano, in questo vasto mercato romano, tra la mafia capitale e le altre forme di mafia, ’ndrangheta e cosa nostra, che sono presenti storicamente in questa città.

  FRANCESCO MOLINARI. Naturalmente mi associo anch'io ai ringraziamenti a lei per il lavoro che sta facendo con tutta Pag. 13la procura, oltre che con le forze dell'ordine. Io ho molto apprezzato l'inizio della relazione, in cui lei ci ha illustrato le risultanze a cui è arrivata la Cassazione. Sono importanti, perché questo è stato un primo step per la costruzione del quadro accusatorio. Naturalmente, da un punto di vista scientifico, anch'io attendo gli sviluppi, perché si aprono degli scenari interessanti. La mia domanda è relativa a un aspetto che lei ci ha illustrato qui come un possibile campo di indagine da parte di questa Commissione, che è quello delle cooperative e della grande capacità che sembrerebbero avere – naturalmente si tratta di cooperative deviate, se così possiamo definirle, nel loro intento associativo – di andare a influire sulla macchina amministrativa. Mi permetto di aprire una piccola parentesi. Questo mi fa ricordare di quando, essendo io studente universitario qui a Roma, da un punto di vista politico, con i movimenti contrastammo l'ascesa de La Cascina e Comunione e Liberazione nel campo della gestione del diritto allo studio. In quel contesto c'era anche Lucarelli. Chiudo la parentesi. Volevo sapere se è rientrato nel campo di indagine della procura, se potrà dircelo, come sia stato possibile, per esempio, prolungare il famoso decreto che ha consentito la possibilità di gestione della riserva naturale di Decima Malafede e del campo rom conseguente, che risulta essere il più grande campo rom dell'Europa. Vorrei sapere come sia stato possibile prolungarlo, nonostante il decreto attuativo, che era del 2005, prevedesse un utilizzo massimo di sei mesi, da cui siamo arrivati a oggi. Questo con riferimento alla capacità di influenzare la macchina amministrativa e di rompere quei cordoni di controllo che dovrebbero essere, invece, necessari per una buona gestione amministrativa.

  MASSIMILIANO MANFREDI. Rivolgo anch'io un ringraziamento al procuratore per la chiarezza e per il lavoro svolto. Pongo soltanto un argomento, che era stato sfiorato nella prima risposta al collega Di Lello, sui rapporti dell'organizzazione. Noi ci troviamo di fronte o al pagamento di servizi non erogati, o al pagamento di servizi male erogati e, nel caso del rapporto politico, a dazioni di denaro oppure a collocazioni di persone a lavorare. Volevo chiederle se nel substrato dei servizi, invece, regolarmente erogati, a prescindere dalla qualità, è stato individuato un filone ben specificato di sottoservizi di ditte collegate di cui si servivano queste cooperative, oppure se era un elemento politico. Lei prima ha citato il caso della Concordia. Per quanto riguarda la Concordia, almeno nella fase iniziale, ci troviamo di fronte, più che a dazioni di denaro, al pagamento di servizi. Banalmente, per esempio, l'albergo in cui andavano a dormire coloro che lavoravano, oppure una gestione di subappalti pilotati. Volevo capire se, trattandosi di una mole di denaro tanto grande, ci fossero altri settori dell'economia romana, del mondo dello sviluppo romano, che facevano da substrato non casuale, ma strutturale di questa vicenda, o se il fatto era limitato soltanto a questo. Vista la mole d'affari per altre vicende, sinceramente sarebbe strano che fosse limitato soltanto a questo.

  PRESIDENTE. Aggiungo io tre brevi domande, procuratore, perché a una domanda che mi stava particolarmente a cuore, secondo me, ha risposto in maniera molto chiara ed esauriente. La domanda – la ripeto – era relativa agli elementi di continuità e discontinuità tra le due amministrazioni. Mi sembra che ci siano alcuni passaggi molto chiari sia nella sentenza della Cassazione, sia nelle parole senza virgolette che lei ha usato. Io volevo domandare alcune piccole cose. Una riguarda la vicenda dell'incendio di una cooperativa legata a Buzzi che sembrerebbe causata dalla necessità di far sparire della documentazione. Vorrei sapere se avete qualche elemento in proposito. L'altra domanda è una curiosità. Buzzi scrive molto dal carcere. Ha scritto anche al Papa. Può farlo, sicuramente. Buzzi fa riferimento in questa lettera – non sta a noi valutare, naturalmente, la sincerità della conversione di Buzzi, anzi – al fatto Pag. 14che, a partire dal 2010, avrebbe denunciato con un esposto alla procura di essere stato oggetto di numerose richieste da parte di funzionari del comune. Lei non c'era, ma la domanda è: se ne è trovata traccia, ce n’è traccia ? Risulta piuttosto singolare questo riferimento che lui fa.
  L'altra domanda è se avete sentito quei due funzionari – magari saranno molti di più – che dall'inchiesta appaiono chiaramente non disponibili, Barletta e Gabriella Acerbi, sui quali dicono «Con quei due non c’è niente da fare. Per la prima volta si applica la legge. Non era mai successo». A noi è venuta la voglia di sentirli. Mi pare che sia legittimo da parte nostra poterlo fare. Sul CARA di Mineo noi sentiremo anche, prima che lasci l'incarico di Catania, il procuratore Salvi, come abbiamo sentito il procuratore di Caltagirone, ma vorrei capire il collegamento tra le procure in questo senso. So che lei ha già fatto un'audizione alla Commissione d'inchiesta sui CIE. Non le vogliamo far ripetere le stesse cose. Naturalmente, acquisiremo quel materiale. Infine, Luca Gramazio, che è l'unico, insieme al sindaco, indagato per 416-bis, come livelli politici, adesso è consigliere regionale. L'indagine su di lui, però, riguarda il momento nel quale era entrambe le cose, sia alla regione, sia capogruppo. Poiché in tutta questa vicenda è stato sfiorato anche il capo di gabinetto del presidente della regione, quanto possiamo star tranquilli sulla regione ? Sul comune non troppo, lei dice, ma almeno chiedo se ci sia la possibilità, per quello che lei ci può dire, naturalmente, di capire se per questa ombra che è arrivata fino a là ci dobbiamo preoccupare. A parte il fatto che c’è stata anche una forte reazione da parte del presidente, ma vorrei capire.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Seguo l'ordine dei miei appunti. Spero di non dimenticare niente, ma casomai ci sarà un supplemento. Il senatore Mirabelli chiede dei controlli sulle cooperative. I controlli sulle cooperative, per quanto riguarda il sistema dei controlli interni, non hanno funzionato, evidentemente, perché gli organi di controllo sono costituiti sempre dalle stesse persone. Nella cooperativa n. 1 Tizio è amministratore – semplifico per capirci – e Caio è componente del collegio dei sindaci o dei revisori, a seconda delle varie denominazioni. Nella cooperativa n. 2 giocano a parti invertite. Sono sempre le stesse persone. Il vicepresidente di una delle cooperative era la segretaria e contabile di Buzzi, che deteneva quello che poi giornalisticamente, ma anche processualmente, abbiamo chiamato il «libro nero», con le dazioni di denaro. Giustamente, lei ha detto: «Io ero pagata come segretaria. Poi mi hanno detto di fare la vicepresidente e di firmare». A un certo punto le hanno dato qualche decina di euro in più, ma è chiaro che non si tratta di un controllo plausibile in questo senso. Sui controlli esterni – immagino che alluda innanzitutto alle prefetture e, in genere, al sistema del Ministero dell'interno – dico una cosa che vale anche per altre domande: noi accertiamo responsabilità penali, ossia reati da contestare a una persona con nome e cognome. Anzi occorre anche la data di nascita per poterla iscrivere nel mitico registro delle notizie di reato, altrimenti non si può fare. Quello che io le posso dire è che, per quanto riguarda questa indagine, alla data odierna, 1o luglio 2015, noi, procura di Roma, non abbiamo ritenuto di trovare contestazioni di reato e illeciti penalmente rilevanti che dovessero essere contestati ai funzionari del Ministero dell'interno e delle prefetture. L'ho detto anche prima. Poi se l'efficienza o meno del controllo sia dovuta a inefficienza, a scarsità di risorse, ad affidamento all'autorevolezza della cooperativa 29 giugno, come ha detto il senatore Esposito, o, ipoteticamente, a dolo, questo noi, allo stato, non siamo in grado di dirlo. Rispondo a lei e alla domanda che è stata esplicitamente posta dal senatore Lumia: a che punto siamo ? Mi dispiace non poter, in realtà, rispondere. Io dico che noi abbiamo fatto – approfitto dell'occasione per ringraziare la polizia giudiziaria, il ROS e anche la Pag. 15Guardia di finanza, che ha lavorato a una parte dell'indagine, ma soprattutto i miei colleghi della procura – un grosso sforzo per arrivare al più presto al dibattimento. Come è stato detto sui giornali, è già fissata la data del 5 novembre per l'inizio del dibattimento nei confronti di coloro che erano stati arrestati a dicembre e che sono tuttora in custodia cautelare, anche solo domiciliare. Faremo uno sforzo anche per la seconda tranche. Abbiamo fatto un grosso punto di situazione al 2 giugno. Dal 2 giugno in poi quello che posso dire è che continuiamo a lavorare e poi vedremo che cosa esce. Ovviamente, nessuno di noi lo sa finché non mettiamo...

  PRESIDENTE. Ferie ridotte.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Ferie ridotte... ringraziamo il Governo, che ci aiuta a fare di più. Io, per quanto personalmente mi riguarda, non so quante ne ho di arretrato. Non mi cambia assolutamente nulla. Non sono in grado, invece, di rispondere alla domanda su quando e perché si formi il sodalizio Buzzi-Carminati, perché, come ho detto prima, noi facciamo le indagini a partire dalla fine del 2012 in modo intenso. Non ripeto quello che ho detto la prima volta su come nasce questo procedimento in procura. Poiché il sodalizio è certamente antecedente, non siamo in grado di dirlo. Forse qualche elemento interessante ci potrà venire dalla relazione della commissione di accesso, quanto meno sotto un profilo logico, coi fatturati delle cooperative di Buzzi. Io ho parlato di esplosione sotto la giunta Alemanno, ma, come ha detto giustamente lei, le cooperative esistevano da prima, così come esistevano da prima le imprese di Carminati. Risalgono anche alle giunte precedenti. Se in quella fase si comportavano da perfetti operatori economici o in modo illecito noi non lo sappiamo. Sarebbero mere illazioni. Perché Buzzi scrive alla Commissione ? In realtà, questa è una domanda difficile, a cui possiamo fornire solo ipotesi di risposte, ovviamente. O la Commissione o noi – forse entrambi – glielo chiederemo. Quello che è certo è che in base alle lettere, che sono pubbliche, possiamo parlare di una linea difensiva. La linea difensiva di Buzzi, che non è peraltro una novità in questo tipo di processi, è quella di dire innanzitutto che la mafia non esiste e che, se esiste, lui non c'entra. Secondariamente, c'era un sistema corruttivo diffuso e lui in questo sistema ha dovuto operare. In parte sarà vittima, in parte poi comincia a entrare in tutta la disquisizione sui reati di corruzione, concussione, induzione e via elencando, che credo ci possiamo risparmiare a quest'ora del pomeriggio. La sua intenzione, una volta liberatosi, nei suoi auspici – che, ovviamente, sono opposti ai nostri e alle nostre convinzioni della contestazione di mafia – è fare un bel processo a piede libero in primo grado, appello e Cassazione, facendo lo slalom fra gli articoli 319, 321, 318 e via elencando. Questa è probabilmente la linea difensiva di Buzzi. Lui dice: «D'altra parte, se io ero costretto a pagare, che mafioso ero ?» Ma questa è una mia personale interpretazione di quello che fino a questo momento Buzzi ha detto e scritto. Il senatore Esposito torna sui rapporti tra le due giunte. Più di quello che ho detto nelle due pagine senza virgolette, come le ha definite la presidente, non sono in grado di dire, né sono in grado di dire se vi sia stata una diminuzione delle somme urgenze. Anche su questo leggerò con curiosità e interesse quello che scriverà, o meglio quello che ha scritto, la commissione di accesso. Se devo basarmi sulle dichiarazioni dell'assessore Sabella in un convegno a cui ero presente anch'io, non credo che fossero diminuite fra il 2013 e il 2014. Poi ci sono dei meccanismi burocratici che hanno un effetto di trascinamento, ma aspettiamo dei numeri. Sulla differenza nell'operatività fra le due giunte, se posso così sintetizzare la domanda, come ho detto, con la giunta Alemanno, Carminati agisce in prima persona. Ripeto che, secondo me, emerge dalle intercettazioni che riescono a piazzare uomini loro nelle municipalizzate, riescono a piazzare uomini che non sono associati, ma che sono graditi, nelle municipalizzate Pag. 16e riescono a giocare, se così si può dire, con gli assestamenti di bilancio. Secondo me, la scena emblematica del rapporto Carminati-giunta Alemanno è quella di Lucarelli. La ripeto in trenta secondi. Buzzi cerca per quattro o cinque giorni Lucarelli perché ha il problema che non riesce a ottenere un pagamento. Lucarelli praticamente non gli risponde al telefono. Lui chiama Carminati, il quale dice: «Aspetta un attimo, non ti allontanare». Dopo due minuti Carminati lo richiama e dice: «Vai lì e resta ai piedi della scala del Campidoglio. È tutto risolto. Scende Lucarelli e ti dice quello che devi fare». Quello gli dice: «Ma come, sono cinque giorni che neanche mi telefona. Salgo io le scale». L'altro risponde di no. A me, che sono siciliano con esperienze calabresi, questo sembra proprio tipicamente mafioso, compreso il simbolo, l'aspetto emblematico del rapporto di potere mafioso, scusate. Non basta che il Lucarelli...

  PRESIDENTE. È quella che l'ex sindaco ci definì «una semplice intercettazione».

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Io sono siciliano.

  PRESIDENTE. Noi non lo siamo, o almeno io non lo sono, però...

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Questa di Lucarelli a me sembra una scena emblematica. Lucarelli non è neanche indagato di reato, per carità. La scena, però, è emblematica, alla telefonata di Carminati a Lucarelli, che non aveva risposto per cinque giorni a Buzzi, scende le scale, si precipita e poi dice a Buzzi che è tutto risolto. Dopodiché, vale quello che ho detto, cioè che continua... Certo, il Gip, su nostra richiesta, ha disposto la custodia cautelare – il tribunale del riesame per ora ha confermato; vedremo la nuova pronuncia della Cassazione – nei confronti di esponenti molto significativi, sia dell'Assemblea capitolina, sia dell'amministrazione, della nuova giunta. Vale quello che ho detto nelle due pagine senza virgolette. Non sono in grado di rispondere alla domanda, sempre del senatore Esposito, se fosse possibile comprendere prima la valenza del sodalizio criminale, vista anche la buona fama – lei addirittura ha parlato di autorevolezza – della cooperativa 29 giugno. Noi facciamo, ripeto, valutazioni penali. Dove abbiamo trovato la prova, o riteniamo di avere trovato la prova, della consapevolezza del sodalizio e dell'esistenza del sodalizio criminale negli interlocutori, abbiamo chiesto e ottenuto misure cautelari. Dove questa prova non c’è, non abbiamo fatto niente. Mettendo per un attimo da parte i ragionamenti da procuratore della Repubblica, se la cooperativa 29 giugno in passato – noi abbiamo sempre i due anni – pagava anche prima in varie forme – uso il termine «pagare» in senso ampio – le persone con cui si rapportava quest'autorevolezza forse meritava una revisione anche prima. Onorevole D'Uva, il protocollo di coordinamento con la DDA Lazio esiste ed era anche antecedente al mio arrivo. Ha funzionato – direi – bene. L'ultimo episodio è l'omicidio dell'avvocato Piccolino a Latina. Funziona bene in tutti e due i sensi, perché c’è stata subito un'interlocuzione con i colleghi di Cassino. In un primo momento, per le modalità dell'azione criminosa, abbiamo ritenuto plausibile e verosimile, anche più che verosimile, una competenza della DDA, cioè che si trattasse di un omicidio di mafia, ragion per cui abbiamo incardinato le indagini del procedimento presso la DDA. Contemporaneamente, però, abbiamo chiesto e ottenuto dal procuratore generale, che ha questo potere in base alla legge, l'applicazione del collega della procura di Cassino al procedimento, per sfruttare – per così dire – le risorse degli uffici che sono sul territorio, che magari meglio conoscono le singole realtà. Quando poi – quello è stato un caso, per così dire, fortunato – per merito principalmente delle forze di polizia, in questo caso delle squadre mobili, è stato individuato l'autore del reato e si è accertato che non si trattava di un omicidio Pag. 17di mafia e, quindi, di competenza della DDA, il processo è continuato regolarmente presso la procura di Cassino con lo stesso magistrato che l'aveva seguito fin dall'inizio, come applicato alla DDA di Roma. Questo mi sembra un esempio virtuoso. Io aspetto l'arrivo, ormai imminente, del dottor Salvi come procuratore generale di Roma, a cui chiederò, subito dopo le ferie, naturalmente, di riesaminare questo protocollo, che già esiste, perché ogni cosa può essere perfezionata alla luce dell'esperienza. Su cosa nostra a Roma non abbiamo elementi ulteriori rispetto a quelli che abbiamo illustrato con il collega Prestipino in occasioni precedenti, almeno allo stato. Il futuro può darsi che ci riservi ulteriori sorprese, ma allo stato non abbiamo moltissimo, qualcosa in termini di investimenti. Sul sindaco di Sacrofano la domanda era se ci siano altri casi di operatività della cosiddetta mafia capitale in provincia di Roma. Il caso di Sacrofano è molto particolare, perché è il comune in cui risiede Carminati, dove, quindi, aveva un interesse a essere particolarmente presente. Per esempio, però, è stato tratto in arresto anche il sindaco di Castelnuovo di Porto, per un'ipotesi non di mafia, ma di corruzione. La verità è che questa è un'associazione complessa e anche complicata, se vogliamo, in cui l'atteggiarsi, come abbiamo detto, o come vi ho afflitto con le virgolette della Cassazione, fra metodo mafioso in senso stretto e metodo corruttivo è continuo e variamente articolato. Il senatore Lumia ha chiesto se abbiamo trovato piste di riciclaggio. Questa è una vecchia storia. Io penso che tante volte noi abbiamo il riciclaggio sotto gli occhi, ma non contestiamo l'articolo 648-bis del codice penale. Fra qualche anno faremo un bilancio serio sull'autoriciclaggio, ma siamo ancora lontani. È troppo presto. In realtà, per quello che risulta a noi, innanzitutto i guadagni venivano reinvestiti nelle cooperative. Al di là di qualche cosa che sicuramente si saranno messi in tasca – ci sono tracce di investimenti, o meglio di volontà di investimenti di Carminati in Inghilterra e cose di questo genere – il grosso è certamente reinvestito nelle cooperative, che di cooperativo hanno soltanto il nome, sia chiaro. In realtà, si tratta di un'azienda in società fra Buzzi e Carminati. Questa è la sostanza. Continuiamo a dire «cooperative» per capirci. Mi pare anche logico e perfettamente rispondente a una mentalità imprenditoriale che, avendo un'impresa che va così bene, uno vi reinvesta gli utili. Non è senza significato il fatto, che mi permetto di ricordare, che in questo caso il tribunale della prevenzione di Roma, su richiesta della procura ovviamente, ha sequestrato da dicembre a oggi beni per un valore di circa 360 milioni di euro, che non saranno tantissimi, ma che non sono neanche pochi. Secondo me, la principale pista di riciclaggio, se per riciclaggio intendiamo il fenomeno economico e non l'articolo di legge, è il reinvestimento nelle stesse cooperative. C’è poi una suggestiva, ma non solo suggestiva, serie di intercettazioni che la Commissione conosce e che è riportata negli atti, di Odevaine, che voleva i soldi in Venezuela. Anche quel caso è interessante perché c’è una serie di intercettazioni in cui discutono a lungo con gli amministratori de La Cascina sulla difficoltà di eseguire i pagamenti delle tangenti aggirando le norme di contabilità. La Cascina ha dei limiti. Lui vorrebbe i contanti. Alla fine si risolvono a dargli i contanti, in linea di massima. Poi studiano – non sappiamo se e fino a che punto siano riusciti a farli – pagamenti estero su estero mascherati dietro l'acquisto di caffè o cose simili in Sudamerica. Questo è uno spunto di risposta alla domanda del senatore Lumia. Sui rapporti fra Carminati e servizi non posso dire nulla di più di quello che ho detto, e che ho riletto anche prima di venire qui, a dicembre, perché non è emerso altro. C’è quella lunga conversazione di Carminati con una persona sconosciuta da cui sembra chiaro che lui abbia fatto una serie di attività in Libano e in altri Paesi del Medio Oriente. Parliamo, però, di trenta e forse più anni fa. C’è una convinzione diffusa fra molti di coloro che sono stati intercettati che Carminati abbia legami con i servizi, ma di un'opinione diffusa si tratta e non di un Pag. 18fatto. Direi che non abbiamo altro di significativo. Sugli sviluppi dell'inchiesta ho cercato di rispondere senza dire niente...

  ELISA BULGARELLI. Questa è l'unica cosa chiara...

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Non mi dica che non sono chiaro, perché non me l'ha mai detto nessuno. Se non posso rispondere, non rispondo... Quanto ai rapporti con altre organizzazioni mafiose in città, questo è l'argomento che appassiona il mio collega Prestipino, che oggi non ha potuto esserci. In realtà, noi abbiamo nel processo un rapporto chiaro e netto con la ’ndrangheta. È inutile che vi ricordi la vicenda Campennì. Poi abbiamo un rapporto con Senese. Questo è tutto nella prima ordinanza. È inutile, penso, rivangarlo. C’è poi un rapporto più sfumato, su cui ci mancano proprio i dati fattuali, con cosa nostra nelle due persone di Diotallevi, il passato, e De Carlo, cui alla fine, come sapete, noi stessi abbiamo ritenuto di non avere gli elementi per contestare il reato di associazione mafiosa, pur se Diotallevi, cioè fonte autorevole, dice che, in realtà, sarebbe un protagonista di cosa nostra nella città di Roma. Emergono da intercettazioni e risultanze varie rapporti anche con i Fasciani e coi Casamonica, cioè con tutte le organizzazioni che, almeno finora, conosciamo operanti su Roma. Resta, quindi, confermato quello che credo di aver detto nella prima audizione con la Commissione, solo che allora si trattava più che altro di un'ipotesi, mentre ora abbiamo dei riscontri addirittura processuali: tra tutte queste organizzazioni mafiose che a Roma sono presenti, da un lato, con grandi investimenti e, dall'altro, con interessi nel traffico di stupefacenti e poi singolarmente su fasce di territorio o con le anomalie proprie di mafia capitale c’è un patto non scritto – non so se un giorno troveremo anche un contratto – di evitare gli scontri. Questo per i ragionamenti che abbiamo fatto tante volte, ossia che forme di violenza attirano l'attenzione degli organi di polizia, della magistratura, del Parlamento e dell'opinione pubblica e sono, quindi, controproducenti in un mercato che, invece, consente, dal punto di vista criminale, di fare magnificamente affari nei campi più vari. Alla domanda del senatore Molinari non sono in grado di rispondere. Non so. Non abbiamo trattato questo problema del decreto attuativo del 2005. Non è finito nelle nostre indagini. L'onorevole Manfredi chiede se si siano trovate ditte collegate che costituiscono il substrato delle cooperative. Io credo che, in linea di massima, per quello che emerge dalle nostre indagini, le cooperative di Buzzi fornissero un servizio completo, con un rimbalzo fra una cooperativa e l'altra e con collegamenti. Alcune volte, infatti, ci sono delle associazioni temporanee di imprese che concorrono, in cui entrano cooperative che non sono di Buzzi. Alcune volte abbiamo ritenuto indagate anch'esse. In qualche misura – diciamo così in senso atecnico – sono complici, ma qualche volta si atteggiano a vittime. Sono tutte posizioni che piano piano cercheremo di chiarire dal punto di vista del codice penale, ma io non credo che ci sia un grosso giro di subappalti come quello che si ipotizzava. Quanto alle domande della presidente, su continuità e discontinuità abbiamo detto che abbiamo risposto. Sugli incendi recenti e i furti si è ipotizzata anche una connessione con il furto di due pistole dal commissariato Viminale, che è competente per le indagini sugli incendi. Abbiamo iniziato le indagini. I relativi procedimenti sono stati da me assegnati a qualcuno dei sostituti titolari del procedimento Carminati proprio per verificare, ma siamo proprio all'inizio. Per quanto riguarda la denuncia di Buzzi nel 2010, l'ho sentita anch'io dalla stampa, in questa lettera o in connessione alla lettera al Papa. Faremo una ricerca. Fino a questo momento io almeno non ne so niente, né Buzzi l'aveva fatto presente tramite il suo difensore in tutti questi mesi. Può darsi anche che ci sia. Per quanto riguarda i funzionari Barletta e Acerbi, saranno certamente da noi sentiti. Peraltro, il dottor Pag. 19Barletta ha trasmesso in questi mesi numerose note, esposti-denunce relativi a fatti che ha accertato nelle sue attività più recenti. Non c’è alcuna difficoltà, naturalmente, da parte nostra acché la Commissione li senta anche prima di noi. Quanto al collegamento con le procure sul CARA di Mineo, come avevo detto l'altra volta e come ho accennato oggi, noi abbiamo fin dall'inizio, quando è emersa la problematica CARA di Mineo, instaurato un collegamento con la DDA di Catania per una logica procedimentale. L'interlocutore della DDA di Roma è la DDA di Catania. Peraltro, noi abbiamo lavorato sull'ipotesi di 416-bis, ragion per cui era ovvio interloquire. C'era stata una richiesta di atti all'inizio, dopo la prima ordinanza da parte della procura di Caltagirone. Onestamente, io non mi ricordo se abbiamo mandato una copia dell'ordinanza, che peraltro è pubblica, ma certamente abbiamo detto al collega titolare della procura di Caltagirone di raccordarsi con la DDA di Catania e, viceversa, abbiamo comunicato alla DDA di Catania – questo a dicembre – di aver ricevuto richieste di atti dalla procura di Caltagirone, chiedendo di collegarsi fra di loro. Noi continuiamo a interloquire con la procura di Catania. Così è stato per tutto questo tempo. Noi abbiamo trasmesso tutti gli atti, anche quelli in un primo momento omissati alla base della seconda ordinanza. Ci sono stati anche incontri, come è prassi in questi casi, fra magistrati sostituti di Roma – ho partecipato anch'io – e magistrati della procura di Catania. Si tratta, quindi, di un collegamento assolutamente positivo. Dal nostro punto di vista, per quali fatti e reati specifici proceda Catania lo posso capire dai giornali, ma certamente la Commissione l'ha chiesto e lo potrà chiedere al procuratore di Catania. Per quanto riguarda Roma, come risulta dall'ordinanza, noi abbiamo – in questo siamo stati privilegiati – le intercettazioni con cui si stipulano gli accordi corruttivi fra gli esponenti de La Cascina e il dottor Odevaine. Sotto questo profilo, senza particolari ulteriori difficoltà, noi abbiamo potuto contestare a Odevaine, da un lato, e agli amministratori de La Cascina i cui nomi ho citato ormai un paio d'ore fa, dall'altro, il reato di corruzione nelle sue varie sfaccettature e articolazioni, perché c’è un rapporto che va dal 2011 al 2014, nonché la turbativa d'asta. La corruzione è certamente commessa a Roma, perché i soldi sono materialmente consegnati lì. In alcuni casi la consegna dei denari è stata anche videoripresa, oppure si sente Odevaine che conta le banconote, mi pare. Per la turbativa d'asta la competenza è, se vogliamo, più incerta. Non c’è alcun problema fra noi e la procura di Catania. Noi abbiamo detto ai magistrati della procura di Catania – e non ho difficoltà a riferirlo in questa sede – che, nel momento in cui la procura di Catania dovesse fare una contestazione che non sia una mera iscrizione, valuteremo insieme la competenza e le eventuali connessioni. Certamente si deve fare in modo di avere un processo che tenga conto di tutte le carte a disposizione davanti al giudice competente ai sensi del codice di procedura penale. L'ultima domanda riguarda la regione, ma, allo stato, io non posso dire nulla di più di quello che è stato scritto e detto. Gramazio svolge quell'attività che ho brevemente sintetizzato e che peraltro la Commissione conosce, e per quello risponde di una specifica accusa di turbativa d'asta, perché l'accordo è raggiunto, anche se poi l'asta verrà bloccata all'ultimo minuto dalla stessa regione all'indomani degli arresti del 2 dicembre, e poi è ripresa. L'imputazione di 416-bis nei confronti di Gramazio copre uno spettro di condotte molto più ampio di quello soltanto della vicenda che chiamiamo «CUP» per semplicità, perché copre l'epoca in cui lui era il capogruppo della maggioranza di centrodestra della giunta Alemanno, una serie di condotte che non vale la pena di esaminare nel dettaglio. Ci sono riferimenti anche alla sua attività come consigliere regionale, ad esempio proprio nella vicenda di Sacrofano e così via. Quindi, la posizione di Gramazio è molto complessa e articolata con riferimento al 416-bis. Su Venafro, com’è noto e come risulta dagli atti, dopo che noi avevamo fatto la richiesta Pag. 20ritenendo di non avere ancora sufficienti elementi nei suoi confronti, c’è stato l'interrogatorio delle due funzionarie, che sono state iscritte come indagate di favoreggiamento e di false informazioni al pubblico ministero. Il punto cruciale era la sostituzione di Scozzafava come componente della commissione che doveva in sostanza garantire gli interessi rappresentati da Gramazio, ma in sostanza di Buzzi e Carminati. Il dottor Venafro si è presentato spontaneamente, ha reso le sue dichiarazioni che sono agli atti e che la Commissione quindi conosce, e contemporaneamente ha rassegnato le dimissioni. Noi abbiamo fatto – non vorrei sbagliare sui tempi delle notifiche, non so se è in corso di notifica o se sta per essere notificato o se è stato notificato – un avviso di conclusione indagini, ai sensi dell'articolo 415-bis, nei confronti del dottor Venafro, che prelude, come da legge, a un'eventuale richiesta di rinvio a giudizio per il reato di turbativa d'asta, a meno che nei venti giorni che il codice prevede debba fare presente circostanze che ci facciano cambiare idea. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, procuratore, e buon lavoro. Credo che torneremo a incontrarci per Ostia, quando ci sarà anche la disponibilità del dottor Prestipino, e anche per il sud Lazio, sul quale serve forse un approfondimento ulteriore. Quando parliamo con i procuratori auguriamo sempre buon lavoro, nella doppia speranza che non ce ne sia e che, se c’è, li trovi, come ci hanno abituati, presenti e operativi. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.