XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 50 di Giovedì 25 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti della società Soluzioni per il Sistema Economico – SO.S.E. s.p.a. sul processo di attuazione e aggiornamento concernente i fabbisogni standard di Regioni ed enti locali (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Brunello Giampietro , Amministratore delegato della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a ... 2 
Porcelli Francesco , Responsabile ricerca e sviluppo per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a ... 4 
Stradiotto Marco , Responsabile rapporti istituzionali per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a ... 9 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 10 
Stradiotto Marco , Responsabile rapporti istituzionali per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a ... 10 
Guerra Maria Cecilia  ... 10 
Stradiotto Marco , Responsabile rapporti istituzionali per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 
Fornaro Federico  ... 13 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 
Guerra Maria Cecilia  ... 13 
Porcelli Francesco , Responsabile ricerca e sviluppo per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a ... 13 
Guerra Maria Cecilia  ... 13 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 14 
De Menech Roger (PD)  ... 15 
Fornaro Federico  ... 16 
D'Incà Federico (M5S)  ... 16 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 17 
Porcelli Francesco , Responsabile ricerca e sviluppo per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a ... 17 
Stradiotto Marco , Responsabile rapporti istituzionali per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a ... 17 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Documentazione depositata dai rappresentanti della società Soluzioni per il Sistema Economico – SO.S.E. s.p.a. ... 19

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della società Soluzioni per il Sistema Economico – SO.S.E. s.p.a. sul processo di attuazione e aggiornamento concernente i fabbisogni standard di regioni ed enti locali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della società Soluzioni per il Sistema Economico – SO.S.E. s.p.a. sul processo di attuazione e aggiornamento concernente i fabbisogni standard di regioni ed enti locali.
  Come sapete, si tratta di un argomento ampiamente dibattuto da questa Commissione e in merito al quale ci siamo ripromessi di svolgere un aggiornamento costante.
  Ringrazio per essere intervenuti il dottor Giampietro Brunello, amministratore delegato della SO.S.E, e i suoi collaboratori – il dottor Francesco Porcelli e il dottor Marco Stradiotto – che conosciamo molto bene.
  Do la parola al dottor Brunello per la sua relazione, ringraziandolo ancora.

  GIAMPIETRO BRUNELLO, Amministratore delegato della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a. Farò solo una presentazione rapida, mentre, per quanto riguarda la parte tecnica, il professor Porcelli relazionerà sulla parte che riguarda i comuni e il dottor Stradiotto sulla parte che riguarda le province.
  A me interessa svolgere un rapido punto su quello che è stato fatto – l'ultima volta che ci siamo visti era a novembre dell'anno scorso – in questi primi sei mesi del 2015, e su che cosa rimane da fare.
  È stato completato il processo di approvazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, processo che, purtroppo, è mediamente molto lungo: occorrono sedici mesi, in media, e vorrei evidenziarlo, perché probabilmente è necessario rivedere il decreto legislativo n. 216 del 2010, per tutta la fase di approvazione, ma anche per lo snellimento della fase di acquisizione del questionario, come vedremo in seguito.
  Nel 2015, in base alla legge di stabilità per quest'anno, è stata attivata l'applicazione del fondo di solidarietà, sia pure limitatamente al 20 per cento – e qui devo fare un'osservazione – che ingenera molta confusione, soprattutto a livello di amministratori locali, perché in molti casi si ritiene che la situazione di decurtazione derivi dall'applicazione dei fabbisogni standard, quando è invece il risultato dei tagli che sono partiti in contemporanea. Infatti, il dottor Porcelli in seguito vi illustrerà come si muovono questi elementi. Tuttavia, una comunicazione, un intervento per rendere chiara questa situazione è fondamentale, altrimenti si rischia di dare ai fabbisogni standard delle colpe che in realtà non hanno.Pag. 3
  Inoltre – e ritengo che questa sia forse la parte più interessante di questi primi sei mesi – è stata attivata in maniera definitiva – anche utilizzando il Forum PA – il processo di divulgazione di opencivitas.it, che mette a disposizione degli amministratori locali uno strumento per avviare la revisione della spesa dal basso. È uno strumento molto democratico perché, consentendo di mettere a confronto le situazioni dei singoli enti con altri enti, effettuando le scelte ritenute più opportune da ogni amministratore, stimola un processo di miglioramento che parte dal basso.
  Se ciò venisse sviluppato anche con l'individuazione di obiettivi di tagli di spesa personalizzati, ente per ente, potrebbe portare, in un arco di tempo abbastanza breve, un miglioramento della spesa senza far perdere efficienza al sistema.
  Peraltro, in opencivitas.it abbiamo introdotto la rappresentazione dei livelli quantitativi di servizi che sono utili per capire dove si posiziona il singolo comune, quindi se deve migliorare o meno la quantità di servizi erogati. Il sistema però consente, nell'ambito della discrezionalità a livello locale, di fare degli interventi che comunque portano un processo virtuoso. Su questo sarebbe importante lavorare, per migliorare anche in termini di comunicazione e di indicazione che questo strumento sta funzionando.
  Noi, infatti, abbiamo programmato, nell'ultima parte del 2015, una serie di seminari a livello locale, prima con tre aree, per dare una prima comunicazione molto diffusa e generale e, poi, anche con interventi a livello regionale, per spiegare come si possono leggere e utilizzare questi strumenti.
  Abbiamo avviato, con la raccolta del questionario, l'aggiornamento dei dati. Evidenzio che, siccome i dati vengono utilizzati in termini di rapporti, non è che quelli del 2010, come molte volte si dice, sono vecchi e li rottamiamo. Sono sempre dati significativi, però non c’è dubbio che l'aggiornamento, soprattutto per quanto riguarda la spesa storica, è utilissimo, non tanto per i fabbisogni, poiché in tre anni non sono cambiate le situazioni degli elementi determinanti attraverso i quali noi abbiamo individuato i fabbisogni in maniera significativa.
  Devo ora sottolineare un passaggio importante. Come ho detto all'inizio, una volta usciti con la bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il percorso per arrivare all'approvazione e alla pubblicazione dello stesso è lungo, e qui abbiamo riscontrato una grande difficoltà nel raccogliere i questionari. Oggi, siamo al 74-75 per cento di questionari raccolti. Continuano ad arrivare, però molto lentamente. Evidentemente, non c’è un deterrente sufficiente per convincere i comuni a mandarli e non c’è una cultura adeguata per far capire che sono utili a loro.
  Questo dipende anche dal fatto che l'applicazione al fondo di solidarietà dei fabbisogni standard – il 20 per cento unito ai tagli – probabilmente ha deluso molti sindaci. È un cane che si mangia la coda, quindi in qualche maniera dovremmo trovare il modo di intervenire. Noi abbiamo immaginato una serie di interventi, anche di formazione di un certo tipo di cultura.
  L'aggiornamento annuale è stato introdotto negli ultimi decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che sono stati approvati e pubblicati, perché era parso un elemento importante, soprattutto per le attività sociali e, in particolare, per gli asili nido. La polemica innescata dai comuni del sud ha portato a questa situazione.
  Quindi, per consentire l'aggiornamento annuale è necessario uno snellimento del processo di approvazione. Sono proprio quei due elementi, la testa e la coda, cioè la raccolta dei dati e la pubblicazione, che oggi ci creano problemi. Se, però, vogliamo annualmente avere un aggiornamento efficace e che entra velocemente in circuito dobbiamo fare questo, modificare il decreto legislativo n. 216 del 2010.
  Per quanto riguarda le province, nei primi tre mesi – più che nei primi sei – c’è stato un lavoro pesantissimo per il riassetto finanziario delle province, tenuto conto della riforma che vede rimanere a Pag. 4carico delle aree vaste un numero ridotto di funzioni e il trasferimento di altre funzioni nelle città metropolitane.
  Qui evidenzio un elemento importante. Molti si chiedono che cosa ha significato, in termini di risparmio – e le polemiche ci sono – la riforma delle province e la loro abolizione, con l'inserimento degli enti di area vasta e le città metropolitane. Secondo me – è un suggerimento che, alla luce delle cose che abbiamo realizzato e delle esperienze che abbiamo accumulato in questi anni, mi sento di dare a questa Commissione – sarebbe importante utilizzare questo fatto per un riordino delle funzioni fondamentali e non fondamentali, attraverso la riallocazione dei servizi locali, in funzione di ottenere la massima efficienza. In tal modo, diamo una logica di efficientamento e di risparmio a livello complessivo.
  Noi abbiamo visto – non le abbiamo portate, perché avremmo ripetuto cose che vi avevamo già fatto vedere – che per molte funzioni c’è, in base alle dimensioni dell'ente, una fase di ottimizzazione a partire da certi livelli di dimensione.
  Gli enti di area vasta possono non solo rimanere efficaci per alcune funzioni – che sono quelle che sono loro rimaste delle vecchie province – ma possono diventare molto utili per rendere più efficiente il sistema dei servizi a livello locale, trasferendo alcune funzioni dal basso, cioè dai comuni agli enti di area vasta, facendoli funzionare come fossero delle unioni di comuni, come, di fatto, si sta avviando – a parte le città metropolitane – e magari «abbassando» alcune funzioni dalle regioni a questi organismi.
  Questo lavoro noi lo stiamo valutando e a me piacerebbe realizzare una monografia che individui i livelli di ottimizzazione che potremmo mettervi a disposizione partendo proprio dal lavoro che stiamo aggiornando per i comuni, che abbiamo già fatto per le province e che stiamo completando per le regioni.
  Infatti, noi abbiamo ripreso, per le regioni a statuto ordinario, l'attività, nel senso che c’è stata una serie di difficoltà di dialogo, per essere sinceri, con il Centro interregionale di studi e documentazione (CINSEDO) e i rappresentanti delle regioni: questo, oggi, dovrebbe essere finalmente superato, però rimane un problema di carattere generale delle regioni, cioè degli enti territoriali delle regioni a statuto speciale che, con la loro autonomia, anche se è previsto che venga fatto un monitoraggio, però di fatto non si è riusciti a far niente, perché queste regioni a statuto speciale hanno detto «niet». Non c’è dubbio che questo è disincentivante per le regioni a statuto ordinario e non è utile per il sistema Paese. Questo rimane un problema in sospeso, che vi segnalo.
  Un altro problema che rimane in sospeso è quello delle società partecipate. Noi abbiamo la mezza faccia della luna e l'altra faccia ci rimane sempre nascosta, che è quella delle società partecipate, che sono un numero rilevante. Ci sono degli studi, e alcune analisi, partendo dalla banca dati AIDA (Analisi informatizzata delle aziende); le abbiamo fatte anche noi. Evidentemente, però, diventa importante per il sistema Paese – se si vogliono creare strumenti di gestione, di ottimizzazione, di miglioramento della spesa e si vuole esaminare in maniera drastica anche quanto paga il contribuente a fronte di che cosa – affrontare il problema delle società partecipate.
  Ho accorciato la relazione, però i concetti di base che mi interessava offrire li ho esposti.
  Passerei, se il presidente lo consente, a considerare i comuni con l'intervento di Francesco Porcelli.

  FRANCESCO PORCELLI, Responsabile ricerca e sviluppo per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a. Buongiorno. Cercherò anch'io di essere il più breve possibile nell'esposizione.
  Il primo punto che vorrei affrontare in dettaglio è il processo dell'iter di approvazione dei fabbisogni standard. Come si può vedere, è un processo che segue diversi step: dopo la realizzazione dei questionari – e tutta la fase di elaborazione – c’è l'approvazione presso la Commissione Pag. 5tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF); dopodiché si redige il primo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; questo va in Conferenza Stato-città e, dopo questo passaggio, arriva nella Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale; dopo l'approvazione della Commissione bicamerale, se non ci sono modifiche, si va all'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri finale, che poi viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Se ci dovessero essere modifiche in Commissione bicamerale, o se questa recepisce alcuni aspetti della Conferenza Stato-città che modificano il provvedimento arrivato, bisogna ripartire dall'inizio con l'approvazione in sede di COPAFF.
  Questo è un processo che chiaramente voi conoscete e che io vi sintetizzo velocemente. La prima approvazione è stata quella concernente la polizia locale che – tutto sommato – non è stata lunghissima: dal 28 giugno 2012, data di approvazione in COPAFF, si è arrivati, con l'approvazione definitiva, al 21 dicembre 2012, quindi si è partiti abbastanza velocemente.
  Invece, quando si è andati all'approvazione dei quattro servizi riguardanti le funzioni generali, come vedete nella documentazione depositata, la fase tecnica si è conclusa il 20 dicembre 2012, mentre per arrivare all'approvazione definitiva del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si è dovuti giungere al 23 luglio 2014, quindi con un processo estremamente lungo che ha visto vari stop nelle fasi precedenti.
  Da ultimo, c’è stata l'approvazione definitiva dei fabbisogni standard, con l'ultimo gruppo di servizi, che è stata anche abbastanza lenta. In questo caso, si è conclusa l'approvazione della metodologia il 23 dicembre 2013 e si è arrivati a chiudere il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri finale il 27 marzo 2015 – l'ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri approvato – e si è ora in attesa della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  È chiaro che questo è un processo estremamente lungo e – tutto sommato e per fortuna – non si è mai dovuti tornare indietro, perché tutti i consigli e le migliorie richieste dalla Commissione bicamerale sono state inserite in corso d'opera, via via che si passava all'approvazione dei diversi gruppi di servizi, altrimenti il processo sarebbe stato probabilmente più lento. Quindi, soprattutto in relazione alle direttive che sono riferite al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 marzo 2015, per il quale la Commissione bicamerale richiede esplicitamente un aggiornamento annuale soprattutto per adeguare i livelli di servizio offerti nei servizi sociali, per gli asili nido e nell'istruzione, è chiaro che, dovendo procedere a un aggiornamento annuale, anche se non ci fosse un aggiornamento massivo della metodologia, è necessario comunque, a nostro avviso, cercare una procedura che snellisca il processo di approvazione, mantenendone centrale però i caratteri democratici, quindi mantenendo centrale il ruolo della discussione in Commissione bicamerale.
  Il secondo punto che vorremmo trattare in dettaglio è quello della prima applicazione dei fabbisogni standard. Siamo arrivati al 2015 con l'applicazione dei fabbisogni standard nel fondo di solidarietà comunale, che però ha visto l'introduzione di due elementi di innovazione.
  Il primo è l'introduzione di 1,2 miliardi di tagli, che si aggiungono ai 663 milioni di riduzioni di risorse precedenti, che chiaramente si sono scaricati sul fondo di solidarietà e ne hanno determinato una grossa modifica in termini di dotazione a favore dei comuni.
  Dopodiché, per i soli comuni delle regioni a statuto ordinario, è prevista una modifica dei criteri di riparto, in quanto l'80 per cento delle risorse è stato assegnato con il criterio della compensazione delle risorse storiche, mentre il 20 per cento è stato assegnato secondo la nuova metodologia, che ha la finalità di perequare sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali.Pag. 6
  Come dicevamo prima, la sovrapposizione di queste due modifiche ha ingenerato confusione nei comuni, in quanto questi hanno ricevuto minori risorse senza saper distinguere gli effetti della perequazione dagli effetti delle riduzioni delle risorse, che seguono criteri totalmente diversi. Quindi – come è stato detto prima anche dal dottor Brunello – noi cercheremo, per quelle che sono le nostre competenze, di fare chiarezza su quelli che sono i due effetti, la perequazione da un lato e i tagli dall'altro.
  Vediamo velocemente come funziona il fondo di solidarietà comunale nel 2015. Abbiamo allegato una prima slide, che vi dà l'idea dei numeri macro, quindi i numeri relativi aggregati ai 6.664 comuni delle regioni a statuto ordinario. Per capire come funziona il fondo di solidarietà nel 2015, bisogna vedere come funziona il processo di compensazione delle risorse storiche – che era il vecchio fondo di solidarietà, se vogliamo – e come funziona invece il nuovo meccanismo di perequazione sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali.
  Quindi, aggregando tutti i numeri dei comuni, in questa prima tabella trovate esemplificato il meccanismo di compensazione. Il meccanismo di compensazione è, tutto sommato, semplice: ogni comune ha come riferimento le sue risorse storiche, che in aggregato ammontano a 15 miliardi 677 milioni di euro, che si compongono del gettito IMU standard, del gettito TASI standard e poi di quello che, al 1o gennaio 2014, era l'apporto statale che consentiva appunto di compensare totalmente il passaggio dalla vecchia imposta sulla proprietà alla nuova IMU, che è il fondo netto storico. Dunque, la composizione di queste tre grandezze ci dà le risorse storiche di riferimento che ogni comune deve ricostituire secondo il criterio della compensazione, che è il criterio anche della spesa storica, se volete.
  Ogni comune, per legge, alimenta il fondo di solidarietà comunale con il 38,22 per cento dell'IMU, che in aggregato corrisponde a 4 miliardi 317 milioni di euro, quindi i comuni, in aggregato, hanno delle entrate proprie nette pari a 10 miliardi 270 milioni di euro, cioè IMU più TASI meno l'alimentazione del fondo di solidarietà comunale.
  Che cosa fa il fondo, alla fine ? Determina una dotazione per ogni comune tale per cui si riescano a ricostituire i 15 miliardi 677 milioni. Pertanto, la dotazione complessiva del fondo non è altro che la differenza tra le risorse storiche e le entrate proprie nette, che corrisponde a 5 miliardi 408 milioni di euro. Questi sono i numeri per tutti i comuni. Come vedete, i tagli non hanno nulla a che vedere con il processo di compensazione, perché arrivano dopo e vengono applicati con dei criteri specifici.
  Il meccanismo della perequazione è altrettanto semplice, a mio avviso, e funziona in modo similare a quello delle compensazioni, però ha dei punti di riferimento diversi: non più le risorse storiche, ma innanzitutto il fabbisogno standard e, poi, la capacità fiscale (le prime due righe della seconda tabella presente a pagina 8 della documentazione depositata).
  Perché si considera il fabbisogno standard al 45,8 per cento ? Perché la capacità fiscale complessiva, come avete riscontrato nelle audizioni sulla capacità fiscale, quota 30 miliardi di euro. Poiché le risorse di riferimento storiche sono IMU più TASI, circa 14,4 miliardi, se facciamo il rapporto tra IMU più TASI standard e la capacità fiscale complessiva, otteniamo il 45,8 per cento. Quindi, si è deciso di portare in perequazione il 45,8 per cento del fabbisogno standard e della capacità fiscale, non tutta la capacità fiscale.
  Sul piatto, dunque, i comuni mettono, per la perequazione, circa metà della loro capacità fiscale. Questa è stata una scelta politica, che chiaramente può essere modificata: si può andare al 100 per cento, si può anche ridurre come target di perequazione.
  Noi andiamo a perequare, rispetto al fabbisogno standard e alla capacità fiscale, al 45,8 per cento come risorse messe sul piatto. Poi, i comuni continuano ad alimentare il fondo con il 38,22 per cento Pag. 7dell'IMU, che ammonta a 4 miliardi 317 milioni di euro. Quindi, le entrate standard nette, a questo punto, sono la differenza tra la capacità fiscale e l'alimentazione del fondo, che corrispondono a 9 miliardi 692 milioni di euro.
  Di conseguenza, per fare la perequazione è necessario determinare un fondo di solidarietà standard, che è la differenza tra il fabbisogno standard e le entrate standard nette, cioè è un ammontare di risorse che serve a ricostituire per ogni comune un ammontare di risorse tale da finanziare il fabbisogno standard, che ammonta, in questo caso, a 4 miliardi 816 milioni di euro.
  Come si può vedere, manca un pezzo, perché 4 miliardi 816 milioni sono inferiori ai 5 miliardi 408 milioni del fondo storico. Avendo infatti abbassato il target della perequazione, i comuni, per chiudere il cerchio e operare la perequazione a risorse invariate, prendono 591 milioni di euro, che è il 54,2 per cento – cioè il 100 per cento del fondo netto storico meno il 45,8 per cento, che è il target della perequazione – per ricostituire, alla fine, i 5 miliardi 408 milioni di euro di dotazione.
  La perequazione viene quindi effettuata con un target che non è il 100 per cento, ma è il 45,8 per cento, che corrisponde alle risorse che attualmente sono all'interno del fondo. Si giunge poi alla fine del processo, laddove per costituire la dotazione del 2015 si prende l'80 per cento della dotazione del fondo di solidarietà, calcolato con il metodo storico (la riga G nella prima tabella di pagina 8 dell'allegato), si prende il 20 per cento della dotazione standard con target perequativo al 45,8 e si compone il fondo finale.
  Sino a questo punto, come vedete, non ci sono i tagli, perché i tagli sono del tutto estranei al processo di compensazione o di perequazione, in quanto seguono criteri di riparto totalmente diversi: una parte segue i criteri di riparto stabiliti nel decreto-legge n. 66 del 2014 e nel decreto-legge n. 95 del 2012, mentre i 1,2 miliardi di riduzioni di quest'anno seguono un altro criterio, quello di essere un taglio lineare sulle risorse storiche: si è tagliato circa il 7,2 per cento delle risorse storiche di ogni comune.
  In totale, i tagli applicati quest'anno ammontano a 1 miliardo 669 milioni di euro, cui poi si applicano 20 milioni di euro per sopravvenienze eventuali che possono incorrere nell'anno e il recupero sui terreni agricoli di 194 milioni di euro. Si giunge, alla fine, dove si vede che la dotazione – al netto dei tagli – del fondo di solidarietà comunale 2015, è 3 miliardi 524 milioni di euro. Quindi, alla fine di tutto il processo, i comuni versano come dotazione del fondo 4 miliardi 317 milioni di euro e portano a casa 3 miliardi 524 milioni di euro. La differenza è l'effetto dei tagli sulle risorse dei comuni.
  Invece, l'effetto delle perequazioni è zero, perché la perequazione è un gioco a somma zero, nel senso che sposta risorse da una parte di comuni all'altra, per effetto della perequazione che è orizzontale, non determinando però una variazione netta di risorse a carico del comparto.
  In una slide successiva allegata – non la commento – trovate lo stesso calcolo per il comune di Vicenza, uno dei comuni risultato più virtuoso in relazione ai fabbisogni standard. Infatti, vedete nell'ultimo rigo di pagina 9 dell'allegato che l'effetto della perequazione premia il comune di Vicenza, che dalla stessa guadagna circa 365.000 euro. È chiaro, però, che questo comune si è trovato di fronte a un ammontare di tagli estremamente più alto (circa 3,7 milioni), quindi se non si spiega bene il processo della perequazione, separato dal processo dei tagli, si genera confusione o si potrebbero attribuire benissimo i 3,7 milioni alla perequazione, se si guarda solo il risultato finale. Il comune vede solo l'ultimo numero – cioè qual è la dotazione finale – sul sito del Ministero dell'interno; non vede tutto il processo sottostante.
  Mi avvio a illustrare l'ultima parte della mia relazione. Una domanda molto importante che è venuta dalla Commissione bicamerale, ma anche dal mondo politico e accademico in generale, è se i Pag. 8fabbisogni standard possano essere usati come strumento per stimolare l'efficienza. La risposta – l'abbiamo data più volte – è un «ni», perché i fabbisogni standard servono a giudicare la quantità della spesa, ma non la qualità, e poi hanno bisogno di un supporto di divulgazione per diventare anche uno strumento di revisione della spesa.
  Questo lo abbiamo fatto tramite OpenCivitas, dove abbiamo affiancato al confronto tra fabbisogno standard e spesa storica un'analisi sui servizi offerti dai comuni, attraverso un indicatore che noi chiamiamo «livelli quantitativi delle prestazioni». Incrociando queste due informazioni, possiamo dire se effettivamente un comune riesce in qualche modo o, al contrario, non riesce a soddisfare la domanda dei propri cittadini, tenendo conto anche di quanto fa pagare i propri servizi.
  Tutto questo è stato convogliato all'interno di OpenCivitas, con l'auspicio di riuscire a coinvolgere il più possibile la cittadinanza e creare questo processo democratico dal basso, che abbiamo chiamato appunto spending review – o revisione della spesa – dal basso, il tutto convogliato all'interno di questo sito. Se non l'avete già fatto, vi esortiamo a consultarlo, soprattutto per individuare eventuali elementi di miglioramento.
  Cosa si intende per revisione della spesa dal basso ? Noi abbiamo preso l'esempio di due comuni, Reggio Calabria e Reggio Emilia. Sino a un mese fa i cittadini in OpenCivitas potevano vedere la spesa storica dei due comuni. Chiaramente si vede come Reggio Emilia abbia una spesa storica più alta, 128 milioni di euro, rispetto a Reggio Calabria: di per sé, questo non significa nulla, perché la prima domanda che si pone è quale sia la popolazione dei due comuni. Se un comune è molto più grande, è chiaro che si giustifica la spesa.
  Se andiamo a vedere la popolazione, i due comuni sono molto simili. Addirittura Reggio Calabria ha più abitanti di Reggio Emilia. Quindi, l'analisi più semplice che può essere fatta, cioè la spesa pro capite, ci dice che Reggio Emilia, effettivamente, per abitanti spende più di Reggio Calabria. Ciò significa che Reggio Emilia, in qualche modo, è meno virtuosa di Reggio Calabria ? Assolutamente no, tant’è vero che per avere la possibilità di capire quale dei due comuni effettivamente spenda di più, dobbiamo avere un punto di riferimento, per capire, a parità di condizioni, quale comune stia spendendo di più e quale di meno. Ebbene, questo punto di riferimento è il fabbisogno standard, che null'altro è che la spesa media dei comuni simili a quello che stiamo analizzando.
  Se andiamo a considerare il fabbisogno standard dei due comuni, abbiamo questi numeri. Il fabbisogno standard di Reggio Emilia è 131 milioni di euro; il fabbisogno standard di Reggio Calabria è 124 milioni di euro. Se facciamo la differenza tra fabbisogno standard e spesa storica, vediamo che Reggio Emilia spende l'1,95 per cento in meno del suo fabbisogno; Reggio Calabria spende il 16,3 per cento in meno del fabbisogno. Effettivamente, dunque, entrambi i comuni stanno spendendo meno del proprio fabbisogno.
  Ma il fatto che Reggio Calabria spenda molto meno di Reggio Emilia significa che è più virtuosa ? Qui ci eravamo fermati l'ultima volta che ci siamo visti. Adesso siamo andati avanti e abbiamo messo a confronto, con questo differenziale sulla spesa, il differenziale tra i servizi offerti dal comune e l'ammontare standard dei servizi. L'ammontare standard è il livello dei servizi mediamente offerti dai comuni simili, simili a Reggio Emilia e simili a Reggio Calabria.
  Ecco, vediamo una cosa estremamente importante: Reggio Emilia offre il 15 per cento in più dei servizi rispetto allo standard, cioè rispetto alla media dei comuni con gli stessi abitanti, lo stesso grado di occupazione o di disagio sociale, la stessa struttura morfologica di Reggio Emilia; Reggio Calabria, invece, offre il 22 per cento in meno dei servizi rispetto allo standard. È chiaro che, andando a incrociare queste due informazioni, il nostro meccanismo che è molto semplice – fa sostanzialmente una media tra queste due grandezze – ci consente di ottenere un Pag. 9rating di quanto i due comuni riescano a soddisfare la domanda dei rispettivi cittadini delle due cittadinanze.
  Tale rating, che abbiamo appunto chiamato «livello quantitativo delle prestazioni», mette insieme i differenziali di spesa con i differenziali di output e, molto semplicemente, offre un punteggio, da zero a dieci, che ci dà una visione più completa della situazione.
  Infatti, vediamo che Reggio Emilia effettivamente performa meglio di Reggio Calabria, in quanto ha un punteggio di 7,2 rispetto a 4,4. Ciò ribalta quello che sarebbe stato un giudizio approssimativo, espresso solo nei confronti della spesa.
  Tutto questo è convogliato all'interno di OpenCivitas e noi cercheremo in qualche modo di divulgarlo il più possibile.
  Scorro molto velocemente le restanti slide allegate.
  Una situazione che noi dobbiamo superare è chiaramente il processo di avvicinamento al cento per cento della perequazione, da non confondere con il 45,8, poiché questo può essere un numero che rimarrà costante per sempre, perché quello è il target della perequazione, cioè quante risorse i comuni vogliono mettere nella condivisione o nel processo di solidarietà della perequazione.
  Invece, il processo che va dal 20 al 100 per cento è, via via, il passaggio graduale dal meccanismo storico al meccanismo standard, quindi si tratta, via via, di abbandonare quel processo di compensazione, che è quello che, in teoria, dovrebbe procedere a un ritmo di un 10-20 per cento all'anno. Chiaramente sarà la politica a deciderlo.
  Poi c’è il processo di aggiornamento dei fabbisogni standard.
  Nelle slide successive allegate trovate delle risposte alle domande che voi avete posto. Rispetto ad alcune, ci stiamo attrezzando per rispondere. Stiamo aumentando l'utilizzo delle funzioni di costo e stiamo cercando di passare dal costo standard medio al costo standard minimo, per darvi anche una seconda leva che è un'indicazione di efficienza nell'offerta dei servizi.
  Inoltre, stiamo cercando di attrezzarci per darvi un'altra risposta, cioè come restringere eventualmente l'attribuzione del fabbisogno in alcuni servizi che solo una parte dei comuni offre. È il tipico caso del trasporto pubblico locale, degli asili nido (già fatto) e dei servizi sociali.
  Stiamo altresì tentando di rispondere a una serie di domande che ci vengono dalle amministrazioni locali, ossia cercare di implementare l'aggiornamento annuale di cui diceva prima il dottor Brunello. Vogliamo semplificare le note metodologiche, per dare a voi, ma anche agli amministratori, una chiave di lettura più immediata già all'interno delle note metodologiche. Inoltre, stiamo implementando dei seminari di informazione per cercare di rendere questi argomenti più digeribili. Intendiamo anche semplificare i questionari, perché vogliamo arrivare a un mini-questionario, in quanto i piccoli comuni, soprattutto, hanno difficoltà a compilare il questionario così come è strutturato.
  Una domanda, invece, la lasciamo a voi: qual è la governance delle relazioni istituzionali ? A questo non possiamo rispondere noi. Noi sappiamo che la COPAFF ha avuto un ruolo importante e chiediamo a voi quale sarà il ruolo della COPAFF in futuro. Chiaramente noi abbiamo bisogno di un referente istituzionale che, al momento, è in parte depotenziato.
  Chiediamo a voi, inoltre, come snellire il processo di approvazione dei fabbisogni standard.
  Lascio brevemente, adesso, la parola a Marco Stradiotto sulla parte concernente le province.

  MARCO STRADIOTTO, Responsabile rapporti istituzionali per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a. Come SO.S.E siamo stati incaricati, dalla legge di stabilità per il 2015, in particolare dal comma 418 dell'articolo unico, ma anche dal comma 423 del medesimo articolo, di fornire il nostro supporto nel processo di riordino degli enti locali.
  In modo particolare, il suddetto comma 418 chiede a SO.S.E il supporto tecnico Pag. 10per valutare quale poteva essere il modo migliore per ripartire il taglio di un miliardo di euro previsto per tutte le province – poi è stato deciso che per le province delle regioni a statuto ordinario equivaleva a 900 milioni – e, relativamente al citato comma 423, il supporto tecnico per la riorganizzazione delle province.
  Noi abbiamo dato il nostro supporto tecnico, tentando di superare la logica dei tagli lineari che, con vari metodi, erano stati adottati – anche se non erano proprio lineari – con i decreti-legge n. 95 del 2012 e n. 66 del 2014; quindi siamo andati a valutare, innanzitutto, quale fosse la situazione delle province delle regioni a statuto ordinario.
  In particolare, abbiamo fatto questo tipo di valutazione: partendo dalla legge n. 56 del 2014, ossia dalla cosiddetta legge Delrio, abbiamo valutato quali sono le funzioni fondamentali – che quindi, in quanto fondamentali, verranno finanziate con le risorse proprie delle province – e quelle che, invece, sono le funzioni non fondamentali che, ovviamente, verranno destinate alle regioni o ai comuni o ad altre situazioni ancora (sto pensando, in particolare, al mercato del lavoro, che in teoria – almeno questo si dice – dovrebbe finire a carico dell'Agenzia del lavoro, legato alla riforma del lavoro).
  Noi abbiamo valutato, innanzitutto, quali fossero le necessità di ogni provincia. Da questo punto di vista, considerando quelle che sono le cinque funzioni fondamentali che restano alle province – la funzione istruzione pubblica, la funzione strade e territorio, la funzione ambiente, la funzione trasporto e quello che resta delle funzioni generali – siamo andati a stimare quella che poteva essere la spesa storica efficientata.
  Sull'istruzione pubblica abbiamo riscontrato – ovviamente questo è il dato in aggregato, perché, poi, in ogni provincia la situazione è diversificata – che in alcuni casi province spendono sull'istruzione pubblica storicamente meno di quello che potrebbe essere un livello di efficientamento e altre spendono di più.
  Lo stesso discorso vale per quanto riguarda strade e territorio...

  GIOVANNI PAGLIA. A che anno sono riferiti ?

  MARCO STRADIOTTO, Responsabile rapporti istituzionali per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a. Questi sono i dati riferiti al 2012.
  Noi siamo andati a verificare questo aspetto, ovviamente, aggiornando la spesa alla situazione a seguito dei tagli che vi erano stati anche precedentemente.
  Abbiamo riscontrato che su istruzione pubblica e su strade e territorio c’è poco margine di efficientamento, mentre un po’ di più ce n’è sull'ambiente. Sui trasporti abbiamo calcolato al netto, ovviamente, dei trasferimenti regionali per il trasporto pubblico: se la provincia riceve i trasferimenti dalla regione e, a sua volta, li dà all'azienda di trasporto, quel tipo di valore è stato nettizzato.
  Quella delle funzioni generali è la parte nella quale deve essere realizzata la maggiore riorganizzazione. Questo è il vero punto della riforma che dovrà essere messa in atto.
  Dopo aver valutato questa spesa efficientata, l'abbiamo confrontata con la capacità fiscale...

  MARIA CECILIA GUERRA. (fuori microfono) Perché efficientata ? Sulla base di cosa ?

  MARCO STRADIOTTO, Responsabile rapporti istituzionali per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a. Abbiamo statisticamente valutato la spesa provincia per provincia, rispetto a dei «regressori» che abbiamo, e quindi a delle determinanti. Ad esempio, per quanto riguarda le scuole, la nota metodologica è pubblicata e dimostra a tutti gli effetti che noi abbiamo affrontato, nel valutare, anche le situazioni climatiche e via dicendo. Ma questo non è il fabbisogno standard, è una cosa diversa, perché noi non potevamo fare il fabbisogno Pag. 11standard sul 2012, perché non ci era ancora stato approvato. Quindi, abbiamo svolto questo lavoro valutando quel tipo di variabili.
  Abbiamo cercato di capire qual è la possibilità e quale la capacità fiscale su cui le province possono contare. Nella prima colonna del grafico presente a pagina 20 dell'allegato leggete la capacità fiscale media, quindi la capacità fiscale storica e la capacità fiscale massima. Come si può vedere, le province sono quasi tutte a livello massimo di sforzo fiscale, sia per quanto riguarda l'RC Auto, sia per quanto riguarda l'IPT (Imposta provinciale sulla trascrizione) e un po’ meno per quanto riguarda il tributo per i servizi di protezione e tutela dell'igiene ambientale.
  Andiamo a vedere i numeri, partendo dalle entrate. Per quanto riguarda le entrate delle province sui tributi propri (cioè RC Auto, imposta provinciale sulla trascrizione e tributo ambientale) portati al massimo – abbiamo fatto questo tipo di ragionamento: avendo questa situazione non potevamo pensare di prendere la media, perché avrebbe significato non avere le risorse per tentare di fare un confronto – cioè come se la colonna arancione fosse al pari con la colonna verde chiaro, per tutte e tre queste imposte l'entrata massima possibile è di 3 miliardi 710 milioni di euro. A questi vanno aggiunti 97 milioni di euro di entrate extratributarie e 9 milioni di euro di trasferimenti statali non fiscalizzati che danno una dotazione massima per le province, per quanto riguarda l'anno 2015, pari a 3 miliardi 817 milioni di euro.
  Per quanto riguarda le spese, sulla base della spesa corrente standardizzata efficientata, per le cinque funzioni fondamentali citate prima, cui abbiamo aggiunto gli interessi, abbiamo un totale di 2 miliardi 360 milioni. A questi abbiamo aggiunto i tagli che già derivavano da provvedimenti legislativi precedenti, perché ormai il fondo di riequilibrio non dava più nulla alle province, anzi i citati decreti-legge n. 95 del 2012 e n. 66 del 2014 toglievano loro 772 milioni di euro. Questa cifra va dunque sommata, perché questi 772 milioni vengono prelevati dalla capacità fiscale.
  Noi abbiamo trovato che disponibili per i tagli c'erano 684 milioni di euro. Questo vuol dire che il taglio dei 900 milioni, in teoria già per il 2015, è eccessivo, perché può essere assorbito sulla base di un meccanismo che non parte dai tagli lineari, ma che fa un ragionamento sulla vera necessità che hanno le province. Su questo, quando parliamo di viabilità, quei 770 milioni di euro che noi troviamo di spesa «efficientata» fatta negli anni scorsi per manutenere le strade più gli interessi, è la spesa sufficiente per manutenere le strade e fare in modo che le strade siano messe in condizioni di manutenzione ottima ? No.
  Noi abbiamo lavorato sulla spesa corrente e sappiamo che, molto spesso, la manutenzione, anche quella ordinaria delle strade, è stata fatta ed è fatta in questi anni – quando c’è la possibilità – usando spese per investimenti. Anche lo stesso manto d'usura, spesso, viene realizzato utilizzando spese in conto capitale.
  Rispetto a questo, abbiamo organizzato un gruppo tecnico – e vorremmo farlo anche sulle scuole – perché vogliamo definire quello che può essere il costo standard per la manutenzione delle strade, in maniera che, qualunque cosa deciderà la parte politica relativamente alle competenze delle province su strade o su altro, si sappia che la manutenzione delle strade in Italia, per quanto riguarda la rete stradale delle province, vale «x». Credo che sia la cosa migliore per potervi mettere nelle condizioni, nel corso dei prossimi mesi e dei prossimi anni, di scegliere nel modo migliore cosa fare e come fare determinate scelte politiche relativamente a tagli o a risorse da assegnare.
  Da questo quadro risulta che, in questo modo, noi avremmo dovuto dire di fermarci qua, nel senso che, dei 900 milioni, 684 milioni è possibile recuperarli dal confronto capacità fiscale su spesa efficientata, ma, ovviamente, bisognava trovare gli altri 215 per arrivare a 900. Rispetto a questo, sulla base anche di un Pag. 12ragionamento fatto con la parte politica, si è detto che i 215 milioni li avremmo ripartiti su tutta la spesa, confrontando quindi la spesa media del triennio 2010-2012, depurata ovviamente di alcune voci, con il fabbisogno standard.
  In quel modo, vi è stata la ripartizione dei 215 milioni di euro. Cito un esempio: quando noi leggiamo sui quotidiani il caso della città metropolitana di Milano, ma anche altri casi, ebbene, siccome Milano aveva già pagato molto con i tagli dei citati decreti n. 66 e n. 95, in base al metodo da noi adottato risultava che, in teoria, Milano quest'anno non avrebbe avuto tagli.
  Le scelte politiche successive (quindi Conferenza Stato-città, confronto ANCI e UPI) hanno portato che, per quanto riguarda la parte successiva, quindi i 684 milioni, hanno trovato una ripartizione dei tagli che, in quel caso, ha coinvolto Milano e altre province o altre città metropolitane, che pagano di più in termini di tagli rispetto alle previsioni iniziali.
  C’è stato, però, un accordo fra sindaci e su questo noi, ovviamente, non mettiamo bocca.
  Noi abbiamo espresso un parere tecnico in merito al mantenimento di generale equilibrio finanziario per il 2015, sempre che la riforma Delrio venga attuata nel più breve tempo possibile. Quel tipo di valutazione noi l'abbiamo fatta pensando e immaginando che alcune funzioni vengano destinate da altra parte: la polizia provinciale, il mercato del lavoro, la formazione professionale. Come vedete, le stime le abbiamo fatte sulle funzioni fondamentali previste dalla legge n. 56 del 2014. Se le funzioni fondamentali continuano a stare in carico alle province, noi non possiamo garantire che con quei tagli la cosa possa stare in piedi, ma questa è una responsabilità del decisore politico.
  Su questa questione c’è da tenere in conto che per il 2015 esiste quella norma che permette di diluire, quindi di non pagare quest'anno, le rate dei mutui, sia per quanto riguarda la parte interessi sia la parte in conto capitale, con la Cassa depositi e prestiti. Questo permette di avere una boccata di ossigeno di circa 450 milioni nel 2015, che noi valutiamo utili, perché sappiamo che anche lo spostamento del personale e via dicendo non può avvenire nel corso di pochi mesi. Però, finita questa riserva, questa risorsa, questo «ammortizzatore», è chiaro che il problema c’è.
  Abbiamo fatto un esercizio, per dimostrarlo a voi della Commissione, per vedere cosa sarebbe accaduto se noi avessimo fatto il taglio sulla base del decreto n. 66 del 2014. Ad esempio, uno degli elementi che è stato valutato è stato quello degli alunni con disabilità nelle scuole superiori statali, un altro gli interventi manutentivi ordinari, un altro i metri quadri degli immobili scolastici situati in zona climatica fredda, un altro i chilometri di strada in territorio montano. Ovviamente, quando si parla di tagli lineari, si rischia di tagliare di più quando si spende di più, ma non è detto che spendere di più sia spendere male.
  Per esempio, nel nostro caso succede che quando noi troviamo alunni con disabilità il taglio – come si vede nella tabella a pagina 24 dell'allegato – diminuisce, cioè è inferiore di 2.940 euro per alunno, mentre, per la medesima fattispecie, ci sarebbero stati 1.486 euro di taglio in più con il meccanismo del predetto decreto-legge n. 66 del 2014 e 1.132 euro di taglio in più nel caso del decreto-legge n. 95 del 2012. Per gli interventi manutentivi ordinari nelle scuole superiori statali, con il meccanismo di riparto del taglio non lineare, effettuato in base alla legge n. 190 del 2014, abbiamo 648 euro in meno di tagli – ovviamente l'attività di manutenzione la riteniamo positiva – mentre con i meccanismi precedenti c'erano 282 euro di taglio maggiore nel caso del decreto n. 66 del 2014 e 41 euro in più di taglio con il meccanismo del decreto n. 95 del 2012 (l'azzurro vuol dire riconoscere risorse in più, il rosso vuol dire taglio).
  Lo stesso vale per quanto riguarda i metri quadri di immobili scolastici e i chilometri di strada in territorio montano. I meccanismi precedenti penalizzavano chi aveva strade in territorio montano, mentre Pag. 13il nostro meccanismo ha previsto di agevolare situazioni di questo tipo. Ci fermiamo qui, sperando di aver dato alcune risposte.

  PRESIDENTE. La prima cosa che mi sento di dire è che, sebbene noi dovremmo essere gli addetti ai lavori, se il federalismo aveva l'obiettivo di rendere trasparenti e chiari i meccanismi di distribuzione delle risorse, oggettivamente credo che questa missione non sia stata compiuta. Si fa decisamente fatica, anche per il circolo esoterico degli addetti ai lavori, a ricostruire i passaggi.

  FEDERICO FORNARO. Intervengo sull'ordine dei lavori. Ringrazio gli auditi, perché mi sembra che ci siano stati forniti molti dati e molti spunti di riflessione. Siccome, peraltro, sono assenti – per diversi motivi – alcuni colleghi che si sono occupati in particolare della questione delle province, su cui, con grande eleganza, nel documento si dice che ci saranno nel brevissimo periodo i rischi di dissesto, e siccome i segnali che stanno arrivando da moltissime province sono che non ci sono rischi di dissesto, quindi ci sono molti argomenti su cui ragionare, la mia richiesta è di aggiornare la Commissione.
  Pertanto, dovremmo chiedere agli ospiti la cortesia di ritornare, per poter avviare un confronto nel merito di una serie di questioni che meritano un approfondimento e non fermarci inevitabilmente alla superficie. Ricordo, infatti, che alle 9.30 dobbiamo garantire il numero legale, essendo oggi una giornata abbastanza delicata e particolare.
  Questa è la mia proposta sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Sicuramente chiederemo questa disponibilità.

  MARIA CECILIA GUERRA. Ringrazio molto gli auditi per l'esposizione, pur in una difficoltà, che chiaramente non dipende da voi, a capire un quadro in cui si sono sommate vicende diverse (un processo che era partito in un modo, poi i tagli eccetera), quindi è oggettivamente molto difficile capire.
  È chiaro a tutti che passare da un criterio di riparto ad altri comporta un problema di gestione sul singolo ente, quindi credo che questo comporti queste scelte di aggiustamenti che rendono il quadro particolarmente complesso, se capisco bene. Mi chiedevo, però, quale esito darebbe un passaggio a un unico criterio di riparto, cioè quello della perequazione sulla base dei fabbisogni.

  FRANCESCO PORCELLI, Responsabile ricerca e sviluppo per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a. Su 30 miliardi di euro di capacità fiscale, la perequazione a regime sposta, nel comparto dei comuni, 1,2 miliardi da una parte all'altra; quindi, l'ammontare finanziario, immaginando a regime tutto al 100 per cento, è circa 1,2 miliardi su 30, proprio perché fabbisogni standard e capacità fiscali si compensano. I fabbisogni standard, infatti, tirano un po’ verso il nord, dove i costi dei servizi sono più alti, i servizi sono più complessi da offrire, o sono a volte di più, mentre la capacità fiscale sposta la coperta verso il sud. Le due voci, secondo me, devono viaggiare insieme, altrimenti il meccanismo crolla.
  A regime, con questo sistema, con la perequazione al 45,8, quindi abbassando il target, in media si produce uno spostamento del 4 per cento; in media, cioè, i comuni vincono o perdono il 4 per cento. Gli spostamenti, quindi, non sono ancora enormi, però è chiaro che sta al decisore politico spingere l'acceleratore o tirare il freno con queste leve del target della perequazione, che dà la possibilità di accelerare o decelerare.

  MARIA CECILIA GUERRA. Credo che questo sia molto importante per noi, anche per capire se è giusto spingere in una direzione. I problemi che presenta ancora non tanto la metodologia, ma l'insieme fra metodologia e dati, li abbiamo discussi e sono evidenti. Qui c’è una duplicazione di criteri.Pag. 14
  Anche il criterio in base alla compensazione delle risorse storiche è sempre un criterio che fa riferimento a un'approssimazione di concerto e di capacità fiscale: si duplicano due criteri diversi, si dà da una parte, si prende il 45,8 per cento di una capacità fiscale calcolata con l'incidenza di alcune imposte, mentre la capacità fiscale è calcolata con l'incidenza di altre.
  Non è una critica a voi, sia chiaro, però per noi avere questo quadro di diverse modalità di applicazione, passare al 100 per cento tutto il fabbisogno e via dicendo, sarebbe effettivamente molto utile.
  Immagino che lo abbiate fatto, ma sarebbe importante anche capire i dati «più estremi» di modificazione su singoli comuni, giusto per capire se la questione è gestibile o no politicamente. Mi sembra molto interessante questo passo ulteriore che avete fatto, di cui ci avete dato un'anticipazione con l'esempio del confronto tra Reggio Emilia e Reggio Calabria. Evidentemente, qui si capisce il limite della nuova metodologia – ma lo sappiamo – cioè il fatto di avere un fabbisogno che non è esattamente un indicatore di efficienza. Lo ripeto, partiamo dallo storico, il miglioramento c’è tutto, anche di conoscenza; è comunque un focus interessante. Soprattutto, nell'idea che abbiamo sempre ribadito di poter utilizzare questo vostro lavoro anche come benchmarking, è chiaro che questo processo è molto importante. Anche per noi, nel momento in cui esso sostiene una redistribuzione sui fabbisogni, si tratta di andare poi a vedere dei condizionamenti, perché questa redistribuzione si traduca in un miglioramento dell'offerta dei servizi, altrimenti non è chiaro cosa stiamo facendo.
  Infine, su questa storia delle province, che è altrettanto importante, qui emergono 215 milioni di euro che ballano, e sono un'assurdità. In più, se ho capito bene, la battuta che avete fatto sulle strade è fuori da questo discorso. Non avevo capito se nel calcolare la spesa standardizzata avete già tenuto conto della sottovalutazione dello storico oppure no. Non ho capito in che senso andava la battuta.

  GIOVANNI PAGLIA. In realtà, la senatrice Guerra ha anticipato la prima domanda che intendevo rivolgere. Anche io, infatti, vorrei capire quanto in realtà sposti questa questione del 20-80. È chiaro che quando il dato che ci viene posto è quello di Vicenza – che ci viene descritto come un comune particolarmente virtuoso, se ho capito bene – e ci viene riferito che la variazione ammonta a 300.000 euro sul bilancio del comune, la prima osservazione che viene da fare è che, allora, avremmo potuto anche lasciare tutto il mondo com'era, stare sulla spesa storica, perché 300.000 euro sul bilancio del comune di Vicenza non sono risorse. Capisco che possano sembrarlo, ma non sono risorse vere, tanto più rispetto a un quadro di tagli per 3,8 milioni di euro. Considerati i 3,8 milioni di tagli, i 300.000 euro di teorico vantaggio non fanno pensare a un'operazione che abbia un senso politico.
  Credo, invece, che sia interessante la tabella relativa al confronto tra Reggio Emilia e Reggio Calabria. Dello studio che ci avete portato oggi, credo che questa sia l'unica tabella comprensibile a un pubblico minimamente più vasto di questa Commissione (e forse anche dentro questa Commissione, almeno parlo di me). Questa è l'unica tabella che chiunque può capire, ed è politicamente rilevante.
  Tuttavia, al riguardo ho qualche perplessità che vi pongo e che vorrei chiarire. In primo luogo, quando si dice che Reggio Emilia ha un'offerta di servizi molto più elevata, vorrei capire se voi tenete conto anche della spesa aggiuntiva messa in campo dai cittadini con oneri extra fiscali o meno. Se a Reggio Emilia si possono offrire più asili nido è perché la gente può permettersi di pagare 600 euro per mandarci il figlio: temo che a Reggio Calabria, se si dovesse pagare 600 euro a figlio, si potrebbero anche offrire tutti gli asili nido di Reggio Emilia, ma li si dovrebbe chiudere.
  Se non teniamo conto di questo, una tabella del genere non vuol dire assolutamente niente. Certo, Reggio Emilia offre più servizi di Reggio Calabria, perché la gente li può pagare. Quindi, se non avete Pag. 15tenuto conto di questo, la tabella rischia semplicemente di dare una falsa informazione. Se, invece, all'interno c’è anche la spesa extra fiscale, che però – di fatto – è fiscale, il discorso è diverso.
  Inoltre, quello che si vede è che Reggio Calabria, rispetto alle risorse di cui avrebbe bisogno, ne ha molte meno di Reggio Emilia. Con riferimento alle province, per quanto mi dicono – e comunque mi sembra evidente – da quando hanno avuto i tagli, in realtà stanno sparendo i servizi, mentre rimane la spesa di manutenzione della burocrazia. In altre parole, se a Reggio Calabria mancano 20 milioni di euro rispetto al necessario, è ovvio che non offrirà mai servizi, ma non significa che è inefficiente. Reggio Calabria non può dare servizi, perché se si assorbono la maggior parte delle risorse disponibili nella spesa di mantenimento della macchina, non si possono dare i servizi.
  Mi dicono che le province, attualmente, stanno funzionando più o meno in questa maniera e sono diventate l'ente più inefficiente e inefficace della storia umana, probabilmente perché, oltre a mantenere se stesse, non fanno nulla. Ma non è una responsabilità della provincia che, non potendo intervenire sulla macchina, è costretta a tagliare i servizi.
  Mi chiedo se e come questi elementi siano stati tenuti in considerazione, altrimenti una tabella che mi dice che Reggio Emilia ha meno risorse, ma riesce a dare moltissimi servizi e Reggio Calabria ha ancora meno risorse però è totalmente inefficiente o inefficace sul piano dello promozione di servizi, apparentemente potrebbe avallare in un reggiano – cioè in un mio quasi-concittadino – l'idea che la sua città sia ottimamente amministrata e che, invece, i reggini siano quello che appaiono essere nell'immaginario collettivo, cioè persone che sprecano risorse. La tabella, se letta in modo immediato, dice questo, ma io ho l'impressione che non sia esattamente così.

  ROGER DE MENECH. Credo che il punto di svolta rispetto a tutti i numeri che oggi abbiamo visto sia stabilire finalmente, nel Paese, i livelli che vogliamo garantire ai cittadini. Giustamente, abbiamo fatto passi avanti da gigante – e ringrazio per la relazione – rispetto alla quantificazione dei fabbisogni e allo stato dell'arte, cioè di quello che c’è oggi in Italia. Secondo me, uno Stato che ha un minimo di ambizione stabilisce il livello minimo che vuole garantire ai suoi cittadini, costruisce il costo di quel livello minimo e assegna le risorse opportune per garantire il pagamento di quel costo che deve garantire un livello minimo.
  Questa è la sfida. Dico questo perché dentro la teoria delle province questo lavoro, in maniera più puntuale, è stato fatto. Per le strade, ad esempio, abbiamo un livello esistente – poiché è molto complicato dire che domani amplieremo la rete stradale del 40 per cento – che è il livello che riusciamo a garantire della viabilità. Su quel livello dobbiamo costruire un costo e dobbiamo garantire alle province il trasferimento delle risorse necessarie al mantenimento di quel livello di servizi, in questo caso le strade. Cito un esempio banale, però, partendo dalle province, dovremmo iniziare a mettere sul piatto questi concetti.
  Il vero problema delle province è che se noi – sono d'accordo con il collega Paglia – non togliamo alle province quel carico di funzioni che, oggi, sono in bilico non riusciremo a mantenere il livello di servizio delle strade: per pagare cose che non c'entrano, o che teoricamente non c'entrano niente, la provincia taglia i servizi.
  Allora, dobbiamo velocemente stabilire non tanto dove vanno a finire le funzioni e le competenze. Abbiamo parlato del lavoro, della polizia e via dicendo. A questo punto, interessa quasi poco dove quelle vanno a finire, poiché siamo sicuri che quelle funzioni dobbiamo comunque finanziarle: dopo decideremo dove vanno a finire, a questo punto, però, dobbiamo finanziarle. Diversamente, il rischio è che per pagare quelle funzioni, che non sono fra le fondamentali, noi perdiamo i servizi fondamentali e sprechiamo un buon lavoro Pag. 16fatto rispetto ai costi e ai livelli minimi di servizio che su alcune funzioni delle province sono già definiti.
  Al presidente, da deputato, dico che, siccome abbiamo la fortuna che il cosiddetto decreto-legge enti locali è stato incardinato al Senato, io dedicherei il prossimo incontro della Commissione – che è bicamerale, quindi riunisce deputati e senatori – a quel decreto, così ne discutiamo e possiamo dare qualche suggerimento, confrontandoci. Peraltro, il decreto ha un unico grande difetto, quello di non affrontare e non risolvere questo tema.
  Quello che più mi interessa – in questo momento di emergenza – è che il decreto non riesce ad affrontare il tema di queste funzioni delle province, allocandole dove si vuole, purché si scarichi il peso delle province. Ora, noi siamo una Commissione bicamerale e sappiamo benissimo che il provvedimento, al 95 per cento, sarà aperto e chiuso al Senato e i deputati non lo toccheranno. Il relatore dovrebbe essere un membro della Commissione, mi pare di capire. Vedremo in questi giorni chi farà da relatore, ma mi pare di capire che può essere anche una nostra collega di Commissione. Quindi, la prossima settimana potremmo prevedere un momento di approfondimento per cercare di capire se riusciamo a fare una sintesi con il contributo anche dei deputati.

  FEDERICO FORNARO. Prima di andare via – chiedo scusa, ma abbiamo un impegno – vorrei chiedere un focus sui comuni incapienti: sono 650 e stanno crescendo. Come ho già detto, non è una questione facilmente spiegabile ai cittadini.

  FEDERICO D'INCÀ. Ringrazio i rappresentanti di SO.S.E per l'ottima spiegazione. Ho trovato molto interessanti i dati riportati, in particolare perché in tal modo si offre alla parte politica la possibilità di scegliere. Di fatto, oggi, voi ci date la possibilità di scegliere meccanismi di gestione del nostro Paese. Per questo vi ringrazio.
  Il problema, secondo me, è spiegare che questo comporta delle variazioni per i nostri comuni, ad esempio, a fronte di un taglio per i nostri comuni di 1.669 milioni di euro. Di fatto, se voi non spiegate bene ai comuni che questa cosa serve, i comuni pensano che non serva a nulla, non perché non hanno capito il cambiamento – la perequazione e così via –, ma perché il taglio porta via risorse importanti, quindi escono fuori i 365.000 euro di Vicenza che sono effettivamente poca cosa, ma non era la base di partenza che il fondo di perequazione gestiva. Quindi, secondo me, questo va detto ai nostri comuni.
  Inoltre, come abbiamo visto nel corso del tempo, siamo al 20 per cento, ma occorre passare al 100 per cento. Se siamo interessati a chiudere questo lavoro, nella prossima legge di stabilità, le forze politiche che hanno comunque espresso parere favorevole, devono mettere in campo la volontà politica di passare al 100 per cento.
  Un'altra problematica – soprattutto richiamata dal dottor Stradiotto – è quella degli asili nido. Se non spieghiamo bene la questione degli asili nido, ci torna indietro come un boomerang. Occorre definire che non vi siano persone che, poi, utilizzano la vecchia storia del nord, del sud, e – alla fine – viene fuori che gli asili nido perdono 700 milioni di euro, che non è vero. Per molti di noi è sorto un problema, a causa di alcuni giornalisti che hanno utilizzato questo argomento per finalità politiche successive.
  Come Commissione bicamerale abbiamo chiesto (a pagina 14 del documento di SO.S.E.), come diceva anche il collega De Menech, l'individuazione dei LEP. Andiamo verso una gestione di quei punti che mancano e che la Commissione bicamerale ha chiesto. Mi riferisco, sempre nella stessa pagina, alla sottolineatura del fatto che mancano il trasporto pubblico locale, asili nido e una parte dei servizi sociali, laddove noi stessi, come parte politica, abbiamo chiesto di non riportare un'applicazione su quella parte.
  Quindi, vi chiedo un'attenzione particolare.

Pag. 17

  PRESIDENTE. Faccio un ultimo inciso che ho già sollevato in precedenti sedute. Non entro nel merito circa l'opportunità di avere, di fatto, utilizzato più o meno la metà della capacità di perequazione. L'individuazione del 45,8 per cento è stata una scelta che non c’è in nessuna norma, una scelta di opportunità che, senza supporto normativo, è stata fatta per evitare probabilmente certi risultati. Così facendo, quel 20 per cento di cui parla l'onorevole D'Incà – e mi sembra che l'abbia proposto la forza politica che egli rappresenta, passando dal 10 al 20 per cento – è stato riportato automaticamente al 10, tanto per intenderci.
  Non so se l'occasione per intervenire sarà l'esame sul decreto-legge degli enti locali, però, che si operi una distribuzione di risorse in assenza di un supporto normativo – rispetto a questa dimensione, nel momento in cui essa è ritenuta opportuna – credo che non sia una cosa molto normale, soprattutto perché viene definita partendo dalle capacità fiscali. Ma, questo, inevitabilmente, si traduce anche nel 45,8 per cento dei fabbisogni, e questo è ancora più grave perché, mentre c’è una giustificazione sulle capacità fiscali, non vi è giustificazione alcuna per quanto riguarda i fabbisogni standard.
  Chiusa questa parentesi, io non so se sarà l'occasione il suddetto decreto-legge, ma se non ci ha pensato il Governo, dovrà pensarci il Parlamento a discutere e a ratificare questa dimensione.
  Raccolgo i suggerimenti che sono venuti. Credo che ci sarà occasione per rivederci e per aggiornarci su questi temi. Peraltro, la senatrice Zanoni, che è un'appassionata della materia, vorrà sicuramente partecipare, dal momento che oggi non le è stato possibile.
  Do la parola agli auditi per la replica.

  FRANCESCO PORCELLI, Responsabile ricerca e sviluppo per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a. Vorrei rispondere brevemente con alcuni numeri. La senatrice Guerra – purtroppo ora non c’è – chiedeva qual è il comune che perde di più. Il comune che perde di più, attualmente, con questo meccanismo al 45,8 per cento, è Portofino, che perde il 10 per cento della sua IMU e della sua TASI, per effetto della perequazione. Nessuno in Italia perde più di Portofino.
  Per quanto riguarda Vicenza, con riferimento all'osservazione del senatore Paglia, dicevamo che circa 300.000 euro potrebbero sembrare pochi, però si riferiscono alla situazione attuale. Se noi li proiettiamo a regime dobbiamo fare un calcolo molto semplice: moltiplicare 300.000 euro per cinque e poi per due, quindi 300.000 per dieci significa 3 milioni di euro, che chiaramente a regime avrebbero eliminato il problema.
  Tuttavia, da una parte l'ispirazione della legge n. 42 del 2009 dice che bisogna farlo con gradualità – e questa è un po’ la gradualità che si vuole inserire – e dall'altra c’è sempre l'accordo politico con la controparte, cioè l'ANCI, quindi i sindaci, che chiaramente vogliono un'applicazione il più possibile graduale, per rimanere ancorati alla spesa storica e arrivare gradualmente al fabbisogno standard. Questo crea inevitabilmente delle piccole variazioni in più e delle piccole variazioni in meno, ma questo è terreno più che altro politico. Le leve ci sono per fare di più o di meno. Il punto è sempre questo.

  MARCO STRADIOTTO, Responsabile rapporti istituzionali per la spesa pubblica della società SO.S.E – Soluzioni per il Sistema Economico s.p.a. Rispondo velocemente alla senatrice Maria Cecilia Guerra. Relativamente alle strade, noi abbiamo stimato, rispetto alla spesa storica, l'efficientamento di quella spesa. Quando, però, abbiamo incontrato le province attraverso gli osservatori regionali, in molti ci hanno detto che stanno mettendo in sicurezza le strade provinciali, tappando le buche com’è possibile e, in alcuni, casi abbassando i limiti di velocità, perché non riescono a fare la manutenzione che serve.
  Dunque, il loro discorso è questo: se voi ci monitorate solo la spesa corrente e noi, sulla base del decreto legislativo n. 216 del 2010, solo quello dobbiamo fare – quindi Pag. 18in prospettiva chiediamo che ci sia la possibilità di verificare anche la spesa in conto capitale – rischiate di non avere il quadro preciso di quella che è la nostra spesa per quanto riguarda la manutenzione strade.
  Da qui, diciamo che nella nostra stima di spesa efficientata degli 800 milioni – che è la spesa corrente più interessi – non siamo certi che ci sia la manutenzione svolta a regola d'arte. In base a questo, abbiamo in corso un gruppo di lavoro e, nell'arco dei prossimi mesi, vi proporremo quello che potrebbe essere un costo standard per manutenere le diverse strade provinciali.
  Sulla questione che riguarda Vicenza – solo per rendere l'idea, sebbene il dottor Porcelli abbia già dato la spiegazione – in quel caso significherebbe che Vicenza, quest'anno, non avrebbe avuto tagli. Con una perequazione al 100 per cento – quasi 1,7 miliardi – quest'anno Vicenza non avrebbe avuto tagli. Sarà poco, però è l'idea di iniziare a riequilibrare una coperta che, probabilmente, era spostata da un lato.
  Il tema è che, purtroppo, questo sistema si sta applicando basandosi su cinque anni fa, quando c'erano sul piatto 8 miliardi di euro in più. Se la perequazione fosse fatta come previsto dal citato decreto n. 216 del 2010, cioè sul sistema verticale e non orizzontale fra comuni – qui abbiamo un sistema orizzontale fra comuni al contrario, perché i comuni danno 600 milioni allo Stato – sicuramente la situazione sarebbe diversa. Questo è l'effetto delle diverse leggi di stabilità che si sono succedute negli anni, che hanno portato a questo tipo di situazione.
  Infine, per rispondere all'onorevole D'Incà, la questione degli asili nido viene risolta sulla base di quello che è stato integrato – sulla discussione che avete fatto in Commissione bicamerale e che, poi, è stata accolta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che prevede che per i servizi sociali, la scuola e quindi, in particolare, anche gli asili nido, vengano rivisti i fabbisogni ogni anno. Avendo realizzato una funzione di costo, che quindi coglie in ogni comune la variazione del servizio da un anno all'altro, se i comuni che non hanno asili nido, nel frattempo, attivano il servizio di asilo nido, quel fabbisogno viene loro riconosciuto. A nostro modo di vedere – come tecnici, non entriamo nel merito della parte politica – è un modo positivo di svolgere una revisione della spesa. Se è quello che noi avevamo riscontrato in alcuni comuni, che avevano pochi servizi sociali, ma spendevano molto in affari generali, forse avere uno stimolo di questo tipo può essere utile laddove, se si attiva un asilo nido, si sa che dall'anno successivo viene riconosciuto il fabbisogno standard.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti – che ormai sono diventati consuetudinari – per il loro intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.

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