XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Mercoledì 10 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

Audizione del presidente dell'INPS, professor Tito Boeri, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 857  e abbinate in materia di accesso dei lavoratori e delle lavoratrici ai trattamenti pensionistici e di riconoscimento a fini previdenziali dei lavori di cura familiare (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 7 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 8 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 10 
Rizzetto Walter (Misto-AL)  ... 11 
Simonetti Roberto (LNA)  ... 12 
Incerti Antonella (PD)  ... 12 
Maestri Patrizia (PD)  ... 13 
Ciprini Tiziana (M5S)  ... 13 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 13 
Baruffi Davide (PD)  ... 14 
Giacobbe Anna (PD)  ... 14 
Tinagli Irene (PD)  ... 15 
Damiano Cesare , Presidente ... 15 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 15 
Crudo Antonello , Direttore centrale pensioni dell'INPS ... 18 
Uselli Gabriele , Direttore centrale posizione assicurativa dell'INPS ... 20 
Damiano Cesare , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente dell'INPS, professor Tito Boeri, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 857 e abbinate in materia di accesso dei lavoratori e delle lavoratrici ai trattamenti pensionistici e di riconoscimento a fini previdenziali dei lavori di cura familiare.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del presidente dell'INPS, professor Tito Boeri, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 857 e abbinate in materia di accesso dei lavoratori e delle lavoratrici ai trattamenti pensionistici e di riconoscimento a fini previdenziali dei lavori di cura familiare.
  Nel ringraziare il professor Boeri per la sua disponibilità, ricordo che si tratta della seconda audizione svolta nell'ambito dell'attività istruttoria deliberata dalla Commissione, che proseguirà con l'audizione di rappresentanti delle parti sociali.
  Della delegazione dell'INPS fanno parte il dottor Antonello Crudo, Direttore centrale pensioni, e il dottor Gabriele Uselli, Direttore centrale posizione assicurativa, che ringrazio per la loro presenza e per l'alto livello della delegazione.
  Faccio presente che, dopo la relazione del Presidente dell'INPS, potrà intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni un rappresentante per gruppo. Successivamente, in relazione ai tempi disponibili, potranno avere luogo gli ulteriori interventi dei deputati che intendano prendere la parola. Prego pertanto i componenti della Commissione di segnalare anticipatamente alla Presidenza l'intenzione di intervenire.
  Nel ringraziarlo ancora una volta per la sua presenza, do la parola al professor Boeri.

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Grazie, presidente. Dato il tempo limitato, l'importanza dei temi e il numero di proposte di legge che abbiamo dovuto analizzare, andrò subito a discuterle.
  Mi lasci dire inizialmente che esiste un comune denominatore delle diverse proposte di legge che sono state sottoposte alla nostra attenzione, cioè quello di garantire ai lavoratori maggiore flessibilità in uscita verso il sistema pensionistico. Credo che la scelta di garantire una maggiore flessibilità abbia diverse ragioni a supporto e diverse giustificazioni.
  La prima è che la rigidità che oggi si impone ai lavoratori ricadenti nel sistema retributivo e nel sistema misto è in contraddizione con il trattamento che verrà riservato ai lavoratori ricadenti nel sistema contributivo puro, i quali avranno la possibilità di avere maggiore flessibilità quanto all'uscita verso la pensione. Peraltro, questa flessibilità, nell'ambito di un sistema contributivo, è una flessibilità sostenibile. Si può quindi permettere una Pag. 4certa libertà di scelta ai lavoratori. Verso la fine della carriera lavorativa le esigenze sono le più diverse. Se è possibile ed è sostenibile garantire maggiore libertà di scelta ai lavoratori, credo che sia opportuno concedere loro questa possibilità.
  La seconda ragione è più legata alla contingenza della crisi che abbiamo af-frontato. È stata una crisi diversa dalle crisi precedenti per quanto riguarda la risposta del mercato del lavoro. Normalmente durante le crisi e le recessioni di una certa intensità si assisteva a una riduzione dell'offerta di lavoro, con persone che tendevano a uscire dal mercato del lavoro verso l'inattività. Questa volta invece abbiamo assistito a una crisi che è andata di pari passo con un aumento del tasso di partecipazione alla forza lavoro, in controtendenza rispetto a ciò che è accaduto in altri Paesi come, per esempio, gli Stati Uniti.
  In un contesto in cui la domanda di lavoro calava, il fenomeno dell'aumento dell'offerta di lavoro, assieme alla riduzione della domanda di lavoro, ha creato molte pressioni sulla disoccupazione, in particolare sulla disoccupazione giovanile. Se fino al 2007-2008 assistevamo a un fenomeno tale per cui l'aumento della partecipazione dei lavoratori con più di 55 anni andava di pari passo con una riduzione della disoccupazione giovanile, negli anni più recenti abbiamo assistito al fenomeno opposto, cioè al fatto che il continuo innalzamento del tasso di occupazione sopra i 55 anni, legato in gran parte all'irrigidimento delle condizioni di accesso alle pensioni, si è accompagnato a un aumento della disoccupazione giovanile.
  In questo contesto di domanda di lavoro decrescente, c’è stato anche un problema di conflitto nell'accesso al mercato del lavoro che ha penalizzato particolarmente i giovani. Affrontare questo problema è particolarmente importante, ma credo che le ragioni vadano al di là della congiuntura. Come ripeto, i sistemi che abbiamo adottato nel nostro Paese da ormai vent'anni sono tali da darci la possibilità di avere una certa flessibilità e non si vede perché privare i lavoratori di questa opzione.
  Dall'altro lato, le controindicazioni – e alla luce di questo svolgeremo le nostre osservazioni sulle proposte che ci sono state sottoposte – sono legate alla sostenibilità di questi interventi. Bisogna stare molto attenti a non tornare al passato. Noi abbiamo una lunga tradizione di interventi che hanno permesso alle persone di anticipare il proprio ritiro dalla vita attiva a condizioni estremamente vantaggiose, gravando sulle generazioni successive.
  Questa tradizione l'abbiamo documentata come INPS in un'operazione che abbiamo chiamato «Porte aperte», che segnala molti casi di gestioni e di condizioni di favore che sono state concesse ad alcune categorie di lavoratori in passato e che oggi gravano fortemente sui contribuenti. Bisogna stare quindi molto attenti, nel momento in cui si concede la flessibilità, al fatto che questa flessibilità sia sostenibile e non gravi sulle generazioni future.
  Detto questo, credo che si possano raggruppare le proposte che sono state sottoposte alla nostra attenzione in quattro gruppi fondamentali. Le prime sono proposte che tendono a introdurre, in relazione agli importi delle pensioni, penalizzazioni o incrementi, una volta superata l'età di pensionamento di vecchiaia, agendo su requisiti in parte anagrafici e in parte contributivi.
  Un secondo gruppo di proposte, invece, reintroduce un meccanismo di quote in cui si combinano requisiti anagrafici e requisiti contributivi, senza prevedere penalizzazioni per l'importo delle pensioni.
  Un terzo tipo di proposte è invece nello spirito dell’«opzione donna» che è già in vigore nel nostro ordinamento. È più un’«opzione uomo» per certi aspetti, ma vi dirò perché a breve. Fondamentalmente tali proposte subordinano la flessibilità al passaggio al sistema contributivo.
  Infine, abbiamo le proposte della cosiddetta «staffetta generazionale», che Pag. 5comportano un patto tra un lavoratore in uscita part-time dal mercato del lavoro e un lavoratore in ingresso.
  Partirei dal primo tipo di proposte, tra cui chiaramente emerge il disegno di legge C. 857 del 2013, che è quello più approfondito. Esso prevede che i lavoratori con almeno 35 anni di contributi e che abbiano maturato un importo pensionistico pari ad almeno 1,5 volte l'assegno sociale possano andare in pensione a partire da 62 anni, con riduzioni che nella generalità dei casi sono del 2 per cento per ogni anno di anticipo rispetto all'età normale di pensionamento.
  Queste riduzioni vengono applicate sul massimo conseguibile avendo i requisiti pieni per la pensione di vecchiaia. Le osservazioni che si possono fare su questa proposta, che certamente va nella direzione della flessibilità alla luce dei ragionamenti svolti in precedenza, riguardano innanzitutto il fatto che le riduzioni non sono di tipo attuariale. In altre parole non sono riduzioni neutre dal punto di vista del bilancio dello Stato.
  In realtà, queste riduzioni sono al di sotto di quelle che sarebbero richieste per far sì che un'operazione di questo tipo non gravi sul debito pensionistico o, in altre parole, sul bilancio intertemporale del nostro sistema pensionistico.
  Per certi aspetti richiamano – ma ancora di più lo fa il secondo tipo di proposte – le pensioni d'anzianità che erano in vigore nel nostro ordinamento. Peraltro, qui non ci sarebbe più il meccanismo delle finestre, meccanismo che ritardava le uscite e riduceva gli oneri dell'operazione per la finanza pubblica.
  I requisiti per la maturazione dei diritti sono più favorevoli di quelli che erano originariamente previsti dalla legge n. 247 del 2007 perché non c’è il sistema delle quote. In compenso però c’è una riduzione degli ammontari e ci sono anche incrementi dopo i 66 o 67 anni, riconosciuti anche nell'ambito di un sistema retributivo che di per sé già garantisce tassi di rendimento molto elevati, soprattutto in rapporto a quelli del sistema contributivo. Alle persone che ritardano il pensionamento si dà un trattamento davvero molto vantaggioso.
  Ci sono anche altri interventi sulla speranza di vita. Più che altro si tende a evitare incertezze riguardo al meccanismo di aggiustamento delle speranze di vita, introducendo un aggiustamento secco di tre mesi. Credo che siano correttivi che corrompono gli automatismi del nostro sistema. C’è un certo rischio nel procedere a operazioni di questo tipo perché nel nostro ordinamento abbiamo introdotto meccanismi che si adeguano automaticamente all'andamento della demografia.
  Se noi corrompiamo questo principio e a priori decidiamo che si devono aumentare i requisiti di tre mesi, cosa succederebbe se un domani le dinamiche demografiche fossero tali da non fare aumentare la speranza di vita così fortemente come in passato, cosa che peraltro molti demografi sottolineano ? A quel punto ci dovrebbe essere forse un intervento del legislatore. Riporteremmo il problema nel campo del confronto politico e sappiamo che ci sono voluti tantissimi anni per operare gli aggiustamenti che hanno reso più sostenibile il nostro sistema pensionistico.
  Abbiamo alcuni rilievi più specifici che vi comunicheremo successivamente nonché alcune proposte. Sugli aspetti più tecnici abbiamo anche formulato proposte di riscrittura, che crediamo interpretino meglio la volontà del legislatore.
  Per esempio, non si capisce bene se questo requisito di una volta e mezzo l'assegno minimo si applichi alla pensione maturanda o alla pensione una volta applicate le riduzioni. Non è del tutto chiaro il principio per cui si pone un limite d'età massimo, anche nel settore privato, a 70 anni. La ratio non è del tutto chiarita.
  Ci sembra di capire che questa riduzione venga applicata alla prestazione virtuale, quindi ai contributi, e questo è molto generoso. Si applica pensando che la persona lavori e arrivi alla pensione di vecchiaia pagando i contributi e solo a questo livello della pensione vengono attuate le riduzioni attuariali.Pag. 6
  I costi di questa operazione sono ingenti. Secondo le nostre stime, se tale opzione dovesse essere presa in considerazione da tutti coloro che maturano i requisiti e ci dovesse essere un'uscita al 100 per cento non appena i requisiti vengano maturati, avremmo un disavanzo annuale che arriverebbe fino a un onere massimo di 8,5 miliardi di euro. Come ripeto, non sono costi attuarialmente neutri. Vale a dire che disavanzi più ampi oggi non verranno compensati da disavanzi più bassi in futuro, in modo tale da compensare dal punto di vista attuariale questi esborsi iniziali.
  Passiamo al secondo tipo di proposte. Queste sono riconducibili principalmente alla proposta di legge Damiano C. 2945. Il meccanismo delle quote prevede quota 100 per i lavoratori dipendenti e quota 101 per i lavoratori autonomi, con un'anzianità contributiva di 35 anni e un'anzianità anagrafica di almeno 62 anni. Nel testo attuale sembrerebbe che le persone non maturino mai il requisito per la pensione di vecchiaia, ma immaginiamo sia semplicemente un problema tecnico di scrittura. Nella riscrittura proponiamo un modo per superare questo problema, perché non crediamo che fosse intenzione del legislatore arrivare a questo esito.
  Anche qui c’è il meccanismo fisso relativo alla speranza di vita anziché l'aggancio automatico, con i rilievi che dicevo prima. È un'operazione nello spirito del ripristino delle pensioni d'anzianità, senza avere le finestre, e non casualmente tende ad avere costi molto elevati. Secondo le nostre stime, nel punto massimo questo intervento arriverebbe a costare 10,6 miliardi di euro nel 2019.
  Una proposta simile è quella contenuta nella proposta di legge Prataviera C. 2955, che prevede, peraltro, un'uscita con requisiti anagrafici ancora più leggeri, a 58 anni. Non abbiamo fatto stime sui costi di quest'altro intervento, ma la presunzione, date le sue caratteristiche, è che sia ancora più costoso di quello che ho appena ricordato.
  Passiamo ai meccanismi che tendono a ripristinare l’«opzione donna» e a estenderla anche a lavoratori di sesso maschile. Qui i requisiti che vengono imposti sono di natura contributiva: 35 anni di contributi. Mi limiterei a osservare – è un rilievo che, a mio giudizio, si applica anche all’«opzione donna» – che nelle carriere lavorative femminili sono molto frequenti le interruzioni di carriera e, pertanto, la previsione di un requisito di 35 anni per l'accesso all’«opzione donna» è molto restrittiva.
  Nel momento in cui si considerano opzioni per la flessibilità principalmente rivolte alla lavoratrici, credo che occorra stare molto attenti a non imporre requisiti contributivi estremamente stringenti perché altrimenti la platea diventerebbe molto limitata. In questo caso, tra l'altro, non ci sono minimi e forse questo si spiega con i requisiti contributivi così stringenti. È un problema perché l'imposizione di minimi, come sapete bene, ha la funzione di evitare che queste persone vadano in pensione troppo presto e si debba compensare l'importo troppo basso della loro pensione con altri trattamenti di natura assistenziale, gravando così sul bilancio pubblico.
  In generale, la filosofia di questo intervento è in gran parte condivisibile perché tende ad abbracciare il sistema contributivo e ad agganciarsi al trattamento che verrà riservato alle generazioni che avevano meno di 18 anni di contributi nel 1996 o che saranno integralmente nel sistema contributivo. Per i vostri riferimenti, la possibilità di riprendere l’«opzione donna» è nella proposta di legge C. 2046.
  Infine, il quarto tipo di proposte è quello della «staffetta generazionale». Questi testi prevedono un'uscita parziale dal mercato del lavoro con il passaggio a un lavoro a tempo parziale e una riduzione del salario, ma con il continuo versamento dei contributi da parte del lavoratore e del datore di lavoro fino al raggiungimento dell'età per la pensione di vecchiaia.
  Viene però previsto a vari livelli un intervento della fiscalità generale. Questo è un intervento che comporta dei costi fiscali Pag. 7legati alla contribuzione del lavoratore e in alcuni casi anche del datore di lavoro perché, nel caso di assunzioni con contratto a tempo indeterminato, sono previste agevolazioni. Ci sarebbero, quindi, degli oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. I dettagli sono ancora insufficienti per compiere un'approfondita valutazione dei costi di questa operazione, ma chiaramente i costi ci sono.
  È un'operazione che inoltre pone alcuni interrogativi sulla sua attuazione, nel senso che il meccanismo in base al quale si concede questo trattamento a un lavoratore che esce, in cambio del fatto che ci sia un altro lavoratore che entra, mette in atto uno scambio difficilmente gestibile a livello d'impresa e di singoli individui.
  La disponibilità dei singoli individui potrebbe essere subordinata a condizioni che vengono imposte, come ad esempio condizioni ereditarie. Meccanismi che comportassero turnover «dinastici», tali per cui è il padre che lascia il posto al figlio, sarebbero altamente distorsivi perché non necessariamente le abilità del lavoratore si trasferiscono dai genitori ai figli.
  Inoltre ci si potrebbe porre interrogativi sul messaggio culturale che un meccanismo di questo tipo, fissato per legge anziché in un accordo siglato in una singola azienda o in contesti specifici, trasmette al pubblico. In generale, il messaggio è che i lavoratori anziani e i lavoratori giovani sono perfettamente sostituibili tra loro, che se riduciamo il tempo di lavoro di uno e aumentiamo il tempo di lavoro dell'altro non c’è alcun effetto per quanto riguarda la vita dell'impresa e che, infine, per certi aspetti è bene che i lavoratori cosiddetti anziani lascino il posto ai lavoratori giovani.
  Ricordo che in nome di questa filosofia in passato sono stati attuati interventi e misure che hanno lasciato un'eredità molto pesante alla nostra finanza pubblica. È sbagliato anche dal punto di vista empirico. Abbiamo molti casi ed evidenza forte del fatto che c’è una complementarietà nel lavoro tra i lavoratori che hanno più di 55 anni e i lavoratori più giovani. Queste complementarietà sono forti soprattutto nel campo della formazione, ma anche in altri campi. È quindi il caso di valorizzare queste complementarietà anziché pensare a misure di staffetta che sostituiscano gli uni con gli altri.
  Mi fermerei a questi rilievi introduttivi. Abbiamo molti altri rilievi più specifici che potremo svolgere sia rispondendo alle vostre domande sia trasmettendovi documenti che entrano nel merito di tante altre questioni.
  La mole di materiale che avete sottoposto alla nostra attenzione è davvero ingente e non ho voluto portare via troppo tempo.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, Presidente. La ringraziamo per l'impegno che ha messo nella sua relazione. Ci rendiamo tutti conto che il tempo a disposizione è insufficiente per approfondimenti di dettaglio.
  Se fosse possibile, Presidente, non ci sottrarremmo alla disponibilità di avviare un confronto continuativo, direi permanente, per approfondire i dati che oggi non siamo in grado di approfondire attraverso una rappresentanza della Commissione lavoro nella quale sono presenti tutti i gruppi. Siamo «assetati» di dati e di risposte.
  Tra l'altro lei ha anche fatto delle simulazioni relativamente alla proposta di legge C. 857 e abbinate e alla «quota 100». Saremmo molto interessati ad avere queste elaborazioni perché la carenza di dati è un problema del quale soffriamo molto. Soffriamo anche per la diversità delle fonti, perché, a seconda delle fonti, ci vengono forniti altri dati. Con questa richiesta credo di interpretare l'opinione di tutti.
  Le nostre proposte sulla flessibilità, come ha visto, prevedono delle penalizzazioni, ma non tali da non essere eque e convenienti anche per chi utilizza la penalizzazione. Non vediamo positivamente l'idea del ricalcolo complessivo.
  Altra questione è quella dell’«opzione donna», che è una facoltà introdotta dall'allora Ministro Maroni. Sarebbe necessario Pag. 8che, attraverso una semplice azione amministrativa, l'INPS provvedesse a correggere l'interpretazione data dall'Istituto stesso in precedenza, che a nostro avviso ne ha un po’ ristretto l'ambito di applicazione. Lei diceva di non scoraggiare. Io dico che dobbiamo incoraggiare. Se voi ci deste una risposta su questo punto, saremmo molto contenti.
  Concludo dicendo che è evidente che queste operazioni hanno costi. È altrettanto evidente che i risparmi previdenziali previsti dalla riforma del Governo Monti tra il 2020 e il 2060, secondo dati confermati dalla Ragioneria generale dello Stato, ammontano a un importo di circa 300-350 miliardi di euro. Credo che potremmo utilizzare una quota di tali risparmi perché l'ammontare delle risorse trasferite dal settore del welfare a copertura dell'indebitamento è stata colossale.
  Detto questo, inviterei anche a quantificare, oltre i costi, anche i risparmi che si potrebbero avere con la flessibilità. Non sfugge a nessuno che con questo intervento di flessibilità interveniamo su due punti. Il primo è la diminuzione dei potenziali nuovi poveri, cioè gli esodati, ai quali altrimenti bisogna dare assistenza. Sono quelle persone che dopo i 55-60 anni rimangono senza lavoro e non sono ricollocabili. O gli diamo l'assistenza o gli diamo la pensione. Il secondo punto è la promozione della occupazione dei giovani. Francamente, fabbriche di settantenni non interessano né alle imprese né tanto meno ai lavoratori.
  Anche sugli esodati le faccio una richiesta. Ne abbiamo salvaguardati 170.000 con sei diversi provvedimenti. Abbiamo dovuto mettere in un fondo – blindato per fortuna – 11,6 miliardi di euro che possono essere utilizzati anche per azioni compensative. Ma quanti sono gli esodati che non hanno ancora avuto una tutela rispetto alle vecchie cifre che conoscevamo ? Nell'apprezzabile operazione trasparenza, a noi piacerebbe avere trasparenza anche su questo dato.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIALUISA GNECCHI. Intanto ringraziamo il Presidente Boeri, il dottor Uselli e il dottor Crudo per essere qui. Non solo siamo interessati e disponibili ad avere approfondimenti tecnici, ma anzi, quando inizieremo i lavori del comitato ristretto per unificare i testi, come abbiamo fatto, per esempio, per le ricongiunzioni onerose, che ancora non abbiamo risolto, aspetteremo con ansia l'ulteriore collaborazione da parte degli esperti dell'INPS. Siamo totalmente disponibili.
  Sottolineo che nelle spiegazioni del Presidente Boeri non si è parlato della proposta C. 1881 che riguarda non l’«opzione donna», ma la pensione di vecchiaia delle donne, la gradualità e tutto quello che riteniamo giusto rispetto a coperture figurative legate – purtroppo – al doppio lavoro delle donne. Saremmo disponibili a distribuire equamente questo doppio lavoro con l'altra metà del cielo. Fino a quando ciò non accadrà, riteniamo che ci debbano essere riconoscimenti specifici.
  La mancanza totale di gradualità nell'innalzamento dell'età per la pensione di vecchiaia delle donne, prima nel pubblico impiego, poi nel privato e nel settore autonomo, le ha davvero penalizzate. Teniamo a sottolineare che in questa Commissione abbiamo promosso un'indagine conoscitiva. Quando verrete in audizione – sarete i primi invitati –, terremmo veramente a che ci portaste i dati precisi su quanto le ultime manovre sulle pensioni hanno penalizzato le donne.
  Vorremmo da voi anche l'autorevole sostegno a un'azione legislativa che elimini il comma 7 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, della legge n. 214 del 2011, sulla base del quale, se non si raggiunge almeno una volta e mezzo l'assegno sociale, si va in pensione a 70 anni. Siccome siamo dei lettori attenti della banca dati dell'INPS e dell'Osservatorio sulle pensioni dell'INPS, sappiamo che la stragrande maggioranza delle donne andrà in pensione a 70 anni, se non correggeremo questa norma sbagliata.Pag. 9
  Rimango nel filone che riguarda le donne, già introdotto dal Presidente. Rispetto all’«opzione donna» siamo assolutamente convinti che sia sufficiente una correzione delle circolari INPS n. 35 e n. 37 del 2012. Non chiediamo di eliminare la finestra e l'aspettativa di vita, anche se il 7 ottobre la magistratura magari dirà che vanno eliminate. Come sappiamo, è stata promossa un'azione collettiva e in quella data ci sarà l'udienza. Noi chiediamo che per l’«opzione donna», come per tutti gli altri regimi, ci sia un'attesa per la decorrenza del trattamento, ma non anche la riduzione del periodo di maturazione dei requisiti. Di questo siamo convinti. Qualora facessimo una proposta più vantaggiosa, saremmo disponibili a pensare che serva una copertura.
  Non abbiamo capito bene quale sia la valutazione della possibilità di andare in pensione senza penalizzazioni con 41 anni di anzianità contributiva. Lo chiediamo perché la stragrande maggioranza dei lavoratori precoci aspetta questa misura. Sappiamo che la «manovra Fornero» avrebbe potuto essere accettabile in un periodo di massima occupazione, ma noi siamo in un periodo in cui le persone sopra i 55 anni, come sostenete anche voi, non trovano lavoro. È evidente che trovare misure strutturali che aiutino i lavoratori e le lavoratrici precoci da questo punto di vista è indispensabile.
  Quando sentiamo parlare di riequilibrio del sistema, siamo ovviamente d'accordo perché facciamo parte di quella generazione che ha lavorato per la legge n. 88 del 1989, e quindi per la separazione dell'assistenza dalla previdenza e per mettere seriamente mano all'equilibrio del sistema. Il fatto è che la manovra del 2011 si chiamava «salva Italia», e non «salva INPS» o «salva sistema previdenziale», e perciò i soldi risparmiati sono andati a copertura dell'indebitamento pubblico. Ci aspettiamo quindi un moto d'orgoglio da parte dell'INPS rispetto al sistema previdenziale, affinché si renda giustizia ai lavoratori e alle lavoratrici.
  Altre piccole cose dimostrano che abbiamo bisogno del contributo dell'INPS per tornare a situazioni di correttezza e giustizia. Con vari interventi legislativi siamo arrivati finalmente, il 1o gennaio 2015, a eliminare le penalizzazioni per chi va in pensione prima dei 62 anni. Abbiamo però 21.257 donne e 4.110 uomini che sono andati in pensione tra il 2012 e il 2014 con la penalizzazione.
  Siamo convinti che, se queste persone attiveranno un contenzioso, potrebbero anche vincere e vi chiediamo un parere al riguardo. Noi vorremmo eliminare la penalizzazione anche per chi è già andato in pensione, dal momento che quelle persone potrebbero essere state penalizzate non per aver assistito familiari disabili ma per avere fatto tre giorni di sciopero. Siamo convinti che questo sia sbagliato.
  Rispetto alle salvaguardie, teniamo a precisare e sostenere che, ogni volta che viene pubblicato il report, controlliamo la situazione. Siamo molto contenti che venga specificato, come è stato fatto nella prima salvaguardia, che sono stati attivati i «vasi comunicanti» per gli esodati dal pubblico impiego. Siamo però ancora in attesa dell'attivazione dei «vasi comunicanti» per chi ha assistito familiari disabili, cioè per i beneficiari della quarta e della sesta salvaguardia, rispettivamente, 2.500 e 1.800 casi.
  Ciò su cui puntiamo molto è il meccanismo di adeguamento all'aspettativa di vita. Il 1o gennaio di quest'anno abbiamo presentato un'interrogazione e l'8 gennaio il Ministro è venuto a risponderci con dati forniti dall'INPS. Il Ministro ha detto che l'INPS era disponibile ad approfondire il tema dell'aspettativa di vita, che non è uguale per tutti. Ci è stato detto che avremmo approfondito, ma era l'8 gennaio. Siamo al 10 giugno e il prossimo adeguamento di quattro mesi decorre dal 1o gennaio 2016.
  Abbiamo poi fatto varie richieste. Abbiamo fatto una richiesta rispetto ai macchinisti e una richiesta rispetto agli edili e ci ha turbato molto il fatto che ci sia stato Pag. 10risposto che non ci sono i dati. Invece si sa quanto possono vivere i macchinisti perché il fondo è gestito dall'INPS.
  Poiché con l'operazione trasparenza abbiamo addirittura la possibilità di vedere gli effetti dei calcoli, dei ricalcoli per molte categorie, vogliamo sapere se e quanto i lavori faticosi incidano sulla speranza di vita. Andare avanti con un'età per la pensione di vecchiaia uguale per tutti, mettendo insieme le maestre di scuola per l'infanzia e di asilo nido, i macchinisti, gli edili e altri lavoratori sui tralicci, non è pensabile. È ovvio che il limite di età non può essere uguale. A questo teniamo moltissimo.
  È chiaro poi che le ricongiunzioni onerose sono per noi una spina nel fianco. Sappiamo che il Presidente Boeri, che vediamo rispondere anche alla gente che gli si rivolge direttamente, vuole risolvere questo tema. Abbiamo segnalazioni di persone che stanno prendendo la metà della pensione alla quale avrebbero diritto per pagare la ricongiunzione. Non sono stati salvaguardati nemmeno quei lavoratori del settore scuola che sono andati in pensione il 1o settembre 2010 e che si sono ritrovati a dover pagare la ricongiunzione onerosa a causa di una legge retroattiva, anche se avevano già dato le dimissioni a gennaio 2010.
  Teniamo molto a un confronto continuo con l'INPS e a un lavoro comune per fare giustizia e migliorare le situazioni. Teniamo anche a correggere le contraddizioni delle sei salvaguardie già operate. Vorremmo ricordare che il comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 parlava in generale di lavoratori in mobilità. Sono state le normative successive a limitare le platee.
  Può esistere una differenza per il lavoratore in mobilità da azienda fallita, che non viene salvaguardato solo perché non può presentare un accordo ? È evidente che nessuno firma l'accordo, perché l'azienda è fallita. Eppure quei lavoratori non sono salvaguardati. I lavoratori con trattamento speciale edile non sono salvaguardati solo perché hanno una mobilità con regole proprie. L'unica norma che permette alle donne e agli uomini nati nel 1952 di andare in pensione a 64 anni è condizionata al fatto che fossero occupati nel settore privato al 28 dicembre 2011. Non possiamo assolutamente condividerlo, oltre al fatto che si tratta di una norma non prevista nella legge ma che è stata introdotta dopo.
  Su tante cose saremmo disponibili e interessati a una discussione e a un approfondimento reale perché siamo convinti che un rapporto stretto tra INPS, Commissioni lavoro di Camera e Senato e Governo potrebbe permettere di utilizzare correzioni amministrative per modificare, in base alla vostra esperienza e al vostro convincimento, situazioni nelle quali si è andati al di là della volontà del legislatore.
  Abbiamo ovviamente anche richieste e suggerimenti sulle pensioni dei giovani, ma ne parleranno i colleghi che approfondiranno anche altri temi.

  CLAUDIO COMINARDI. Ringrazio il Presidente dell'INPS. Vorrei tornare sul tema della flessibilità in uscita. Lei ha tenuto conto di vari aspetti, ma secondo me si potrebbero fare ulteriori osservazioni, in particolare su due questioni. In primo luogo, se penalizziamo chi ha pensioni modeste, credo che aggraveremmo il problema della povertà, come ricordato prima dal presidente di questa Commissione. Forse si potrebbe fare una differenza tra le penalizzazioni, anche se mi rendo conto che sul piano costituzionale potrebbe essere problematico.
  Farei però un altro ragionamento. Quando parliamo di flessibilità in uscita, dobbiamo considerare anche il fatto che, se diamo un bonus a chi rimane, anche tenendo in considerazione il tetto dei 70 anni, potremmo creare l'effetto contrario. Questa proposta dovrebbe agevolare anche i giovani a entrare nel mercato del lavoro, ma dare un incentivo a rimanere il più lungo a possibile nel posto di lavoro rischia di creare l'effetto contrario.
  Io mi domando anche se, a monte, non serva un altro tipo di ragionamento. Noi diamo l'opportunità di andare in pensione prima a chi lo richiede ma, come ha detto Pag. 11prima la collega Gnecchi, se non consideriamo l'aspettativa di vita e la qualità della vita del lavoratore a seconda delle varie tipologie di lavoro, è ovvio che qualsiasi modello si voglia introdurre nel sistema previdenziale risulterebbe comunque iniquo.
  Pensiamo a un macchinista, che è già stato penalizzato dal decreto-legge n. 201 del 2011 e che, secondo gli studi, morirà ancora prima di percepire la pensione. Questo macchinista per pagare i contributi verserà nelle casse dello Stato tanti soldi che non vedrà mai. Pensiamo agli edili e a tantissime altre categorie di lavoratori che svolgono lavori di natura manuale. A questi lavoratori cosa diciamo ? È corretto o non è corretto ?
  Sappiamo che un impiegato vive più a lungo di un operaio, un dirigente vive di più di un impiegato e un politico non muore mai. Si potrebbe aprire il capitolo dei vitalizi, ma la competenza è delle Camere e delle autonomie regionali. Vorrei capire se l'INPS possa fornirci dati statistici che ci aiutino a stabilire quali sono effettivamente i lavori usuranti. A monte io farei un discorso di questo tipo.
  Per quanto riguarda i giovani, so che di politiche occupazionali si dovrebbe occupare il Parlamento, ma se il Presidente Boeri ha qualche suggerimento, ben venga. È il solito discorso. Da una parte manca il ricambio generazionale perché i lavoratori vanno in pensione in età molto matura. Dall'altra, i giovani non riescono a entrare nel mercato del lavoro e ciò dipende forse anche dal fatto che esistono problemi legati alla ricerca, all'università e al collegamento tra università e imprese. Tra quanti ricercatori importiamo e quanti ne esportiamo abbiamo un saldo negativo del 13 per cento. Sembra che i giovani non abbiano alcun ruolo nella società.
  Se mi posso permettere di uscire per un momento dal tema specifico per toccare il tema più ampio di un'ipotetica riforma pensionistica – io ero un lettore del suo blog e ho letto anche qualcuno dei suoi libri, Presidente –, ricordo un articolo del 2007 su Lavoce.info in cui si spiegava il funzionamento del modello australiano, che prevede una parte di pensione governativa e una parte legata alla gestione separata.
  Vorrei sapere se lei pensa che questo modello possa essere applicato anche in Italia, anche considerando che l'Australia è molto differente dal punto di vista economico e soprattutto dal punto di vista demografico.

  WALTER RIZZETTO. Ringrazio il Presidente Boeri per questa possibilità. Sarò breve.
  Penso che l'alveo entro il quale si vuole introdurre la modifica dell'attuale sistema sia quello della flessibilità. La flessibilità è un tema di cui si è cominciato a parlare per la prima volta circa un anno fa e di cui oggi parliamo quasi quotidianamente. Ne sta parlando la Commissione, ne sta parlando il Governo e ne sta parlando l'INPS. Penso che questa sia la strada che il Governo voglia prendere, al netto dei filoni di discussione che lei ha prima evidenziato.
  Non dico che questa potrebbe essere la soluzione perché, per quanto mi riguarda, la flessibilità in uscita potrebbe essere introdotta con un emendamento al decreto-legge n. 201 del 2011. Anche in quel caso, però, in base alla proposta del presidente Damiano, si anticiperebbe di due o tre anni il pensionamento rispetto a quanto previsto dal decreto-legge n. 201 del 2011, raggiungendo una età anagrafica media di pensionamento di 66 anni, in corrispondenza dei quali la penalizzazione e gli incentivi sono pari a zero.
  Come lei sa, Presidente, anche in Europa si applica la flessibilità. Abbiamo due casi importanti. La Francia ha un'età pensionabile attorno ai 67 anni, con una flessibilità in uscita che prevede una penalizzazione tra il 2 e il 5 per cento per potere andare in pensione prima dei 67 anni. In Germania i lavoratori accedono alla pensione tra i 65 anni e tre mesi e i 67 anni, ma si può andare in pensione anche a 62 o 63 anni con penalizzazioni quasi pari a quelle della Francia.
  Penso che ci sia da fare un ragionamento piuttosto impegnativo e serio sui Pag. 12due estremi. Se questo passaggio fosse troppo oneroso, gli interessati potrebbero essere disincentivati ad andare in pensione a causa di una penalizzazione troppo forte. Abbiamo letto sulla stampa, rispetto alla proposta C. 857, di penalizzazioni più forti rispetto al 2, al 3 o al 5 per cento. Testate giornalistiche piuttosto importanti parlavano addirittura di un 20-25 per cento di penalizzazione. I pensionandi in questo caso potrebbero aver paura e la manovra, che molto probabilmente verrà varata con la legge di stabilità, sarà disincentivante. Se però, come lei giustamente diceva tra le righe, i lavoratori fossero troppo incentivati ad andare in pensione si metterebbe a rischio l'equilibrio finanziario.
  Rispetto alla proposta che io considero più importante, cioè la C. 857, vorrei farle una domanda. Quali sono le quantificazioni ? Un collega mi ha mostrato una notizia dell'ANSA, uscita pochi minuti fa, che parla di 8,5 miliardi di euro di costi per il sistema. Vorrei capire se questa sia una cifra corretta. Se la cifra è corretta – può darsi che io sia stato disattento –, vorrei capire se sia sostenibile e se ci siano i soldi per compiere questo passaggio.
  Chiudo parlando degli esodati. Tutti noi dobbiamo cercare di capire se il numero di 49.500 persone ancora da mandare in pensione, circolato qualche settimana fa, sia esatto. Mi accodo qui alla richiesta del presidente Damiano. Dobbiamo anche capire se, nei confronti di queste persone, possiamo applicare misure previdenziali o se dobbiamo applicare misure assistenziali.
  Da quanto si apprende, entro il mese di giugno l'INPS farà una proposta di riordino. Vorrei sapere se volesse anticiparla in questa sede.

  ROBERTO SIMONETTI. Intervengo per ringraziare il Presidente Boeri della relazione e per attendere le risposte alle domande che la Commissione ha già formulato. Mi rifaccio a quanto è emerso durante il dibattito.
  Con riferimento alla quantificazione dei costi relativi alla proposta di legge Damiano, credo che il Parlamento abbia la possibilità di incidere con una seria modifica e addivenire così alla soluzione attesa da tutte le forze politiche e soprattutto dagli italiani.
  Per i numeri e per i dati mi rifarò alla relazione che lei ha gentilmente proposto di inviarci affinché il comitato ristretto abbia la possibilità di non lavorare solo sulle proposte politiche, che sono ovviamente affascinanti ma che devono concretizzarsi anche in termini economici.
  Le sue risposte saranno essenziali per il percorso di queste proposte di legge.

  ANTONELLA INCERTI. Ringrazio anch'io il Presidente Boeri. Porrò due questioni molto veloci.
  Ritorno sull’«opzione donna» anche perché lei ha detto che bisognerebbe estenderla agli uomini. Come già anticipato sia dal presidente Damiano sia dall'onorevole Gnecchi, voglio ricordare che le due circolari INPS n. 35 e n. 37 del 2012 escludono le donne che maturano i requisiti entro il 2015, al contrario di ciò che era previsto dalla sperimentazione.
  Voglio anche ricordare che due identiche risoluzioni di Camera e Senato chiedono di ripristinare la sperimentazione fino al 2015, come era previsto dalla legge. Lo stesso ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha ravvisato elementi di illegittimità e la possibilità di contenziosi. L'onorevole Gnecchi faceva infatti riferimento all'udienza prevista per il prossimo ottobre. Anche l'INPS si è detto disponibile a rivedere l'interpretazione indicata nelle richiamate circolari, ma il Ministero dell'economia e delle finanze ha posto un problema di copertura, sulla base di calcoli su cui non mi soffermo per questioni di tempo.
  La domanda è la seguente. Oltre a provvedere in via amministrativa, perché dovremmo trovare copertura se la sperimentazione si riferiva al 2015 ? Vorrei capire perché sia necessaria una copertura finanziaria.
  In secondo luogo, si è giustamente parlato delle future pensioni per i giovani. Credo che occorra rivedere i criteri di Pag. 13rivalutazione del montante contributivo. Nel decreto-legge n. 65 del 2015 si fa un passo avanti, ma vanno rivisti i coefficienti di trasformazione di età anagrafica e contributi.
  Credo che solo la revisione di questi criteri potrà garantire ai giovani la regolare contribuzione e una pensione dignitosa.

  PATRIZIA MAESTRI. Anch'io ringrazio il Presidente dell'INPS. Riprendo una valutazione che faceva la collega Incerti. Una grande preoccupazione per tutti è ciò che consegneremo ai giovani. Tale questione è fortemente collegata al mercato del lavoro e al fatto che i giovani negli ultimi quindici o vent'anni hanno lavorato con tipologie contrattuali precarie. Alla luce di questo, occorre in maniera urgente rivedere i criteri di rivalutazione del montante contributivo.
  Nel decreto-legge n. 65 del 2015 si fa un passo avanti, ma non è sufficiente. Si dice che, qualora il prodotto interno lordo sia negativo, la rivalutazione debba essere almeno pari a 1, da recuperare sui successivi eventuali miglioramenti. Vanno anche rivisti i coefficienti di trasformazione dell'età anagrafica. Il calcolo contributivo per tutti era già previsto dalla legge n. 335 del 1995 e la legge n. 247 del 2007 era intervenuta prevedendo un'attenzione particolare allo studio del futuro pensionistico dei giovani. Da quello che mi è dato sapere, però, questo studio non è ancora stato fatto.
  Credo che sia necessario approfondire il tema per non consegnare un futuro di povertà ai giovani di oggi. Compatibilmente con quanto il Presidente Boeri sosteneva, credo che dobbiamo assumerci questa responsabilità generale per il Paese e per il suo sistema di welfare.

  TIZIANA CIPRINI. Ho alcune domande secche.
  Ci sono questioni che stanno mettendo in allarme i pensionati, come ad esempio l'ipotesi, su cui sembra che il professor Boeri stia lavorando, di ricalcolare tutti gli assegni con il metodo contributivo. Vorrei sapere se questo allarme sia fondato.
  Per quanto riguarda l’«opzione donna», anche noi l'abbiamo sempre sostenuta. Adesso siamo però preoccupati dal fatto che possa essere utilizzata come apripista di un metodo puramente contributivo, che a nostro giudizio è incostituzionale, perché porterà gli italiani a pensioni da fame, dato che il lavoro continuativo ben retribuito non esiste più.
  Mancano i finanziatori della previdenza pubblica e ci chiediamo se questo non sia un modo per passare alla previdenza completamente privata e se l'operazione «busta arancione» di cui lei, professor Boeri, è un promotore, non serva a spingere i giovani verso la previdenza privata di banche, assicurazioni, sindacati e fondi pensione gestiti, al momento in maniera poco trasparente.
  Con riguardo al montante contributivo contenuto nel cosiddetto decreto relativo al «falso bonus pensioni», vorremmo sapere che cosa si intende con l'espressione «salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive» contenuta nell'articolo 5.
  Infine, visto che è meglio chiedere ai tecnici piuttosto che ai politici, vorrei sapere se la norma contenuta nel disegno di legge delega sulla pubblica amministrazione (atto Camera n. 3098), che prevede una sorta di part-time con riduzione della retribuzione per i pensionandi, in attuazione di una «staffetta generazionale» per le nuove assunzioni, e contributi pagati per intero a carico loro, sia una sorta di sperimentazione nel pubblico impiego da applicare poi nel privato.

  CARLO DELL'ARINGA. Grazie per la relazione, Presidente. Io non entro nel merito dei problemi perché molti sono stati già affrontati. Vorrei invece sottolineare un aspetto di metodo per una possibile e auspicabile collaborazione tra la Commissione e l'INPS.
  Tutte queste proposte comportano dei costi che noi abbiamo bisogno di valutare perché esiste un problema politico di priorità, non solo nell'ambito delle pensioni ma in genere in tutti i problemi che il Paese deve affrontare con risorse scarse. Pag. 14L'aiuto dell'INPS riguarda non solamente la fornitura di dati statistici, ma anche la realizzazione di vere e proprie simulazioni che penso debbano essere richieste da questa Commissione. Se si vuole approfondire le implicazioni delle varie proposte, occorre discutere sulla base di modelli di comportamento che l'INPS ha elaborato e applica.
  Noi non abbiamo questi strumenti tecnici. In questo l'INPS ci può aiutare moltissimo. Così facendo, al di là delle liste dei problemi e delle soluzioni, saremmo in grado di creare un ordine non solo secondo le preferenze che ciascuno di noi può avere, ma anche in base alla necessità della Commissione e del Parlamento di internalizzare i vincoli di finanza pubblica. Questo naturalmente è compito del Governo, ma noi non possiamo tralasciarlo. L'aiuto che l'INPS ci può dare per capire i costi e le implicazioni economiche e anche sociali delle varie soluzioni è importantissimo.
  C’è un aspetto importante di questo aiuto che può dare l'INPS. Molte delle proposte sono modulabili e scomponibili. Cambiando la penalizzazione, ad esempio, i risultati sono diversi. Potrebbe perciò esserci bisogno di uno scambio continuo tra la Commissione e l'INPS.
  Ritengo importante che il rapporto sia regolato. Altrimenti rischiamo di sollecitare continuamente l'INPS chiedendo risposte per noi difficili da valutare e selezionare.

  DAVIDE BARUFFI. Ringrazio il Presidente Boeri. Vorrei fare una considerazione. Noi siamo decisamente favorevoli a una riforma reale, cosa che non è stata fatta nel 2011, che contempli anche il lavoro su cui l'INPS è impegnato in questo momento, cioè la costruzione di un vero ente nazionale di previdenza che eroghi pensioni che siano costruite con criteri omogenei di calcolo, di regime contributivo, di metodo, di aliquote, rivisitando in modo organico i coefficienti di trasformazione, come hanno detto le colleghe che mi hanno preceduto.
  Questi obiettivi su cui lei è impegnato sono in contraddizione, tra l'altro, con quanto previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010 nella parte che attiene alle ricongiunzioni onerose. Ne ha fatto cenno prima l'onorevole Gnecchi. Si tratta di un provvedimento ingiusto perché chiede alle persone di versare contributi due volte. È contraddittorio con la filosofia del sistema contributivo, come lei stesso ha implicitamente indicato nella sua relazione. È incoerente, io credo, con l'obiettivo di avere una pensione basata sui contributi versati nel corso dell'attività lavorativa di una vita. Contiene anche qualche rischio di incostituzionalità.
  È chiaro che il problema è stato causato dal legislatore ed è il legislatore che lo deve risolvere. Non può essere risolto per via amministrativa. Mi pare però di capire che si tratta di una filosofia in linea con il lavoro che la sua Presidenza sta svolgendo in questi primi mesi di attività.
  Noi abbiamo intrapreso un percorso. Ci stiamo lavorando. Da questo punto di vista l'Istituto può darci una mano rilevante nel costruire una proposta che, nell'ambito della riforma più generale, risolva, tra le altre incongruenze, anche questa che è particolarmente significativa.

  ANNA GIACOBBE. Ha dato un giudizio negativo, Presidente, sulla «staffetta generazionale» come sostituzione. Io vorrei un approfondimento, invece, sulla staffetta come passaggio di testimone. Il lavoro parziale per il giovane che accede al lavoro sarebbe forse più utile.
  Approfitto dell'incontro di oggi e del fatto che lei ha rivolto una rassicurazione ai pensionati relativamente a un altro oggetto del nostro lavoro di questi giorni, cioè l'applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, per porle un'altra domanda. Lei ha assicurato che saranno attribuite le cifre indicate, a correzione di quel che è circolato in questi giorni da parte dei consulenti del lavoro. In realtà loro hanno sollevato un problema che riguarda la confusione tra il netto e il lordo.Pag. 15
  L'Istituto si appresta a dare attuazione a quella norma. Io chiedo se l'Istituto abbia chiaro – lo chiedo oggi, ma aspetto risposta quando sarà possibile per voi darla – se gli importi derivanti dalla rivalutazione prevista nel decreto-legge n. 65 del 2015 entreranno nelle basi di calcolo delle successive perequazioni delle pensioni.

  IRENE TINAGLI. Torno al tema della «staffetta generazionale», in termini di rapporto tra pensionamenti anticipati, abbassamento dell'età pensionabile e disoccupazione giovanile. È un tema che ricorre sui giornali e una delle motivazioni più citate per la necessità di questo intervento è quella della creazione di lavoro per i giovani.
  La maggior parte della letteratura, anche internazionale, non ci mostra però una correlazione evidente tra questi due elementi. Non è un caso se molti dei Paesi che in passato hanno fatto più uso dei pensionamenti anticipati, come ad esempio il Belgio, la Francia, l'Ungheria e la stessa Italia, non abbiano avuto sostanziali miglioramenti della disoccupazione giovanile.
  Mi chiedevo quindi se, a fronte di questa letteratura e dei case study stranieri, abbiamo dati precisi per eseguire sul caso italiano una stima econometrica che prescinda dagli anni della crisi. È ovvio, infatti, che la crisi ha un impatto e non si può fare una riforma strutturale di tutto il sistema se esistono problemi contingenti dovuti alla crisi.
  Se ci fossero invece questioni strutturali legate all'economia italiana che facciano pensare che l'Italia è un caso diverso da quelli esaminati da tutta la letteratura internazionale, potrebbero essere un elemento interessante.

  PRESIDENTE. Abbiamo concluso gli interventi. Prima di dare la parola al Presidente Boeri, vorrei ribadire brevemente alcune questioni. Ribadisco in primo luogo, credendo di avere il sostegno di tutta la Commissione, la richiesta di mantenere un confronto – non dico permanente – tra l'INPS e l'Ufficio di Presidenza per approfondimenti di carattere tecnico sulle tante questioni sollevate e alle quali probabilmente lei non è in grado di dare tutte le risposte oggi.
  In secondo luogo, l'INPS può fare molto in due sensi, prima di tutto correggendo e reinterpretando le circolari che l'INPS stessa è tenuta a emanare. Abbiamo parlato dell’«opzione donna», ad esempio. Ci sono implicazioni di altra natura, ma l'INPS soggettivamente può svolgere una funzione importante.
  Nel secondo senso, l'INPS potrebbe fornire i dati. Noi abbiamo i dati relativi ai 170.000 esodati e all'andamento della liquidazione degli assegni. È molto importante per noi, all'interno di questi numeri, poter verificare la possibilità di operare le compensazioni utili a risolvere altre questioni.
  Sono migliaia le persone che possono essere salvate senza spesa, nel momento in cui con riferimento a determinate categorie si determina un risparmio che può essere utilizzato per salvare altre categorie di esodati.
  Do ora la parola al Presidente dell'INPS per la replica.

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Cercherò di rispondere al maggior numero di domande possibile, anche se sono davvero tante, e nel modo più esaustivo possibile. Manderemo altro materiale successivamente.
  Partirei dalla sollecitazione del presidente e del professor Dell'Aringa. Il metodo è merito. La collaborazione tra noi e l'aiuto che l'INPS può dare nella fornitura di dati e nella valutazione tecnica dei provvedimenti è sicuramente molto importante. Lo stiamo già facendo e cercheremo di farlo ancora di più in futuro.
  Riguardo specificamente alle richieste di oggi sugli esodati, abbiamo già reso pubblici diversi rapporti di monitoraggio. Vi anticipo che il rapporto annuale, che presenteremo l'8 luglio prossimo alla Camera, conterrà un approfondimento sugli esodati. Il dottor Crudo vi darà qualche dato in più. Le quantificazioni dipendono Pag. 16anche dalle norme di legge. Tra l'altro, il dottor Crudo vi dirà qualcosa anche riguardo al decreto-legge n. 65 del 2015.
  Riguardo alla questione dei lavori usuranti, dobbiamo basarci sulle tavole di mortalità dell'ISTAT. Possiamo fare delle simulazioni, ma l'ISTAT oggi non produce tavole disaggregate come quelle sulle specifiche mansioni, al di là del merito di possibili interventi normativi. Nel momento in cui ci fossero, potremmo valutare interventi che differenzino i coefficienti di trasformazione in base alle speranze di vita.
  Il supporto tecnico, infine, si traduce nelle simulazioni e confermo quello che dicevo prima. La simulazione che abbiamo svolto sulla proposta di legge C. 857 ci permette di dire che questo intervento, nell'ipotesi in cui tutti coloro che acquisiscono il diritto di andare in pensione vadano subito in pensione, ha un costo su base annua che arriverebbe fino a 8,6 miliardi di euro.
  Chiaramente non è un costo che si raggiunge subito. Si raggiungerebbe nel 2030, ma gli oneri nei primi anni sarebbero già abbastanza elevati, attorno ai 4-5 miliardi di euro. Soprattutto, come dicevo prima, si tratta di oneri che non vengono compensati da disavanzi minori in futuro. Non sono cioè neutri dal punto di vista attuariale e, quindi, graverebbero in modo permanente sulle casse dello Stato.
  Riguardo alla questione femminile, prima parlavo di «opzione donna-uomo» perché quel requisito contributivo così stringente tende a rendere questa un'opzione più per gli uomini che per le donne. Mi domandavo se si potesse intervenire su questo requisito contributivo in quanto tale, piuttosto che sui requisiti di natura anagrafica.
  Della questione della pensione di vecchiaia non abbiamo parlato, ma certamente una correzione andrebbe fatta nel sistema contributivo puro. È un problema non ancora immediato, ma è una correzione che sicuramente vale la pena fare insieme ad altri ragionamenti. Oggi parlavamo principalmente di pensionamenti flessibili nei regimi misti e quindi non ho voluto affrontare l'argomento in questo contesto.
  Per quanto riguarda le ricongiunzioni onerose, che sono state menzionate sia dall'onorevole Gnecchi sia dall'onorevole Baruffi, penso che dietro a questo aspetto si consumino due iniquità abbastanza stridenti. La prima è l'iniquità che colpisce i lavoratori più mobili e credo che non sia giusto, soprattutto di fronte al fatto che c’è bisogno di più mobilità. Lo dicono tutti e molte analisi lo sottolineano. C’è bisogno di avere carriere in cui si cambia e si passa dal privato al pubblico e da gestioni diverse. Non vedo perché debbano essere penalizzati i lavoratori più mobili.
  In secondo luogo, le norme attuali pongono problemi a chi ha vincoli di liquidità. Queste ricongiunzioni onerose impediscono a molti di poterne fruire. Bisogna trovare meccanismi diversi su cui intervenire. Il dottor Uselli vi dirà qualcosa in merito ad un tavolo di discussione attivato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Stiamo già lavorando in quella sede, oltre che nella formulazione di proposte.
  Diversi di voi, non solo il presidente, ma anche l'onorevole Cominardi, hanno sottolineato l'importanza dell'assistenza. Io sono assolutamente convinto che esista un problema di assistenza. Nell'assistenza i principi sono diversi da quelli assicurativi e previdenziali. C’è una lacuna di fondo.
  Mi è stato spesso detto che io sono difensore strenuo del metodo contributivo. Vorrei puntualizzare che il sistema contributivo ha un limite in quanto non prevede zoccoli minimi di assistenza. Credo che sia una ragione in più per compiere in Italia un'operazione che introduca forme vere e proprie di assistenza, che siano rivolte anche a persone oltre l'età di pensionamento e che siano definite assistenziali in quanto tali, possibilmente in un contesto di uguaglianza di regole per tutte le età all'interno del nostro Paese.
  Sarebbe un modo per affrontare anche questo limite del contributivo e per separare, Pag. 17anche sul piano contabile, previdenza e assistenza. Attualmente, con le regole che abbiamo, non è possibile farlo.
  L'onorevole Ciprini chiedeva chiarimenti sulla filosofia dell'intervento sulla rivalutazione del montante contributivo. Siccome in seguito a cinque anni molto negativi per il nostro Paese la rivalutazione del montante versato sarebbe dovuta essere quest'anno negativa, si è voluto introdurre un plafond pari a zero, il quale chiaramente comporta costi aggiuntivi che verranno recuperati gradualmente nei prossimi anni. È un modo per distribuire i costi di questa recessione interminabile su una platea più ampia di generazioni. Forse c'erano altri modi, ma sicuramente questa operazione va in quella direzione.
  Credo che sarebbe stato un messaggio davvero devastante per molti lavoratori se avessimo detto che stanno versando i contributi in un salvadanaio virtuale, che è quello del sistema contributivo, ma bucato. Per questo si è voluto evitare che la rivalutazione fosse negativa.
  Sulla questione della «staffetta generazionale», rispondo alle domande dell'onorevole Tinagli. Esistono studi che hanno cercato di verificare l'esistenza o meno di questo conflitto generazionale legato all'uscita dei giovani e degli anziani in condizioni normali. Questi studi in genere portano tutti alla conclusione che questo conflitto non c’è e che non è vero che, quando, per esempio, si anticipa la pensione, si creano più posti di lavoro per i giovani. Al contrario, in condizioni normali avviene esattamente l'opposto.
  Ci possono essere circostanze, come quelle della grande recessione che abbiamo attraversato, in cui, a fronte di un aumento della partecipazione indotto da regole pensionistiche più rigide, che obbligano molti lavoratori a continuare a lavorare, tagliando al tempo stesso la durata dei sussidi di disoccupazione, e a fronte del calo della domanda di lavoro, si crea tensione. Sono, tuttavia, circostanze eccezionali.
  Il fatto che non ci sia questo conflitto non toglie nulla all'importanza della flessibilità, come ricordavo all'inizio. La flessibilità si regge anche sul benessere delle persone. Siccome il sistema contribuivo ci consente una certa flessibilità, perché non sfruttarla ? Perché dobbiamo essere così rigidi ? Alcune persone potrebbero avere piani individuali tali da preferire, a un certo punto, ritirarsi dalla vita attiva. Ci sono persone disposte a ricevere una pensione più bassa pur di smettere di lavorare e dedicarsi ad altre attività che ritengono più meritorie.
  Sulla questione dei requisiti, infine, le pensioni devono essere più basse. Se non vogliamo che questa flessibilità gravi sulle generazioni future, inevitabilmente dovremo imporre delle riduzioni all'importo delle pensioni. Permettere alle persone di andare in pensione prima con le regole attuali, senza riduzioni, significa trasferire il costo sulle generazioni future. Vi avverto del fatto che le generazioni future sono più consapevoli di questo problema, forse anche grazie all'intervento che noi stiamo facendo.
  L'intervento «La mia pensione» non serve certo a sostenere la previdenza integrativa. Serve a dare ai giovani in Italia la possibilità di poter meglio prendere in mano il proprio futuro, capire quali sono davvero i problemi che stanno loro di fronte e qual è il legame tra contributi versati e pensioni future. In questo senso, si rafforza la previdenza pubblica perché un giovane che è posto di fronte a due alternative di lavoro, una delle quali propone un salario netto più alto, ma contributi inferiori da parte del datore di lavoro, potrebbe essere spinto a scegliere quella con il salario netto più basso, ma contributi più ingenti e quindi pensioni future più alte. Questa consapevolezza credo debba essere tenuta presente al momento di adottare qualsiasi intervento.
  Gli interventi per la flessibilità si possono fare, ma senza spostare l'onere sui giovani. Sarebbe davvero sbagliato. Credo che le opportunità che abbiamo a livello europeo di una maggiore flessibilità sui disavanzi siano condizionate al fatto di compiere interventi che siano neutri dal punto di vista attuariale. Il limite del 3 per cento, per esempio, può essere sforato. Pag. 18Possiamo sperare che l'Europa ci conceda margini su questo se noi, soprattutto in condizioni avverse come quelle della recessione, permettiamo a più persone di andare in pensione prima, facendo in modo che questa uscita anticipata verso la pensione sia sostenibile, non faccia cioè aumentare il debito pensionistico.
  Tra l'altro, l'operazione «La mia pensione» darà strumenti al Governo per negoziare a livello europeo, sulla base delle nostre proiezioni. Con questa operazione stiamo facendo proiezioni sul singolo individuo. Quantificando la pensione di un singolo da qui a trent'anni, per esempio, possiamo fare proiezioni non solo sul totale della spesa pensionistica, ad esempio, nel 2050, bensì sull'intera distribuzione delle pensioni.
  Questo è molto importante perché l'obbligo di sostenibilità finanziaria ci impone di non spendere troppo sulla base del parametro del rapporto tra spesa pensionistica complessiva e prodotto interno lordo. C’è però anche una sostenibilità sociale, non meno importante, sulla base della quale non è sostenibile una riforma che, per raggiungere la sostenibilità finanziaria, determina in prospettiva pensioni da fame per una parte della popolazione.
  Sulla base dei dati attuali, si può conoscere la distribuzione degli importi di tutte le pensioni e sapere, sulla base di tali dati, quali saranno le pensioni del futuro. Presentando questi conti credo che avremo qualche possibilità a livello europeo di ottenere la flessibilità che vogliamo.
  Per chiudere, vorrei dire qualcosa sul ruolo propositivo dell'INPS, che è stato molto dibattuto. Il confine è molto labile. Già oggi, venendo qui e con le proposte che vi faremo avere, stiamo svolgendo un ruolo propositivo. Ci proviamo, utilizzando i dati di cui disponiamo e che certamente vogliamo condividere. Avremo una politica molto aperta anche sull'utilizzo dei dati dell'INPS perché sono un bene pubblico e sono basati su competenze davvero diffuse.
  Sono tutte risorse che mettiamo a disposizione del decisore politico, a volte proponendo di modificare il testo di una proposta di legge perché pensiamo che il legislatore non voglia dire quel che ha detto. Vi ho fatto alcuni esempi prima. Non credo che la proposta di legge sulle quote, per esempio, volesse eliminare le pensioni di vecchiaia.
  Questo è già un ruolo propositivo. Talvolta, è più utile, anziché reagire a proposte del politico o del Governo, fare noi proposte organiche. C’è davvero bisogno nel nostro Paese di proposte organiche, che cerchino di risolvere una volta per tutte i problemi, anziché introdurre soluzioni ad hoc imposte dall'emergenza. Questa capacità dentro l'INPS c’è e la utilizzeremo. Vi faremo avere queste nostre proposte e poi il Governo e il Parlamento decideranno al riguardo.

  ANTONELLO CRUDO, Direttore centrale pensioni dell'INPS. Il Presidente mi invitava a intervenire sul tema degli esodati, che affronto da vicino quotidianamente. La cifra di 170.000 per la platea dei salvaguardati individuati e perimetrati dalle attuali norme, al di là di situazioni specifiche a cui faceva riferimento l'onorevole Gnecchi e che rientrano tra gli aspetti patologici dell'interpretazione normativa, è una cifra verosimile.
  Sono numeri ancora fluttuanti anche per ragioni fisiologiche. Faccio riferimento, ad esempio, al fatto che con accordi del 2011 sono salvaguardati anche coloro che andranno in mobilità entro il 31 dicembre 2016. Alcune situazioni si concretizzeranno quindi più avanti.
  Abbiamo qualche sofferenza dal lato della legge n. 104 del 1992. I «vasi comunicanti» tra le platee della quarta e della sesta salvaguardia (rispettivamente 2.500 e 1.800) così sono già stati attivati, ma tuttora vi sono numeri leggermente superiori che si riferiscono a soggetti che rientrano in quelle caratteristiche e potrebbero accedere alla salvaguardia. Direi che il problema collegato ai 49.500 soggetti è un problema di conteggio. La difficoltà è capire chi possa essere ancora salvaguardabile. Le sei categorie che sono state ritenute tutelabili sono state tendenzialmente individuate e sono rappresentate Pag. 19dai 49.500 a cui faceva riferimento l'onorevole Rizzetto. Il punto è il periodo in cui hanno maturato il requisito rispetto alla disciplina precedente. Oggi l'accesso è fissato entro il 6 gennaio 2016. I 49.500 risultano dal calcolo di coloro che maturano i requisiti entro il 6 gennaio 2017, il 6 gennaio 2018 e il 6 gennaio 2019.
  A mio avviso, per i salvaguardati, al di là delle risorse e dei «vasi comunicanti», il legislatore e il Governo devono stabilire quale lasso di tempo tutelare tra la scelta fatta, con riferimento alle precedenti normative, per esempio a seguito della cessazione di un contratto a tempo determinato o di un accordo individuale, di optare per la pensione, scontando un certo periodo di attesa, e l'accesso alla pensione, fermo restando il paletto del 2011.
  Ormai la platea dei soggetti in mobilità è stata individuata. Sappiamo che ci sono altri soggetti con accordi individuali o altre situazioni che oggi salvaguardiamo fino all'accesso al 6 gennaio 2016. Un soggetto cessato dal lavoro entro il 2011, che aveva dato per scontato di attendere fino al 2018, è salvaguardabile ? Oggi non lo è. Governo e Parlamento devono decidere questo.
  Il problema dell'esattezza dei numeri sta in questo. Confermo la cifra di 49.500 indicata in risposta a un'interrogazione di alcuni mesi fa, anche se sono numeri fluttuanti, perché c’è chi trova lavoro o modifica la propria situazione oppure perché si opera una correzione del conteggio. Non sono numeri scritti sulla pietra, ma, in linea di massima, sono quelli. È chiaro che, se ci venisse chiesto di tenere conto di coloro che, con le stesse caratteristiche, in base alla precedente normativa, avrebbero avuto l'apertura della finestra entro il 6 gennaio 2020, quei numeri cambierebbero.
  Le platee attualmente individuate hanno dei margini. Abbiamo fatto una serie di proiezioni e le stiamo discutendo al tavolo con il Governo. Abbiamo ormai dei numeri da valutare per eventuali estensioni. Come ripeto, la platea in difficoltà, in termini di plafond iniziale troppo basso, è quella dei soggetti interessati dalla legge n. 104 del 1992, cessati nel 2011.
  Il Presidente mi delegava anche un approfondimento sulla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015 e sul decreto-legge n. 65 del 2015. Si parlava di importo pensionistico netto e lordo. Mi pare che i giornali, immediatamente dopo la presentazione del decreto-legge, portassero ad esempio una pensione di 1.700 euro, con un bonus di circa 700-750 euro. Sulla base dei calcoli che abbiamo fatto e considerando l'aliquota fiscale media di un soggetto con 1.700 euro di pensione mensile, ritengo di poter confermare tali importi anche al netto. Bisogna tenere presente che tutto il bonus fino al 2014 è a tassazione separata, mentre parte del 2015 è a tassazione corrente. L'aspetto della tassazione è un elemento che va preso in considerazione.
  Ovviamente, quando si parla di importo lordo e netto, se un soggetto che percepisce 1.700 euro di pensione ha altri redditi, gli scaglioni salgono, sia per la tassazione corrente sia per la tassazione separata. Ci possono essere anche altri elementi.
  Quanto all’«opzione donna», il problema di copertura, come spesso succede, è un problema più della Ragioneria generale dello Stato e del Ministero dell'economia e delle finanze. Da un punto di vista giuridico, noi abbiamo sempre sostenuto non solo che le finestre si applichino sia per ragioni normative sia per la logica del sistema in cui si inserisce l'opzione, ma anche che la dizione letterale dell'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004 preveda la maturazione del diritto al 31 dicembre 2015.
  Ce lo dimostrano anche alcune conseguenze logiche. In caso contrario, avremmo una maturazione del diritto oscillante a seconda delle finestre perché, come sappiamo, l’«opzione donna» nasce con riferimento ad una finestra di 6-9 mesi che poi diventa di 12-18 mesi. L'inizio della sperimentazione dell'opzione è stato fissato al 1o gennaio 2008. Diversamente si sarebbe dovuto disporre che le finestre decorrevano dal 1o gennaio 2008.Pag. 20
  Stiamo ragionando anche con i Ministeri vigilanti per trovare il modo di adottare modifiche amministrative più favorevoli. In tema di penalizzazioni, per esempio, la circolare adottata ha risolto alcuni problemi, lasciando irrisolto solo il problema legato ai citati tre giorni di sciopero. Per il resto, tutta la contribuzione effettiva durante l'attività lavorativa è stata reinterpretata come elemento che non comporta penalizzazione. Laddove c’è la possibilità, il lavoro con i Ministeri ci porta a ripensare alcune decisioni amministrative.
  La volontà di non penalizzare chi è andato in pensione prima del 2015 pone un problema normativo in quanto la disposizione che ha eliminato le penalizzazioni non ha carattere retroattivo, almeno per i ratei maturati dal 2015.
  O si rivede la penalizzazione iniziale oppure serve un intervento normativo che preveda un doppio calcolo.

  GABRIELE USELLI, Direttore centrale posizione assicurativa dell'INPS. Sulle ricongiunzioni stiamo interloquendo con il Ministero e continuiamo a valutare le proposte di questa Commissione. La più drastica è quella che prevede l'abolizione totale delle disposizioni del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. Sappiamo tutti che è di difficile praticabilità, ma stiamo verificando. Una delle ipotesi emerse ultimamente è invece quella di estendere la disciplina del cumulo della legge n. 228 del 2012 anche alla pensione anticipata. Potrebbe essere una delle soluzioni più percorribili. Da fine aprile abbiamo ripreso gli incontri con il Ministero e stiamo valutando tutte le opportunità.
  Il cantiere è aperto.

  PRESIDENTE. Grazie. Mi pare che abbiamo fatto un lavoro utile.
  A questo punto ribadisco la richiesta al Presidente dell'INPS di fissare un successivo appuntamento di natura tecnica con la Presidenza della Commissione, tutti i Gruppi rappresentati, per affrontare un tema per volta.
  La cosa peggiore per la politica è avere a portata di mano una soluzione, ma non raggiungere l'obiettivo per incomprensioni, mancanza di comunicazione, non conoscenza dei dati o mancata adozione di un atto legislativo o amministrativo che risolverebbe i problemi di tante persone.
  Gli argomenti sono stati posti. Insisto, intanto sull'esigenza di risolvere il tema delle salvaguardie. I 170.000 sono un punto di partenza. Abbiamo sempre molto insistito e gli ultimi dati ci dicono che ci sono 110.000 certificazioni e 69.000 pensioni liquidate. C’è molta strada da fare.
  Vorremmo vedere se, come lei ricordava, esiste la possibilità di fare uno scambio tra risparmi e inclusione di nuove categorie, già ben individuate qui negli interventi. Faccio l'esempio dei lavoratori delle aziende poste in liquidazione. Mi risulta che siano 500 in tutta Italia. Risolvere un problema di quella natura è per noi poca cosa. Per quelle persone significa avere la possibilità di stare meglio e non avere un'angoscia permanente. Bastano anche piccole soluzioni, che però ci portino nella direzione giusta.
  Se il Presidente è d'accordo, si può fare un ulteriore incontro di carattere più tecnico e più specifico sui singoli argomenti. È inutile affrontare nuovamente le questioni che qui sono state sollevate.
  Ringrazio ancora gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.