XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 60 di Mercoledì 10 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del direttore di Rai Fiction, Eleonora Andreatta:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Andreatta Eleonora , direttore di Rai Fiction ... 3 
Airola Alberto  ... 9 
Andreatta Eleonora , direttore di Rai Fiction ... 10 
Airola Alberto  ... 10 
Andreatta Eleonora , direttore di Rai Fiction ... 11 
Airola Alberto  ... 11 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 11 
Andreatta Eleonora , direttore di Rai Fiction ... 11 
Airola Alberto  ... 14 
Andreatta Eleonora , direttore di Rai Fiction ... 15 
Airola Alberto  ... 15 
Andreatta Eleonora , direttore di Rai Fiction ... 15 
Airola Alberto  ... 15 
Andreatta Eleonora , direttore di Rai Fiction ... 15 
Fico Roberto , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
  Comunico, altresì, che dell'audizione odierna sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.

Audizione del direttore di Rai Fiction, Eleonora Andreatta.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore di Rai Fiction, Eleonora Andreatta che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che con tale audizione la Commissione è interessata ad acquisire elementi informativi in merito ai criteri seguiti per la predisposizione del piano fiction, sulle novità in esso contenute, nonché su come esso si inquadri nella missione di servizio pubblico svolta dalla Rai.
  Do la parola alla dottoressa Andreatta, con riserva per me e per i colleghi di rivolgerle, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  ELEONORA ANDREATTA, direttore di Rai Fiction. Ringrazio il presidente e tutti voi.
  Voglio ripartire da dove ci siamo lasciati quasi due anni fa, nel settembre 2013, quando la Commissione di vigilanza ha potuto offrire molti spunti di riflessione, dei quali ovviamente abbiamo tenuto conto nel nostro operato. Ci siamo lasciati col motto «nessuno escluso»: è il titolo della linea editoriale di Rai Fiction ed è la nostra stella polare, che abbiamo considerato fondamentale nei diversi aspetti del nostro lavoro, innanzitutto con l'inclusione dei diversi pubblici e poi con l'inclusione e la trasparenza delle scelte produttive, dei contenuti e dei talenti.
  In primo luogo c’è l'inclusione del pubblico, perché fondamento dell'operato del servizio pubblico rimane la sua missione universale, il fatto di rivolgersi a tutti. La televisione a pagamento per sua natura tende a essere esclusiva; la televisione generalista deve essere, invece, inclusiva. Dobbiamo, da un lato, poter offrire un prodotto per il pubblico più giovane e attrezzato, ma senza lasciarci alle spalle un pubblico più fragile, che non può permettersi la televisione a pagamento. È fondamentale, inoltre, la funzione della televisione pubblica di mettere insieme le generazioni e realizzare progetti che possono essere guardati contemporaneamente dai più giovani e dagli adulti.
  Vediamo che la fiducia del pubblico rispetto al nostro prodotto ha portato dei risultati molto positivi per il prodotto della Rai. Dei migliori dieci ascolti in termini di titoli, sono 60 serate, tutti e dieci sono della Rai: non c’è nessun titolo della concorrenza. Questo significa un gradimento dell'offerta nel suo insieme, composta di prodotti con formati diversificati, Pag. 4come i tv-movie, le miniserie, le serialità, le lunghe serie e anche una differenza in termini di generi e contenuti. Voglio, però, isolare tre dei titoli presenti tra i migliori dieci ascolti: L'angelo di Sarajevo, Un'altra vita e Braccialetti rossi, che rendono in modo particolarmente chiaro le coordinate del nostro lavoro in termini editoriali, ossia i valori comuni e la contemporaneità, ma anche il racconto del recente passato che ha influenza sul nostro presente.
  L'angelo di Sarajevo parla di quella guerra così vicina in termini geografici, ma che in qualche modo appartiene anche al nostro rimosso, molto presente sui giornali, ma poco nel nostro racconto popolare. Ricordare oggi quella guerra – è di questi giorni il viaggio del Papa, che ha parlato di Sarajevo come della Gerusalemme d'Europa – parlare dei contrasti religiosi che sono stati alla base di quel conflitto, è un modo per ricordare e cercare di non ripetere gli errori commessi in passato.
  Sulla rappresentazione della femminilità è stato un grande successo quello di Un'altra vita, con Vanessa Incontrada, che racconta la rinascita di una giovane donna che deve riprendere il proprio ruolo nella professione e all'interno della famiglia. Parlo di questo titolo anche perché è indicativo di una direzione della nostra produzione che va incontro a una rappresentazione femminile non solo romantica, come è stato fatto in passato, o comunque nel privato. Sempre di più raccontiamo, invece, le donne nel loro ruolo anche all'interno della società. Nella prossima stagione vedremo la donna soldato di Limbo, la donna sindaco di Questo è il mio paese e la donna poliziotta di Non uccidere.
  C’è poi il mondo dei bambini e degli adolescenti raccontato con i loro occhi, innanzitutto Braccialetti rossi, che è riuscito col tono di una favola moderna a raccontare temi scottanti e da servizio pubblico, come la malattia e la paura della morte. L'ha fatto trasformandosi in un romanzo televisivo generazionale, per cui un'intera generazione di ragazzi e adolescenti condivide questa serie nella propria memoria e tra i propri importanti elementi di formazione. Questa serie è stata vista dal 40 per cento del pubblico tra gli 8 e i 24 anni.
  Mi sembrano, però, interessanti due curve, totalmente anomale per la televisione. La prima, quella rossa, indica gli ascolti della prima serie: è una curva che abbiamo già visto in passato di una serie che ha successo. La prima serie è stata di sei puntate, dodici da 50 minuti, che ha progressivamente guadagnato sei punti di share. Contemporaneamente, la linea blu rappresenta l'abbassamento dell'età media, passata da un'età di poco inferiore alla media della platea di Rai Uno a quasi quattro anni in meno. Ecco questo è l'elemento inconsueto: riuscire a conquistare il pubblico più giovane. Ancora più interessante è la curva dell'età tra prima e seconda serie: la seconda serie, di cinque serate, è partita con un'età media più bassa del pubblico di prima serata di Rai Uno e di media ha realizzato poi quasi dieci anni in meno. Braccialetti rossi è stato anche un grandissimo successo sul web. Ho un video da mostrarvi sul successo di questa serie sul Web, che indica la strada di come ci stiamo muovendo su un tipo di racconto multipiattaforma, non solo pensato per la televisione generalista.
  I risultati ottenuti sono stati determinati da scelte rigorose e sempre di carattere artistico ed editoriale. Abbiamo agito in questi anni secondo un principio di consapevolezza etica, che ha ispirato la nostra progettualità a tutti i livelli, ovvero la scelta dei progetti, la bussola della qualità e la costruzione e l'esecuzione del piano di produzione. Abbiamo promesso trasparenza e per questo abbiamo pubblicato da un anno le nostre linee editoriali, in modo da dare accesso a tutti i produttori su tutto il territorio italiano alla linea della Rai, per poter presentare secondo regole stabilite e certe i loro progetti, ai quali entro 90 giorni viene data una risposta. Quest'anno il piano prevede la presenza di 28 diverse società di produzione, tante per un panorama relativamente non amplissimo come quello dell'audiovisivo italiano e molte di più rispetto Pag. 5a quelle dello scorso anno. Su questo vorrei fare una riflessione, perché per noi è fondamentale la presenza delle società piccole e artigianali, che garantiscono alta qualità, che hanno dimostrato di poter portare prodotti d'eccellenza e che creano anche una forte competizione sul mercato. Sono state accolte anche, quindi, le piccole realtà «garibaldine» che vengono dal web, che hanno un livello molto elevato di innovazione, giovinezza ed energia, ma contemporaneamente abbiamo bisogno delle grandi società, che possano garantire industrialmente di essere competitive a livello europeo. La televisione, infatti, anche a livello internazionale – non parliamo degli Stati Uniti, ma di Germania, Francia, Inghilterra, il mondo scandinavo e la Spagna – si basa essenzialmente sulla produzione di lunga serialità. La consegna del prodotto di lunga serialità a livello annuale richiede investimenti in termini di tecnologie, di macchinari, di personale artistico e tecnico che possa seguire queste produzioni e portarle a un livello di ottimizzazione industriale vero e proprio. Dobbiamo pensare che non agiamo più in un mercato competitivo solo nazionale. Ormai i confini si stanno globalizzando e allargando, quindi dobbiamo pensare di competere in un panorama internazionale: su questo vi è stato uno sforzo molto grande da parte della Rai. Dal 2012 a oggi abbiamo aumentato il numero della produzione delle serate per Rai Uno da 99 a 120 e riaperto la produzione di prime time, per le altre reti, come vedremo più in dettaglio nella seconda parte della presentazione, studiando la situazione del prossimo futuro, a partire dall'autunno. Il che significa che abbiamo portato indotto e lavoro al nostro comparto audiovisivo. Vediamo un video che illustra i numeri di quello che Rai fa.
  Ribadisco che dal 2012, dall'inizio della mia direzione, la Rai ha imposto al mondo della produzione di non delocalizzare più: l'ambizione della fiction Rai è di raccontare la contemporaneità, illustrare la realtà e dare voce al vissuto del Paese nel suo divenire e nella sua trasformazione. Tutti i nostri racconti, le diverse serie, i diversi prodotti che realizziamo contribuiscono a rappresentare il grande affresco del Paese che il servizio pubblico offre ai suoi spettatori. Parlare del Paese vuol dire, innanzitutto, rappresentare la diversità del suo territorio. Noi raccontiamo e vogliamo raccontare l'Italia da nord a sud, dal centro alla periferia. Vogliamo raccontarla nella sua diversità di cultura, di paesaggio, sociale, di ogni tipo. Avere eliminato la delocalizzazione è stato, da un lato, un atto di responsabilità da parte della Rai rispetto al comparto dell'audiovisivo, e quello italiano è un comparto d'eccellenza; dall'altro, ha offerto una straordinaria opportunità di carattere editoriale, perché il paesaggio non è sfondo, non è quinta indifferente, ma spesso è sostanza del racconto, genus loci.
  Ci sono storie che sembrano quasi nascere da quel territorio. L'esempio più ovvio, ma ce ne sono altri, è quello di Montalbano, che ha reso quella Sicilia e quella luce diverse e memorabili, uniche per tutto il suo pubblico. Da un lato, infatti, il territorio dà valore alle nostre fiction, ma il racconto rende quel territorio unico. Gli spettatori di altre parti d'Italia e dell'estero sono venuti per conoscere quei luoghi che sono diventati a loro familiari, che erano riempiti della sostanza che Montalbano aveva regalato con le sue storie. Hanno portato turismo e ricchezza. Nel frattempo, però, come ho ricordato anche l'altra volta, Montalbano è stato venduto in più di 60 Paesi, quindi l'identità è in realtà un mezzo per permettere alla nostra produzione di diventare più interessante anche per il mondo esterno. Noi raccontiamo il Paese e, contemporaneamente, un altro territorio, quello del vissuto delle persone, tramite il quale articoliamo le nostre trame e diamo sostanza ai nostri personaggi: la vita quotidiana, il rapporto di coppia, i contrasti tra le generazioni, la paura del diverso, che sia sotto forma del volto di un migrante o della differenza di genere, i rimossi e i segreti degli individui e delle famiglie del Paese. Sono tutti punti di frammentazione dai quali partire per i nostri racconti cercando di immaginare Pag. 6una possibile ricomposizione. Ogni nostro racconto è come la tessera di un mosaico in continuo divenire. Non potremmo dare, ovviamente, l'intera rappresentazione, ma ogni volta che costruiamo un racconto è come illuminare un nuovo punto di vista e costruire un mondo possibile nel quale il pubblico può identificarsi.
  Vi mostrerò da questo momento tutti materiali inediti, che andranno in onda nella prossima stagione. Lavoriamo, infatti, tra i 12 e i 18 mesi in anticipo. Qui forse vedrete progetti cui avevamo già cominciato a lavorare quando ci siamo visti l'altra volta e che solo oggi andranno in onda. Il nostro è un lavoro paziente di seminatori, che attendono i tempi giusti per far crescere i prodotti e realizzarli. Questo video offre una suggestione dei diversi sapori della nostra programmazione. Tengo a sottolineare anche il lavoro svolto in relazione alla qualità delle riprese. Ci serve per parlare delle possibilità di internazionalizzazione.
  I titoli ulteriori sono rappresentativi della programmazione dei prossimi mesi. Procederò ora solo per esempi: sono parziali, ma i titoli sono tanti, e quindi non possiamo mostrarli tutti. Innanzitutto, intendo presentare degli squarci, delle tessere che parlano dell'Italia profonda, attraversata da scottanti questioni civili e da conflitti che cercano un riscatto. Sono, appunto, le nostre storie che parlano, ad esempio, di una donna coraggiosa e preparata che ha lasciato il suo paese da giovane e torna per assumere l'incarico di sindaco; del tema dei migranti, che impatta sulla politica non solo italiana, ma di tutta Europa; del senso delle istituzioni che ci accomuna e della lotta contro la criminalità organizzata. Di questa linea di prodotto, ad esempio, ho il trailer di una storia tratta dalla realtà, la cattura di Iovine, che si chiama Sotto copertura.
  La seconda prospettiva da cui guardiamo la nostra produzione è quella del microcosmo della famiglia, luogo narrativo fondamentale che rimane uno dei pilastri della nostra società, ma con forme e modalità diverse rispetto alla famiglia tradizionale, con geometrie nuove, che cerchiamo di fotografare e portare all'interno del nostro racconto. Esiste una produzione a livello internazionale di drammi familiari, non fatta di racconti stereotipati e grandi colpi di scena, ma sulla base del racconto del quotidiano, dei sentimenti, della costruzione anche complessa dei rapporti tra le diverse generazioni. Abbiamo lavorato proprio nella direzione della costruzione di un racconto in cui si rappresenti la famiglia di oggi. Abbiamo anche dei racconti che attraversano il tempo, che narrano l'evolversi del concetto familiare – tra cui un bel progetto di Cristina Comencini, sull'Italia dagli anni Cinquanta ai Novanta con particolare attenzione alle figure femminili – ma tendenzialmente rimaniamo sull'oggi. Vi mostro il trailer una lunga serialità che si chiama Tutto può succedere. Sono dodici serate che raccontano la difficoltà di essere genitori a ogni età.
  Ovviamente, ci sono i giovani, il futuro, giovani che sanno affrontare le sfide, che certe volte devono affrontare la sofferenza, come in Braccialetti rossi, ma che guardano comunque verso la costruzione del domani. Non solo storie che hanno per protagonisti i giovani, perché c’è anche la scoperta del nuovo talento, quello che viene dal web, in generale il talento su cui puntare.
  Voglio raccontare una storia, ancora non realizzata, e che quindi non posso mostrarvi. È una storia che parla di ragazzi, ma ha anche come protagonista uno sceneggiatore venuto in Rai con un'esperienza ancora giovane alle spalle – aveva scritto alcune puntate per Rai Tre – portando una bellissima idea che abbiamo deciso di realizzare. Questo progetto mette insieme l'opportunità data a un nuovo talento e anche un racconto che vede come protagonisti dei ragazzi. La storia si chiama L'Aquila. Grandi speranze, ed è una storia che ci parla dell'oggi, un oggi in bilico, in difficoltà. Così il terremoto diventa una grande metafora del mondo contemporaneo. La storia è ambientata due anni dopo il terremoto dell'Aquila: c’è chi guarda verso il passato, gli adulti che hanno perso qualcosa, e chi invece verso il Pag. 7futuro, i giovani, i ragazzi di 13-14 anni, che hanno voglia di crescere e pensano al proprio domani, ed eleggono a territorio di gioco, la «città rossa», quella crollata, la città proibita, che diventa il loro campo di crescita. Un romanzo di formazione che però riesce a parlarci in modo universale del mondo di oggi.
  Ho parlato di identità. Quella di girare in Italia, di puntare sulla nostra originalità è una scelta che può veramente portare la produzione italiana all'estero. Ho citato Montalbano: voglio citare dei progetti internazionali per dire quanto l'identità del luogo sia importante anche per il loro successo. Pensiamo a Fargo, a come le pianure di paesaggi innevati del Minnesota siano importanti e identitarie per quel progetto. Pensiamo al New Mexico di Breaking Bad. Trasferiamoci in Europa e pensiamo alla Belfast di The Fall, una serie di BBC2 che è stata venduta molto all'estero proprio perché innovativa e interessante. Parlare di identità, essere specifici può aiutare a creare un interesse verso i Paesi differenti da noi. Questo però non basta e richiede anche di avere la qualità di linguaggio visivo adeguata allo standard internazionale, di lavorare sulla forma, sulla qualità della scrittura, sulla qualità della regia, degli attori. Penso che siamo pronti ad affrontare questa sfida. Lavoriamo per un prodotto che sia sempre più internazionale e che sappia mettere a valore la nostra differenza, quello che fa dell'Italia un patrimonio del mondo.
  Stiamo inoltre lanciando grandi produzioni internazionali più classiche, nel senso dei temi, ma che lavorano sempre sull'identità e sulla cultura nazionale. I MediciThe Kingdom of Gold, scritto da un grande show runner americano, Frank Spotnitz, che parla in modo attuale della famiglia dei Medici, per esempio mettendo a fuoco il tema del potere della finanza rispetto alla politica. Queste sono coproduzioni internazionali, quindi girate in inglese, con un cast internazionale. Anche quello delle coproduzioni è un campo che abbiamo riattivato. La Rai aveva una grande tradizione passata di coproduzioni più sul formato delle miniserie, obsoleto per il resto d'Europa. Abbiamo lavorato sulla serializzazione dei nostri progetti, da coprodurre. C’è, inoltre, la serializzazione di Il nome della rosa, che ha attirato l'interesse di produttori e di distributori in tutto il mondo, ma anche L'amica geniale di Elena Ferrante, che attrae grandemente il mercato americano, dove il libro è stato pubblicato e dove il The New York Times ha definito «Ferrante fever» il fenomeno letterario che quest'autrice è riuscita a creare negli Stati Uniti.
  Ho parlato fino adesso sostanzialmente di Rai Uno, ma il tema delle coproduzioni ci aiuta a passare a quello che abbiamo fatto per riattivare la produzione per Rai Due per Rai Tre. Possiamo innovare per la rete ammiraglia, che però è fatta per tenere insieme pubblici tra loro molto diversi, dove quindi l'innovazione procede più lentamente, anche se certe volte si realizzano strappi più bruschi rispetto alla tradizione, come Braccialetti rossi. Chiaramente, però, l'innovazione passa tramite gli altri canali. Ho citato l'esempio di The Fall, che va in onda su BBC 2. La stessa cosa valeva per la Rai fino a pochi anni fa. Coliandro è nato su Rai Due, così come Crimini, curato da De Cataldo, ma su Rai Due è nato Montalbano. All'epoca il fatto di raccontare una storia in una lingua particolare, con un attore che non era mai stato protagonista, rappresentava un'innovazione. Sono tutti prodotti, non solo Montalbano, ma anche Crimini e Coliandro, che hanno molto venduto all'estero. Il crime è, infatti, un modo per raccontare il Paese, ma anche un modo per essere internazionale. È un genere estremamente duttile e vendibile. Allo stesso modo, su Rai Tre c'era La nuova squadra, ha fatto esordire registi come Stefano Sollima e Paolo Sorrentino. Questo vuol dire che, per esempio, la lunga serialità industriale permette, molto più di quanto sia possibile per Rai Uno, l'immissione di talenti giovanissimi. Erano vari anni che non si produceva per le reti diverse da Rai Uno: quest'autunno torna la produzione in prime time su Rai Due e Rai Tre. Per Rai Due torna innanzitutto Coliandro, un titolo molto richiesto e che ancora ha Pag. 8un'amplissima comunità di fan. Era un prodotto di carattere artigianale. Si facevano dei tv-movie che avevano un costo piuttosto alto: siamo riusciti a ridurre i costi a farlo diventare un prodotto seriale, pertanto più vendibile.
  Start-app è un progetto in sviluppo con Sydney Sibilia, uno dei registi che ha esordito con il film Smetto quando voglio, fenomeno dello scorso anno e vincitore di molteplici premi. C’è poi Coppie in attesa, che rappresenta il ritorno del linguaggio della docu-fiction in prime time sulla seconda rete. Abbiamo realizzato quest'anno per Rai Tre Ilaria Alpi e la storia di Catia Pellegrino, mentre questa è una docu-fiction più quotidiana, che di nuovo ci permette di raccontare la realtà.
  Passiamo a Rai Tre e, innanzitutto, a Un posto al sole. L'ascolto medio è di 2 milioni 100.000 spettatori, col 7,8 per cento di share. Un ascolto molto alto, che aiuta a consolidare gli ascolti di prime time della rete. Nell'ultimo periodo ha fatto 2,5 milioni, più dell'8,4 per cento.
  Non voglio, però, parlare tanto di ascolti. È fondamentale parlare dei contenuti. Le tematiche che passano in Un posto al sole sono essenziali. Abbiamo parlato di violenza sulle donne, di prostituzione minorile, di affido, di bullismo e, recentemente, di omofobia. Ieri sul set di Un posto al sole è andato il presidente dell'associazione Harvey Milk insieme al console in Italia per rendere omaggio a un prodotto che è riuscito a trattare con particolare competenza ed esaustività un tema così delicato. Tramite la nostra fiction, anche quella più quotidiana, passano i temi importanti dell'oggi e Un posto al sole sotto questo profilo, proprio grazie alla propria lunghezza, permette di sviscerare e parlare più approfonditamente di cose che si possono toccare con meno profondità in altre situazioni. Inoltre, questo prodotto è importante per la valorizzazione delle risorse interne della Rai, risorse di alto profilo. Un posto al sole ha fatto scuola, permettendo di far partire al centro di produzione di Torino un'altra produzione quest'anno per il prime time: Non uccidere, dodici serate da 100 minuti. Non uccidere è una storia che, da una parte, ha utilizzato appunto i tecnici e la competenza di Napoli, ma che aveva ancora delle competenze che erano rimaste da quando ancora si produceva fiction a Torino; immediatamente sono entrate virtuosamente nel processo produttivo. Non uccidere è una serie crime che parla dei delitti che avvengono negli ambiti ristretti, quindi quello della provincia e, purtroppo, quello familiare, dove molto spesso si consumano i delitti privati. È una storia che parla del malessere del Paese, ma lo fa anche nel senso riparativo con cui il crime può raccontare queste tematiche. Ha un cast importante e anche molti attori esordienti.
  È importante, secondo me, sottolineare di questo prodotto l'alta qualità nonostante sia a basso costo e totalmente industriale sotto il profilo produttivo. La fabbrica di Torino ha due linee di produzione in contemporanea. Non ha, quindi, un modo artigianale di produzione simile a quello cinematografico, ma un modo da catena industriale, con due linee di prodotto che si intrecciano nel girare le scene, quindi la costruzione del racconto tiene conto della necessità di avere più troupe che lavorano in contemporanea per contenere i tempi.
  Questo avveniva per La squadra, con un protagonismo corale: il fatto di avere più protagonisti permetteva di girare su due linee produttive, come avviene anche per Un posto al sole. In questo caso, volevamo lavorare alla bellissima storia orizzontale della nostra protagonista, che in qualche modo riflette il tema del racconto, nel senso che lei stessa ha una madre che è stata arrestata e viene rimessa in libertà dopo 17 anni per aver scontato l'omicidio del marito, omicidio sul quale ci sono molti misteri irrisolti, che verranno trattati durante l'arco del racconto. Abbiamo una protagonista forte, non un protagonismo corale come nel caso di La squadra, con un punto di vista non solo dei poliziotti, ma anche dei protagonisti di puntata. Ogni storia è raccontata anche dal punto di vista delle persone che rimangono intorno alla persona che è stata uccisa. Sono, da Pag. 9una parte, i potenziali colpevoli e, dall'altra, le persone che affettivamente le erano legate. È una struttura simile a quella di The Killing.
  La Rai si occupa anche del settore dei cartoni animati. Ha determinato il rilancio di un settore di eccellenza artigianale che stava morendo e che da quindici anni, invece, la Rai alimenta e continua a far crescere. Adesso la Rai è uno dei player a livello europeo e internazionale più importanti. Le serie in animazione sono tutte in coproduzione e contribuiscono alla costruzione dell'idea del bello nell'immagine visiva, nella musica e nel linguaggio per le generazioni più giovani, più esposte alla comunicazione.
  Sono tanti i titoli. Vediamo qui La Pimpa, Il piccolo principe, Geronimo Stilton e così via. Ho deciso di mostrarvi il brevissimo trailer di un prodotto meno conosciuto, proprio perché gioca sulla qualità e anche sul la possibilità di veicolare la cultura alta tramite il cartone.
  Una fabbrica come Rai Fiction ha bisogno continuamente della scoperta di nuovi talenti che possono alimentare la sua creatività. Per questo ci siamo mossi per stabilire rapporti stabili con il Centro nazionale di cinematografia, collaboriamo con il premio Solinas, che ha l'alto patrocinio della Presidenza della Repubblica ed è uno dei premi cinematografici più importanti a livello italiano, e siamo molto attenti alle risorse che esordiscono sul web o al cinema e cerchiamo di utilizzarle. Per questo abbiamo riaperto quest'anno il master di scrittura televisiva per il prodotto seriale nella Scuola di Perugia. Abbiamo pensato come a una bottega artigianale di stampo antico, nella nostra tradizione italiana più valida, per far preparare questi giovani dal grande talento non solo sotto il profilo teorico, ma anche pratico, facendoli lavorare con i migliori sceneggiatori italiani, in modo che siano pronti al termine del corso a entrare immediatamente nel campo del lavoro.
  Abbiamo lavorato, come è stato preannunciato, anche per il Web. Una parte di pubblico non frequenta più la televisione generalista. Non è che non veda la Rai, ma non guarda proprio la televisione generalista. Questo pubblico non è perso. In realtà, la Rete offre una grande possibilità per recuperare il pubblico che è andato via e interessarlo al nostro racconto. Abbiamo fatto nascere una piattaforma, anche di carattere esperienziale, che ruota intorno alla narrazione per estendere le nostre possibilità e creare nuovi format e nuovi linguaggi che possono attrarre il pubblico che guarda meno la televisione. Parliamo dei giovani, e in particolare dei giovani adulti. Ho una puntata, che dura 140 secondi. Se volete, ve la mostro per darvi l'idea dell'innovazione linguistica. Ha un tipo di linguaggio adatto al Web, quindi chiedo scusa per l'uso di qualche termine.
  Abbiamo grandi speranze sul futuro della fiction italiana e ci sentiamo un po’ come quei ragazzi dell'Aquila che vivono le loro avventura nella parte rossa della città, mentre i loro genitori si dilaniano sulle rovine, perché non è più tempo di analisi. È il tempo per immaginare e per progettare. Quel terremoto, se ha distrutto le loro case, ha distrutto e seppellito le vecchie abitudini e le vecchie consuetudini: bisogna essere creativi nell'utilizzare tutto quello che pensiamo sia utile a dare forma ai nuovi sogni. Vi lascio allora ai sogni dei ragazzi veri che emozionano nel momento in cui si commuovono o condividono una storia.

  ALBERTO AIROLA. Non vorrei passare davanti ai colleghi, ma forse in 8a Commissione presto inizieremo la discussione degli emendamenti alla riforma della governance Rai.
  La ringrazio di essere venuta e di averci illustrato le novità, alcune delle quali riconosco essere state recepite rispetto a due anni fa, quando ci siamo visti l'ultima volta. In primis mi complimento per la delocalizzazione, proprio perché, come diceva, gli scenari spesso sono molto importanti, rappresentano il nostro Paese e, soprattutto sono soldi pubblici che vanno a incrementare proprio quell'area di case di produzione, di piccoli produttori indipendenti, che sono il substrato che dobbiamo far crescere: la Rai ha una importante Pag. 10funzione, essendo forse l'unica con grandi mezzi per produrre.
  Vediamo un po’ di fare ordine perché ho molte domande. Innanzitutto, anche alla luce di «nessuno escluso», questa Commissione è sicuramente entusiasta della qualità delle immagini e dei trailer che ha presentato, ma ci servirebbe anche la famosa trasparenza di cui abbiamo sempre parlato. Mi interesserebbe capire nel dettaglio, rispetto alle famose cinque, sette, otto società che conosciamo, la Fremantle, la Lux Vide e così via, come siate riusciti ad allargare e quali società avete coinvolto, con quali criteri. Ricordo che nell'ultima audizione mi disse che vi arrivavano sul tavolo, valutavate e decidevate: è sempre questo il criterio ? C’è sempre una commissione interna composta da lei e da qualche altro dirigente che valuta le questioni o sono state attivate procedure anche per favorire forse il grande afflusso ? Non so quanti progetti siano arrivati. Mi sta a cuore capire quanto è stato allargato il parco e sulla base di quali criteri. In quest'ambito, per esempio, sicuramente ci sono delle società di cui ha detto che garantiscono la qualità a livello internazionale, competitive sui mercati internazionali. Immagino siano sempre le stesse cinque. Quante produzioni sono state fatte dalle solite che conosciamo già e quante aprendo a nuove società, a nuovi soggetti proponenti ? Lei parla – ripeto – di grosse società che possono essere competitive sui mercati internazionali. Sui mercati internazionali le coproduzioni meriterebbero un discorso a parte. Forse sarebbe un discorso troppo dettagliato, ma vedo tutte coproduzioni di un certo livello, e quindi ci interesserebbe anche sapere con quali quote e in che modo – solo con la produzione, fornendo location ? – l'Italia valorizzi sé stessa nell'ambito di questa produzione.
  Nell'ambito, però, di queste grosse società che garantiscono i mercati internazionali, che cosa abbiamo venduto all'estero ? Don Matteo è stato venduto all'esterno ? Ecco: quanto ? Rispetto agli investimenti che continuiamo a fare, non ci ha mai fornito un piano, che mi interesserebbe conoscere, di ripartizione dei 192,82 milioni di euro. Braccialetti rossi, per citare un esempio, è sicuramente un'operazione ben riuscita, perché ha ottenuto un grande successo: penso sia costata molto meno dei budget che diamo alla Lux Vide per realizzare prodotti che non vendiamo granché. Raccolgono sicuramente un grande share, perché si parla del 20 per cento, ma se le parole d'ordine sono «nessuno escluso», «apriamoci ai giovani» e così via, questo dato per noi sarebbe importante.
  Vengo alla questione, molto interessante, della ripartizione del budget sulle altre tv: esista un budget definito solo per Rai Uno o la Rai lo ridistribuisce su posizioni che riguardano Rai Uno, Rai Due e Rai Tre ? Vorrei capire come funziona. Sempre nell'ambito di un budget annuale stanziato per le fiction, che non so quale sia, come viene ripartito ? Che idea avete ? Come lo ripartirete ? Su quali tematiche ? Lei ha detto che Montalbano è nato su Rai Due, ma adesso i due prodotti di massimo successo di cui continuiamo a parlare da anni sono Montalbano, che in effetti è venduto dovunque, e Braccialetti rossi, che, ripeto, secondo me è riuscito molto bene Chi lo ha prodotto ?

  ELEONORA ANDREATTA, direttore di Rai Fiction. Palomar.

  ALBERTO AIROLA. Riconosco a Palomar un'ottima capacità. Mi sembra che ci sia la possibilità di riportare la Rai a essere molto competitiva anche sui mercati internazionali spendendo meno con delle buone idee. Non ci sono più state delocalizzazioni: può fare quest'affermazione con assoluta certezza ? Benissimo.
  Vengo a Non uccidere, prodotto da Fremantle. È un esperimento particolare, girato a Torino. Io sono di Torino e conosco il sistema. Da una parte, è positivo cercare di favorire le risorse interne della Rai, come abbiamo sempre detto. La mia preoccupazione è che, mentre per prodotti del tipo soap opera, come Un posto al sole, realizzato internamente alla Rai...

Pag. 11

  ELEONORA ANDREATTA, direttore di Rai Fiction. Coprodotto con Fremantle, esattamente come La squadra, che ha lo stesso modello produttivo di Non uccidere. Anche La squadra era prodotto parzialmente con le risorse interne: metà della troupe è interna e metà esterna.

  ALBERTO AIROLA. Su quest'aspetto mi hanno segnalato a Torino un dato che voglio sottoporre alla sua attenzione, perché potrebbe verificarsi un corto circuito pericoloso. Relativamente all'adeguato sfruttamento delle risorse interne, ho saputo che molti tecnici hanno affiancato tecnici interni Rai per cercare di far crescere anche la loro competenza. Può sembrarle un comportamento un po’ micragnoso, ma in realtà riguarda il sistema produttivo e l'idea che c’è dietro. Non è detto che un macchinista televisivo abbia le capacità di un macchinista esterno. Questo vuol dire soppesare esattamente le competenze interne e quelle dei professionisti delle società esterne, in maniera che questo matrimonio, contro cui nessuno ha obiezioni, si celebri però nel miglior modo possibile e non tenda a indebolire delle professionalità cinematografiche, che non sempre sono presenti in Rai, lavorando in armonia, come si può fare, in maniera magari anche vincente, con le competenze interne Rai. Mi dicono da Torino che ci sono stati degli squilibri. Peraltro, sono mestieri leggermente diversi e non si possono imparare, ovviamente, durante una produzione. Glielo segnalo perché mi sembrava importante, proprio per costruire un'armonia e un buon rapporto tra le capacità interne della Rai e la realtà esterna.
  Quanto alla questione tematica delle famiglie, ci piacerebbe vedere, un po’ come per il tema della docu-fiction, viste anche le tematiche all'ordine del giorno sulle unioni civili, il referendum in Irlanda e così via... Probabilmente ci avete già pensato e ne sono contento, ma comincerei anche a pensare altro. È uscito recentemente uno studio secondo cui, in effetti, il pluralismo religioso nella Rai non viene così ben rispettato, perché tendenzialmente viene molto sottolineato un certo aspetto – per carità, fondante della cultura italiana, quello della cultura cattolica – ma forse dare anche spazio ad altre voci non necessariamente in linea può essere un modo di aumentare il pluralismo e la libertà. A un certo punto, ha parlato di omofobia. Mi sembrano tematiche importanti da far sentire adesso agli italiani, perché siamo in pieno dibattito.
  In merito alle coproduzioni, ci interesserebbe avere un quadro su quote e partecipazioni e anche un feedback finale sui risultati. Ho quasi finito, presidente, ma ho davvero preso molti appunti un po’ di corsa. Sulla questione del web, visto che non è ovviamente solo una questione di linguaggio – fare una cosa simpatica o con linguaggio giovane non significa automaticamente fare Web – avete pensato a strategie alternative per questo sito ? Avete pensato a delle coproduzioni internazionali ? In alcuni Paesi sono più avanti e potrebbe essere utile sia per la Rai sia per il nostro mercato. Sono stati coinvolti soggetti produttivi nuovi, magari più giovani rispetto a Bernabei e i vecchi del mestiere ?

  GIORGIO LAINATI. Sarò molto più rapido di chi mi ha preceduto. Voglio solo farle i complimenti. Ho molto apprezzato il suo lavoro, la sua linea editoriale. Mi pare che quelle belle riprese abbiano evidenziato che lei ha veramente spaziato a 360 gradi sull'essere della società italiana e su tutti i suoi aspetti, dai più semplici ai più complessi. Devo, quindi, solo formularle i miei complimenti.

  ELEONORA ANDREATTA, direttore di Rai Fiction. Partirei dagli interessanti commenti di carattere tematico posti e che mi offrono la possibilità di completare il quadro. Come dicevo, dato il grande volume produttivo, non mi sarebbe stato possibile parlare di tutto.
  Parliamo delle famiglie. Quando parlo di fotografare, vuol dire che certe volte anche il processo normativo che regola i cambiamenti sociali può avere tempi lunghi di attuazione, mentre la società si Pag. 12evolve molto rapidamente. Cerchiamo di fotografare la realtà della situazione italiana, tentando di essere fedeli a quello che accade. In un'altra delle serie lunghe che produciamo la sorella della nostra protagonista decide con la sua compagna di fare un'inseminazione artificiale in Spagna, e quindi abbiamo due ragazze con una pancia. Raccontiamo questo tema, comunque presente all'interno della nostra società. Abbiamo raccontato l'omosessualità in altri prodotti, come in Una grande famiglia. Sempre sulla stessa serie un ragazzo mussulmano assieme alla sua famiglia e all'Imam, erano rappresentati con grande rispetto e grande rilevanza nel racconto. Abbiamo realizzato la miniserie Anna e Yusef, che racconta della complessità di gestire, nella situazione di crisi di un matrimonio tra una donna italiana e un magrebino, i pregiudizi da parte della famiglia italiana e di quella magrebina. Abbiamo cercato di raccontare con un punto di vista più obiettivo possibile determinate situazioni. In realtà, all'interno del nostro racconto cerchiamo di dare una rappresentazione credibile e vera proprio della complessità del nostro mondo attuale, nel quale ci sono forme diverse di religione, di affetto, di matrimonio, di convivenza. Abbiamo cercato di raccontarle nella loro varietà.
  Per quanto riguarda il discorso della produzione interna, per noi è un titolo di grande vanto. Lei ha citato gli studi della Lumiq, in cui è nato il cinema italiano, e che grazie a questa produzione hanno rivisto la luce e ripreso un'attività continuativa. La nostra intenzione è cercare di trasformare quest'apertura in un'occupazione più stabile di quel territorio.
  Per quanto riguarda la collaborazione con le figure interne, ricordo che BBC – forse il più grande servizio pubblico europeo – fa il 50 per cento di produzione interna ed è garantito alla produzione indipendente solo il 25 per cento. Ora, la Rai ha evidentemente una missione di tipo diverso, che è quella di far lavorare anche la produzione indipendente, perché questo ci è richiesto dal Contratto di servizio, ma contemporaneamente anche quella di valorizzare le proprie risorse interne. La scenografia, che trovo particolarmente curata, di Non uccidere è stata realizzata da uno scenografo interno, così come anche i costumi. I direttori della fotografia sono un interno e un esterno. Abbiamo un'articolazione di professionalità che lavorano in collaborazione.
  Lascio per ultima la domanda che riguarda i produttori, che è quella forse più articolata. Per quanto riguarda il web, RAY è in versione beta, quindi in una fase sperimentale. Stiamo lavorando ad arricchirlo. Dovevamo sperimentare. È una zona totalmente nuova in cui prepariamo la nostra offerta. Da un lato, RAY è fatto per recepire la creatività che viene dall'esterno, quella dei giovani, per cui c’è un'intera parte laboratoriale per la quale chiediamo di mandare progetti scritti: tra poco sarà pubblicato il bando. Quello precedente, La Bottega delle web-series, si è chiuso e stiamo per pubblicare on line la web-series di questo gruppo di giovani uscita da questa sperimentazione. Faremo una bottega di scrittura e poi chiederemo anche di mandare i progetti, sia di piloti, sia per esempio sul linguaggio delle parodie, molto utilizzato dal web. Accoglieremo le proposte dall'esterno. Sostanzialmente, c’è un'apertura verso la creatività. Potranno mandare progetti. Pubblicheremo e faremo votare le serie migliori e decideremo che cosa effettivamente produrre anche in base al gradimento degli utenti sul web. Ci saranno sia idee, come La bottega delle Webseries, sia i piloti e i trailer, perché in realtà la produttività dei ragazzi e il tipo di riprese fatte oggi per il web permettono un'autoproduzione della parte di pilota.
  Adesso stiamo realizzando, per esempio una serie di docu-fiction sulle start-up italiane. Stiamo lavorando su un intero altro campo di racconto, che il web ci permette di fare in modo spigliato, facendo conoscere le esperienze virtuose dell'imprenditoria più giovane, di chi rimane in Italia, di chi non va all'estero. Contemporaneamente, stiamo per cominciare anche a lavorare alla programmazione di web-series realizzate all'estero, Pag. 13proprio con l'idea di lavorare maggiormente in coproduzione su questo tipo di linguaggio. Lavoreremo anche sulla presentazione di alcuni prodotti europei, e sulla coniugazione di prodotto anche di coproduzione. Questa è una seconda fase che ancora non abbiamo inaugurato.
  Ricordo «Io credo che lassù», un progetto di scrittura collaborativa, in cui le ragazze tra i 14 e i 18 anni sono chiamate a contribuire alla scrittura e poi alla realizzazione di una web-series che racconta la nascita di un gruppo musicale di ragazze giovani. È un modo per raccontare l'Italia. Sono soprattutto le ragazze di provincia che ci hanno scritto. Abbiamo avuto molte centinaia di migliaia di contributi. È un'altra maniera in cui la Rai è più vicina agli utenti a casa.
  Per quanto riguarda il discorso delle società, l'altra volta ho risposto a questa domanda. Le realtà europee, cioè l'Inghilterra, la Germania, la Francia, lavorano principalmente con grandi gruppi. Sto parlando di France Télévisions, di BBC, di ZDF. I grandi gruppi europei, che si chiamino Bertelsmann, BSkyB e così via, sono in grado di realizzare un prodotto che vende anche negli Stati Uniti. Il prodotto che molto spesso riesce a essere compiutamente industriale, con un alto livello produttivo, la capacità di tenere i tempi, richiede comunque un'organizzazione del lavoro, una presenza di società non artigianali, quindi non un singolo individuo o due o tre che hanno una piccola società, ma un'organizzazione (il montaggio in house, la post-produzione, le strutture) che permetta tempi molto brevi di realizzazione. Se vogliamo essere competitivi sul piano internazionale e lavorare sulla lunga serialità, sono quelle le società in grado di fornirla. Il linguaggio televisivo va in quella direzione. Non possiamo far niente su questo, un processo che si sta realizzando. Secondo me, infatti, dobbiamo prima di tutto rispondere al nostro pubblico. Credo che la Rai prima di tutto risponda ai propri spettatori, al proprio pubblico a casa, e quindi debba fornire la miglior produzione che può a livello produttivo, realizzativo. Deve poter mandare in onda una serie a un anno di distanza. La Rai ha molto sofferto del fatto che spesso una serie tornava un anno e mezzo o due anni dopo. La televisione è cambiata. Adesso ci sono appuntamenti che richiedono un tipo di lavorazione industriale, cioè una catena di montaggio nel lavoro che permetta, mentre si sta girando, di montare, mentre si monta, di preparare. Questa è la realtà.
  Abbiamo portato da 22 a 28 i produttori, che quindi sono aumentati, e abbiamo lavorato sempre più sulla serialità rispetto ai formati brevi. Anzitutto, lo chiedono la televisione e il pubblico. Inoltre, lo abbiamo fatto anche per creare realtà medie che comunque sono rafforzate adesso rispetto a un tempo. È decresciuto il dislivello tra questi produttori. Adesso sono più di sei o sette. Ora tanti produttori sono più o meno in una certa fascia di produzione. È certo che, come l'altra volta avevo detto, quelli ai primi cinque, sei, sette posti sono quelli che fanno lunga serialità. Basta un solo titolo di lunga serialità a metterli in quella posizione. Chiunque faccia lunga serialità è nei top 6, 7 o 8. Ricordiamoci che siamo l'unico Paese europeo a fare lunga serialità di 24 puntate, perché abbiamo la programmazione degli episodi da 100 minuti back to back. Negli altri Paesi, dove fanno i 50 minuti, quando fanno lunga serialità sono 12 da 50. Programmando noi i 100 minuti – la televisione italiana è così da sempre – diventano 24 episodi da 50 minuti, che produttivamente sono complessi da affrontare. È per questo che richiedono comunque un'attrezzatura, una preparazione, una capacità tecnica di gestirli nel modo migliore. L'esperienza di Fremantle con Rai sulla questione della produzione industriale deriva anche dal loro know how di gestire una produzione così complicata, che ci permette di contenere i costi e di andare nella direzione di un'offerta di alta qualità, ma a costi contenuti. Di nuovo, penso che la capacità di fare alta qualità a costi contenuti sia un elemento di valutazione nella scelta di un progetto.Pag. 14
  Quanto al discorso dei costi, dico una cosa su Don Matteo, dopodiché vorrei parlare dell'esportabilità. Don Matteo fa due o tre passaggi in prime time, circa sette o otto in day time e l'anno scorso ha avuto 857 passaggi complessivi su Rai Premium, quindi è un prodotto che solo a livello di sistema italiano di investimenti si è completamente ripagato e più e più volte si ripaga. Il numero di passaggi che crea è da vera utilità ripetuta, e la fiction è utilità ripetuta. Poi ha avuto adattamenti in varie parti del mondo, dall'Est europeo al Sud America. Esiste un Don Matteo pope con figli, quindi esistono forme diverse in cui il prodotto è stato acquistato e venduto.
  Parliamo, però, delle vere coproduzioni. Ho citato come venduti molto all'estero altri due titoli di Rai Due: Coliandro e Crimini. Il prodotto più esportabile, infatti, è quello di genere. Pensiamo a che cosa vediamo noi delle serie estere. Lasciamo stare il campo americano, che probabilmente ha una sua potenza di fuoco unica. Il mercato americano è nato negli anni Cinquanta: noi come mercato industriale della fiction siamo nati a metà degli anni Novanta, quindi non è una storia paragonabile. Ha citato l'esempio di Braccialetti rossi: sa che l'hanno fatto in America ? Sa qual è il budget americano ? È 3,5 milioni di euro a episodio di 50 minuti. L'ha realizzata la società di Steven Spielberg ed è andata male. Ogni storia, ogni Paese ha il suo vissuto e il suo passato con cui fare i conti. Per prudenza, nel momento in cui c’è stata la crisi in Italia, quindi sono stati tagliati i finanziamenti al settore della fiction, era stato deciso di produrre solo per Rai Uno.
  Dal 2012 a oggi abbiamo riattivato proprio quelle linee di prodotto come Non uccidere, ma per Rai Uno, per esempio, stiamo realizzando I bastardi di Pizzofalcone, da una storia tratta dai romanzi di De Giovanni, ambientata a Napoli, con una squadra di reietti. La storia è, da una parte, poliziesca, ma dall'altra ha l’epos del riscatto dei poliziotti che sono gli scarti degli altri commissariati. Secondo me, ha un grosso potenziale di vendita all'estero. La stiamo realizzando per Rai Uno, dove va in onda anche Montalbano. Lavorando su quelle tipologie di prodotto, è chiaro che è più facile esportare. Indubbiamente, altre tipologie hanno importanza per il servizio pubblico. Cito l'esempio di L'angelo di Sarajevo, che per noi è una storia molto importante, ma più locale. Sicuramente venderà in qualche Paese, ma non ha la stessa potenzialità di ripagarsi. Resta, però, un racconto da servizio pubblico ed è nel bilanciamento dell'equilibrio tra la parte che stiamo producendo, pensando sia alla produzione esportabile sia a quella più identitaria. Così si trova un equilibrio anche economico della produzione.

  ALBERTO AIROLA. Sul Lumiq ha ragione a ricordare che ci è nato il cinema italiano. Io mi sono laureato proprio sul Fert. Vorrei solo avvertirla che, purtroppo, la Lumiq attualmente non ha neanche più la rete elettrica dello stabilimento perché l'hanno rubata. È una scatola vuota. Non dipende, ovviamente, dalla Rai, ma magari da braccia larghe o da chi ha gestito in quegli anni la Lumiq. Vorrei semplicemente suggerirle di usare razionalmente le risorse interne e quelle esterne, per evitare dei corto circuiti, che delle professionalità che vivono soltanto di collaborazioni, da freelance, non siano completamente sostituite dalla Fremantle, che viene pagata dalla Rai per un prodotto, ma usa personale della Rai, magari facendo deroghe a contratti. Sono due mondi che hanno anche contrattualmente regole diverse.
  Lei ha parlato, per esempio, di 22 e di 28 produttori: possiamo avere un'idea, anche dei dati aggregati ? Sono convinto che stiate cambiando delle cose andando in una certa direzione. Quando sento parlare di tanti progetti, vorrei vedere un foglio con tutti questi progetti. L'ideale sarebbe avere anche quel budget dati a puntata: cosa si spende per una miniserie di 24 puntate, 12, 24 milioni di euro ?
  Se decidete che questa Commissione non debba avere i dati sui soldi dei cittadini italiani, vorremmo almeno avere alcune idee. Di Don Matteo ha detto, ad esempio, che si vende: in quali Paesi ? Un certo numero di puntate è costato 12 Pag. 15milioni di euro: l'abbiamo venduto in un solo Paese, ma ha avuto un ottimo ritorno interno. Già questo sarebbe un modo per tranquillizzare la Commissione o i più curiosi in questa Commissione. Vorremmo dati anche aggregati sulla ripartizione.
  Dite di aver coinvolto tantissimi giovani: come ? In quali progetti ? Secondo me, questi dati ci darebbero grosse sorprese e scopriremmo che magari alcuni progetti, come Braccialetti rossi o altri dati a società che non rientrano nelle solite cinque, sei o sette, con budget minori hanno avuto un grande successo, premiando il suo lavoro, il lavoro del servizio pubblico e dimostrando che i soldi dei cittadini sono stati ben spesi. Questo per noi sarebbe importante, al di là del fatto che posso credere a quello che dice, ma lei mi sta facendo un discorso molto generico. Così semplicemente verificherei.
  Anche quella legata al web è un'ottima iniziativa. Mi ha detto che avete coinvolto nuove società: sarebbe interessante capire in che misura e in che forma. Possiamo avere questi dati in una prossima audizione, anche in forma più aggregata ?

  ELEONORA ANDREATTA, direttore di Rai Fiction. Il dottor Luppi fornirà i dati aggregati. Per noi, il piano di produzione è un dato interno, riservato, che deve servire come progetto. Si chiama «piano» non nel senso che prevede obblighi rispetto al mondo esterno. Sono i progetti che presentiamo in consiglio d'amministrazione come quelli che giudichiamo migliori nel mix delle richieste di rete. È un piano progressivo, in cui i progetti possono anche, soprattutto quelli più lontani, subire variazioni. Inoltre, sono dati sensibili rispetto alla concorrenza. Sulla base dei dati singoli, è un dato che fornisce elementi alla concorrenza che non vanno...

  ALBERTO AIROLA. La concorrenza non prende i soldi dei cittadini.

  ELEONORA ANDREATTA, direttore di Rai Fiction. Quelli inseriti, inoltre, sono tetti di spesa. Non sono quello che effettivamente va in budget. La trattativa viene fatta sulla base delle sceneggiature quando viene consegnata la richiesta di contratto: non sono cifre date e stabilite.

  ALBERTO AIROLA. Anche a posteriori.

  ELEONORA ANDREATTA, direttore di Rai Fiction. Grazie allo sviluppo della lunga serialità e al taglio dei costi del sopra la linea, il budget medio del prodotto per Rai Uno è stato diminuito di quasi 100.000 euro a pezzo negli ultimi anni, quindi abbiamo fatto un grande lavoro di riduzione dei costi ed effettuato un grande controllo su come effettivamente vengono spesi i soldi.
  Quanto alla prima questione, la Rai chiede a tutte le società con cui lavora e a tutti gli eventuali subappalti la tracciabilità dei flussi finanziari, il certificato antimafia l'iscrizione all'albo fornitori della Rai e l'applicazione degli obblighi contributivi, ovvero essere in regola con il DURC, fornire l'elenco di tutti i lavoratori che utilizzerà, aprire la posizione contributiva presso l'INPS per ciascun lavoratore e versare i contributi dovuti, altrimenti nessun pagamento viene fatto.

  PRESIDENTE. La richiesta del senatore Airola riguarda il budget dopo che avete approvato tutto, quando non vi sia più nulla di insidioso in materia di concorrenza. Quando avete un quadro chiaro del budget e della distribuzione dei soldi, valuterete voi di trasmettere i dati aggregati alla Commissione, solo per un'operazione di normalissima trasparenza. Lo chiedo anch'io.
  Ringrazio la dottoressa Andreatta e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.