XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 32 di Mercoledì 15 aprile 2015

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 2 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Audizione dell'onorevole Claudio Martelli:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 
Martelli Claudio  ... 4 
Grassi Gero (PD)  ... 5 
Martelli Claudio  ... 5 
Grassi Gero (PD)  ... 6 
Martelli Claudio  ... 6 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Martelli Claudio  ... 7 
Corsini Paolo  ... 7 
Martelli Claudio  ... 7 
Buemi Enrico  ... 9 
Martelli Claudio  ... 9 
Grassi Gero (PD)  ... 9 
Martelli Claudio  ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 
Martelli Claudio  ... 10 
Grassi Gero (PD)  ... 11 
Martelli Claudio  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Buemi Enrico  ... 11 
Martelli Claudio  ... 11 
Corsini Paolo  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Corsini Paolo  ... 11 
Martelli Claudio  ... 12 
Corsini Paolo  ... 12 
Martelli Claudio  ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Martelli Claudio  ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Martelli Claudio  ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Martelli Claudio  ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Martelli Claudio  ... 14 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Martelli Claudio  ... 14 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Grassi Gero (PD)  ... 14 
Martelli Claudio  ... 14 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Martelli Claudio  ... 14 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Martelli Claudio  ... 15 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 
Martelli Claudio  ... 15 
Corsini Paolo  ... 15 
Martelli Claudio  ... 15 
Grassi Gero (PD)  ... 15 
Martelli Claudio  ... 15 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 
Carra Marco (PD)  ... 15 
Martelli Claudio  ... 15 
Carra Marco (PD)  ... 15 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Martelli Claudio  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Martelli Claudio  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Martelli Claudio  ... 16 
Carra Marco (PD)  ... 16 
Martelli Claudio  ... 16 
Carra Marco (PD)  ... 16 
Martelli Claudio  ... 16 
Carra Marco (PD)  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Carra Marco (PD)  ... 16 
Martelli Claudio  ... 16 
Carra Marco (PD)  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Martelli Claudio  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Martelli Claudio  ... 16 
Corsini Paolo  ... 17 
Martelli Claudio  ... 17 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 17 
Martelli Claudio  ... 17 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 17 
Martelli Claudio  ... 17 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 17 
Martelli Claudio  ... 17 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 17 
Gasparri Maurizio  ... 17 
Martelli Claudio  ... 17 
Gasparri Maurizio  ... 17 
Martelli Claudio  ... 17 
Gasparri Maurizio  ... 17 
Martelli Claudio  ... 18 
Gasparri Maurizio  ... 18 
Martelli Claudio  ... 18 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Deliberazione in tema di criteri per la corresponsione dei rimborsi spese ai collaboratori della Commissione ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 14.30.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che nel corso della odierna riunione, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha approvato – ai sensi degli articoli 7, comma 4, e 23, comma 2, del regolamento interno – i criteri per la corresponsione dei rimborsi spese ai collaboratori della Commissione.
  Nel corso della medesima riunione ho riferito all'Ufficio di presidenza – ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del regolamento interno – di aver disposto la trasmissione di un documento segreto alla Procura generale presso la Corte di appello di Roma.
  L'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha poi convenuto di dare seguito alle proposte operative formulate dal dottor Donadio in una relazione riservata pervenuta il 10 aprile e in una relazione segreta pervenuta il 14 aprile, deliberando altresì di autorizzare lo stesso dottor Donadio allo svolgimento di una missione a Bologna.
  Si è inoltre convenuto di procedere all'acquisizione di ulteriore documentazione presso il Tribunale ordinario e il Tribunale di sorveglianza di Firenze.
  Ricordo che, nel corso della sua audizione del 14 aprile scorso, il dottor Alberto Macchia si è dichiarato disponibile a rispondere ad eventuali ulteriori quesiti trasmessi per iscritto dalla Commissione. Invito chi sia interessato a far pervenire le proprie domande alla segreteria della Commissione entro venerdì 24 aprile.
  Comunico che – in relazione agli elementi emersi nel corso delle rispettive audizioni ed alle segnalazioni pervenute da parte dei componenti della Commissione – sono stati inviati quesiti e richieste di approfondimento a monsignor Mennini, al dottor Monastero, al dottor Marini, al dottor Salvi e al senatore Imposimato. In data odierna sono pervenute le risposte di monsignor Mennini, che saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della sua audizione.
  Il generale Giovanni Bonzano ha prestato in data odierna il prescritto giuramento e ha, quindi, formalmente assunto l'incarico di collaboratore della Commissione. Tale incarico sarà svolto secondo gli indirizzi già comunicati all'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi.
  La dottoressa Tintisona ha depositato, in data 8 aprile, documentazione riservata concernente la nota lettera anonima inviata al quotidiano La Stampa il 24 novembre 2010 e l'attività di indagine svolta a tale riguardo.
  Sempre l'8 aprile, la dottoressa Tintisona ha depositato una nota riservata contenente elementi informativi relativi a un brigatista.
  La dottoressa Giammaria ha depositato, l'8 aprile 2015, copia del verbale di ricognizione di corpi di reato custoditi in alcuni locali della Procura generale di Roma; tale documentazione ha carattere riservato.
  Con nota pervenuta l'8 aprile, il Procuratore generale di Roma, dottor Antonio Marini, ha trasmesso, copia dei verbali di alcuni interrogatori e delle trascrizioni delle relative registrazioni; tale documentazione è stata secretata.Pag. 3
  Il 13 aprile il dottor Donadio ha depositato una relazione – di libera consultazione – concernente alcune tematiche affrontate nel corso della recente audizione del dottor Macchia.
  La dottoressa Picardi ha depositato il 13 aprile una relazione riservata concernente attività da lei svolte.
  Con nota pervenuta il 13 aprile, il Procuratore della Repubblica di Roma, dottor Giuseppe Pignatone, ha messo a disposizione della Commissione i fascicoli di cui l'Ufficio di presidenza ha deliberato l'acquisizione nel corso della riunione del 18 marzo scorso.
  Il 14 aprile sono stati acquisiti agli atti della Commissione alcuni documenti riguardanti fascicoli custoditi presso la Procura generale di Roma; tale documentazione – individuata e selezionata dalla dottoressa Giammaria e dalla dottoressa Picardi – ha carattere riservato.
  Con nota del 14 aprile il colonnello Pinnelli ha depositato una lettera riservata con cui il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri risponde a una richiesta di informazioni della Commissione.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione dell'onorevole Claudio Martelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'onorevole Claudio Martelli, che ringraziamo per la cortese disponibilità con cui ha accolto il nostro invito a intervenire oggi in Commissione.
  L'onorevole Martelli all'epoca del sequestro Moro non faceva ancora parte del Parlamento – fu eletto deputato per la prima volta nel 1979 – ma era un giovane dirigente del Partito Socialista Italiano e uno stretto collaboratore dell'onorevole Bettino Craxi, segretario del Partito Socialista.
  In tale veste ebbe modo di seguire il dibattito svoltosi tra le forze politiche sul tema della trattativa per la liberazione dell'ostaggio, nonché le iniziative concrete assunte dai dirigenti del Partito Socialista. Ricordo i contatti avviati dall'onorevole Craxi con l'avvocato Giannino Guiso, difensore di alcuni brigatisti detenuti, nonché gli incontri dell'onorevole Claudio Signorile con Franco Piperno e con Lanfranco Pace e quello di Craxi e del senatore Antonio Landolfi con lo stesso Pace, avvenuto il 6 maggio del 1978. Piperno e Pace, come è noto, a loro volta erano in contatto con Valerio Morucci e Adriana Faranda.
  Ricordo, altresì, l'ipotesi di un atto di clemenza verso una terrorista detenuta, proposta dai dirigenti del PSI. Nell'ambito dei tentativi di arrivare a una soluzione umanitaria, tra l'altro, l'onorevole Martelli partecipò personalmente a un incontro tra Craxi e il Presidente del Senato Amintore Fanfani.
  L'onorevole Martelli fu, inoltre, tra le poche personalità politiche che durante il sequestro si pronunciarono pubblicamente con convinzione in favore della piena autenticità delle lettere scritte da Aldo Moro. In particolare, espresse tale persuasione con un intervento pubblicato il 1o maggio 1978 sul Corriere della Sera, in cui scrisse: «Se, in coerenza al rifiuto di stabilire ogni contatto con i terroristi, rifiutiamo il contatto con Aldo Moro, anche il contatto passivo che deriva dall'attenta e intelligente lettura delle sue lettere, è come se lo spingessimo più a fondo e più nel buio della cella in cui è stretto. Ma ogni volta che scrive Moro dimostra almeno una cosa: che è vivo e che vuol vivere nonostante qualcuno l'abbia invitato al suicidio».
  Successivamente, nell'VIII legislatura, l'onorevole Martelli fu tra i componenti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e sull'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia.
  Recentemente, nel corso di un programma radiofonico del GR Parlamento andato in onda lo scorso 16 marzo, in Pag. 4occasione dell'anniversario della strage di via Fani, la cui registrazione è acquisita agli atti della Commissione, l'onorevole Martelli ha ribadito la convinzione che i servizi segreti stranieri non siano stati estranei al caso Moro.
  Tale persuasione risulta già chiaramente espressa nel volume autobiografico da lui pubblicato nel 2013, nel quale scrive: «Qualcuno, dopo essere stato partigiano e condannato in Italia, diventato agente dei servizi cecoslovacchi e sovietici, aveva manipolato ed eterodiretto le BR, decapitando i capi storici per sostituirli con i propri uomini. Qualcuno che forse agì in tacita intesa con altre strutture di intelligence del campo opposto perché era altrettanto determinato a eliminare Aldo Moro».
  Su questi profili sarebbe, quindi, utile per la Commissione se l'onorevole Martelli potesse fornirci ulteriori elementi di dettaglio. Lo ringrazio e gli do la parola.

  CLAUDIO MARTELLI. Grazie. Effettivamente è una vicenda che mi ha appassionato e coinvolto sin dall'inizio, dal momento del sequestro, e che ha accompagnato più volte la riflessione politica e storico-politica.
  A questa vicenda io ho dedicato un capitolo, come è stato gentilmente ricordato, della mia autobiografia. Se può interessare – non voglio fare pubblicità ai miei libri – posso mandare per e-mail questo capitolo ai commissari che lo desiderino. Seguirò, quindi, la traccia di quel capitolo, perché è la cosa più semplice e anche più sintetica tra le tante che ho scritto sull'argomento.
  Quando avvenne il sequestro, era imminente il congresso socialista di Torino, che si celebrò di lì a poche settimane, credo due settimane dopo. Fu in quella sede che, per la prima volta, Craxi manifestò un orientamento diverso – diciamo pure controcorrente – rispetto a quello che già si era manifestato, e non soltanto in sede politica o parlamentare. Anzi, parlamentare per nulla, perché in tutti i 55 giorni del sequestro non si riunirono mai per discutere del sequestro di Moro né il Parlamento, né il Consiglio nazionale della DC, cosa piuttosto singolare, se uno ci pensa oggi.
  Tutta la gestione del caso fu verticistica e mediatica. Fu verticistica nel senso che ne assunse il pieno controllo la segreteria democristiana. La DC allora era guidata da Benigno Zaccagnini. Come sappiamo, tra le sue principali caratteristiche, oltre a un passato partigiano, c'erano proprio la vicinanza e l'amicizia con Aldo Moro e una fama di persona integerrima. Per la sua stessa constituency romagnola, se non sbaglio, Zaccagnini era allenato a una frequentazione costante e anche a una vicinanza con il Partito Comunista, che fu il primo a prendere posizione in modo molto duro, senza che, per la verità, in quel momento nessuno avesse ancora avanzato ipotesi né di trattative, né di atteggiamenti più riflessivi.
  Il Partito Comunista – Enrico Berlinguer in particolare – fu, dunque, il primo ad assumere un atteggiamento di assoluta e preventiva intransigenza. Dico preventiva perché fino a quel momento nessuno aveva manifestato propositi d'altro genere.
  Nel corso del congresso socialista erano già state oggetto di qualche riflessione alcune lettere di Aldo Moro, ma fu in quella sede, per la prima volta in modo riservato e poi nella replica conclusiva del congresso in modo pubblico e formale, che Craxi cominciò a manifestare un atteggiamento diverso, nutrito di una riflessione certamente di natura umanitaria, ma fondata anche su un presupposto di verità.
  Ricordo la sua osservazione guida nelle riunioni di vertice del partito: «Tutti parlano di pericolo dello Stato ma a me sembra che in pericolo sia la vita di Moro. Non vedo questo rischio di cedimento, di frattura, di collasso dello Stato democratico. In pericolo è la vita di Moro, non lo Stato. A questa emergenza, a questo pericolo incombente le forze politiche democratiche e responsabili devono far fronte, non a una minaccia ipotetica, vaga e indeterminata quale sarebbe il crollo dello Stato democratico».
  Questo fu detto prima, ripeto, in forma riservata all'interno del vertice socialista, Pag. 5della segreteria nazionale, di cui io facevo già parte, anzi ero uno dei due coordinatori. C'era un coordinatore organizzativo, Gennaro Acquaviva, e io ero il coordinatore politico.
  Anch'io rimasi molto colpito da quella osservazione di Craxi, perché mi sembrava nutrita del suo buonsenso popolare, ma anche di lucidità, non di populismo o di posizioni demagogiche.
  Come si manifestò quell'orientamento, che ancora non era il tema della trattativa ? Si trattava di trovare le vie – legali, naturalmente, non illegali – per salvare la vita dell'ostaggio.
  Si scatenò una reazione immediata, un vero e proprio bombardamento mediatico, in cui si distinsero in particolare i due eterni avversari tra di loro in lotta, considerati i più grandi giornalisti italiani, Indro Montanelli ed Eugenio Scalfari. Per la prima volta i due erano totalmente d'accordo: meglio che Moro muoia, ma che non si metta in pericolo lo Stato.
  Questo motivo dominante, questo leitmotiv veniva bombardato tutti i giorni ormai dalle colonne della Repubblica di Scalfari e del Giornale di Montanelli. Anche questo – essendo io, peraltro, responsabile dell'informazione e della cultura del mio partito – mi sembrava un ragionamento assolutamente specioso. Come si può scherzare o giocare con la vita degli uomini in base a una valutazione del tutto arbitraria e, in qualche misura, spericolata, eccessiva, come di un rischio di cedimento dello Stato, nel caso in cui non si fosse manifestata, tutti all'unisono e unanimemente schierati, un'inflessibile fermezza ?
  Cominciai, quindi, a ragionare anche sui testi delle lettere di Moro e sul significato delle parole. Fermezza cosa vuol dire ? Stare fermi ? Un conto è non cedere a pressioni, ricatti e minacce, un conto completamente diverso è stare fermi. La fermezza, invece, la si vedeva proprio anche nello stare fermi, nel non fare assolutamente nulla.
  Se voi pensate, in verità, neanche l'attività investigativa conobbe, soprattutto nella prima fase, un salto di qualità. Sì, ci furono strane iniziative, come il trasferimento dell'unità di crisi dal Viminale al Ministero della marina – parlo dell'unità di crisi guidata da Francesco Cossiga, all'epoca Ministro degli interni – con la partecipazione non solo dei servizi segreti, ma anche, come si scoprì molto dopo, naturalmente, di presunti esperti americani. Non ricordo il nome...

  GERO GRASSI. Pieczenik.

  CLAUDIO MARTELLI. Esatto, e addirittura di Licio Gelli. Non so se a molti o a pochi incontri, ma certamente anche la sua presenza fu segnalata. Parlerò poi della parte dei servizi di sicurezza, di informazione o di intelligence americani e del blocco del Patto di Varsavia.
  Ripeto, non ci fu un salto di qualità nelle investigazioni. Ricordo che, dopo il delitto, una volta divenuto parlamentare, io ebbi modo di conoscere il capo del SISDE. Lo incontrai e anch'egli mi fece delle osservazioni che mi colpirono, una in particolare: quando si sparse la voce che una delle possibili prigioni in cui Moro era tenuto dalle Brigate Rosse si trovava sulla costa laziale, si chiese aiuto via NATO a unità aeree americane, che sorvolarono la costa tra Latina e Roma con aerei dotati di attrezzature fotografiche. Quelle attrezzature erano sensibili alle fonti di calore, perché si riteneva che – era forse un ragionamento un po’ superficiale – se Moro fosse stato detenuto in una casa, in una villetta, in un rifugio sulla costa, probabilmente sarebbe stato attivo il riscaldamento e, quindi, sarebbero scattate le lastre. Ebbene, quegli aerei fecero alcuni voli di ricognizione. Io chiesi al generale Grassini del SISDE – si chiamava così – quale fosse stato il risultato. Mi disse che non ci fu alcun risultato. Chiesi se non ci fosse stato perché non erano scattate le apparecchiature fotografiche. Mi disse che, in realtà, non erano mai state montate. Io rimasi, ovviamente, molto sorpreso della notizia. Ne riferii a Craxi e, in anni successivi, allo stesso Cossiga, il quale disse che non ne aveva saputo nulla.Pag. 6
  Ricordo questo semplicemente per segnalare che c'era un'impressione, anche da parte nostra, che neppure l'attività investigativa, in omaggio alla fermezza appunto, fosse stata spinta, sollecitata. Sappiamo tutti – voi lo sapete meglio di me oggi, facendo politica – che una delle funzioni principali della politica in democrazia è proprio quella di sollecitare le pubbliche amministrazioni, esercitando a un tempo sollecitazioni, stimoli e controlli. In quel caso noi avemmo l'impressione opposta, ossia che l'impulso che veniva dalla politica, quasi unanimemente, fosse quello, viceversa, di lasciare che le cose andassero, di non fermare il corso degli eventi. So che dico una cosa che può sembrare esagerata, ma insomma, si presero lucciole per lanterne rispetto al Lago della Duchessa; si presero lucciole per lanterne non ispezionando nonostante le segnalazioni che provennero da Romano Prodi, e lui stesso non fu interrogato seriamente, chiedendogli: «Lei vuol farci credere al piattino che si muove, o ci vuol dire finalmente da chi ha avuto questa notizia ?». Si può credere a una versione come quella di una seduta spiritica e che lì sia trapelato per la prima volta un dato che, tra l'altro, poi si rilevò vero, non un'invenzione o uno scatto di fantasia o di magia ?
  Non c'erano, per la verità, soltanto il Partito Comunista e la maggioranza – non tutta – della DC di quell'epoca. Se penso che all'unisono Almirante e La Malfa invocarono la reintroduzione della pena di morte... Purtroppo, è molto ricorrente nella storia italiana questa oscillazione fra l'incuria e l'isteria. Molte volte, di fronte alle catastrofi più gravi, o anche ai pericoli o alle minacce di qualunque tipo che riguardino il nostro Paese, emergono questi atteggiamenti di sciatteria e isteria contemporaneamente.
  Intanto noi cominciammo a elaborare una posizione, perché non ci accontentavamo di suggerire, di premere, di parlare. Craxi ebbe diversi incontri con la segreteria democristiana, ma ne tornava sempre deluso.
  Qualche spiraglio si vedeva in alcuni esponenti che, per la loro stessa caratura, potevano probabilmente sfuggire a un allineamento con le posizioni della segreteria. Mi riferisco innanzitutto al Presidente della Repubblica Leone, con il quale era in contatto il senatore Vassalli, forse il più grande giurista italiano. Certamente lo era sul fronte dello studio e dell'attività di avvocato e poi di ministro, con il varo del nuovo codice di procedura penale. Vassalli aveva eccellenti rapporti con Leone, essendo entrambi provenienti dalla professione legale. Molto discretamente, ci portò a conoscenza di una posizione di Leone che era tutt'altro che in sintonia con quella della segreteria democristiana.
  Io avevo una grande amicizia con Matilde Bernabei, figlia del direttore generale della RAI, Ettore Bernabei. A lui mi rivolsi per sondare Amintore Fanfani, all'epoca Presidente del Senato, per organizzare un suo incontro con Craxi, che riuscii a organizzare facilmente. Fanfani manifestò, più che un dubbio, una vera e propria riserva nei confronti della posizione intransigente assunta dalla segreteria di Zaccagnini, Galloni, Pisanu e.... Mi dimentico il quarto, perché allora erano stati ribattezzati, come ricorderete, «la banda dei quattro».

  GERO GRASSI. Salvi.

  CLAUDIO MARTELLI. Fanfani fece a Craxi un'osservazione politica, per un verso, molto lucida e spregiudicata, che però noi accogliemmo molto male. L'osservazione di Fanfani fu questa: «Se per caso io convincessi il mio partito, la Democrazia Cristiana, ad assumere un atteggiamento diverso, l'inevitabile conseguenza sarebbe che il Partito Comunista romperebbe la maggioranza di governo, per come si è posto in questa vicenda». Poi farò una riflessione su questo punto. «A quel punto, i socialisti sarebbero pronti ad assumere una responsabilità, anche autonoma, di sostegno di un governo democristiano ?». Allora non si dubitava neanche che i governi dovessero essere guidati da un democristiano.Pag. 7
  Craxi gli rispose: «Se facessi una cosa del genere – era un'epoca in cui la stessa segreteria di Craxi non era diventata così forte e autorevole; era ancora condizionata dall'esistenza di correnti diverse, più di sinistra, o comunque non allineate con Craxi – perderei il controllo del mio partito e, quindi, non si riuscirebbe neanche. Noi sosteniamo la nostra linea non per una ragione politica, ma per una ragione di principio. È in pericolo la vita di Moro, non mi sembra che lo Stato sia in pericolo. Tutte le ragioni umanitarie spingono affinché ci si attivi per salvare la vita dell'ostaggio, ivi compresa l'ipotesi non di una trattativa, ma di un atto di clemenza autonomo – cioè non contrattato – da parte dello Stato».
  Così il colloquio si concluse, restando aperta una porticina a un'eventuale iniziativa, ossia lo sforzo di Fanfani, che poi effettivamente ci fu. La pressione sul capogruppo al Senato, Giuseppe...

  GERO GRASSI. Bartolomei.

  CLAUDIO MARTELLI. Bartolomei. La pressione su Giuseppe Bartolomei portò a una dichiarazione pubblica, a un preannuncio, la domenica prima dell'assassinio. Certamente l'annuncio era che Fanfani avrebbe preso la parola nella direzione della DC convocata per il giorno successivo.
  Dicevo della posizione comunista. Ci chiedevamo, io mi sono chiesto... Allora non arrivai a questa conclusione, anche se ricordo una passeggiata con Craxi nel centro di Roma, in cui incontrammo per la strada il senatore Cossutta e il senatore Pecchioli. Pecchioli era responsabile dei problemi dello Stato e anche della sicurezza nel Partito Comunista. Allora non sapevamo che fosse stato lui l'organizzatore della «Gladio rossa». Questo si seppe dopo. Ci fermammo a scambiare qualche parola e avvertimmo una grande agitazione e preoccupazione in uomini piuttosto rotti dall'esperienza politica a un certo grado di superiore cinismo, non un cinismo banale. Quello fu l'unico indizio di qualche cosa che non riuscivamo a percepire bene. L'argomento della breve chiacchierata riguardava l'atteggiamento sovietico in quella vicenda. C'era un evidente imbarazzo in due esponenti che erano sicuramente appartenenti all'ala più filosovietica.

  PAOLO CORSINI. Cossutta sì, Pecchioli no.

  CLAUDIO MARTELLI. Stiamo scherzando ? Era il capo della «Gladio rossa», l'ha organizzata lui. Accidenti se era filosovietico ! Fu l'unico che andò anche ai congressi, l'unico esponente del PCI che, anche dopo la rottura provocata – giustamente – da Enrico Berlinguer, continuò ad andare ai congressi del Partito comunista dell'Unione Sovietica. Mi sembra poco contestabile questa osservazione.
  Io mi sono convinto che il Partito Comunista Italiano assunse una posizione così dura e intransigente perché non si trattava solo della questione di Aldo Moro, dell'unità nazionale o del Governo Andreotti. Era una questione del PCI stesso che era in gioco.
  Si era aperta una profonda lacerazione nella base più tradizionale, il che non vuol dire più vecchia, perché i brigatisti rossi erano molto giovani, non erano vecchi. Erano Brigate Rosse per il comunismo, non per l'avventura.
  Le Brigate Rosse sono certamente frutto della confluenza di due filoni politici completamente diversi e distanti. Uno è la deriva più estremista e terrorista dell'impazzimento di un pezzo del 1968 studentesco, il lato Curcio. L'altro, invece, come ha ben raccontato il vice di Curcio, Franceschini, nella sua autobiografia, era di filiazione dai cosiddetti partigiani che non deposero le armi. Franceschini racconta quella cerimonia della pistola che un ex partigiano gli consegnò nel luogo in cui si formò il nucleo originario, a Reggio Emilia, e non a caso in quella città. Pensate un attimo a cosa significa anche nella storia partigiana Reggio Emilia. Se c’è stato un luogo in cui la lotta partigiana ha assunto le fosche tinte di regolamenti di conti privati e di uccisioni anche di Pag. 8esponenti cattolici, liberali e socialisti, non solo fascisti e nazisti, questo è stato Reggio Emilia. L'ex partigiano che consegna la pistola al nipote Franceschini, vice di Curcio, gli dice sostanzialmente: «Adesso tocca a te».
  Se pensiamo alla vicenda di Guido Rossa a Genova, ci si rende conto che nella base operaia più sindacalizzata, più estremizzata, quella che più nutriva ancora la nostalgia della lotta armata partigiana, c'era l'idea che, prima o poi, si sarebbero dovute riprendere le armi in pugno. C'era quello, non c’è dubbio. Le Brigate Rosse sono pretesa, illusione e anche delirio di onnipotenza che pensa di poter scardinare il Partito Comunista legale e democratico, e di metterlo con le spalle al muro con la risolutezza delle proprie azioni, impedendo lo sviluppo della strategia del compromesso storico. Il terrorismo di sinistra, non tutto certamente, ma quello delle BR nella loro fase nascente, è dominato dalla lotta fra due comunismi, quello legale e democratico e quello che vuole tornare a combattere, armi in pugno.
  Sulla base dell'educazione comunista, che non è stata solo togliattiana – sullo stesso Togliatti si potrebbero aprire, anzi, sono già state aperte, non da me, riflessioni di ben altra portata – il tema della doppia verità, una verità per i militanti e una per la più vasta opinione pubblica, ha convissuto a lungo, sino grosso modo al 1980-81 e alla rottura conseguente all'intervento sovietico in Afghanistan, con l'idea della rivoluzione, che in Italia diventava lotta di massa dell'opposizione non eversiva.
  Come fa una rivoluzione a essere non eversiva ? Per loro natura le rivoluzioni o sono eversive, o non sono rivoluzioni. Di fatto, però, l'unica rivoluzione che c’è stata in Italia è stata quella fascista, perché è l'unica che sia andata fino in fondo nell'eversione. Quella comunista è rimasta una profezia, un modo di tenere viva la combattività dei militanti, con una riserva che si contrappose allo Stay Behind della NATO e alla Gladio filo-occidentale attraverso una rete di strumenti e strutture per un'ipotetica guerriglia, questa sì condivisa in pieno anche dal vertice comunista, in particolare, insisto, da Pecchioli, ma in realtà da tutti i segretari.
  Qualche tempo fa, in una trasmissione che commemorava Andreotti, il giornalista Massimo Franco, del Corriere della Sera, pose una domanda a Gianni De Michelis, che era uno degli ospiti. In un momento di confusione o di obnubilamento De Michelis rispose che non si trattava di una questione umanitaria: era Craxi che voleva mettere in difficoltà il Partito Comunista e il compromesso storico, era un'operazione del tutto politica, non umanitaria. Credo che questa sia la più grave stupidaggine che De Michelis abbia detto nella sua vita. Ne parlo perché è diventata poi, ovviamente, materia di polemica pubblica.
  Io non mi sarei mai buttato, come feci in quella vicenda per una ragione tattica. Tra l'altro, per una ragione tattica mettersi contro la grande maggioranza dell'opinione pubblica sarebbe stato un tatticismo piuttosto idiota.
  Nell'atteggiamento di Craxi c'era un elemento di spregiudicatezza, non legato alla vicenda del compromesso storico e all'opposizione al compromesso storico, ma alle conseguenze della scelta umanitaria. Se si fa una scelta umanitaria, i casi sono due: o ci si limita a sventolarla come una bandiera, uno specchio per le allodole, oppure si deve suggerire una strada percorribile. Ed ecco che prese forma l'idea non della trattativa, ma di uno scambio, uno contro uno, che ci fu suggerita da una delle lettere di Moro, «misura per misura».
  I contatti che il Partito Socialista ebbe con esponenti interessati alla nostra posizione sono quelli che il presidente Fioroni ha ricordato. Io non ne conosco altri. C'era certamente una fonte di interlocuzione che veniva dall'area dell'Autonomia operaia di Piperno e Franco Pace e dai contatti stabiliti con loro da Claudio Signorile e Antonio Landolfi.
  Signorile li stabilì attraverso la mediazione del direttore de L'Espresso Zanetti. Non c'era una fonte politica all'origine, ma una fonte giornalistica, perché erano Zanetti Pag. 9e l'altro giornalista de L'Espresso, che mi pare si chiamasse Scialoja, che avevano contatti con Piperno e Pace. Questi appartenevano comunque a un'area che era certamente borderline, dal punto di vista della legalità politica e costituzionale, ma che non era certo terroristica e comunque era contrarissima a che il sequestro di Moro si concludesse in un assassinio politico e in una tragedia nazionale.
  Poi ci sono stati contatti che io ho organizzato con Amintore Fanfani e i contatti di Vassalli con il Presidente della Repubblica Leone. Non so se questa fosse l'altra domanda.
  Io mi dedicai a passare in rassegna anche i casi precedenti e scoprii che praticamente tutti i Paesi al mondo, in condizioni analoghe, avevano sempre trattato, compreso Israele. Quando c’è un uomo sequestrato dai palestinesi, Israele tratta, anche oggi, come abbiamo visto anche di recente, eppure è lo Stato più combattivo di tutto il mondo occidentale. Tuttavia, se ha un proprio ufficiale o un soldato catturato da un'organizzazione semi o totalmente terroristica, tratta e libera addirittura in ragione di 15 o 30 contro uno. Per avere la liberazione di un proprio uomo ne libera anche 30 o 50. Mi pare che addirittura siano arrivati a liberare 100 detenuti per terrorismo.
  La Germania trattò. La Francia ha trattato. In Italia addirittura vigeva il «protocollo Moro» nelle relazioni con il Medio Oriente, affidato operativamente al generale Giovannone.

  ENRICO BUEMI. Al colonnello Giovannone.

  CLAUDIO MARTELLI. Dopo è diventato generale.

  GERO GRASSI. Non è diventato generale, perché fu arrestato.

  CLAUDIO MARTELLI. Non lo è mai diventato ? All'epoca era considerato quasi un eroe, perché si riteneva che avesse preservato l'Italia da iniziative terroristiche e stragi, il che non è assolutamente vero. Ha preservato forse gli italiani, ma non l'Italia. Basti pensare alla strage di Fiumicino o al sequestro della nave Achille Lauro. Moro, però, era profondamente convinto di quell'indirizzo. Diciamo pure che questo è l'elemento di continuità, o lo è stato a lungo, fino a Berlusconi, che sul punto ha modificato l'indirizzo di politica estera del nostro Paese.
  Successivamente, l'Italia ha sempre avuto un occhio di riguardo e comunque di non reazione – né militare, né aggressiva, né politica – a troppe iniziative di natura terroristica di Paesi, entità o dittatori mediorientali, a partire dall'OLP. Questo riguarda Fanfani come Moro. Riguarda Craxi e Andreotti e nella fase seconda dell'esperienza del Governo Berlusconi ha riguardato anche Berlusconi e Prodi, per esempio nelle relazioni con Gheddafi.
  Io mi sentirei di dire che continua questo atteggiamento di fondo, che è l'unico elemento di vera autonomia della politica estera italiana, comunque la si voglia discutere. Per il resto, sembra che la nostra politica estera prima fosse molto atlantica e poi europea. Adesso è più europea che atlantica, ma la somma non cambia.
  L'unico elemento di – discutibile – originalità è stato la politica mediorientale. Questa politica probabilmente trova in Moro la sua più ragionata esposizione. Adesso sono stati, peraltro, acquisiti e pubblicati dei diari che ricostruiscono alcuni passaggi molto interessanti, per esempio le relazioni con la Persia dello Scià; il passaggio successivo nei rapporti con Gheddafi Moro, invece, non poté viverlo, perché nel frattempo venne assassinato. È istruttivo e, a tratti, persino divertente leggere il sorriso di Moro nel tentativo di trovare un punto di interlocuzione e di avvicinamento con lo Scià di Persia, con Gheddafi o con Bourghiba.

  PRESIDENTE. Le chiedo solo una cortesia: poiché alle 16 alla Camera inizia il question time, può passare alla parte relativa ai servizi stranieri ? Io le ho letto quella frase, che è particolarmente...

Pag. 10

  CLAUDIO MARTELLI. «Qualcuno, dopo essere stato partigiano e condannato in Italia, è diventato agente dei servizi cecoslovacchi...». Parlo del senatore Moranino, anche se non è l'unico contatto, perché c’è un altro contatto, Viel, un terrorista che trova rifugio e riparo presso i servizi sovietici di Praga.
  Non ricordo il nome, ma di recente ho letto, dopo aver scritto il libro, lo studio di un giovane storico meridionale su questo punto specifico dei rapporti tra le Brigate Rosse italiane e i servizi segreti cecoslovacchi. Perché cecoslovacchi ? Probabilmente perché, poverini, eseguivano qualche compito per conto dei sovietici. Non credo fosse un'iniziativa della fantasia boema. Apparteneva, naturalmente, a quel sistema di relazioni. Secondo la ricostruzione dell'autore, di cui adesso non ricordo il nome... È un libro che non ha avuto un grande successo, è stato anche molto poco citato. Non è molto accurato, ma pubblica alcuni documenti, questa è la cosa interessante. Dopo essere stato per anni, dopo la caduta dei muri, quando si sono aperte anche questi fonti di informazione, nei Paesi dell'ex blocco sovietico, questo giovane storico meridionale ha rintracciato documenti che fanno riferimento alle vicende politiche italiane e anche al sequestro Moro. Il giovane storico questo non lo dice, lo dico io: io non escludo neanche che quell'attivismo dei servizi segreti cecoslovacchi in rapporto all'Italia abbia previsto contatti anche con i loro colleghi americani.
  Del resto, che la politica di Aldo Moro, capita o non capita, secondo me non capita... Ad Aldo Moro si attribuisce il compromesso storico. A me è capitato di presentare il mio libro tante volte in licei e università e di sentir dire che Moro voleva il compromesso storico. Era Berlinguer, non era Moro ! Purtroppo, però, l'ignoranza che ci ha afflitto quando noi eravamo giovani studenti, moltiplicata per mille, affligge la gioventù di oggi. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere buoni professori. Penso a un professore, senatore Corsini – non perché lei fosse il mio professore – della sua qualità. I ragazzi di oggi raramente nei licei hanno professori veramente preparati, diciamoci la franca verità, ragion per cui possono confondere Moro con Berlinguer.
  Ho capito che a voi non interessa molto questo aspetto, ma sarebbe importante riflettere su un fatto, che io riproduco nel mio libro, ossia sull'ultimo discorso politico pubblico di Moro. Nell'ultimo discorso politico di Moro non c’è nulla, neanche la più vaga idea di un compromesso storico. Moro è chiarissimo nell'escludere qualunque idea di una maggioranza in comune e qualunque accordo politico generale con il Partito Comunista. A questo fanno divieto, dice Moro, non soltanto il sistema di relazioni internazionali e di alleanze di cui l'Italia fa parte (cioè la NATO e i nostri partner e amici europei), ma anche, piaccia o non piaccia... Lo dice Aldo Moro, non lo dicono Fanfani, Cossiga o qualche esponente particolarmente filo-occidentale della DC. Aldo Moro dice sostanzialmente: «Il Partito Comunista di Berlinguer sapeva benissimo che per noi è impossibile, non solo per ragioni internazionali, ma anche per l'ombra che un eventuale accesso del Partito Comunista al governo getterebbe sulla democrazia italiana».
  Parla un po’ del Partito Comunista in modo esplicito, un po’ di un'ipotesi di vittoria delle sinistre, quindi del Partito Comunista, dei socialisti e di eventuali alleati laici. Anche rispetto a questo Moro manifesta una preoccupazione democratica.
  Questa parte certamente venne manipolata in Italia. Alla fine non conta quello che Moro ha scritto, ma l'intervista che gli ha fatto Scalfari, che gli fa dire quello che vuole lui. Moro non c'era più e Scalfari voleva spingere su quella politica e portarla alle estreme conseguenze. Lasciamo perdere la circostanza che poi forse quella politica ha pure vinto e che forse il Partito Democratico è figlio di quella politica. Benissimo, ma un dibattito storico non è una trasmissione televisiva, soprattutto se viene fatto in una sede politica. Nel 1978, due settimane prima del suo sequestro e, quindi, poi della futura uccisione, Moro esclude in modo tassativo – non per Pag. 11rassicurare gli altri, ma forse per rassicurare se stesso – l'ipotesi di qualunque alleanza organica e di un unico programma. Non parliamo neanche lontanamente di associazione al governo. Sappiamo che quella storia, invece, si è sviluppata eccome, ma molto al di là del pensiero di Aldo Moro; non solo oltre, ma addirittura contro. Addirittura è nato un partito nuovo dalla fusione di quelle due storie.
  Riguardo ai servizi segreti ho riferito quanto mi disse Grassini, ho detto dell'unità di crisi di Cossiga presso il Ministero della marina e ho parlato della strana composizione di quell'unità di crisi. Ho detto dei servizi segreti cecoslovacchi e di quel signore americano di cui continuo a non ricordare il nome.

  GERO GRASSI. Steve Pieczenick, di origine polacca.

  CLAUDIO MARTELLI. Di questo, francamente, allora noi non sapevamo nulla. Come sapete perfettamente, io avrò deposto non so quante volte, sia nella Commissione Moro sia soprattutto nei processi di mafia, sempre come testimone d'accusa, ma ormai mi sono abituato a fare una premessa. Caro presidente, io, francamente, faccio fatica a distinguere quando ho pensato una cosa. Un conto è sapere quando ho fatto una cosa, ma quando ho cominciato a pensarla... Io non ricordo se una parte di questa riflessione l'ho fatta nel 1978: è impossibile.

  PRESIDENTE. Adesso l'aiuterà qualche collega nel fare domande.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ENRICO BUEMI. Io vorrei tornare un attimo alla questione di Reggio Emilia e di Moranino. In questo ragionamento mi manca il pezzo piemontese, dell'Alessandrino, ossia di covi e anche di un personaggio che, se non ricordo male, veniva chiamato colonnello Gemma. Era un esponente non ufficiale, un ex partigiano del Partito Comunista Italiano, che si occupava intensamente dei rapporti con l'Unione Sovietica. Veniva chiamato colonnello Gemma perché era – ovviamente, non sono notizie formali, ma credo che siano abbastanza veritiere – un colonnello del KGB, che veniva accolto a Mosca con tutti gli onori dello status.
  Vorrei sapere se c'era qualche elemento di ricordo riconducibile anche a questo personaggio.

  CLAUDIO MARTELLI. Ho saputo qualcosa dopo, non mi ricordo in che epoca, ma certamente non sapevo niente nel 1978. Assolutamente no.

  PAOLO CORSINI. Se mi è consentita una piccola constatazione, per me è sempre un piacere ascoltare l'onorevole Martelli, perché denota una notevole intelligenza delle cose e degli avvenimenti. Questo non lo dico per piaggeria. La sua ricostruzione è molto interessante sotto un profilo storico-politico e, nel contempo, discutibile. Magari in altre sedi mi piacerebbe poter avere l'occasione di riprendere l'approfondimento e la discussione; in questa sede, però, a me interessano di più i riferimenti ai fatti ed evidenziarli.
  Mi interessa molto capire quei riferimenti ai servizi segreti cecoslovacchi e, nel contempo, ai servizi segreti americani. Sulla presenza comunista in Cecoslovacchia c’è un libro che è un capolavoro, quello di Peppino Fiori, Uomini ex, che fu pubblicato da Einaudi e che racconta quelle biografie.

  PRESIDENTE. Credo che l'onorevole Martelli, quando ha citato il saggio, facesse riferimento a quello di Rocco Turi.

  PAOLO CORSINI. Lo credo anch'io, si riferiva allo studioso meridionale. Quel che vorrei capire, onorevole Martelli, è se le sue sono supposizioni ex post e deduzioni di natura storico-politica, se ritiene che sia documentabile un riferimento fattuale specifico che trova riscontro, o che ci siano testimonianze, memoriali o comunque soprattutto documenti.Pag. 12
  Aggiungo un'ultima osservazione che mi sembra più riferibile a un'interpretazione sua, che potrebbe avere una qualche plausibilità. Anch'io sarei propenso ad attribuire a questa ipotesi una qualche plausibilità. Mi interessa capire su quali basi lei fonda l'ipotesi del rapporto cecoslovacco-statunitense, con riferimento alle due ante dell'informazione che ci ha fornito.

  CLAUDIO MARTELLI. La ringrazio intanto perché mi ha aiutato a ricordare le cose. Adesso me ne viene in mente un'altra. Questa è fattuale. Sulla tesi che i servizi di intelligence cecoslovacchi abbiano agito per conto del Partito Comunista e dell'Unione Sovietica, o dell'entità statuale sovietica, non ci piove. Ci sono tonnellate... Non potrebbe essere altrimenti che così.
  Stabilito questo, sul passaggio ulteriore, cioè sull'interessamento dei servizi cecoslovacchi, certamente asserviti all'Unione Sovietica, nei confronti dell'Italia una fonte diretta noi l'avevamo in Jiri Pelikan, ex direttore della televisione cecoslovacca al tempo della «Primavera di Praga», che fu invitato dallo stesso Dubcek ad allontanarsi il prima possibile dal Paese. Essendo un uomo della televisione, cioè della comunicazione pubblica, che aveva sposato fino in fondo la causa della primavera praghese, era quello più a rischio di essere, se non ucciso, certamente fatto sparire in qualche campo sovietico o nella stessa Cecoslovacchia.
  Del resto, io sono quello che ha tradotto la Literaturnaja Listy in italiano. Era diretta da Pelikan, ma io ne ero il caporedattore, mentre Ugo Intini credo ne fosse il direttore responsabile. Non solo candidammo Pelikan al Parlamento europeo, dove fu eletto per due legislature, ma gli consentimmo anche di proseguire il suo lavoro in Italia in questo modo.
  Più volte Pelikan, e non solo lui, ma anche altri esponenti della primavera praghese tornarono su questo punto. Non ricordo se qualcosa fu pubblicato anche sul caso Moro in quella nostra rivista. Certamente in privato più volte parlò di questo interessamento, che, naturalmente, con la sua presenza in Italia, si acuì ulteriormente, anziché moderarsi. Del resto, egli stesso scrisse un libro in francese, S'ils me tuent («Se mi uccidono»), in cui lascia indicazioni, eventuali tracce per risalire a chi lo avrebbe assassinato, perché minacce ne ricevette parecchie.
  Sicuramente, quindi, è documentato l'interesse dei servizi di intelligence cecoslovacchi per la situazione politica italiana prima del 1978 e anche dopo.

  PAOLO CORSINI. Questo significa che lei ipotizza un ruolo dei servizi segreti cecoslovacchi nell'ambito del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro ?

  CLAUDIO MARTELLI. Io ipotizzo un ruolo, sulla traccia di quello che ha scritto Rocco Turi, innanzitutto nella guida impressa alle Brigate Rosse da un dato momento in poi. Da quale momento in poi ? Dal momento in cui, catturati Curcio e Franceschini, il capo diventa Moretti.
  Non so se i fatti sono perfettamente documentati, se hanno portato i biglietti aerei, ma certamente Moretti è stato a Praga. Non vi è dubbio che il carattere certamente anche di azioni militari fatte da Curcio e Franceschini... I sequestri li hanno fatti anche loro, gli assassinii li hanno fatti anche loro. Non bisogna fare come con Buscetta, che diventa improvvisamente un eroe. Buscetta è uno che ha assassinato in Brasile venti persone trovate nel giardino di casa sua. Era un grande spacciatore e trafficante internazionale di droga. Poi si dice che la nostra mafia non faceva... Sono tutte balle: faceva il trafficante di droga anche lui.
  La stessa cosa riguarda Curcio e Franceschini. Non è che non abbiano ucciso, assassinato. Franceschini lo riconosce. Riguardo a Curcio, per fortuna, egli stesso chiarisce la situazione e dice: «Io non so se ho ucciso. Ho sparato insieme con gli altri. In azioni di guerriglia ho sparato su carabinieri e forze dell'ordine. Se poi ad ammazzare quel carabiniere o quel poliziotto è stato un proiettile partito dalla mia arma o da quella di chi mi stava di Pag. 13fianco, questo non lo so». Curcio ha sempre totalmente solidarizzato. Fu anche la ragione per cui io non diedi seguito alla grazia, nonostante le pressioni di Cossiga.
  Abbiamo ricostruito questo punto.

  GERO GRASSI. Onorevole Martelli, io faccio alcune considerazioni, riprendendo spunti che lei ha citato, e poi le pongo qualche domanda. Mi sforzo di stare più strettamente nella nostra ricerca.
  Lei ha dichiarato in passato, nella Commissione Moro: «Quella di Moro non era un'apologia pro vita sua, ma pro vita omnium. Non parlava per salvare se stesso, ma se stesso, i desaparecidos argentini e i sovietici rinchiusi nei gulag». È una sua dichiarazione, che io apprezzo moltissimo. Io non ho difficoltà, oggi come ieri, a considerare giustissima la posizione che io non definisco umanitaria, ma politica del Partito Socialista, che peraltro, nonostante la mia giovane età, era anche la mia, all'epoca.
  La stupidaggine che ha detto De Michelis non nuoce alla giustezza della posizione del Partito Socialista. Sono altre le cose che nuocciono a quella posizione, in termini di credibilità. Le faccio qualche riferimento: istituto culturale Hyperion, finanziamenti Landolfi tramite la Regione Abruzzo. L'istituto culturale Hyperion fu fondato da Simioni, ex socialista amico di Craxi.
  Lei ha citato una serie di incontri durante il periodo del rapimento, e il presidente anche. Tuttavia, ne avete omesso uno: il senatore Pittella si vide, durante la latitanza, con Mario Moretti a casa sua e curò la Ligas a Lauria, nella sua clinica. Fu condannato a dieci anni.
  Io sto facendo una ricostruzione storica. Ci sono elementi, ovviamente secondo me, secondari rispetto a quello principale, che nuocciono a far sì che la posizione del Partito Socialista possa essere «creduta» – non «credibile» – erga omnes.
  Fatta questa premessa, lei ha detto una cosa che condivido: la politica non fermò il corso del tragico evento Moro.
  Vengo alla domanda. Il Parlamento non si riunì mai per dicembre del sequestro di Moro. Il Consiglio nazionale della DC, lei ha detto, non si riunì mai, ma era convocata fintamente la direzione nazionale della DC, in permanenza.
  Non è vero che l'assunto democristiano fu gestito da Zaccagnini, come non è vero che quello comunista fu gestito da Berlinguer. I due segretari lo gestirono, ma in base alle informazioni che ebbero. A Berlinguer le notizie le dava Pecchioli, a Zaccagnini le dava Cossiga. Pecchioli e Cossiga parlavano tra di loro. Quindi, le notizie che arrivavano alla DC erano sbagliate.
  La domanda è: perché il Partito Socialista, molto più autorevole di come lei lo ha fatto passare oggi... È vero, c'erano ancora Signorile, Manca, il congresso, ma le posizioni del Partito Socialista erano più autorevoli di come lei le ha fatte passare oggi.

  CLAUDIO MARTELLI. Ho detto che non fosse autorevole ? In genere non mi denigro.

  GERO GRASSI. Non parlavo di lei. La domanda è: come mai non riusciste a far convocare una volta il Parlamento per trattare la questione del rapimento di Aldo Moro ?

  CLAUDIO MARTELLI. Ricorda chi era il Presidente della Camera ?

  GERO GRASSI. Pietro Ingrao. Ho capito, ma, come lei ben sa, essendo stato parlamentare per tanti anni, ci sono anche procedure automatiche. Questa è la prima domanda.
  Passo alla seconda. Nel suo libro, che ho letto – la ringrazio per la passione civile che ci mette – lei fa un nome, che qui non ha fatto: Vidali. Io gradirei che lei qui su quel nome dicesse qualcosa in più di quello che è scritto nel libro.

  CLAUDIO MARTELLI. Mi spiace, ma non ne so qualcosa in più, altrimenti l'avrei già scritto.

Pag. 14

  GERO GRASSI. Oppure mi spieghi, argomentando, quello che io ho letto.

  PRESIDENTE. Poiché non tutti hanno letto tutto, faccia una domanda completa o non la ponga.

  GERO GRASSI. La domanda è se può aggiungere sul caso Vidali...

  PRESIDENTE. Chi è il signor Vidali ?

  GERO GRASSI. L'onorevole Martelli, nel capitolo riguardante Moro, cita l'onorevole Vidali come un possibile capo morale, o capo esterno delle Brigate Rosse...

  CLAUDIO MARTELLI. No, questo no.

  GERO GRASSI. Capo morale.

  CLAUDIO MARTELLI. Perché capo ? Diciamo uno che probabilmente...

  GERO GRASSI. Ce lo dirà lei.

  PRESIDENTE. Chi era questo Vidali lo abbiamo capito. Adesso sentiamo che dice...

  GERO GRASSI. Io, però, ho fatto due domande: una sul Parlamento e sulla posizione socialista...

  PRESIDENTE. La prima...

  GERO GRASSI. Non è secondaria.

  CLAUDIO MARTELLI. Secondo lei l'onorevole Cossutta in caso di... Come del resto si vide, nel momento in cui non più Berlinguer, ma Achille Occhetto cambia al partito il nome e il simbolo e, in modo definitivo e totale, insieme con tutti gli altri partiti comunisti dell'ex blocco sovietico, si disancora dall'Unione Sovietica, che stava a sua volta franando: è stata una marcia tranquilla ? Non mi pare proprio.
  Basta leggere quel che lo stesso Armando Cossutta disse di Berlinguer, persino in materia di finanziamenti al partito, sfidandolo apertamente. Incolpevole di aver citato, a mia volta, quelle relazioni e quelle fonti, ossia le responsabilità di Berlinguer sino al 1980, citando le fonti di Cossutta e di Gianni Cervetti, io sono stato querelato dalla famiglia Berlinguer e, naturalmente, ho vinto la causa. Non ho chiesto risarcimenti economici, perché fra politici mi sembrerebbe anche piuttosto indecente, ma ho stravinto la causa. La posizione di Berlinguer, sino a un certo punto, è stata a metà fra la tradizione, l'abitudine e la voglia di autonomia, di emanciparsi dal giogo, perché è un giogo quello sovietico, altro che storie.
  Noi socialisti l'abbiamo pure vissuto. La scissione del PSIUP è stata finanziata contemporaneamente da Cefis e dall'Unione Sovietica Il PCI non aveva un interesse particolare, perché quella scissione ha avvelenato i rapporti fra socialisti e comunisti, vent'anni prima di Craxi. Non c'entra niente Craxi, siamo negli anni Sessanta, all'epoca del primo centrosinistra.
  Non vedere l'enorme influenza che la politica americana e la politica sovietica hanno avuto sulla storia della nostra democrazia è pura cecità. È stata enorme quell'influenza, ed è stata esplicita per la parte che poteva esserlo, mentre è stata sotterranea, subdola e, non di rado, ricorrente alle forme estreme della lotta politica, compreso l'assassinio, per la parte che non si sa, e che meriterebbe tutta di essere indagata.
  Ecco perché mi ha fatto piacere che lei abbia ricordato quel passaggio della mia vecchia dichiarazione, perché credo che anche la vostra Commissione avrebbe tutto da guadagnare – non lo so, è la prima volta che vi parlo – ad allargare lo spettro politico dei problemi che sono in gioco.

  PRESIDENTE. Noi, però, dovremmo trovare qualche fatto.

  CLAUDIO MARTELLI. Un fatto sicuro, tra quelli che sono stati reclamati, è quello relativo a Pelikan. Quello è certamente un fatto.

  PRESIDENTE. Sul nome che ha citato, Vidali ?

Pag. 15

  CLAUDIO MARTELLI. Non ho altro da dire su questo.

  PRESIDENTE. Perché lo cita ?

  CLAUDIO MARTELLI. Perché faceva parte...

  PAOLO CORSINI. Della «rivoluzione tradita».

  CLAUDIO MARTELLI. Sì, faceva parte della «rivoluzione tradita» ma, come Moranino, sono sempre stati citati quando si volevano citare in modo inoppugnabile la dipendenza, il legame di ferro – di legame di ferro parlava Togliatti, ragion per cui non c'era ombra di dubbio – anche nelle forme più sotterranee, quelle non legali, non esplicite, e i rapporti anche inquinati tra il PCI e il Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Si citavano sempre Moranino e Vidali. In più poi emerse il nome di Viel, che era la vera novità, ma Moranino e Vidali sono pezzi d'epoca.

  GERO GRASSI. Vidali lei lo collega alle Brigate Rosse. Io vorrei capire perché. Io non ho espresso un giudizio di contrarietà, voglio capire.

  CLAUDIO MARTELLI. Sicuramente una fonte è lo storico Rocco Turi, che ha pubblicato documenti specifici. Sembra comunque che i servizi segreti cecoslovacchi si siano avvalsi dei suggerimenti, della consulenza – perché l'hanno anche pagata; erano pagati dai servizi segreti cecoslovacchi – per seguire la vicenda italiana. Certamente l'intento era quello di bloccare la strada dell'accordo fra Partito Comunista e Democrazia Cristiana. In questo erano perfettamente d'intesa con gli Stati Uniti. Non c’è ombra di dubbio.

  PRESIDENTE. Il ragionamento politico è chiaro.

  MARCO CARRA. Grazie, onorevole Martelli, per il suo contributo. Io vengo da Mantova. Nessuno è perfetto, ma in questo caso la questione ci accomuna. L'onorevole Martelli ha lasciato molti amici a Mantova.
  Ho recuperato il libro dell'onorevole Martelli, ma lei, presidente, mi ha rubato il lavoro, perché è preparatissimo anche lei e il cenno a un brano del libro già l'ha fatto.
  Tuttavia, onorevole Martelli, lasciando perdere per un attimo le riflessioni e le disamine di carattere politico, io non vorrei che la seduta di oggi determinasse una sorta di processo al Partito Comunista in questa vicenda. Mi sembra che tutto si possa fare meno che processare un partito che, in ogni caso, come del resto ha ricordato anche lei, onorevole Martelli, ha fatto di tutto, riuscendoci, insieme alle forze sindacali, in particolare alla CGIL, per evitare che un pezzo – lei, giustamente, ha ricordato la sintesi Curcio-Franceschini – ancor più consistente di quello che seguì Franceschini lo seguisse in questa tragedia.
  Detto questo, lei ha ricordato cose, peraltro, in questo caso note. Mi riferisco ai contatti con Autonomia Operaia, Piperno, Pace e Signorile. All'epoca io avevo tredici anni, ma ricordo che già L'Espresso – lei ha ricordato Scialoja, per esempio – citava in modo dettagliato quello che accadeva. Il quesito banale, semplice, che credo si porrebbe chiunque, è questo: nessuno si è mai chiesto: «Se esponenti politici hanno collegamenti con Autonomia Operaia, affinché costoro facciano da tramite, occorre che...» ? Nessuno si è mai preoccupato di seguire questi soggetti di Autonomia Operaia per capire con chi si rapportavano, o meglio, dove si incontravano ? Mi sembra una cosa talmente banale.

  CLAUDIO MARTELLI. Landolfi ha avuto grossi danni dalle indagini relative ai suoi rapporti con Autonomia Operaia.

  MARCO CARRA. Io mi sto riferendo, però, non tanto alla parte politica, quanto al fatto che...

Pag. 16

  PRESIDENTE. In relazione al contatto di Signorile e Landolfi con Piperno e Pace, che era accertato, e alla «via di ritorno» di Morucci e Faranda, al di là delle acquisizioni ex post, perché non c’è stata un'operazione su Piperno e Pace per arrivare a Morucci e Faranda in corso d'opera ?

  CLAUDIO MARTELLI. Da parte nostra ?

  PRESIDENTE. No, da parte di coloro che dovevano farlo: inquirenti, forze dell'ordine.

  CLAUDIO MARTELLI. Gli inquirenti avrebbero dovuto saperlo. Non so se lo sapessero. Lo hanno saputo dopo e le indagini le hanno fatte. Landolfi l'hanno sicuramente processato, Signorile no, perché non c'era neanche la materia. Ripeto, tra l'altro Signorile non è arrivato direttamente a Lanfranco Pace e Franco Piperno. Ci è arrivato attraverso Zanetti, il direttore de L'Espresso.

  PRESIDENTE. La frase l'ha detta l'onorevole Martelli. Ha detto: «Noi non lo sappiamo». Forse non lo sapevano neanche...

  CLAUDIO MARTELLI. Perché, uno brucia la propria fonte ?

  MARCO CARRA. Ho capito, ma caspita !
  Passo alla seconda domanda. Lei in parte ha già toccato questo aspetto. Torno al brano del libro citato dal presidente Fioroni, laddove lei fa riferimento a quei partigiani, divenuti agenti dei servizi cecoslovacchi e sovietici, che hanno manipolato ed eterodiretto le Brigate Rosse. A me interessa molto questa tesi, che mi convince. Io ai servizi cecoslovacchi e sovietici aggiungo anche quelli atlantici.

  CLAUDIO MARTELLI. Anch'io.

  MARCO CARRA. Decapitando i capi storici, ossia Franceschini e Curcio...

  CLAUDIO MARTELLI. Addirittura facendoli arrestare. Rocco Turi, però, non è il primo che avanza questa ipotesi. Ci sono altri studi storici che l'avevano avanzata.

  MARCO CARRA. Mi interessa il punto di caduta, onorevole, ossia l'arresto di Curcio e Franceschini e il sostituirli con propri uomini. O ho capito male ? Ha parlato di Mario Moretti.

  PRESIDENTE. Ha anche detto che Moretti è stato a Praga.

  MARCO CARRA. Le pongo l'ultima domanda e poi chiudo: contatti diretti con Moretti non ce ne sono mai stati ?

  CLAUDIO MARTELLI. Nostri ? No.

  MARCO CARRA. Perfetto. Io ho chiesto e l'onorevole ha detto no. Punto.

  PRESIDENTE. Quando Craxi parlava del «grande vecchio», di quali elementi disponeva ? Veramente pensava a Corrado Simioni o a qualcun altro ?

  CLAUDIO MARTELLI. Sì, pensava a Corrado Simioni.

  PRESIDENTE. Lo pensava per deduzioni politiche o per deduzioni tecniche ? Lo pensava perché era di corrente avversa all'Hyperion ?

  CLAUDIO MARTELLI. Lo pensava intanto perché conosceva benissimo Simioni. Erano amici. Erano stati amici nella Federazione giovanile socialista.
  Debbo dire, a merito di Craxi, che, quando lui faceva contestazioni sulle ambiguità comuniste o sulle viltà democristiane, non ha mai smesso di... In tutta la sua attività politica il primo avversario di Craxi è sempre stato il massimalismo socialista. Il comunismo veniva di conseguenza. Si capisce anche il perché, perché quello è un avversario interno, quindi molto più pericoloso, anzi dominante. Diceva sempre: «Non è che noi siamo esenti Pag. 17da errori. Il riformismo, che nasce socialista» – adesso il riformismo è di estrema destra, di centro...

  PAOLO CORSINI. Nasce contro il massimalismo socialista.

  CLAUDIO MARTELLI. Esatto. È una battaglia storica.

  PRESIDENTE. Non vi vorrei privare di questo straordinario dibattito, che è bellissimo, ma io ho bisogno di tornare a capire se Craxi, oltre alla conoscenza con Simioni, aveva anche qualche altro elemento.

  CLAUDIO MARTELLI. Sì, aveva l'elemento della conoscenza, cioè sapeva che cosa aveva in testa. Era un insurrezionalista, che poi si è convertito a tattiche più sofisticate. Mi parlò Craxi di Hyperion. Io feci una bella indagine anche allora sulla stampa francese. Craxi era convinto che quella fosse una centrale del terrorismo internazionale.

  PRESIDENTE. Volevamo avere la riconferma che dicesse questo, visto che è una fonte di nostro interesse.

  CLAUDIO MARTELLI. Diceva che il «grande vecchio» non poteva essere un «Pierino». Simioni era uno che aveva una gran testa. Piaccia o non piaccia, è così.

  PRESIDENTE. L'ultima cosa riguarda l'archivio Cogliandro, il cui sequestro risale al 1996. L'archivio è stato organizzato dall'ex colonnello del SISMI Demetrio Cogliandro, poi collaboratore esterno del servizio militare. Negli appunti sequestrati a Cogliandro, secondo plurime fonti, si fa riferimento a parti omesse del memoriale Moro e all'esistenza di bobine registrate con le deposizioni dello statista alle BR. La fonte di siffatte rilevazioni sarebbe stata Paolo Senise, giornalista. Delle bobine parlò poi su OP Pecorelli.
  Che lei sappia, Bettino Craxi era al corrente dei contenuti dell'archivio Cogliandro ? Gliene ha mai inteso parlare, in modo particolare delle parti relative alla vicenda di Moro ?

  CLAUDIO MARTELLI. No, mai. Nel 1996 Craxi stava a Hammamet. Al massimo avrà saputo qualcosa da fonti giornalistiche.

  PRESIDENTE. Quindi, dalle stesse fonti nostre. Ci sono altre domande ?

  MAURIZIO GASPARRI. Vorrei ringraziare l'onorevole Martelli perché ci ha ridato un quadro corretto della situazione, anche con l'analisi sulla genesi delle Brigate Rosse, con riferimento sia al filone Franceschini, che prende origine da Reggio Emilia e dai partigiani, sia a tutta la galassia sessantottina.
  Due domande rapide...

  CLAUDIO MARTELLI. Non tutta la galassia...

  MAURIZIO GASPARRI. No, una parte della galassia...

  CLAUDIO MARTELLI. Segmenti impazziti.

  MAURIZIO GASPARRI. Certo, ci siamo capiti; la rapidità che il presidente Fioroni ci suggerisce porta alla sintesi. Schegge impazzite dei movimenti sessantottini e post-sessantottini.
  Lei sa che ci sono tanti filoni dietrologici. La sua testimonianza, il suo racconto di oggi, riporta la realtà storica anche del dibattito: trattativa, non trattativa e via discorrendo. Cosa pensa di tutti i filoni, di cui spesso anche in questa Commissione abbiamo sentito, che attribuiscono a origini diverse il sequestro Moro, la prigionia ? Già dal racconto che lei ha fatto, ancorato alla realtà, ne deduco scetticismo, perché ci sono ricostruzioni di vari tipi. C’è il suo libro, ma ce ne sono anche tanti altri, ahimè.
  Un altro aspetto che mi ha colpito, a tanti anni di distanza, è che quelli che Pag. 18sostenevano la trattativa – io all'epoca, se avessi avuto un ruolo, non avrei sostenuto la trattativa...

  CLAUDIO MARTELLI. Non ne dubitavo.

  MAURIZIO GASPARRI. Non ne dubitava. Tuttavia, perché questa inerzia rispetto a una riunione del Parlamento ? In effetti, l'immobilismo del Parlamento in quella fase resta veramente un problema. Non aver assunto un'iniziativa politica, forse perché ci si illudeva col convincimento...
  Rispetto a tutta la vicenda di Piperno e altri, anche il partito della trattativa perse credibilità perché sembrava un po’ «connivente» con alcuni settori di schegge impazzite. Io ricordo il dibattito dell'epoca, su Metropoli e Piperno. La parte favorevole alla trattativa fu debole anche perché sembrava un po’ giustificazionista.

  CLAUDIO MARTELLI. Sul primo punto si riferisce al ruolo eventuale, e anche, per alcuni aspetti, accertato di servizi segreti dell'Est e dell'Ovest ? Io ci credo profondamente. Se è Moretti che decide il sequestro, non è una decisione che abbia preso senza aver consultato i suoi referenti a Praga. Su questo non ci piove.
  Quando, durante il sequestro e anche dopo l'assassinio... Naturalmente, dopo l'assassinio l'attività è esattamente di senso contrario, cioè consiste nel nascondere le tracce. È per il «durante» che bisogna andare a vedere se... Nei documenti pubblicati da Rocco Turi qualche elemento c’è. Per la parte americana gli elementi ci sono eccome, perché c’è stato quel signore, Pieczenik, che l'ha rivendicato, addirittura. Non ci sono dubbi.

  PRESIDENTE. Mi pare che il ragionamento dell'onorevole Martelli sia stato chiaro. Io ho insistito su alcuni nomi non perché non fossero noti, ma per contestualizzarne il ruolo.
  Ringraziamo l'onorevole Martelli. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.

Pag. 19

ALLEGATO

DELIBERAZIONE IN TEMA DI CRITERI PER LA CORRESPONSIONE DEI RIMBORSI SPESE AI COLLABORATORI DELLA COMMISSIONE

  L'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro,

  vista la legge 30 maggio 2014, n. 82;

  visto l'articolo 7, comma 4, del Regolamento interno, che rimette all'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, il compito di deliberare sulle spese inerenti all'attività della Commissione, ad eccezione di quelle di ordinaria amministrazione, rimesse alle determinazioni del Presidente della Commissione;

  visto l'articolo 23, comma 2, del medesimo Regolamento interno, che stabilisce che il rimborso delle spese dei collaboratori della Commissione è riconosciuto nella misura massima determinata dall'ufficio di presidenza, esclusivamente in relazione allo svolgimento di compiti specificamente assegnati e afferisce alle spese, debitamente documentate, aventi ad oggetto l'alloggio, il trasporto e la ristorazione fruita presso le strutture della Camera dei deputati,

  delibera

ART. 1.
(Rimborso delle spese di trasporto, vitto e alloggio).

  1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2, il rimborso delle spese di trasporto, vitto e alloggio è riconosciuto ai soli collaboratori della Commissione con incarico a titolo gratuito che non siano residenti a Roma e che non percepiscano altre forme di indennità a carico della Commissione.
  2. Il rimborso delle spese è ammesso solo se dalla documentazione presentata dall'interessato risultino la congruità e la connessione delle spese con lo svolgimento dell'incarico.
  3. Sono connesse allo svolgimento dell'incarico le spese di trasporto, vitto e alloggio sostenute per assicurare la presenza a Roma del collaboratore, allorché essa sia stata espressamente richiesta dal Presidente. La richiesta del Presidente deve essere allegata all'istanza di rimborso, salvo che il richiedente sia un collaboratore con incarico a tempo pieno.
  4. Le spese di trasporto sono rimborsate limitatamente ai viaggi di andata e ritorno in treno, in seconda classe, oppure in aereo, in classe economica.
  5. Le spese di soggiorno a Roma sono rimborsate per la notte precedente il giorno della seduta per la quale il collaboratore è chiamato ad essere presente, qualora la seduta abbia luogo al mattino, e per la notte successiva qualora la seduta abbia luogo alla sera. Eventuali modalità di rimborso diverse devono essere autorizzate dal Presidente. In nessun caso si rimborsano spese di entità superiore a 120 euro per notte.
  6. Le spese di vitto a Roma sono rimborsate limitatamente ai pasti consumati presso le strutture di ristorazione delle Camere.Pag. 20
  7. Non sono rimborsabili da parte della Commissione le spese per le quali il collaboratore percepisca altre forme di rimborso o di indennizzo a carico di soggetti pubblici o privati.
  8. All'atto della presentazione dell'istanza di rimborso, il collaboratore attesta che le spese oggetto dell'istanza non rientrano tra quelle non rimborsabili ai sensi del comma 7.
  9. Per i collaboratori con incarico a tempo parziale il limite complessivo di rimborso per le spese di cui al presente articolo è fissato in 1.500 euro per l'anno 2015 e in 1.250 euro per l'anno 2016.
  10. I limiti di cui al comma 9 sono raddoppiati per i collaboratori con incarico a tempo pieno.

ART. 2.
(Rimborso delle spese di missione).

  1. Il rimborso delle spese di missione è riconosciuto esclusivamente nei casi in cui la missione sia stata autorizzata dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, e sempre che dalla documentazione presentata dall'interessato risultino la congruità e la connessione delle spese con lo svolgimento della missione.
  2. Alle missioni che si svolgono in Italia si applicano le disposizioni di cui ai commi 4, 5, terzo periodo, 7 e 8 dell'articolo 1.
  3. Il rimborso delle spese relative ad eventuali missioni all'estero è disciplinato dall'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, in sede di autorizzazione della singola missione.