XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 85 di Mercoledì 8 aprile 2015

INDICE

Audizione dell'avvocato Antonio Ingroia:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Ingroia Antonio , avvocato ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  ... 7 
Sarti Giulia (M5S)  ... 8 
Gaetti Luigi  ... 9 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 9 
Mirabelli Franco  ... 9 
Ingroia Antonio , avvocato ... 9 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  ... 9 
Ingroia Antonio , avvocato ... 9 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  ... 10 
Ingroia Antonio , avvocato ... 10 
Mirabelli Franco  ... 12 
Ingroia Antonio , avvocato ... 12 
Lumia Giuseppe  ... 12 
Ingroia Antonio , avvocato ... 12 
Lumia Giuseppe  ... 13 
Ingroia Antonio , avvocato ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Ingroia Antonio , avvocato ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione dell'avvocato Antonio Ingroia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'avvocato Antonio Ingroia, nell'ambito degli approfondimenti che la Commissione sta dedicando alla vicenda della morte del dottor Attilio Manca, avvenuta nel 2004 a Viterbo.
  L'avvocato Ingroia, già magistrato in servizio alla procura di Palermo, com’è noto, è oggi ascoltato in qualità di legale di parte civile dei familiari di Attilio Manca in merito alle ulteriori e nuove circostanze su tali vicende giudiziarie, a cui egli accenna nella sua richiesta di audizione inviata alla Commissione nello scorso mese di dicembre.
  Ricordo, inoltre, come di consueto, che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Nel ringraziare l'audito per la sua presenza, do la parola all'avvocato Ingroia.

  ANTONIO INGROIA, avvocato. Innanzitutto desidero ringraziare la presidente della Commissione e i commissari tutti per avere già da tempo aperto una finestra e acceso i riflettori su una vicenda che per troppo tempo è rimasta al buio e che è rimasta al buio – lo dico con il dolore necessario di un ex magistrato – soprattutto per responsabilità di un pezzo di magistratura. Mi riferisco, in particolare, alla procura di Viterbo, che non solo nulla ha fatto perché emergesse tutta la verità su quella vicenda, ma anzi ha fatto di tutto perché la verità non emergesse.
  Quali siano le ragioni non sta a me individuarlo, ma devo dire che, da quando io ho assunto, assieme all'avvocato Repici, che segue la vicenda da più tempo di me, la difesa delle parti offese, ossia della famiglia Manca, nella vicenda di Attilio Manca, leggendo le carte e gli atti di quell'inchiesta, sono rimasto sbalordito ed esterrefatto nell'evidenziare la sciatteria del modo di condurre quell'indagine.
  A questo si aggiunge – non ho motivo per non essere particolarmente duro, e non solo perché la procura di Viterbo, nel frattempo, mi ha perfino indagato, ma parlerò a breve anche di questo, per calunnia, incriminandomi nell'espletamento della mia attività difensiva – una rara ostinazione e un'ottusità investigativa (mi si passi il termine) nell'ignorare in modo deliberato, continuativo e ostinato ogni indicazione che veniva e che è venuta in questi anni dalla famiglia per fare chiarezza sui fatti, anche ignorando l'evidenza dei fatti.
  So che avete già sentito la signora Manca, insieme al fratello del povero Attilio Manca. Certamente vi avrà fornito alcuni dei particolari più evidenti di ciò che non si è fatto, di ciò che andava fatto e di ciò che già dalla prima scena del delitto – così io lo chiamo: quello fu un omicidio e, in particolare, un omicidio di mafia – emergeva già dal primo sopralluogo, a cominciare dalle condizioni in cui venne rinvenuto il cadavere di Attilio Manca.
  Tali condizioni non sono certamente compatibili con una morte accidentale per overdose o addirittura con un suicidio. La Pag. 4procura di Viterbo, peraltro, non ha mai chiarito se propendesse per una morte accidentale o per la morte intenzionale da parte dello stesso dottor Manca.
  Per il setto nasale visibilmente deviato e frantumato la prima spiegazione che venne fornita dai primi intervenuti, i medici legali incaricati dalla procura di Viterbo, fu che ciò era stato provocato dalla caduta sul letto di Attilio Manca nel momento in cui moriva, andando a incontrare il telecomando della televisione che si trovava su quel letto, telecomando che dalle fotografie risulta trovarsi sotto il braccio e non sotto il naso del cadavere.
  Cito soltanto una delle questioni più paradossali, ossia i famosi buchi sul braccio sinistro della presunta iniezione letale. Risulta da tutti gli atti – ci sono anche dichiarazioni dei medici colleghi di Attilio Manca – che Attilio Manca fosse un mancino puro. È impensabile che anche un medico mancino puro, dovendo praticare un'iniezione tanto importante, trattandosi appunto di un'iniezione endovena di quel genere, scelga di usare la mano con la quale è meno sicuro, ossia la mano destra.
  Per dimostrare la sciatteria dei magistrati di Viterbo che si sono occupati di questo caso basta citare l'archiviazione del GIP, che, a fronte dell'obiezione della parte offesa su questo particolare, ha replicato allegando un articolo dal Corriere della Sera – questa era la letteratura scientifica consultata dal GIP per rigettare l'obiezione della difesa – che diceva che i medici hanno una particolare manualità. Pertanto, aggiungeva e commentava il giudice, poteva benissimo darsi che la manualità da medico consentisse a un mancino puro di farsi un'iniezione con la mano meno sicura. Questo è soltanto uno degli esempi.
  Io credo che ci siano tutti i presupposti perché il riflettore che molto opportunamente la Commissione parlamentare antimafia ha acceso su questo caso serva per tirarlo fuori dall'ombra della giustizia negata, dei depistaggi e dei sospetti.
  Una coincidenza importante e fortunata è il fatto che lo stesso giorno in cui la Commissione parlamentare antimafia ha fissato la mia audizione, su mia richiesta, il procuratore distrettuale antimafia di Roma, il dottor Giuseppe Pignatone, ci abbia ricevuto. Vengo, infatti, dagli uffici della procura, dove, insieme al collega Repici, alla signora Manca e a Gianluca Manca, abbiamo incontrato il procuratore Pignatone e abbiamo depositato una formale istanza, un formale atto di denuncia per omicidio di mafia. Noi siamo convinti, infatti, che ci siano tutti i presupposti perché si apra un'inchiesta per omicidio di mafia, anche perché nel frattempo sono emersi fatti nuovi rispetto alla mia richiesta di audizione di qualche mese fa.
  Relativamente alla vicenda specifica, il fatto nuovo più importante è la deposizione del 13 gennaio 2015 del collaboratore di giustizia palermitano Stefano Lo Verso, che è stato sentito davanti alla corte d'assise di Caltanissetta nel processo cosiddetto “Borsellino-quater”, uno dei processi per la strage di via D'Amelio. In tale contesto il Lo Verso ha fatto espresso ed esplicito riferimento alla sua conoscenza di particolari che potrebbero fare luce sul caso dell'urologo Manca. L'ha chiamato proprio così.
  Se la presidente ritiene, posso anche lasciare copia della denuncia che noi abbiamo appena depositato al procuratore di Roma, in cui è riportata anche questa dichiarazione nel dibattimento. Lo Verso dice di aver parlato con Provenzano e che Provenzano gli consegnò una madonnina che aveva preso non si sa dove. Inoltre dice, in modo un po’ allusivo ed enigmatico, che lui ricollegava la madonnina che gli veniva consegnata da Provenzano con il caso dell'urologo Manca, sostenendo che lui ha «tutto conservato» – questa è l'espressione usata da Lo Verso – per fare piena luce su questa vicenda.
  Credo che questo sia un chiaro messaggio che, come a volte usano fare i collaboratori di giustizia che vengono da quel mondo di mafia, che si nutre di segnali, Lo Verso ha mandato agli inquirenti e a chi si occupa di questo caso, dicendo: «Venitemi a interrogare: ho cose da riferire su questo fatto».Pag. 5
  Lo Verso era molto vicino a Bernardo Provenzano. Noi crediamo che questo fatto sia di grande importanza, così come la recente nuova collaborazione di due collaboratori, di cui si è avuta notizia di stampa, della provincia di Messina, provenienti proprio dalla zona di Attilio Manca – mi riferisco a Carmelo D'Amico e Nunziato Siracusa – i quali potrebbero riferire fatti e circostanze di rilievo su questa vicenda.
  In più, noi abbiamo suggerito al procuratore di Roma di fare anche quello che la procura di Viterbo mai ha fatto, ossia di verificare se, come noi riteniamo, negli archivi della procura di Messina si detengano ancora oggi dei tabulati dei contatti telefonici che riguardano tutto il circuito relazionale attorno a Manca. Faccio riferimento, in particolare, a un cugino, Ugo Manca, che è stato anche indagato per questa vicenda e che venne sottoposto a indagine dalla procura di Messina.
  Nell'indagine relativa all'acquisizione dei tabulati, pare – noi non abbiamo gli strumenti per verificarlo, ma la procura di Roma, come, ovviamente, anche la Commissione parlamentare, ha gli strumenti per verificare questo presso la procura di Messina – che siano stati acquisiti i tabulati di tutto il circuito relazionale di Ugo Manca, compreso Attilio Manca.
  Qualora fossero stati acquisiti i tabulati di Attilio Manca, potremmo finalmente verificare se Attilio Manca si recò o non si recò a Marsiglia nel periodo in cui Provenzano venne curato, vista la circostanza nota per cui la madre afferma con certezza di avere ricevuto delle telefonate dal figlio nelle quali il figlio le diceva per telefono che si trovava a Marsiglia per assistere a un'operazione.
  Sappiamo bene – abbiamo avuto modo di parlarne anche oggi al procuratore di Roma, ossia al dottor Pignatone, e io lo so anche per scienza personale – che la procura di Palermo, a suo tempo, seguì in modo approfondito la vicenda e fece luce su tutto quello che avvenne, per quello che fu possibile al tempo accertare, attorno al ricovero di Provenzano a Marsiglia: l'operazione a cui venne sottoposto, chi lo operò, i medici che lo assistettero.
  Tuttavia – conveniva su questo lo stesso dottor Pignatone – nulla esclude che immediatamente prima, o immediatamente dopo, visto che Provenzano si trattenne a Marsiglia ben oltre i giorni stretti del ricovero presso la famosa clinica La Ciotat – se non ricordo male, si chiamava così – di Marsiglia, Provenzano possa essere stato sottoposto a visita di controllo da medici che magari in Italia l'avevano visitato in precedenza, prima che andasse a Marsiglia. Non è affatto escluso, quindi, che possano esserci state delle visite di controllo immediatamente prima o immediatamente dopo l'operazione da parte del dottor Manca.
  In ogni caso, se ci sono ancora dei tabulati dentro un vecchio fascicolo della procura di Messina, io credo che sia incredibile che fino ad oggi, dopo tanti anni, nessuno sia andato a cercarli e soprattutto che non l'abbia fatto l'unico ufficio giudiziario fino ad oggi competente che se ne è occupato, cioè la procura di Viterbo, che su questo specifico punto era stata sollecitata più volte dai familiari e dai loro legali.
  Su questo punto, solo brevemente, perché so che i tempi della Commissione sono contingentati con i tempi parlamentari di altri impegni, in pochissimi minuti, se me lo consente, presidente, aggiungo solo una considerazione.
  Gli aspetti davvero paradossali di questa vicenda giudiziaria, per come è stata trattata fino ad oggi dalla procura di Viterbo – parlo, ma solo per poco, della mia vicenda personale – includono anche il fatto (che è un caso, credo, quasi senza precedenti) che un avvocato, in questo caso un avvocato di parte civile, sia stato e sia tuttora indagato. Io sono tuttora indagato per calunnia per il mio intervento pronunciato durante l'udienza preliminare, nell'unico processo che si sta svolgendo a Viterbo.
  Svolgo una premessa breve, qualora la Commissione non lo sapesse. La procura di Viterbo sostiene che il dottor Manca Pag. 6sarebbe morto per overdose, sicché l'unica imputata è la donna, la presunta spacciatrice che gli avrebbe venduto la droga.
  In quel processo, trattandosi dell'unico processo in cui si potesse provare a far emergere la verità, noi decidemmo di costituirci parte civile. Visto che Attilio Manca era morto, secondo l'accusa, secondo la procura di Viterbo, in conseguenza della cessione di sostanze stupefacenti, noi ci costituimmo in quel processo.
  In quel processo, ovviamente, noi evidenziammo, già in corso di udienza preliminare, le ragioni per le quali noi ritenevamo che andasse ampliata la verifica da svolgersi davanti al giudice e chiedevamo il rinvio a giudizio, ossia chiedevamo che vi fosse finalmente un dibattimento nel quale ci fosse la possibilità di fare piena luce. Qualora fossero emersi fatti ulteriori, che davano una lettura diversa, questo ne avrebbe potuto determinare e imporre la trasmissione all'ufficio competente, che, secondo noi, rimane sempre la procura di Roma, essendo procura distrettuale antimafia competente territorialmente.
  Accade che io mi pronunciai anche dichiarando che in questa vicenda c'erano stati dei clamorosi depistaggi, dei veri e propri falsi, nei quali venivano attestate in atti pubblici delle circostanze false. Per questa ragione venni incriminato per calunnia.
  Qual era la falsità a cui mi riferivo ? Io mi riferivo alla nota della squadra mobile di Viterbo del 21 novembre 2006, firmata dal dottor Salvatore Gava, al tempo dirigente della squadra mobile di Viterbo, che, come a voi sarà noto, perché ve l'avrà certamente riferito la signora Manca, è stato per altre vicende già condannato in definitivo per fatti di falso in atto pubblico, ossia per lo stesso tipo di incriminazione.
  Il dottor Gava è stato condannato con sentenza definitiva per falso a tre anni e otto mesi di reclusione per le vicende della famosa falsa bottiglia molotov dei fatti del G8 di Genova ed è il firmatario – sarà una coincidenza, ma è lui – di questa informativa in cui è scritto il falso. È scritto il falso obiettivo.
  In parte, si evince che sia falso perfino dagli stessi allegati della nota falsa. La nota dice che nei giorni in cui Bernardo Provenzano si trovava a Marsiglia per le cure mediche il dottor Manca era di servizio presso il reparto di urologia dell'ospedale Belcolle di Viterbo, mentre dagli stessi allegati – chi ha firmato la nota non si è dato cura neanche di verificare gli allegati alla nota stessa – risultano dei vuoti, per fare delle esemplificazioni, nei giorni che vanno dal 25 al 26 ottobre.
  In particolare, questo è il fatto più clamoroso. Due giorni consecutivi sono più che sufficienti per andare da Viterbo a Roma, da Roma a Marsiglia, fare una visita e tornare in servizio all'inizio della settimana successiva. Si tratta di un fine settimana compreso in quel periodo.
  In ogni caso, è falsa la circostanza per cui il dottor Manca fosse stato continuativamente in servizio in quei giorni presso l'ospedale di Viterbo, ed è falso, quindi, che fosse impossibile per lui recarsi a Marsiglia, fare la visita e tornare, ma c’è di più.
  La questione che lascia veramente molto perplessi è che (anche in questo senso non ho mai visto una nota del genere), di fronte alla delicatezza della verifica, la nota dice: «Personale di questo ufficio – cioè della squadra mobile di Viterbo – apprendeva in via informale dal servizio centrale operativo della Polizia di Stato che il noto Bernardo Provenzano si era recato a Marsiglia nelle date sotto indicate». Si indicano poi le date dal 7 all'11 luglio e dal 22 ottobre al 4 novembre.
  Io mi sono chiesto come mai, in una verifica del genere, si verifichi apprendendo in via informale, il che significa praticamente da una telefonata. Il funzionario della squadra mobile ha telefonato al collega del servizio centrale operativo e per telefono gli sono stati riferiti i giorni in cui il soggetto si trovava a Marsiglia.
  La ragione è molto semplice, ossia che, se si fossero acquisiti i dati e si fossero Pag. 7verificate le indagini della procura di Palermo, come risulta perfino dalle cosiddette “fonti aperte” – ci sono perfino degli articoli del Corriere della Sera dedicati all'indagine di Palermo – risulterebbe che Provenzano è stato a Marsiglia ben più dei quattro o cinque giorni limitati all'entrata e alla dimissione dalla clinica. È stato quasi un mese consecutivo a Marsiglia, sia nel mese di ottobre, sia nel mese di luglio.
  Se si va a guardare e si confronta quello che sarebbe emerso dalle carte relativamente agli spostamenti di Provenzano a Marsiglia, confrontandoli con i turni di servizio del dottor Manca, ci sono dei vuoti enormi, a volte di quattro o cinque giorni – prendo, per esempio, il periodo che va dal 2 al 5 ottobre – in cui Attilio Manca non era in servizio, periodo che era immediatamente prima e immediatamente dopo l'operazione. Ancora, cito l'8 e il 9 novembre e ancora il 15 e 16 novembre, ossia immediatamente dopo l'operazione.
  Sono vuoti che forse fanno capire che non è del tutto innocente questa apparente sciatteria investigativa nell'acquisire l'informazione soltanto per telefono e non chiedendo per iscritto gli atti relativi al periodo in cui Provenzano si trovava a Marsiglia. Questo forse ci dà la spiegazione del perché si fece un accertamento un po’ così, all'acqua di rose.
  Io dissi queste cose nell'udienza preliminare e sono veramente rimasto di stucco apprendendo di essere stato per ciò solo indagato dalla procura di Viterbo. Anche per questo – credo che ciò prescinda dalle competenze dell'autorità giudiziaria – abbiamo, quindi, chiesto alla procura di Roma di fare luce sulle indagini.
  Credo – mi rimetto alla valutazione della Commissione – che il modo in cui è stato trattato giudiziariamente il caso dalla procura di Viterbo sia ampiamente materia soprattutto della Commissione parlamentare antimafia più che della procura distrettuale antimafia di Roma.
  Questi sono i dati principali che volevo rassegnarvi. Nel contempo, vorrei fare una richiesta e un appello, gli stessi che abbiamo fatto oggi insieme alla signora Manca alla procura di Roma. Questa vicenda è viziata da una patologia. La patologia è quella di un ufficio giudiziario che non fa la sua parte, che non fa quello che è dovere di ogni ufficio giudiziario e di ogni magistrato fare. Mi riferisco ancora alla procura di Viterbo.
  Noi non chiediamo di correggere la patologia con una supplenza, ma chiediamo un maggiore protagonismo, a questo punto, da una parte della procura distrettuale antimafia di Roma, che ha tutti i presupposti e le competenze per procedere, e, dall'altra, della Commissione parlamentare antimafia, in questa inversione di ruoli. Un ex magistrato, che oggi fa l'avvocato e che è stato accusato di fare supplenza, come magistrato, rispetto alla politica chiede alla politica di fare supplenza rispetto alla magistratura – mi si passi questa battuta – di fronte alla mancata attivazione del minimo di indagine indispensabile da parte della procura di Viterbo.
  Non ho altro da aggiungere.

  PRESIDENTE. Grazie, avvocato. Abbiamo a disposizione ancora venticinque minuti.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO FAVA. Ringrazio il dottor Ingroia. Credo che sia un impegno di questa Commissione, anche per aver incontrato la famiglia e aver misurato la sofferenza di questa famiglia, composta ma forte rispetto a questa vicenda, fare tutto quello che è giusto per restituire la verità. Non siamo qui a pretendere che sia l'una o l'altra, ma che sia una verità, che sino adesso ci sembra assolutamente parziale. Questa è una mia opinione.
  Io penso che queste indagini abbiano risentito di una straordinaria superficialità. Lo dimostra il fatto che buona parte delle attività investigative siano state poi richieste in forma successiva dal GIP dopo che erano state svolte, in maniera piuttosto approssimativa, dalla procura della Repubblica.Pag. 8
  Detto questo, per aiutarci a capire, le chiederei alcuni punti di merito e di dettaglio. I punti di dettaglio riguardano due questioni.
  Manca è un mancino perfetto, così viene definito. Avevamo saputo dalla famiglia, o dal suo collega, avvocato Repici, che la condizione di mancino del dottor Manca era tale che in sala operatoria, quando era costretto a operare utilizzando entrambe le mani, o comunque a usare la mano destra, chiedeva a un collega di farsi sostituire. Questa circostanza è stata riferita quando abbiamo incontrato il sostituto procuratore ed è stata smentita.
  Le chiedo se c’è agli atti, perché non c’è stato su questo punto molta chiarezza, la deposizione di un collega di Manca che abbia detto che effettivamente in sala operatoria era toccato ai colleghi qualche volta se non sostituirlo, comunque accompagnarlo nel gesto operatorio, a causa di questa sua condizione.
  Passo al secondo punto, ma vado rapidamente, a proposito della presunta pusher. Risulta comunque che il contatto ci sia stato. Ci sono alcune telefonate intercettate che la ragazza fa all'utenza telefonica di Manca, senza sapere, si presume, di essere intercettata, che fanno capire che il rapporto fosse realmente quello, ossia di chi aveva fornito dell'eroina e voleva capire che cosa stesse accadendo, perché aveva ricevuto, se non ricordiamo male, la visita della Polizia.
  Prima ancora che la ragazza sapesse di essere formalmente indagata e intercettata, queste telefonate rivelerebbero un rapporto esistente, un rapporto in qualche modo solido. Volevo capire se su questo aspetto può fornirci qualche indicazione in più.
  Affronto ora due questioni più di contesto. Quando noi abbiamo chiesto alla DDA e al procuratore della Repubblica di Roma se ci fosse qualche elemento su questa indagine, che noi avevamo cominciato a seguire parallelamente alle nostre funzioni qui in Commissione, ci è stato spiegato che se ne occupava Viterbo.
  C’è una ragione – vi è stata spiegata, l'avete approfondita, anche nel colloquio di oggi – per cui la DDA non ha ritenuto di esercitare alcun impulso investigativo, né di avocare a sé alcun passaggio investigativo, assumendo, presumendo, ipotizzando che questo possa essere un delitto con matrice mafiosa ?
  L'ultima questione è su questa matrice. È chiaro che il contesto, il perimetro è quello della latitanza di Provenzano e della sua operazione all'estero. Quale sarebbe, però, in questo caso, secondo la vostra ipotesi, se c’è un'ipotesi, il movente ? Inoltre, questa è un'iniziativa che sarebbe partita da Provenzano o da altri, a prescindere dal consenso e dalla consapevolezza di Provenzano ?

  GIULIA SARTI. Cercherò di essere sintetica anch'io. Sottoscrivo quanto detto già dal collega Fava in merito alla superficialità nella conduzione di questa indagine. È triste che dopo undici anni siamo ancora qui a parlare di un caso che, come tanti, non riesce a trovare l'accertamento della verità.
  Detto questo, volevo fare una domanda relativa alle diverse dichiarazioni che sono state rese da più di un collaboratore di giustizia nel corso di questi anni. In particolare, adesso abbiamo parlato di Stefano Lo Verso. Nella denuncia che avete depositato anche questa mattina al dottor Pignatone ci sono riferimenti alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Setola ? Se sì, può essere importante dirci quello che lei ha potuto apprendere in merito a queste dichiarazioni, ossia se si sa chi possa essere stata la fonte di Setola e se si tratti, come si ipotizzava, come si era sentito dire, di Giuseppe Gullotti, oppure se ci siano possibili riscontri o evidenze di queste dichiarazioni che possono essere importanti.
  Inoltre, sulla gravità – anche questa è un'opinione personale – della denuncia e delle indagini per calunnia nei suoi confronti domani ci sarà di nuovo l'occasione di sentire i procuratori. Penso che in quella sede si potranno certamente chiedere riscontri. Non so se sapete se queste indagini stanno andando avanti, se è stata fatta una richiesta di archiviazione o che Pag. 9cosa è successo. Può essere indicativo anche per noi capire come si sono comportati i pubblici ministeri in seguito a questa denuncia nei suoi confronti.

  LUIGI GAETTI. Grazie, dottor Ingroia. Svolgo una piccola premessa. Io sono anatomopatologo, ragion per cui mi sono occupato di questo aspetto e ho letto soprattutto la relativa parte. In questa sua esposizione lei ha riassunto in tre grandi capitoli il problema della mancanza dei tabulati e il problema di Lo Verso e degli altri che avrebbero qualcosa da dire, a cui si aggiunge poi il problema del corpo.
  In merito, per la Commissione io ho scritto un paio di righe, perché condivido con lei che sia veramente molto strano che un docente universitario in medicina legale della Università Cattolica o della Sapienza faccia siffatte porcherie. L'ho messo per iscritto. Quella è la questione, secondo me, più preoccupante. Valutando i fatti e le fotografie, il fattore eroina certamente gioca un ruolo importante nella morte.
  Tutto questo per dire che anch'io non ho capito – e ritengo questo l'elemento più importante – il movente del presunto omicidio. Capirlo, secondo me, farebbe davvero la differenza.

  ANDREA VECCHIO. Grazie, dottor Ingroia. Io volevo capire, se possibile, se può essere utile, un fatto. C’è tutta una macchinazione molto complessa per gestire questo processo, nel quale sembrerebbe che ci sia, come lei l'ha definito, un comportamento sciatto, ma potremmo andare oltre questa definizione, se queste circostanze vengono provate.
  Come è possibile che si crei un organismo di controllo e di effettuazione così complesso di questo che è un delitto molto complesso e che il resto della magistratura non si accorga di questa deviazione di un suo braccio ?

  FRANCO MIRABELLI. Dottor Ingroia, premesso che io sono convinto, anche dopo gli approfondimenti e le audizioni che abbiamo fatto, che la procura di Viterbo abbia condotto male tutta questa vicenda e che probabilmente, se questa inchiesta fosse stata condotta meglio, molti dei contorni inquietanti che ha assunto il cosiddetto caso Manca non ci sarebbero stati, volevo porle due questioni.
  Lei ha fatto due affermazioni, una delle quali non mi risulta e un'altra su cui le chiedo un approfondimento. Quella che non mi risulta è il naso frantumato del dottor Manca, che non ci risultava essere nelle indagini, così come le abbiamo fatte fino adesso.
  Quanto alla seconda questione, lei ha fatto cenno a due nuovi pentiti di mafia che avrebbero qualcosa da dire sulla vicenda. Le chiedo se in merito può essere un po’ più chiaro. Hanno qualcosa da dire o potrebbero avere qualcosa da dire ? Ci spieghi un po’ meglio quest'affermazione.

  ANTONIO INGROIA, avvocato. Provo a rispondere a tutto, ma non sarà facile.
  Sul mancinismo, per la verità, non ricordo il particolare specifico della sostituzione in sala operatoria. Possiamo riservarci di verificare ed eventualmente di depositare gli atti presso la segreteria della presidenza della Commissione con un'indicazione.

  CLAUDIO FAVA. Noi non sapevamo di una sostituzione, ma sicuramente ci era stato riferito di qualche collega.

  ANTONIO INGROIA, avvocato. Questo ce l'abbiamo anche nell'esposto che le lascerò, nella denuncia che abbiamo presentato oggi alla procura di Roma. Per esempio, una dichiarazione del collega e amico di Manca, Maurizio Candidi, recita: «Sono sicuro che Manca fosse mancino. Scriveva con la sinistra e svolgeva le sue normali attività con tale mano. È capitato di operare insieme a lui e anche in queste circostanze ricordo che Attilio utilizzava sempre la sinistra. La destra la utilizzava poco e per gesti semplici».
  Alla domanda specifica: «Manca Attilio avrebbe potuto inserirsi droga o farsi un'iniezione con la mano destra ?», lui rispondeva: «Reputo questa circostanza molto difficile, perché sarebbe stato per Pag. 10lui un gesto certamente innaturale. Del resto, quando operava, nei gesti perfino più banali utilizzava la sinistra. Ritengo, quindi, che farsi un'iniezione endovena con la sua mano non naturale sia stato estremamente difficile». È un medico e un suo amico che bene lo conosceva, con il quale Manca era stato in sala operatoria.
  Per quanto riguarda la seconda domanda che faceva l'onorevole Fava, la risposta del procuratore di Roma nasce dal rispetto delle competenze che c’è normalmente fra uffici giudiziari. Se indaga la procura di Viterbo, il meccanismo fisiologico è che la procura di Viterbo, qualora ravvisi la propria incompetenza in favore della procura di Roma, trasmette alla procura di Roma.
  In teoria, l'unico ufficio «sovraordinato» dovrebbe essere la procura generale di Roma, che dovrebbe avere un ruolo di sorveglianza, che però le procure generali raramente, in realtà, assolvono sul serio. Hanno ruolo di sorveglianza solo in senso burocratico, quando scadono i termini delle indagini dei processi per illeciti bagatellari, mentre non fanno mai le verifiche dove andrebbero fatte, ossia sulle vicende su cui meriterebbero di essere fatte.

  CLAUDIO FAVA. Non è la procura nazionale, in questo caso, a supplire ?

  ANTONIO INGROIA, avvocato. La procura nazionale antimafia non ha, però, un ruolo diretto sulle procure non distrettuali antimafia, perché la Procura nazionale antimafia ha un ruolo sulle procure distrettuali. Questo è un vuoto legislativo. Noi abbiamo cercato oggi di «dare una mano» alla procura di Roma, perché è anche vero che sino ad oggi la procura di Roma non aveva mai ricevuto un input formale per aprire un fascicolo. Da oggi ce l'ha perché noi abbiamo depositato un esposto per omicidio contro ignoti.
  Comunque la procura di Roma dovrà aprire un qualche fascicolo, una qualche indagine. Del resto, il procuratore Pignatone – noi abbiamo fiducia che questo venga fatto certamente nel modo più approfondito – si è impegnato con la famiglia, con la signora Manca, a fare indagini il più possibile serie, naturalmente senza potersi ipotecare l'esito di questa indagine.
  Il punto – ora verrò anche alla questione del movente – è che ci sono degli atti di indagine minimi che andavano fatti da anni e che non sono mai stati fatti da nessuno. Noi non vogliamo sostituire le nostre verità. Per questo io non ho voluto parlare del movente, altrimenti ci si potrebbe dire che noi costruiamo dei teoremi. Noi non vogliamo imporre delle verità precostituite, ma diciamo: «Fate le indagini che è necessario fare».
  Non mi sottraggo alla domanda sul movente e ci arrivo alla fine, per chiudere.
  Setola l'abbiamo inserito, ma va detto che non abbiamo notizia formale di dichiarazioni di Setola. Sappiamo, da informazioni assunte dalle procure di Palermo e di Roma in via informale, che ci sono state delle dichiarazioni di Setola al pubblico ministero di Palermo, al dottor Di Matteo, che poi sono state trasmesse dalla procura di Palermo alla procura di Roma.
  La procura di Roma, peraltro, non ha neanche interrogato Setola, perché ha chiesto informazioni alla procura di Napoli, la quale ha definito Setola non attendibile. Nel frattempo, Setola ha fatto sapere anche pubblicamente che non intendeva più collaborare. Certo, però, ci sono due particolari e per questo noi l'abbiamo messo comunque nell'esposto. Secondo noi, va comunque fatto il tentativo di interrogare Setola.
  Tra i due particolari c’è la notizia, che però è un'indiscrezione, perché non conosciamo il contenuto della dichiarazione, che la fonte sarebbe stata appunto Giuseppe Gullotti, incontrato casualmente in carcere.
  Giuseppe Gullotti è un punto nevralgico di incrocio di interessi criminali mafiosi in senso stretto e di altre cose. Le altre cose – ora verrò al movente – possono fornire l'unica spiegazione plausibile del movente, della messinscena, dei depistaggi e degli insabbiamenti. Arrivo poi alla risposta alla domanda dell'onorevole Vecchio.Pag. 11
  Setola, quindi, andrebbe interrogato. Certo, Setola ha fatto sapere che fa marcia indietro e, quindi, è possibile che faccia scena muta. È singolare, però, che questo sia avvenuto nel momento in cui ha raggiunto la massima pubblicità l'intenzione di collaborare di Setola e questa sia derivata quando si è saputo che aveva cose da dire sul caso Manca.
  È normale interrogarsi sul motivo per cui Setola improvvisamente, solo nel momento in cui è diventata pubblica la sua collaborazione collegata al caso Manca, abbia fatto questo passo indietro. Qualcuno ha verificato in che condizioni è stato detenuto Setola e se è stato possibile avvicinare Setola per indurlo a ritrattare ? Questa è una domanda che io metto sul tappeto.
  Quanto alla domanda che faceva l'onorevole Sarti relativamente a notizie aggiornate sulla mia indagine, ovviamente non ne ho. Ci sono anche qui dei boatos, che però valgono per quello che valgono. Qualche giornalista più informato di me mi dice che la procura di Viterbo pare abbia fatto una richiesta di giudizio immediato, tutt'altro che un'archiviazione, evidentemente ritenendo che la prova della calunnia sia evidente, perché la richiesta di giudizio immediato si fa solo in questi casi. Pare che il GIP abbia rigettato la richiesta di giudizio immediato, non ritenendo evidente la calunnia, ma io sono, che mi risulti, tuttora indagato.
  Mi avvio rapidamente alla conclusione. Forse ho perso qualche domanda. C'era quella sul movente e poi non ricordo altre cose specifiche.
  Con riferimento al movente, come dicevo, senza voler evocare complotti internazionali, la messinscena e il depistaggio fanno intendere che non siamo di fronte a quello che noi chiamiamo un omicidio di mafia. La mafia c'entra, ma è ovvio che, come suol dirsi in questi casi, mafia non solo mafia.
  Noi riteniamo che l'ipotesi più plausibile sia che Attilio Manca è rimasto vittima del muro di protezione eretto attorno a Bernardo Provenzano, perché Bernardo Provenzano era il garante sul versante mafioso della famosa trattativa Stato-mafia. Attilio Manca può essere stato indotto a sua insaputa, per esempio – è un'ipotesi, una possibilità – dal cugino Ugo Manca, che è stato indagato ed è stato sottoposto a processi, le cui impronte digitali sono state trovate a casa di Attilio Manca e che non ha saputo fornire una spiegazione plausibile di tali impronte digitali.
  La sua versione è che lui in quel periodo era andato all'ospedale di Viterbo a farsi curare. Non si capisce perché dovesse partire da Barcellona sino all'ospedale di Viterbo per andarsi a fare curare, non si sa di che, e che sono rimaste le sue impronti digitali a casa del dottor Manca. Peraltro, ci sarebbe stato molte e molte settimane prima dell'evento, ma, guarda caso, sono rimaste solo poco più di quelle impronte digitali.
  Ugo Manca, che era al centro di relazioni pericolose – chiamiamole così, per non prendersi un'altra incriminazione per calunnia – potrebbe aver indotto Attilio Manca, col quale aveva mantenuto dei buoni rapporti, a curare un personaggio forse strano, ma che magari Attilio Manca non pensava fosse addirittura Bernardo Provenzano. Ricordiamoci tutti che, quando venne arrestato, Provenzano era sostanzialmente irriconoscibile rispetto alle foto che normalmente circolavano e che tutti noi immaginavamo.
  Ipotizziamo che, a un certo punto, Attilio Manca abbia cominciato a capire qualcosa e che Ugo Manca, e così chi era collegato e vicino a lui, abbia avuto paura che Attilio Manca, parlando, avrebbe esposto lui. Ugo Manca sarebbe stato eventualmente, quale garante di Attilio Manca, agli occhi della mafia, il primo a essere ritenuto responsabile, qualora fosse saltato qualcosa nel circuito di protezione attorno a Provenzano, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito.
  Forse così il movente è facilmente spiegabile, tenuto conto che, ripeto, se è vero quello che si sta celebrando nel processo a Palermo, ossia la trattativa Stato-mafia, in cui Provenzano aveva un ruolo cruciale, lo scopo poteva essere quello di mantenere Pag. 12Bernardo Provenzano latitante il più a lungo possibile e di non far scoprire di quale rete di protezione godesse.
  Peraltro, Bernardo Provenzano, secondo alcune risultanze, è stato a lungo nel barcellonese e dintorni. Il riferimento alla Madonna che fa Lo Verso – come è noto, c’è la famosa Madonna di Tindari, che non è molto lontana da Barcellona Pozzo di Gotto – sembra essere una possibile allusione a una presenza di Provenzano in quella zona, dove (sto facendo delle ipotesi che mi sono state chieste) sarebbe potuto avvenire il primo incontro e il primo contatto fra questo paziente e Ugo Manca e Attilio Manca.
  Attilio Manca potrebbe essere stato poi chiamato a Marsiglia per fare una visita di controllo immediatamente prima e una visita di controllo immediatamente dopo l'operazione a Marsiglia.
  Tutto questo potrebbe costituire un movente più che plausibile per tutta la messinscena. Diversamente, non si capisce il perché. Se Attilio Manca fosse stato ucciso con due colpi di pistola lungo le strade di Viterbo, in quel caso, inevitabilmente la procura distrettuale antimafia di Roma se ne sarebbe dovuta occupare. In questo modo, invece, se n’è potuta occupare per anni una piccola procura di provincia dove potevano passare sotto silenzio vicende di questo tipo.
  Mi pare di avere risposto a tutto.

  FRANCO MIRABELLI. Resta la questione del naso fratturato.

  ANTONIO INGROIA, avvocato. Il naso fratturato lo desumiamo dalle fotografie, se non è inequivocabile. Nell'autopsia non si attesta una rottura, ma basta vedere. È letteralmente deviato. Anche questo è contenuto nel nostro atto di denuncia.
  Quanto ai due pentiti, io, in realtà, ho fatto riferimento a tre. Uno è Lo Verso, che ha già dichiarato. I due pentiti della provincia di Messina, come ho detto prima, sono Carmelo D'Amico e Nunziato Siracusa. Noi non abbiamo notizia che siano in possesso di informazioni, ma abbiamo notizia che si tratta di collaboratori ritenuti, a quanto sappiamo, attendibili dalle autorità che stanno procedendo e che operavano in quel territorio. Vanno, quindi, interrogati specificamente sul tema, o andrebbero interrogati.
  Non ho altro da aggiungere.

  GIUSEPPE LUMIA. Mi scusi, dottor Ingroia, io seguo da anni la vicenda del caso Manca e anch'io ho trovato singolari stranezze. Adesso, grazie anche a questa Commissione, nel rapporto con la procura, con lei e con i familiari, si proverà a sciogliere questo nodo.
  Io vorrei che lei si soffermasse un po’ meglio sui rapporti locali e mafiosi del cugino Ugo Manca, che, a mio avviso, sono importanti da verificare e da sottolineare in sede di questa Commissione.
  C’è un'altra questione che penso sia importante. Sul teatro, sulle singolari condizioni in cui sono stati fatti i sopralluoghi, sulla situazione singolare delle intercettazioni, su tutto quel lavoro penso che ormai abbiamo elementi piuttosto chiari perché ognuno faccia una sua valutazione, per esprimere poi una valutazione di Commissione. Sulla vicenda della cura di Provenzano a Marsiglia e del possibile rapporto con Provenzano, invece, penso che sia necessario un ulteriore approfondimento, almeno da parte della Commissione. Vorrei, quindi, sapere un po’ di più da parte sua.
  Come ultima cosa, io ho colto, arrivando adesso, che lei ha fatto delle prospettazioni alla procura di Roma. Se potesse fornircene copia, se non l'ha già fatto, sarebbe interessante poterle avere e studiarle.

  ANTONIO INGROIA, avvocato. Grazie, onorevole. Io avevo anticipato che stamattina alle 12 noi abbiamo consegnato al procuratore antimafia Pignatone di Roma una denuncia dei familiari con la quale chiediamo che venga formalmente aperto un fascicolo per omicidio sul caso Manca. Il procuratore Pignatone ha ricevuto la denuncia, l'ha registrata e si è impegnato a fare indagini serie. Forse ci saranno, per la prima volta, delle indagini serie da Pag. 13parte della magistratura su questo caso. Ho già detto anche che lascerò copia della denuncia oggi depositata.
  Riguardo Ugo Manca – io ho fatto un cenno rapido, ma so che i tempi sono molto stretti, ragion per cui mi esprimo in modo flash – c’è un riferimento anche nella nostra denuncia e c'era anche nelle passate opposizioni alle archiviazioni. Ugo Manca è stato indagato in questo procedimento, ma è stato archiviato senza sostanzialmente alcuna indagine, senza che sia mai stato interrogato e senza che gli siano mai state contestate e chieste le ragioni di quelle impronte digitali.
  Ugo Manca è stato più volte oggetto di indagini e di processi per i suoi legami con la mafia barcellonese e con il personaggio di Rosario Pio Cattafi, più volte indagato. Ricordo che l'ho indagato anch'io nella famosa indagine – famosa per me – sui sistemi criminali, perché è stato l'anello di collegamento fra il versante mafioso militare e il versante della massoneria e dei Servizi.
  Il Cattafi ha avviato un inizio di collaborazione, che però mi pare piuttosto deludente rispetto alle sue premesse. Io ho seguito i primissimi mesi – ero ancora in magistratura – di avvio della sua collaborazione con la procura di Messina e non mi pare che abbia raccontato ciò che ha da riferire.
  Ugo Manca è esattamente in questo ruolo di anello di collegamento. Ecco perché corrisponde – non voglio dire che sia responsabile dell'omicidio – a quell'ambiente, a quel milieu dentro il quale, secondo me, si possono collocare, rispondendo alla domanda sul movente, i legami fra la criminalità organizzata attorno a Provenzano e gli ambienti della massoneria e dei Servizi, in cui è maturata anche la famigerata trattativa Stato-mafia.

  GIUSEPPE LUMIA. (fuori microfono) Il legame con Provenzano ?

  ANTONIO INGROIA, avvocato. Questo l'avevo accennato prima. Tutto nasce da quella informativa sostanzialmente a contenuto falso della squadra mobile, che fa restringere l'accertamento sui giorni in cui Provenzano era curato dentro la clinica. Invece, la verifica andava fatta, e così abbiamo sollecitato anche la procura di Roma a fare, per il periodo immediatamente antecedente e successivo, che è compatibile con i fogli di presenza di Manca in ospedale.

  PRESIDENTE. Bene, avvocato. Naturalmente noi rinnoviamo la richiesta di avere a disposizione la documentazione alla quale lei ha fatto riferimento. Procederemo a prendere in esame questi ulteriori elementi, alcuni dei quali in parte erano già noti, perché ci muoviamo con l'intento di portare un contributo a stabilire la verità. Tutto il materiale che ci verrà offerto verrà preso seriamente in considerazione. Noi abbiamo fatto questo per amore di verità, ma anche per un gesto di attenzione nei confronti di una famiglia che, in maniera molto dignitosa, ha chiesto alla Commissione di fare la propria parte, e noi intendiamo farla.
  Pertanto, la ringraziamo. Se ci saranno ulteriori necessità di approfondimento, sappiamo che lei non si sottrarrà a sua volta.

  ANTONIO INGROIA, avvocato. Grazie a voi. Deposito fin da ora l'atto di denuncia e mi riservo eventualmente di depositare dell'altro o preferite che lo faccia in seguito ?

  PRESIDENTE. No, quello che ha lo acquisiamo già tutto. Grazie.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.