XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 84 di Giovedì 26 marzo 2015

INDICE

Audizione del segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana), Raffaele Lorusso:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 
Lorusso Raffaele , segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 2 
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Della Volpe Santo , presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Della Volpe Santo , presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 5 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  ... 5 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Lorusso Raffaele , segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 7 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  ... 7 
Lorusso Raffaele , segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 8 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  ... 8 
Lorusso Raffaele , segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 8 
Della Volpe Santo , presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Della Volpe Santo , presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Della Volpe Santo , presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione del segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana), Raffaele Lorusso.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del segretario generale della Federazione nazionale della stampa italiana, Raffaele Lorusso. Il dottor Lorusso è accompagnato dal presidente della Federazione nazionale della stampa italiana il dottor Santo Della Volpe.
  L'audizione odierna ha ad oggetto il tema del rapporto tra criminalità organizzata e mondo dell'editoria e dell'informazione. La seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera e ove necessario i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Nel ringraziare l'audito e il dottor Della Volpe per la loro presenza, cedo ora la parola al dottor Lorusso.

  RAFFAELE LORUSSO, segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana). Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione per avermi invitato in quanto segretario generale della Federazione nazionale della stampa. Ho ritenuto dover estendere questo invito (l'ho fatto di mia iniziativa) al presidente della Federazione, il collega Santo Della Volpe, perché è sicuramente molto competente in materia soprattutto sul versante dei giornalisti minacciati dalle mafie, perché se ne occupa da parecchi anni, in quanto presidente di Libera informazione.
  Il fenomeno dei giornalisti minacciati è purtroppo un fenomeno che nel nostro Paese aumenta in maniera esponenziale. La Federazione nazionale della stampa, quale sindacato unitario e unico dei giornalisti italiani, ha attivato da anni un osservatorio su questo fenomeno che si chiama Ossigeno, che nei propri report annuali delinea la situazione. Si tratta di una situazione che peggiora di anno in anno e che vede aumentare purtroppo il numero di giornalisti minacciati fisicamente oppure colpiti da azioni «dimostrative» quali danneggiamenti di auto o di proprietà.
  È un fenomeno che purtroppo ci preoccupa ed è particolarmente diffuso nelle regioni meridionali, quindi in Sicilia, Calabria, Campania ma anche in Puglia. È un fenomeno sul quale come sindacato non possiamo che tenere alta l'attenzione, denunciando questi fenomeni quando ne veniamo a conoscenza, chiedendo alle autorità competenti (nessun cittadino può attivarsi personalmente per far cessare questo tipo di fenomeni) di stare accanto alle persone minacciate e attivarsi affinché gli autori delle minacce vengano individuati e perseguiti nelle forme previste dalla legge.
  Volendo dare un'occhiata più specifica al fenomeno, dall'ultimo rapporto dell'Osservatorio Ossigeno emerge come il numero dei giornalisti minacciati sia più alto fra i giornalisti della carta stampata, seguiti da quelli della televisione, però il fenomeno cominci a colpire anche colleghi che operano sul web. Si rilevano in maniera più limitata azioni di minaccia perpetrate Pag. 3ai danni di giornalisti autori di libri o pubblicazioni o che lavorano presso case editrici.
  Un'altra azione che riteniamo necessario mettere in atto quando veniamo a conoscenza di questi fenomeni è quella di esprimere solidarietà, che non è una solidarietà solo di facciata, ma serve a far capire all'opinione pubblica che questi colleghi non sono soli e hanno al loro fianco tutta la categoria. La minaccia a uno di loro è una minaccia a ciascuno di noi, è una minaccia alla libertà di espressione, che è uno dei beni costituzionalmente garantiti in questo Paese.
  A questo proposito vorrei però portare alla vostra attenzione un altro fenomeno, un'altra forma di intimidazione che, sia pure meno violenta di quella perpetrata con aggressioni fisiche o con minacce, è altrettanto limitativa e intimidatoria. Mi riferisco al fenomeno purtroppo sempre più diffuso delle querele temerarie. È diventato quasi una moda cercare di colpire o quantomeno di fermare giornalisti e cronisti ritenuti scomodi, preannunciando o avviando azioni di risarcimento danni fondate sul nulla.
  Il solo annuncio di un'azione di questo tipo, in cui spesso viene richiesto un risarcimento danni milionario, quando tale azione viene rivolta nei confronti di giornalisti freelance, che non hanno un editore o non soltanto uno o sono giornalisti precari o sono giornalisti che lavorano per giornali molto piccoli che quindi devono barcamenarsi ogni giorno per essere presenti in edicola, diventa una forma di limitazione della libertà di stampa, perché di fatto si tende a considerare le conseguenze di una certa attività di inchiesta o del semplice racconto di determinati fatti.
  Da questo punto di vista ci permettiamo di sottoporre alla vostra attenzione la necessità che il fenomeno delle querele temerarie venga affrontato seriamente e scoraggiato, approfittando di una proposta di legge attualmente all'esame della Camera in terza lettura, la proposta di legge di riforma della diffamazione.
  Quella potrebbe essere l'occasione per occuparsi di questo fenomeno e per introdurre nel nostro ordinamento un principio più volte sancito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo cui chi si rende colpevole di un'azione temeraria non va soltanto condannato al pagamento delle spese giudiziarie, come avviene oggi, ma va anche condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria proporzionale al risarcimento richiesto.
  Questo sarebbe un deterrente non di poco conto, altrimenti ci ritroveremo sempre di più di fronte a soggetti di vario tipo che, attivando studi legali di un certo rilievo, tentano di fermare inchieste giornalistiche o anche semplici cronisti con l'annuncio o con l'avvio di azioni, che poi a distanza di molti anni (purtroppo in Italia abbiamo anche il problema che la giustizia ha tempi molto più lunghi rispetto al resto d'Europa) vengono definite completamente infondate e quindi temerarie. Questo fenomeno andrebbe fortemente scoraggiato anche con una norma ad hoc da inserire nel nostro ordinamento. Mi fermo qui per il momento.

  PRESIDENTE. Il dottor Della Volpe vuole aggiungere qualcosa ?

  SANTO DELLA VOLPE, presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana). Aggiungo brevemente alcuni dati e alcune riflessioni. Gli ultimi dati che vengono riportati da Reporters sans frontières, la famosa classifica sulla posizione dell'Italia nel mondo per la libertà di stampa che ci ha fatto scendere al settantatreesimo posto, cita quarantatre casi di aggressione fisica e sette casi di incendi di abitazioni e vetture solo nei primi dieci mesi dell'anno 2014, arrivando a sommare a questi casi preoccupanti 129 cause di diffamazione ingiustificate contro giornalisti e cronisti nei primi dieci mesi del 2014, mentre nel 2013 il dato si era fermato a ottantaquattro. Questo significa che in un anno siamo passati da 84 a 129, con un incremento molto forte di quelle che chiamiamo querele temerarie.
  Questo però è soltanto un dato parziale, perché nell'intero 2014 (i dati sono Pag. 4di pochi giorni fa) sono state conteggiate 421 minacce ai giornalisti, con un aumento del dieci per cento rispetto al 2013. Queste sono fatte nella maniera più classica e purtroppo sono avvenute non soltanto nelle regioni citate dal segretario, ma anche in regioni del nord quali Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia. Si tratta di forme di minacce particolari perché si minacciano i giornalisti quando i giornalisti con i loro articoli rompono degli equilibri che sono consolidati o che si vogliono tenere consolidati nel campo affaristico e anche nel campo della pseudo-cultura mafiosa.
  L'esempio classico è quello del collega Michele Albanese del Quotidiano del sud, che è costretto a vivere con la scorta e con delle limitazioni molto forti alla propria libertà perché ha parlato dell'ormai celebre inchino al boss di Oppido Mamertina durante la processione.
  Nel momento in cui si è resa nota quella circostanza, il collega è immediatamente entrato nel mirino delle cosche mafiose, perché non si doveva dire, non si doveva sapere. È stato dirompente il fatto che si siano viste quelle immagini, si sia saputo e ci sia stato di conseguenza l'intervento del vescovo. La colpa è del giornalista perché ha fatto vedere le cose: questa è la mentalità.
  Questo avviene in moltissimi altri casi, questo è uno dei casi tipici ma c’è anche il caso del collega Pino Maniaci, a cui hanno recentemente (è una cosa truce, che fatico anche a dire) impiccato i cani, dopo avergli bruciato la macchina, perché pubblica notizie che vanno a toccare consolidati rapporti affaristici.
  Da questo punto di vista emerge come non ci sia soltanto più quella che veniva considerata la mafia o le mafie tradizionali, ma stiano affermandosi mafie accompagnate da colletti bianchi, da personaggi del mondo dell'imprenditoria, che usano questo tipo di minacce arcaiche per non far apparire sui giornali forti pressioni economiche, laddove pressioni economiche vuol dire parlare di appalti, di lavori dentro piccoli e grandi comuni, di ambiti nei quali i soldi hanno un'importanza fondamentale.
  C’è poi un'altra questione ancora più grave: un'abile manovra da parte di un combinato disposto tra tradizione e nuovi colletti bianchi che porta a fare intimidazioni nei confronti di giornalisti. Cito qui il caso del giornalista Borrometi, che lavora come corrispondente dell'AGI da un paese, Modica, che è famoso per ben altre cose...

  PRESIDENTE. È a Roma ora ?

  SANTO DELLA VOLPE, presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana). Sì. Borrometi è direttore di un giornale on line e vive sotto scorta perché ha fatto alcuni approfondimenti sulle corse clandestine di cavalli. C’è un giro enorme di soldi intorno, sono questioni illegali che non si dovevano sapere perché erano attività di cosa nostra.
  Il fatto che il giornalista sia stato minacciato e che la cosa sia stata pubblicata dagli organi di stampa viene utilizzato subdolamente per una sorta di autoproclamazione di potere da parte della mafia stessa: tu puoi parlare, io ti denuncio, lo facciamo apparire anche sui giornali perché non può essere segreto, la collettività deve stringersi intorno al giornalista, ma questo nel linguaggio mafioso diventa anche una forma di rappresentazione del proprio potere di intimidire.
  Queste vicende ormai sono talmente diffuse che noi ne riceviamo notizia non dico giornalmente ma almeno settimanalmente, come la polvere da sparo nella busta che arriva al collega giornalista Di Girolamo e contemporaneamente al sostituto procuratore e alla Guardia di finanza che hanno fatto l'inchiesta per dire «salterete tutti per aria».
  Gli episodi sono tanti e colpisce notare una sorta di assuefazione da parte del mondo politico e dell'opinione pubblica sul fatto che queste cose accadano. Come Federazione della stampa continuiamo a evidenziare che non solo dobbiamo creare solidarietà e non isolare mai questi giornalisti Pag. 5anche se lavorano in una piccola radio, ma che c’è bisogno di creare una solidarietà politica e giornalistica che influenzi l'opinione pubblica per sottolineare quale sia la parte giusta e quale la parte sbagliata.
  Chiudo con la vicenda delle querele temerarie, su cui abbiamo preoccupazioni perché, come diceva già il segretario poc'anzi, le querele temerarie e anche le querele che vengono minacciate per i giornalisti vengono utilizzate come spada di Damocle costante per intimidire ma soprattutto per limitare quell'autonomia del giornalismo che, come ci ha autorevolmente ricordato il Presidente della Repubblica Mattarella nell'insediamento davanti alle Camere riunite, è fondamento della libertà di informazione e dell'applicazione della Costituzione.
  Se non sono libero di scrivere e di dare notizia di un fatto perché temo una querela da 200.000 euro che mi può mettere sotto sequestro la casa lasciando moglie e figli per strada, è evidente che l'autonomia professionale viene colpita. Questo è un dato di fatto dell'ultimo periodo. Il richiamo autorevolmente giunto dalla Commissione antimafia che abbiamo letto sui giornali ci ha fatto piacere perché riguarda anche la nostra categoria.
  La nostra categoria si deve mobilitare come giornalisti e noi quindi lo facciamo come sindacato perché questi colleghi non siano isolati. Noi offriamo alle persone che non hanno il giornale alle spalle la tutela gratuita dal punto di vista legale, perché questo serve per dire che possono scrivere perché comunque abbiamo i migliori avvocati d'Italia che li possono coprire in sede giudiziaria. Lo facciamo con lo sportello antiquerele che è intitolato al compianto Roberto Morrione perché fu una delle sue prime idee.
  La cosa che abbiamo cercato di far arrivare alla discussione parlamentare è che la deterrenza nei confronti delle querele temerarie insieme al complesso sistema di norme che tutelano i cittadini e i giornalisti stessi dalle macchine del fango, che arrivano purtroppo anche sui giornali, e dalle minacce che arrivano attraverso questi sistemi, devono essere inserite all'interno della legge di riforma n. 47 del 1948.
  Questa legge non può continuare ad andare avanti e indietro tra Camera e Senato, e siamo già alla terza lettura. Noi vorremmo che si arrivasse a una definizione più in fretta possibile alla Camera perché poi al Senato venga definitivamente approvata con queste garanzie senza (mi permetto questa ultima annotazione tratta dai giornali di oggi) che eventuali altre forme come quella sulle intercettazioni ne possano limitare o bloccare l'approvazione, andando in un dibattito che va al di là della riforma della legge n. 47 del 1948. Grazie per questo spazio.

  PRESIDENTE. Grazie a loro. Do la parola al vicepresidente Fava che ha coordinato il Comitato sul rapporto tra mafia e comunicazione.

  CLAUDIO FAVA. Grazie, presidente, grazie ai nostri auditi. Oggi è la nostra ultima audizione, chiudiamo un ciclo di incontri che per noi è stato prezioso perché ci ha portato a raccogliere non solo testimonianze ma anche valutazioni, suggerimenti e punti di vista su come intervenire sul piano normativo.
  Il tema delle querele temerarie è stato sollevato da tanti e in tante occasioni, è un tema all'ordine del giorno, sebbene sia un ordine del giorno virtuale in questo momento, della Commissione giustizia. Una parte delle preoccupazioni espresse da voi e da altri sono sicuramente recepite nel testo in esame in Commissione, un'altra parte si trova nel contesto degli emendamenti e cercheremo di capire come arricchire il testo e renderlo utile alle urgenze, alle necessità e alle preoccupazioni non solo vostre.
  Proprio partendo da questo tema delle querele anche non temerarie, come veniva ricordato, ci piacerebbe avere anche dei dati sullo sportello antiquerele, su quanto e come abbia funzionato, che esperienza abbiate raccolto.
  Ci siamo chiesti in queste audizioni e chiediamo alla Federazione nazionale Pag. 6della stampa se non ci siano dei margini contrattuali (penso al contratto nazionale di lavoro) per prevedere una tutela legale che non sia necessariamente affidata alla generosità e alla lungimiranza di uno sportello messo a disposizione dalla federazione, ma sia dentro i patti di lavoro.
  Chi è assunto da un giornale avrebbe quindi diritto a una tutela legale anche di fronte a una querela non temeraria, e in ogni caso alla solidarietà del suo editore che poi non si rivalga in solido su di lui, come sta per accadere a una giornalista campana, ma si assuma per intero e definitivamente le spese legali e le eventuali conseguenze.
  Anche nell'ipotesi di normare le querele temerarie, bisogna comunque aspettare una sentenza di fronte a una quantità di spese legali che incidono sul giornalista che sia costretto a farvi fronte soprattutto in processi importanti dove il querelante è una multinazionale, un ente parastatale, una struttura organizzata che è in condizione di investire in quel processo molti denari.
  Vi chiedo quindi se sia possibile immaginare che questo tema entri nel contratto nazionale di lavoro, entri in una discussione con la Federazione degli editori, perché diventi non una episodicità, ma uno degli elementi caratterizzanti, al di là del fatto che le querele temerarie diventino norma di legge.
  I precari, i freelance che lavorano senza contratto o con figure contrattuali atipiche e con stipendi miserabili (pochi euro a pezzo) anche per questa ragione, lavorando in periferia, sono un bersaglio facile, possono essere intimiditi in molte forme, laddove una violenza o una intimidazione nei confronti di un corrispondente di provincia ha un effetto moltiplicato, è stata definita «la minaccia della fame» da alcuni nostri auditi.
  Ci sono strumenti per tutelare questa area di precarietà, soprattutto quando la precarietà diventa un fattore ulteriore di rischio ? Anche in questo caso non sul piano della episodicità e della generalità, ma anche con un intervento normativo sul contratto. Vi abbiamo chiesto questa audizione per capire se ci siano punti di merito specifico sui quali si è in condizione di intervenire, non soltanto la nostra e la vostra solidarietà, il fatto che si è vicini a queste storie e a queste persone, ma come si può intervenire sul piano della norma, del comportamento, della certezza del diritto e anche della qualità operativa della solidarietà ?
  Terzo punto: proprietà. In questo Comitato ci stiamo occupando anche delle zone più opache della stampa, di quei mezzi di informazione o quelle esperienze più reticenti, meno disposte a fare fino in fondo il loro mestiere e che a volte hanno anche avuto in alcune situazioni di periferia funzioni di autentico collegamento operativo tra situazioni criminali e il mondo dell'informazione. Pensiamo ad alcune radio e ad alcune riviste della Calabria o della Campania che hanno costretto la magistratura a intervenire in punta di Codice penale.
  Quali sono gli strumenti che oggi possiede la Federazione nazionale della stampa per monitorare gli assetti reali delle proprietà, non coloro che figurano nei consigli di amministrazione ? Se questi strumenti non ci sono o non sono sufficienti, ci sono dei suggerimenti o ipotesi di lavoro che voi volete offrirci per arrivare a un monitoraggio effettivo di chi rappresenta la proprietà reale, non quella fittizia presunta o di firma ?
  Ultimo punto. Il lavoro di vigilanza sulla professione, sugli iscritti e quindi anche sulla deontologia del mestiere che naturalmente appartiene all'ordine dei giornalisti, ma che credo come unico sindacato sia dentro le vostre urgenze, le vostre necessità. Ne abbiamo parlato con il presidente nazionale dell'ordine, ne abbiamo parlato con i presidenti regionali dell'ordine, il quadro è desolante, fino a qualche tempo fa gli ordini intervenivano anche sul piano disciplinare, quindi scegliendo di andare a fondo in alcuni casi di giornalismo consociativo, di violazioni macroscopiche della deontologia professionale; adesso tutto è rimesso alle mani dei consigli Pag. 7di disciplina, che non funzionano sul piano tecnico, in alcuni casi non sono stati nemmeno istituiti.
  Qui c’è stato detto allargando le braccia che è una legge strampalata e in ogni caso dietro non c’è una grande volontà di assumere la funzione che l'ordine ha volentieri delegato a questi consigli, e il fatto che i consigli non la esercitino significa che nessuno la esercita. Abbiamo quindi casi significativi passati all'esame dell'autorità giudiziaria, che soltanto marginalmente vengono sfiorati dall'ordine dei giornalisti. La Federazione della stampa su questo ha strumenti e, se non li ha, ritiene di doversi attrezzare ?
  Parlo di un settore sul quale la vostra competenza non è una competenza primaria, ma di fronte alle esperienze di cronaca di questi anni, di fronte a vicende giudiziarie e vicende professionali che determinano anche aree di rischio ulteriore, perché per un giornalista che tace c’è uno che scrive e che rischia di più (penso a quello che è accaduto in Calabria, a quello che accade in Sicilia, a molte regioni in cui il livello di rischio di molti colleghi è legato anche al fatto che c’è una informazione a tratti marmorizzata), la Federazione pensa di avere strumenti o pensa di doversi dare altri strumenti per poter intervenire ?

  PRESIDENTE. Se posso, vorrei porvi alcune domande. Vi siete già espressi nell'auspicare l'approvazione del progetto di legge all'esame delle Camere che vi riguarda in maniera particolare sul tema della diffamazione anche sulle querele, nel caso in cui decidessimo di accogliere la vostra richiesta, ma vorrei chiedervi un giudizio complessivo su questo atto legislativo.
  Vorrei riprendere l'ultimo tema trattato dal vicepresidente Fava perché, se è vero che ci sono giornalisti minacciati, è anche vero che ci sono situazioni in cui la poca chiarezza della proprietà si tramuta in un'acquiescenza da parte dei giornalisti che lavorano in quelle testate, e in alcune circostanze c’è anche un atteggiamento attivo degli stessi giornalisti nei confronti di una eventuale collaborazione con il ricatto mafioso.
  Penso a una regione particolarmente esposta a questo rischio, la Calabria, non solo perché è terra con una forte presenza della mafia forse più potente in questo momento, ma anche perché in quella regione non esiste una testata nazionale, tutta l'informazione è legata a proprietà locali e come tali più facilmente condizionabili o a loro volta condizionanti. Vorrei sapere se abbiate degli strumenti e che tipo di conoscenze abbiate in proposito.
  Anche la minaccia può essere usata come copertura di atteggiamenti poco chiari, una sorta di minaccia temeraria come la querela. Anche per noi a volte diventa complicato esprimere solidarietà, perché in contesti particolarmente complessi le questioni si intrecciano tra loro. Anche in questo senso potremmo darci una mano. Grazie.

  RAFFAELE LORUSSO, segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana). Lascerei questa ultima parte al presidente che la conosce molto bene e mi concentrerei sulle altre questioni, soprattutto quelle sollevate dall'onorevole Fava.
  È possibile imporre per contratto agli editori di farsi carico delle spese legali giudiziarie dei giornalisti ? Il tema della codificazione di questa regola fa parte dei tavoli contrattuali da tempo ormai memorabile. Io le posso dire quello che avviene nella stragrande maggioranza dei casi: tutti gli editori, almeno quelli più strutturati dell'area FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) si fanno carico delle spese anche per giornalisti non dipendenti. Mi riferisco a collaboratori e anche in qualche caso a freelance o titolari di altre forme di rapporto di collaborazione. Le case editrici più serie di questo Paese si fanno quindi carico di questo.
  Il problema riguarda molti editori più piccoli, non strutturati. Qualcuno in passato ha anche tentato di rivalersi sui propri giornalisti, quando ci sono state delle condanne a risarcimenti danni.

  CLAUDIO FAVA. Anche nel presente.

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  RAFFAELE LORUSSO, segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana). Sì, lei si riferiva al caso di Napoli, ma non è un caso isolato. Purtroppo però non si riesce a codificarlo, è un tema del tavolo contrattuale ma non si riesce a codificarlo anche perché poi i contratti bisogna scriverli e firmarli almeno in due, però il problema esiste.
  Il problema della proprietà dei giornali o delle testate giornalistiche. Abbiamo una norma costituzionale che da questo punto di vista è fortemente e giustamente garantista, perché afferma la libertà di stampa, per cui chiunque, una volta soddisfatti i requisiti di pubblicità imposti dalla legge, può pubblicare un giornale, una rivista, mandare in onda un radiogiornale o un telegiornale.
  È chiaro che questi requisiti di pubblicità devono poi intrecciarsi con le altre leggi del nostro ordinamento, a cominciare dalle leggi antiriciclaggio. Su questo auspichiamo sempre che sia costante l'attività delle autorità competenti, perché da questo punto di vista possiamo soltanto denunciare dei fenomeni. Personalmente ho assistito in un passato anche molto recente a un proliferare non soltanto al sud, ma in tutta Italia di attività editoriali in settori fortemente sostenuti dallo Stato.
  Mi riferisco all'emittenza radiotelevisiva locale, mi riferisco ai giornali cosiddetti non profit o in cooperativa, laddove lo Stato fino a pochissimo tempo fa dava contributi a pioggia a tutti a prescindere, contribuendo dal mio punto di vista a creare autentici mostri, perché in molti casi avevamo a che fare con realtà che erano tutto fuorché imprese, perché in questo modo si è creata in molti la illusione che si potesse fare impresa con i soldi dello Stato.
  Noi abbiamo registrato dei danni, che poi abbiamo anche pagato come istituto previdenziale, creati da questi pseudo-imprenditori che hanno messo su delle pseudo-imprese e hanno illuso molte persone alle quali non hanno dato alcuna forma di inquadramento né contrattuale, né previdenziale. Fortunatamente poi c’è stata un'azione correttiva molto decisa da parte del Governo, quindi questo fenomeno è destinato ad esaurirsi.
  Oggi, in Italia abbiamo poco meno di 600 emittenti radiotelevisive locali, a fronte delle quaranta della Germania o delle trenta dell'Inghilterra e della Francia, e non mi pare che in Inghilterra, in Francia e in Germania ci siano problemi di pluralismo. Il pluralismo non è un problema di quantità: il pluralismo è un problema di qualità dell'informazione.
  Questo è un punto sul quale, oltre che attenti, siamo inflessibili, per cui quando ci viene posto il problema dei collegi di disciplina che non funzionano, della legge n. 69 del 1963, stiamo parlando di una legge che scrissero Moro e Gonella in tempi che però erano completamente diversi da quelli che stiamo vivendo. Quando introdussero l'elenco dei giornalisti pubblicisti il loro modello era Benedetto Croce. Oggi quel tipo di rapporto si è completamente rovesciato. C’è un problema deontologico serio che riguarda tutta la categoria.
  Personalmente mi sono insediato a fine gennaio e uno dei miei passaggi congressuali è stato quello che noi facciamo bene a fare le battaglie per i diritti, però dovremmo ricordarci che abbiamo anche molti doveri. Questo Paese non si salverà, se non nascerà un nuovo senso del dovere, e anche noi come categoria abbiamo molti doveri.
  Questi doveri vengono spesso dimenticati, spesso non vengono perseguite le violazioni dei codici deontologici, non mi vergogno a dirlo, anzi personalmente sono molto attratto dalla cultura anglosassone dove ci sono meno regole scritte, però ci sono delle prassi di comportamento chiare. In Inghilterra o in America il giornalista o un altro professionista che sbaglia, se commette un errore grave, deve cambiare mestiere. In Italia questo non funziona.

  CLAUDIO FAVA. Qui cambia l'ordine dei giornalisti.

  RAFFAELE LORUSSO, segretario nazionale della FNSI (Federazione Nazionale Pag. 9della Stampa Italiana). Qui può cambiare l'ordine. Il problema è questo, non è soltanto un problema nostro, perché il problema è italiano: le magistrature professionali in questo Paese non funzionano, ce lo possiamo dire senza tema di smentita. Certo, il problema della legge professionale andrà affrontato e anche in fretta, perché, fermi restando i princìpi basilari di quella legge che nessuno qui vuole mettere in discussione, perché tra l'altro era stata scritta da due persone che possiamo considerare padri della patria, è chiaro che i tempi cambiano e quindi quella legge va sicuramente aggiornata e posta al passo con i tempi.
  Ci viene chiesto un giudizio sulla proposta di legge in esame alle Camere. Come ho detto l'altro giorno a Milano, così com’è quella proposta di legge mi sembra un cavallo di Troia, perché si parte da un'esigenza assolutamente condivisibile, quella di cancellare il carcere per i giornalisti colpevoli del reato di diffamazione a mezzo stampa, però si parte dalla cancellazione del carcere per tentare di introdurre una serie di altre misure che messe insieme vanno a configurare una nuova forma di bavaglio.
  Mi riferisco al tentativo di introdurre un obbligo di rettifica senza alcuna possibilità di replica, per cui la rettifica andrebbe pubblicata senza titolo, senza commento e senza tagli. Dovremmo quindi trasformare i giornali in una sorta di bollettini rettificati, indipendentemente dalla veridicità dei fatti, dovremmo fare un allegato con i rettificati.
  Poi c’è una norma singolare che imporrebbe al direttore responsabile di pubblicare la rettifica chiesta dal giornalista a sua volta rettificato. Ove il direttore ritenesse che una rettifica non andasse pubblicata, se il giornalista teme di finire in tribunale perché non viene pubblicata quella notizia, allora è il giornalista che può obbligare il direttore a pubblicare la rettifica: mi sembra molto complicato, oltre a non stare in piedi giuridicamente.
  Andrebbe costruita meglio la norma sul diritto all'oblio, che è un tema, ma non può essere affrontato così come lo si vuole affrontare, perché significherebbe non distruggere gli archivi, ma in molti casi non poter esercitare il diritto di cronaca.
  Ci preoccupa molto inoltre questo tentativo (pare sia un'indiscrezione, ma a volte si dice che ci sia qualcosa di più concreto) di approfittare di questa riforma per regolamentare diversamente le intercettazioni. Anche su questo voglio essere chiaro: esiste un problema di tutela dei cittadini ? Sicuramente sì. Sono i giornalisti che si oppongono o che tentano di impedire che i cittadini vengano tutelati ? Sicuramente no.
  Cosa voglio dire ? Noi ci siamo fatti portatori di una proposta che risolverebbe anche molti problemi, da un punto di vista delle azioni disciplinari per l'informazione. Tra l'altro, è previsto nella proposta di legge di riforma dell'ordine dei giornalisti, che ha come primo firmatario l'onorevole Pisicchio. Quella cosa non è stata presa in alcun modo in considerazione.
  In passato siamo stati portatori della necessità di un'udienza filtro, che ci consentirebbe di dire cosa ha rilevanza anche ai fini dell'opinione pubblica, e cosa invece è mero gossip e quindi deve finire nel cestino. Vorrei approfittare della vostra pazienza per ribadire un principio che ci viene spesso ricordato dalle sentenze della CEDU, che non riguardano soltanto l'Italia, perché questo è un problema mondiale, tutti i Paesi europei finiscono per incappare nelle maglie della Corte europea dei diritti dell'uomo, principio secondo cui non si può pensare di risolvere un problema come quello appunto della tutela della privacy dei cittadini sanzionando i giornalisti che danno le notizie.
  Il problema non è il giornalista che dà la notizia perché vi intravede un interesse generale, che poi magari il giudice non ravviserà, decidendo che venga sanzionato dal punto di vista disciplinare: il problema riguarda chi dovrebbe custodire quei «segreti».
  Se ricevo una notizia, come ho sempre detto e ho fatto, anche se è coperta da segreto, la pubblico. Se quella notizia per me ha una rilevanza pubblica, la pubblico, e il segreto istruttorio non è una cosa che Pag. 10riguarda me, ma riguarda un'altra categoria. Sono i titolari dei segreti che dovrebbero essere custodi di quello che dovrebbe rimanere segreto, non si può sanzionare il giornalista che adempie al proprio dovere di informare l'opinione pubblica, perché non dimentichiamoci che abbiamo il dovere di informarla in quanto un'opinione pubblica informata è essenziale per qualsiasi democrazia, e l'Italia è una democrazia matura, quindi più la gente conosce, più riesce a partecipare. Voglio richiamare quello che diceva Luigi Einaudi: conoscere per deliberare. Grazie.

  SANTO DELLA VOLPE, presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana). Per integrare il discorso del segretario, rispondendo anche alle vostre gentili domande, per quanto riguarda lo sportello abbiamo stilato un report all'inizio dell'anno, che sarà nostra cura mandarvi integralmente, in modo da poterlo mettere a disposizione di tutti i commissari della Commissione antimafia perché vediate come abbiamo lavorato e come intendiamo continuare a lavorare.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Fava rispetto all'inserimento nel contratto del tema della responsabilità, c’è il problema della manleva. Oggi abbiamo un problema molto importante e molto forte: dentro i contratti fra i giornalisti assunti, anche con l'articolo 1, e i direttori, questo tema non è stato affrontato (l'ha spiegato bene il segretario) per volontà degli editori, e sempre di meno è inserito, anche per quanto riguarda i direttori dei giornali.
  Noi avevamo prima dei contratti dove la manleva, cioè la possibilità che l'editore si facesse carico di tutte le querele che arrivavano per gli articoli pubblicati da un direttore, era inserito all'interno della forma contrattuale. Oggi non è più inserito e viene tolto anche dai contratti per i direttori. Ancor di più per quanto riguarda i giornalisti, soprattutto gli inviati, e soprattutto quelli che fanno le inchieste, la manleva era considerata una prassi, non era normata.
  Noi siamo di fronte in questi giorni a un caso esemplare di vuoto normativo che riguarda noi come categoria, che riguarda il contratto, ma che riguarda anche la legge, il caso dei giornalisti de L'Unità, che, in mancanza della proprietà che è in liquidazione, sono lasciati a se stessi.
  Coloro che hanno fatto le querele per diffamazione, che sono purtroppo tanti, si sono rivalsi sui giornalisti anche della quota che sarebbe di competenza dell'editore, con il risultato che abbiamo colleghi giornalisti che hanno dai 20, 30 ai 380 mila euro di risarcimenti arrivati già all'esecuzione, perché nella causa civile, anche dopo la prima sentenza, si avvia direttamente l'esecuzione. Una di queste persone che non cito per motivi di riservatezza ha addirittura la casa pignorata, che potrebbe andare all'asta nel giro dei prossimi mesi.
  Questo perché la norma stabilisce che l'editore che ha avuto comunque un vantaggio dalla pubblicazione di quella notizia in termini di vendita di copie e di prestigio del giornale non ha più la responsabilità in caso di fallimento o di liquidazione dell'azione giudiziaria successiva, quindi tutto resta a carico dei giornalisti. Questo è un vuoto che va colmato, abbiamo interessato anche organi istituzionali più importanti di noi a livello ministeriale perché possa essere colmato eventualmente anche all'interno di un «comma bis», da inserire nella legge sulla diffamazione attualmente in discussione.
  Il problema resta. Sarebbe importante che la norma venisse inserita nella legge sulla diffamazione, perché potrebbe anche essere un precedente per quanto riguarda i giornalisti e con quella norma potremmo fare un'operazione perché questo sia anche scritto nel contratto.
  Anche sul disegno di legge nella diffamazione abbiamo una nota che, se volete, possiamo mandarvi con tutte le nostre osservazioni, con tutte quelle che abbiamo mandato anche alle persone che dalla Commissione giustizia ce le hanno chiesto, durante un'audizione.Pag. 11
  Ci sono alcuni aspetti molto importanti: pensate quanto potrebbe essere importante la questione della rettifica per quanto riguarda il lavoro che voi state facendo in Commissione antimafia. Se infatti un mafioso, attraverso il suo avvocato, a causa di una piccola imprecisione sulla notizia decide di scrivere tre pagine nelle quali lui ribadisce il suo concetto di vita, di fare affari, di violenza, tutto quello che vuole, secondo la legge attualmente in discussione, noi saremmo obbligati a pubblicarlo, senza poter intervenire con un taglio.

  PRESIDENTE. Non sarebbe una rettifica.

  SANTO DELLA VOLPE, presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana). Sì, però, non c’è un limite all'interno della legge, non c’è scritto se la rettifica debba essere di venti o trenta righe. C’è scritto che la rettifica deve essere pubblicata integralmente, cosa che è veramente una follia.
  Noi abbiamo apprezzato della legge un punto in particolare, il fatto che non ci sia il carcere per i giornalisti, cosa che ci ha chiesto anche l'Europa. Che però dal carcere si arrivi a multe molto alte...

  PRESIDENTE. Il carcere non si fa, ma la multa si paga !

  SANTO DELLA VOLPE, presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana). Certo, però 50-60 mila euro di multa potrebbe essere tanto. Io so che ci sono degli emendamenti, anche noi li abbiamo suggeriti, che prevedono la multa, però proporzionata ai limiti dello stipendio dei giornalisti, che, checché se ne dica, non è alto. Non è un grande stipendio soprattutto per i giovani.
  Altra cosa sono i tempi. Questo è importantissimo: noi riceviamo (è un caso anche personale, ma non ne voglio fare un caso personale) richieste di risarcimento danni per articoli scritti otto, nove anni fa, quando non si può neanche più trovare dove siano andati, soprattutto nei siti Internet. Portare il periodo in cui si può fare querela da dieci a due, tre anni sarebbe importante, almeno uno sa a cosa va incontro.
  Il ruolo dei direttori è molto importante. Noi abbiamo compreso fin dall'inizio che oggi i direttori che hanno siti Internet non possono sapere tutto quello che viene messo oggi sui giornali e sui siti Internet sotto la propria responsabilità. La proposta di delegare a un giornalista assunto ad hoc la responsabilità di tutti i risarcimenti danni di tutte le querele che arrivassero ci sembrava un po’ negativa, perché significava fare scarico di responsabilità della direzione, un isolamento di un collega assunto solo per quello, il quale si faceva carico di tutto, un uomo di paglia, cosa che non poteva andare.
  Abbiamo detto e ripetuto che il diritto all'oblio e la questione delle intercettazioni vanno studiate in apposite leggi. Peraltro ricordo che la Presidenza del Consiglio aveva detto che ci sarebbero state audizioni con i direttori dei giornali, con i sindacati e con l'ordine dei giornalisti sulla questione delle intercettazioni, e aspettiamo di farle per poter dire tutto questo.
  Riguardo alle sue domande, presidente, che io ho apprezzato moltissimo, per quanto riguarda i giornalisti acquiescenti, come li ha definiti lei, facciamo, sia come Federazione della stampa, sia come giornalisti (qui cito Libera Informazione) che si occupano di questo insieme alle associazioni, una campagna costante e quotidiana, perché l'acquiescenza significa da un lato isolare quelli che vogliono fare il proprio mestiere, i giornalisti-giornalisti, seguendo un film famoso dedicato a un collega ucciso dalla camorra, sia non solo venir meno al proprio compito di guardiani della democrazia, ma venir meno a quel ruolo collettivo sociale, nel quale in una piccola realtà è importante che il giornalista sia uno dei perni.
  Se in un piccolo paese si è acquiescenti, quando si va a prendere il caffè al bar e si incontra il boss mafioso (cosa che succede molto facilmente in alcune zone del nostro Paese, in provincia di Milano come in provincia di Catanzaro), si può vedere il boss Pag. 12mafioso fargli l'occhiolino, e quando un boss mafioso fa l'occhiolino a un giornalista vuol dire che il giornalista ha «dimenticato» di pubblicare certe notizie.
  Questo lo ripetiamo in tutti gli incontri e soprattutto in quelle forme di dibattito con i crediti formativi dell'ordine che stiamo utilizzando per fare questo tipo di discussione e di aiuto collettivo come Federazione della stampa. I crediti formativi sono importanti per questo. In Calabria (è notizia di poche ore fa) è stato nuovamente rinviato a settembre il processo per l'induzione al suicidio del collega di Calabria Ora che si era suicidato dopo la minaccia del direttore della proprietà di demansionamento. È successo da un anno, la famiglia è coinvolta in maniera molto pesante da questo suicidio, questo processo doveva cominciare due mesi fa, poi doveva cominciare questa mattina, è stato rinviato a settembre di nuovo, a Cosenza, perché c’è il trasferimento di un magistrato.
  Si tratta di cose legittime, ma in queste situazioni noi abbiamo da un lato i giornalisti che vogliono fare il proprio lavoro, dall'altro quelli che hanno quella acquiescenza, dall'altro uno dei cardini, come può essere la magistratura, di questo consesso sociale che si deve rivoltare contro la mafia, che con questo tipo di operazione allontana dal concetto di giustizia e verità una delle richieste più importanti che fanno i giornalisti stessi. Gli strumenti per la conoscenza ce li mettiamo tutti, vorremmo cooperare con il resto delle istituzioni proprio perché questo deve essere un impegno di tutti.
  Infine, le questioni poco chiare. È difficile soprattutto in Calabria, ma l'ho notato in provincia di Reggio Emilia: il fatto che delle persone in puro dialetto rispondono a bravissimi colleghi giornalisti giovani, tra l'altro senza contratto, che sono andati lì per fare un'inchiesta, i ragazzi di Cortocircuito che in fondo portano un lavoro, incontrarli non è male, dimostra che qui c’è un consesso sociale nel quale noi siamo immersi, nel quale a volte è difficile riuscire a capire quali sono i limiti della legalità e della mancanza di coscienza civile.
  In questo noi siamo impegnati proprio per dare la possibilità ai giornalisti di comprendere fino in fondo i fenomeni, facendo le domande giuste alle persone che devono essere intervistate e incalzate, dall'altra parte ai giornalisti per poter scegliere fra il grano e il loglio, cioè capire quali sono le forme sulle quali intervenire comprendendo la realtà sociale, intervenire in favore di un giornalista minacciato veramente e non di un giornalista che non è davvero minacciato ma usa le minacce per potersene fare non solo vanto ma carriera professionale.
  Questo è il nostro impegno quotidiano come segretario e presidente dell'associazione della stampa in quanto garanti di questo nostro ruolo costituzionalmente sancito.

  PRESIDENTE. Ringraziamo per la disponibilità che avete manifestato e, anche se siamo a conclusione di un lavoro, magari ci saranno altre occasioni per confrontare alcune informazioni, per aiutarci a stabilire la verità dei fatti.
  Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.