XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 41 di Giovedì 19 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome sui profili finanziari dell'attuazione della legge n.56 del 7 aprile 2014, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Garavaglia Massimo , Assessore della regione Lombardia, coordinatore della commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 2 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 4 
Bugli Vittorio , Assessore al bilancio della regione Toscana ... 4 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 7 
Fornaro Federico  ... 7 
Zanoni Magda Angela  ... 8 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 9 
Zanoni Magda Angela  ... 9 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 9 
Broglia Claudio  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Garavaglia Massimo , Assessore della regione Lombardia, coordinatore della commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 10 
Bugli Vittorio , Assessore al bilancio della regione Toscana ... 11 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 

ALLEGATO 1: Sui profili finanziari relativi all'attuazione della legge ... 13 

ALLEGATO 2: Simulazione degli effetti della legge di stabilità sulle province lombarde nel ... 16

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome sui profili finanziari dell'attuazione della legge n. 56 del 7 aprile 2014, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome sui profili finanziari dell'attuazione della legge n. 56 del 7 aprile 2014, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni.
  Sono presenti Massimo Garavaglia, coordinatore della commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore della regione Lombardia, e Vittorio Bugli, assessore della regione Toscana. Gli assessori sono accompagnati da Antonello Turturiello e Roberto Nepomuceno, dirigenti della regione Lombardia, nonché da Paolo Alessandrini, Alessia Grillo e Stefano Mirabelli, della segreteria della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della loro relazione.

  MASSIMO GARAVAGLIA, Assessore della regione Lombardia, coordinatore della commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Buongiorno a tutti. Per l'economia dei nostri lavori, nell'esposizione mi atterrò alla scaletta che troverete nella documentazione che ho consegnato alla Commissione commentandone i punti principali, in modo da porre l'attenzione sugli aspetti sostanziali relativi ai profili finanziari derivanti dall'attuazione della legge n. 56 del 2014. Trascurerò, invece, gli aspetti normativi che sono noti a tutti i presenti.
  Passo subito al punto tre della scaletta, che è la questione chiave. Nell'attribuire le funzioni alle province (le chiamo ancora così per semplicità), bisognerebbe tener conto delle risorse, in misura tale da garantire l'esercizio delle funzioni attribuite, in aggiunta a quelle fondamentali stabilite per legge.
  Su questo sono stati fatti degli osservatori a livello regionale e si sta procedendo nell'analisi di quanto costa svolgere queste funzioni. Questo è il punto chiave.
  Nel tempo, rispetto a quando erano state attribuite le funzioni, normalmente le province si sono attrezzate in maniera autonoma. Essendo cambiato il mondo, oggi ci troviamo con funzioni che hanno, per esempio, più personale rispetto a quando erano state delegate. Pertanto, la spesa storica attuale non è corrispondente al costo standard dell'esercizio di quella funzione. Questo ovviamente comporta degli attriti nella discussione nell'ambito degli osservatori.
  A questo si somma la questione della legge di stabilità. Come è noto, agli enti Pag. 3provincia sono stati tagliati un miliardo quest'anno, 2 miliardi l'anno venturo e 3 miliardi l'anno dopo.
  Prendiamo, ad esempio, la regione Lombardia: per le province lombarde il taglio della legge di stabilità equivale a un valore di 200 milioni quest'anno, di 300 l'anno venturo e di 400 l'anno dopo. Da tali dati emerge il problema degli effetti di questa norma e del sostanziale fallimento della riforma.
  Noi pagavamo per le funzioni attribuite 214 milioni di euro. Nel fare tutti i nostri ragionamenti, arriveremmo a darne 205, ovvero 9 milioni in meno rispetto al dato storico, tenendo conto che lo storico, come dicevamo poc'anzi, è stato nel tempo aumentato per questioni autonome. C'erano risorse e si è preso personale per il turismo o per un'altra funzione.
  Il problema non sono, quindi, i 9 milioni in meno teorici della regione Lombardia – peraltro, non è neanche detto come si chiuderà – ma sono i 200 che mancano dall'altra parte e che non consentono all'ente di stare in piedi. Avere 200 milioni in meno di fatto porta gli enti al dissesto. Ciò sarà conclamato con 300 milioni in meno e assolutamente inevitabile con 400 milioni in meno.
  Questo è il tema di fondo: il taglio è talmente sproporzionato che non consente l'esercizio delle funzioni fondamentali.
  Il tentativo da parte delle province è di recuperare tramite le risorse delle funzioni delegate, ma non ce la faranno mai. Non si può pensare che la regione copra il taglio governativo.
  Pertanto, le province chiedono a viva forza di approvare un bilancio solo annuale, il che mi sembra un'aberrazione. Come è possibile pensare di approvare un bilancio annuale, tenendo conto, per esempio, che tra le funzioni fondamentali ci sono la realizzazione, la gestione e la manutenzione delle strade provinciali ? Come faccio con un bilancio annuale a ipotizzare la realizzazione di una strada, che richiede una programmazione ultra annuale ? Anche questa è una contraddizione in termini ovviamente.
  A monte di tutto, c’è la questione risorse. La Corte dei conti sul tema è stata chiarissima: è un taglio assolutamente irragionevole per le province.
  A fronte di un taglio irragionevole per le province, c’è un taglio irragionevole per le regioni. L'intesa che abbiamo chiuso è per un taglio alle regioni di 5 miliardi e 252 milioni di euro.
  È evidente che, di fronte a un taglio di questo tipo, è difficile per le regioni far fronte alle richieste di mantenere invariata la spesa storica e addirittura di incrementarla per le funzioni delegate.
  Una soluzione potrebbe essere quella del personale. La norma prevede per il personale la riduzione del 50 per cento per le province e del 30 per cento per le città metropolitane. Anche in questo caso, però, c’è un problema: l'interpretazione del Ministero dell'economia e delle finanze è difforme da quella del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Da un lato si dice mobilità e dall'altro si intende riduzione.
  È evidente a tutti che ai fini della finanza pubblica un conto è ridurre il personale e un altro è spostarlo: se lo sposto, il risparmio è zero; se lo riduco, il risparmio c’è.
  Siccome l'ottica della riduzione è il risparmio, si pone un altro problema serio. O si arriva ad avere un risparmio, attraverso gli esuberi dalla pubblica amministrazione o, viceversa, non si ottiene un risparmio tale da consentire l'esercizio in maniera strutturale delle poche funzioni residue.
  Non è detto neanche che lo si riesca a fare riducendo del 50 per cento il personale. I tagli sono talmente elevati che neanche riducendo del 50 cento per cento il personale in modo effettivo si riesce a stare in piedi.
  Passo alle città metropolitane e poi passo la parola a Bugli, restando a disposizione per le domande, che penso siano più utili.
  Sulle città metropolitane, per assurdo, la questione è ancora più complicata. Cito l'esempio della città metropolitana di Milano, ma lo stesso vale per le altre realtà.Pag. 4
  La città metropolitana parte portandosi dietro il bilancio precedente. Questo comporta un serio problema dal punto di vista della funzionalità dell'ente. Ad esempio, la città metropolitana di Milano nasce con un debito di 113 milioni di euro. Il presidente è, d'ufficio, il sindaco del comune di Milano.
  La domanda che iniziano a porsi coloro che risiedono al di fuori di Milano nell'area della città metropolitana è: «Cosa succede del debito ? Non succederà che un soggetto non eletto mi imporrà le tasse ?».
  Questo è il punto: come si fa a far quadrare un bilancio che ha un debito di 113 milioni iniziali, se non agendo sulla leva fiscale ? Può agire sulla leva fiscale una struttura non eletta ? È evidente che si pone un tema molto serio dal punto di vista della rappresentanza e della logica dell'ente locale.
  Pertanto, per le città metropolitane, proprio dal punto di vista concettuale della norma, il tema è ancora più complicato.
  Concludendo, se non si pone mano alla questione finanziaria, è evidente che la riforma fallisce in partenza.
  Da un lato, per le province la tentazione fortissima è il rimpallo di responsabilità. Non si sa di che è la colpa, però alla fine a farne le spese sono i cittadini. Basterebbe fare un giro per notare che le strade sono conciate come in Albania dopo la caduta del regime, perché materialmente non ci sono le risorse per svolgere le funzioni elementari.
  In questo rimpallo di competenze e responsabilità, oltre alla complicazione dovuta al fatto che non si capisce chi fa che cosa, si perde di vista la programmazione delle attività e dei lavori e si rischia di arrivare a un riaccentramento a livello regionale di tutta una serie di funzioni, non tenendo conto delle differenti realtà.
  Banalizzando, il Molise, che ha 315.000 abitanti e due province, è una regione, ma equivale a mezzo quartiere di San Siro di Milano. È logico che il riaccentramento in una realtà di dimensioni ridotte come quella del Molise è molto più semplice rispetto a realtà come la Lombardia, dove ci sono 10 milioni di abitanti, e oggettivi problemi. La Valcamonica è molto lontana da Milano.
  Il rischio è che la mancanza di risorse finanziarie comporti un decadimento dei servizi erogati ai cittadini. È inevitabile che, a fronte di questa situazione, si arriverà a un riaccentramento a livello regionale.
  Le stesse province lombarde, che fino a qualche giorno fa erano interessate a mantenere un forte decentramento, in una nota di ieri dicevano: «Se la situazione è così, riprendetevi tutto voi.». Il «riprendetevi tutto voi» comporta problemi oggettivi. È complicato spiegare ai cittadini dell'Alta Valcamonica che devono dipendere da Milano. Peggio ancora per le città metropolitane.
  L'ideale sarebbe un ripensamento soprattutto della parte finanziaria, altrimenti ci saranno rischi veramente seri di tenuta del sistema, non solo per la questione esuberi – che evidentemente ha un impatto molto forte, dal momento che in Lombardia parliamo di 3.000 persone – ma soprattutto per l'erogazione dei servizi.
  Resta il tema delle funzioni fondamentali. Anche facendo finta che venga riaccentrato tutto quello che precedentemente era delegato, sulle funzioni fondamentali va fatta una riflessione attenta, perché, per esempio, per la gestione e la realizzazione delle strade provinciali serve un'adeguata copertura finanziaria. Non è ipotizzabile che un ente con scarsissime risorse possa realizzare una strada provinciale o manutenere in maniera ragionevole le scuole.
  Le problematiche che vi ho illustrato sono unicamente di carattere finanziario.

  PRESIDENTE. Sentiamo la regione Toscana, che, come abbiamo appreso nell'ultima audizione, è l'unica che in qualche modo si è spinta avanti anche sotto il profilo istituzionale del delegare le funzioni alle province.

  VITTORIO BUGLI, Assessore al bilancio della regione Toscana. Buongiorno. Noi, come regioni, a suo tempo abbiamo concepito positivamente il fatto che potesse Pag. 5essere fatto un provvedimento-ponte in vista della riforma istituzionale che riguarda le province. Le regioni criticarono la «riforma Delrio», però considerarono che avrebbe potuto avere questo ruolo.
  Bisogna ricordarsi – perché rischiamo di dimenticarcene un po’ – che nella «riforma Delrio» tutto il passaggio delle funzioni da riordinare sarebbe dovuto avvenire a saldo zero. Chiunque riprenda la funzione, la riprende a saldo zero.
  Quando fu fatta la legge probabilmente c'erano le condizioni perché questo avvenisse. Se così fosse stato, non ci saremmo trovati con i problemi che abbiamo adesso.
  Poi è arrivata la finanziaria con i tagli alle regioni e i tagli alle province, che ha reso tutto ciò impossibile. Se vuoi trasferire le funzioni a saldo zero, vuoti il secchio e poi non rimangono soldi per svolgere le funzioni più banali e fondamentali, che restano in capo alle province.
  Ricordo che in sede di discussione della legge di stabilità le regioni fecero al Governo una proposta, dicendo sostanzialmente: «Capiamo che deve essere fatta questa riforma e ci rendiamo disponibili a riprendere le funzioni, ma garantiteci perlomeno il costo del personale.». A questa richiesta il Governo rispose negativamente.
  Ovviamente non fu facile portare le regioni su questa posizione. Ho affianco a me il rappresentante di una regione anche politicamente diversa dalla mia. Ci lavorammo insieme e fu un percorso faticoso che comunque avrebbe comportato dei costi. Infatti, il concetto era: «Garantiscimi il personale; poi, se manca qualcosa, ce lo metto io, però consentimi di riordinare come si ritiene opportuno».
  La risposta negativa del Governo è stata un po’ un «tana libera tutti». Ovviamente a quel punto le regioni si sono sentite libere di procedere in autonomia e anche in situazioni diverse.
  Dopo queste premesse, mi concentrerei sul caso della Toscana. Stando al principio che vi ho precedentemente illustrato, noi ci siamo chiesti: «Cosa si fa ? Si lascia tutto così com’è e si rischia che fra qualche mese le province non abbiano più soldi per pagare il personale ? Intanto facciamoci carico di fare una riforma pensata dal nostro punto di vista.».
  Il principio è stato dare tutto quello che c'era da dare ai comuni, che però oggettivamente è poco. Per esempio, abbiamo lasciato la forestazione, anche se noi abbiamo un po’ di unioni comunali, le ex comunità montane. Se non ci sono questi strumenti, non si può lasciare questa funzione al singolo comune.
  Abbiamo lasciato anche un po’ di turismo e di accoglienza, di cui si può occupare il comune. Ora c’è anche la tassa di soggiorno. Anche questa funzione può essere svolta in forma aggregata o nel comune capoluogo.
  Per quanto riguarda le funzioni che vengono dall'Unione europea e che noi delegavamo tutte alle province, visto che l'Unione Europea stessa ci aveva detto che la governance sarebbe dovuta essere un po’ meno frammentata, le abbiamo riportate alle regioni. Mi riferisco alla formazione, al lavoro, se ci fosse concesso di discuterne – vedo che state procedendo a riportarlo in capo allo Stato e io vi faccio molti auguri – e tutta la parte riguardante l'agricoltura. Le funzioni per cui ci sono fondi europei si riportano in regione.
  Ci sono poi tutte le materie ambientali, per le quali, secondo il principio di differenziazione, si sta cercando di rimettere un po’ d'ordine su competenze che erano troppo frammentate, riportandole in capo alla regione.
  Ho descritto un po’ la situazione della Toscana, perché in tutto questo lavoro, se si riportano le funzioni in capo alla regione, forse è anche possibile procedere a un'operazione di riorganizzazione della pubblica amministrazione. A tale proposito, io vi pregherei di pensare a degli strumenti flessibili.
  Noi in regione abbiamo utilizzato la pre-Fornero per il 12 per cento del personale. Se per i 4.400 dipendenti delle province toscane si potesse avere una percentuale analoga, intanto, invece di 4.400 problemi, si avrebbero 4.000 problemi.Pag. 6
  Anche per quanto riguarda la mobilità del personale verso le funzioni statali, io vi pregherei di fare pressioni sul Governo affinché ci metta in condizione di sapere quali sono gli uffici statali che hanno bisogno di persone con un profilo analogo alle mansioni dei dipendenti provinciali.
  Se noi oggi in Toscana – ma credo che questo possa essere di utilità anche per tutte le altre regioni – avessimo un quadro di quali sono gli enti statali che possono assorbire personale in mobilità dalla province, con nome, cognome e numero dell'ente, si potrebbe procedere a fare degli accordi con questi enti e, allora, forse da 4.000 problemi si passerebbe a 3.800.
  Abbiamo poi un po’ di disponibilità da parte dei comuni, che stiamo censendo insieme ad ANCI. Pertanto, da 3.800 problemi si passa a 3.600.
  In questa fase bisogna fare così e provare, non a fare da paracadute a una situazione, ma a cercare di risolverla, anche portando un'ottimizzazione e una riorganizzazione di tutto il sistema. Altrimenti si perde un'occasione.
  Noi stiamo facendo gli accordi e credo che siamo una regione piuttosto virtuosa. A occhio e croce, penso che anche le province siano tra le più virtuose. Nella nostra legge ci si fa carico, contrariamente a quello che diceva la legge Delrio, di una parte dei costi. Si riprende la funzione, si riprende quello che si trasferiva alle province e si riprendono le entrate extratributarie a valere su quella funzione. Se manca qualcosa, la si mette noi.
  Nonostante questo, neanche il 2015 tiene. Se ci fossimo visti la prossima settimana, avrei potuto darvi una valutazione più precisa. Comunque, c’è bisogno di una mano per risolvere la questione, perché altrimenti il sistema non tiene. Si rischia un sacrificio eccessivo. La regione Toscana ha subìto 450 milioni di tagli. Non si possono prendere altri 100 milioni a carico delle province.
  Bisogna rendersi conto che, se in qualche modo si vuol fare questa riforma, occorre che alla fine il Governo metta qualcosa. A giudicare dal fatto che in alcune regioni sono venuti SOSE e Formez a vedere esattamente, provincia per provincia, come stanno i bilanci, mi sembra che ci sia un orientamento a farsene carico. Se non si volesse dar nulla, non si manderebbe qualcuno a vedere i bilanci delle province e delle regioni. Mi pare che un orientamento ci sia, ma credo che alla fine qualcosa bisognerà metterlo.
  A questo punto, dove si è proceduto si può prevedere una forma di sostegno alle riforme. Non è giusto dare risorse dove non servono e non darle dove, invece, servono parecchio.
  Faccio un'ultima considerazione. Sono partito dalla Conferenza, sono passato alla Toscana e ora vengo a una considerazione personale.
  Da questo lavoro che si sta facendo un po’ più concreto emerge qual è il vero risparmio di queste strutture. Io ho trovato un terzo del personale che non svolge né funzioni fondamentali delle province, né funzioni che passano ai comuni, né funzioni che passano alla regione.
  La vera riforma è quella. Lo dico a titolo personale: o questo Stato dice chiaramente che non si può consentire un livello intermedio – io sono per questa posizione – o altrimenti, se si lasciano questi centri di costo, a lungo andare questi fanno le superfetazioni, giustamente e con tutte le buone intenzioni. Dal momento che c’è un ente sul territorio che deve fare le strade, viene l'esigenza di fare la festa, poi la festa si fa tutti gli anni tre volte al mese e ci si mette una persona.
  Io credo – su questo non siamo tutti d'accordo come regioni e nemmeno all'interno della mia regione – che sia necessario avere la consapevolezza che, se si fa la riforma istituzionale, non si lasciano aree vaste determinate dallo Stato.
  Se poi delle regioni, nella loro organizzazione, decidono di tenere aree vaste, a loro costo e organizzandosi come vogliono loro, lo faranno. A cosa serve il persistere delle province, chiamandole «aree vaste» ? A un certo momento chiudiamo questa riforma e vediamo di trovare in quell'ente un luogo dove si gestiscono delle cose in forma associata da parte dei comuni.Pag. 7
  Se io levo i mattoncini delle province, bisogna che le regioni vadano un po’ più verso il basso a coprire questo vuoto. Spingiamo affinché i comuni si mettano più insieme, diventino più grandi, facciano le unioni e le fusioni, in modo che riempiano il mattoncino dal basso. Magari le aree vaste possono essere un primo luogo in cui questo avviene, però chiudiamo questa partita. Scusate se mi sono dilungato, ma mi sono appassionato al tema.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio gli intervenuti per la serenità delle due relazioni in una situazione che mi pare molto complicata.
  Faccio due brevi valutazioni. La prima è sull'oggi. È evidente che il 2015, così come è stato impostato in legge di stabilità e con la legge n. 56 del 2014, non si riesce a chiudere. L'auspicio è che ci sia un intervento con un decreto urgente su enti locali e province da parte del Governo, che prenda atto di alcune situazioni in particolare.
  Siamo ormai a fine marzo. Mi sembra evidente che ipotizzare il risparmio dal taglio del personale nei termini, in cui era stato definito, del 30 e del 50 è matematicamente impossibile. Da questo punto di vista, si tratta di prenderne atto.
  Dall'altro lato, credo, però, che ci debba essere anche uno sforzo maggiore da parte delle regioni. Lo dico con una battuta: se ci è riuscita la Toscana, forse non tutte e venti o 15 se si escludono quelle a statuto speciale, ma qualche regione in più sarebbe potuta arrivare a questa situazione di definizione, che credo consenta di evidenziare lo stato dei problemi e in qualche modo di quantificarlo.
  Dalle descrizioni fatte dall'assessore della Toscana, mi sembra evidente che loro, avendo chiuso il processo da un punto di vista ordinamentale, oggi sono in grado di avere elementi molto più precisi. Da questo punto di vista, credo che le due cose debbano andare di pari passo.
  Concordo sul fatto che ci debba essere un intervento del Governo. Così il rischio reale, come sappiamo, è che le province siano in oggettiva difficoltà ad approvare i bilanci di previsione, per evidenti motivi e con tutte le conseguenze del caso.
  Un discorso a parte meritano le città metropolitane, su cui magari la collega Zanoni, che è più esperta di me, potrà intervenire.
  Chiudo invece sul tema relativo alle prospettive, anche se primum vivere, deinde philosophari. Bisogna innanzitutto che il sistema abbia una sua possibilità di proseguire a erogare servizi eccetera.
  Io arrivo da una regione con oltre 1.200 comuni. Francamente non riesco a immaginare una regione come la mia, che è il Piemonte, senza un ente di area vasta, perché è praticamente impossibile.
  Detto questo, però, probabilmente, in una logica più federalista e meno centralista, si potrebbe ipotizzare che, nella fase successiva alla riforma costituzionale e all'abolizione delle province in quanto ente – il tema dell'area vasta, a mio giudizio, rimane – possa essere affidata alle regioni la determinazione del livello di area vasta e la sua organizzazione.
  Non ho nulla contro il Molise, che citiamo giustamente tutti, essendo la regione più piccola. È una regione più piccola della mia provincia, che non è una provincia grande e ha 400.000 abitanti. È evidente che una regione con due province – ed è chiaro anche a un bambino – non ci sta. Viceversa, ci sono province che hanno le dimensioni di una regione neanche piccola. È stata citata giustamente la Lombardia. Penso a Milano.
  Da questo punto di vista, credo che la prospettiva di riflessione sull'area vasta sia un tema importante, che magari si può riprendere.
  L'unica osservazione che mi sento di fare è che io non trovo così scandalosa la richiesta delle province di fare il bilancio annuale. Se siamo qua a ragionare sull'insostenibilità di un miliardo di tagli sul 2015 e a chiedere un intervento correttivo da parte del Governo, con i 2 miliardi per il 2016 e i 3 miliardi per il 2017, credo che Pag. 8gli esercizi di bilancio, così come sono, sarebbero assolutamente inutili. Pertanto, il bilancio annuale potrebbe essere più realistico e in qualche modo costringerebbe a ragionare rispetto al tema 2016 e 2017, anche perché il 2016 non è poi così lontano da un punto di vista della programmazione da parte dello Stato.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Grazie, presidente. Innanzitutto ringrazio per questo quadro che ci è stato fornito sulle regioni Toscana e Lombardia, che mi sembrano interessanti perché sono proprio gli estremi della situazione.
  Procedo rapidamente per punti. In primo luogo, credo davvero che si debba chiedere uno sforzo alle regioni. Adesso le abbiamo divise in tre gruppi: le regioni più avanzate, che hanno dato più seguito alla riforma, tra cui c’è sicuramente la Toscana; le regioni che sostanzialmente non hanno fatto ancora nulla sulla riforma; e infine quelle più numerose, che, attraverso il tavolo e la collaborazione con SOSE e Formez, stanno provando a capire come procedere. Credo che vada chiesto uno sforzo a tutte queste regioni per cercare di fare dei passi in avanti.
  Ciò premesso, passo al problema delle città metropolitane e delle province. Credo che il tema vada affrontato in modo differente. Ci sono dei profili analoghi, ma ci sono delle peculiarità.
  Innanzitutto, se facciamo partire in questo modo le città metropolitane, non partiranno affatto. Visto che sono un ente in avvio, se vogliamo farle decollare, bisogna dar loro le gambe per farlo.
  Sulle province il discorso è diverso, perché è un ente in trasformazione e, quindi, sono ipotizzabili strumenti, sia di bilancio che di finanziamento, eccezionali. Per le città metropolitane non è così. Bisogna dare loro un assetto che preveda lo sviluppo nel tempo.
  Arrivo ai punti dolenti. Gli strumenti di cui si sta parlando in questo momento – e a questo punto indosso una «giacchetta» diversa da quella del senatore – sono aberranti. L'uso dell'avanzo di amministrazione in parte corrente fin sul bilancio di previsione o il bilancio solo per il 2015 sono strumenti aberranti.
  Ciò detto, capisco che invece bisogna chiederli, perché in questo momento altrimenti non si arriva da nessuna parte. Tuttavia, devono essere davvero strumenti eccezionali nella forma più assoluta.
  Siccome, purtroppo, noi abbiamo memoria di strumenti eccezionali che negli anni passati sono rimasti per molto tempo, questi sono strumenti che rischiano di mandare in pallone definitivamente i bilanci.
  Parlavamo nei giorni passati di prevedere la predisposizione del bilancio solo per il 2015. Credo, però, che tale soluzione sia difficile da gestire dal punto di vista normativo – perché il bilancio pluriennale è un obbligo fondamentale – sia perché i problemi occorre risolverli sul serio, non per finta. Se il 2016 e il 2017 non stanno in piedi così, bisogna risolvere il problema, perché la previsione di quei tagli è assolutamente impensabile. Non si può nel 2017 avere zero risorse, a fronte di servizi che devono essere erogati e di funzioni che devono essere assicurate. Questo è evidente.
  Sulla questione dei mutui, i risultati sono molto variabili da situazione a situazione. Credo che alla fine tutte queste manovre dovranno essere guardate davvero nelle situazioni specifiche di ciascuna provincia. D'altra parte, le province non sono 6.000, quindi si può anche vedere situazione per situazione. Peraltro, se poi vanno in predissesto e in dissesto subito dopo, il problema sarà da gestire comunque.
  Anche il problema del personale è grosso. Sicuramente non si può partire dal taglio della spesa del 30 o del 50 per cento, quando il taglio sul personale non c’è. Siamo già a marzo e le mobilità non sono ancora state avviate, quindi è evidente che nell'arco dell'anno quel risparmio di spesa non può avvenire.
  Il Governo deve prendere atto di questo, in una logica di realizzazione della riforma. Quando si mettono in evidenza queste difficoltà, lo si fa proprio perché, se Pag. 9si risolvono e si affrontano, si può percorrere fino in fondo l'avvio della riforma.
  Sulle unioni e fusioni dei comuni sono assolutamente d'accordo. La mia regione, il Piemonte, è molto in ritardo. Credo che, anche in questo caso, in una fase intermedia non si possa fare a meno di prendere atto della situazione, ma il Piemonte deve darsi una sveglia. Questo è un elemento ormai imprescindibile. Non possiamo avere comuni di 300 o 500 abitanti. Non hanno più nessun senso.
  Concludo con una sollecitazione. Dobbiamo cominciare a pensare al problema delle regioni a statuto speciale, perché altrimenti anche dal confronto fra il resto delle regioni e queste regioni non se ne viene fuori.
  Occorre un ripensamento di tutta la spesa statale. Noi andiamo a fare le pulci e andiamo a mettere in estrema difficoltà enti locali che incidono sul totale della spesa della pubblica amministrazione per una percentuale irrisoria.
  Come sappiamo tutti, quando tagliamo del 100 per cento una spesa che vale ormai il 2 per cento del totale, al massimo arriviamo al 2 per cento di risparmio. Se, invece, incidiamo sul 90 per cento della spesa, anche una riduzione percentuale bassa ha un'influenza molto elevata.

  GIOVANNI PAGLIA. Io vedo che tutti i ragionamenti che noi abbiamo iniziato a fare qui dentro in queste settimane partono dal presupposto che alla fine, nell'arco dell'anno, qualche soluzione si troverà e qualche passo indietro si farà.
  Io farei notare che sappiamo tutti che la situazione che stiamo descrivendo deriva da una scelta di politica economica che è tanto demagogica da risultare irreversibile. Da questo punto di vista, non si tocca nulla. Hai dato gli 80 euro, hai scassato il bilancio dello Stato, hai spostato tutto questo verso gli enti locali, e da quello non torni indietro, perché è politicamente insostenibile. Da lì non recuperi un euro.
  Ci sarebbe la vicenda di ipotetici miglioramenti nei saldi dovuti all'abbassamento dei tassi, però io noto da questo punto di vista una strana prudenza, da parte di un Governo che non è abituato a essere particolarmente prudente negli annunci sui bilanci pubblici.
  Vedo che erano state annunciate 150.000 assunzioni nella scuola pubblica e sono diventate 100.000. Vedo un arretramento rispetto alle promesse e non un avanzamento.
  Questo mi porta a ritenere difficile, arrivati a marzo, continuare su ragionamenti rispetto agli enti locali che partano dal presupposto che si troveranno le risorse finanziarie per riportare indietro le lancette.
  L'unica domanda che io ho da fare, a questo punto, è: qualora le lancette non tornino indietro, esattamente, da qui a fine dicembre, cosa succederà ?
  Rispetto al discorso delle regioni che devono spostare e legiferare, io non farei proprio niente se fossi una regione, a differenza della senatrice, perché non vedrei per quale motivo dovrei assumermi la responsabilità di caricare su di me costi o funzioni per una cosa evidentemente nata per non funzionare e non finanziata. Perché dovrei farlo ?

  MAGDA ANGELA ZANONI. Perché è un dovere istituzionale.

  GIOVANNI PAGLIA. È un dovere istituzionale rispetto allo Stato. A Costituzione vigente, lo Stato è uno degli enti che compongono la Repubblica. Le regioni sono altri enti che compongono la Repubblica e persino le province sono altri enti che compongono la Repubblica.
  Sul fatto che si abbia il diritto di scaricare su un altro pezzo di Repubblica, come è stato fatto, le tue scelte di politica economica e poi di chiamare al dovere istituzionale, io francamente mantengo qualche dubbio.

  CLAUDIO BROGLIA. Io sarò molto rapido, perché condivido in larga parte quello che hanno detto Fornaro e Zanoni. Pag. 10
  Andiamo oltre la dialettica politica, perché mi interessa molto entrare nel cuore del problema e nel merito.
  Io segnalo, in primo luogo, un po’ di rammarico, dal momento che essendo il primo mandato legislativo, noi, come gruppo di senatori facenti parte della Commissione bilancio per due anni, prima della legge finanziaria abbiamo provato a interloquire con ANCI, UPI e regioni, anche entrando molto nel merito delle questioni.
  Francamente spesso abbiamo sentito dire: «Tanto poi ci sarà l'accordo Stato-città-regioni, per cui tutto quello che fate come lavoro parlamentare si richiuderà in quell'accordo.»
  Io credo che sarebbe opportuno, invece, che noi mettessimo in piedi questa procedura, o tramite questa Commissione o tramite chi ha voglia di lavorare. Lo dico criticando noi e un po’ tutti nel merito.
  Io parto da quello che ha detto l'assessore della regione Toscana, che personalmente condivido. Dobbiamo riguardare l'insieme dell'impianto di riforma, non solo relativamente alle province. Occorre partire dal dare attuazione piena alle fusioni dei comuni e alle unioni dei comuni in forma larga, con dei criteri.
  Vi spiego cosa sta succedendo nella regione Emilia-Romagna, dove il totale dei comuni è 340. Ci sono comuni che stanno pensando di fare fusioni a livello di 100-150.000 abitanti. Io credo che quella sia una deriva pericolosa, perché si perde di vista qual è il bacino ottimale e qual è il senso vero della riforma.
  Facendo così, non si toglie di mezzo l'area vasta. Si toglie di mezzo l'area vasta se si hanno delle forme aggregate che consentano di avere un numero limitato di interlocutori rispetto alle regioni di appartenenza, non a macchia di leopardo.
  Le funzioni sotto i 5.000 abitanti non possono più essere delegate ai singoli comuni. Le unioni devono avere una dimensione giusta. Allora forse, come diceva l'assessore, si può arrivare a togliere un ente intermedio.
  Da noi le province non finanziavano le sagre, le fiere o cose «superflue». Non ci sono più le risorse per le funzioni fondamentali.
  L'altra cosa che sta ingessando, paradossalmente, la macchina è il problema del personale, che è anch'esso difficile da risolvere. Se si vuole riformare la pubblica amministrazione, c’è bisogno di un personale che sia qualificato, informato e molte volte anche rinnovato. Spesso le difficoltà sono anche legate a gente che per trent'anni ha fatto sempre le stesse cose e sempre allo stesso modo.
  Se blocchi il turn over e sei comunque costretto a riassumere personale che svolgeva altre funzioni e che apparteneva ad altri enti, che magari non ha mai fatto quello di cui hai bisogno, anche questo è un aspetto delicato, che però andrebbe discusso.
  Bisogna cercare di contenere la spesa, ma allo stesso tempo dare la possibilità agli enti di fare un certo ricambio anche generazionale. Lo dico perché, almeno da parte mia, ma penso anche da parte di molti miei colleghi, c’è la voglia di scendere in questi dettagli di merito e di funzioni. L'invito è quello di cercarci.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per eventuali repliche.

  MASSIMO GARAVAGLIA, Assessore della regione Lombardia, coordinatore della commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Rispondo velocemente sulle questioni sollevate in merito ai numeri. Innanzitutto vorrei fare una precisazione. Anche la Lombardia, come la Toscana, ha già fatto la legge nei tempi eccetera. Il problema non è fare la legge – noi l'abbiamo fatta nei tempi, come era previsto – ma il fatto che la legge stabilisce che si deve fare l'adozione della normativa entro l'anno e dopo l’iter normale in consiglio regionale, a seguito del ragionamento negli ambiti degli osservatori. Pag. 11
  Comunque, questo è un dettaglio che non ha nessuna rilevanza. La rilevanza è data dal fatto che stia in piedi o meno.
  Il punto finanziario che sento aleggiare qui presuppone che ci sia da qualche parte un ammorbidimento dei tagli in capo alle province. Questo preoccupa parecchio, perché ci si dimentica che in legge di stabilità c’è una clausola di salvaguardia, che prevede che dovremmo recuperare ulteriori 12 miliardi di tagli l'anno venturo, altrimenti l'IVA andrà al 25,5 per cento.
  Siccome i risparmi degli interessi sono di circa 2 miliardi, ne mancano altri 10, ammesso e non concesso che si riesca a mantenere questo livello di tagli negli enti negli anni successivi. Tradotto, c’è poco da illudersi che si riesca a recuperare il miliardo delle province, che poi diventano due l'anno dopo.
  La sensazione è che si sia fatto un bel pasticcio, perché, come diceva giustamente l'onorevole, ci si è infilati in un cul de sac. Non ci sono i numeri per risolvere l'equazione. È stato fatto un errore di fondo, approvando una legge che non ha il fiato, e adesso è difficilissimo.
  L'unica soluzione che avremmo sarebbe riportare i tagli anche un po’ in capo al centro. I Ministeri hanno tagliato 1,9 miliardi. Se avessero tagliato il 3 per cento, come tutte le altre componenti dello Stato, ci sarebbero stati 4,7 miliardi di tagli. Le regioni hanno tagliato ben oltre il 3 per cento. Abbiamo tagliato 6 miliardi, quindi siamo al 6 per cento di tagli. Se anche i Ministeri avessero tagliato il 3 per cento, probabilmente si sarebbero fatti dei tagli meno irragionevoli sugli enti locali.
  Faccio un esempio per capirci. Spostare di un mese la stabilizzazione dei precari fa risparmiare 250 milioni di euro. Ai precari che sono lì da dieci o quindici anni gli cambia la vita un mese ? Invece, 250 milioni di euro cambiano la vita alle province.
  Qualcosa, volendo, si può fare. Giustamente non c’è la volontà politica.

  VITTORIO BUGLI, Assessore al bilancio della regione Toscana. Vorrei darvi un aggiornamento. Da quel che ci risulta, dodici su quindici regioni hanno approvato la proposta di legge in giunta. Solo una ha approvato la legge anche in consiglio. Quattro regioni entro marzo approveranno la legge anche in consiglio. Dunque, a fine marzo avremo cinque leggi approvate.
  E dobbiamo tenere conto che alcune regioni, come la Calabria e l'Emilia-Romagna, hanno avuto anche il problema delle elezioni. Anche noi stiamo cercando di fare le corse, ma probabilmente non ce la faremo a dare attuazione prima che finisca il mandato.
  Vorrei dire una cosa sul bilancio 2015, più che altro da un punto di vista della ragionevolezza. Ha senso rivedere questa cosa se si fa la riorganizzazione. Se non si fa la riorganizzazione, salta il 2015, salta il 2016 e salta il 2017. È inutile concedere di fare il bilancio del 2015.
  Il taglio sul 2016 e sul 2017, se c’è il riordino, non ha senso, perché è fatto su dei bilanci che non si sa quali siano. Questo è il vero punto.
  In Toscana, se avevano previsto un taglio di 80 milioni con dieci funzioni tutte in capo alle province e nel 2016 le funzioni saranno cinque, si lascia lo stesso taglio ? Bisogna fare un ragionamento funzionale.
  È chiaro che, se ora si pretende che siano approvati i bilanci come dovrebbero per il 2015, il 2016 e il 2017, nessuno approverebbe il bilancio, non tanto perché non tiene, ma prima ancora perché non si sa cosa metterci.
  Mettiamoci nei panni della provincia. Che bilancio faccio se non so cosa mi riordinano e quando ? Dunque, concentriamoci sul 2015, ma per fare le cose.
  Se ora voi allargate le maglie sul 2015 in modo generico, passerà tutto l'anno e saranno pochi quelli che faranno le leggi. Io penso che questa sia una delle chiavi. Se gli concedi troppo fiato da una parte, non fanno più nulla. Se chiudi troppo, salta il banco.

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  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti della Conferenza delle regioni e delle province autonome per il loro intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Informo anche loro che giovedì prossimo alle ore 8.00 avremo qui in audizione il Sottosegretario agli affari regionali, l'onorevole Bressa, sull'attuazione della legge Delrio.
  Abbiamo ascoltato comuni, province e regioni, e chiudiamo il cerchio con il Governo. Anche voi potrete connettervi on line per capire quali siano le intenzioni del Governo, almeno di fronte al Parlamento, sull'intera vicenda.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.

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ALLEGATO 1

AUDIZIONE DEI RAPPRESENTANTI DELLA CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME SUI PROFILI FINANZIARI RELATIVI ALL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE N. 56/2014
Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale
19 marzo 2015

  La legge 56/2014 (legge Delrio), in attesa della approvazione del ddl di riforma costituzionale, ridisegna l'assetto delle Province, configurandole come enti territoriali di area vasta titolari di funzioni fondamentali e con 2 organi (presidente della provincia e consiglio provinciale) eletti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia (sistema di elezione così detto «di secondo livello») oltre ad un terzo organo, l'assemblea dei sindaci, costituita dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia.
  La legge Delrio affida allo Stato e alle Regioni il compito di procedere, ciascuno per gli ambiti di competenza, alla puntuale individuazione delle funzioni provinciali, diverse da quelle fondamentali, da riallocare presso il livello istituzionale più adeguato.
  Tutta la legge di riforma delle province si basa su un principio di corrispondenza tra l'attribuzione delle funzioni e l'allocazione delle risorse necessarie per l'esercizio delle stesse. Si prevede infatti che le risorse finanziarie, già spettanti alle province ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali, siano attribuite ai soggetti che subentrano nelle funzioni trasferite.

  In sede di Conferenza Unificata dell'11 settembre 2014 Governo e Regioni hanno concluso l'Accordo concernente l'individuazione delle funzioni provinciali oggetto di riordino e approvato lo schema di DPCM recante i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento.
  In attuazione del citato accordo sono stati istituiti l'Osservatorio nazionale e, ad opera delle singole Regioni, gli Osservatori regionali, quali sedi di impulso e coordinamento per la ricognizione delle funzioni amministrative provinciali oggetto di riordino, per la conseguente formulazione di proposte di riallocazione presso il livello istituzionale più adeguato, e per l'espressione del parere sulle iniziative legislative regionali recanti disposizioni in ordine al riordino delle funzioni.
  Il citato accordo prevedeva il termine del 31 dicembre 2014 per la presentazione delle iniziative regionali di riordino delle funzioni.

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  La legge n. 190 del 2014 disciplina il concorso delle province alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, imponendo alle province una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Ciascuna provincia dovrà quindi versare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa.
  La legge n. 190 del 2014 disciplina anche il concorso delle Regioni a statuto ordinario alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, prevedendo per gli anni 2015-2018 un contributo delle Regioni di circa 4 miliardi di euro, di cui 3.452 milioni per le regioni a statuto ordinario, a cui si aggiungono i contributi delle precedenti manovre (dal decreto-legge n. 95 del 2012 al decreto-legge n. 66 del 2014). Il contributo richiesto alle RSO per il 2015 è, quindi, pari a 5.252 milioni. Pertanto, in tale situazione, risulta difficile far fronte ad eventuali ulteriori spese/funzioni senza adeguate risorse finanziarie. Solo il senso di responsabilità istituzionale delle Regioni ha permesso di concludere l'intesa fra Governo e Regioni sui tagli previsti dalla legislazione per l'anno in corso.
  L'onerosità della manovra sulle finanze regionali è evidenziata anche dalle audizioni della Corte dei Conti e dell'Ufficio parlamentare di Bilancio sul ddl stabilità 2015 ove si afferma «Il contributo richiesto alle Regioni appare molto impegnativo anche tenuto conto che si aggiunge a quello già previsto con il decreto-legge n. 66. Esso comporterebbe in un solo anno una riduzione del 15 per cento della spesa «aggredibile» (quella al netto dei trasferimenti alle altre amministrazioni pubbliche e alla sanità). Va osservato che tale intervento si colloca a valle dei tagli di risorse introdotti negli ultimi anni, che hanno portato ad una flessione delle spese dirette regionali (al netto dei trasferimenti ad altre PA) di circa il 10 per cento nell'ultimo triennio.» – Corte dei Conti; «Per il 2015, l'effetto netto complessivo di peggioramento del saldo di 5,9 miliardi programmato dall'intera Pubblica amministrazione è la risultante di un contributo positivo delle Amministrazioni locali (+2,4 miliardi) più che compensato da quello negativo delle Amministrazioni centrali (-2,4 miliardi) e degli Enti di previdenza (-5,9 miliardi).». Ufficio parlamentare di Bilancio.
  A titolo esemplificativo, è allegato un prospetto illustrativo degli impatti della legge di stabilità sulle province lombarde.
  La legge di stabilità contiene poi disposizioni relative al personale delle province, imponendo una «riduzione secca» del 50 per cento della dotazione organica delle province (salvo per le province montane, la cui riduzione è del 30 per cento), parametrata alla spesa del personale di ruolo alla data dell'8 aprile 2014, tenuto conto «delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla legge n. 56 del 2014».
  A completamento delle disposizioni illustrate, si evidenzia come nel parere reso dalla conferenza delle Regioni il 10 dicembre 2014 sul ddl stabilità, con riferimento alle disposizioni che incidono sul processo di riordino istituzionale di cui alla legge n. 56 del 2014, le Regioni avessero espresso una posizione di piena condivisione della necessità di semplificare i livelli istituzionali locali, cogliendo l'occasione anche di ridisegnare l'allocazione delle funzioni amministrative esercitate dagli Enti.
  Si segnala infine che nella seduta della Conferenza Unificata del 26 febbraio 2015 è stato sottoscritto un accordo tra Governo, Regioni ed Enti locali avente ad oggetto l'individuazione di correttivi al quadro ordinamentale vigente, al fine di garantire gli equilibri di finanza pubblica nell'ambito del processo di riordino degli enti territoriali locali (rideterminazioni delle sanzioni per sforamento patto stabilità; esclusione Pag. 15dal patto di stabilità della proroga dei contratti a tempo determinato; norme per l'avvio dell'armonizzazione contabile sulla base della sperimentazione svolta con alcune Regioni).

  Una disciplina specifica è dettata dalla legge Delrio per l'istituzione delle Città metropolitane, cui sono attribuite, oltre alle funzioni fondamentali delle province e a quelle attribuite nell'ambito del processo di riordino, ulteriori rilevanti funzioni fondamentali.
  La legge di stabilità ha però imposto alle città metropolitane i medesimi obiettivi di concorso agli obiettivi di finanza pubblica previsti per le province. È stata prevista anche una riduzione della dotazione organica delle città metropolitane nella misura del 30 per cento, parametrata alla spesa del personale di ruolo alla data dell'8 aprile 2014.
  Tali limitazioni sono in evidente contrasto con l'impegno, assunto dallo Stato e dalle Regioni (anche ai sensi dell'accordo stipulato in Conferenza unificata l'11/09/14), di valorizzare il loro ruolo istituzionale attraverso l'attribuzione di ulteriori funzioni.

  La questione delle risorse rappresenta un elemento centrale del percorso di riordino delle funzioni: nessuna prospettiva di riallocazione delle funzioni provinciali può essere seriamente attuata senza una contestuale e congiunta valutazione degli aspetti relativi al personale ed alle risorse, comprese quelle che lo Stato riconosce alle Province.
  A fronte dei tagli alle risorse che lo Stato ha imposto a tutti gli enti territoriali, risulta inoltre difficile individuare la garanzia di una adeguata copertura finanziaria per lo svolgimento di funzioni sul territorio, che implicano dei costi anche all'esito di un percorso di razionalizzazione.

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ALLEGATO 2