XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Giovedì 5 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

Audizione del Ministro degli affari esteri, on.Paolo Gentiloni Silveri, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle politiche internazionali in materia di immigrazione:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Gentiloni Silveri Paolo (PD) , Ministro degli affari esteri ... 3 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Conti Riccardo  ... 7 
Vattuone Vito  ... 8 
Arrigoni Paolo  ... 8 
Scibona Marco  ... 9 
Ginetti Nadia  ... 9 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Gentiloni Silveri Paolo (PD) , Ministro degli affari esteri ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro degli affari esteri, on. Paolo Gentiloni Silveri.

  PRESIDENTE. Ministro, ieri si è verificata un'ulteriore tragedia nel Mediterraneo, nelle acque del canale di Sicilia, dove il ribaltamento di un gommone ha provocato la morte di dieci persone. Ammontano complessivamente a oltre novecento le persone soccorse, in meno di 24 ore, ancora una volta, dalla Guardia costiera italiana, senza che si comprenda esattamente il ruolo che attualmente svolge Tritone.
  Nei giorni scorsi, i temi dell'immigrazione e della crisi libica sono stati al centro dei recenti incontri del Capo dello Stato con i vertici delle istituzioni europee, ai quali sappiamo ha partecipato anche lei.
  Anche il Presidente Mattarella ha sottolineato che il problema dei naufraghi e dei profughi che vengono in Italia dall'altra parte del Mediterraneo deve essere affrontato in sede comunitaria. Vogliamo pertanto chiederle quali sono i reali coinvolgimenti dell'Unione europea nelle operazioni di vigilanza delle frontiere esterne, in che cosa consista effettivamente Tritone e se la ritiene una determinazione europea adeguata rispetto alla situazione che sta affrontando il nostro Paese.
  Ieri, la Commissione europea ha tenuto un dibattito di orientamento sull'immigrazione, per preparare una comunicazione che sarà presentata entro la fine dell'anno e che dovrà definire una nuova politica comunitaria sulle migrazioni. Il tema dell'immigrazione è stato anche inserito all'ordine del giorno della riunione del Consiglio dei Ministri degli affari esteri dell'UE del prossimo 16 marzo, quindi le saremmo grati se, oltre a fornirci i suoi commenti sulla situazione di Tritone anche rispetto al limite delle 30 miglia dalle nostre coste, volesse illustrarci quali iniziative intende assumere il Governo, nella sede di Consiglio dei Ministri degli affari esteri, per promuovere un maggior coinvolgimento dell'Unione europea, se lei lo ritiene necessario.
  Le saremmo grati, ministro, anche se volesse darci alcuni elementi ulteriori di informazione relativamente agli sviluppi della situazione libica. Sappiamo che la rotta del Mediterraneo centrale, dalla Libia verso l'Italia, è la via di transito principale dei flussi regolari diretti – io direi anche dei flussi di migranti – diretti in Europa dall'Africa e che attualmente le autorità libiche si troverebbero nelle condizioni di essere prive del monopolio della forza, cioè non sono in grado di assicurare il controllo dei confini e contrastare le attività di organizzazioni terroristiche e criminali che, ci è stato detto anche in questa sede di Comitato, stanno sfruttando i flussi migratori. La situazione è in continua evoluzione. Sappiamo che si sta Pag. 3tentando la strada di un coinvolgimento dell'ONU per stabilizzare la situazione politica nel Paese.
  Condividiamo il suo auspicio per cui l'attesa ripresa in Marocco, nei prossimi giorni, del processo di dialogo politico intra-libico, facilitato dalle Nazioni unite, dovrebbe portare al più presto alla formazione di un Governo di unità nazionale in grado di stabilizzare il Paese e le chiediamo se può illustrarci, nel dettaglio, quali siano le recenti iniziative intraprese dal Governo italiano per giungere a una stabilizzazione della situazione in Libia.
  Un'altra domanda, ministro, riguarda il Regolamento di Dublino III. Ormai lo conosciamo tutti: lo Stato competente per la decisione della domanda d'asilo è quello cosiddetto di primo approdo. Proprio in questi giorni, però, sono state riportate dalla stampa le problematiche relative ai cosiddetti «dublinanti», cioè coloro i quali vengono rinviati nel Paese di primo approdo da altri Paesi dove non hanno ottenuto asilo.
  Dai dati in possesso del Comitato risulterebbe che, solo nell'ultimo anno 2014, vi siano state 28.904 richieste di trasferimenti di migranti richiedenti asilo dai Paesi membri all'Italia, a fronte di 5.412 dall'Italia agli altri Paesi. Alcuni degli Stati membri dell'UE tra quelli maggiormente esposti ai flussi migratori, in particolare quelli che si affacciano sul Mediterraneo, hanno richiesto una revisione del Regolamento di Dublino III e registrano tuttora l'opposizione di alcuni Paesi del nord Europa, che di fatto hanno bloccato ogni decisione al riguardo.
  In sede di Comitato, siamo arrivati alla conclusione che l'unica soluzione percorribile sia quella del mutuo riconoscimento dello status di rifugiato. Le chiediamo pertanto, signor ministro, di indicare al Comitato quali iniziative l'Esecutivo intenda adottare nel prossimo incontro dei Ministri degli affari esteri in tal senso.
  L'ultima domanda riguarda la cooperazione con i Paesi terzi. Abbiamo avuto, un anno fa, in audizione, l'allora Ministro degli esteri Mogherini, che aveva fornito delle informazioni al Comitato in proposito e le saremmo grati se vorrà aggiornarci in tal senso.
  Do la parola al ministro.

  PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio il Comitato e la presidente Ravetto. Effettivamente siamo in una giornata particolare perché, da una parte, come la presidente ricordava, l'emergenza ci ripropone la situazione degli sbarchi, delle tragedie e anche dell'impegno straordinario dei mezzi e degli uomini del nostro Paese, nel salvataggio di centinaia di migranti in mare.
  Dall'altro lato, direi finalmente, la spinta italiana a considerare tale questione al centro dell'agenda europea credo che stia producendo alcuni primi effetti. Proprio ieri, come sapete e come veniva ricordato, la Commissione ha posto le basi di quella che a Bruxelles chiamano l'agenda europea sulla migrazione, le cui linee guida corrispondono a quattro aree di lavoro, che dovrebbero diventare operative a partire dal mese di maggio.
  Le quattro aree di lavoro, per dare un aggiornamento in tempo non reale, ma differito di poco, alla Commissione, sono: in primo luogo, il rafforzamento della politica comune dell'asilo; in secondo luogo, la promozione di una più efficace politica europea, in materia di immigrazioni legali, mirata soprattutto all'attrazione di talenti e di specifiche figure professionali; in terzo luogo, il rafforzamento del contrasto alla migrazione irregolare e al traffico degli esseri umani, anche attraverso una migliore cooperazione con i Paesi terzi, cioè i Paesi di origine e di transito delle migrazioni; in quarto luogo, infine, il rafforzamento della sicurezza alle frontiere esterne dell'Unione europea e, in questo ambito, la possibilità di incrementare il bilancio e gli assetti operativi di Frontex, anche attraverso un più ampio coinvolgimento degli Stati membri nelle attività operative dell'agenzia, che in gergo vuol dire ovviamente Triton.
  Che si tratti di una questione europea lo dicono innanzitutto i numeri. Come Pag. 4sapete, l'anno scorso abbiamo avuto 278.000 migranti irregolari che hanno raggiunto l'Unione europea, 170.000 dei quali sono approdati in Italia. Quindi, quando si dice che la questione di cui ci occupiamo è europea, si parte da questi numeri.
  Per il 2015, le cifre disponibili fino alla mezzanotte del 4 marzo, cioè fino a questa notte, indicano 8.918 migranti sbarcati in Italia, rispetto ai 5.611 giunti nel medesimo periodo del 2014, quindi è evidente che vi sia un aumento, quale che sia la nostra discussione su Triton e Mare Nostrum. Qualcuno diceva che Mare Nostrum era un attrattore di migrazioni, ma che si tratti di 30 o di 50 miglia, il concetto è che per cause profonde, legate alle guerre e alle crisi che attraversano il Medioriente e l'Africa, e che riguardano la crisi libica, l'insieme di questi due elementi produce un aumento dei flussi.
  Dobbiamo anche considerare che si tratta di flussi caratterizzati sempre più dalla presenza di potenziali beneficiari di protezione internazionale, per cui la quota dei potenziali beneficiari di protezione nell'ambito di questi flussi aumenta.
  Quanto ai Paesi di provenienza, restano fondamentali la Siria e l'Eritrea. Avrete notato l'intervista del primo vicepresidente della Commissione, Timmermans, che parlava della necessità di cercare dei modi di relazionarci ad alcuni Paesi e naturalmente la Siria e l'Eritrea potrebbero essere due dei Paesi a cui faceva riferimento.
  In questi due mesi, c’è stato un aumento, che va considerato, dei migranti provenienti dalla Somalia. Tra ottobre 2014 e gennaio 2015, si era aperta anche la rotta del Mediterraneo orientale, da cui sono transitati, partendo dalla Turchia e dalla Grecia, il 26 per cento dei migranti irregolari sbarcati in Italia, utilizzando soprattutto navi di grandi dimensioni.
  Devo dire che per questo fenomeno abbiamo chiesto la collaborazione della Turchia. Il Viminale e il Ministro degli interni si sono attivati in modo particolare e abbiamo ottenuto dei buoni risultati, nel senso che a febbraio il fenomeno è praticamente quasi scomparso; il che dimostra quanto sia importante il rapporto con i Paesi di origine, sempre che abbiano delle strutture statali minimamente efficienti.
  Questo ci riporta, come ricordava la presidente Ravetto, alla gravità della situazione libica perché sappiamo che il 90 per cento dei flussi del 2015, degli ultimi due mesi, proviene dalla Libia. Naturalmente non sono libici, ma vengono dal Corno d'Africa, dall'Africa centrale, dalla Siria e da tanti altri Paesi. Purtroppo, il Paese attraverso il quale transita il 90 per cento di questi flussi è di fatto privo di una capacità statale minima. Quindi, è molto difficile – si potrebbe persino dire impossibile – in questo momento instaurare dei rapporti di collaborazione con lo Stato libico, ai fini di bloccare, prevenire questa situazione; un motivo in più naturalmente per l'impegno del nostro Paese a stabilizzare la situazione in Libia.
  Questa mattina sono cominciati, per la prima volta, dei colloqui più o meno tra tutte le parti in conflitto, in Marocco, e stiamo lavorando in tutte le direzioni. Anche il Presidente del Consiglio, in queste ore, tra le tante altre cose, sta parlando con il presidente Putin anche di Libia.
  Vengo alle strategie a livello europeo. Naturalmente ne abbiamo parlato nel corso della presidenza italiana, impostando il lavoro e direi, all'inizio, avendo come obiettivo fondamentale semplicemente l'acquisizione della consapevolezza della centralità per l'Europa di tale questione. L'Europa si è occupata di numerose questioni nel 2014. Se dovessimo mettere su una bilancia – ma naturalmente non avrebbe molto senso – quanto impegno è stato dedicato alla crisi nei nostri confini a nord-est e quanto ne è stato dedicato a quella dei nostri confini a sud dell'Unione europea, noteremmo che obiettivamente c’è stato uno squilibrio. Il primo impegno dell'Italia è stato quello di riequilibrare questa situazione e far sì che i diversi vertici europei, le diverse dinamiche europee finalmente considerino centrale la questione delle migrazioni nel Mediterraneo e quella della Libia, ovviamente Pag. 5tra loro intrecciate. Penso che siano stati ottenuti dei risultati e la riunione di ieri a Bruxelles in parte li riflette.
  Adesso mi concentrerei soprattutto sulla parte che riguarda la nostra politica estera ed europea più che su quella che riguarda il lavoro del Ministero degli interni che è altrettanto, se non più, rilevante nella gestione di questa emergenza. Tuttavia, mi soffermerei sulle nostre linee di proposta di azione nei confronti dell'Unione europea, proprio perché queste sono le settimane in cui si definisce tale strategia.
  Abbiamo lavorato in primo luogo per il rafforzamento della sorveglianza marittima, per far fronte al dramma umanitario. Consideriamo l'avvio dell'operazione Triton, pur limitata, rappresenta un primo passo significativo se non altro perché l'operazione ha una dimensione europea. Costituisce il primo segnale del fatto che si va verso una gestione condivisa della frontiera marittima del Mediterraneo.
  D'altra parte, l'operazione ha contribuito al salvataggio di oltre 23.000 migranti da quando è entrata in vigore, per cui l'idea, che pure ha attraversato la nostra discussione parlamentare, che passare dall'operazione precedente a Triton fosse in qualche modo un rinunciare agli obblighi morali e di diritto internazionale di salvataggio in mare, obiettivamente non corrisponde a questi numeri. Come ho detto, infatti, sono stati effettuati 23.000 salvataggi da quando è cominciata la missione Triton, ossia dal primo di novembre.
  Siamo consapevoli che con le attuali regole comunitarie l'obbligo di sorveglianza delle frontiere nazionali è in capo allo Stato membro frontaliero, ma comunque abbiamo chiesto all'Unione europea un impegno maggiore.
  Ho avuto degli scambi di lettere con Timmermans, Mogherini e Avramopoulos, chiedendo un primo potenziamento finanziario perché esso consente una maggiore partecipazione degli Stati membri. L'operazione funziona, come sapete, con l'Unione che finanzia i mezzi navali, o aeronavali, eventualmente messi a disposizione da altri Stati membri. Quindi, l'aumentare delle risorse consente l'aumento dei mezzi impegnati.
  La richiesta del Governo italiano ha ricevuto una prima positiva accoglienza, di cui ringrazio Timmermans, Mogherini e Avramopoulos, ma naturalmente siamo consapevoli che occorre fare di più, direi molto di più, e l'oggetto del negoziato delle prossime settimane sarà, per una parte significativa, proprio questo.
  La vera minaccia per l'Unione europea e i suoi Stati membri non deriva dalle migrazioni in quanto tali, ma dai criminali che lucrano sulle stesse. Come sapete, c’è una stima europea che dice che i proventi delle attività delle organizzazioni criminali raggiungono più o meno il 10 per cento del prodotto interno lordo libico in questo momento. Quindi, è un'attività molto rilevante. Da questo punto di vista, Mare Nostrum prima e Triton ora hanno svolto un ruolo importante nel contrasto ai crimini legati alla migrazione, con oltre 500 trafficanti arrestati e assicurati alla giustizia.
  Il terzo aspetto che voglio sottolineare, sempre sul punto, è l'evocazione di un accostamento tra il tema migratorio e i possibili rischi legati all'infiltrazione terroristica nei flussi irregolari verso l'Unione. È chiaro che non possiamo negare degli ipotetici e possibili rischi da questo punto di vista, ma le analisi della nostra intelligence ci dicono che al momento non abbiamo informazioni che traducano questi rischi potenziali in rischi effettivi. Inoltre, il buonsenso ci porta a dire che non è detto che per il potenziale terrorista il gommone alla deriva sia il modo migliore per raggiungere il Paese a cui mira. Infine, ricordiamoci anche che i recenti eventi di Parigi e di Copenaghen hanno dimostrato quanto sia seria la minaccia sia di posizioni estremiste e terroriste maturate all'interno di questi Paesi, sia dei cosiddetti foreign fighters.
  A proposito dei foreign fighters, durante la presidenza italiana abbiamo avviato una prima riflessione sul rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne di Schengen e il recente Consiglio europeo informale, Pag. 6del 12 febbraio, ha raggiunto l'accordo sulla necessità di fare ricorso alle intere potenzialità offerte dall'attuale codice Schengen per introdurre, anche a carico dei cittadini comunitari, controlli sistematici all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne rispetto alle banche dati pertinenti in materia di lotta al terrorismo.
  Il Consiglio ha incaricato la Commissione europea di redigere orientamenti operativi in questo senso. Noi, come Italia, siamo pienamente favorevoli all'approfondimento dei controlli alle frontiere esterne, preferibilmente a legislazione costante, al di là di eventuali proposte di lievi emendamenti. Su tale posizione, tra l'altro, siamo concordi con la Francia, come abbiamo verificato recentemente nel nostro incontro bilaterale.
  Come ribadisco, questi controlli avverrebbero all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne terrestri, o aeroportuali nel caso di voli provenienti da Paesi al di fuori dell'area Schengen. Come è noto, tra gli strumenti per il contrasto ai foreign fighters figura la proposta di direttiva sul passenger name record che è in discussione, in dialettica con il Parlamento europeo, e comunque è molto importante.
  Voglio qui ribadire che in nessun modo questa iniziativa mira a reintrodurre controlli all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne agli Stati membri, poiché la libertà di circolazione all'interno dell'area Schengen è, e deve rimanere, uno dei fondamenti del nostro spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Rinunciare a tale diritto equivarrebbe a una vittoria dei nemici della nostra libertà.
  Il secondo e penultimo asset del nostro lavoro nella dialettica con l'Unione è tutto il tema del dialogo con i Paesi terzi. Abbiamo prima citato «l'eccezione» Libia, ma in condizioni normali dobbiamo sapere che è lo strumento principe per regolare questo fenomeno e abbiamo in casa nostra degli esempi di successo negli ultimi vent'anni, prima nei Balcani occidentali, poi in Marocco, che ci confermano come la collaborazione con i Paesi terzi consenta gradualmente di regolare il fenomeno. Non abbiamo più flussi dal Marocco o dall'Albania negli ultimi mesi. Sono problemi che sono stati gradualmente risolti.
  Come si risolvono ? Innanzitutto, nell'impossibilità di una stabilizzazione della Libia e di cooperare con il Governo libico, stiamo lavorando per rafforzare i legami di cooperazione con i Paesi limitrofi, in particolare con la Tunisia, dove sono stato una decina di giorni fa, e con l'Egitto, dove è stato il Ministro degli interni.
  Sempre in tema di dialogo con i Paesi terzi, vorrei ricordare due specifiche iniziative presiedute dall'Italia nel novembre scorso: il cosiddetto processo di Khartoum e il processo di Rabat. Ne ho parlato nei viaggi delle ultime settimane in Etiopia, oltre che in Tunisia, in Algeria e in Marocco. In parole rapide, il processo di Khartoum riguarda la via che parte dal Corno d'Africa e, attraversando migliaia e migliaia di chilometri, arriva sulle nostre coste attraverso la Libia; peraltro, avete visto che quota abbiamo di eritrei e somali fra i nostri migranti.
  Ci sono diversi progetti concreti, finanziati dai fondi bilaterali, e soprattutto da fondi europei, per intervenire su questi traffici, soprattutto contro i trafficanti e la tratta di esseri umani, ma anche progetti di sviluppo dei Paesi in questione.
  Il processo di Rabat è più antico – quello di Khartoum è nato su iniziativa italiana l'anno scorso – e riguarda in modo particolare i Paesi dell'Africa centrale. Come dicevo, le tre fonti principali sono il Corno d'Africa, l'Africa centrale e la crisi siriana. Questi due processi, dunque, intervengono su due delle tre fonti principali. Sempre nell'ambito del filone relativo al dialogo coi Paesi terzi, l'Unione europea ha concluso i cosiddetti partenariati di mobilità con tre importanti Paesi mediterranei, ossia Marocco, Tunisia e Giordania, e sta ponendo le basi per attuare un'azione simile con il Libano.
  Tenete conto che il Libano è forse oggi il Paese più minacciato, anche nella sua stabilità interna, dal fenomeno migratorio, avendo quasi il 20 per cento della sua popolazione rappresentato da rifugiati siriani Pag. 7entrati in Libano nell'ultimo anno e mezzo; praticamente stiamo parlando di un 1,5 milioni di persone in un Paese con una popolazione molto ridotta.
  L'ultimo aspetto della nostra iniziativa, come anticipavo prima, parte dal fatto che nel fenomeno migratorio cresce la componente di richiedenti asilo. Le statistiche dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo delineano, anche in questo caso, una tendenza di costante crescita delle domande di asilo in Europa. A gennaio, per il quinto mese consecutivo, sono state registrate nell'Unione europea circa 70.000 domande di protezione internazionale, con un più 113 per cento rispetto al gennaio 2013 e un più 59 per cento rispetto a gennaio 2014.
  Nel 2014, l'Italia è stata il terzo Stato membro per numero di domande di asilo: prima la Germania, seconda la Svezia e terza l'Italia, con un aumento di oltre il 140 per cento di domande di asilo rispetto al 2013.
  Ebbene, se da un lato abbiamo accolto con impegno la richiesta dei partner europei di una più attenta identificazione dei migranti, nel quadro della legislazione di Dublino III, dall'altro, ribadiamo con forza l'esigenza di applicare puntualmente gli strumenti di flessibilità, previsti dalla vigente disciplina, a favore dei ricongiungimenti familiari e del supremo interesse del minore. L'applicazione di questi strumenti di flessibilità consentirebbe, già a legislazione costante e senza dover modificare nell'immediato il regolamento Dublino III, la concreta attuazione di quel principio di solidarietà intra europea, di cui all'articolo 80 del Trattato dell'Unione.
  Nell'ottica del progressivo completamento del CeAS (sistema europeo comune di asilo), guardiamo anche con favore al principio del mutuo riconoscimento delle decisioni di asilo. Sempre nella stessa ottica, il Governo attende con estremo interesse la formalizzazione della proposta della Commissione per l'avvio di un programma europeo di reinsediamento, che sia collegato anche al rafforzamento dei canali legali di accesso al territorio dell'Unione europea.
  Per concludere, fatemi solo dire che naturalmente stiamo parlando di un fenomeno con cui faremo i conti nei prossimi decenni, se non altro per ragioni demografiche. Secondo le Nazioni Unite, la popolazione dell'Africa, che nel 1950 era la metà della popolazione europea, nel 2050, fra trentacinque anni, sarà il triplo della popolazione europea. Questo ovviamente rende permanente tale fenomeno, quindi non parliamo di una realtà che possiamo cancellare alzando muri o sparando raffiche di slogan demagogici. Dobbiamo gestirla, regolamentarla, renderla non solo compatibile, ma, se possibile, anche utile al nostro sviluppo. Non abbiamo parlato della parte positiva, ma quando l'Unione europea si riferisce alla promozione delle cosiddette Blue Card, di migrazioni mirate a particolari figure professionali, a particolari elementi del nostro mercato del lavoro che non riusciamo a coprire, o a particolari talenti, vuole significare un arricchimento delle nostre società e del nostro sviluppo. Per farlo, abbiamo bisogno di un approccio a più dimensioni e naturalmente di un impegno molto maggiore da parte dell'Unione europea.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO CONTI. Ministro, se il tempo non fosse così ristretto, per esigenze sue e del Comitato, le farei la seguente domanda: crede che esista un modello di democrazia, nel senso letterale della parola, fattivamente condiviso dalla maggioranza e dalla comunità internazionale ? Se sì, crede che tale eventuale modello si debba imporre, esportare ed estendere ad ogni Paese ? Se sì, con quali mezzi e a quale prezzo ? Quanto tempo richiederebbe e chi si farebbe carico di gestire la transizione per tutto ciò che ne può conseguire ?
  Ciò che voglio dire, ministro, è che stando in questo Comitato, per le poche volte che ci riuniamo – tante per merito Pag. 8della presidente, ma con la cadenza di una volta a settimana –, mi sono fatto l'idea che stiamo rincorrendo i problemi. Non ho trovato ancora qualche persona autorevole, e che abbia responsabilità, che mi dica che l'ONU così com’è funziona poco, o che l'Unione europea vive di egoismi e particolarismi, o che nella politica estera italiana negli ultimi anni abbiamo sbagliato a fare questo, quest'altro o quell'altro. Insomma, rincorriamo i problemi.
  Detto questo, ragionando non di politica, di morale, di religione, o solo di economia, ma dal punto di vista geopolitico, se non si ha la capacità di assumere, a livello di convenzione mondiale, il fatto che abbiamo tutti interesse ad individuare un modello di convivenza – non di rendere identico un Paese all'altro, né di assumere il fatto che quello che per me è la democrazia non potrà mai esserlo per l'Iran o per qualche altro Paese del mondo – se non ci diciamo queste cose chiaramente e soprattutto se non se le dicono i Governi e gli organismi internazionali, non riusciremo mai a venire a capo di questi problemi che, come lei giustamente ha detto, sono epocali e sicuramente richiederanno decenni per essere affrontati, se non si cambia registro.

  VITO VATTUONE. Ringrazio il ministro per il suo intervento. Non le ripeto e tralascio le premesse, ma condivido perfettamente le conclusioni del suo intervento circa i principi.
  Vorrei tornare alla questione della Libia, vista l'occasione. Mi occupo dei temi della difesa e condividiamo certamente la sua azione, quella del Governo, per favorire un incontro tra le parti. Oggi c’è un importante incontro nel Marocco. Lei non ha detto nulla in merito, quindi vuol dire che dell'esito sappiamo ancora poco, ma l'azione del Governo, che tenta di trovare un Governo di unità nazionale, con una capacità statale minima che consenta anche di facilitare il nostro lavoro, è certamente importante; poi comunque la Libia, per parlare dei temi dell'immigrazione, come si è detto, è lo snodo per il 90 per cento dei flussi migratori, ma adesso subisce altre minacce.
  Vorrei togliermi un dubbio. Pare quasi che l'Occidente sia spaccato rispetto al sostegno, chi a Tobruk e chi a Tripoli. Non so se siano indiscrezioni giornalistiche o se effettivamente gli Stati Uniti e la Gran Bretagna abbiano altri atteggiamenti circa il riconoscimento di Tobruk rispetto alla questione di Tripoli. Intanto, chiedo se ciò è vero, se ha un riscontro reale e se può creare problemi alla facilitazione del lavoro che stiamo facendo, con l'auspicio naturalmente di arrivare al termine, con un Governo che possa stabilizzare la Libia e consenta anche a noi di fare il nostro lavoro.

  PAOLO ARRIGONI. Signor ministro, lei ha parlato di slogan demagogici senza fare nomi e cognomi e penso di sapere a chi lei si riferisse, ma d'altra parte, anche lei e il Governo recitate slogan demagogici, dipingendo uno scenario del 2050 in cui si descrive l'Europa come un'entità in cui la popolazione di immigrati sopraggiunge e sopravanza quella europea.
  Lei ha parlato di rendere utili le persone che arrivano sul nostro territorio, perché l'Italia e l'Europa avrebbero bisogno di particolari figure professionali e di talenti. Stiamo parlando di uno scenario che coinvolge milioni di persone e voglio ricordare che, fino a un anno e mezzo fa, i dirigenti del Ministero del lavoro – era il Governo Letta, però poco cambia – avevano confermato una tesi che sostiene la Lega Nord, e penso che non sia da sola, ossia che il nostro Paese non ha bisogno di manodopera, perché abbiamo un livello di disoccupazione che sta raggiungendo ormai i livelli del 1970. Semmai – si era detto allora, ma penso che valgano ancora quelle affermazioni – occorre la manodopera qualificata. Quindi, evitiamo di pronunciare slogan per giustificare delle vere e proprie invasioni.
  Ritengo che l'Europa, ancora una volta, si stia muovendo troppo lentamente. Continua ad agire solo sull'emergenza e non fa assolutamente prevenzione, senza entrare Pag. 9nel merito delle grosse responsabilità che ha avuto l'Europa nel lasciar accadere i fatti della primavera araba che hanno fatto destituire, per esempio, il leader Gheddafi, con le conseguenze che stiamo registrando oggi.
  Signor ministro, lei ha parlato di un'agenda europea sull'immigrazione, con quattro aree di lavoro, tra cui c’è anche quella delle particolari figure professionali da valorizzare. È un'agenda che doveva essere calendarizzata inizialmente a luglio e viene anticipata a maggio, che però è fra due mesi. Qui stiamo parlando di emergenza e allora mi domando: quando si sveglierà l'Europa per reagire a queste problematiche ?
  Siamo stati «invasi» nel 2014. Gli immigrati sbarcati sulle nostre coste sono stati 170.000, 67.000 dei quali, secondo quanto ci dicono i dati, sono distribuiti in vari centri di accoglienza e costano un miliardo all'anno alla comunità italiana, senza contare i minori non accompagnati, la maggioranza relativa dei quali sono egiziani, Paese con il quale come Governo state intessendo dei rapporti. Pertanto, invito anche lei, così come ho fatto con il suo collega, a verificare, per esempio, la disponibilità di quel Paese a riprendersi le migliaia di minori non accompagnati che sono venuti in Italia.
  L'Europa agisce male, o forse nel suo interesse, perché del fenomeno dei «dublinanti» per esempio, legato al mutuo riconoscimento sul diritto d'asilo, si sta parlando ormai da troppo tempo. Il premier Renzi l'aveva messo tra i primi punti all'ordine del giorno, quando si apprestava a presiedere il semestre europeo, e non è stato ottenuto nulla.
  Peraltro, a seguito di questo mancato mutuo riconoscimento, continuiamo a ricevere migliaia e migliaia di extracomunitari che in qualche modo hanno ottenuto la protezione internazionale e sono andati in altri Paesi. Voi questo l'avete giudicato in modo positivo, per alleggerire il nostro Paese, ma gli altri Paesi ce li stanno mandando indietro tutti. Per dirla in modo semplice, stiamo dormendo sotto questo aspetto. Perché non riusciamo ad imporci con gli amici dell'Unione europea, in ordine al problema dei «dublinanti» ?
  Vengo a un'altra considerazione su Tritone. Come Lega Nord, quando se ne è iniziato a parlare, prima o dopo l'estate dello scorso anno, l'avevamo considerato subito come una non soluzione, a differenza di quanto aveva sostenuto il ministro Alfano. Del resto, lasciare sguarnite le acque internazionali del Mediterraneo e riportare le navi della nostra Marina militare insieme a quelle degli altri Paesi a presidiare le nostre acque territoriali non avrebbe sicuramente risolto il problema, che invece si è acuito, eccome. Semmai, avremmo dovuto organizzare – così come noi ribadiamo – un controllo delle fasce delle acque territoriali dei Paesi del Nord-Africa.
  Termino qui ribadendo e sottolineando il fatto che l'Europa sta dormendo e che il nostro Governo non è incisivo nel porre in atto delle misure efficaci per cercare di attenuare questo problema.

  MARCO SCIBONA. Ho sentito svariate volte il ministro segnalare varie questioni, a partire dal PNR, il Triton e via dicendo. Sentire parlare di questo tipo di risoluzione, mi fa venire in mente il patriot act, quindi chiedo se non esista un modo di prevenzione diverso rispetto alla limitazione dei cittadini europei e italiani e se non si possa trovare una soluzione migliore.

  NADIA GINETTI. Intanto, vorrei sottolineare un risultato che mi pare estremamente significativo e che denota veramente un nuovo inizio, come ha dichiarato la Commissione europea intitolando in questo modo il programma per il 2015, ma anche per i cinque anni di mandato.
  Parliamo di una innovazione e di un cambiamento nella politica verso le migrazioni, perché finalmente apprendiamo addirittura di un'agenda europea in materia. Eravamo rimasti, un mese fa, alla dichiarazione di volontà di istituire una vera e propria politica comune delle migrazioni che finalmente si occupi non solo del Mediterraneo, ma del fenomeno in Pag. 10generale, con azioni concrete che permettano quello che lei ha evidenziato, cioè di distinguere le migrazioni legali, anche in una prospettiva di mobilità di competenze, dalla migrazione illegale, in questo caso collegata anche al rischio molto attuale del terrorismo e dei fenomeni che ben conosciamo.
  Il rafforzamento della frontiera esterna sta a significare il riconoscimento della necessità di concepire, oltre ad un unico spazio interno, una frontiera esterna unica che, affacciandosi sul Mediterraneo si immette in un'area ad alta instabilità, i cui processi non sono solo di interesse italiano, ma dell'intera Europa. Ebbene, siccome ne avevamo parlato anche in altre occasioni, chiedo – visto che abbiamo registrato un aumento del 140 per cento dei richiedenti asilo, perché le migrazioni oggi nel Mediterraneo sono legate al fenomeno dei rifugiati, non sono più migrazioni meramente economiche o dettate da condizioni sociali, ma di sopravvivenza e visto la clausola di flessibilità, che pure è presente negli accordi di Dublino, a testimonianza del principio di solidarietà sancito nel trattato dell'Unione europea – se non sarebbe un ulteriore passo in avanti in questa direzione considerare gli uffici e i comitati che istruiscono le richieste di asilo non come uffici nazionali, ma dell'Unione europea. Del resto, questi ultimi, sebbene istituiti a livello territoriale nei Paesi di primo ingresso, agendo a nome e per conto dell'Unione europea, superano i limiti degli attuali accordi di Dublino.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro degli affari esteri, Paolo Gentiloni Silveri, per la replica.

  PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro degli affari esteri. Naturalmente la domanda del senatore Conti è un po’ epocale, nel senso che, come lui stesso diceva, ha a che fare con la geopolitica. Per dirla in un minuto, è chiaro che abbiamo attraversato per alcuni anni una certa illusione. Soprattutto, dalla caduta del muro di Berlino all'11 settembre, c’è stato un decennio nel quale effettivamente sembrava che un modello di economia di mercato aperto e di democrazia politica potesse essere condiviso in tutto il mondo e fosse tranquillamente destinato a diffondersi ovunque.
  Nel nuovo secolo, invece, abbiamo avuto dei richiami alla realtà molto bruschi: prima l'11 settembre, poi il crollo della Lehman Brothers, adesso la minaccia del terrorismo fondamentalista. Nell'epoca che ricordavo, due dei libri che andavano per la maggiore si intitolavano «La fine della storia» e «Il mondo è piatto» e teorizzavano quello che stavo dicendo, cioè l'idea che alla fine saremmo arrivati a questa sorta di pacificazione universale all'insegna del mercato/democrazia. Oggi, dopo le crisi che richiamavo, dobbiamo fare i conti con la consapevolezza che serve un equilibrio diverso.
  Quando il primo vicepresidente della Commissione europea Timmermans dice che per affrontare le emergenze migrazioni dobbiamo metterci attorno a un tavolo con dei tiranni – non mi ricordo esattamente le parole usate, ma ha detto qualcosa di simile – chiaramente riflette il fatto che ormai tutti abbiamo preso atto che si tratta di costruire un equilibrio multipolare, perché non ci sono più le due superpotenze, o un'unica iper potenza, che sconta anche regimi diversi.
  Vattuone parlava dell'Occidente e chiedeva se fosse diviso o meno. Ebbene, se ci riferiamo ai Paesi occidentali principali, il cosiddetto Quint, di cui fa parte anche l'Italia, la posizione nei confronti delle parti libiche è molto comune. Sostanzialmente riconosciamo il fatto che il Parlamento di Tobruk abbia una sua legittimazione democratica, nel senso che le elezioni che hanno portato alla sua istituzione sono state giudicate corrette dalla comunità internazionale, ma contemporaneamente sappiamo che tale Parlamento e le autorità di Tobruk non controllano quel Paese, se non in parte. Quindi, per arrivare a una ricostruzione della Libia, occorre certamente partire dalla legittimità di quel Parlamento, ma associandovi anche altre forme di governo oggi basate a Tripoli e a Misurata.Pag. 11
  Questo è l'esercizio che si sta facendo in queste ore – siamo ancora ai preliminari – in Marocco e al quale affidiamo tante speranze. Non vorrei fare particolari polemiche politiche – mi riferisco all'intervento del senatore Arrigoni –, dico solo che non possiamo illuderci, e tanto meno possiamo illudere i nostri cittadini, qualora lo volessero, perché poi ci sono anche molti italiani che non lo vogliono proprio, della possibilità che il fenomeno delle migrazioni possa essere cancellato.
  Non può essere cancellato. È un fenomeno con il quale dobbiamo fare i conti. Vi hanno fatto i conti tutti i Governi, con tutte le parti politiche, negli ultimi vent'anni e dobbiamo affrontarlo anche noi, naturalmente sapendo che questo fenomeno può provocare allarme sociale in alcune aree del Paese, in alcuni gruppi sociali del nostro Paese e che quindi va gestito con cura e serietà. Dentro la serietà, tuttavia, c’è anche il non raccontare la possibilità che con un muro, o girandosi dall'altra parte, si possa far finta che questa migrazione non esista.
  Naturalmente non ho detto che i migranti supereranno il numero degli europei, ma che se guardiamo alla demografia e vediamo quanto cresce la popolazione in Africa, dobbiamo comprendere che una quota di questa popolazione cercherà di trasferirsi in altri Paesi. La storia va così. Inoltre, ci sono le guerre, le crisi e la fame che producono questo fenomeno.
  L'Europa dorme ? Siamo noi che dobbiamo contribuire al fatto che l'Europa abbia un'iniziativa maggiore. Penso che il Governo si stia muovendo in questa direzione e mi sembra che stia cominciando a ottenere dei risultati. Non mi impiccherei, francamente, a una discussione tra Mare Nostrum e Triton. La distanza tra le coste della Libia e quelle dell'Italia, a seconda se la calcoliamo riferendoci a Lampedusa o alla Sicilia, è di 2-300 miglia. La differenza del raggio d'azione tra Triton e Mare Nostrum è di 20 miglia. Non cambia il mondo se si ha un raggio di azione di 50 o di 30 miglia. Il mondo cambia se quella operazione diventa condivisa a livello europeo, perché ciò consente di schierare uomini e mezzi aeronavali sufficienti, condividendone il peso economico, che è significativo, non solo come Paese, ma a livello europeo. Questo è il nostro obiettivo.
  Chiedeva il senatore Scibona se c’è altro rispetto a Triton. Certamente c’è altro. Anzi, si potrebbe persino dire che – anche se è assolutamente comprensibile dal punto di vista etico e da come funzionano i meccanismi della comunicazione – di una via delle migrazioni lunga migliaia e migliaia di chilometri, noi illuminiamo solo gli ultimi 2-300 chilometri, ossia quelli che vanno dalle coste libiche a quelle di Lampedusa o della Sicilia. Invece, lo sforzo nostro e quello europeo devono concentrarsi, senza ignorare l'emergenza umanitaria delle ultime centinaia di chilometri, sul percorso. È all'origine che bisogna andare e che si deve intervenire, superando le guerre con la cooperazione economica e intervenendo in situazioni di crisi umanitaria che sono micidiali. Basta vedere l'elenco dei Paesi di origine dei migranti per capire che parla di guerra, fame e carestie.
  In secondo luogo, nei Paesi non di origine, ma di transito, bisogna lavorare contro i trafficanti e nel costruire accordi con i Paesi che vengono usati per transitare verso l'Europa. Tutto questo trova una difficoltà in più nel fatto che c’è un Paese enorme, che è sei volte l'Italia, anche se ha solo un decimo della nostra popolazione, che si chiama Libia e che non ha una minima base con la quale si possa interloquire per costruire degli accordi, mentre con gli altri Paesi funziona.
  Prima facevo il caso recente della Turchia, per non parlare dei casi storici. Per due o tre mesi, abbiamo avuto flussi di migliaia e migliaia di migranti provenienti dalla Turchia. Poi abbiamo fatto un accordo con il Governo turco e quel flusso è finito. Quindi, è certo che non deve esserci solo Triton, ma occorre una strategia complessiva.
  Per quanto riguarda la condivisione dei rilasci di permessi sul diritto d'asilo, su cui è intervenuta la senatrice Ginetti, penso che sarà uno dei temi presenti nella discussione Pag. 12di questi due o tre mesi. Naturalmente dobbiamo sapere che tale discussione è complicata, innanzitutto perché i Paesi europei sono ventotto e tra questi bisogna trovare delle maggioranze e degli accordi. Inoltre, mentre alcune emergenze sono tipicamente italiane, ed è assolutamente palese e non discutibile che il resto dell'Europa debba condividerne il peso e l'impegno con l'Italia – stiamo parlando dell'emergenza Mediterraneo, per intenderci, e delle migrazioni dalla Libia –, ci sono altri temi, come quello dei rifugiati e del diritto d'asilo, che hanno dimensioni pazzesche rispetto alle nostre in alcuni Paesi del Medioriente. Dalla Siria, ad esempio, sono scappati 4 milioni di rifugiati, quindi c’è una dimensione enorme in alcuni Paesi non europei e c’è una dimensione non inferiore alla nostra, anzi in alcuni Paesi è percentualmente molto più alta che da noi – penso alla Svezia ad esempio – sul tema dei richiedenti asilo.
  Per capirci, l'Italia ha il diritto di chiedere di più e l'Europa ha il dovere di impegnarsi di più sul fronte dell'emergenza nel Mediterraneo, perché è evidente che quello è un peso europeo che non può stare sulle spalle di un solo Paese, ma contemporaneamente c’è un insieme di temi che riguardano l'agenda delle migrazioni in cui l'Italia ha i suoi sacrosanti diritti e deve negoziarli, arrivando a un'intesa anche con altri Paesi.

  PRESIDENTE. Ministro, la ringrazio e con l'occasione saluto anche il consigliere Francesco Genuardi, Capo dell'Ufficio rapporti con il Parlamento che la accompagna.
  Nel ringraziare gli intervenuti per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.