XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Lunedì 16 febbraio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 3 

Audizioni in materia di contrasto della contraffazione relativa agli oli di oliva:
Catania Mario , Presidente ... 3 
Natalini Aldo , Sostituto procuratore della Repubblica di Siena ... 3 
Catania Mario , Presidente ... 7 
Natalini Aldo , Sostituto procuratore della Repubblica di Siena ... 7 
Catania Mario , Presidente ... 8 
Natalini Aldo , Sostituto procuratore della Repubblica di Siena ... 8 
Catania Mario , Presidente ... 11 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 11 
Mongiello Colomba (PD)  ... 12 
Bordo Franco (SEL)  ... 13 
Natalini Aldo , Sostituto procuratore della Repubblica di Siena ... 13 
Catania Mario , Presidente ... 15 
Savasta Antonio , Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 20 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 20 
Catania Mario , Presidente ... 21 
Savasta Antonio , Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani ... 21 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 22 
Savasta Antonio , Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani ... 22 
Mongiello Colomba (PD)  ... 23 
Savasta Antonio , Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani ... 24 
Natalini Aldo , Sostituto procuratore della Repubblica di Siena ... 24 
Savasta Antonio , Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani ... 25 
Natalini Aldo , Sostituto procuratore della Repubblica di Siena ... 26 
Catania Mario , Presidente ... 27 
Screpanti Stefano , Capo III Reparto operazioni del Comando generale della Guardia di finanza ... 27 
Catania Mario , Presidente ... 33 
Mongiello Colomba (PD)  ... 33 
Screpanti Stefano , Capo III Reparto operazioni del Comando generale della Guardia di finanza ... 34 
Catania Mario , Presidente ... 34 
Dell'Agnello Gianluca , Comandante del Comando carabinieri politiche agricole e alimentari ... 35 
Catania Mario , Presidente ... 38 
Mongiello Colomba (PD)  ... 38 
Dell'Agnello Gianluca , Comandante del Comando carabinieri politiche agricole e alimentari ... 39 
Catania Mario , Presidente ... 39 
De Franceschi Amedeo , Direttore della Divisione II (Sicurezza Agroambientale e Agroalimentare) del Corpo forestale dello Stato ... 39 
Catania Mario , Presidente ... 44 
Mongiello Colomba (PD)  ... 44 
Catania Mario , Presidente ... 46 

ALLEGATI: Documentazione presentata dai soggetti auditi ... 47

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14.30.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizioni in materia di contrasto della contraffazione relativa agli oli di oliva.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca audizioni in materia di contrasto della contraffazione relativa agli oli di oliva.
  Avremo il piacere di ascoltare due rappresentanti di procure particolarmente impegnate nella lotta alla contraffazione dell'olio d'oliva. Mi riferisco al dottor Antonio Savasta, sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani, che in questo momento non è ancora pervenuto, e il dottor Aldo Natalini, sostituto procuratore della Repubblica di Siena, con il quale cominceremo l'audizione, in attesa del dottor Savasta. Prego, quindi, il dottor Natalini di accomodarsi vicino a me.
  A seguire, avremo l'intervento dei rappresentanti delle Forze dell'ordine; in particolare, del generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto operazioni del Comando generale della Guardia di finanza; del colonnello Gianluca Dell'Agnello, Comandante del Comando dei carabinieri per le politiche agricole e alimentari (MIPAAF); del Comandante Amedeo De Franceschi, Direttore della Divisione II (Sicurezza agroambientale e agroalimentare) del Corpo forestale dello Stato.
  Cominciamo, quindi, con il dottor Natalini, al quale rivolgo il mio ringraziamento, e che prego di introdurci al tema, sia sotto il profilo delle sue esperienze investigative sulla materia, sia per quanto riguarda, più particolarmente, le sue considerazioni e le sue osservazioni sul quadro normativo che regola la materia, sulle sue possibili evoluzioni e sulle sue possibili integrazioni.

  ALDO NATALINI, Sostituto procuratore della Repubblica di Siena. Grazie, presidente, grazie, signor vicepresidente e onorevoli deputati per questo invito e per questa occasione di poter riferire sull'esperienza giudiziaria maturata da chi vi parla sulla base di molte indagini effettuate nell'agroalimentare.
  Provenendo da un ufficio come quello della procura di Siena, che è allocato in una zona ricca di eccellenze alimentari, ciò mi ha portato in questi anni – sono circa quattro – a occuparmi di numerosi casi di quella che viene chiamata agropirateria e delle maxifrodi sull'olio d'oliva, ma anche, da ultimo, della contraffazione del Brunello di Montalcino. Nell'elaborato che ho prodotto per la Commissione troverete, se volete, le notizie che riguardano nel dettaglio queste indagini.
  Volevo concentrarmi in particolare, anche per il mandato che ci è stato conferito, sull'indagine relativa alla contraffazione dell'olio, quella che è stata ribattezzata Pag. 4mediaticamente l'operazione Arbequino. Il nome Arbequino deriva da una particolare varietà di olive coltivata in Spagna.
  Si tratta di un'indagine che – così mi dice la polizia giudiziaria specializzata con la quale io ho collaborato in questi anni, insieme alla Guardia di finanza e all'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi – è diventata una sorta di leading case per numeri e tipologia di frodi accertate.
  Io ho distribuito anche il materiale divulgativo per capirla nel dettaglio. Poiché si tratta di un'indagine ormai affluita alla fase processuale, ho depositato anche per questa Commissione, non essendovi più il segreto investigativo, i principali atti processuali, in modo che anche dai capi di imputazione o dalle richieste cautelari – vi sono state richieste cautelari – voi possiate capire in che cosa è consistita la fenomenologia frodatoria.
  Mi piaceva segnalare innanzitutto una premessa, che deriva poi da questa esperienza di indagine, che riguarda le frodi dell'olio d'oliva, ma forse, più in generale, le frodi degli alimenti. Se si fosse partiti dalle analisi ufficiali del prodotto alla fine e, quindi, se si fosse analizzato il prodotto in vendita al supermercato, non saremmo mai arrivati a scoprire questo tipo di frode.
  Questo perché, e l'indagine Arbequino lo dimostra, come le successive che vi sono state, le contraffazioni degli oli di oliva, per come si sono progressivamente perfezionate negli anni, non sono quasi mai rilevabili e, quindi, non sono quasi mai processualmente dimostrabili a livello organolettico con le analisi ufficiali.
  Le analisi ufficiali sono sempre regolari. I prodotti imbottigliati, se si vanno ad analizzare prelevandoli dal supermercato, sono sempre in linea e conformi ai parametri chimico-fisici, anche all'assaggio, ossia alla cosiddetta prova sensoriale della cosiddetta Commissione dei panelisti. Se la frode non è una frode grossolana, intendendo per esempio l'impiego della clorofilla, che rappresenta una frode di altri tempi, bensì una frode sofisticata, con l'impiego del deodorato, le analisi ufficiali non la possono rivelare.
  Questo significa che le frodi negli ultimi anni si sono perfezionate attraverso varie tecniche che questa indagine, per fortuna, ha messo in luce, attraverso, per esempio, la tecnica della cosiddetta media ponderata, un metodo per mettere a posto il livello dei valori analitici delle singole componenti.
  Dobbiamo capire che il prodotto venduto è sempre una miscela di oli composta di varie sottopartite. Alcune di queste sottopartite possono essere, e questa indagine ce lo dimostra, composte da quantità di materiale che non è edibile come tale. La media finale, però, risulta essere sempre in linea con i valori previsti dalla normativa comunitaria.
  Pertanto, la difficoltà di un'attività di questo tipo è andare ad accertare, prima che il prodotto venga rivenduto agli imbottigliatori, la metodologia frodatoria proprio attraverso l'intento di sottopartite non edibili come tali e non rivelabili all'esito della miscelazione effettuata in basse percentuali, attraverso le analisi ufficiali.
  Ciò è stato possibile in questa indagine perché nel corso di una banale verifica fiscale, ossia di una verifica amministrativa e non penale, sono stati rinvenuti casualmente dei quadernini, una sorta di ricettario segreto, che il bravo militare, che era forte di un'esperienza pregressa su un'analoga indagine, in questo caso sul Brunello, ha saputo cogliere e trattenere amministrativamente, ma non penalmente.
  In tal modo non ha messo in allarme l'azienda e, insieme all'Ispettorato centrale per la tutela della qualità e la repressione frodi, è riuscito a decrittare questi codici, queste glosse, queste vere e proprie ricette, che erano parallele. Evidentemente erano ricette non ufficiali. Si trattava di quadernini trovati casualmente all'interno del laboratorio chimico dell'azienda.
  Questo ha consentito l'avvio di un'attività tecnica. Sulla base di questa documentazione rinvenuta, a mio avviso dal forte contenuto confessorio, io ho potuto Pag. 5richiedere al GIP di Siena l'attività tecnica. L'ho potuto fare ipotizzando – questo è importante – il 416, ossia l'associazione per delinquere, perché allora (eravamo nel 2012) non avevamo la legge salva-olio, che poi fortunatamente ha previsto la possibilità di intercettare anche soltanto per frode in commercio, che è stata uno strumento incredibile.
  A legislazione invariata si è potuta richiedere l'attività tecnica ipotizzando il 416, ossia l'associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio, che è poi l'ipotesi accusatoria che mi ha consentito di richiedere e di ottenere misure cautelari che hanno avuto anche la validazione del tribunale del riesame, nonché di chiedere e ottenere il rinvio a giudizio. Ora il processo pende in fase di primo grado, ma ci sono stati già tre patteggiamenti, compreso quello del chimico dell'azienda, il quale ha patteggiato la pena a poco meno di due anni.
  Attraverso il 416 e, quindi, la contestazione dell'associazione per delinquere, è stato consentito il monitoraggio telefonico e telematico. Le intercettazioni telematiche sono state particolarmente utili. L'intercettazione di flussi di posta elettronica ha consentito di disvelare in tempo reale, mentre avvenivano gli scambi attraverso i rappresentanti, quale fosse la modalità frodatoria utilizzata dall'azienda. Attenzione, si tratta di una modalità frodatoria che, in realtà, attraverso i documenti noi avevamo già intuito, ma di cui, a quel punto, si è avuta una conferma a livello proprio di monitoraggio.
  L'incrocio poi con i registri ufficiali, con il cosiddetto SIAN (Sistema informativo agricolo nazionale), ha consentito di mettere in luce la documentazione ufficiale, quella notificata al SIAN, e quindi al ministero, con quello che, invece, in realtà, ascoltavamo in diretta.
  Alla luce di tutto questo sono state individuate due tipologie di frodi, che sono poi quelle che più o meno si ritrovano sempre in questa tipologia di indagine, dalla quale ne sono, infatti, nate altre. Io ho avuto degli scambi info-investigativi con molte altre procure, compresa proprio la procura di Trani, col collega Savasta.
  Proprio in questa indagine si sono aperti una serie di rivoli nei confronti di altri soggetti che non erano allocati nel senese. È stata un'indagine che ha consentito un monitoraggio quasi a livello internazionale, perché abbiamo intercettato anche i flussi di olio in arrivo attraverso la collaborazione dell'Agenzia delle dogane e dell'Ufficio centrale antifrode. Abbiamo avuto poi addirittura un sequestro che è arrivato all'1,2 per cento del prodotto nazionale.
  C’è stato, quindi, un monitoraggio nazionale. Da questo monitoraggio l'esito delle indagini ha portato a individuare due tipologie di frodi che vi volevo, in particolare, segnalare. Una è la miscelazione di oli di differenti categorie, vergine e lampante, al fine di addivenire all'assemblaggio, intervenendo con tagli in percentuali e con l'uso dei cosiddetti deodorati soft. Nel contributo troverete nel dettaglio che cosa significano deodorato e deodorato soft e qual è la normativa in questione.
  In pratica, si tratta di una modalità che serve a ridurre l'acidità. L'acidità è il parametro che consente di individuare e classificare un olio entro una determinata categoria. La riduzione artefatta attraverso l'impiego di deodorati soft consente di ottenere una classificazione commerciale migliore, in modo che si possano vendere volumi di olio extravergine comunitario con caratteristiche analitiche e parametri conformi soltanto in apparenza alla normativa comunitaria, attraverso il meccanismo della media ponderata.
  L'impiego di sottopartite e di pratiche dei deodorati soft che servono per abbassare i livelli di acidità è una tipologia di frode accertata sia a livello storico, con i documenti pregressi che avevamo rinvenuto, sia in tempo reale, attraverso i monitoraggi telefonici.
  L'altra tipologia è la miscelazione di oli di differente origine, da Italia, Spagna, Grecia e Tunisia, e di differenti categorie di appartenenza, extravergine o vergine, al fine di addivenire all'assemblaggio di volumi di olio dichiarati al 100 per cento Pag. 6italiani, quando in realtà in percentuale erano italiani, per esempio, al 70-80-90 per cento.
  Vi è, quindi, una modifica dell'indicazione geografica, che ha una logica commerciale. Dichiarare un olio al 100 per cento italiano per il mercato estero è qualcosa di più appetibile e, quindi, questo olio si vende meglio, anche se poi la sua componente non è al 100 per cento.
  In questo caso abbiamo individuato in particolare delle partite di olio spagnolo e greco, ma, mentre l'olio spagnolo – questo ci deriva dall'indagine – veniva utilizzato in minor quantità perché ha un sapore che all'assaggio, se se ne utilizza troppo per i tagli, si nota, l'olio greco è molto simile a livello sensoriale a quello italiano. Pertanto, è stato utilizzato spesso e volentieri al posto dell'italiano. Addirittura nell'ispezione abbiamo trovato, e questo si evince dagli atti processuali, delle cisterne con scritto «olio italiano», ma, in realtà, abbiamo verificato che tale olio era di provenienza greca.
  Peraltro, sull'olio greco abbiamo individuato all'inizio dell'indagine anche un problema che ci aveva allarmato, ossia il problema degli ftalati. Per fortuna, però, ci è stato consentito di escludere il reato più grave di tutti, ossia la commercializzazione di sostanze pericolose per la salute pubblica.
  Non c’è stato questo problema. Avevamo soltanto un problema di ftalati, una sostanza plastica che deriva probabilmente dalla modalità con cui in Grecia vengono assemblate le olive. Il pericolo per la salute pubblica, però, non c’è stato. L'abbiamo proprio escluso con una consulenza che io ho fatto fare alla dottoressa Sannino.
  Questo aspetto è tranquillizzante, da questo punto di vista. Rimane, però, il problema della frode vera e propria e della frode sistematica. Questo non è un caso isolato. Ci sono masse di olio sistematicamente utilizzate con questa metodologia e con questa metodica.
  Il numero di sequestri ve l'ho indicato nella relazione. L'azienda è imputata per il decreto legislativo n. 231 del 2001, perché la riforma del 2009 consentiva già la contestazione ex n. 231. Non tutti i reati che poi sono stati ribaditi nella legge salva-olio erano reati presupposto. All'azienda, però, io ho potuto contestare anche il n. 231, ossia la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Questo è un altro strumento formidabile, e lo è ogni qual volta si interviene nel settore di criminalità economica.
  È chiaro che, al di là della sanzione penale o, in questo caso, addirittura della misura cautelare che è stata applicata, perché c'erano dei pericoli di reiterazione del reato, il decreto legislativo n. 231 permette i sequestri preventivi a fini di confisca che consentono di aggredire il patrimonio. È, quindi, una sanzione veramente afflittiva, veramente efficace, molto più efficace della blanda sanzione pecuniaria, che, per esempio, una frode in commercio di per sé, se non ci fosse il 416, ci annette.
  Teoricamente, se si ha la contestazione per frode in commercio, anche con 300 euro si può patteggiare la pena e il procedimento è estinto. Voi capite che, di fronte a condotte massive, la risposta è praticamente inferiore a una qualunque sanzione da Codice della strada.
  Invece, il n. 231 è uno strumento formidabile. In questo caso tale reato è stato contestato e siamo arrivati, anche con un sequestro preventivo, per il profitto calcolato limitatamente al periodo del monitoraggio telefonico, cioè alle partite certe, a un sequestro di circa 500.000 euro. Per quel periodo è poca cosa, ma comunque è ciò che processualmente era dimostrato essere avvenuto in tempo reale durante l'attività di monitoraggio.
  Peraltro, io ho aperto vari stralci e da questa indagine è derivata anche un'indagine per esterovestizione e per violazione di normative penal-tributarie, nell'ambito delle quali ho potuto chiedere e ottenere, anche in questo caso con lo strumento della confisca per equivalente in relazione a reati fiscali, un sequestro di 1.300.000 euro, che ha avuto l'avallo sia del GIP, sia, da ultimo – è notizia di qualche giorno fa – della Corte di cassazione avverso il provvedimento.Pag. 7
  C'era stato un ricorso per Cassazione e la Corte di cassazione ha validato l'ipotesi accusatoria. Quindi, attualmente l'importo di 1.300.000 euro derivante dall'omessa dichiarazione è vincolato al FUG (Fondo unico giustizia) a fini di confisca.
  Questo è il punto, sommariamente. Per quanto riguarda l'operazione Arbequino, vi rimando nel dettaglio al testo. Io ho addirittura predisposto una sorta di vocabolario dell'indagine, perché si tratta di un'indagine molto tecnica. Io stesso, come tutti noi, ovviamente, mi cimento in queste questioni studiando la materia, che prima di quell'indagine magari non si conosce. Vedrete da quello che io ho ribattezzato un po’ ironicamente «vocaboleario» quanto fosse tecnica l'indagine, anche per capire quei termini.
  Troverete i termini dell'indagine sintetizzati nel materiale divulgativo che vi ho distribuito, perché immagino sia utile per capire proprio com’è difficile penetrare determinati mondi che sfuggono altrimenti a questo tipo di investigazioni tradizionali.
  Da questa indagine è derivato poi uno stralcio che è stato ribattezzato operazione Fuente. Non è altro che lo sviluppo logico della prima indagine con vocazione internazionalistica. Si tratta di capire e sviluppare i flussi dalla Spagna verso l'Italia, con particolare riferimento al deodorato, per l'appunto.
  Mi si dice dalla polizia giudiziaria specializzata che prima di questa indagine la prova certa processuale dell'impiego del deodorato non c'era. In realtà, noi siamo riusciti a individuare finalmente l'uso del deodorato, questa sorta di materia prima di scarsa qualità che viene sottoposta a trattamenti industriali di raffinazione e, quindi, è inutilizzabile per l'ottenimento di extravergine. Essa però viene utilizzata, e il mercato dell'olio illegale ce lo dimostra, come diluente, come strumento tecnologico per fare quantità di volume e, quindi, per abbassare poi il prezzo finale.
  Il discorso è questo: si tratta di utilizzare un prodotto che consente di abbassare il prezzo finale e di poterlo vendere nei supermercati a un prezzo basso e, quindi, di stare sul mercato. Si tratta di quello che nelle intercettazioni o negli appunti segreti troviamo sempre indicato come cosiddetto «prodotto dolce» o «neutro».
  Nel gergo dei contraffattori nessuno parla di «deodorato», ma si parla più di «dolce» o «neutro». Noi abbiamo tradotto nei pizzini che abbiamo trovato e nelle intercettazioni questo termine come «deodorato». Si tratta di un prodotto che consente di abbassare anche il prodotto finale, in termini di costi.
  In questo caso io ho contestato addirittura il riciclaggio merceologico, ma si tratta di una contestazione, perché, sulla base di tutta una serie di ragionamenti giuridici, ritengo che la contraffazione che avviene in Spagna e, quindi, all'estero possa consentire in termini di riciclaggio merceologico la sostituzione e il trasferimento sul prodotto proveniente dal delitto.
  Rispetto a questo, però, non ho avuto delle conferme giurisdizionali, perché è un'ipotesi che ho contestato soltanto negli atti di perquisizione notificati. Mi riservo di poterli trasmettere se poi questo tipo di contestazioni reggeranno. La contraffazione e la contestazione del riciclaggio sono sicuramente una questione molto forte rispetto alla banale contestazione del 416 più il 515.
  Questo è il punto, sommariamente, per quanto attiene – spero di non essere oltre i tempi che la Commissione mi concederà – a qual è stata l'indagine e che cosa essa ha disvelato. Dopodiché, se ritenete, io sono a disposizione per effettuare alcune considerazioni su possibili ipotesi di modifica della legislazione di settore, senza alcuna pretesa di esaustività.

  PRESIDENTE. Dottore, la interrompo non perché lei non debba proseguire, anzi, la sollecito a farlo. Tuttavia, per chiarezza mia e forse anche dei colleghi, può ricordarci, a questo punto, sulla base di quali fattispecie è avvenuto il rinvio a giudizio ? Colgo senz'altro il 515, ma integrato con quale altro articolo ?

  ALDO NATALINI, Sostituto procuratore della Repubblica di Siena. Io devo avervi Pag. 8anche distribuito – credo – materialmente il testo del rinvio a giudizio. L'ipotesi è associazione per delinquere, ai sensi del 416, finalizzata alla frode in commercio.
  Questo è importante. Peraltro, colgo l'occasione per fare un ragionamento che ci consente di svolgere uno sviluppo ulteriore sull'assetto attuale. Il 416 prevede tre o più persone che si uniscono. In questi casi le tre persone erano, in realtà, molte di più.
  In questo caso la struttura del 416 è permeata sulla struttura aziendale, ossia sull'allora presidente, sul Consiglio di amministrazione, sul direttore amministrativo dell'azienda, sul chimico dell'azienda e anche sugli impiegati che materialmente effettuavano gli inserimenti nel SIAN, che erano mendaci, ossia falsi. Dalle intercettazioni, soprattutto dalle ambientali, abbiamo ricavato questa situazione.
  Ho omesso un passaggio. Dopo essere entrato in azienda ed aver effettuato i sequestri, io ho collocato le ambientali, spegnendo i telefoni, nell'assunto investigativo che, dopo la perquisizione, nessuno avrebbe più parlato al telefono, ma probabilmente avrebbero parlato in azienda. In azienda, infatti, hanno parlato. Addirittura, grazie alle ambientali, io sono arrivato ad altre cinque misure cautelari, perché addirittura abbiamo ascoltato delle mutazioni artificiose e delle condotte di frode processuale a sequestro in essere.
  Anche in quel caso ho contestato il 374, ossia la frode processuale, nonché la falsità continuata in registri e la violazione di sigilli, proprio in relazione agli effetti delle intercettazioni ambientali.
  Quello che è stato contestato è il 416, reato presupposto, peraltro, anche dalla contestazione amministrativa, ex n. 231. Ai sensi del n. 231 ho contestato all'ente, come soggetto giuridico distinto, sia il reato presupposto per 416, ai sensi del 24-ter, sia il reato presupposto rispetto al 515, cioè la frode in commercio, ai sensi del 25-bis, punto 1. In questo caso il n. 231 è sia per il 416, sia per la frode in commercio.
  L'aspetto importante è che, secondo la prospettazione accusatoria (che, ripeto, pende comunque presso un tribunale, ma abbiamo avuto già due validazioni del GIP), il tribunale del riesame ha ravvisato comunque il 416. Il GUP, che ha disposto il rinvio a giudizio, lo ha fatto per il 416, ritenendo che ci fosse una sistematicità frodatoria coincidente con la struttura stessa dell'azienda.

  PRESIDENTE. Mi scusi l'intromissione e mi scusi se posso essere impreciso: comunque, è in relazione al 515. La fattispecie sostanziale di riferimento è il 515, ossia la frode in commercio.

  ALDO NATALINI, Sostituto procuratore della Repubblica di Siena. Anche al 517, per essere più precisi, perché si tratta di frode di sostanze alimentari continuata, perché avvenuta nel tempo. Nel rinvio a giudizio troverete proprio uno per uno gli episodi che sono stati registrati in tempo reale. Si tratta chiaramente di un rinvio a giudizio al ribasso. Nel dubbio io ho contestato quello, ma in realtà probabilmente ci sarebbe molto di più.
  Noi siamo arrivati a una ricostruzione storica per capire un metodo. Quello che è oggetto di contestazione puntuale è ricostruito grammo per grammo, perché è effetto dell'incrocio del registro SIAN rispetto a ciò che è stato oggetto di intercettazione.
  Abbiamo contestato, quindi, il 416, che era l'ipotesi elevata per chiedere le misure cautelari e, prima ancora, per chiedere le intercettazioni telefoniche, che ha avuto l'avallo da parte del GUP. Ora pende il procedimento innanzi al tribunale collegiale. Anche il chimico che ha patteggiato ha patteggiato anche per il 416. Anche su questo c’è stato l'avallo da parte del GIP in sede di patteggiamento in fase di indagine.
  Se mi è consentito, presidente, possiamo dire che il ragionamento è possibile legando i due aspetti. Possiamo venire ora a quello che, a mio avviso, modestamente, senza presunzione, da operatore del diritto – chiaramente il decisore politico trarrà poi tutte le conclusioni che riterrà da queste mie valutazioni – è importante segnalare a questa Commissione.Pag. 9
  Si tratta del dato seguente: il 515 continua a essere l'unica norma principe di riferimento nell'ambito di questa materia, al di là del fatto che nel caso di specie, come ho spiegato, io ho potuto contestare il 416. Peraltro, non è nemmeno facile, perché siamo comunque in un 416 la cui struttura soggettiva coincide con la struttura aziendale.
  Il vero problema è che il 515 è una norma che nasce nel 1930 per sconfiggere un episodio politico criminale individuale, una filiera corta, cortissima, banalizzando: l'oste che vende del vino annacquato all'avventore. Era nata per quello, ossia per un caso isolato, per una filiera corta. Peraltro, è una norma che, se vedete come è scritta, è limitata a coloro che esercitano un'attività commerciale, dentro uno spazio ben individuato o uno spaccio aperto al pubblico.
  È anche ben individuata, tant’è che c'era stato il problema se anche i singoli agricoltori e artigiani che producono il prodotto e poi lo rivendono, ne rispondano se poi il prodotto risulta diverso da quello dell'origine dichiarata. Su questo la Cassazione ha detto di sì, ma la dottrina si è inalberata, perché sostiene che si superi lo spazio della norma.
  La verità è che la norma è ormai sicuramente inadeguata per punire le condotte massive organizzate, strutturate, seriali come quella che vi ho esposto, fatti salvi i casi più gravi, in cui si può contestare il 416. Non è sempre facile, però, avere a disposizione tutto l'armamentario investigativo che ci consente di arrivare a quel tipo di imputazione.
  Il dato a legislazione vigente su cui volevo che questa Commissione riflettesse è che manca una norma di riferimento per punire e colpire la dimensione professionale organizzata e sistematica delle condotte frodatorie, quale che sia la filiera interessata, sia essa l'olio, il vino o qualunque altro alimento.
  Il suggerimento, ripeto, modesto che viene da un operatore del diritto è che tra i tanti si possa introdurre nell'ordinamento qualche elemento cogliendo da esempi novellistici che il legislatore conosce. Per esempio, il decreto Ronchi introdusse il 53-bis per quanto riguarda le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, elevando la singola condotta, quando diventa condotta seriale, addirittura a delitto.
  Un esempio più recente, che sicuramente conoscerete, è la legge Sviluppo del 2009, che ha modificato gli articoli 473 e 474 del Codice in una materia simile a quella di cui stiamo parlando, ossia i marchi. Ebbene, in quel caso è stato introdotto il 474-ter, che punisce, ancora sul modello del 53-bis del decreto Ronchi, poi rifluito nel 260 del Codice ambientale, l'attività organizzata, i delitti commessi in modo sistematico attraverso l'allestimento di mezzi e attività organizzate per commettere i reati del 473 e 474.
  In una materia in qualche modo vicina a quella di cui stiamo parlando, sia pur con riferimento ai brevetti, ma in presenza comunque di un'assonanza anche di beni giuridici di riferimento, si è introdotta, quindi, l'aggravante del 474-ter. La proposta che ho l'ambizione di poter fare in questa sede, e ne approfitto per farla, è un'idea che proviene da chi in questi anni si è cimentato in questa materia, ed è quella di introdurre anche nella materia delle frodi commerciali una fattispecie di questo tipo. Il suggerimento è che debba essere una fattispecie autonoma e non un'aggravante.
  Perché ? Perché il 474-ter configurato come aggravante significa che, se il giudice nel caso concreto ravvisa un'attenuante, torna ad applicare la fattispecie base. Considerate che nel 474-ter la pena prevista è da due a sei anni, molto vicina alle pene per l'associazione per delinquere.
  L'idea è creare una norma che, fatti salvi i casi della sussistenza del 416, nei casi più gravi, oppure fuori di questi, o semplicemente quando non si possa provare il 416 – si tratta di un problema di dimostrabilità processuale – si abbia una clausola di salvezza che possa garantire questa applicazione, il che consentirebbe di evitare quelli che i giuristi chiamano i rischi del bis in idem, cioè della sovrapposizione Pag. 10di norme, e consentire di punire le condotte seriali partendo sempre dalle note modali del 515 e seguenti.
  La proposta è forse quella di introdurre una norma di chiusura di tutti questi reati che richiami come elemento costitutivo i fatti di cui agli articoli 515, 516, 517-ter e seguenti fuori dei casi del 416, che però siano commessi in maniera organizzata attraverso l'allestimento di mezzi o attività organizzate, al fine di conseguire un ingiusto profitto. In tal modo l'ingiusto profitto sarebbe soltanto un elemento psicologico e non un evento da accertare di volta in volta a fini costitutivi. Bisognerà poi accertarlo per arrivare magari ai sequestri, perché il profitto ci serve per un sequestro, ma la norma consentirebbe di punire finalmente la dimensione massiva, sistematica, organizzata delle frodi, quali che esse siano. Occorre, dunque, una norma che consenta di abbracciare qualunque tipologia di frode in maniera organizzata e sistematica.
  Le esperienze giudiziarie – credo che il collega su questo sarà d'accordo – ci insegnano che chi arriva a praticare questo tipo di frodi è un'organizzazione, non lo fa per un singolo episodio. Va bene il 515 per punire il ristoratore che vende il pesce surgelato per fresco, che è un caso individuale, ma frodi di questo tipo debbono avere una risposta organizzata, che non necessariamente è sempre possibile attraverso il 416. Questa è una delle tante proposte che mi sono permesso di scrivere.
  Ne illustro un'altra e poi mi taccio. Su questa magari vi lascio il contributo, in cui mi sono permesso di fornire dei suggerimenti – per carità – non dovuti. Forse, però, l'uditorio è sensibile rispetto a questo tipo di esigenza a legislazione vigente.
  Si tratta della modifica del 517-bis, una norma che già prevede delle circostanze aggravanti. Sono, però, delle circostanze aggravanti che forse, alla luce delle più avvertite esigenze politico-criminali, potrebbero essere implementate.
  Per esempio, i prodotti agroalimentari tradizionali sono individuati periodicamente dal Ministero delle politiche agricole. Forse potrebbero essere introdotti come ipotesi aggravata da richiamare in tutte le ipotesi di frode in commercio. Si tratta, cioè, di implementare il novero delle ipotesi aggravanti, che può essere richiamato, a sua volta, nella norma di nuova introduzione, anche in riferimento ai cosiddetti prodotti agroalimentari tradizionali, oppure al biologico.
  Le frodi sul biologico sono frequenti. Io non me ne sono occupato, ma sono a conoscenza di colleghi che se ne sono occupati. Il biologico è ormai un settore a livello commerciale potentissimo e importantissimo. C’è un interesse crescente della criminalità organizzata o comunque dell'agropirateria sul biologico, ma non esiste ad oggi un'aggravante che riguardi il biologico, l'alimento o la bevanda di produzione biologica. La materia è orfana di un trattamento sanzionatorio adeguato. Probabilmente implementare il 517-bis anche rispetto a questo tipo di produzione, che è ormai chiaramente rilevantissima, sarebbe un'idea importante.
  Dopodiché, c’è tutto il reticolo – poi concludo e sono a disposizione per qualunque chiarimento – delle interessantissime pene accessorie introdotte dalla legge Mongiello. Mi permetto di chiamarla così. È uno strumento interessantissimo, ma mi sia consentito in questa sede di segnalare un fatto: il problema è che aver previste tali pene soltanto per le frodi nel settore di olio d'oliva espone noi operatori del diritto a un problema di possibile incostituzionalità.
  Perché ? È da dimostrare che la frode sull'olio d'oliva sia una frode più grave rispetto a una frode magari sul Brunello o su un altro prodotto. Mi immagino, ma non ho ancora un'esperienza giudiziaria da poter rilevare, che, nel momento in cui vado a chiedere un sequestro preventivo a fini di confisca anche per equivalente sulla base dei formidabili strumenti istituiti a livello investigativo e introdotti con la legge Mongiello, non essendo questo analogo istituto previsto per altri casi, è possibile che ci sia una limitatezza di applicazione.Pag. 11
  È chiaro che questa è una legge nata per una tutela efficace dell'olio d'oliva, ma che potrebbe essere utilizzata come possibile censura di incostituzionalità. Ci si potrebbe chiedere perché questo caso meriti un più duro trattamento sanzionatorio, quando anche le frodi del Brunello o in un qualunque altro settore sono accomunate dalla stessa ratio punitiva, ma non vanno incontro a questo tipo di sanzione.
  L'idea è estrapolare quelle norme e inserirle all'interno del Codice penale, cosa che ci garantirebbe un corpus unitario. La norma diventerebbe ben conosciuta. Si tratta, infatti, di una legge che io non trovo nemmeno citata, purtroppo, in molti Codici di udienza, ma che deroga numerosi istituti processuali o li integra.
  Si potrebbero estrapolare quelle norme in tema di sequestro per equivalente, o addirittura anche per sequestro per sproporzione, introdotto nell'articolo 14, a mio avviso con qualche errore tecnico, che però si può correggere. Si potrebbero generalizzare tali norme, introdurle in seno al Codice penale e farle diventare strumenti.
  Il sequestro è un altro strumento formidabile, soprattutto in fase di indagine, di carattere generale per tutti le frodi. Si potrebbero recepire ed estrapolare tali norme dal testo della legge n. 9 del 2013, purché vi sia a quel punto, però, un'attrazione su tutte le categorie di frodi commesse con quel tipo di metodica.
  La stessa cosa può valere per le pene accessorie previste, per esempio, nell'articolo 13 della legge n. 9 del 2013. Anche quelle pene accessorie oggi previste, quali il divieto di attività pubblicitaria o di condotta o comunicazione commerciale, che sono molto simili alle pene che troviamo nel n. 231, sono pene importantissime, perché si interviene sul settore commerciale.
  Il suggerimento è estrapolarle dalla legge salva-olio e introdurle come pene stabili a chiusura e coronamento di tutti i delitti compresi all'interno dei delitti contro l'industria e il commercio, una sorta di 518-bis o di 518 riformato, che recepisca, eliminando gli elementi di specificità, quelle sanzioni accessorie, con pubblicazione nella sentenza, ma soprattutto quelle in materia commerciale, ovvero gli strumenti processuali, e le generalizzi.
  Otterremmo così un duplice risultato: da un lato, eviteremmo i rischi di possibili censure di incostituzionalità e, dall'altro, soprattutto forniremmo un armamentario processuale molto valido a livello investigativo, che consentirebbe una lotta su tutti i comparti dell'agroalimentare efficace, dissuasiva ed effettivamente cogente.
  Questi sono, in pillole, i suggerimenti che troverete magari meglio dettagliati nella relazione che mi sono permesso di anticipare alla Segreteria. Sono a disposizione per domande di qualunque tipo e anche per eventuali chiarimenti, se su qualche passaggio sono stato impreciso o troppo veloce.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Natalini. Prima di passare ad analoga audizione del dottor Savasta, credo opportuno, per maggiore speditezza e puntualità dei lavori, chiedervi se volete fare al dottor Natalini qualche domanda specifica sulle cose che ha detto.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FILIPPO GALLINELLA. Grazie, dottor Natalini. Le chiedo un chiarimento. Io ho capito, e spero di aver capito bene, che l'operazione Arbequino ha funzionato non tanto per analisi fatte sul prodotto finale, quanto per un caso di controllo amministrativo.
  Io so – non so, però, se questo è anche nella vostra conoscenza – che è possibile, ma non credo che sia un metodo ancora ufficiale, effettuare un'analisi genetica dell'olio. Ne ho parlato con il CNR Sezione olivicoltura. Vorrei sapere se lei ci può fornire delle informazioni, se è a conoscenza di questo.
  A me risulta che, per riconoscere un prodotto contraffatto rispetto a quello che indica l'etichetta, si possa utilizzare l'analisi genetica combinata a quella chimica. Visto che le cultivar italiane e quelle Pag. 12commerciali – così mi hanno spiegato – sono una decina, con l'analisi genetica si può sapere che cosa c’è nello specifico dentro l'olio e, quindi, sapere se sia italiano o no.
  Mi hanno detto che l'unico caso che potrebbe essere – così mi hanno spiegato; ognuno impara sempre qualcosa di nuovo – più complesso riguarda la cultivar Moraiolo, che esiste anche in Marocco, dove però matura in un tempo precedente.
  Questa analisi genetica, combinata con l'analisi chimica di altri elementi che si trovano all'interno dell'olio, consentirebbe in ogni caso di scoprire sistematicamente le frodi, anche con un costo ridotto. Si fa un campione e poi si traccia. Non so se avete mai sentito parlare di questa metodica.
  Inoltre, mi interessa la differenza tra frode e sofisticazione, perché, se non ho capito male, è più comune la frode che la sofisticazione. Vorrei un chiarimento anche su questo passaggio.

  COLOMBA MONGIELLO. Le vorrei fare qualche domanda, dottor Natalini. Approfitto della sua presenza e la ringrazio anche per tutto il materiale che ci ha fatto pervenire nei giorni scorsi. L'ho letto, l'ho studiato e ho anche apprezzato il suo lavoro.
  Due o tre cose non mi sono chiare. È ovvio che sulla sua proposta non ho niente da dire. Intervenire sul Codice penale sarebbe auspicabile, ma era questo il desiderio che avevano cinque anni fa e che non siamo riusciti a realizzare. Lo posso dire qui.
  Peraltro, debbo anche osservare che le tre norme che lei ha citato sono state difficilissime da poter introdurre in una legge sulla trasparenza di un prodotto. Il mio grande desiderio è mutuare la legge Salva olio per tutte le filiere produttive. L'abbiamo sempre detto e io l'ho sempre sostenuto fin dalla prima stesura della legge. Spero che questo lavoro della Commissione possa giungere, ovviamente, a un'introduzione nel Codice penale di norme moderne.
  Lei ha fatto riferimento a tre o quattro norme. Sono norme che abbiamo studiato. Ci siamo anche specializzati in questo settore. Anche la stessa magistratura si è specializzata in questo settore.
  Lei ha citato gli ecoreati. Qui parliamo di agromafie. È ovvio che si tratta di fenomeni diversi, di fenomeni nuovi, che hanno bisogno anche di un lifting dei testi normativi. Prima ci riferivamo a una norma del 1930 e, quindi, possiamo ben immaginare quanto fosse superata. Lei sfonda, dunque, una porta aperta. Questo è stato anche il nostro desiderio, che ha animato all'inizio proprio la stesura della stessa legge.
  Due o tre cose non mi sono chiare. Entro nel dettaglio. Non voglio fare un intervento. La prima questione riguarda i panel test. Una delle norme più contestate della legge Salva olio, quando è stata introdotta, è stata quella sui panel test in relazione al loro valore probatorio, insieme al tema degli alchil esteri.
  Io ho letto la sua riflessione. Lei dice nella sua nota che i panel test non hanno valore probatorio perché non riescono a dimostrare la qualità dello stesso olio. Mi chiedo: se queste norme sono state tanto contestate, come mai poi nell'utilizzo pratico della norma lei ritiene che siano del tutto insufficienti per scoprire i difetti dell'olio ? Questa è la prima domanda.
  La questione della media ponderata mi ha molto colpito e, sinceramente, ho cercato anche di capire come lei facesse la media ponderata. Lei giustamente differenzia l'olio deodorato e l'olio miscelato, che sono cose diverse. Con l'etichetta abbiamo anche stabilito cos’è un blend e che cos’è un 100 per cento italiano. Questo deve essere scritto in etichetta, altrimenti si tratta di un falso. La prima parte della legge riguarda proprio la trasparenza delle etichette.
  Sulla media ponderata vorrei che lei sottolineasse meglio questo aspetto che non sono riuscita a comprendere.
  La terza domanda che le faccio concerne i flussi. Lei ha parlato molto dei flussi delle materie prime. Lei ritiene, dottore, che, se noi riuscissimo a rendere Pag. 13pubblici i flussi di materie prime importate nel nostro Paese attraverso l'Agenzia delle dogane – io su questo tema ho fatto anche un'interrogazione molto precisa – a monte e non a valle del sistema, potremmo anche intercettare meglio una serie di informazioni che potrebbero essere utili al nostro e al vostro lavoro ?
  Queste sono le tre domande. Mi riservo magari di intervenire di nuovo in seguito.

  FRANCO BORDO. Pongo una domanda rapida sulla questione del registro del portale SIAN. A suo avviso, da un punto di vista operativo, funziona in modo buono, ottimo o qual è il livello ? Presenta delle falle ?

  ALDO NATALINI, Sostituto procuratore della Repubblica di Siena. Quanto all'analisi genetica, ho omesso di dire – questa è l'occasione per precisarlo – che nell'operazione Arbequino ho impostato l'indagine in termini di analisi ufficiali e analisi sperimentali. Le analisi ufficiali erano a posto. Nello stesso tempo ho conferito una consulenza tecnica al professor Lercker, le cui slide e contributi scientifici credo di avervi depositato.
  Il professor Lercker, dell'Università di Bologna, ha scritto molto in passato sull'olio e ha studiato e messo a punto un metodo sperimentale che consente di verificare gli scompensi dei valori intrinseci alle masse d'olio che sono indicatori, al di là dei parametri ufficiali, di miscelazioni illecite, per esempio, dell'impiego del deodorato. Attraverso le analisi ufficiali e le analisi sperimentali del professor Lercker, insieme agli altri elementi, io ho esibito il materiale al giudice per dimostrare l'impiego del deodorato.
  Analogamente, nell'operazione Fuente, l'indagine successiva sul deodorato, quella specifica, talvolta chiedendo ai laboratori dell'ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari) di effettuare delle verifiche mirate su singoli componenti che altrimenti normalmente non vengono analizzati, ho potuto verificare anche analiticamente la possibilità dell'esistenza di un deodorato.
  Determinate analisi – lei ha parlato di quelle genetiche – effettivamente consentono, e credo che su questo anche il collega sia della mia stessa opinione (in questo caso io l'ho potuto dimostrare attraverso un metodo sperimentale) di palesare degli scompensi interni rispetto alle masse di olio che, dal punto di vista della normativa ufficiale, appaiono legittimi e legali.
  Il problema è, di nuovo, processuale. Ovviamente, i difensori – l'hanno già hanno fatto in udienza preliminare e lo faranno di nuovo al dibattimento – mi attaccheranno per il fatto che l'analisi sia sperimentale, per quanto il giudice sia libero poi di valutare se l'analisi sia scientificamente e metodologicamente inattaccabile e di ritenerla materiale di per sé probante.
  A me, in realtà, è servito proprio il fatto di riferire al giudice che le analisi ufficiali avrebbero sempre mostrato che l'olio era a posto, mentre quelle fatte con un'altra metodologia dimostravano altro. Questo vuol dire che la frode, o la sofisticazione, a seconda del livello – io parlerei di sofisticazione nell'impiego del deodorato – e, quindi, l'impiego di procedimenti tecnologici di un dato tipo e la frode nell'impiego di sottopartite di origine geografica diversa, banalizzando, non sono rilevabili con le analisi ufficiali. Mi è servito proprio per dimostrare qual è la falla della normativa attuale. Bisogna ricorrere a metodi sperimentali non ufficiali per dimostrare qualcosa che oggi sta accadendo.
  È un po’ quello che accade sempre. L'esperienza giudiziaria consente poi a volte di intervenire anche sugli strumenti di carattere scientifico. Mi vengono in mente tutte le tematiche sulla causalità, quando taluni nessi di casualità non si potevano dimostrare se non attraverso metodi sperimentali che poi sono stati validati.
  Sicuramente esistono dei metodi. Il problema è testare questi metodi e farli assurgere a livello di prova. Il giudice, che è peritus peritorum, può, se questi metodi Pag. 14sono effettivamente scientificamente provati, condannare anche solo su tali basi, eventualmente.
  Quanto a panel test, media ponderata e flussi, parto dall'ultima questione, che è la più semplice. Nell'indagine Arbequino, ma anche in quella Fuente, io ho utilizzato molto lo studio dei flussi attraverso la collaborazione dell'Agenzia delle dogane. Soprattutto nella Fuente ho fatto effettuare dei prelievi direttamente dal prodotto che veniva dalla Spagna ai porti, prima che arrivasse nelle aziende attraverso i flussi. Quando arriva in azienda, il prodotto viene miscelato e non si trova più niente. Ai porti ho avuto, invece, degli indicatori di deodorato.
  È importantissimo in materia tracciare i flussi. Quello che mi dice l'Agenzia delle dogane e quello che mi ha detto l'antifrode, però, è che tutto ciò che viene da origine comunitaria è un problema fermarlo. È un problema controllarlo, ovviamente, per il principio di libera circolazione delle merci. Noi abbiamo dovuto intervenire con degli strumenti amministrativi da parte delle dogane, che però erano coordinati a livello penale, per poi eventualmente passare col berretto penale se quegli strumenti amministrativi ci mostravano segnali positivi.
  La tracciabilità dei flussi è ottima e sicuramente ci consente in tempo reale di sapere che stasera dal porto di Barcellona parte un carico di olio. Nonostante sia molto impegnativo – così mi è stato detto dalle dogane – fare questa attività, è tecnicamente possibile monitorare i flussi dalla sala di regia dell'antifrode.
  Il problema è che questo non si può fare su tutti i flussi. Bisognerebbe capire se c’è un metodo di tracciabilità, ancorché l'olio provenga dall'area comunitaria, che consenta una trasparenza e capire in tempo reale se sta partendo da Barcellona o da un porto greco una nave carica di olio ed eventualmente fermarla. La trasparenza dei flussi è indispensabile, sicuramente.
  Quanto alla media ponderata, più in generale va detto, sul ricorso alla miscelazione, dal momento che il discorso della media ponderata presuppone un'analisi della tecnica della miscelazione, che la disciplina comunitaria non esclude l'impiego di sottopartite di olio.
  Il punto è che la miscelazione oppure l'assemblaggio sono possibili soltanto tra olii costituenti di per sé masse già conformi alla normativa vigente e appartenenti alla stessa classe merceologica. La miscelazione è consentita in questi limiti e, pertanto, diviene illecita quando le partite iniziali, o alcune di queste partite iniziali, che vanno a costituire la massa finale di olio, non possiedono le caratteristiche legali prescritte dalla vigente normativa.
  Per esempio, se si utilizza il lampante, che è olio non edibile come tale e, quindi, non utilizzabile per il consumo umano, in una percentuale tra l'8 e il 20 per cento, in percentuali basse, o se si utilizzano altri prodotti cosiddetti «lampantini», ossia oli al limite, che sono molti vicini, come livelli, a degenerare nella categoria merceologica inferiore, in percentuali mirate calcolate aritmeticamente dai software specializzati, le analisi non ce lo dimostrano.
  Più o meno ci dicono i tecnici che sotto il 30 per cento i tagli non si vedono. Dobbiamo avere a che fare con tagli macroscopici, ma non è questo il caso, ripeto, salvo casi clamorosi. Quando i tagli sono minimi, il discorso è quello della media ponderata. Il software gestisce i serbatoi 1, 2, 7, 8, 10 e 12 con dei costanti parametri di acidità presi in tempo reale. Il computer li elabora e li miscela in maniera tale che il prodotto finale venga con lo 0,3 per cento di acidità. È chiaro che, con questo sistema della media ponderata, o intervengo prima, o li sento, perché capisco qual è il metodo, altrimenti dal prodotto finale non ottengo niente.
  Sui panel test vale lo stesso discorso. Questo è ciò che mi riferiscono i tecnici, perché ovviamente l'esperienza nostra è veicolata dalle informazioni che ci trasmettono la polizia giudiziaria specializzata e i nostri consulenti, che diventano poi patrimonio anche del magistrato che ha indagato.Pag. 15
  O abbiamo un impiego di sottopartite di olio spagnolo notevole, per cui, avendo l'olio spagnolo un sapore tipico molto marcato all'assaggio, questo si sente, oppure il panel test avrà un esito favorevole. Peraltro, è una prova processualmente molto critica, perché è una prova limitata alla valutazione, ancorché tecnica, di soggetti, per quanto specializzati. Se fosse solo questo l'elemento accusatorio che un PM può portare a un giudice, sarebbe molto facilmente attaccabile, perché è una prova critica, essendo solo un assaggio. È meno critica la prova analitica.
  Peraltro, accade spesso che il panel test vada in prima e seconda revisione e non è infrequente che tra i due giudizi ci siano pareri contrastanti sullo stesso campione. Questo è un elemento che fa gioco alle difese per contestare la validità della prova del panel test.
  Da questo punto di vista, nel momento in cui abbiamo una legge che finalmente disciplina, come ha fatto la legge n. 9 del 2013, la metodologia dell'analisi sensoriale, questa è sicuramente una garanzia. A quel punto, espone già quella prova a elementi di certezza sulla composizione, nonché al divieto di fumare e a tutta una serie di regole che prima non c'erano e che finalmente abbiamo.
  Rimane, però, il problema dell'intrinseca criticità della prova di per sé, come è critica, per esempio, la prova del riconoscimento di persona. Ci sono delle prove che nel processo penale sono critiche comunque e che rimarranno tali. Immagino che le resistenze su quel tipo di norma, quella del panel test, derivino dal fatto che sicuramente più regole si introducono per regolare quel tipo di prova, più spazi si tolgono alle difese. Immagino che sia questa la ragione, ma è un'interpretazione personale.
  Il SIAN funziona. Fornisco una risposta secca e telegrafica. Per quanto riguarda la mia esperienza, il SIAN funziona. Il problema è che non funziona se poi ci si immettono dati falsi. Tuttavia, è uno strumento formidabile. A noi ha consentito in tempo reale di effettuare confronti. Con le telematiche vedevamo i flussi reali e quello del SIAN e abbiamo potuto provare, ripeto, chilo per chilo l'olio che veniva commercializzato e frodato.
  L'altro problema – questo è l'altro suggerimento che rivolgo alla Commissione – è capire, se si falsifica il SIAN, che reato scatta. Io contesto il 484, ma c’è un grosso problema di tipicità penale, perché il 484 è un falso che si applica soltanto a chi fa le notifiche nei confronti dell'autorità di polizia. O si cambia il 484 e ci si mette qualunque altra autorità, oppure questo diventa un problema di tipicità, perché si potrebbe dire che il Ministero dell'agricoltura non è autorità di polizia e che, quindi, il falso nel SIAN non è un 484, bensì una parentesi.
  Occorrerebbe una funzione certificatoria. Si potrebbe, al limite, ragionare su un'altra fattispecie.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora il dottor Natalini.
  Mi permetto – è una considerazione che faccio a me stesso e ai colleghi – prima di passare la parola al dottor Savasta, di ricordare a tutti noi che ci muoviamo oggi in un perimetro di problematiche che sono al di fuori della contraffazione in senso tecnico, tant’è vero che oggi abbiamo evocato il 515, ossia la frode in commercio. Non siamo sul terreno originario della contraffazione, ai sensi degli articoli 473 e 474, perché non c’è, in una situazione come questa, un abuso del marchio o del brevetto, o comunque una violazione dei titoli della proprietà industriale.
  Preciso questo non per togliere importanza alla problematica, anzi, al contrario, per ricordare a tutti noi che, in realtà, tutta la sfera dell'agroalimentare in larga parte si muove fuori dalla problematica della contraffazione in senso tecnico, quella del 473 e 474, e che, quindi, va affrontata in un'ottica leggermente diversa. Questo sarà oggetto di ulteriori nostre discussioni in altra sede, ma faceva piacere a me, dopo aver sentito il dottor Natalini, ricordarlo.
  Prego ora il dottor Savasta di procedere allo stesso modo, ossia, in primis, di illustrarci, Pag. 16nel modo che riterrà, la sua esperienza sull'attività investigativa e poi, a seguire, di svolgere tutte le considerazioni di ordine giuridico sulla normativa vigente e su come dovrebbe eventualmente evolvere che ritenesse di dover formulare.

  ANTONIO SAVASTA, Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani. Io partirei effettivamente da quest'ultima considerazione che è stata fatta. Il problema della tutela delle produzioni autoctone italiane e, quindi, del made in Italy, se vogliamo esprimerci in generale, si sta traducendo, almeno per l'esperienza dell'Italia meridionale, in uno dei più grossi problemi non assolutamente affrontati, che è quello di determinare, attraverso questo sistema di frode, un depauperamento delle ricchezze economiche di quelle regioni.
  Mi riferisco soprattutto a un discorso. Oltre alle frodi intese come adulterazione e come prodotto non genuino, per le quali tutte le problematiche del collega hanno grande rilevanza, c’è una novità: l'Università di Bari ha approntato un sistema di rilevamento del DNA degli oli, chiamato RNM, cioè praticamente Risonanza magnetica nucleare, che va a tipizzare proprio le specificità autoctone dei vari tipi di alberi dell'olio d'oliva e a determinare il genoma di ciascuna produzione.
  Questo, nel seguito di quanto vi dirò, potrebbe avere una grossa importanza, perché la tipizzazione dei genomi nelle produzioni, trattandosi di biodiversità, consente poi una tipizzazione di tabelle delle rese, il che, secondo noi, è un fatto fondamentale per superare tutte le frodi in materia di false fatturazioni, un altro grande danno che si determina.
  Mi riferisco all'immissione nel territorio italiano di enormi quantitativi di prodotti – parliamo di olio, ma potremmo parlare anche di grano, di vino o altro – che vengono immessi e fatti passare per made in Italy attraverso il giro delle false fatturazioni. Questa è una grossa piaga del sistema, che ha determinato due grosse problematiche.
  La falsa fatturazione che cosa fa ? Determina l'inoltro nel nostro Paese di enormi quantitativi di olive e di oli d'oliva di origine comunitaria o extracomunitaria, diventata poi comunitaria attraverso delle triangolazioni: olive algerine che vanno in Spagna diventano oliva comunitaria, l'oliva comunitaria entra in Italia e si utilizzano poi le false fatturazioni provenienti da territori da cui ormai non si coltiva più l'olivo, se non a livello di forestale.
  In tali zone l'olivo è diventato un elemento decorativo. Cosa fanno questi contadini ? È molto più conveniente fare la falsa fatturazione e prendere il premio. Loro non attuano più le pratiche agricole che si facevano una volta.
  C’è un grossissimo problema, che è diventato anche ambientale da noi. Il problema principale è che, non coltivando più secondo le pratiche agrarie gli oliveti, perché è più conveniente fare la falsa fatturazione, che va a dare il supporto documentale all'immissione di questo olio di provenienza non italiana, le piante si sono inselvatichite.
  Abbiamo, quindi, il dramma del Salento, la famosa Xylella fastidiosa. Interi territori sono stati devastati da questa piaga, che deriva dal fatto che in quelle zone non si fa più la potatura, perché non conviene più. Il prodotto non si riesce più a vendere sul mercato, mentre viene immesso un enorme quantitativo di olio d'oliva a basso costo, che però viene fatto risultare come olio extravergine d'oliva. Dalla Calabria e dal Salento arrivano praticamente fatturazioni di olio d'oliva, addirittura biologico, che vanno a dare copertura a questi oli di provenienza straniera. Questo è un fenomeno drammatico.
  Il fenomeno diventa anche un fenomeno di carattere sociale, perché incide sul discorso dell'economia di un territorio, ma alla fine anche sul territorio stesso, che perde il suo rapporto con quelle produzioni: per esempio, la coltura dell'olivo diventa meno conveniente. Al posto dell'olivo noi stiamo vedendo la distruzione di interi habitat, dove sono stati sistemati pannelli solari, che sono molto Pag. 17più convenienti rispetto alla produzione dell'olivo. Così perdiamo in qualità e in carattere autoctono delle produzioni.
  Su questo punto io vorrei fornire un suggerimento, perché forse la disciplina è piuttosto carente. Devo ritenere sicuramente che gli strumenti siano ormai adeguati. Mi riferisco alle modalità, ai sequestri, alle azioni e alla possibilità di intervenire. Parleremo poi del discorso dell'etichettatura e del concetto del made in Italy inteso come marchio e come segno distintivo.
  Gli strumenti ci sono, dunque, è inutile negarlo, in materia di oliva ancora di più che in altri campi alimentari, dove forse ci sono altri interessi economici a evitare che questa normativa venga estesa ad altri settori dell'agroalimentare. Un dato, però, è importante: se non prevediamo un sistema di tipizzazione della resa dei fondi in relazione alle produzioni, noi avremo sempre la piaga della sovrafatturazione.
  Noi sappiamo benissimo, lo sanno tutti, che un'oliva Coratina può avere una produzione al massimo di un tot di quintali anche nelle stagioni migliori. Se noi non abbiamo una tipizzazione della resa di questi prodotti, potremo fatturare cento volte di più rispetto alla produzione e, di conseguenza, anche frodare in termini di quota, di premio e di commercializzazione.
  Che succede ? Questo surplus di falsa fatturazione viene venduto all'interno, nel mercato italiano, per esempio in Toscana, ma anche utilizzando gli oli stranieri. Il soggetto fraudolento chiede immediatamente: «Quanto hai di fattura falsa ? Mi è arrivato dall'Algeria un quantitativo di olio che devo far risultare come olio pugliese». Scusate la terminologia, ma il caso è molto concreto. Questo è un grosso problema. Come si elimina questo problema ?
  È semplice. Sono due i modi. Li illustro molto velocemente. Uno è tipizzare le rese di produzione attraverso dei registri specifici, anche con circolari ministeriali che vanno a determinare, anche attraverso consorzi, i prezzi minimi e massimi, sia per la resa, sia per i valori. Questo aiuterebbe anche il mercato interno e renderebbe conveniente la produzione dell'olivo.
  Il secondo metodo è monitorare il sistema dei trasporti. Mentre per l'uva da vino è stato inventato l'ottimo sistema del DOCO, ossia la certificazione nei trasporti, in materia di olio di oliva questo non c’è. Un vettore può andare in Toscana, portare olive pugliesi e, giungendo a destinazione, strappare la bolla. In tal modo quelle olive diventano toscane.
  Finché si tratta di produzione italiana, poco male, va bene il made in Italy, ma chiaramente questo si traduce in una problematica di tutela del consumo, perché il consumatore deve sapere, e qui entriamo nel discorso che l'Europa vuole da noi, se spende di più, se la tale bottiglia contiene un olio toscano, pugliese, spagnolo, greco o algerino. Se voglio risparmiare lo decido io, non devo essere frodato da alcuni tipi di comportamento.
  In merito, è fondamentale intervenire a livello normativo. Se riusciamo a monitorare i vettori e, quindi, le modalità di trasporto con un sistema di documentazione certificata che ci consenta di ricostruire i passaggi, se riusciamo a determinare, attraverso dei registri o delle normative che stabiliscano le rese minime e massime, con un range minimo e massimo, riusciamo a controllare questo mercato ed evitare la convenienza della falsa fatturazione.
  La falsa fatturazione oggi da noi ha determinato grandi guasti, perché ci sono interi territori che sono stati abbandonati, ma che di fatto, formalmente, risultano come produttori, mentre in realtà non producono più niente. L'olivo è in simbiosi con l'uomo, come gli animali. L'olivo vive dell'intervento umano. Se questo intervento umano non c’è più, l'ulivo deperisce e perde il suo carattere domestico e le sue qualità. Noi stiamo rischiando di perdere questo importante elemento.
  Come esperienza noi abbiamo potuto accertare che – e questo è un fenomeno piuttosto esteso – da noi ci sono dei grossisti, che operano soprattutto nel territorio di Andria e del Nord barese, che Pag. 18acquistano ingenti quantitativi di olio d'oliva proveniente da Paesi sia comunitari, sia extracomunitari e che poi utilizzano fatture false provenienti dalla Calabria e dalla Puglia meridionale per far risultare tali prodotti come oli italiani o biologici.
  Ciò determina, nella fase finale dell'etichettatura e nell'ambito della filiera, la commercializzazione di oli che non sono italiani e che hanno distrutto il mercato, perché determinano anche concorrenza sleale. Il contadino non riesce più a vendere, deve svendere il prodotto e, quindi, il guasto è anche economico.
  Quest'attività ha portato anche a ulteriori accertamenti. Oltre a tutta l'attività di sofisticazione di oli lampanti che sono stati trattati e utilizzati per l'inscatolamento di tonni o di altro, o di oli d'oliva che, in realtà di provenienza, in genere, dai Paesi del Maghreb o comunque dalla Spagna, venivano adoperati e falsamente fatturati, abbiamo rilevato anche un altro importante problema, quello di una serie di frodi a catena delle filiere che partono dalla Puglia, giungono in Umbria e arrivano in Toscana e in Liguria, facendo risultare italiani oli che, in realtà, non hanno origine italiana. Questo è un grosso danno al sistema Italia come made in Italy.
  Giungendo all'ultimo problema, che è quello dell'etichettatura, un problema piuttosto importante, la nostra battaglia parte da un punto di vista generale. Parliamo di prodotto agroalimentare, ma questo vale anche per l'olio extravergine d'oliva.
  La Comunità europea, come voi ben sapete, ci ha sottoposto a un inizio di procedura d'infrazione e ha chiesto informazioni sul perché la nostra normativa consideri come prodotto fatto in Italia quello che per origine e trasformazione ha la sua genesi in Italia. Secondo le norme comunitarie, come ben sapete, la regola è quella dell'ultima trasformazione, per cui possono esserci prodotti alimentari che provengono da altre realtà, ma, se il prodotto è trasformato nell'ultima fabbrica italiana, il prodotto si intende italiano. Questo discorso cozza in maniera violenta con tutta la disciplina che va a tutelare l'origine e tutta la filiera nella produzione italiana.
  Qual è il nostro campo di battaglia ? se vogliamo chiamarlo così. Noi abbiamo fatto un distinguo giuridico molto importante, suffragato anche da alcune sentenze della giurisprudenza comunitaria. Addirittura l'hanno applicato in Olanda, ma l'ha riconosciuto anche la Cassazione: dobbiamo distinguere in maniera importante tutto ciò che attiene alla produzione rispetto alle norme a tutela del consumo e, in particolare, a quelle norme di ordine pubblico che determinano la tutela del marchio, ossia del segno distintivo.
  Quando noi parliamo di segno distintivo mendace, parliamo di qualcosa che non attiene alla produzione, ma alla tutela del consumo. Infatti, a fronte della richiesta fatta dall'Unione europea, noi, attraverso la repressione frodi, abbiamo fornito delle risposte. Anche il ministero ha risposto al riguardo e ha detto che noi con queste norme non vogliamo solo tutelare ex se la produzione. Il nostro obiettivo è la tutela del consumatore. La Comunità europea ha chiesto di fornire dimostrazione di ciò in cui l'uso distorto o fallace del segno distintivo determina confusione nei confronti del consumatore europeo in generale.
  La risposta da parte nostra è semplicemente la seguente: se si usa un elemento raffigurativo che determina il rapporto tra territorio e produzione – in questo va inserita la famosissima bandierina del made in Italy – questo rapporto determina automaticamente l'obbligo da parte di chi vende questo prodotto stesso di garantire l'autenticità anche nella fase genetica del prodotto stesso e, quindi, l'origine italiana.
  Se il prodotto non presenta queste caratteristiche, ben si può scrivere «made in Italy», ma l'uso del segno distintivo, che può essere la bandierina, il trullo pugliese o il giglio di Firenze, non può essere effettuato. Questi elementi possono essere utilizzati solo in conformità della norma, ai sensi degli articoli 4, 49 e 49-bis della legge n. 350 del 2003. Il segno distintivo Pag. 19deve essere riferito esclusivamente a prodotti che hanno filiera unica italiana.
  Pertanto, l'elemento distintivo non è più in violazione della normativa comunitaria. Noi andiamo, quindi, a contrastare la regola generale dell'ultima trasformazione, che è il sacrosanto principio dell'Unione europea, sostenendo che, per l'ordine pubblico e per il consumo, si deve tutelare il marchio del made in Italy e che il marchio del made in Italy si tutela attraverso il segno distintivo.
  Occorrono una regolamentazione dell'uso del segno distintivo e una creazione di sanzioni di carattere anche penale rapportate all'ipotesi di frode in commercio. In questo caso parliamo non di sofisticazione o di adulterazione, né di vendita di cosa non genuina. Parliamo di frode in commercio perché si danneggia il consumatore nella fase della sua libera scelta di acquistare un bene in un supermercato. È un comportamento valutato dal punto di vista del consumo.
  Facendo questo distinguo, noi salviamo capra e cavoli: ci uniformiamo alla normativa europea, ma siamo liberi di determinare delle regole attraverso l'uso del segno distintivo, che non deve essere fallace. Non danneggiamo così il produttore, né la produzione, sia pure industriale, in alcuni casi, ma tuteliamo il consumatore. L'ottica è completamente diversa.
  Concordo con tutti i suggerimenti forniti dall'ottimo collega, con cui abbiamo anche instaurato dei collegamenti investigativi, perché abbiamo svolto varie attività cercando di stroncare questo fenomeno dalla Puglia alla Liguria. L'effetto c’è stato, ve lo possiamo dire. In Puglia finalmente le bottiglie di olio d'oliva sono state vendute a prezzi congrui. Per il primo anno evidentemente la paura di acquistare oli di altra origine ha portato i grossisti a essere tutti bravi e a non comprare più questi oli particolari. Alla fine, quindi, l'olio è stato venduto a 8 euro, il valore effettivo che consente al produttore, a chi coltiva l'oliveto, di avere un minimo ricavo.
  Sottoscrivo tutti i suggerimenti ottimi del collega, rispetto ai quali non posso che aderire su tutto. Vorrei, però, evidenziare un aspetto: noi siamo costretti, per poter applicare le misure personali, a rubricare un'associazione a delinquere, altrimenti non si fa nulla. Se noi non riusciamo a dimostrare il sodalizio criminoso del 416, le misure cautelari personali ce le possiamo scordare. Da questo punto di vista non è possibile applicarle.
  La funzione deterrente della misura personale è importante. Vanno bene i sequestri, vanno bene le confische. Indubbiamente il sequestro per equivalente è un'ottima arma. Noi, però, dobbiamo colpire anche dal punto di vista dell'organizzazione e, quindi, eliminare dal mercato il grossista non sano, attraverso delle misure. Le misure cautelari personali sono, purtroppo, collegate all'ipotesi del sodalizio ex articolo 416. Pertanto, una modifica in materia di frode in commercio e di adulterazione andrebbe vista in questo ambito.
  Io suggerisco anche, però, che in questo alveo di responsabilità vadano inseriti anche soggetti terzi. Come ho detto, il fatto che non c’è certificazione del trasporto, perché non c’è responsabilità del vettore, è un problema. Occorrerebbe prevedere proprio una chiosa di una fattispecie nella quale si definisca che risponde di reati, commisurati poi a seconda della gravità. Chiunque agevoli o si adoperi consapevolmente nell'attività fraudolenta nell'ambito della commercializzazione e produzione di beni destinati all'alimentazione attraverso la predisposizione di mezzi, l'uso di documentazione falsa, ivi comprese le false fatturazioni, e attività agevolative, anche se fornite in forma non associata, può determinare una responsabilità di natura penale che non si limiti a piccoli reati di importanza minore, ma che ne coinvolga anche altri.
  Queste organizzazioni non vivono soltanto della loro struttura. Vivono anche attraverso l'utilizzo di vettori e di frantoi compiacenti, che si fanno fatturare quantitativi superiori per poi vendere. C’è un mercato di fatture fittizie ad altri soggetti come fatture di copertura. Bisogna inserire quei soggetti terzi o di straforo rispetto alla filiera produttiva, che vanno Pag. 20coinvolti in quanto agevolanti o favorenti l'attività criminosa, senza andarci a scervellare sull’extraneus nel reato associativo, quando poi ci viene pure meno l'associazione a delinquere.
  Ci sono stati dei casi in cui il riesame ha liberato alcuni soggetti dicendo che c'erano i reati e riconoscendo le frodi, ma che non c'era il 416, perché non si riusciva a dimostrare il rapporto del sodalizio criminale, che è molto più complesso. L'associazione a delinquere ha le sue regole, che non sono sempre coincidenti. Di qui deriva la necessità di una sorta di ex 53-bis, cioè di un'organizzazione che ha altre sue tipicità, che non è quella di criminali in senso tout-court, ma di criminali organizzati nell'ambito commerciale, ossia un altro tipo di associazione.
  Questi soggetti, venendo meno il 416, si liberano tutti. Nessuno viene più sottoposto a un discorso di carattere personale. Pertanto, si deve contestare il solito reato di frode in commercio, che alla fine, per prescrizione o per reati di questo genere, lascia il tempo che trova. Per avere un'attività incisiva in tal senso occorre prevedere un'ipotesi associativa in questo ambito specialistico, includendo soggetti che fanno parte della filiera anche in forma indiretta, agevolante o adoperante.
  Va poi rivista la disciplina documentale, che in particolare in materia di trasporto sia più chiara, più pregnante, più certificatoria, come può essere non la normale bolla di accompagnamento, ma una bolla certificata con lo stesso sistema del DOCO che avviene per l'uva da vino.
  Infine, occorre una regolamentazione delle rese da cui non si scampa. Se un terreno può produrre con oliva Coratina al massimo 50 chili per ogni ettaro, a questo punto, se c’è una fattura da 300 chili, è chiaro che c’è la falsa fatturazione. Così non se ne escono. Sarebbe molto più semplice monitorare e colpire questo fenomeno.
  Andando a regolamentare questi tre elementi, occorre sicuramente una lotta incisiva, unitamente allo sforzo normativo lodevole che c’è stato e alle attività della PG. La repressione frodi, i Carabinieri e la stessa finanza già intervengono e sentono questa tutela del made in Italy. Su questo ci giochiamo la nostra economia per tutto l'avvenire. Sull'agroalimentare giochiamo il nostro futuro.
  Le forze dell'ordine sentono questo discorso e capiscono come sia importante mettere dei paletti, altrimenti il nostro mercato verrà spazzato dalla globalizzazione. Salviamo il discorso delle nostre produzioni autoctone perché salviamo le biodiversità. Salviamo le nostre qualità e salviamo il territorio. Se non si interviene, anche il nostro territorio ne verrà compromesso a livello ambientale.
  Questa è, in generale, l'esperienza territoriale.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Savasta. Sono certo che ci saranno, anche in questo caso, diverse domande.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FILIPPO GALLINELLA. Dottor Savasta, la ringrazio innanzitutto di alcune conferme a dei sospetti che avevo. Da quando abbiamo cominciato questa indagine anticontraffazione noi ci siamo documentati su alcune questioni. Chiaramente, visto che si parla di quantità voluminose, solitamente questi trasporti avverranno dai porti. Non so se sia possibile effettuare il monitoraggio delle navi insieme alla Guardia costiera. Noi sappiamo che l'Italia è deficitaria di olio e che, quindi, lo deve necessariamente comprare. Il problema non è che non deve comprare olio. Il problema è imbrogliare chi lo compra. Questo è evidente.
  Quanto alle navi che partono, si può sospettare una nave che parte con una cisterna d'olio. Poi magari è tutto regolare. Non so se avete mai pensato di agire in questa maniera. Mi domandavo se fosse fattibile o meno monitorare proprio i mezzi e i vettori di trasporto che riforniscono prevalentemente l'Italia. Da lì poi magari si può scendere piuttosto che risalire dal distributore finale.
  Inoltre, volevo sapere se era di vostra conoscenza una questione, ossia se la Pag. 21frode sull'olio avviene di più presso la vendita della bottiglia al supermercato o nell'olio che viene usato dall'industria di trasformazione. Penso a scatolette o a dolciumi.
  Anche lì, chiaramente, io leggo l'etichetta. Se è usato olio d'oliva extravergine, è un conto. È un altro conto, invece, se vado a comprare una bottiglia al supermercato. In proporzione volevo sapere qual è la strada in cui il fenomeno contraffattivo di falsificazione è più evidente, se a livello di trasformazione industriale o di bottiglia che arriva all'utente finale e se vi è capitato nel vostro lavoro – voi avete parlato di tanti soggetti compiacenti – di trovare anche la grande distribuzione compiacente. Il vettore più grosso, almeno per quanto riguarda il commercio, è la grande distribuzione. Mi domando se ci siano catene che consapevolmente compiono queste frodi.
  Sulle rese è sicuramente fondamentale agire, ma bisogna lavorare, io penso, su vari livelli. A me viene in mente che con il satellite si può vedere un uliveto potato piuttosto che non potato. Penso che sia un po’ più complesso agire tecnicamente in questo campo, ma occorre lavorarci sicuramente.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Savasta per la replica.

  ANTONIO SAVASTA, Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani. Io vorrei osservare, partendo dalla resa, che tutta questa materia viene piuttosto ben regolamentata. Spesso intervengono i Consorzi del DOP. Purtroppo anche lì c’è molto da vedere e da indagare da questo punto di vista.
  Il problema della resa è fondamentale, perché, a prescindere da quanti alberi si hanno, si sa che quei terreni, quei suoli, producono tot. A seconda delle stagioni ci può essere un range di un minimo e di un massimo, ma non si può andare oltre.
  La resa è una questione molto importante. Questo è detto proprio dai produttori, da chi produce. Con la resa si bloccano le frodi, perché si sa benissimo che un terreno che produce un dato tipo di olive anche nella migliore delle stagioni può arrivare a fatturare tot euro, tot quantitativi, e non di più. Se ci sono fatture con doppio o triplo quantitativo rispetto a questo, vuol dire che è tutto fittizio, anche se si sono contati 100.000 alberi. Questo è un primo dato.
  Noi abbiamo notato che il fenomeno è piuttosto diffuso anche nell'ambito della produzione. Spesso, con riferimento a taralli pugliesi con olio extravergine d'oliva pugliese, si è scoperto che quell'olio utilizzato non era extravergine d'oliva pugliese, ma al più un olio d'oliva di provenienza non conosciuta. Effettivamente questo fenomeno è molto diffuso anche nella produzione e non solo nella bottiglia.
  Quanto al ruolo del supermercato o dell'ipermercato, per l'ipermercato ciò che è importante è l'etichetta. Comprano olio con l'etichetta e con la bandierina bianca, rossa e verde o con scritto made in Italy. Poco interessa a loro, nonostante lo sappiano bene, che una bottiglia di olio non può costare 3 euro. Lo sanno, chiaramente, ma per loro l'importante è che le carte siano a posto.
  Prima di giungere a questa fase bisogna intervenire in radice. Se noi regolamentiamo il fenomeno della nostra produzione, sapremo bene qual è l'olio nostro e come monitorare tutti gli effetti di falsa fatturazione che determina la frode in commercio. Sapendo delle rese e delle qualità, non sarà mai possibile che un olio venga venduto all'ingrosso a 2,50 e in bottiglia a 3 euro. Non esiste olio extravergine d'oliva a 3 euro. Non ci si sta con i costi. Eppure fino a qualche tempo fa, e anche adesso, ce ne sono in giro quantitativi enormi.
  Da qui, però, a dire che c’è una responsabilità dell'acquirente ultimo ce ne vuole, perché è proprio il sistema a essere sbagliato. In questo sistema bisognerebbe intervenire a livello normativo per evitare poi di accampare scuse, del tipo «ciò che sta sulla carta per me va bene». Questo è un problema. Soltanto attraverso la regolamentazione Pag. 22di questo fattore si può intervenire sulla grossa distribuzione.
  Ribadisco che effettivamente noi abbiamo rilevato anche parecchi prodotti sott'olio. La Puglia e la Calabria sono famose per queste produzioni. Molte di queste erano addirittura spacciate per produzioni biologiche, ma si è rilevato che non si trattava di olio biologico. In questo settore è più facile fare l'accertamento. Basta prendere il campioncino dalla bottiglietta e rilevare che il contenuto non è biologico.
  Esiste, dunque, questo fenomeno nelle produzioni che vengono poi vendute all'estero come prodotto di qualità italiano, e invece non lo è. Questa è la problematica da questo punto di vista.
  Il tema delle navi è importante ed è un'esperienza che abbiamo avuto anche con il grano, per la verità. Il sistema attuale, secondo le direttive comunitarie, è un sistema a campione, che prevede controlli in base non ai lotti, ma alle partite. Se io ho fatto arrivare cinque navi piene di olio d'oliva o cinque navi di grano – vale per tutti la stessa regola – la campionatura viene fatta su una nave, la prima che arriva, e tutte le altre passano, perché la partita è stata analizzata. Non so se ho reso l'idea.
  Per poter fare l'ulteriore «vivisezione» del carico secondo lotti, purtroppo non abbiamo né gli strumenti tecnici, né la normativa che ci consente il monitoraggio. Qualsiasi sistema cade nei dibattimenti, perché sono tutti sistemi empirici. Come si fa a monitorare un silos che può essere grande quanto un palazzo di cinque piani ? Bisogna inventarsi delle tipologie, ma qualsiasi tipologia, purtroppo, non dà la certezza né delle contaminazioni, né del prodotto che ha una qualità inferiore. Molto spesso, soprattutto nelle navi a tenuta stagna, ci sono determinati punti superiori che sono di oli buoni o di grano buono e, a mano a mano, negli strati inferiori, la qualità diminuisce. Il monitoraggio non può scendere tanti metri sotto.
  C’è anche un problema normativo sulle modalità di campionamento dell'arrivo di questi mezzi ai porti. I vettori, non avendo la certificazione, possono far passare quello che vogliono. È un po’ su questo punto, sulla normativa doganale e sulle modalità di sdoganamento e di campionatura, che va fatta qualche modifica, visto che è interesse di tutti i Paesi comunitari avere prodotti che, dal punto di vista alimentare, presentino i caratteri della genuinità e della qualità richiesti.
  Questo è un punto su cui anche l'Unione europea è interessata, ma bisogna attrezzarsi con normative accettabili, come quella che noi abbiamo fatto per l'olio extravergine d'oliva, ossia normative serie, che possano risolvere queste problematiche.

  FILIPPO GALLINELLA. Quanto può essere utile indicare obbligatoriamente – al momento, è una facoltà dello Stato membro – in etichetta la data di raccolta ?

  ANTONIO SAVASTA, Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani. Io credo che il primo passo importante sia già quello di imporre, a prescindere dal concetto di made in Italy o meno, l'etichettatura rappresentativa solo quando le produzioni sono autoctone, cioè di origine italiana.
  Sulla raccolta entriamo in un altro discorso, se parliamo dell'ulivo. Non tutti gli ulivi hanno la stessa data: non tutti gli ulivi hanno la stessa maturazione. A volte il registro SIAN – è questo il punto – non è particolarmente in sintonia con le produzioni. A volte, poiché il sistema è settimanale, si riesce a giocare sulle settimane per fare delle dichiarazioni diverse rispetto a quelle reali, perché le maturazioni possono essere di diverso momento e di diversa epoca.
  Una raccolta in senso lato non esiste come data, perché ogni regione ha il suo livello di maturazione e le sue caratteristiche, ma, rapportata al segno distintivo, può avere una sua rilevanza. Se prendiamo un olio toscano, sappiamo benissimo che l'olio toscano ha una maturazione un po’ più tardiva rispetto all'olio pugliese, per via di un fattore climatico. Se io uso il giglio toscano e dico che la Pag. 23raccolta è quella nel periodo previsto, ho una veridicità nel rapporto tra etichettatura e data di raccolta o di produzione.
  Questo dato, ove non effettivamente esplicitato, può comportare il comportamento fraudolento, perché, a quel punto, significa che le olive sono state prese dalla Calabria o dalla Puglia e che è stato venduto un olio toscano che, in realtà, non ha niente di toscano, se non il distintivo. Questo può essere importante sicuramente da questo punto di vista.

  COLOMBA MONGIELLO. Dottor Savasta, io ho apprezzato molto il suo intervento, perché parte da un punto che condivido: il diritto del consumatore a essere informato. Io credo che sia questa la modifica legislativa che ciascun legislatore deve tenere a mente.
  È cambiato, secondo me, anche l'approccio al sistema nel considerare alcuni reati e soprattutto alcuni argomenti. Lo dicevo prima col dottor Natalini: l'approccio è cambiato tantissimo negli ultimi vent'anni. Devo dire che anche le nostre norme avrebbero forse bisogno di un lifting particolare, legato anche a nuovi fenomeni.
  Questa Commissione sta adesso considerando tutto il sistema via web. Anche quello è un discorso a parte. Abbiamo avviato anche su questo un'altra indagine e stiamo affrontando il problema.
  Riguardo al tema di oggi, lei ha fornito anche altri spunti, insieme al dottor Natalini, che ha parlato prima di lei. Quello del trasporto è un tema che io ho sollevato nella norma sul caporalato che abbiamo introdotto nel Codice penale. Si tratta di una norma che non è stato facile poter inserire e dalla quale è rimasto fuori tutto il tema dei trasporti.
  Anche in quel caso il tema non è stato considerato e non è stato penalizzato. Devo dire che io ne sento la responsabilità, perché si trattava di una legge un po’ più complessa, di cui, però, è stato estrapolato soltanto uno degli articoli. È un grande dispiacere non averla potuta del tutto ridefinire.
  Il tema dei trasporti mi convince moltissimo, perché manca questo pezzo, da cui si sarebbe potuto evincere anche tutto il flusso che ci poteva essere del prodotto.
  Un altro tema è quello delle rese. Penso alla protesta sull'articolo 16 della legge salva-olio, quello sul fascicolo aziendale. Io ricordo tutta la discussione che ci fu in merito a questo articolo, perché era troppo restrittivo, sia per i produttori, sia per i frantoiani. Erano troppi i termini restrittivi della legge nell'ottica di un sistema punitivo. Io, invece, l'avevo considerata nell'ottica di un sistema di trasparenza, perché tutti dobbiamo sapere tutto ciò che si fa lungo la filiera.
  Lei mi porge questo suggerimento, che io accetto. Io sono una che studia e, quindi, studierò il tema.
  Le farei una domanda su un altro punto, ossia sulla normativa doganale. Ha ragione il collega Gallinella su questo aspetto. Lei giustamente dice che noi non andiamo su tutto. Io sono pugliese, come lei. Sappiamo tutti che il grano è un elemento di interesse e conosciamo anche i porti più sensibili. Io spesso ho provato a intervenire, ma non ci sono riuscita, perché mi si risponde sempre allo stesso modo: «Andiamo per campione».
  Io ho chiesto prima al dottor Natalini se non sarebbe efficace che questo sistema, quello dei flussi doganali, venisse reso pubblico. Io devo sapere esattamente cosa entra ed esce da questo Paese. Alcuni Paesi l'hanno fatto. Mi viene in mente la Romania, che ha messo online tutti i flussi doganali. Anch'io, magistrato, che sto compiendo un'inchiesta, posso entrare in questo sistema e in un tempo reale verificare quanto entra e quanto esce.
  Chiedo il vostro aiuto anche in questo senso. Questa è materia di sicurezza alimentare, afferente al Ministero della salute. Parliamo sempre in termini di sicurezza alimentare. Parliamo di aflatossine del grano e di altro. In questo caso, però, poiché io parlo di frode in commercio e di tutto quello che ne deriva, possiamo anche rivedere l'intera normativa, che è rimasta ferma a qualche anno fa ? Ci potete fornire qualche suggerimento ?

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  ANTONIO SAVASTA, Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani. Parliamo tutti e due, io e il collega Natalini, perché sul discorso doganale lui ha affrontato molto l'arrivo nei porti di Livorno, Salerno e Genova. Io dico solo una cosa e poi lascio lo spazio al collega Natalini per tutta la parte doganale.
  Il problema dell'arrivo nel nostro Paese di prodotti che possono presentare problematiche dal punto di vista dell'alimentazione è vero. La contaminazione del cibo richiede effettivamente una revisione della normativa doganale.
  Il sistema a campionatura è, obiettivamente, problematico dal punto di vista sia alimentare, sia fitosanitario. Questa, peraltro, è materia fitosanitaria. Spesso si confonde il discorso dell'alimentazione con il discorso del fitosanitario. Quando entriamo nel mondo del fitosanitario, non c’è praticamente nulla. Anche come personale c’è pochissimo da questo punto di vista. Si dice che il grano e l'olio di oliva sono prodotti derivanti dall'agricoltura, ma si dimentica che sono anche prodotti destinati all'alimentazione.
  Questa normativa in termini di campionamento deve valere sia all'arrivo, sia nello stoccaggio – attenzione – perché, quando vengono stoccati, questi prodotti vengono stoccati in luoghi assolutamente precari dal punto di vista igienico-sanitario. Le olive vengono ammassate in luoghi veramente inquietanti.
  In secondo luogo, non c’è nulla a livello normativo. Il deposito di questa alimentazione non è regolamentato. Un deposito di olive non è soggetto alle regole del normale deposito secondo un discorso di tipo alimentare.
  Il problema, però, è che deve cambiare la normativa europea in materia. In Europa è sacrosanto il principio del campione, perché il campione non va a inficiare la libertà del commercio. Prevedere normative più stringenti in materia di campionamento significa rallentare i porti e la circolazione delle merci.
  Immaginate cosa succederebbe con i grandi carichi. Quanto tempo ci si perderebbe ? Un suggerimento può riguardare la campionatura, che non è molto eseguita, al momento dello sbarco, quando il prodotto viene stoccato su dei camion, ossia nella fase della segmentazione del materiale, del bene.
  In quella fase sui vari mezzi si potrebbero prevedere delle modalità di campionamento che sarebbero molto più efficaci rispetto al campionamento sul grande silos. Basterebbe prevedere una normativa più pedissequa sui vettori – siamo sempre là – affinché possano essere analizzati nei singoli trasporti, dove lo spazio è più definito e, quindi, è più facile riscontrare risultati probanti rispetto a quantitativi molto più rilevanti.
  Per il resto do spazio al collega Natalini, che ha affrontato questo discorso, in quanto ha fatto acquisizioni presso le dogane di Salerno e di Livorno e, quindi, potrebbe dire la sua in maniera molto interessante.

  ALDO NATALINI, Sostituto procuratore della Repubblica di Siena. Il problema doganale l'ho affrontato nell'operazione Arbequino e anche nel seguito Fuente, con il coinvolgimento, come vi dicevo, dell'Agenzia delle dogane e, in particolare, dell'antifrode, che ha una cabina di regia. Tuttavia, questa operazione è stata molto dispendiosa. Credo che solo loro siano stati bloccati in trenta per quest'attività che io chiesi di fare. L'abbiamo potuta fare per una settimana, al massimo dieci giorni, effettuando un monitoraggio. Si è trattato, quindi, di un'attività particolarmente complessa da fare per verificare i flussi in tempo reale, sperando poi che nel periodo che stavamo monitorando ci fossero prodotti che pervenivano dalla Spagna.
  Si è dovuto procedere attraverso un blocco amministrativo, comunque momentaneo, e già qui c’è un problema: se c’è un pubblico ministero, perché occorre il blocco amministrativo ? Perché io non potevo disporre un sequestro di un qualcosa che nemmeno sapevo se fosse partito. Avevo elementi tali per ritenere, sulla base delle intercettazioni, che dovesse arrivare Pag. 25un prodotto dalla Spagna di lì a qualche ora. Potevo avere il sospetto investigativo, ma non potevo disporre un sequestro probatorio di un prodotto che dovevo ancora analizzare.
  A livello penale non si poteva intervenire nemmeno con intercettazioni in atto. L'unica strada era agire di concerto con l'Agenzia delle dogane, in via amministrativa. Le dogane avrebbero poi riferito a me, salvo porsi tutto un problema nel caso in cui ci fosse stata, e in quel caso non c’è stata, un'irregolarità amministrativa. A dibattimento avrebbero contestato il fatto che ci fosse già un PM titolare delle indagini e che questo sequestro amministrativo fosse stato effettuato al di fuori della titolarità di un pubblico ministero.
  Comunque, è stata sperimentata la tecnica di utilizzare lo strumento amministrativo del blocco doganale su merce comunitaria per un periodo molto limitato, sperando di ottenere un risultato che eventualmente fosse reimpiegabile in sede penale, ma è una strada molto in salita, che io ho voluto praticare comunque per evitare di avere falle nel sistema.
  Nella prima indagine non ho avuto una grossa fortuna. Nella seconda, nella Fuente, attraverso i campionamenti effettuati nei porti sul deodorato abbiamo avuto delle positività, dopo che il prodotto era già uscito, effettivamente intervenendo attraverso i trasporti.
  Qual è stata l'obiezione che mi è stata sollevata nelle fasi garantite del riesame ? Il prodotto è stato sequestrato e il sequestro determina una notifica all'indagato e, quindi, una difesa in sede di tribunale del riesame per ottenere il dissequestro. L'obiezione è stata: «Noi quel prodotto l'avremmo rifiutato, se era irregolare».
  Questa era la difesa, ovviamente. Se io intervengo in azienda o trovo il prodotto nel mentre la frode è in essere, lo sequestro e me lo porto via. Diventa difficile che l'azienda possa obiettare. Quando, invece, intervengo ai porti, posso dimostrare che c’è il deodorato, ma, a quel punto, sono debole sull'altro fronte, perché la difesa dell'azienda è che loro sono parte offesa rispetto a questa vicenda: «Grazie, pubblico ministero, che mi hai sequestrato il prodotto. Ci stai tutelando». Poi devi tirare fuori eventualmente, se le hai, le intercettazioni che dimostrano che i due fossero complici.
  Questa è l'altra problematica. Quand'anche riusciamo, in maniera molto dispendiosa, perché non abbiamo il sistema di tracciabilità online che sarebbe molto utile, ad agire attraverso canali di campionamento settoriali per un periodo di tempo molto limitato e mirato nei porti prima che i prodotti arrivino nelle aziende, comunque, anche a fronte di positività sul deodorato, che era un risvolto molto insperato, perché finalmente avevamo elementi per affermare che c'era deodorato, in realtà subentra questo aspetto che investigativamente ci espone a una grossa debolezza, se non abbiamo altri elementi.
  Quand'anche abbiamo attivamente in quella fase altri elementi potremmo anche ritenere non utile doverli palesare. Io potevo avere anche delle intercettazioni, ma magari in quella fase molto embrionale dell'indagine, poteva essere strategicamente non proficuo depositarle al riesame per dimostrare la complessità. A quel punto si pone il problema della possibile difesa.

  ANTONIO SAVASTA, Sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani. Aggiungo un elemento proprio su questo punto, perché forse è dirimente. Un aspetto che manca nella normativa comunitaria è la classificazione merceologica dei vari prodotti alimentari intesi come materie prime. Per esempio, per il grano esiste una generica divisione in categorie, dalla prima alla quinta, in base al valore merceologico.
  Che cosa può aiutare dal punto di vista investigativo ? Nel momento in cui risulta un carico appartenente a una qualità merceologica scadente – il carico ha con sé documentazione che riguarda la categoria dalla prima alla quinta o dalla prima alla dodicesima, ma non su tutto; sul grano questo è stato fatto, ma non sul resto – se qualcuno ha acquistato un quantitativo di Pag. 26categoria merceologica scadente a un prezzo assolutamente concorrenziale, molto basso, e le attività investigative e le intercettazioni dimostrano che fa questo tipo di mercato con la consapevolezza (non dico l'incauto acquisto) di acquistare roba più scadente, il discorso del deodorato può rientrare proprio nel voler acquistare categorie inferiori.
  Si pone il problema del grano, delle famose categorie inferiori, che per l'Italia vengono accettate come categorie alimentari, mentre in Canada sono già considerate mangime. Da noi è così. Bisogna regolamentare questo aspetto.
  Su questo punto voglio aggiungere anche un'altra cosa. Non sempre le analisi fatte con le campionature anche specifiche possono sortire dei risultati. A volte le contaminazioni o gli elementi inquinanti sono di tipo puntiforme. Non funziona come l'acqua, che, una volta che si contamina, è tutta contaminata. Quando si tratta di prodotti che non sono fluidi, ma semifluidi o solidi, la contaminazione può essere di tipo puntiforme, per cui occorre avere anche la fortuna di bloccare la parte contaminata. Ce ne potrebbe essere una accanto che non lo è. Anche in questo caso, quando si tratta di contaminanti puntiformi, va rivista la disciplina, con modalità diverse.

  ALDO NATALINI, Sostituto procuratore della Repubblica di Siena. C’è proprio un problema a monte che mi è venuto in mente sulla base di quello che diceva il collega: ancora oggi non abbiamo una normativa, se non relegata nelle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale, su come effettuare analisi che abbiano valenza processual-penale.
  Questo è un problema enorme. Ancora oggi c’è una norma, il decreto legislativo n. 220 – vado a memoria – che è l'unica delle disposizioni di attuazione che regola come effettuare i prelevamenti e i campionamenti con le modalità garantite.
  È una norma, però, scritta vent'anni fa. Da allora è cambiato il mondo. Ancora oggi quella norma crea tutta una serie di contenziosi in fase di riesame e in Cassazione. È una norma molto fragile. Questo è fondamentale.
  Potremmo ragionare quanto vogliamo su qualunque prodotto debba essere campionato, anche già sotto l'egida del PM. Non sto qui a discutere se debba prima occuparsene la polizia amministrativa, che poi cambia berretto e diventa polizia giudiziaria, ma, anche quando c’è già il pubblico ministero titolare delle indagini che dispone le metodiche di campionamento da effettuare con determinate regole, quella norma è assolutamente insufficiente ad oggi. Questo lo dicono tutti, anche la dottrina è d'accordo. Persino sui rifiuti abbiamo ancora grosse difficoltà. Forse questa potrebbe essere l'occasione per rivedere anche questo tipo di previsione.
  Quando io ho fatto i prelevamenti in azienda su questa materia, ho stilato un mio protocollo – l'ho creato io con la polizia giudiziaria specializzata – di 20 pagine su come campionare ogni cisterna, su ogni aliquota e su ogni profondità, mettendo centimetro per centimetro, per evitare che in dibattimento mi obiettassero che avevo preso il punto più contaminato e che avrei potuto prenderne un altro.
  Questo era un protocollo che mi sono inventato io, tratto dalla normativa e comunque predeterminato. Tuttavia, non possiamo andare avanti con protocolli delle singole procure. Probabilmente anche questo, come strumento di carattere generale nel Codice di procedura penale su tutti i campionamenti, andrebbe rivisto, ma vale anche per i rifiuti e per i prelievi che possono fare l'ARPA e la polizia amministrativa. Vale su tutto in merito a come prelevare le aliquote, altrimenti si deve ricorrere a tutta una serie di normative sotto-ordinate che poi, però, in realtà, non sono conciliabili con le esigenze di garanzia.
  Spesso, infatti, queste sono normative di rango amministrativo, che possono entrare in conflitto con le regole del Codice di procedura penale e creare grossissimi problemi. Ci cade la prova analitica, magari anche quando abbiamo avuto la fortuna di andare al porto, di prenderla e di Pag. 27trovarla e, se non abbiamo altro, rimaniamo senza più niente per un vizio di carattere processuale. Purtroppo, questo accade.
  C’è, dunque, anche questo problema, di nuovo, di rango normativo. Il collega mi conferma che c’è stato un problema con il prelevamento del grano, perché quella norma è fragilissima.
  L'altro suggerimento è disciplinare finalmente la materia dei prelevamenti dei campioni con delle regole che tengano conto anche della diversità del prodotto da prelevare. Non è la stessa cosa fare l'analisi del grano rispetto al rifiuto, rispetto al terreno contaminato da inquinanti o rispetto all'olio. Occorre pensare anche a una norma che differenzi queste tipologie.

  PRESIDENTE. Bene. Anche questo suggerimento mi pare particolarmente pregnante. Ne abbiamo preso nota. Vediamo nel seguito dei lavori come utilizzare questa suggestione insieme a tutte le altre che abbiamo ricevuto oggi in quest'audizione particolarmente interessante.
  Prego ora il generale Screpanti, capo del III Reparto operazioni del Comando generale della Guardia di finanza, di accomodarsi qui per l'audizione di sua competenza. Il generale è accompagnato dal generale Virgilio Pomponi, capo del VI reparto – affari giuridici e legislativi, nonché dal tenente colonnello Giovanni Avitabile dell'Ufficio tutela uscite e mercati, sempre del Reparto operazioni del Comando generale.
  Prego, generale. Anche a lei rivolgo l'invito a esprimersi nelle modalità che riterrà più opportune con i contenuti che derivano dalla sua esperienza e, naturalmente, dall'attività del Corpo sulla tematica dell'olio d'oliva in particolare.

  STEFANO SCREPANTI, Capo III Reparto operazioni del Comando generale della Guardia di finanza. Grazie a lei, signor presidente. Grazie, onorevoli deputati. Mi sia consentito porgere il saluto del Comandante generale e generale di Corpo d'armata Saverio Capolupo e il suo ringraziamento per l'opportunità offerta alla Guardia di finanza di proseguire nella collaborazione con la Commissione.
  In linea di continuità con quanto già esposto nella precedente audizione del comandante del 16 ottobre 2014, incentrerò questo intervento su un sintetico quadro dell'esperienza operativa maturata dai reparti del Corpo nel contrasto agli illeciti che colpiscono la filiera dell'olio d'oliva, fornendo alcune puntualizzazioni circa le esigenze conoscitive manifestate dalla Commissione nella fase preparatoria di quest'audizione.
  Lascio a disposizione il testo completo dell'intervento, che è corredato da un dossier in cui sono riepilogati i principali risultati e le principali operazioni del periodo 2011-2014.
  Dal punto di vista economico il comparto agroalimentare nazionale ha prodotto nel 2013 un fatturato stimato in 133 miliardi di euro, costituendo di fatto uno dei settori trainanti per l'intera economia nazionale. Questo non lascia indifferente la criminalità, come evidenzia anche il 3oRapporto sui crimini agroalimentari in Italia, stilato da Eurispes in collaborazione con Coldiretti e numerose Istituzioni, fra cui la stessa Guardia di finanza, secondo cui il giro d'affari illecito annuo riconducibile a questo mondo è di circa 15,5 miliardi di euro, 7 dei quali provenienti dalla sola produzione agricola.
  Numerosi sono i procedimenti di applicazione di misure preventive antimafia che colpiscono anche aziende agricole. Un ultimo esempio, giusto per ricordare eventi di cronaca, è l'operazione Eden sviluppata dallo SCICO e dal Nucleo di Polizia tributaria di Palermo unitamente al ROS dei Carabinieri, a seguito della quale nel dicembre scorso sono state sequestrate diverse disponibilità patrimoniali riconducibili al noto latitante Matteo Messina Denaro, fra cui anche un'importante azienda olearia attiva nella zona di Mazara del Vallo.
  Risalendo di qualche anno, ricordo gli esiti dell'operazione Matrioska, sempre dello SCICO e del Nucleo di Polizia tributaria di Reggio Calabria, che portò al sequestro nei confronti di soggetti affiliati Pag. 28alla cosca ’ndranghetista Alvaro di disponibilità per 26 milioni di euro, fra cui 42 terreni coltivati a uliveto e le quote societarie di una consistente cooperativa allora attiva nella produzione di olio d'oliva.
  Entrando più nel dettaglio delle patologie che minacciano il settore agroalimentare e seguendo la classificazione operata al riguardo dal Rapporto IPERICO 2014: Lotta alla contraffazione in Italia nel settore agroalimentare, è possibile distinguere fra alcune condotte, in gran parte già emerse: alterazioni, ossia modifiche della composizione dei caratteri organolettici degli alimenti causate da fenomeni degenerativi per cattiva o prolungata conservazione; adulterazioni, che, attraverso l'aggiunta o la sottrazione di alcuni componenti del prodotto, ne mutano la qualità apparentemente senza effetti apprezzabili; sofisticazioni, che, di contro, consistono nell'aggiunta di sostanze estranee rispetto alla naturale composizione dell'alimento per migliorarne aspetto e qualità, ovvero per coprirne difetti o facilitarne la surrogazione con altre tipologie di prodotti; falsificazioni, vale a dire le vere e proprie sostituzioni di elementi con altri; contraffazioni, che attengono alle indebite riproduzioni di marchi commerciali o alle false attestazioni dell'indicazione di provenienza geografica o di denominazione d'origine dei prodotti per sfruttare la qualità, l'apprezzamento e la popolarità delle filiere alimentari nazionali. Esiste poi il ben noto fenomeno del cosiddetto Italian sounding, che si è abbondantemente illustrato nella precedente audizione dello scorso ottobre.
  Nonostante la significativa forza produttiva italiana, il nostro Paese nel 2013 è risultato il primo importatore mondiale di olio, con 460.000 tonnellate annue, di cui il 52,3 per cento reperite sul mercato spagnolo, il 28,5 per cento da quello greco e il 13,4 per cento dalla Tunisia.
  L'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) ha evidenziato che nel primo quadrimestre 2014 le importazioni italiane di olio di oliva e sansa si sono attestate a quota 226.000 tonnellate, per un valore commerciale di oltre 470 milioni di euro, confermando la Spagna quale primo fornitore nazionale con l'88 per cento del totale importato.
  Come segnalato di recente da Coldiretti, l'afflusso nel nostro Paese di olio di origine estera non solo spagnola e greca, ma anche nordafricana e del Medioriente, è verosimilmente destinata a crescere nel 2015, alla luce della sensibile diminuzione della produzione nazionale ed europea dovuta all'andamento climatico registrato nella passata annualità.
  Oltre ai fattori contingenti legati alle dinamiche di resa dei raccolti, ciò che verosimilmente incide sul volume delle importazioni nazionali di olio è il prezzo di vendita praticato dagli altri Paesi produttori. Sempre secondo le valutazioni di ISMEA, infatti, nella seconda settimana di dicembre 2014 l'olio extravergine di produzione nazionale aveva un costo all'origine di circa 5,67 euro per chilogrammo, con punte di 11 euro al chilo per i generi a denominazione di origine protetta, contro valori medi di 3,0 euro al chilo per la Spagna, 3,22 euro per la Grecia e 2,98 euro per la Tunisia. Analoga situazione si registra per le altre tipologie di olio meno raffinate, quali il lampante e l'olio vergine di oliva.
  Evidentemente la convenienza rappresentata dal costo delle materie prime estere è uno dei fattori di rischio per la diffusione delle frodi, dal momento che l'attribuzione illecita, solo formale, di una qualità superiore di un'origine nazionale di un olio meno pregiato e con altre caratteristiche reali consente già di per sé di lucrare ampi margini di guadagno.
  Tale aspetto è emerso, per esempio, da un servizio condotto nel 2011 dal gruppo di Salerno, che, in occasione di un controllo su un carico in transito comunitario presso il locale scalo portuale, ha individuato una partita di 27 tonnellate di olio spagnolo dichiaratamente destinato a un'azienda italiana della provincia di Bari.
  Nel corso degli approfondimenti è emerso che per l'accompagnamento della merce era stata predisposta una documentazione parallela a quella presentata in dogana, attestante l'origine italiana del Pag. 29prodotto e la sua destinazione a un'azienda di Perugia. L'intento della manovra era evidentemente quello di modificare cartolarmente l'origine del prodotto non appena uscito dagli spazi doganali, trasformandolo in olio extravergine di oliva italiano.
  Alle mistificazioni relative all'origine spesso combinate sono anche quelle concernenti le qualità intrinseche del prodotto. Un esempio di tale pratica illecita, che può nascondere a volte anche alcuni rischi per la salute dei consumatori, è rappresentato dall'operazione The Good of Italy, conclusa nel novembre 2011 dal gruppo di Taranto. In questo caso sono stati sequestrati 81.000 litri di olio che, oltre a essere stato etichettato falsamente come italiano, benché fosse di produzione tunisina, è risultato olio lampante anziché extravergine di oliva, come invece dichiarato.
  I sequestri in discorso hanno costituito l'innesco di ulteriori approfondimenti di polizia giudiziaria curati dal menzionato reparto del Corpo presso le sedi delle aziende italiane coinvolte. Questi accertamenti hanno permesso di verificare la trasformazione documentale in olio di qualità italiana di altri 326.000 litri di prodotto analogo a quello già sequestrato.
  L'indagine ha, altresì, evidenziato che l'olio imballato in confezioni recanti etichette «Il buono d'Italia» era destinato all'esportazione in Giappone e nell'isola di Taiwan e risultava formalmente prodotto da due frantoi siti nelle province di Cosenza e Agrigento. Questi ultimi erano frantoi solo sulla carta, in quanto ormai non svolgevano alcuna attività di produzione, operando esclusivamente quali intermediari nel commercio all'ingrosso.
  Un analogo servizio è stato condotto nel marzo 2014 dal gruppo di Bari, che ha intercettato presso lo scalo portuale del capoluogo pugliese una partita di 25 tonnellate di olio extravergine di oliva in procinto di lasciare il territorio nazionale con destinazione Tirana, in Albania.
  Le analisi chimiche eseguite sul carico di merce presso i laboratori dell'Agenzia delle dogane di Bari hanno permesso di accertare che il prodotto era ben più scadente rispetto alla qualità indicata nei documenti di esportazione, con il sequestro della partita di merci e la denuncia all'autorità giudiziaria di due responsabili.
  Analogo scenario è emerso nell'ambito dell'operazione Aliud pro olio, sviluppata dalla tenenza di Andria in stretta collaborazione con l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e con l'Agenzia delle dogane di Bari. Il servizio, conclusosi nel luglio di quest'anno, ha portato all'arresto di 16 soggetti, nonché al sequestro di 16 aziende e di 425 tonnellate di prodotto falsamente dichiarato come extravergine di oliva.
  Anche in questo caso le indagini condotte hanno permesso di ricostruire l'attività di un nutrito gruppo delinquenziale che, con la connivenza di numerose società calabresi e pugliesi dedite all'emissione di fatture per operazioni inesistenti, trasformava olio lampante o comune di origine spagnola in olio extravergine d'oliva italiano, in taluni casi addirittura biologico.
  Il volume illecito generato dall'attività del sodalizio criminale è stato stimato in oltre 30 milioni di euro e il reparto operante a seguito dello sviluppo fiscale delle risultanze investigative raccolte ha già contestato nei confronti dei titolari di alcune delle aziende coinvolte oltre 47 milioni di euro di maggiore base imponibile ai fini delle imposte dirette e più di 2 milioni di euro di IVA dovuta.
  Proseguendo rapidamente nell'analisi operativa delle diverse forme di illegalità che interessano il comparto in esame, occorre segnalare un'ulteriore forma di frode sulla natura dell'olio, costituita dalla falsa apposizione nelle etichette dei segni identificativi di prodotti con Denominazione di origine protetta.
  È quanto accertato, per esempio, nell'ambito del servizio condotto dal gruppo di Palermo nell'agosto 2014, nel corso del quale sono state sequestrate oltre 25.000 bottiglie d'olio destinate all'esportazione in Canada, dichiaratamente etichettate come Pag. 30frutto della lavorazione delle pregiate olive Nocellara del Belice. Nella circostanza il responsabile dell'illecito è risultato del tutto estraneo all'omonimo Consorzio di tutela e non iscritto nel registro tenuto dall'Agroqualità SpA, l'organismo di vigilanza autorizzato dal MIPAAF per la certificazione delle qualità nel settore agroalimentare.
  Una più sofisticata tecnica di frode presente nel settore delle produzioni olearie è costituita dalla cosiddetta deodorazione. Si tratta di un procedimento di lavaggio di oli di bassa qualità tratti dalla lavorazione di materia prima in avanzato o cattivo stato di conservazione. Il processo, che consiste in una distillazione in corrente di vapore sotto vuoto a elevate temperature, è finalizzato a eliminare i difetti sensoriali del prodotto, quali il cattivo odore, il gusto acre e l'eccessiva acidità, così da consentirne la commercializzazione, spesso previa miscelazione con altri oli al fine di equilibrarne i valori organolettici.
  Una frode di questa natura è emersa in maniera evidente nell'operazione Arbequino e nella successiva Fuente, di cui è stata data ampia esposizione da parte del dottor Natalini. Rimando, quindi, per l'esposizione dal punto di vista della Guardia di finanza al testo ed evito di tornare sui dettagli, se non per collegarmi con il successivo momento dell'audizione riguardante le strategie generali del Corpo che vedono la Guardia di finanza impegnata nel settore del contrasto alle frodi agroalimentari e, in tale contesto, degli illeciti che interessano la filiera dell'olio d'oliva nella più ampia azione di contrasto a illeciti economico-finanziari e di tutela del mercato dei beni e di servizi – sono a pagina 16 della relazione – che è affidata alla Guardia di finanza dal vigente quadro normativo.
  Nelle sue linee generali questa missione si sviluppa secondo le linee di azione già illustrate lo scorso ottobre dal comandante generale e vede i reparti del Corpo impegnati in maniera preponderante nel contrasto alle falsificazioni e alla contraffazioni alimentari e in misura minore o, per così dire, incidentale od occasionale alle sofisticazioni e alle adulterazioni, in relazione a esigenze operative emerse nel corso di altri servizi istituzionali.
  Rispetto a questi ultimi ambiti (sofisticazione e adulterazione), infatti, esiste una competenza preminente dei reparti specializzati dell'Arma dei carabinieri, nonché del Corpo forestale dello Stato, secondo il chiaro e lineare assetto delineato dal decreto ministeriale del 28 aprile 2006 in tema di riassetto dei comparti di specialità delle forze di polizia. Nel dispositivo di contrasto svolge un ruolo importante anche il citato ICQRF, con cui la Guardia di finanza intrattiene costanti rapporti di collaborazione operativa.
  La presenza di numerosi attori nel complessivo dispositivo di contrasto agli illeciti che interessano le produzioni agroalimentari si spiega con le specificità che caratterizzano il settore. Come è emerso già questo pomeriggio, per l'accertamento della quasi totalità delle frodi che attengono all'origine e alla qualità dei prodotti per alimentazione non si può prescindere dall'esecuzione di analisi chimiche portate avanti da personale tecnico qualificato che coadiuva la polizia giudiziaria.
  I servizi sviluppati dai reparti della Guardia di finanza nel settore dell'olio d'oliva e, più in genere, in tutto il comparto agroalimentare traggono, invece, perlopiù origine o da indagini di polizia giudiziaria o, come si è visto, da verifiche fiscali che – tengo a sottolinearlo – nella prospettiva della Guardia di finanza vanno sempre oltre l'aspetto strettamente tributario e guardano sempre all'esistenza e alla ricorrenza di fenomeni di illegalità economico-finanziaria che sono molto spesso propedeutici e strumentali ad altri tipi di violazione. È il caso già evidenziato della fatturazione per operazione fittizia, che è lo strumento per realizzare anche frodi di questo genere.
  Dal punto di vista dei risultati nel periodo gennaio 2011-dicembre 2014, avuto riguardo all'intero settore agroalimentare, i reparti della Guardia di finanza hanno sequestrato sul territorio circa Pag. 3130.000 tonnellate di prodotti solidi e quasi 29 milioni di litri di prodotti liquidi. Con riferimento al settore oleario, le partite di prodotto oggetto di misure ablatorie sono state nel medesimo periodo oltre 9.500 tonnellate, per lo più scaturite dalle importanti operazioni Arbequino e Aliud pro olio.
  L'impegno del Corpo nel comparto agroalimentare rispecchia la consueta impostazione delle attività operative dei reparti, nel senso che i fenomeni illeciti oggetto di interesse investigativo, oltre che per i profili direttamente attinenti all'uso distorto di marchi o di denominazioni di qualità di origine, vengono poi approfonditi anche con riferimento alle connesse implicazioni di carattere fiscale e patrimoniale o di qualunque altra natura criminale.
  Ovviamente, in questo ambito mi riferisco non solo all'evasione fiscale e al sommerso, ma anche alle frodi nella percezione di contributi e finanziamenti a carico del bilancio nazionale e comunitario, alle truffe previdenziali per l'indebito conseguimento di indennità di disoccupazione e di sostegno del reddito e alle infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione, acquisizione e finanziamento di strutture imprenditoriali e agricole.
  Tra il 2011 e il 2014 questi servizi ad ampio spettro, che hanno riguardato il mondo agroalimentare, hanno, peraltro, portato all'emersione di redditi occultati al fisco per 232 milioni di euro, all'individuazione di truffe contributive per quasi 182 milioni di euro, con la scoperta di circa 22.000 falsi braccianti agricoli e l'accertamento di frodi nel settore della Politica agricola comune, e a finanziamenti per oltre 702 milioni di euro, di cui 33 milioni di euro per contributi concessi, ma bloccati prima dell'erogazione.
  Nel settore dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel solo 2014 sono stati operati sequestri e confische che per oltre 340 milioni di euro tra terreni, fabbricati, aziende, autoveicoli e macchine agricole, con la denuncia all'autorità giudiziaria di 70 soggetti a vario titolo coinvolti.
  Avviandomi verso la conclusione, per quanto ancora non affrontato propongo velocemente alcune considerazioni relativamente alle esigenze manifestate dalla Commissione nel documento preparatorio alla presente audizione, limitatamente a quanto di più diretto interesse istituzionale.
  In merito alla tematica del rafforzamento del presidio territoriale e, in tale contesto, delle forme di coordinamento fra i diversi livelli operativi, richiamo quanto testé accennato relativamente alla ripartizione che noi riteniamo efficace e non produttiva di serie criticità sul territorio relativamente alla ripartizione delle competenze stabilita nel decreto ministeriale del 26 aprile 2006.
  Segnalo, inoltre, l'esistenza di importanti meccanismi di raccordo fra l'ICQRF e le forze di polizia per l'attivazione dei Piani straordinari di sorveglianza previsti dall'articolo 43, comma 1-bis del decreto-legge n. 83 del 2012.
  In sostanza, in caso di messa in opera di tale forma di controllo rivolta a imprese produttrici di oli extravergini etichettati italiani per i quali sia stata riscontrata la mancata conformità organolettica del prodotto rispetto ai parametri fissati dalla normativa comunitaria, l'Ispettorato procede all'inoltro a tutti gli organi di controllo di un'apposita comunicazione nella quale, tra l'altro, viene richiesta una tempestiva informazione da parte dei destinatari circa l'eventuale precedente avvio di un analogo Piano di controllo.
  Avuto riguardo poi al ruolo delle organizzazioni dei produttori e dei consumatori, è possibile focalizzare l'attenzione su due aspetti rilevanti. In primo luogo, si ritiene che possa essere sfruttata ai fini della tempestiva individuazione e segnalazione agli organi di controllo di elementi o circostanze indicative di potenziali fenomeni di illegalità la conoscenza delle dinamiche di evoluzione e sviluppo della filiera che costituisce il patrimonio di tali organizzazioni.Pag. 32
  In altre parole, chi quotidianamente intrattiene rapporti con produttori, distributori e acquirenti dei prodotti agroalimentari può cogliere con immediatezza e puntualità circostanze, aspetti e progressive modificazioni degli scenari economici e commerciali di riferimento. Questo genere di informazioni può senz'altro costituire utile spunto di analisi ed approfondimento anche in un'ottica operativa, ai fini del tempestivo orientamento del dispositivo di vigilanza rispetto alle nuove realtà che di volta in volta si affacciano sul campo.
  Un secondo ambito in cui possono rivelarsi utili le sinergie con la rappresentanza di categoria è quello della sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Da questo punto di vista l'ausilio nella realizzazione di campagne divulgative e informative circa i rischi e i danni procurati dalle condotte illecite può risultare particolarmente prezioso ai fini dell'affermazione di una più ampia cultura della legalità.
  Va detto, peraltro, che, in una prospettiva di concreta attuazione di questa opportunità, occorre mettere a sistema specifici meccanismi di raccordo fra i soggetti a vario titolo coinvolti nel contrasto ai fenomeni illeciti che minacciano la filiera agroalimentare.
  Come ha già avuto modo di sottolineare il comandante generale nell'audizione dello scorso ottobre, forme di coordinamento di questa natura sono già in atto in alcune province italiane. Mi riferisco, in particolare, ai protocolli d'intesa siglati a Padova, Milano e, da ultimo, a Roma, attraverso cui, anche per finalità che ho precedentemente illustrato, vengono riuniti in un unico tavolo di coordinamento tutti i soggetti a vario titolo interessati dagli illeciti in materia di proprietà intellettuale.
  Questa esperienza, oltre a razionalizzare e raccordare la complessiva azione di contrasto alla contraffazione sul territorio favorendo il collegamento info-operativo fra forze dell'ordine e polizia locale, ha il pregio di facilitare l'individuazione di soluzioni pratiche a problemi operativi che possono incidere sul buon esito dei controlli antifrode, come, per esempio, l'esecuzione di analisi di laboratorio sulle merci sequestrate e l'individuazione di siti idonei per il loro stoccaggio. Tra l'altro, lo schema di coordinamento è inserito fra le best practice individuate dal Piano nazionale anticontraffazione, alla voce «modello Padova».
  Per quanto riguarda la formazione degli operatori che agiscono sul campo, sottolineo che la Guardia di finanza promuove annualmente specifici percorsi didattici in favore del personale operativo, tenuti presso l'Istituto di istruzione del Corpo, la Scuola di polizia tributaria o in modalità e-learning. Con riferimento all'ultimo triennio, a questi corsi di formazione hanno partecipato nel complesso 3.124 militari dei diversi ruoli.
  Concludendo sulla tematica del rafforzamento dell’enforcement e dell'efficacia degli strumenti informatici disponibili, evidenzio in linea generale i benefici che possono essere tratti da sistemi di raccolta strutturata e organizzata di dati relativi ai servizi nel settore, soprattutto in termini di incremento delle capacità di analisi e conoscenza dei diversi fenomeni.
  Questa è la filosofia che ha ispirato la creazione del SIAC (Sistema informativo anticontraffazione) della Guardia di finanza, che, come già evidenziato nell'audizione di ottobre, si pone quale strumento non solo destinato a uso interno, ma aperto anche al mondo imprenditoriale e dei consumatori.
  Per quanto riguarda l'apparato sanzionatorio penale apprestato per contrastare i crimini agroalimentari, il giudizio di efficacia è senz'altro positivo. Le norme vigenti coprono le condotte caratteristiche del settore e consentono agli operatori di sviluppare azioni operative incisive e penetranti, grazie anche al potenziamento degli strumenti investigativi che si è attuato con la legge n. 9 del 2013, avuto riguardo in particolare all'estensione delle condizioni di utilizzo delle intercettazioni telefoniche.
  Certamente condividiamo tutte le proposte e le considerazioni di rafforzamento del sistema che sono emerse nel corso dei Pag. 33precedenti interventi. Per fornire qualche ulteriore spunto diverso da quelli emersi finora in questa giornata richiamo brevemente alcune ipotesi di modifica del quadro legislativo nel settore agroalimentare che sono già state segnalate dal comandante generale a ottobre.
  Tra queste vi sono: l'inserimento dei reati associativi finalizzati alla commissione delle condotte previste dall'articolo 517-quater del Codice penale, tra quelli di competenza delle Direzioni distrettuali antimafia; l'inclusione dello stesso articolo 517-quater fra i reati per cui, ai sensi dell'articolo 518, è prevista la sanzione accessoria della pubblicazione della sentenza, come già previsto dalla legge n. 9 del 2013 proprio per il settore dell'olio d'oliva; l'estensione, ancora con riferimento all'articolo 517-quater del Codice penale, delle sanzioni interdittive accessorie di cui all'articolo 9, comma 2 del decreto legislativo n. 231 dell'8 giugno 2001 e all'articolo 448 del Codice penale, cioè l'interdizione dall'esercizio dell'attività e la sospensione o revoca delle licenze, autorizzazioni o abilitazioni; l'introduzione fra le fattispecie per le quali possono attivarsi indagini tecniche delle ipotesi previste agli articoli 517 e 517-bis.
  Si tratta, ovviamente, di proposte che vanno raccordate con le soluzioni da più parti prospettate in questa materia.
  Da ultimo, con riferimento al settore dell'olio d'oliva, segnalo l'utilità, già emersa in questa giornata, della possibile introduzione di specifici meccanismi di raccolta e comunicazione sistematica dei dati relativi all'importazione ed esportazione di olio effettuato da operatori nazionali. Da questo punto di vista, infatti, l'articolo 16 della legge n. 9 del 2013 contempla una serie di adempimenti posti a carico di produttori, frantoi, imprese di condizionamento e commercianti, nella prospettiva di consentire, con l'implementazione del SIAN, la piena rintracciabilità delle partite di olio inserite nel circuito di distribuzione.
  Si tratta, tuttavia, di adempimenti rimessi all'osservanza dei soggetti interessati, i quali, di conseguenza, possono essere disattesi, purtroppo, con false annotazioni e scritturazioni rilevabili solo a posteriori, a seguito dell'esecuzione dei controlli da parte degli organismi di vigilanza.
  In questo senso, considerato che le frodi nel settore vengono di frequente perpetrate utilizzando materie prime di provenienza estera, l'implementazione della piattaforma SIAN con gli elementi relativi alle movimentazioni con l'estero di partite di olio trattato da operatori nazionali consentirebbe di migliorare la tracciabilità della filiera, fermo restando l'approfondimento della realizzabilità tecnica, mediante l'inserimento a sistema di informazioni raccolte direttamente dalla pubblica amministrazione e utilizzabili, attraverso l'opportuno incrocio con i dati forniti dalle parti private, per l'esecuzione di analisi di contesto, per la selezione delle posizioni anomale da sottoporre a controllo e per i successivi riscontri presso le sedi aziendali.
  Confermando, in conclusione, l'impegno della Guardia di finanza nel contrasto agli illeciti che interessano il settore dell'olio d'oliva e, più in generale, il comparto agroalimentare, conformemente e in linea con le proprie proiezioni operative, ringrazio per l'attenzione e rimango a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il generale Screpanti per questa sua esposizione, ripresa poi nel documento che ci ha distribuito.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  COLOMBA MONGIELLO. Grazie, presidente. Ho una semplice domanda. La farò al generale della Guardia di finanza e la farò anche agli altri organismi preposti ai controlli che sono qui oggi.
  Noi abbiamo parlato finora di verifiche fiscali, di verifiche doganali e, ovviamente, di atti giudiziari legati ad attività investigative. Io farei una semplice domanda: chi controlla sullo scaffale che l'olio costi 2,66 euro rispetto al prezzo di mercato che ha Pag. 34quotato la scorsa settimana Borsa merci di Bari a 6,32 euro ? Chi controlla che l'etichetta posta su una bottiglia in vendita al supermercato sia realmente quella dell'olio contenuto in quella bottiglia ? Chi controlla la veridicità dell'etichetta, così come è scritto nei primi articoli della legge n. 9 del 2013 ?
  Quanto al traffico di perfezionamento attivo, chi va a controllare, qual è l'organismo preposto ? Noi abbiamo normato questo fenomeno all'articolo 14, ma io voglio capire come sta funzionando e come sta impattando anche questa legge, al di là della parte penale, per quanto riguarda soprattutto la prima parte, ossia le norme sulla trasparenza, per aiutare anche lo stesso consumatore a districarsi.
  Infine, a proposito del tappo antirabbocco, questa norma viene osservata, è stata fatta osservare, sono state comminate le prime multe e sono stati effettuati i primi sequestri ? Queste sono le semplici domande che voglio fare adesso rispetto a tutta la parte legislativa di una legge complessa, che riguarda soprattutto il rispetto delle norme e la tutela del consumatore nella sua prima parte.

  STEFANO SCREPANTI, Capo III Reparto operazioni del Comando generale della Guardia di finanza. Grazie. Quello che mi sento di poter rispondere, in base all'esperienza operativa, è che appartiene alla metodologia operativa della forza di polizia andare a vedere le bottiglie e le marche che sono vendute al consumo a prezzi evidentemente inferiori a quelli di mercato, così come appartiene alle consolidate metodologie operative verificare e individuare le etichette estranee vendute al consumo in condizioni non compatibili con i dati che sono indicati.
  Tutto questo, però, appartiene alla fase dell'individuazione di elementi di rischio, ossia all'individuazione di elementi di pericolosità. Per arrivare all'affermazione di una responsabilità penale, come è emerso, occorrono le indagini e gli elementi di prova. Il prezzo da solo non può essere un elemento di responsabilità. Non penso che potremmo mai arrivare a una condanna o alla verbalizzazione di una sanzione semplicemente confrontando il prezzo venduto al dettaglio con quello di mercato. Purtroppo, questi sono meccanismi che possono sostenere altri tipi di responsabilità, ma non di ordine penale.
  Quello che attiene al controllo del territorio, alla movimentazione delle merci e al tipo di offerte che vengono presentate sul mercato fa parte della ricerca informativa e della preparazione degli interventi. Tutto questo deve portare poi a organizzare dei Piani operativi che vengono sottoposti all'autorità giudiziaria per procedere alle investigazioni con gli strumenti previsti dal Codice di procedura penale, oppure, laddove possibile, attraverso interventi di carattere amministrativo che nell'esperienza operativa della Guardia di finanza si traducono in attività di controllo fiscale quando siano connesse a questi fenomeni violazioni di carattere fiscale o doganale. Occorre, però, arrivare poi all'acquisizione di elementi di prova chiari e diretti.
  Quanto all'ultima parte della sua domanda, sulle diverse situazioni che riguardano il tappo rabbocco e antirabbocco, non abbiamo, come Guardia di finanza, specifici dati da comunicare, probabilmente perché si tratta di attività di controllo che non impattano in maniera diretta e chiara sulle nostre proiezioni.

  PRESIDENTE. Grazie. Lei è stato chiarissimo. La ringrazio. Dalla relazione che lei ha tenuto c’è la netta percezione, direi la chiara evidenza, di un impegno forte della Guardia di finanza sotto l'ottica di una battaglia alla contraffazione e, in particolare, alle frodi relative all'olio d'oliva, su cui non avevamo dubbi. Si tratta di un impegno che era già emerso nella relazione del comandante generale e che voi oggi ci avete ribadito.
  Vi ringrazio. Salutiamo, quindi, il generale Screpanti e preghiamo Gianluca Dell'Agnello, comandante del Comando carabinieri politiche agricole e alimentari, di volersi cortesemente accomodare.Pag. 35
  Il comandante è accompagnato dal capitano Uguzzoni, comandante della sede dei NAC di Parma.
  Prego, comandante. Ormai ha visto come funzionano queste audizioni. Tutto quello che lei ritiene di poterci utilmente riferire sulla materia di oggi è ben accetto.

  GIANLUCA DELL'AGNELLO, Comandante del Comando carabinieri politiche agricole e alimentari. Grazie, presidente. Grazie innanzitutto per la convocazione odierna. Rivolgo un deferente saluto a lei e agli onorevoli deputati della Commissione.
  I dati di esperienza dell'attività svolta dal Comando carabinieri per le politiche agricole e alimentari hanno evidenziato nel tempo che le frodi più ricorrenti nel settore dell'olio extravergine di oliva e vergine di oliva sono attuate o mediante la miscelazione di oli EVO con altre di minore qualità, tipo semi, soia, sansa, addizionati normalmente con betacarotene o con clorofilla, oppure la commercializzazione come EVO di oli ottenuti, invece, dalla lavorazione mediante procedimenti chimici di quelli lampanti.
  Nel documento ho riassunto brevemente le operazioni svolte dal Comando nel settore del contrasto alla contraffazione dell'olio di oliva dal 2010 fino ad oggi. In sintesi, sono stati operati controlli su 418 aziende del settore, operati sequestri per oltre 3.100 tonnellate di prodotto, per un controvalore di oltre 11,5 milioni di euro, accertate 139 violazioni penali e amministrative, segnalati 57 soggetti all'autorità giudiziaria e, infine, individuati 740.000 euro illecitamente percepiti nel settore della coltivazione e della produzione dell'olio.
  Vorrei riepilogare solo le attività ritenute più significative, a partire dal sequestro operato in La Spezia, presso l'area portuale, nel 2010 di oltre 47.000 litri di olio di oliva etichettato come extravergine, destinati al commercio al mercato sia cinese, sia statunitense, mentre, in realtà, si trattava di olio lampante di origine tunisina.
  Nel proseguimento delle indagini è stato, inoltre, individuato un circuito illegale di importazione di ingenti quantitativi di olio lampante, del quale sono state sequestrate ulteriori 3.000 tonnellate in varie zone del territorio nazionale, con la notifica anche di misure interdittive a diversi imprenditori, specialmente nella regione Sicilia, in Puglia e in Liguria.
  Nel 2011, invece, in Emilia-Romagna è stata individuata un'azienda che importava olio etichettato EVO dalla Spagna e dalla Grecia per destinarlo al circuito della ristorazione. In realtà, l'olio, dalle analisi svolte, è risultato deodorato e ne sono stati sequestrati oltre 9.000 litri.
  Un altro sequestro significativo nel 2012 è stato effettuato in Roma, con oltre 8 quintali di olio etichettato EVO, ma in realtà risultato essere una miscela di olio di soia addizionato con clorofilla. Questo è importante, perché questo tipo di prodotto era destinato ai circuiti della ristorazione della capitale.
  Nel 2013 in Roma sono state sequestrate ulteriori 14 tonnellate di olio miscelato con mais e sansa e altre 7 tonnellate sono state sequestrate all'inizio del 2012. Anche in quel caso olio etichettato extravergine d'oliva, in realtà, risultava essere una miscela di olio di semi.
  Per finire, a proposito delle operazioni più recenti, vorrei segnalare che in Trapani e a Favignana sono stati sequestrati circa 2,5 tonnellate di tonno inscatolato etichettato come tonno di mattanza di Favignana in olio extravergine di oliva. In realtà, era un tonno proveniente da allevamenti maltesi, inscatolato con dell'olio di oliva raffinato.
  In Arezzo, infine, recentemente sono stati sequestrati circa 2,5 quintali di olio extravergine di oliva venduto presso un agriturismo addirittura come biologico. Invece, era semplicemente olio lampante.
  Infine, un'attività di un certo rilievo, perché in questo tipo di attività abbiamo applicato per la prima volta la legge salva-olio, riguarda un intervento e un sequestro eseguiti in Umbria e in Toscana presso un imbottigliatore e una società di import-export. Non è stato sequestrato olio, ma Pag. 36sono state sequestrate numerose etichette, circa 36.000, nonché 1.400 contenitori di latta per l'imbottigliamento dell'olio.
  L'olio era etichettato extravergine di oliva di provenienza tunisina, con un marchio registrato, però, in un Paese extracomunitario contenente la fallace indicazione di provenienza italiana e destinato al commercio estero. Questo è un caso di una certa rilevanza anche perché sintomatico del fenomeno dell’Italian sounding, specialmente sui mercati extracomunitari.
  Infine, noi come attività istituzionale, oltre al controllo e agli interventi nel settore a contrasto dell'agropirateria, abbiamo anche, come compito di istituto, il controllo sulle erogazioni comunitarie, ossia sui fondi comunitari destinati all'agricoltura. Questo fatto è della settimana scorsa. Praticamente è stato denunciato in Calabria un imprenditore che aveva già percepito nel settore olivicolo oltre 51.000 euro di fondi comunitari. Il nostro intervento ha bloccato l'erogazione di ulteriori 17.000 euro che erano già stati richiesti.
  Per quanto riguarda il capitolo relativo al rafforzamento del presidio territoriale, ovviamente segnalo che tutte le attività di prevenzione in ambito periferico sono devolute al Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, al quale spetta il compito di coordinare tutte le attività delle forze di polizia presenti sul territorio in materia di prevenzione.
  Un'importante iniziativa del Ministero dell'interno del luglio 2013, su sollecitazione del MIPAAF, è l'istituzione dei tavoli di coordinamento in materia di agropirateria per avviare il monitoraggio dei fattori di rischio nel settore in ambito periferico provinciale sull'attività agroalimentare e della pesca, con i vari coinvolgimenti di tutti gli attori del settore.
  Noi veniamo spesso e volentieri interessati dai nostri Comandi territoriali e partecipiamo a questo tipo di attività di raccordo, portando la nostra esperienza e inviando del nostro personale che assiste e offre anche il necessario supporto tecnico a questa iniziativa.
  Ovviamente, l'azione di contrasto all'agropirateria deve essere un'azione a livello globale, a livello complessivo. In questa attività non si può prescindere da rapporti di stretta collaborazione sia con le organizzazioni dei produttori, sia con le organizzazioni dei consumatori, specialmente sotto il profilo sia informativo, sia formativo. A tale riguardo, il Comando si è fatto sempre parte diligente per condividere esperienze e iniziative con questo tipo di organizzazione.
  Da ultimo, abbiamo iniziative attuate insieme all'UNAPROL, al termine del quale è stato compilato e diffuso un decalogo per le frodi sull'olio d'oliva.
  Infine, ultimamente, a novembre, si è tenuto presso il nostro Comando un workshop da parte da un movimento a difesa dei cittadini incentrato particolarmente sulle frodi online e sul web.
  Noi ci avvaliamo principalmente, oltre che dei database IPERICO e SIAC, che sono strumenti di condivisione di esperienze con le altre forze di polizia, anche del SIAN, in materia di olio d'oliva ritenuto particolarmente utile nell'orientare l'attività di controllo. Mediante la possibilità di visualizzare il registro telematico obbligatorio, esso offre un quadro sommario di situazione delle giacenze, della movimentazione degli oli presso le aziende del settore, nonché delle operazioni di commercializzazione e degli eventuali contributi percepiti dalle aziende.
  Per quanto riguarda fenomeni di usurpazione all'estero, Italian sounding e tutela del made in Italy, noi riteniamo che lo strumento più efficace per fornire una maggiore consapevolezza al consumatore insieme a un'accresciuta tutela del made in Italy, consentendo anche a posteriori possibili controlli documentali sulle forniture di materia prima, sia la totale tracciabilità del prodotto, ivi compresa l'esatta indicazione dello Stato di origine della coltivazione delle olive.
  Conosciamo già l'esistenza di interessanti progetti, fra i quali ne vorrei citare uno che è stato finanziato dal MIPAAF e portato avanti con l'Università della Tuscia, denominato Olio trace DOP, che si muove in tale direzione. Mediante un sistema di QRcode di facile e immediata Pag. 37consultazione da parte del consumatore è possibile effettuare la tracciabilità dal campo dove sono state coltivate le olive fino allo scaffale su cui il prodotto può essere acquistato dal consumatore.
  Riteniamo comunque che un importante passo in avanti sia stato compiuto dalla legge salva-olio, sia con il divieto delle pratiche commerciali ingannevoli circa l'indicazione geografica di provenienza degli oli e delle olive, sia soprattutto attraverso la rilevanza penale ora attribuita ex articolo 517 alla fallace indicazione nell'uso del marchio degli oli di oliva vergine, che prima era perseguita soltanto in via amministrativa.
  In ambito extracomunitario, invece, riteniamo che siano auspicabili iniziative finalizzate non solo a tutelare il marchio nazionale usurpato, che è normalmente un aspetto di minore interesse per il Paese extracomunitario, ma anche a informare gli organi di controllo degli Stati esteri che i loro consumatori potrebbero essere danneggiati non solo economicamente, ma anche nella salute da un prodotto contraffatto o comunque irregolare. Riteniamo che questo tipo di visione potrebbe fare accrescere l'interesse dello Stato extracomunitario a tutelare i diritti dei propri cittadini e, di riflesso e di conseguenza, ovviamente, a tutelare anche il prodotto made in Italy.
  Nell'ambito del contrasto al commercio irregolare a livello internazionale il Comando negli ultimi anni ha inoltrato 79 segnalazioni sul canale Interpol sulla commercializzazione illecita in Stati esteri di prodotti recanti false indicazioni evocative di più noti marchi di qualità dell'agroalimentare italiano. Principalmente si tratta di vini, formaggi e, strano a dirsi, dell'aceto balsamico, un prodotto particolarmente venduto sul web e oggetto di contraffazione.
  Infine, segnaliamo contestualmente all'ICQRF questo tipo di presenze illecite sul mercato affinché in ambito comunitario, a sua volta, l'ICQRF possa attivare la protezione ex officio, un altro strumento che si sta rivelando particolarmente efficace nel contrasto dell’Italian sounding a livello comunitario.
  Al riguardo il Comando NAC di Parma l'estate scorsa ha concluso un'indagine che non riguarda direttamente l'olio di oliva, ma i famigerati wine kit. Siamo riusciti a bloccare la commercializzazione sui mercati nordamericani di wine kit che in etichetta recavano riferimenti, ovviamente fallaci, a 24 vini italiani DOP e IGP più famosi al mondo, tra i quali l'Amarone, il Brunello, il Chianti, il Barolo, che venivano venduti in confezione con l'effigie del Colosseo e del tricolore.
  Per quanto riguarda l'apparato sanzionatorio previsto dal 517-quater, in combinato con la legge n. 9 del 2013, la legge salva-olio, noi abbiamo rilevato che esso si sta confermando un ottimo strumento di contrasto nella lotta non solo alla contraffazione dell'olio di oliva, ma, più in generale, al fenomeno globale dell'agropirateria.
  Infatti, noi abbiamo recentemente applicato l'articolo 6, cioè l'ipotesi di reato connessa alla fallace indicazione nell'uso del marchio, ai sensi degli articoli 517 e 517-quater, nell'ambito di questa attività cui accennavo prima, che è tuttora in corso e che riguarda la commercializzazione in un Paese extracomunitario con un marchio registrato in quello Stato di olio d'oliva tunisino recante indicazioni fallaci circa la provenienza italiana.
  Questo dà un segnale anche di quanto sia forte l’Italian sounding. Un produttore extracomunitario ha tutto l'interesse a portare in Italia un olio tunisino e poi a riesportarlo nel proprio Paese per la commercializzazione, pur di metterlo in vendita in una latta o in una bottiglia o in un'etichetta in cui ci sia scritto «imbottigliato in Italia», cioè «packed in Italy», con il tricolore e la foto o l'effigie delle colline toscane o del trullo pugliese. Sicuramente ha un interesse economico, perché potrà vendere quell'olio a un prezzo superiore rispetto a quanto potrebbe venderlo se fosse contrassegnato magari con l'effigie tunisina.Pag. 38
  Infine, segnalo, ma questo da una forza di polizia dovrebbe essere un dato scontato, che l'articolo 14, che prevede il rafforzamento degli istituti processuali e investigativi e, quindi, la possibilità in fase investigativa di ricorrere a intercettazioni ambientali e telefoniche, si sta rivelando sicuramente uno strumento molto efficace. Nelle articolazioni del nostro Comando, in alcune attività di indagine tuttora in corso, si sono già avvalsi di questa norma e, d'intesa con la magistratura competente, stanno procedendo all'utilizzo di intercettazioni su fenomeni di contraffazione nell'agroalimentare.
  Per quanto riguarda, infine, le tutele accessorie previste sempre dalla legge salva-olio, al momento, almeno in linea teorica, esse appaiono assolutamente efficaci e con una forte spinta deterrente. Il problema, però, è che dovremmo aspettare sentenze di condanna definitiva, delle quali al momento non abbiamo notizia, per poi valutare effettivamente l'impatto reale.
  Inoltre, per quanto riguarda il capitolo della comunicazione dell'informazione destinata ai consumatori, noi partecipiamo reiteratamente a campagne di informazione e comunicazione per la lotta alla contraffazione, sia mediante trasmissioni televisive, interviste e rilasci di interviste radiofoniche a organi di stampa, sia mediante conferenze e seminari organizzati a favore delle scuole nell'ambito del più ampio progetto dei contributi dell'Arma a favore della formazione e della legalità.
  Ovviamente abbiamo, come ho accennato prima, intensi e proficui rapporti di collaborazione con gli operatori del settore, ossia con le organizzazioni dei produttori e le associazioni di consumatori, che hanno portato alla stesura e alla diffusione di decaloghi contro le frodi. L'iniziativa dovrebbe essere costantemente potenziata, per sensibilizzare in maniera pregnante sia i consumatori nazionali e internazionali perché diventino parte attiva nella lotta alla contraffazione, sia le autorità degli Stati esteri, veicolando il messaggio che il fenomeno dell’Italian sounding danneggia in primo luogo i loro cittadini-consumatori, i quali cercano il prodotto italiano e, normalmente, un prodotto di qualità.
  Noi abbiamo attivato ormai da diversi anni un numero verde che si è rivelato e confermato uno strumento valido non solo per riscontrare le richieste dei consumatori circa le possibili contraffazioni subìte, ma anche per recepire utili spunti investigativi sui quali poi innescare le nostre attività di controllo e di indagine.
  Infine, è stato realizzato sul sito del MIPAAF un Desk anticontraffazione online per agevolare sempre di più il cittadino, il Consorzio di tutela o l'associazione di categoria che ci vogliano segnalare in maniera semplice e speditiva, mediante la posta elettronica, la presenza sugli scaffali di prodotti sospetti o ritenuti contraffatti.

  PRESIDENTE. La ringrazio, comandante, per l'esposizione chiarissima. Non so se ci sono domande o se la collega Mongiello desideri reiterare le considerazioni già fatte.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  COLOMBA MONGIELLO. Credo che l'ultima nota che ha fin qui descritto il Comandante Dell'Agnello, quella sul desk, sia importante. Comandante, lei ha parlato di diverse questioni. Io da molto tempo seguo l'attività dei NAC e, di conseguenza, so della loro attività investigativa puntuale, ma anche della funzione di comunicazione che ha scelto il NAC negli ultimi anni, cosa che io condivido molto. Bisogna informare i consumatori.
  Io non ho capito bene come funziona il desk online. Forse anche su questo sistema va fornita una maggiore informazione al consumatore. Io mi sono lamentata e mi è stato risposto che intervenite sulla base di denunce. Io le chiedo come può il consumatore autotutelarsi rispetto a un prodotto che può sembrare contraffatto e può avere delle norme non rispettanti la legge e come può segnalare alcune situazioni di guasto.Pag. 39
  Noi abbiamo varato anche la norma sul sottocosto. Il consumatore va al supermercato e per dieci volte all'anno trova l'olio a livello di sottocosto. Chi può intervenire in quel caso ? Il consumatore non sa che esiste questa norma legislativa. Vede che l'olio viene venduto sottocosto, per usare il termine appropriato, ma di fatto non può difendersi se esso risponde ai requisiti descritti sull'etichetta.
  Mi sembra che questo desk vada in questa direzione, ma ce lo può spiegare meglio ?

  GIANLUCA DELL'AGNELLO, Comandante del Comando carabinieri politiche agricole e alimentari. Il desk è in fase di rivisitazione come strumento di scambio informativo con il consumatore e con le organizzazioni. Originariamente viene ideato come una sorta di banca dati dei prodotti contraffatti. Esaminando bene l'impostazione e soprattutto facendo tesoro dell'esperienza negativa che sta attraversando in questo momento un consorzio di produttori, abbiamo pensato, però, di rivedere questo tipo di organizzazione.
  Realizzare il desk come se fosse una banca dati in analogia a quello che ha il Comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale presenta dei fattori di rischio, perché noi potremmo dare massima pubblicità a prodotti che sicuramente per noi sono contraffatti, evocativi, illeciti e irregolari, ma abbiamo un problema, ossia che magari sul mercato canadese o australiano questi prodotti sono commercializzati in maniera assolutamente lecita e regolare, secondo le leggi di quegli Stati. Potremmo così esporci anche ad azioni «ritorsive» da parte dei produttori, che potrebbero sentirsi o vedersi danneggiati.
  È quello che è successo recentemente a seguito di una segnalazione di un prodotto contraffatto sul mercato tedesco da parte del consorzio di tutela di quel prodotto. L'imprenditore tedesco, una volta assolto dalla sua magistratura, ha attivato un'azione risarcitoria nei confronti del consorzio di tutela del prodotto.
  Noi stiamo ripensando il desk in questo senso, ossia per sfruttarlo al meglio delle sue possibilità per facilitare il cittadino e il consumatore nella comunicazione al Comando carabinieri politiche agricole della presenza di prodotti eventualmente sospetti.
  È chiaro che poi questo tipo di informazione, una volta ricevuta, richiede l'accertamento sul campo. Solo in caso di conclamata irregolarità, soprattutto a livello giudiziario, di un dato prodotto potremo poi pensare di pubblicarlo in via definitiva.
  Spero di essere stato esaustivo.

  PRESIDENTE. Lo è stato, comandante. La ringrazio. L'impegno del Comando dei carabinieri presso il MIPAAF ci è noto ed è noto a tutti i membri della Commissione. La ringrazio ancora e le auguro buon lavoro.
  Ora sentiamo il dottor De Franceschi del Corpo forestale dello Stato. Anche a lei rivolgo lo stesso invito di trasferirci esperienza e considerazioni del Corpo forestale dello Stato sulla materia oggetto dell'audizione odierna.

  AMEDEO DE FRANCESCHI, Direttore della Divisione II (Sicurezza Agroambientale e Agroalimentare) del Corpo forestale dello Stato. Grazie, presidente. Rivolgo un saluto a lei. Sull'olio abbiamo avuto anche in passato, quando ricopriva il suo precedente incarico da ministro, occasione di parlare spesso e volentieri dei temi della contraffazione dell'extravergine di oliva in particolare. Rivolgo un saluto anche agli onorevoli deputati componenti della Commissione, agli onorevoli Mongiello e Gallinella e agli altri.
  Essendo l'ultimo a intervenire ed essendoci dilungati abbastanza, io tornerei su un tema. Innanzitutto mi scuso se rappresento l'unica forza di polizia che non ha presentato documentazione, ma preciso che non l'abbiamo fatto per un esatto motivo. Sono in corso alcune attività di controllo di cui sto attendendo i risultati sia analitici, sia di riscontro sull'attività di campionamento che quest'anno Pag. 40abbiamo fatto sul prodotto che non c’è di questa campagna olearia, ossia l'olio 100 per cento italiano.
  Quest'anno sembrerebbe esserci, almeno dalle stime ufficiose e ufficiali, un decremento quantitativamente in percentuale molto significativo. Pertanto, mi riservo al più presto di farvi avere una relazione dettagliata contenente i risultati di questa indagine. In effetti, credo che lo spirito della Commissione sia quello di vedere le criticità della filiera.
  Al riguardo mi preme sottolineare un dato di partenza, tornando al novembre 2010. Perché vado indietro nel tempo ? Perché noi ponemmo allora all'attenzione della procura di Firenze – sembrano veramente tanti anni fa – un metodo analitico ex articolo 392 del c.p.p. (parlo di incidente probatorio) degli alchil esteri.
  Dico questo per spiegare la questione dei campionamenti rituali e delle procedure analitiche che prima il dottor Natalini e il dottor Savasta hanno evidenziato, con la difficoltà oggettiva di portare all'attenzione delle procure prove inoppugnabili sulla contraffazione oppure sull'identità del prodotto.
  Era il novembre 2010 e non vi era ancora nelle norme comunitarie, dell'Unione europea, questa normativa degli archil esteri. Era una normativa che era all'attenzione del professor Lercker e di alcune altre università, ma in particolar modo dell'Università di Cesena, del Campus di scienze degli alimenti. Un determinato quantitativo di queste sostanze era sinonimo di scarsa qualità della materia prima, il che non poteva coniugarsi a un'alta qualità del prodotto.
  In poche parole, si diceva tra gli addetti lavori e, quindi, da parte della scienza, che trovare un discreto quantitativo di queste sostanze – allora si parlava di archil esteri totali – per esempio, 50-60 milligrammi, significava che sicuramente l'olio era stato sottoposto a un processo di deodorazione mild, fatta cioè a bassissime temperature e sottovuoto, in modo da non danneggiare il prodotto. Questa era una tecnica fatale per l'organo di polizia giudiziaria, perché non consentiva all'analisi ufficiale di verificare le miscele illecite.
  Ricordo a tutti che la classificazione merceologica dell'EVO, ossia dell'extravergine, è fatta in funzione di tanti parametri, ma che ce n’è uno in particolare, legato ai procedimenti meccanici. Si dice che l'extravergine deve essere ottenuto da soli procedimenti meccanici. Pertanto, una deodorazione che si somma a un'estrazione non si può considerare un procedimento meccanico. Come tale, il fatto di aver individuato il marcatore di una possibile frode sull'extravergine è datato a novembre 2010.
  Ricordo a tutti e a me stesso che è necessario l'avviso di garanzia e, quindi, la notifica al legale dell'azienda. Dirò poi come è andata a finire la questione, ma in sostanza il fascicolo è stato archiviato.
  Il 24 gennaio 2011 esce il Regolamento n. 61 sugli alchil esteri. Non voglio necessariamente ricollegare le due cose, ma possiamo benissimo affermare che evidentemente, per la prima volta, avendo usato un'analisi, un atto scientifico ufficiale, abbiamo anticipato il Regolamento, ossia la norma.
  Questo fatto è stato positivo, ma evidentemente nell'inchiesta in questione, che prevedeva l'incidente probatorio, che poi si svolse nell'aprile 2011, si derubricava il reato a «il fatto non sussiste» Il quantitativo di alchil esteri che fu trovato in quella partita era di 60 milligrammi al chilo.
  Questo che cosa ci consente di dire ? Ci consente di dire che evidentemente il mondo dell'olio extravergine in particolare ha una classificazione merceologica piuttosto datata e si basa su parametri merceologici comuni alle varie categorie merceologiche.
  Mi spiego meglio. Si può passare dal lampante, come ha già detto il dottor Natalini, all'extravergine con una media ponderata, il che ci pone dei problemi. Che tipo di problemi ? Sicuramente il problema analitico, scientifico. Chiaramente c’è frode, c’è contraffazione, perché si è sicuri di farla franca. Se alle analisi Pag. 41chimiche ufficiali si ha la quasi certezza che il prodotto sia regolare, è chiaro che si interviene al momento della miscelazione e che, come ha spiegato bene prima il dottor Natalini, non si ha sempre la fortuna di trovarsi in circostanze tali da capire quello che si ha davanti.
  A noi capitò un fatto piuttosto particolare nel novembre 2010. Ci fu consegnato, all'atto di una richiesta di tracciabilità, dell'extravergine ad alta qualità, un prodotto venduto a 10 euro circa al litro, a quel tempo, ossia cinque anni fa. Ci fu consegnata una tracciabilità manomessa, in cui erano state aggiunte l'indicazione geografica e un'estrazione a freddo, mi pare. Erano state aggiunte, cioè, alcune indicazioni facoltative, non obbligatorie, tranne quella dell'origine, che era obbligatoria dal 2009. Così si spiega anche la contraffazione sull'origine, perché fino al 2009 non era reato. Stiamo parlando di reati giovani. Neanche la giurisprudenza ci aiuta su questo fronte per capire poi come gli articoli del Codice penale possono avere efficacia. Sicuramente quell'indagine ha squarciato il velo. Abbiamo avuto una serie di incontri in Commissione.
  Quanto al nome dell'indagine, facemmo una conferenza stampa nel 2011, ma guai a dirne il nome. Io la chiamai «Sulle tracce dell'olio deodorato», proprio perché l'olio deodorato non lascia tracce. Ho fatto un gioco di parole.
  Leggo una notizia di giornale web, fonti aperte: «6 agosto 2012, La Nazione: La procura di Firenze ha chiesto l'archiviazione per due dirigenti e un funzionario accusati di falso in atto pubblico». Il documento di trasporto non può qualificarsi come atto pubblico, in quanto non è formato dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. Questo ad agosto 2012.
  Ritorno alla cronologia, novembre 2010. Questi atti furono depositati dalla procura Firenze due anni prima. Due anni dopo noi ci troviamo con un'indagine. Se lei, onorevole, naviga sul sito web, il 6 agosto 2012, c’è scritto anche il nome dell'azienda che ha avuto assolti i suoi dirigenti e funzionari.
  Perché ho riportato questo fatto dell'archiviazione ? Torno sul discorso del documento di trasporto. Nel vino, vivaddio, abbiamo un sistema che funziona. Abbiamo una tracciabilità scientifica che funziona. Perché siamo in grado di scoprire se il Brunello di Montalcino sia effettivamente Brunello, e così il Primitivo di Manduria, il Valpolicella, il Sassicaia o quello che volete ? Perché nel vino si è introdotta una regolamentazione a livello europeo per cui siamo in grado di precisare l'origine scientifica dell'uva. Nell'olio questo non c’è.
  Nell'olio abbiamo due diverse tipologie di frode. Quella sulla qualità è una questione facile. Sulla qualità prima avevamo il semi. Ora il non c’è più il semi, per un semplice motivo. La Spagna produce un milione di tonnellate. Quest'anno ne ha fatte un po’ meno, perché è in crisi, ma saranno 7-800.000. Un dato su tutti: la Spagna produce talmente tanto olio che l'anno scorso mi sembra abbia chiesto l'ammasso all'Unione europea. Ha talmente tanto olio che non riesce a invadere i mercati.
  La questione qual è ? La questione, evidentemente, è il documento di accompagnamento. Iniziamo dal documento di accompagnamento.
  Sappiamo tutti che non c’è olio quest'anno, o almeno così dicono i telegiornali: «Allarme, non c’è l'olio». Riceviamo una serie di richieste di intervista da parte dell'Europa per capire perché in Italia non ci sia più olio. Dobbiamo spiegare che non è che non ci sia olio, ma che quest'anno ce n’è di meno.
  A novembre 2014 abbiamo sottoposto a sequestro amministrativo per carenza dei prescritti requisiti di tracciabilità 12.000 litri di olio extravergine italiano proveniente dalla regione Puglia. Perché l'abbiamo sequestrato ? Perché il relativo documento di trasporto aveva non so quante cancellature, abrasioni o manomissioni.
  Ritorniamo, però, al punto di partenza che vi ho detto prima: questi 12.000 litri di olio viaggiavano alla ricerca di un Pag. 42compratore in Toscana, perché la Toscana riesce a vendere le sue produzioni a un prezzo sostenibile.
  Dal punto di vista delle attività di indagine, la legge salva-olio – non la chiamo legge Mongiello, ma legge n. 9 del 2013 – emendata, è andata in infrazione alle norme comunitarie, ma ora è pienamente efficace. L'articolo 14 è straordinario. Mi ricordo un'intercettazione fatta dal dottor Aldo Natalini, con cui ho fatto una presentazione a Madrid quest'anno a maggio, durante il meeting Interpol sulla lotta alla contraffazione. Fece scalpore una slide in cui si diceva: «Che cosa vuoi a 1,50 euro ? Che pretendevi ? L'olio extravergine di oliva ?».
  Benissimo. Quell'articolo 14, credetemi, è veramente di un ausilio incredibile. Tuttavia, non basta. Il sistema informatico degli oli, con registro, carico e scarico, è efficacissimo, anzi è stato il primo, ha fatto da battistrada, è un caso virtuoso. Adesso noi sappiamo tutto. Non ce lo togliete, perché noi da scrivania non vessiamo più le aziende. Non le vessiamo più perché conosciamo tutti i movimenti da un serbatoio all'altro. Non c’è bisogno che andiamo in azienda.
  Il problema riguarda il momento di ingresso del prodotto. Se su un documento di trasporto il PM nel 2012 chiede l'archiviazione sostenendo che non è penale perché non è formato dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni e, quindi, non è un atto pubblico, di che cosa stiamo parlando ? La Norman Atlantic è lì con un carico, o con vari carichi, di olio extravergine d'oliva, accompagnati da che cosa ? Da un documento di trasporto che è carta. Non legale, è carta.
  Come funziona ? Se il carico viene intercettato, uscirà fuori la carta giusta. Se va in azienda, a quel punto c’è il carico fittizio. Questo è il vero problema della tracciabilità.
  Le attività noi le stiamo facendo sulla lotta alla contraffazione in due sensi. Sull'origine abbiamo fatto un lavoro, due o tre anni fa, insieme all'Agenzia delle dogane e all'Istituto San Michele all'Adige per monitorare le provenienze di olio tunisino. Abbiamo erogato dei fondi, abbiamo fatto dei campionamenti di navi – mi verrebbe da chiamarle «petroliere», ma sono navi, anche se quest'anno forse il termine giusto è «petroliere» – che venivano con olio tunisino e abbiamo capito che si può avere un sistema che ci consente di rintracciare scientificamente l'olio di origine estera. Peraltro, il ministero dispone già da tanto di una banca dati delle proprie produzioni, analogamente a quanto è stato fatto per il vino. I sistemi scientifici, quindi, ci sono. Quei dati li abbiamo presentati.
  Tuttavia, ripeto, pongo all'attenzione della Commissione il problema dell'origine scientifica. Lo facciamo da sempre. Dobbiamo prendere atto dell'importanza e del valore dell'origine scientifica, perché diventi prova per la magistratura. Chiaramente non possiamo basarci solo sulla tracciabilità documentale.
  Sulla qualità vado veloce, perché non voglio allungare ancora. Dobbiamo metterci tutti d'accordo sulla classificazione merceologica e individuare quattro tipologie di oli: l'extravergine, il vergine, l'olio di oliva e l'olio lampante. L'olio lampante è usato per l'illuminazione e, quindi, va in raffineria. L'olio di oliva è un olio raffinato. Gli oli extravergine e vergine sono oli commercializzabili.
  Questo lo dico per fare il punto sulla legge sulle indicazioni in etichetta, ossia sulla trasparenza: non c’è in commercio, almeno dagli esami che vediamo noi, alcuna confezione in Italia che riporti la dicitura «miscela di oli vergini ed extravergini». Sono due classificazioni merceologiche diverse, che hanno un valore di mercato diverso. Il vergine appartiene a una classe inferiore e qualitativamente costa meno dell'extravergine. Io credo che dobbiamo concentrare il punto su questa classificazione merceologica.
  Dai nostri controlli emerge chiaramente che gli extravergine in Italia – non ho detto «di origine italiana» – vengono ottenuti con miscele, ma non di extravergine, bensì di oli di qualità inferiore. È chiaro che il passo al lampante diventa l'articolo 515 del Codice penale.Pag. 43
  Mi domando se forse non si debba fare chiarezza su questa classificazione merceologica, perché, ripeto, forse il frantoiano, chi produce olio, può fare questa differenza. Nel momento in cui, però, il prodotto vergine viene immesso in commercio come olio extravergine, secondo me, nonché secondo gli addetti ai lavori che ho sentito, non può diventare un prodotto di categoria merceologica superiore.
  È come se, per fare un Brunello di Montalcino, prendiamo un po’ di vino da tavola, il Tavernello – tanto per fare un nome – essendo il grado alcolico più o meno lo stesso, e ci mettiamo un po’ di Brunello, pensando che non se ne accorga nessuno. In questo caso chi controlla se ne accorge, perché c’è l'analisi ufficiale.
  Queste sono le questioni, secondo me. O ci rendiamo conto che non abbiamo la tracciabilità al momento dell'ingresso e che, quindi, dobbiamo rendere legale il documento di trasporto – non l'ho detto io, l'hanno detto i miei illustri predecessori prima: dobbiamo fare questo – oppure abbiamo uno strumento perfetto informatico che, però, ci dice quanto olio lampante passa da un serbatoio all'altro. È chiaro ?
  L'altra strategia è l'autenticazione scientifica, ossia la classificazione merceologica da ripensare e da rivedere. È chiaro che si tratta di norme europee, ma forse dobbiamo riflettere sulla possibilità di inserire in etichetta se si tratti di miscele di oli extravergini o di miscele di oli vergine ed extravergine. In Spagna l'olio vergine è negli scaffali della grande distribuzione. In Italia dobbiamo riflettere su questo aspetto.
  Passando alla legge salva-olio e al traffico di perfezionamento attivo, la legge dice che tutte le comunicazioni debbono andare a un Comitato tecnico di coordinamento, istituito ai sensi del DM n. 44 del 2003. È l'unico tavolo di Comitato tecnico che conosco. Da quando è entrato in vigore, io non ho avuto convocazioni per questo tavolo di Comitato tecnico. Evidentemente sapere quanto olio lampante entra per essere poi trasformato è importante.
  Sapete, io non sono un esperto del traffico di perfezionamento attivo. Ogni volta provo a informarmi, ma i colleghi della Guardia di finanza ne sanno sicuramente di più. Sembra che ci sia adesso un traffico che funziona per equivalenza e non più per identità. Questo significa che ci sono margini per incertezze, data l'indeterminatezza della scienza, in questo caso della scienza ufficiale.
  Che altro dire ? Sulla contraffazione internazionale ho già riferito che sono stato con il dottor Natalini a Madrid e abbiamo parlato di olio. Abbiamo raccontato che cos’è l'olio e come si riconosce l'olio extravergine. Adesso abbiamo una rete di 51 Paesi, ben oltre l'Unione europea, e ci arrivano continuamente segnalazioni di richieste a noi utili. Anche noi, però, possiamo fare attività internazionale, senza passare per lungaggini burocratiche quali le rogatorie. Ci potremmo anche attivare per questo, ma intanto potremmo avere un riscontro immediato alle nostre domande.
  Non ho dimenticato il tappo antirabbocco. Il tappo antirabbocco lo stiamo monitorando e valutando. Permettetemi di chiudere, però, non vorrei dilungarmi tanto. È chiaro che il tappo antirabbocco è una norma di civiltà. Cosa è mai rabboccato, però ? Io voglio andare nell'interpretazione della norma, pur se come organo di polizia. Cosa può essere mai rabboccato ? Un olio di qualità, sicuramente. La nostra attenzione sta andando chiaramente sugli oli a indicazione geografica protetta che hanno una protezione a livello europeo e a livello italiano. Mi riferisco all'articolo 517-quater.
  Questo perché ? Perché qualora fosse rabboccata la bottiglia data alla ristorazione con l'etichetta indicante «Le meraviglie della Toscana» o «Le meraviglie della Puglia», tanto per non fare nomi di IGP o DOP, e ci fosse, invece, dentro un extravergine qualsiasi, a quel punto, ci troveremmo in un contesto da magistratura.Pag. 44
  Qualora, invece, ci siano tanto il sottocosto, sia problemi col tappo antirabbocco, stiamo cercando di capire come muoverci – so che funzionari della repressione frodi si sono incontrati con il Ministero dello sviluppo economico – perché la norma parla di tappo che non deve avere possibilità di manomissione.
  C’è un po’ di confusione su questo tema. Noi stiamo facendo attività, ma la facciamo accoppiando la tracciabilità, dei ristoratori in quel caso, alla verifica dei contenitori con il tappo antirabbocco, proprio per fare un discorso, come dicevo prima, completo di indagine. Su questo aspetto vi farò avere i risultati al più presto.
  Io vedo soprattutto in commercio, laddove non c’è questa possibilità, l'estensione dei flaconcini monodose, che credo abbiano rappresentato a volte la soluzione migliore per risolvere alcune questioni.
  Mi rimetto alle vostre domande e curiosità. Concludo dicendo che il lavoro che abbiamo portato avanti, con concertazione e coordinamento, nel 2010-2011 insieme a quel Comitato tecnico, la campagna olearia straordinaria di controllo tra Agenzia delle dogane, Guardia di finanza, Comando Carabinieri politiche agricole, Corpo Forestale e Ispettorato centrale della tutela della qualità fu un ottimo esempio di come insieme, ognuno con le sue peculiarità, le sue capacità e il suo expertise, siamo riusciti a tirare fuori una soluzione. Il problema è la contraffazione nel settore dell'olio. Forse potremmo ripetere questa formula vincente anche per altri settori, per contrastare la contraffazione agroalimentare, almeno per quanto riguarda il nostro Paese.

  PRESIDENTE. Ringrazio anche il dottor De Franceschi.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  COLOMBA MONGIELLO. Intervengo brevemente, presidente, anche perché questa è stata un'audizione lunga e anche molto interessante. Mi rivolgo a tutti gli auditi che sono rimasti qui e che io ringrazio. Non era semplice far approvare questa legge. Mi ha creato una grande sofferenza e oggi dai vostri interventi ho tratto anche il coraggio di determinate azioni. In questa Commissione c'era anche il Presidente Catania, che allora era ministro. Sono presenti due soggetti coinvolti.
  Mario Catania sa bene quanto sia stato difficile, a volte quasi impossibile, farla approvare. La legge si compone di tre tronconi: il primo riguarda la trasparenza e il rispetto verso il consumatore; il secondo come tutelare che ci sia vero prodotto nella bottiglia; il terzo tutte le sanzioni che abbiamo dovuto rivedere.
  Quest'ultimo è stato il punto più controverso. Tutte le Commissioni parlamentari sono state coinvolte, comprese le due Commissioni Giustizia. Non era facile poter fare approvare quella che io chiamavo «una leggina piccola piccola», che, in realtà, conteneva qualche norma dirompente.
  Ricordo anche il percorso. Noi abbiamo approvato questa legge in soli sette mesi. Fu un capolavoro parlamentare, una delle pochissime leggi parlamentari che hanno riguardato l'agroalimentare. Devo dare atto anche a tutte le forze dell'ordine che oggi sono qui presenti e che ci hanno dato una mano nella redazione del testo. Le ringrazio e lo faccio qui in questa Commissione nel momento opportuno, perché abbiamo dovuto studiare una normativa rispetto a un fenomeno nuovo, che giuridicamente non era previsto nelle normative esistenti.
  Ricordo anche, e su questo chiudo l’amarcord, la parte proprio dell'articolo 14 sull'associazione a delinquere e sulle intercettazioni. Ricordo che in Commissione Giustizia io, che non sono giurista, ho dovuto discutere con commissari che facevano questa professione e ho dovuto far capire loro come questo fenomeno fosse complesso, ma molto diffuso e come succhiasse risorse a un'economia territoriale molto forte, creando lavoro nero e caporalato, ma innanzitutto distorcendo il mercato e generando concorrenza sleale.Pag. 45
  Questo era il sistema economico dietro a tutto ciò. Rammento le parole dell'allora relatore in Commissione Giustizia al Senato, tale Gerardo D'Ambrosio, che io qui voglio ricordare, che mi disse: «Questa legge non te la faranno fare mai». Lo diceva perché è una legge dirompente, che va a rivoluzionare un sistema e a creare nell'ambito del Codice penale una reale novità rispetto a un tema fin qui poco considerato.
  Invece, la legge l'abbiamo fatta, con il grande coraggio anche di attori che sono presenti oggi. È ovvio, però, che prima di tutto bisogna applicarla, in tutti i suoi 17 articoli. Potremmo discutere molto – vero, dottor De Franceschi ? – anche sull'applicazione. A mano a mano, come dico io, una bella signora ogni tanto si rifà il trucco. Pertanto, abbiamo dovuto provvedere anche a un lifting in corso d'opera per cercare di rendere la legge più omogenea, perché risulta quasi decontestualizzata rispetto al Codice penale.
  Qualcuno mi potrebbe anche chiedere: «Perché avete voluto fare una legge su una filiera quando potevate considerare le intere filiere ?». Noi venivamo fuori dall'esperienza sull'etichettatura, dove non c'erano i decreti attuativi e non ci sono ancora i decreti attuativi. Venivamo fuori da un'esperienza di rotta di collisione con l'Unione europea. Guarda caso, l'Unione europea ha poi adottato, nel Regolamento entrato in vigore il 13 dicembre dello scorso anno, i primi articoli di questa legge. Non eravamo proprio in contrapposizione. Era un percorso normativo rivoluzionario di per sé, all'inizio.
  Mi rendo conto anche dalle parole del presidente che la legge può essere oggi mutuata per altre filiere produttive. Ci stiamo pensando. Il presidente l'ha già anticipato. È ovvio che, nel momento in cui passiamo a questa seconda fase, dovremo pensare anche a un testo rivisto, come ho sempre detto io, nonché compartecipato. Su questo tema diamoci tutti una mano.
  Noi stiamo esaminando un fenomeno contraffattivo, per non parlare dell’Italian sounding, che è un'altra questione rispetto a un fenomeno di contraffazione. Sinceramente anche lì c’è un profitto che l'Italia non riesce a raccogliere. Ecco perché sottolineo che c’è stato tutto questo nel corso del tempo.
  Mi avvio a concludere, presidente, su alcune considerazioni. L'articolo 10 – io me lo sono riletto; lo dico ai due giudici che ci hanno fatto l'onore di rimanere qui – va a normare anche il sistema doganale e ha rappresentato un'innovazione. Possiamo perfezionarlo ? Va benissimo.
  Sul tema dei trasporti sono d'accordo con voi. Secondo me, un correttivo va fatto.
  Sul TPA, caro Presidente Catania, io ho presentato un'interrogazione due giorni fa e vedo che il dottor De Franceschi mi ha già risposto. Come si suole dire in questi casi, rimango soddisfatta dalla risposta: quello è un tavolo che non è mai stato attivato.
  Inoltre, dobbiamo anche arginare diverse confusioni nell'attuazione della legge. Quella sul tappo è stata una battaglia che abbiamo condotto nell'ambito della legge comunitaria. Prima c’è stata l'infrazione, poi non piaceva a qualcuno, poi c’è stata una legge contestata. Non si sapeva se sarebbe entrata in vigore o no. Poi c’è stata l'infrazione europea. Adesso, grazie a Dio, è finito tutto questo, la legge comunitaria ha chiuso qualunque tipo di discussione e oggi passiamo alla fase 2.
  Mi rivolgo al presidente, che ringrazio, perché abbiamo voluto esaminare insieme uno dei fenomeni di contraffazione, partendo anche da un quadro normativo che esiste già e che è un buon punto di partenza per passare a una fase successiva.
  In questo senso io credo che possiamo migliorare qualunque testo e anche riuscire a modernizzarlo nelle parti che abbiamo già capito possono rivelarsi farraginose. In merito io ringrazio tutti. Sono rimasta anche molto colpita dal fatto che, comunque sia, questa legge piccola piccola, come la chiamo io, è stata una legge dirompente nel quadro dell'agroalimentare italiano, che può finalmente chiarire anche tutto il sistema contraffattivo che Pag. 46riguarda le altre filiere. Lo dobbiamo a questo Paese, io credo, e lo dobbiamo a un settore a cui abbiamo dedicato molta parte del nostro impegno.
  Chiedo scusa alla presidenza se ho preso questo tempo, essendo relatrice di questa indagine. Questa è una prima parte. Ci saranno altre audizioni, ma, poiché voi sperimentate sul campo, mi rivolgo a voi.
  Un giorno io mi sono presentata in un tribunale e mi è stato chiesto: «Scusi, ma lei che cosa cerca ? lei di che sta parlando ?». Io ho risposto che parlavo di contraffazione. Sono sembrata quasi un'aliena che andasse a forzare dei campi di indagine che non sono il mio settore.
  Io sono un legislatore e ho cercato di fare la mia parte. Credo di essere stata aiutata nel migliore dei modi anche da molte presenze che sono qui oggi. C’è stata una mano da giuristi avveduti anche nell'elaborare con coraggio qualche articolo di legge. Adesso io chiedo anche una piena applicazione della legge.
  Oggi noi abbiamo audito due casi simbolo che la procura di Siena ha trattato. Si è parlato della «lavanderia dell'olio». Non ho capito perché i giornalisti ne abbiano dato questa interpretazione, ma c’è un asse Puglia-Toscana, una filiera corta che è più corta di quanto noi possiamo pensare.
  Dobbiamo anche cercare di capire perché questa filiera funzioni, come mai ci sia quest'asse privilegiato e perché ci siano anche dei prestigiatori che si sono attivati anche nell'applicare la legge e, ovviamente, nel cercare di farlo pro domo sua. Noi, di conseguenza, dobbiamo attivarci, perché ci sono alcuni fenomeni distorsivi che vanno sicuramente arginati.
  Per questo motivo volevo fare questo tipo di intervento. Noi vogliamo bene a questo Paese, ma dobbiamo cercare tutti insieme, con le armi di cui noi disponiamo e nel migliore dei modi, di aiutare un settore che è in crescita, ma che quest'anno, ha ragione il dottor Savasta, è in ribasso. Quest'anno noi abbiamo avuto la metà della produzione olearia italiana e siamo invasi da olio straniero. La produzione italiana è già finita nei primi mesi dell'anno.
  Quest'anno è il primo in cui è entrata in vigore veramente la legge salva-olio, la prima campagna olearia. Io chiedo a tutti la disponibilità di fare maggiori controlli e di prestare maggiore attenzione verso un settore che tipicamente qualifica il made in Italy, ma che è un settore che, purtroppo, negli ultimi anni è invaso da olio straniero vestito da olio italiano.
  Questo io lo dico sempre e penso che tutti noi, se siamo venuti qui oggi e abbiamo assistito a tutte queste ore di audizione, siamo presi anche da una sollecitudine di intervento rispetto a un settore che è stato normato, ma che richiede anche, come una bella signora, una particolare attenzione.

  PRESIDENTE. Bene. Su questo intervento molto accorato e partecipato della collega Mongiello io credo che possiamo chiudere questa giornata di audizioni.
  Torno a ringraziare tutti gli auditi. Il contributo fornito è stato particolarmente apprezzato e sono stati apprezzati tutti i suggerimenti. Non voglio trarre conclusioni. Ci sono spunti molteplici. Non mi è sfuggita sicuramente l'attenzione di molti sul tema della movimentazione del prodotto, ma sono tanti gli aspetti, sia nella politica penale, sia negli aspetti correlati che sono stati avanzati oggi, che saranno tenuti sicuramente presenti da questa Commissione nel seguito dei lavori. Grazie ancora a tutti.
  Dichiaro conclusa l'audizione e dispongo che le documentazioni presentate siano allegate al resoconto stenografico della seduta odierna.

  La seduta termina alle 18.

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ALLEGATI

Documentazione presentata dai soggetti auditi

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