XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V-X-XI-XIV Camera e 5a-10a-11a-14a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 15 gennaio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione del vice presidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, sulle politiche dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 144-quater, comma 2, del Regolamento del Senato della Repubblica):
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Katainen Jyrki , Vice presidente della Commissione europea ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 6 
Fregolent Silvia (PD)  ... 7 
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 8 
Buttiglione Rocco (AP)  ... 9 
Librandi Gianfranco (SCpI)  ... 10 
Guidesi Guido (LNA)  ... 11 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 12 
Cariello Francesco (M5S)  ... 12 
Boccia Francesco , Presidente ... 13 
Pisano Girolamo (M5S)  ... 13 
Marcon Giulio (SEL)  ... 14 
Boccia Francesco , Presidente ... 15 
Katainen Jyrki , Vice presidente della Commissione europea ... 16 
Boccia Francesco , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del vice presidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, sulle politiche dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni congiunte V, X, XI e XIV della Camera e 5a, 10a, 11a e 14a del Senato reca l'audizione del vice presidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, sulle politiche dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione.
  Avverto che la seduta dovrà terminare entro le ore 10.15, considerato che le votazioni dell'Assemblea alla Camera inizieranno alle ore 10.20. Pertanto, in considerazione del limitato tempo a disposizione, potrà intervenire un componente per ciascun gruppo, sia della Camera sia del Senato, per non più di 3 minuti. Qualora intervenga un solo componente per i gruppi presenti in entrambi i rami del Parlamento, il tempo a disposizione sarà raddoppiato a 6 minuti.
  Prima di dare la parola al vice presidente Katainen, invito i gruppi a comunicare il nome del deputato o senatore che intenda intervenire entro i primi quindici minuti della seduta, al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori.
  Nel dare la parola al vice presidente Katainen, lo ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

  JYRKI KATAINEN, Vice presidente della Commissione europea. Grazie, presidente. Buongiorno, signore e signori, onorevoli commissari. Vi ringrazio di questa possibilità di parlare al Parlamento italiano per discutere delle opportunità di crescita in tutti i Paesi europei.
  Tutti i Paesi europei hanno disperatamente bisogno di crescita economica e uno dei motori principali è costituito dagli investimenti. Tutti gli Stati membri soffrono di una carenza di investimenti per una serie di motivi. Per questo la Commissione Juncker ha inteso dare massima priorità agli investimenti come uno dei temi portanti della nuova Commissione europea.
  Gli investimenti ovviamente seguono l'andamento della domanda, ma anche l'andamento dei Paesi più competitivi dal punto di vista del clima di impresa. Si tratta di investimenti soprattutto privati, perché molti Stati membri non sono in grado di attingere ai fondi pubblici per alimentare gli investimenti, ma per garantire l'avvio della crescita economica abbiamo bisogno di investimenti sia pubblici che privati.
  La Commissione ha quindi predisposto un piano di investimenti, che vorrei paragonare a un triangolo, con tre componenti. La prima componente è il finanziamento del rischio, aspetto che in seguito approfondirò, la seconda è un meccanismo Pag. 4per selezionare i migliori progetti privati, la terza è relativa al mercato unico. Inizio da quest'ultima componente.
  Il mercato unico è estremamente importante per tutte le aziende europee, è come un catalizzatore per le piccole e grandi aziende e consente loro di espandersi e creare occupazione. L'ultima volta in cui l'Unione europea si è impegnata seriamente nello sviluppo del mercato unico non avevamo i contenuti digitali, per cui manca ancora un mercato unico digitale.
  Una piccola azienda che eroghi servizi o produca in un contesto digitale negli Stati Uniti ha un fantastico mercato unico, ma purtroppo non in Europa. Se un'azienda italiana volesse vendere un prodotto in Spagna, dovrebbe studiare il regime del copyright e dell'IVA in Spagna, la protezione dei dati, la riservatezza, quindi tutta una serie di barriere per coloro che vogliano operare tra Paesi europei. Per questo abbiamo inserito il mercato unico digitale nel nostro catalogo di priorità, ovvero l'esigenza di armonizzare per renderlo possibile.
  Un'altra sfida è l'energia. È molto difficile vendere l'energia con modalità transfrontaliere. L'energia è fondamentale per la crescita economica e si ha veramente bisogno di un mercato unico dell'energia, di investimenti che rendano possibile la trasmissione dell'elettricità o del gas al di là delle frontiere nazionali, quindi di investimenti per le infrastrutture ma anche di riforme normative e regolamentari.
  I capitali sono un altro aspetto per il quale manca un mercato unico, e questo è importantissimo per le piccole e medie imprese, che si finanziano essenzialmente ricorrendo alle banche. L'80 per cento del finanziamento delle piccole e medie imprese (PMI) viene infatti dalle banche e soltanto il 20 per cento è attinto dai mercati dei capitali, quindi da fonti diverse dalle banche. Negli Stati Uniti avviene il contrario: le PMI si finanziano essenzialmente con fonti diverse dalle banche.
  Dobbiamo quindi migliorare il mercato unico dei capitali per poter diversificare le fonti di finanziamento delle PMI, perché le banche non sono in grado di prestare loro abbastanza e questo frena la crescita della piccola e media impresa e crea problemi per l'occupazione.
  Ritengo perciò che la componente mercato unico di questo piano sia la più importante, perché, se si riesce ad attuarla nel modo corretto, riformerà l'Europa, e un'Europa riformata dal punto di vista strutturale sarà in grado di innescare un processo di cambiamento permanente e positivo.
  Detto ciò, passo all'aspetto del finanziamento del rischio. In Europa c’è tantissimo denaro, non mancano i soldi, ma questi soldi non vengono utilizzati per gli investimenti per una serie di motivi.
  Abbiamo deciso di prendere l'iniziativa per mobilitare fondi privati per gli investimenti produttivi. Questo ha portato alla creazione di un nuovo fondo, il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). Conoscete la Banca europea per gli investimenti (BEI) e questo nuovo fondo è analogo alla BEI, con la differenza però che questo nuovo fondo assumerà una quota di rischio maggiore.
  Questo è il segreto del nuovo fondo: noi non vogliamo aumentare l'onere per i contribuenti per gli investimenti, ma vogliamo che il capitale privato, che c’è ed è tanto, poiché c’è tanta liquidità in Europa, inizi a muoversi, a diventare mobile, a lavorare e a produrre investimenti.
  Per mobilitare le risorse private abbiamo bisogno di alcune risorse pubbliche, che condividano l'assunzione del rischio da parte del soggetto privato. Il nuovo fondo, con la sua capacità di erogare prestiti per 60 miliardi di euro, servirà a mobilitare più di 200 miliardi di risorse private.
  Il concetto è semplice: utilizzare un po’ di fondi pubblici finalizzati alla condivisione dei rischi per mobilitare fondi privati e di conseguenza aumentare anche l'occupazione.
  Il FEIS avrà un raccordo molto stretto con la Banca europea degli investimenti, ma sarà gestito da un Comitato per gli investimenti indipendente, composto da 7 Pag. 5persone che vaglieranno i progetti, valutandone l'adeguatezza rispetto ai criteri di investimento del FEIS. Le decisioni saranno assunte indipendentemente, senza interferenza da parte della politica.
  C’è un Comitato direttivo del fondo rappresentato dai vari soggetti interessati, ovvero gli organismi e i soggetti che hanno investito nel FEIS. Il Comitato direttivo fisserà il livello di rischio per l'attività del fondo ed emanerà degli orientamenti per gli investimenti, che ad esempio quest'anno riguardano la banda larga, le energie rinnovabili, l'efficienza energetica.
  Anno per anno stabilirà a livello «più politico» gli orientamenti, ma questo organismo non assumerà le decisioni sugli investimenti. Questo è molto importante.
  Il settore privato sostiene che, per poter fare affidamento sulle decisioni di investimento del FEIS, è necessaria la certezza che non ci sarà un'interferenza politica nella selezione dei progetti, altrimenti non si potrebbe fare affidamento sulla sostenibilità e la redditività dei progetti stessi.
  Si tratta quindi di un nuovo fondo che potrà funzionare anche senza conferimenti da parte degli Stati membri, che può prestare 60 miliardi di euro senza contributi da parte degli Stati membri. Ovviamente tali contributi sarebbero importanti per aumentare la capacità di prestito del fondo, il finanziamento del rischio e il sostegno alle PMI, per cui sarebbe molto positivo se gli Stati membri dessero il loro contributo.
  Si vorrebbero individuare due filoni per gli investimenti del FEIS: da un lato le infrastrutture – reti energetiche, ferrovie, autostrade, centri di ricerca –, dall'altro le piccole e medie imprese. È noto, infatti, che le PMI soffrono di una carenza di liquidità, e il nuovo fondo dovrà finanziare o cofinanziare i progetti o le esigenze delle PMI.
  Da ultimo, questo fondo non distribuisce finanziamenti a fondo perduto, ma si tratta di prestiti. Ha un tasso inferiore rispetto a quello di mercato e i prestiti sono volti alla condivisione del rischio.
  Come ho detto, il fondo condividerà i rischi attraverso tranche junior. Se consideriamo ad esempio un investimento in una rete elettrica, il FEIS può prestare fondi, ma il settore privato dovrà finanziare il grosso del progetto e se ci sono delle perdite il fondo subirà la prima perdita: il finanziamento pubblico sarebbe il primo a subire la perdita. Questo è il modo in cui abbiamo strutturato il fondo, proprio per incoraggiare i privati a investire in infrastrutture pubblico-private.
  L'ultimo vertice del triangolo è la cosiddetta pipeline dei progetti, un meccanismo in grado di garantire la trasparenza. Ho incontrato investitori, banche d'investimento, fondi pensione di diversi Paesi e ci dicono che il nostro dovere è investire nelle infrastrutture europee.
  Abbiamo molta liquidità, ma il problema è che non troviamo progetti sostenibili e redditizi. Può sembrare sorprendente, ma questo è il feedback dei finanziatori privati. Per questo motivo abbiamo deciso di creare la pipeline, questa riserva di progetti.
  Se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti italiano volesse intervenire investendo nelle rete ferroviaria e si confrontasse con il Paese vicino per un progetto che ovviamente diventerà difficile da strutturare, l'Unione europea darà assistenza tecnica ai Ministeri coinvolti nel progetto, per strutturarlo e aiutare i Governi ad articolare questi investimenti complessi.
  Questo piano di investimento entrerebbe nella pipeline dei progetti, insieme ad altri 100 o 200 progetti. Il finanziatore privato andrà quindi a guardare e troverà un investimento nel settore ferroviario in Italia che magari gli interessa, apprenderà quale sia il ritorno su questo investimento e come siano stati risolti i problemi normativi.
  In questo modo il finanziatore privato potrà valutare i progetti già ben strutturati che si trovano all'interno di questa pipeline per offrire una vetrina agli investitori privati. Sembra una cosa semplice e in realtà lo è, però è qualcosa che manca. Questo è quello che ci hanno detto i fondi pensionistici.
  Onorevoli commissari, mi fermo qui. Fondo di finanziamento dei rischi, pipelinePag. 6dei progetti e mercato unico: questi sono i pilastri. Noi vogliamo far partire tutto, soprattutto la procedura per i progetti e il nuovo fondo, entro la fine del mese di giugno, per iniziare a offrire delle possibilità con una maggiore quota di rischio alle PMI e ai progetti infrastrutturali.
  Per il mercato unico ci vorrà più tempo, ma ne sottolineo comunque l'importanza e chiedo il vostro sostegno alle proposte legislative della Commissione europea, che arriveranno. Rimango a disposizione per le vostre domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il vice presidente Katainen. Mentre gli uffici raccolgono le richieste di intervento, faccio una brevissima introduzione che è alla base della necessità di questo nostro incontro alla vigilia del lavoro che le Commissioni bilancio di Camera e Senato, e le altre Commissioni parlamentari per i temi di rispettiva competenza, svolgeranno nelle prossime settimane.
  Ci troviamo alla vigilia della valutazione da parte dei due rami del Parlamento della Comunicazione recante il piano di investimenti per l'Europa presentata dalla Commissione europea lo scorso 16 novembre, che a questo punto non può non sommarsi ad una valutazione anche della Comunicazione della Commissione europea presentata il 13 gennaio scorso.
  È infatti necessario, per i due rami del Parlamento, valutare l'impatto economico e finanziario degli effetti delle politiche disegnate dalla Commissione europea.
  Al vice presidente Katainen sottopongo quindi una valutazione di partenza, che noi siamo stati chiamati a fare, sul percorso iniziato dalla Commissione europea, che ha visto protagonista proprio il suo ufficio. Nel 2014 ci siamo trovati a formulare una valutazione su una serie di impegni che possono essere riassunti in questo modo.
  Il Commissario Katainen ha annunciato alcune linee programmatiche, che in qualche modo ha ripreso questa mattina, ricordandoci i seguenti tre aspetti: single market, project pipeline e risk financing.
  Nella relazione trasmessa alle Camere tutto questo aveva alcuni punti fermi, come la stabilità macroeconomica quale presupposto indispensabile per ogni decisione di investimento e di occupazione, la necessità di un contesto normativo, finanziario e settoriale per gli investimenti privati, nonché una serie di punti fermi connessi al completamento del mercato unico, al mercato del lavoro e alla fiscalità.
  In data 16 dicembre 2014 la Commissione europea ha presentato il programma di lavoro per il 2015, che prevede l'attuazione del citato piano per gli investimenti che la medesima Commissione ha presentato il 13 gennaio scorso.
  Il primo quesito che mi permetto di porre al vice presidente Katainen riguarda una sua valutazione sul piano di investimenti, il cosiddetto Piano Juncker, con un moltiplicatore che ha lasciato abbastanza interdetti molti di noi.
  Siamo alla vigilia della valutazione empirica delle Camere sui cosiddetti 300 miliardi di euro – sono stati annunciati così non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi europei – che dovrebbero materializzarsi per effetto di un moltiplicatore che stimolerebbe i 21 miliardi di euro.
  Come il Commissario Katainen sa, a meno che nel frattempo non siano cambiati i fondamentali che regolano la valutazione economica degli investimenti, l'impatto economico degli investimenti attraverso risorse pubbliche avviene se le risorse pubbliche stimolano altri investimenti privati, se incidono sull'occupazione e se impattano sul PIL.
  Se le previsioni di PIL dei principali Paesi europei sono quelle che sono arrivate al vice presidente Katainen con i bilanci già approvati dai Paesi europei, va da sé che già l'impatto sul PIL di eventuali nuovi investimenti pubblici o non è stimato o non è contabilizzato o non è stato programmato, ciò che costituirebbe un problema. Sarebbe infatti più opportuno un coordinamento delle politiche economiche in sede comunitaria.
  Personalmente continuo a nutrire il dubbio che il moltiplicatore ipotizzato non sia reale. Da questo punto di vista, ritengo Pag. 7sia meglio sgombrare il campo da qualsiasi equivoco, entrare nel merito e capire cosa possiamo fare per rendere effettivi quei 300 miliardi di euro.
  La novità rispetto alla ulteriore Comunicazione del 13 gennaio sui margini di flessibilità risiede invece nella possibilità che la Commissione europea ammetta una deviazione temporanea dall'obiettivo del pareggio a medio termine entro il limite dello 0,5 per cento del PIL, che per l'Italia significherebbe 8,5 miliardi di euro.
  Nessuno di noi pensa che possano essere risolti i problemi con 8,5 miliardi di euro, soprattutto se tali problemi, come lei stesso richiamava, sono legati al combinato disposto della mancanza di investimenti da lei citata in premessa, e dei tre punti di riferimento, ovvero single market, project pipeline e risk financing.
  Penso che abbia molto senso fare questa valutazione oggi nella presente sede, anche rispondendo alle domande dei colleghi, per consentire al Parlamento italiano, nella fase in cui dovrà esprimersi sul combinato disposto delle due prime grandi scelte compiute da questa Commissione europea, il piano di investimenti per l'Europa presentato dalla Commissione il 16 novembre e la Comunicazione presentata il 13 gennaio, di avviare una fase di collaborazione costruttiva che sia basata anche sulla massima trasparenza degli impegni reciproci che abbiamo davanti.
  Ringrazio ancora il Commissario Katainen per la sua immediata disponibilità e sono convinto che questo sia il primo di una serie di incontri che terremo quest'anno.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SILVIA FREGOLENT. Ringrazio a nome del gruppo del Partito Democratico della Camera il vice presidente Katainen per l'audizione odierna, che costituisce l'occasione per un primo confronto su questioni cruciali per il futuro dello stesso processo di integrazione europea.
  L'Italia nel semestre appena concluso ha cercato di perseguire la richiesta che proviene da gran parte dei cittadini italiani – ma non solo italiani – di un profondo rinnovamento della politica europea. Non a caso, il programma della nostra presidenza è stato intitolato «Europa, un nuovo inizio» e si è incentrato sull'adozione di misure concrete per il rilancio della crescita e dell'occupazione e per alleviare l'impatto sociale della crisi e dell'austerità.
  Va dato atto che il nostro Governo spesso ha perseguito questo obiettivo in maniera assolutamente isolata, scontrandosi di frequente con la resistenza di alcuni Paesi.
  Diamo atto alla Commissione europea di aver offerto un contributo attivo all'attuazione dei nostri obiettivi per l'adozione del piano per gli investimenti europei lo scorso martedì, come ricordato dal presidente Boccia e dal vice presidente Katainen, tuttavia ci permettiamo di sottolineare qualche criticità.
  È vero che è stato dato un accento maggiore al tema della crescita, ma sono ancora numerosi i quesiti che ci poniamo. Il primo consiste nell'esiguità delle risorse di cui il nuovo fondo per gli investimenti disporrà in partenza. I 21 miliardi di euro stanziati dal bilancio europeo e dalla BEI fungeranno solo da garanzia.
  Il capitale del fondo dovrà essere costituito da apporti volontari di Stati membri o di privati, che non appaiono tuttavia scontati. È vero che tali apporti non saranno computati nel calcolo delle soglie del Patto di stabilità, fatto di per sé positivo, ma temo che molti Stati avranno difficoltà nel reperire le risorse da destinare al fondo e dovranno sottrarle ad altri interventi a sostegno della crescita. Sarebbe dunque stato preferibile che il bilancio europeo intervenisse in misura significativa nel capitale del fondo.
  Risulta, in secondo luogo, poco chiaro su quali stime si fondi l'effetto-leva di 1 a 15 che secondo la Commissione europea sarebbe il prodotto della garanzia stanziata dall'Unione europea, per cui le saremmo grati se potesse fornirci al riguardo dei chiarimenti.Pag. 8
  In terzo luogo, apprezziamo l'estensione dell'applicazione della clausola sugli investimenti, ma ci sembra di comprendere che le quote di cofinanziamento nazionali dei programmi finanziati dai fondi strutturali continueranno a essere computate ai fini del calcolo della soglia del deficit del 3 per cento.
  Restiamo infine convinti che l'Unione europea possa rilanciare stabilmente la sua economia a livello globale solo se a medio termine avanzerà verso la creazione di un governo comune dell'economia, dotando l'Eurozona di una regia unica fiscale e di forme di mutualizzazione dei debiti sovrani, presupposto essenziale per sottrarre definitivamente dalle pressioni speculative i Paesi con forte stock di debito, come l'Italia.
  Abbiamo appreso con grande soddisfazione il progetto di un mercato unico sull'energia e sul digitale. Questo rappresenta un primo passo, ma c’è ancora molto da fare.
  Concludo affermando che è necessario un maggior coordinamento dei sistemi fiscali nazionali anche per quanto riguarda l'imposizione diretta. L'attuale competizione fiscale sleale tra gli Stati membri è incompatibile con il funzionamento di un mercato unico e con i princìpi fondamentali dei trattati, producendo la concentrazione del carico fiscale sui fattori meno mobili della produzione, quali il reddito da lavoro.
  Come Partito Democratico riteniamo che occorra accelerare per la concretizzazione della tassa sulle transazioni finanziarie. La ringrazio per la sua attenzione.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Ringrazio anch'io il Commissario Katainen per la sua relazione. Lei ha giustamente posto l'enfasi sul fatto che il problema che nell'area dell'euro sta determinando un sostanziale ristagno ed una ripresa che resta molto al di sotto di quella che sarebbe necessaria per rilanciare occupazione e produzione è quello di una mancanza di investimenti, the lack of investment.
  Tale mancanza di investimenti significa che c’è un problema di domanda molto forte in Europa, un problema che evidenzia anzitutto la necessità di politiche che rilancino questa mancanza di domanda.
  La direzione del piano di investimenti che lei ci ha presentato e che avevamo già conosciuto attraverso la sua presentazione ufficiale è quella giusta, ma il problema è che esso sarà comunque insufficiente, se non suffragato da risorse adeguate.
  Si stima che ogni anno nell'area dell'euro si registri una mancanza di investimenti che oscilla tra i 250 e i 350 miliardi di euro. Ciò significa che quello che sarebbe necessario per rilanciare la domanda, e quindi l'occupazione e la produzione, è molto al di sopra di quello che è stimabile anche nella più ottimistica previsione, ossia che il valore complessivo del piano di investimenti nei tre anni sia effettivamente di 315 miliardi di euro.
  Dobbiamo quindi intenderlo come un primo passo ? Un primo passo significa però che bisogna pensare rapidamente anche a come renderlo molto più sostanzioso. Del resto, anche nell'ipotesi che riuscissimo ad investire 100 miliardi di euro all'anno, saremmo fortemente al di sotto della possibilità di un rilancio della domanda nell'area dell'euro.
  In secondo luogo, come lei ha giustamente detto, noi vogliamo investimenti pubblici ma soprattutto privati, vogliamo investimenti profitable, in grado di ripagarsi attraverso il ritorno degli investimenti. Le pongo però una domanda importante.
  Vogliamo costruire un mercato non solo dei prodotti industriali, ma anche dei servizi, soprattutto dell'energia e del digitale, ma lei sa che il problema fondamentale, ad esempio nel campo dell'energia, è come costruire le connessioni tra i mercati nazionali. Oggi il problema è una liberalizzazione che si è fermata dentro i confini nazionali, ma chi investe per costruire queste connessioni ? Non è profitable per i privati ed è ostacolato dalle grandi imprese; servono piuttosto investimenti pubblici che siano in grado di scontare il futuro.Pag. 9
  Le chiedo quindi se si possa pensare a una strategia che punti su questi investimenti pubblici per aprire e creare la profittabilità, altrimenti temo che, senza queste connessioni, per vedere il mercato unico dell'energia dovremo aspettare ancora molti anni. È molto importante questa enfasi sul fatto che l'investimento pubblico deve fare da apripista all'investimento privato.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Anch'io desidero ringraziare il vice presidente Katainen per la sua presenza. Mi auguro che questo incontro inauguri un'abitudine di rapporti frequenti e cordiali per affrontare i problemi comuni. Abbiamo bisogno di «europeizzare» le politiche interne, ma abbiamo bisogno anche che la politica europea sia più direttamente connessa alle attese e alle speranze dei cittadini, che sono rappresentate dai Parlamenti nazionali.
  Vice presidente Katainen, perché mancano gli investimenti ? Posso suggerirle – e vorrei un suo parere – che una ragione nella difficoltà degli investimenti risieda anche nel fatto che, nonostante i grandi progressi compiuti, manca una vera unione bancaria e non è stato adeguatamente risolto il problema della vigilanza sulle banche ?
  Da un lato abbiamo una Banca centrale europea che attraverso il Long term refinancing operation (LTRO) offre alle banche eccellenti possibilità di fare prestiti alle imprese, mentre dall'altro abbiamo una European Banking Authority che preme esattamente nella direzione opposta. Non so quale delle due posizioni sia più giusta, però dovrebbero essere coordinate. Non possiamo andare avanti con questa dicotomia nella gestione del nostro sistema bancario.
  In secondo luogo, non sarà forse che gli investimenti privati manchino non solo, e forse non tanto, per un deficit di domanda, ma per un deficit di competitività ? Le imprese europee non sono cioè sufficientemente competitive sui mercati internazionali. Al riguardo, mi sembra che la Commissione europea abbia una sua linea, che indica le ragioni e tenta di porvi rimedio, ma esiste una connessione fra gli orizzonti che vengono indicati, ad esempio, nell'ambito della strategia Europa 2020, e le risorse che vengono stanziate ?
  Tra l'obiettivo indicato, quello di riportare al 20 per cento del PIL la partecipazione dell'industria, e le risorse stanziate, mi pare infatti che esista uno iato drammatico. Qualcuno si pone il problema ? Qual è la risposta che la Commissione europea intende dare ?
  Non basta dire che nel bilancio attuale non ci sono le risorse. Se prendiamo sul serio l'obiettivo della strategia Europa 2020, la Commissione europea deve dire ai Governi nazionali che con questo bilancio l'obiettivo è irrealistico, per cui o viene fissato un obiettivo diverso, minore, ridotto, riducendo al contempo le ambizioni, oppure devono essere forniti i mezzi per perseguire gli orizzonti che ci si è prefissati.
  Il popolo crede poco alle politiche europee, perché vede uno iato troppo forte tra le parole e i fatti, ed ovviamente i fatti dipendono dalle risorse disponibili.
  Lei giustamente insiste, altresì, sulla necessità di completare il mercato unico. Mi permetto di osservare che un mercato è fatto di regole ma anche di strade, di infrastrutture. Se le regole sono buone ma le infrastrutture sono cattive, il mercato non c’è.
  Le nostre imprese non sono sufficientemente competitive perché il mercato non è presente in misura adeguata. Il mercato digitale si fa con le regole, ma quelle attuali favoriscono in modo sfacciato, sia pure contro le intenzioni originarie, i competitori di oltre Atlantico e rendono impossibile la formazione di margini di profitto sufficienti a finanziare gli investimenti.
  Anch'io sono a favore dell'investimento privato piuttosto che di quello pubblico, ma quando il sistema regolatorio rende impossibile l'accumulazione di risorse o rende non attrattivo l'investimento privato, o cambiamo le regole oppure ci vuole l'investimento pubblico.Pag. 10
  Questo vale per l'infrastruttura del digitale, che non è adeguata poiché, per difetti regolatori e per la mancanza di un'infrastruttura del digitale europeo, com’è evidente non esiste un mercato digitale europeo. Chi deve investire per realizzare questa infrastruttura, i privati o il pubblico ? Forse tutti e due, ma bisogna cambiare il sistema delle regole e mobilizzare le risorse adeguate.
  Ma questo vale forse solo per il digitale ? No, vale anche per l'energia. Noi non abbiamo l'interconnessione energetica, quindi come possiamo parlare di un mercato comune dell'energia se non c’è l'interconnessione delle reti energetiche ?
  Ciò vale per tanti altri aspetti ed esige che taluni problemi vengano affrontati. Vogliamo noi una rete unica europea, gestita da un'unica società europea dell'infrastrutturazione digitale ? Dobbiamo avere una politica per questo. Forse una sarebbe troppo poco, ma non ne possiamo avere 28: negli Stati Uniti ne hanno 3 o 4. Dobbiamo aiutare la formazione di soggetti di dimensioni adeguate per la gestione di mercati di questa portata.
  Abbiamo inoltre il problema della regolamentazione del traffico aereo, ma potrei fare un elenco praticamente infinito di situazioni analoghe. Su questo noi vorremmo vedere un intervento più deciso della Commissione europea, perché sono convinto che è preferibile che queste dinamiche avvengano il più possibile attraverso strumenti di mercato, ma il mercato non è l'assenza di regole.
  Bisogna stabilire le regole di quel determinato mercato, altrimenti è inevitabile che cresca la domanda che gli investimenti si facciano con i soldi dell'Unione europea, che è un'altra via, legittima anch'essa, che però chiama in causa due aspetti. Noi abbiamo una revisione di mezzo termine del bilancio dell'Unione europea, che è stata promessa: non è che da lì potrebbero venire le risorse che ci mancano ?
  Abbiamo una commissione presieduta da un illustre studioso italiano, il professor Monti, la quale sta studiando il finanziamento proprio dell'Unione europea: non è che per caso ha qualche notizia di questa commissione, che sembra un po’ svanita nella nebbia ? Sappiamo quando terminerà i suoi lavori e cosa ci proporrà ? Da lì potrebbero venire risorse adeguate.
  Abbiamo sentito parlare di 315 miliardi di euro di investimenti. L'unica cifra che lei ci ha dato oggi è quella di 60 miliardi di euro, cifra molto più compatibile con una leva di investimenti ragionevole. Qual è la cifra giusta ? Che rapporto c’è tra i 60 e i 315 miliardi di euro ?
  Mi smentisca, infine, se è possibile: si ha l'impressione che la Commissione europea non abbia un'unità di indirizzo, che al suo interno ci sia una discussione che non è ancora arrivata a una matura conclusione. Non riesco a vedere tale matura conclusione nell'ultima Comunicazione, pur rilevante e positiva.
  Ad esempio, c’è la questione della «regola d'oro», la golden rule. Lei permetterà a un vecchietto come me di ricordare che l'espressione golden rule una volta significava che la spesa per gli investimenti era trattata in modo diverso dalla spesa corrente. Non varrebbe la pena di ripristinare quella golden rule, andando fortemente nella direzione non di un lassismo nella valutazione dei bilanci degli Stati membri, bensì di una valutazione non solo quantitativa ma anche qualitativa dei bilanci degli Stati medesimi ? Mi fermo qui per mancanza di tempo.

  GIANFRANCO LIBRANDI. Ringrazio il vice presidente Katainen per la sua presenza e per le sue parole. Nell'ambito delle sue competenze in materia di occupazione, crescita, politiche di investimento e competitività, lei ci ha indicato la seguente strategia: il piano di investimenti per l'Europa, il mercato unico, il project pipeline, il fondo di investimento generale dei prestiti.
  Mi chiedo però in che modo le piccole e medie aziende italiane potranno accedere a questi strumenti, come esse potranno arrivare alle strategie che voi avete messo in campo in maniera così determinata, matematica, concreta.
  Vorrei che il vice presidente Katainen si rendesse conto che alla fine questi Pag. 11strumenti devono produrre dei risultati e che, per quanto riguarda l'Italia, bisogna cercare di fare in modo che le informazioni e tutte le indicazioni necessarie arrivino al punto desiderato.
  Per quanto riguarda i cittadini, desidero segnalare che dal 2008 stiamo soffrendo la disoccupazione, che in Europa continua mediamente ad aumentare mentre il reddito pro capite continua a diminuire. L'Unione europea si è adattata a questa situazione ? Ha capito che bisogna aumentare la velocità per mettere in campo le azioni necessarie per cambiare immediatamente queste due problematiche che affliggono i nostri cittadini ?
  Vi è infine, nell'ambito dell'azione dell'Unione europea, una riflessione anche sulla spending review ?

  GUIDO GUIDESI. Vice presidente Katainen, sarò franco e tenterò di essere sintetico quanto lo è stato lei nella sua relazione. Non le nascondo che in un Paese che ha il 15 per cento di disoccupazione, il 45 per cento di disoccupati tra i giovani ed aziende costrette quotidianamente a chiudere, il fatto che lei venga in rappresentanza dell'Unione europea a dirci che la soluzione potrebbe essere un project financing diventa difficile da spiegare e anche molto deludente. Le faccio alcuni esempi.
  Noi siamo in una situazione in cui dal punto di vista fiscale una semplice azienda, una piccola o media impresa dell'alta Lombardia, della provincia di Como, al confine con la Svizzera, ha una pressione fiscale all'interno del nostro Paese di circa il 55 per cento, mentre spostandosi di venti chilometri e andando in Svizzera può avere una pressione fiscale del 25 per cento. Tralascio, poiché lei sicuramente già le conosce, le opportunità dal punto di vista infrastrutturale, del costo del lavoro e dell'offerta di servizi.
  Naturalmente qualche problema lo abbiamo anche noi, ma se voi ci venite a dire che un percorso di crescita può essere compiuto solo ed esclusivamente attraverso un cofinanziamento e che un mercato unico diventa solo ed esclusivamente digitale, la questione diventa difficile da affrontare.
  Il cofinanziamento con i vincoli di bilancio che voi ci imponete è infatti reso praticamente impossibile, e tale impossibilità diventa una mancanza di capacità concorrenziale per le nostre imprese rispetto alle altre all'interno del mercato unico europeo. Se io non ho la possibilità di abbassare la pressione fiscale, e ciò è dovuto al fatto di dover assicurare un'entrata per rispettare i vincoli europei di bilancio, come potrò mettere in concorrenza nello stesso mercato le mie imprese, che hanno una pressione fiscale di circa il 55 per cento, con le imprese di altri Paesi, che hanno una pressione fiscale pari a meno della metà ?
  Altra questione: come posso partecipare a un cofinanziamento pubblico con una compartecipazione privata della Banca europea per gli investimenti o di fondi europei, quando il mio bilancio non mi dà la possibilità di investire ? Altri bilanci di altri Stati europei hanno questa possibilità, perché i vincoli di bilancio, che certo valgono per tutti, tengono però conto di questioni molto antiche e non dell'attualità dal punto di vista economico, occupazionale e soprattutto del disagio sociale che vivono i cittadini. Anche questa diventa una mancanza di capacità concorrenziale rispetto agli altri Paesi.
  Il sunto è questo, vice presidente Katainen: lei ha una ricetta per mettere l'Italia allo stesso modo e con le stesse possibilità in concorrenza all'interno del mercato rispetto agli altri Paesi ? Le faccio un esempio classico. In questi ultimi anni l'infrazione per gli aiuti di Stato è diventata un'interpretazione: ci sono Paesi che interpretano l'aiuto di Stato in un modo e altri, come il nostro, che lo interpretano in maniera estremamente limitativa. Anche questo non garantisce la possibilità di un'equa concorrenza.
  Noi abbiamo imprese, per la gran parte piccole e medie, che hanno una qualità del lavoro decisamente superiore rispetto a quelle di altri Paesi, ma i vostri vincoli non ci danno la possibilità di portare i loro prodotti all'interno di un mercato concorrenziale Pag. 12che consenta di creare sviluppo e occupazione. Credo che il problema sia questo.

  ROCCO PALESE. Ringrazio molto il vice presidente Katainen, che oggi ci ha offerto la grande opportunità di questo confronto. Come tanti cittadini italiani, ho creduto in maniera ferma e forte e continuo a credere al sogno dell'Europa, ma oggi la mia generazione ha un problema: cosa dire ai nostri figli.
  Dai miei insegnanti di scuola mi è stata trasmessa una grande passione, un grande sogno: i padri fondatori ci hanno insegnato che l'Europa avrebbe fatto star meglio i cittadini europei. Oggi, invece, fatichiamo a spiegare a tutti che l'Europa alla fine è diventata un problema per le questioni che i miei colleghi hanno illustrato e per tante altre.
  Il punto centrale è che l'Europa è nata in un contesto in cui – cito il problema dei problemi – è stato preso come riferimento il Patto di stabilità e crescita, e anche allora si innescò una grande battaglia culturale per decidere se dovesse essere inteso come Patto di stabilità e basta o come Patto di stabilità e crescita.
  Purtroppo dopo tredici anni di moneta unica non abbiamo né la stabilità, né la crescita – questo è il dramma – e soprattutto, come i miei colleghi con varie argomentazioni hanno evidenziato, manca una politica di crescita e di investimenti e l'occupazione crolla. Il tasso di disoccupazione nel nostro Paese si attesta mediamente al 15 per cento ma in alcune zone si raggiungono livelli drammatici – la disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno arriva al 50 per cento – e lo stesso discorso vale anche per i consumi.
  È difficilissimo spiegare a tutti, soprattutto in riferimento ai fondi strutturali che l'Europa mette a disposizione per la crescita, ritenuti da tutti indispensabili, che l'Europa di notte ci dice che bisogna rispettare le scadenze e di giorno ci dice che non possiamo spendere perché c’è il Patto di stabilità.
  Non conforta nutrire grandissima speranza rispetto al piano dei circa 300 miliardi di euro e poi apprendere che quel poco di flessibilità che c’è, se c’è – meglio feriti che morti, meglio gli 8,5 miliardi di euro citati dal presidente Boccia con lo scostamento dello 0,5 per cento rispetto al Patto di stabilità – è totalmente insufficiente. Noi abbiamo bisogno di iniezioni forti per cercare di invertire la rotta.
  Non c’è dubbio che alcuni Stati membri, tra cui il nostro, hanno problemi interni come le riforme, la spending review, la corruzione, e forse su questo noi non facciamo abbastanza, ma ritengo che l'Europa oggi sia inadempiente rispetto alla completa definizione del Patto di stabilità, che deve essere inteso anche in termini di crescita, non solo di rigore.
  È quindi necessario ottenere un allentamento del Patto almeno in riferimento ai fondi strutturali. Anche in riferimento alle quote, bisogna avere la possibilità di calcolare fuori dal Patto l'intera somma che il nostro Paese versa nel bilancio europeo, più di 16 miliardi di euro, con un ritorno di 12 miliardi. Se la flessibilità viene aumentata a 8,5 miliardi di euro, aggiungendo altri 5 miliardi connessi al parametro del bilancio, forse qualcosa in più si riesce a fare. Un problema di carattere generale, ma molto più complesso, riguarda i compiti e lo statuto della Banca centrale europea.
  Concludo con l'auspicio di poter dire alle mie figlie che l'Europa continua ad essere come l'hanno costruita i padri fondatori, ossia un grande sogno, e che serve a far star meglio la gente, e non peggio, come purtroppo oggi accade.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio il vice presidente Katainen per l'audizione odierna. Credo che il suo discorso sugli investimenti dovesse cominciare con un'ampia premessa di scuse a tutta l'Europa, nel senso di dire: scusate se non l'abbiamo fatto prima. È chiaro, infatti, che questo approccio evidenzia la diagnosi di non aver investito in questa Europa e di aver concentrato le politiche del Patto di stabilità e crescita solo sull'austerità.
  Ma andiamo all'origine. Il Trattato di Maastricht prevedeva come obiettivo dell'Unione Pag. 13europea la piena occupazione, obiettivo che tuttavia non è stato raggiunto ed è stato travisato da un Patto di stabilità e crescita che ha concentrato la propria attenzione solo sulle politiche fiscali.
  La diagnosi è chiara: mancano gli investimenti. La terapia che avete previsto è però a nostro avviso non solo limitata, ma anche sbagliata, perché non si può prevedere di investire solo 21 miliardi di euro e chiedere al sistema di agire da moltiplicatore, semmai deve accadere il contrario.
  Da un lato si chiede alle banche di rientrare con le proprie sofferenze, dall'altro si chiede alle imprese di investire con i propri capitali di rischio. Le due cose cozzano: non si riesce a chiedere investimenti e a creare un moltiplicatore se le banche non concedono credito, mentre le piccole e medie imprese non possono rischiare il proprio capitale in quanto già in sofferenza per effetto di un'alta fiscalità e di debiti privati altamente rischiosi.
  Desidero porle alcune domande concernenti l'azione della Commissione europea. Avete preso coscienza che ormai nessun Paese rispetta o crede fermamente nel Fiscal Compact come diretto derivato dal Patto di stabilità e crescita ? Avete preso atto che questo accordo, più che trattato, tra alcuni Stati va rivisto o completamente cancellato ?
  Vi siete inoltre dimenticati del «made in». Questa Commissione europea aveva un compito, quello di rilanciare le peculiarità di ogni singolo Stato membro. Rilanciare il mercato omologandolo a un mercato unico e senza valorizzare le peculiarità di ogni singola regione dell'Unione europea, a nostro avviso, non ha senso.
  Guardiamo all'Italia: il settore agroalimentare merita investimenti dedicati e una valorizzazione delle proprie peculiarità, non l'omologazione a un sistema europeo standardizzato. Le peculiarità devono quindi essere valorizzate e ci vogliono investimenti o politiche mirati al rilancio delle peculiarità.
  Parliamo poi delle famiglie. Se anche gli investimenti programmati dovessero sortire effetti positivi, finché tali effetti positivi saranno quantificabili sul mercato le famiglie resteranno in una condizione di precarietà reddituale. Perché tra le raccomandazioni che fate al nostro Paese non inserite anche quella di adeguarsi al reddito minimo garantito ? Che si attui tale misura, come in tutti i Paesi europei. È in atto, lo vediamo, una fluttuazione delle risorse umane da alcune tipologie di lavori ad altre, ma nell'attesa le famiglie come possono sopperire a questa mancanza del reddito minimo ?
  Infine, voglio far presente che una norma inserita nella legge di stabilità da questo Parlamento, dietro proposta dell'opposizione, muoverà forse più miliardi del piano di investimenti. Ne abbiamo la certezza. Abbiamo semplicemente rimesso in campo la possibilità, per le piccole e medie imprese e per le famiglie, di sospendere il pagamento della quota capitale dei propri mutui e dei debiti che assillano le imprese.
  L'Unimpresa è venuta in questo Parlamento a riferire delle cifre. Solo questa norma, nel 2013, ha generato nel nostro Paese, in termini di investimenti privati, una cifra pari a 23 miliardi di euro. Perché non pensate di innestare questo approccio a livello europeo, proprio nell'ambito di questo piano di investimenti, ampliando le garanzie verso le imprese che vogliono utilizzare simile approccio rispetto ai propri debiti ?

  PRESIDENTE. Aveva chiesto la parola, per il MoVimento 5 Stelle, l'onorevole Pisano. Gliela concedo, anche se di fatto l'onorevole Cariello ha utilizzato tutto il tempo a disposizione del suo gruppo. Invito quindi il collega ad esporre rapidamente i propri quesiti al vice presidente Katainen.

  GIROLAMO PISANO. Grazie presidente, le prometto di essere sintetico. Ho sentito citare parallelismi con gli Stati Uniti e volevo sottolineare in proposito alcune differenze.
  Io sono un cittadino del sud Italia e, prima dell'Unione europea, potevo dire di Pag. 14essere un cittadino che abitava in una zona in cui esistevano alcune politiche fiscali di vantaggio. Il meridione d'Italia rappresenta una zona estremamente depressa dal punto di vista economico. Lo è sempre stata, ma allora era in una fase di recupero.
  Oggi, purtroppo, non posso più dirlo, perché le politiche fiscali di vantaggio all'interno dei singoli Stati membri non sono più consentite. Voglio informare il vice presidente Katainen circa il fatto che non sono più miei concittadini la bellezza di 800.000 persone che dal 2007 sono state mandate via dal Mezzogiorno. I livelli occupazionali sono scesi ai livelli del 1976 ed il reddito medio è pari a circa 13.000 euro, contro i circa 30.000 del nord Italia.
  Rispetto alla pubblicità che l'Unione europea conduce nella mia nazione, propugnando di costituire un elemento di vantaggio in quanto consente la mobilità dei lavoratori, permettendo loro di recarsi a lavorare anche in altre zone d'Europa, io voglio richiamare un altro parallelismo con gli Stati Uniti d'America, dove non esistono le barriere sociali, linguistiche e neanche culturali, che invece esistono, ed in maniera assai radicata, in Europa.
  Pertanto questa mobilità che pubblicizzate in realtà è falsa, anche con riguardo al fatto che la migrazione c’è, ma è quella delle imprese. È stato in precedenza accennato da un mio collega che esiste un problema di politiche fiscali dei singoli Paesi membri. La vera sfida è quella di distruggere questa concorrenza sleale, di cui il suo presidente è bene a conoscenza, proprio in relazione ad aspetti che riguardano la fiscalità delle singole nazioni. Diversamente non stiamo parlando di problemi di competitività dei Paesi europei, bensì di concorrenza sleale.
  Concludo aggiungendo che le politiche di investimento che sono state illustrate risultano ampiamente insufficienti, perché le cifre di cui ha parlato Juncker, anche prima della riduzione esagerata che c’è stata del piano di investimenti, in realtà non basterebbero neanche per la sola Italia, in termini di investimenti, qualora si intendesse risolvere quei problemi di gap strutturale che esistono anche all'interno di una singola nazione.
  Chiedo, quindi, al vice presidente Katainen se esiste all'interno della Commissione europea una linea che voglia risolvere queste problematiche attraverso una radicale innovazione della struttura dell'Unione europea e delle politiche economiche che si vogliono intraprendere.

  GIULIO MARCON. Ringrazio il vice presidente Katainen per la sua visita e la sua relazione. Vorrei osservare che le politiche della Commissione europea di questi anni stanno dimostrando tutta la loro fallacia e, devo dire, il loro complessivo fallimento.
  Peraltro, non raggiungono nemmeno l'obiettivo per il quale sono state concepite. In sette anni il debito pubblico nell'Eurozona è passato dal 65 per cento a oltre il 90 per cento del PIL dei suoi Paesi membri. Tali politiche, quindi, non hanno nemmeno raggiunto l'obiettivo della riduzione del debito, che costituiva l'obiettivo principale posto alla loro base.
  Le proposte ed il piano di investimenti che il vice presidente Katainen ci ha illustrato oggi rispondono a una politica che sta portando l'Europa a sbattere contro un iceberg. È una sorta di Titanic che sta lentamente andando verso una collisione che può essere drammatica per tanta parte della popolazione europea.
  Le politiche di questi anni sono state basate sostanzialmente su quattro princìpi fondamentali: la riduzione della spesa pubblica, che ricordavo prima; le privatizzazioni; la precarizzazione del mercato del lavoro; gli investimenti privati. Esiste l'idea che con gli investimenti privati possano ripartire l'economia, lo sviluppo e la crescita nel nostro continente e che da ciò si possano generare degli effetti anche sul lavoro, con la produzione di nuovi posti di lavoro.
  Questo è un assunto che non sta in piedi, nel senso che purtroppo gli investimenti privati non ci sono, le politiche pubbliche che incentivano gli investimenti privati non raggiungono risultati e, senza Pag. 15investimenti pubblici, l'economia e la crescita non possono ripartire.
  C’è in Europa un deficit di politiche pubbliche, di intervento pubblico e di investimenti pubblici e questo «piano Juncker», che lei ci ha illustrato, sconta proprio questi problemi nonché i limiti che ricordavo prima. L'idea che gli investimenti privati possano arrivare grazie agli incentivi, alla leva finanziaria e agli sgravi fiscali si basa su una linea d'intervento che abbiamo già visto in tanti anni passati, anche qui in Italia, e che non ha prodotto i risultati che si auspicava potesse determinare.
  Vice presidente Katainen, non so che cellulare abbia lei. Io ho l’i-Phone. Quasi tutte le applicazioni e i congegni che si trovano all'interno di questo telefonino sono il frutto di investimenti pubblici: internet è un investimento pubblico, così come lo sono il GPS, Siri, il microprocessore e lo schermo a cristalli liquidi. Potrei farle un elenco di tutti i congegni che si trovano dentro questo apparecchio e che sono il frutto di investimenti pubblici. Steve Jobs ha poi avuto la capacità di confezionare il prodotto e di fare un lavoro sulla grafica e sul design, ma senza investimenti pubblici questo telefonino non ce lo avremmo. O la Commissione europea si prende la responsabilità di attuare una politica robusta di investimenti pubblici oppure non si va da nessuna parte.
  Il collega Buttiglione ricordava la strategia di Europa 2020. Delle due l'una: o Europa 2020 è una cosa seria, e allora dovete permettere agli Stati di spendere le risorse per realizzare quel programma; oppure è una barzelletta, tant’è vero che, purtroppo, nelle discussioni che facciamo alla Camera e al Senato Europa 2020 non esiste, rappresenta giusto qualche foglio del Programma nazionale di riforma del quale nessuno parla mai.
  La Commissione europea deve esigere lo stesso carattere vincolante che esige per il Patto di stabilità anche per Europa 2020 e quindi per l'occupazione, per gli investimenti in innovazione e ricerca, per le energie pulite. Se volete ottenere che Europa 2020 sia effettivamente vincolante per gli impegni che ogni Paese assume, dovete consentire ad ogni Paese di poter spendere le risorse e di fare investimenti pubblici per realizzare quegli obiettivi. Diversamente Europa 2020 diventa un gadget, un'operazione di facciata che non ha alcun effetto sulle politiche che vengono promosse.
  Concludo con una delusione. Lei ha tra le materie di sua competenza anche l'occupazione, ma purtroppo sull'occupazione questa mattina non ha detto quasi niente, se non per il riferimento al fatto che ci si attende che arriverà nuovo lavoro grazie agli investimenti privati. L'Europa, però, si deve dare una politica attiva, deve attuare un piano straordinario per il lavoro su base europea e non aspettare che il lavoro arrivi dagli investimenti privati, che non ci saranno o che, se ci saranno, non produrranno quegli effetti.
  Noi ci auspichiamo, dunque, un maggior protagonismo nelle politiche pubbliche dell'Europa per uscire dalla crisi e per creare lavoro. Questa è la speranza che abbiamo, anche rispetto all'incontro di questa mattina.

  PRESIDENTE. Vice presidente Katainen, a proposito degli investimenti pubblici che hanno portato alla costruzione dello smartphone, quando parlava l'onorevole Marcon pensavo al fatto che tutto ciò che vi passa dentro ha generato, invece, profitti privati.
  A proposito dei profitti privati, le chiedo in una battuta, nella sua replica, se questo sarà l'anno di una scelta radicale sulla digital economy. Il Parlamento italiano, come lei sa, ha normato nel 2013 sul 2014, compiendo una scelta radicale sulle imposte indirette, con la consapevolezza che ormai, nel tempo dell'economia digitale, è inutile ricercare le sedi legali e le imprese. Forse ha più senso spostare la tassazione dalle imposte dirette alle imposte indirette. Il problema è che tutto questo in Europa avviene con grande difficoltà. Siamo a nove anni dalla direttiva del 2006 e abbiamo gemmato gruppi di lavoro e task force sull'economia digitale.Pag. 16
  La stima che facciamo in Italia sul business connesso a musica, giochi online, commercio elettronico, turismo, cinema e pubblicità, che non è aggiuntiva, ma viene sottratta al mercato italiano e quindi ai giornali, alle televisioni e alle radio, nell'ammontare complessivo del mercato è di 25 miliardi di euro. In questo momento, peraltro, è esentasse per le multinazionali del web.
  Le chiedo se questo sia l'anno di una scelta radicale, visto che il Parlamento italiano ha prima normato e poi si è fermato, girando il quesito all'Europa. È passato anche quest'anno e non è accaduto nulla.
  Aggiungo due pillole finali. Una è sulla carenza di domanda. Perché la Commissione europea non è determinata nel sollecitare i Paesi in surplus, che hanno margini adeguati, ad adottare politiche di sostegno alla domanda interna ?
  Inoltre, vorrei una sua valutazione sulla condizione attuale di deflazione in cui versa l'Europa. Vorrei sapere se non ha la sensazione, come molti di noi, che le disparità in Europa siano paradossalmente aumentate al tempo della crisi. I numeri, fino al 2007, tra i Paesi del Mediterraneo e i Paesi del nord Europa erano un po’ più vicini di come non lo siano oggi, dopo il periodo 2008-2013.
  Nel periodo 2008-2013 la variazione del PIL in Italia è stata pari a – 8 punti percentuali, in Spagna a quasi – 6 punti percentuali, in Germania a + 4 punti percentuali e in Grecia addirittura a – 26 punti percentuali, a dimostrazione del fatto che chi più ha avuto problemi nel periodo 2008-2013 ha visto aggravarsi tali problemi alla luce dello schema con il quale sono stati affrontati.
  Italia e Germania nel 2007 avevano la stessa disoccupazione e lo stesso PIL; la Germania oggi ha una disoccupazione inferiore a quella del 2007 e l'Italia l'ha quasi raddoppiata. Ovviamente, sono stati bravi i tedeschi e forse siamo stati meno bravi noi italiani, ma c’è un problema di coordinamento delle politiche economiche che non possiamo non porci.
  La ringrazio ancora per la disponibilità, che spero venga rinnovata nel corso delle nostre attività reciproche durante l'anno. Certamente la risentiremo anche per le vie brevi, nella fase in cui affronteremo in Parlamento le due Comunicazioni a cui abbiamo fatto riferimento all'inizio di questo nostro incontro.
  Do la parola al vice presidente Katainen per la replica ai quesiti posti.

  JYRKI KATAINEN, Vice presidente della Commissione europea. La ringrazio. È stato veramente interessante ascoltare questo dibattito per avere un po’ il polso delle opinioni. Per me è molto utile, perché si impara veramente molto da questo tipo di ascolto dei parlamentari nazionali. Mi fa percepire chiaramente le priorità dei diversi Stati membri e i temi che richiedono una nostra maggiore attenzione. È stato per me veramente di grande interesse. Adesso cercherò di raggruppare le domande.
  Il nostro piano di investimenti, ovviamente, non risolve tutti i problemi del mondo e neanche tutti i problemi dell'Europa. Non è la bacchetta magica che risolverà tutto. È una componente della strategia. Noi siamo portatori di una responsabilità condivisa per l'economia. La maggior parte delle medicine che debbono essere prese per creare lavoro e i rimedi, in realtà, sono nella disponibilità degli Stati membri.
  Se mi chiedete come le aziende italiane possano competere, visto che la tassazione nazionale è molto elevata rispetto a quella di un'azienda svizzera, che ha una minore tassazione, rispondo che questo è il tipico problema che è nelle mani dei parlamentari italiani. L'Unione europea non può risolverlo, perché non ha competenza in materia di fiscalità. Se volete che l'Unione europea risolva questioni di fiscalità – qualcuno di voi sarà favorevole e altri non lo saranno – dovete trasferire tale competenza all'Unione europea. Sappiamo, però, che ci sono opinioni diverse.
  Molte questioni relative alla competitività, in realtà, sono di competenza dei legislatori nazionali, ma dobbiamo agire Pag. 17anche a livello europeo, perché lì ci sono, invece, problemi che i singoli Stati membri non possono risolvere da soli. Abbiamo bisogno di uno sforzo comune.
  Le riforme proposte dal Governo italiano – e sono consapevole della delicatezza di questo punto – sono tutte giuste, secondo me, lo dico a titolo personale, in quanto aumenteranno la competitività del Paese. La riforma del settore giudiziario, se verrà attuata rapidamente e in maniera efficiente, realizzerà un cambiamento positivo. Questo è quanto ci dicono gli operatori privati.
  Quanto al Jobs Act, so bene che la questione è controversa, ma secondo me aiuterà le assunzioni ed è anche più equo rispetto ai giovani.
  Ci sono, dunque, tanti temi difficili all'ordine del giorno, ma le riforme proposte sono molto incisive e non sono nella competenza dell'Unione europea. Soltanto i Parlamenti nazionali possono realizzare queste riforme.
  Si è parlato dell'effetto moltiplicatore. Abbiamo un capitale di 21 miliardi di euro nel nuovo fondo di rischio. Questo capitale permetterà al fondo di prestare 60 miliardi. La BEI può reperire finanziamenti sul mercato nell'ordine di 60 miliardi, con una base di 21 miliardi. Questi 60 miliardi sono fondi pubblici che verranno utilizzati per i progetti a più elevato rischio per le PMI. Per arrivare ai 315 miliardi, il resto dovrebbe venire da finanziamenti del settore privato.
  Molti ci hanno criticato, dicendo che la valutazione del nostro moltiplicatore sarebbe irrealistica. Se vediamo, invece, le serie storiche dei dati relativi alla BEI, notiamo che il moltiplicatore che noi utilizziamo come ipotesi è inferiore a quello che si è verificato, o che ancora si verifica ogni anno nelle operazioni finanziate dalla BEI, che hanno un moltiplicatore maggiore.
  Il nostro obiettivo non è massimizzare l'onere per il contribuente. Noi vogliamo mobilitare le risorse private per investimenti redditizi produttivi. Abbiamo, dunque, la necessità di una quota di risorse pubbliche, come quelle del FEIS, per mobilitare quelle private. Dobbiamo decidere se gravare sulla gente, ovvero adottare lo strumento che abbiamo scelto.
  Le serie storiche della BEI ci dimostrano che l'effetto di leva è maggiore di quello che noi ipotizziamo. Ovviamente, dipende anche dal tipo di progetto. I fondi investiti nelle ferrovie, per esempio, rispetto ai prestiti alle PMI o agli investimenti nel capitale delle PMI hanno un effetto leva diverso. Gli investimenti nell’equity delle PMI generano maggiori risorse private, con un moltiplicatore superiore al 20.
  Nei progetti infrastrutturali il moltiplicatore è più basso, ma per la BEI il moltiplicatore medio è stato di 1 a 18, mentre per noi è di 1 a 15. In tutta sincerità, però, non sono in grado di garantire che questo moltiplicatore sarà di 1 a 15. Potrà essere più basso o più elevato. Non lo possiamo sapere in anticipo. Noi abbiamo costruito questa ipotesi sulla base delle migliori informazioni disponibili.
  Quanto al cofinanziamento nazionale, se gli Stati membri cofinanziano questi progetti, i fondi utilizzati per i progetti non innescheranno i meccanismi del Patto di stabilità e crescita. Anche se nella contabilità Eurostat vengono computati questi finanziamenti ai progetti ai fini del disavanzo e del debito, la Commissione europea non utilizzerà questo aumento del disavanzo e del deficit per attivare le procedure del Patto di stabilità e crescita. Abbiamo deciso di dare un'interpretazione favorevole a questi investimenti.
  Anche i conferimenti di capitale degli Stati membri al FEIS avranno un trattamento favorevole da parte della Commissione europea. Molti temono che gli Stati membri non saranno in grado di conferire risorse al FEIS. Una mia prima risposta è che, se un determinato investimento appare redditizio, è opportuno annettergli una grande priorità e risparmiare da un'altra parte.
  Fornisco anche un'altra risposta: vogliamo prestare fondi a quei progetti che sono in grado di attrarre risorse private. Pertanto, la mia principale preoccupazione Pag. 18non è che gli Stati membri non si possano permettere di aumentare i conferimenti pubblici, ma che noi vogliamo attrarre risorse private grazie a questo finanziamento del rischio.
  È stato detto che mancano 250-320 miliardi di euro di investimenti all'anno. Questo è il gap. Se paragoniamo il livello attuale a quello del 2007, vediamo che il livello attuale è di 500 miliardi inferiore. Nel 2007 c’è stata però la bolla del mercato immobiliare, che ha svolto un ruolo considerevole in alcuni Paesi, soprattutto nel sud dell'Europa. Comunque 300 miliardi di euro all'anno di investimenti in più dovrebbero essere il livello sostenibile. Di questo abbiamo bisogno.
  Oltre alla quantità, però, dobbiamo occuparci anche della qualità degli investimenti. È giustissimo affermare che in gran parte lo smartphone è frutto di investimenti pubblici, anche in ricerca e sviluppo. Non sempre la questione principale è quanto si spende, ma come si spende, quali sono le parti della società che possono produrre valore nel lungo periodo.
  Nel Paese che io conosco meglio un esempio di investimento pubblico è che il Governo ha deciso di fornire gratuitamente a tutti le informazioni che sono nel pubblico dominio. Per esempio, l'Agenzia geografica nazionale fornisce carte geografiche gratuitamente a tutti. Ciò rappresenta una grossa opportunità economica.
  Questo costa molto, perché in passato il Governo faceva pagare tali servizi. Anche quello è giusto, ma in questo clima, al fine di creare opportunità di innovazione, il Governo ha deciso di rendere gratuite queste informazioni pubbliche. C’è stata una perdita di gettito, ma si è generata innovazione. Il ritorno in termini di innovazione, in realtà, ha compensato il minor gettito. Anche questa è una forma di investimento pubblico.
  Forse è stato il presidente Buttiglione ad affermare che la mancanza di competitività è uno dei principali problemi che frenano l'investimento. Questo è giustissimo, per tutta una serie di motivi, a seconda dei diversi Stati membri. In alcuni Paesi i mercati del lavoro sono troppo rigidi, in altri il prezzo dell'energia è troppo elevato, in altri ancora le PMI non hanno accesso ai finanziamenti e, quindi, non possono espandersi.
  È una grossa questione. A questo proposito voglio sottolineare che è necessaria un'azione a livello europeo, ma è molto necessaria anche un'azione a livello nazionale, per migliorare la competitività. L'Unione europea non sarebbe in grado, anche se lo volesse, di fare tutto ciò che è necessario per migliorare la competitività.
  Uno dei temi o degli interventi potenzialmente migliorativi della competitività può essere deliberato a livello europeo, ed è lo sviluppo del mercato unico. Questo è veramente il cuore, il nocciolo dell'integrazione europea. Superare le barriere, eliminarle e consentire la libera circolazione delle aziende e delle persone al di là delle frontiere migliorerà complessivamente la competitività.
  Sono d'accordo sulla necessità di migliorare le reti energetiche, soprattutto a livello transfrontaliero, un pre-requisito del mercato unico. Ci sono delle aree in Europa che sono un po’ isolate. Non hanno reti, non hanno pipeline da e verso il Paese e, anche se ci fossero dei gasdotti da un Paese, non ci sarebbe un mercato perché c’è soltanto un gasdotto. Questo non va bene per il cliente. È sempre bene avere almeno due gasdotti da diverse fonti di approvvigionamento per poter negoziare il prezzo del gas. È anche un aspetto fondamentale per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico.
  Questo vale anche per l'energia elettrica. Anche in questo settore c’è un problema di competitività e di efficienza, perché un Paese che non può produrre l'elettricità di cui ha bisogno la può acquistare da un altro.
  La situazione attuale è tale che ogni Paese deve investire per il proprio fabbisogno. Inoltre, ci sono dei mesi in cui abbiamo un eccesso di capacità e altri in cui abbiamo una carenza di capacità. Se avessimo una rete a livello europeo, ciò Pag. 19aiuterebbe la sicurezza, ridurrebbe il prezzo, aumenterebbe l'efficienza e migliorerebbe anche la competitività.
  La revisione di bilancio di medio termine è prevista per il 2016. Il documento di Monti sulle risorse proprie rientrerà in questo dibattito. L'esito della revisione di medio periodo dipenderà in gran parte dagli Stati membri e dal Parlamento europeo, ma soprattutto dagli Stati membri. Non voglio adesso pregiudicarne l'esito, ma non mi sorprenderebbe se non ci fossero grossi cambiamenti, perché è difficile rinegoziare il bilancio raggiungendo l'unanimità.
  La questione delle risorse proprie è molto interessante. Esprimo il massimo apprezzamento per il lavoro svolto da Monti, che va considerato con estrema serietà, perché la situazione attuale non è ottimale. Non è la migliore possibile. L'Unione europea non ha prerogative fiscali, non ha quindi risorse proprie e utilizza contributi che provengono dagli Stati membri, ma questo sistema, a volte, è troppo rigido. Se avessimo una parte di risorse proprie, anche se la platea di persone che fornisce le risorse sarebbe la stessa, questo potrebbe rendere l'Unione europea più razionale e flessibile.
  La golden rule, la regola aurea, non l'abbiamo. Alcuni giorni fa abbiamo deciso, nel momento in cui deliberavamo in ordine alla flessibilità del Patto di stabilità e crescita, di non stabilire una golden rule generale.
  La questione è un po’ complessa. Come possiamo definire gli investimenti che sarebbero ricompresi nella golden rule ? Io sono un fanatico della ricerca e dell'istruzione. Vorrei includere tutte le spese per la ricerca e l'istruzione nella golden rule, perché per me questi sono gli investimenti migliori per il futuro. Quanto maggiore è la qualità dell'istruzione, quanto maggiore è la spesa nella ricerca e nello sviluppo, quanto maggiore è la spesa per la ricerca universitaria, tanto maggiore sarà, prima o poi, il risultato.
  Qualcun altro potrebbe dire che senza sicurezza non ci sono investimenti. E sostiene le spese militari. Oppure quelle per le infrastrutture. Sarebbero veramente pochissime le spese che non verrebbero potenzialmente ricomprese nella golden rule. Va bene, limitiamoci alle infrastrutture. Questo incoraggerà gli Stati membri ad attribuire la priorità alle infrastrutture rispetto all'istruzione e alla ricerca ? La questione è estremamente complessa.
  Attualmente mancano gli investimenti pubblici a causa dei vincoli di bilancio e della situazione economica, ma è triste che molti Stati membri, quando tagliano i bilanci, nei tagli diano la precedenza agli investimenti pubblici e ciò ha ridotto tantissimo il livello di questi investimenti.
  Come possono le aziende italiane avvantaggiarsi di questi nuovi strumenti ? Il modo forse più semplice è adoperare il FEIS – non ho controllato questo aspetto, ma immagino che l'Italia abbia una banca di promozione nazionale, o un fondo per l'innovazione, che eroghi prestiti per l'innovazione alle piccole e medie imprese. La banca di promozione nazionale e il fondo di innovazione nazionale potrebbero prendere a prestito risorse dal FEIS per aumentare la propria capacità di erogare prestiti.
  Questo è il modo in cui noi intendiamo incoraggiare gli Stati membri a procedere, perché i prestiti alle PMI sono conformi al profilo di rischio più elevato del FEIS. Il mercato unico creerà, ovviamente, delle nuove opportunità per le aziende italiane, ma su questo fronte ci vogliono tempi maggiori.
  Mi è piaciuta molto la domanda su che cosa dire ai nostri figli del sogno europeo. Molti dei nostri problemi attuali, secondo me, non hanno la loro origine nell'Unione europea. Non è l'Unione europea che ha creato le difficoltà economiche dei singoli Stati membri. Ovviamente, c’è chi non è d'accordo con me, ma questa è la mia lettura.
  Quello che dirò domani agli studenti della Bocconi è che abbiamo bisogno di più integrazione. Quella è la strada maestra per affrontare i problemi che avremmo dovuto affrontare comunque. Non siamo in un'Unione con l'Africa del Pag. 20Nord, la Russia e gli Stati Uniti, ma soffriamo dei problemi che provengono da quelle aree.
  La crisi finanziaria ci è venuta dagli Stati Uniti. Le difficoltà economiche della Russia hanno un impatto negativo su di noi. L'immigrazione illegale si dirige dall'Africa del Nord verso l'Europa del Sud. Sono tutte sfide che noi avremmo comunque. Perché non dovremmo integrarci maggiormente per affrontare con maggiore forza questi problemi e, al tempo stesso, cosa ancora più importante, per offrire più opportunità ai nostri popoli ?
  Occorre, quindi, più integrazione. Abbiamo bisogno di un'Europa più integrata o di un'Europa più frammentata ? Io non vedo alcun vantaggio che ci potrebbe venire da un'Europa frammentata. Pertanto, mentre noi stiamo lavorando per un'Europa più integrata, dobbiamo sottolineare che questa integrazione deve essere equa e che tutti gli Stati membri debbono assumersi le proprie responsabilità, consentendo la libera circolazione delle persone, evitando il dumping sociale e senza cercare i sistemi previdenziali più favorevoli; più integrazione economica, senza introdurre aiuti di Stato permanenti. Occorre un mercato unico per le persone, con maggiori possibilità per gli studenti di studiare all'estero. Questo è lo spirito dell'integrazione europea.
  Mi pare che stiamo arrivando alla fine del tempo che ci era concesso. Vi ringrazio nuovamente moltissimo. L'incontro è stato utile e interessante sia per me, sia per il mio staff. Vi auguro il meglio.
  Spero che questo sia stato un inizio positivo della nostra cooperazione. Fatemi sapere se posso fare qualche cosa di più. Se avete bisogno di più informazioni, ve le fornirò volentieri. Lavoriamo insieme per un'Europa più integrata, più sicura e più giusta (Applausi).

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il vice presidente Katainen, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.20.