XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Mercoledì 10 dicembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro della giustizia, Andrea Orlando, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle politiche della giustizia connesse all'immigrazione (Svolgimento e conclusione):
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 
Ginetti Nadia  ... 15 
Conti Riccardo  ... 16 
Arrigoni Paolo  ... 16 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 17 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 17 
Ravetto Laura , Presidente ... 18 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 18 
Ravetto Laura , Presidente ... 18 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 18 
Ravetto Laura , Presidente ... 22 

ALLEGATO: Relazione al Comitato del Ministro della giustizia, on. Andrea Orlando ... 23

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 9.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro della giustizia, Andrea Orlando, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle politiche della giustizia connesse all'immigrazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro della giustizia, Andrea Orlando, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle politiche della giustizia connesse all'immigrazione.
  Ministro, la contemporaneità dell'assemblea del PD e l'assenza di votazioni in aula, al Senato e alla Camera, fa sì che la presenza dei componenti del Comitato alla seduta odierna, se pure parziale, sia però miracolosa. Vorrei sottolineare l'attenzione che i colleghi intendono dedicare a lei, nonché l'interesse di averla oggi in audizione (sono venuti tutti appositamente). La ringraziamo, quindi, infinitamente.
  Sappiamo che il Ministro ha impegni stringenti, quindi proseguiamo velocemente. Ministro, lei conosce l'attività di questo Comitato, che si occupa di vigilanza nell'ambito dei flussi migratori. In particolare, ricordo che il Comitato ha avviato due indagini conoscitive su tematiche rilevanti, una pertinente alla situazione dei lavoratori stranieri in Italia, con particolare riguardo alla situazione di Prato, l'altra mirata ad approfondire la questione dei sui flussi di migranti diretti in Europa attraverso l'Italia, che chiama in causa specificatamente i temi dell'accoglienza.
  È per questo motivo che oggi le abbiamo chiesto di presenziare. Abbiamo ascoltato tutti gli opinion leader su queste tematiche e tra questi, naturalmente, il Ministro dell'interno, il Ministro della salute, il Ministro del lavoro e del welfare, nonché gli ambasciatori dei principali Paesi di transito. Mancava un'audizione con il Ministro della giustizia. Drammaticamente, la sua presenza oggi è particolarmente importante per noi, perché proprio nell'ambito dell'accoglienza dei migranti abbiamo anche assistito ai recenti fatti di cronaca che hanno investito l'amministrazione capitolina. Le vorremmo chiedere, Ministro, innanzitutto se può darci un commento su questo aspetto. In particolare, abbiamo ascoltato la conferenza stampa del premier Renzi, il quale anticipava in un prossimo Consiglio dei ministri una modifica normativa anche relativamente ai fatti di corruzione. Ci è parso di capire che, oltre a delle misure di confisca, si ipotizza anche un aumento delle pene. Vorremmo un suo commento da questo punto di vista, tenuto conto però, che per la materia che attiene a questo Comitato, ovvero per i fatti accaduti che coinvolgono gli immigrati e che andranno accertati dalla magistratura, questi nuovi provvedimenti, naturalmente, non potranno avere efficacia retroattiva e, quindi, non si applicheranno a tali fatti. Pag. 4Pertanto, vorremmo capire in questo senso come si sta comportando il Governo e comunque vorremmo un suo commento, naturalmente per le parti di sua competenza. Capiamo, infatti, che la competenza prevalente in merito è del Ministero dell'interno.
  Il secondo commento che le chiediamo è relativo alle sue dichiarazioni rilasciate durante la Conferenza degli Stati Parte della Convenzione delle Nazioni Unite, che si è tenuta a Vienna il 7 ottobre scorso. Lei ha dichiarato che il grave fenomeno del traffico dei migranti nel Mediterraneo richiede una ferma e sistematica azione di contrasto, da conseguirsi prima di tutto attraverso una costruttiva cooperazione giudiziaria e di polizia tra le autorità di tutti i Paesi coinvolti dalle rotte di questo traffico.
  In questo senso, Ministro, noi abbiamo ascoltato non solo gli ambasciatori ma anche molti rappresentanti di tutti i Paesi di transito e di provenienza dei flussi migratori. In realtà, se abbiamo visto che ci sono diverse criticità, non abbiamo trovato sempre una disponibilità alla cooperazione. Pertanto, vorremmo chiederle un commento in tal senso, su cosa sta facendo il Governo e in generale se le sue dichiarazioni e il suo impegno hanno avuto dei recenti riscontri.
  Un'altra domanda riguarda l'eventuale iter o comunque la situazione del rinvio a giudizio degli scafisti. Il Ministro dell'interno, quando è venuto in audizione da noi, ha parlato di oltre 700 soggetti che sono stati coinvolti in un iter processuale. Vorremmo sapere da lei quali sono gli esiti, se ci conferma questi numeri e in generale se può darci dei dati sull'incidenza attuale della componente extracomunitaria nell'ambito della popolazione carceraria italiana.
  L'ultima domanda riguarda l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina. Sappiamo che con il disegno di legge approvato ad aprile scorso, il Parlamento ha demandato al Governo l'emanazione di un decreto legislativo entro 18 mesi, che depenalizzerà il reato di immigrazione clandestina. Vorremmo sapere da lei a che punto siamo con l'emanazione di questo decreto.
  Dopo la sua relazione, i colleghi avranno la possibilità di porle delle domande, cui lei potrà rispondere in questa sede o decidendo di tornare in replica. Do quindi la parola al Ministro della giustizia, Andrea Orlando, per lo svolgimento della sua relazione.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Grazie, presidente. Per quanto riguarda la vicenda che lei ha richiamato, che concerne il comune di Roma e in generale il tavolo per la gestione dell'accoglienza, le misure che abbiamo ipotizzato, che proporremo al Parlamento d'intesa con il premier, non muovono specificamente da quel tipo di malaffare, legato alla gestione di quel servizio. La riflessione riguarda soprattutto l'efficacia della deterrenza della pena. In questo senso, credo che il termine «inasprimento» sia riduttivo, nel senso che la scelta legislativa che intendiamo assumere riguarda innanzitutto le conseguenze del patteggiamento. Abbiamo visto, nelle vicende Expo e anche nella vicenda MOSE, che le indagini, quando sono fatte bene – come nei casi in questione – portano al patteggiamento. La conseguenza nel computo della pena è che il patteggiamento, che è un istituto a nostro avviso da incentivare, rischia però di precludere la possibilità di comminare una pena di carattere detentivo, o comunque di ridurla talmente tanto da eliminare significativamente la deterrenza.
  La scelta, quindi, non è tanto quella di un inasprimento generico, bensì quella di un aumento della pena minima, che consenta, anche nel caso del patteggiamento e anche nel caso di uno sconto di pena, che è comunque un elemento incentivante per spingere nella direzione del riconoscimento di responsabilità, ad avere un elemento di esecuzione della penale legata alla detenzione. Non ci si limita a questo. La riflessione sul contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso ha portato a lavorare molto sul tema dell'aggressione patrimoniale nei confronti dei soggetti interessati Pag. 5da questo fenomeno. Intendiamo sviluppare un'analoga riflessione, perché l'aggressione di carattere patrimoniale ha una fortissima deterrenza, forse ancora più forte della pena di carattere detentivo.
  La paura del carcere è relativamente scarsa. Se si pensa all'ingenza dei patrimoni accumulati, il corrotto può mettere nel conto una pena, che comunque nel caso del patteggiamento, anche con l'inasprimento, è relativamente breve. Invece, l'idea dell'aggressione del patrimonio e anche l'idea della restituzione del maltolto sono interventi che modulano la pena in modo tale da aumentare fortemente la deterrenza e, a nostro avviso, anche da consentire allo Stato il recupero almeno di una parte di ciò che la corruzione toglie in termini di ricchezza alla collettività. Questa è la linea. Più che sul mero inasprimento, ragionerei su un'articolazione e una più efficace congruità della pena che viene individuata.
  Venendo, invece, al tema proprio della riflessione di quest'oggi, vorrei ringraziarla per l'inquadramento che lei ha dato a questo mio intervento. Sono lieto di poter fornire un contributo a questa indagine conoscitiva che riguarda i flussi migratori, che credo sia, per molte ragioni, di assoluto interesse e attualità.
  Anche negli ultimi giorni, infatti, abbiamo avuto tragiche notizie di sbarchi e di naufragi sulle coste della Sicilia e della Puglia. La questione delle frontiere europee è costantemente dibattuta nelle sedi comunitarie. Sappiamo già che le dinamiche socioeconomiche globali rendono il nostro Paese destinatario di flussi migratori che hanno origine in diverse aree europee ed extraeuropee.
  Il sesto rapporto biennale della Commissione Ue al Parlamento europeo e al Consiglio sul funzionamento dell'area Schengen, che è stato rilasciato il 27 novembre 2014 ed è relativo al periodo che va da maggio a ottobre 2014, ha evidenziato come nel periodo in esame vi sia stato un continuo flusso migratorio che ha raggiunto l'Europa, soprattutto attraverso il Mediterraneo, investendo in primo luogo l'Italia, anche se per lo più come Paese di transito verso gli Stati europei.
  I dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati riportano che nell'anno in corso i migranti e i richiedenti asilo in Italia erano circa 100.000 già al 14 agosto, oltre il doppio del numero totale del 2013. Fino al maggio del 2014, periodo per il quale sono disponibili dati certi, vi sono stati 81.270 ingressi irregolari nell'Unione europea, circa due volte e mezzo il dato del 2013. Gli ingressi in Europa sono stati circa sei volte quelli dello stesso periodo del 2013. Siamo al primo posto per numero di ingressi tra i Paesi di Schengen, seguiti con un certo distacco dalla Grecia.
  È certamente innegabile che l'immigrazione attraverso il Mar Mediterraneo e l'Europa meridionale non sia e non possa essere considerata un problema strettamente nazionale – questa è la linea che abbiamo sostenuto anche in tutte le sedi europee – ma abbia, al contrario, un rilievo globale, specialmente di carattere europeo.
  Come è noto, l'attuazione delle politiche di controllo dell'immigrazione rientra, come lei ha ricordato, nelle competenze del Ministero dell'interno. Il fenomeno, però, innesca un ambito di specifico interesse del Ministero della giustizia per quanto attiene al momento del controllo giurisdizionale. Questo controllo interviene in diverse fasi e include aspetti diversi, che vorrei richiamare molto sinteticamente.
  Il primo momento è quello del controllo della legalità dell'immigrazione extracomunitaria e riguarda il controllo giudiziario sui provvedimenti di accompagnamento alla frontiera o di trattenimento nei centri di permanenza temporanea e assistenza agli immigrati irregolari, che vengono trattati sulla base di provvedimenti emessi dal questore e decreti di espulsione emessi dal prefetto.
  Il secondo momento è quello relativo alla repressione delle condotte di illecito ingresso o trattenimento nello Stato. A questo si associa la fondamentalmente attività di repressione dei reati commessi dalle organizzazioni criminali o dai singoli Pag. 6che gestiscono ovvero favoriscono il flusso in ingresso e la permanenza degli stranieri irregolari in Italia.
  L'impatto dell'immigrazione sul sistema giudiziario ha ad oggetto anche reati i cui autori sono cittadini di nazionalità straniera, regolari e non, nell'ambito dei flussi che investono il sistema. Come lei ricordava, c’è anche un impatto sul nostro sistema penitenziario. Un ulteriore ambito di interesse e di azione è quello relativo ai minori stranieri e, tra questi, in particolare ai minori non accompagnati, dei quali si occupa il Ministero della giustizia.
  Infine, è di rilievo per il Ministero della giustizia anche l'aspetto delle procedure di infrazione che sono state aperte nei confronti dell'Italia in materia Schengen, ovviamente relativamente agli ambiti propri di intervento.
  Mi pare che la natura d'intervento di questa audizione imponga di rinviare alla relazione scritta, che vorrei depositare agli atti, nonché alle elaborazioni statistiche che essa contiene, per un'analisi completa e approfondita dell'azione del mio dicastero nell'approccio al fenomeno dell'immigrazione delle aree non Schengen. Intendo, invece, in questa sede tratteggiare alcuni degli aspetti del fenomeno che ritengo di maggior rilevanza e interesse.
  Per quanto riguarda gli ingressi e le espulsioni, mi sia consentito il rimando alla relazione per l'analisi dei compiti demandati ai giudici di pace sui provvedimenti di espulsione, trattandosi di controlli di legalità su provvedimenti amministrativi assunti dalle diverse autorità (il questore e il prefetto).
  Tuttavia, vi sono dei casi di espulsione che hanno dato luogo a un contenzioso di fronte alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Un accenno a questi casi mi pare opportuno in questa sede.
  Partiamo da un caso che ha avuto una significativa rilevanza. Mi riferisco all'espulsione di cittadini tunisini. Ricordo che dal 2006 in avanti sono stati presentati dinanzi alla Corte di Strasburgo 22 ricorsi da parte dei cittadini di tale nazionalità, destinatari di provvedimenti di espulsione verso il Paese di origine, di cui sei disposti dall'autorità giudiziaria.
  A partire dal leading case «Saadi contro Italia» del 28 febbraio 2008, la Corte di Strasburgo, infatti, ha sempre confermato il principio, già consolidato nella sua precedente giurisprudenza, secondo cui l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo impegna la responsabilità dello Stato anche quando vi siano dei motivi seri e accertati di credere che l'interessato, se espulso nel Paese di destinazione, possa incorrere nel rischio di essere sottoposto a un trattamento contrario al citato articolo 3. Si è concluso che l'espulsione di un terrorista tunisino verso il Paese d'origine comporterebbe la violazione di tale articolo della Convenzione, in quanto categoria sistematicamente sottoposta a pratiche di maltrattamenti, come indicato da fonti informative internazionali.
  Salve le sopracitate espulsioni, l'Italia ha sempre rispettato l'indicazione della Corte di non procedere in via cautelare all'espulsione di ricorrenti tunisini. Soprattutto dopo il cosiddetto «caso Mannai», relativo a un tunisino espulso il primo maggio 2010, l'Italia non ha più fatto alcuna eccezione al divieto di espulsione, nell'osservanza delle misure interinali disposte dalla Corte di Strasburgo.
  Il Ministero della giustizia, attraverso le corti d'appello, ha più volte richiamato l'attenzione dei giudici di pace sulla necessità di rispettare le misure sospensive in sede di convalida dell'espulsione, da ultimo con circolari del 27 maggio 2010 e del 24 aprile 2012.
  In adesione a quanto rappresentato dal Comitato dei Ministri e dal Consiglio d'Europa il 17 maggio 2012, la rappresentanza permanente, su richiesta dell'amministrazione, ha sottoposto alla Corte la possibilità di considerare la vicenda dei ricorrenti alla luce della situazione politica della Tunisia.
  A seguito di ciò, sono stati dichiarati irricevibili o radiati svariati ricorsi. Siamo oggi in attesa della determinazione definitiva del Comitato dei Ministri in ordine Pag. 7alla chiusura del monitoraggio relativo al caso legato al cosiddetto «gruppo Saadi», per il quale la Corte aveva a suo tempo disposto che, nell'eventualità dell'esecuzione dell'espulsione verso la Tunisia, sarebbe intervenuta una condanna certa per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
  Per quanto attiene al tema dei ritrasferimenti verso i Paesi di provenienza, vorrei ricordare come, con riferimento ad alcuni casi di ritrasferimento di cittadini stranieri irregolari ai Paesi intraeuropei di ultima provenienza, lo scorso 21 ottobre è intervenuta nei confronti dell'Italia una sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo (caso Shafiri e altri contro Italia e Grecia).
  La Corte, in sostanza, addebita all'Italia di aver proceduto a espulsioni collettive e indiscriminate – e come tali vietate – di stranieri privi di documenti, che venivano rinviati in Grecia – Paese da cui si era ritenuto provenissero – sulla base di un accordo bilaterale del 1999 tra i due Paesi. Secondo la Corte, in tal modo detti stranieri sono stati privati della possibilità di presentare domanda di asilo e dei diritti processuali e sostanziali volti a far valere la specificità della propria situazione.
  In esito a tale sentenza, sono in fase di attuazione misure volte a garantire la presenza di interpreti al momento dell'identificazione degli stranieri e l'assistenza dei mediatori culturali, anche volontari, che forniscono delle informazioni sulle modalità di esercizio del diritto di accesso degli stranieri ai meccanismi di protezione e alle procedure d'asilo.
  Segnalo che il Ministro della giustizia partecipa, a tal fine, al gruppo di lavoro istituzionale per il riconoscimento dell'idoneità all'esercizio dell'attività di mediatore culturale, riconosciuto lo scorso marzo presso il Ministero dell'interno.
  Per quanto attiene al tema dei minori stranieri non accompagnati, vorrei sempre fare riferimento alla tutela dei diritti dei migranti, che merita la massima attenzione in ordine all'aspetto relativo alla tutela dei minori, in particolare di quelli non accompagnati.
  I dati offerti dall'organizzazione Save the Children riportano, fino alla metà dell'ottobre scorso, oltre 22.000 arrivi di minori stranieri in Italia via mare, 11.507 dei quali non accompagnati, facendo registrare un tasso d'incremento assai significativo anche rispetto all'anno precedente.
  Per loro le difficoltà del viaggio e i pericoli dello sfruttamento illegale una volta giunti in Italia sono ancora più gravi e più significativi di quelli che riguardano gli immigrati maggiorenni.
  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha rilevato 10.736 ingressi di minori stranieri non accompagnati al 31 luglio, provenienti per lo più dall'Egitto, dall'Eritrea, dall'Albania e dalla Somalia, 2.148 dei quali non erano a quella data più reperibili sul territorio nazionale. Tra questi ultimi, ben 230 hanno un'età compresa tra i sette e i quattordici anni.
  Tuttavia, a fronte delle cifre complessive riportate sopra, secondo i dati forniti dal Dipartimento della giustizia, i minori in carico agli uffici dei servizi sociali per i minorenni e quelli collocati presso i centri di prima accoglienza sono stati poche centinaia.
  È, infatti, molto elevato il numero di minori che fuggono dai centri di prima accoglienza entro i primi giorni dall'arrivo, esponendosi a rischi enormi di sfruttamento e di avviamento all'illegalità.
  Tra le cause di questo fenomeno vi è la volontà dei minori di sottrarsi alle procedure di identificazione sul territorio italiano. In base al sistema delineato dal regolamento cosiddetto «Dublino 3», infatti, il Paese dell'Unione europea attraverso il quale gli stranieri hanno fatto ingresso nell'Unione rimane responsabile delle decisioni in tema di status dell'immigrato. Poiché molti dei migranti hanno come destinazione finale Paesi diversi dall'Italia, essi tentano di non essere registrati nel nostro territorio.
  La Commissione europea ha aperto quest'anno una procedura per la violazione del diritto dell'Unione europea nei confronti dell'Italia, con riferimento alla presunta violazione delle direttive n. 9 del Pag. 82003 e n. 85 del 2009 sulla situazione dei minori non accompagnati e richiedenti asilo.
  Pur essendo consapevole dell'esistenza della criticità, il Ministero della giustizia ha fornito al Dipartimento per le politiche europee, per l'inoltro alla Commissione, elementi informativi utili a rispondere alle contestazioni mosse.
  In particolare, la Direzione generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari presso il Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia ha in corso di perfezionamento l'accordo per l'applicazione della procedura per l'identificazione e l'accertamento dell'età dei minori non accompagnati, che è stata redatta il 12 giugno 2014 dal Tavolo interregionale immigrati e servizi sanitari.
  Nel marzo 2003 la stessa direzione generale competente ha emanato la direttiva sui tutori volontari nonché la direttiva sui richiedenti asilo e altre forme di protezione.
  Il Dipartimento di giustizia minorile del Ministero ha più volte richiamato, con diverse circolari, l'attenzione delle direzioni dei centri per la giustizia minorile presenti sul territorio su alcune disposizioni relative alle modalità di corretta gestione dei minori non accompagnati.
  Gli uffici giudiziari hanno in molti casi predisposto protocolli operativi tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti, al fine di velocizzare e rendere più efficienti le pratiche di affidamento dei minori, riducendo il periodo di permanenza nei centri.
  Tra questi, posso segnalare l'accordo stipulato il 14 maggio 2012 tra le prefetture di Bergamo, la questura di Bergamo, il tribunale di Brescia, il giudice tutelare di Bergamo, il consiglio di rappresentanza dei sindaci e le assemblee distrettuali dei sindaci, inerente procedure e modalità uniformi per l'affidamento dei minori stranieri con o privi di riferimenti parentali. Richiamo ciò perché consiste in una buona pratica che può essere ulteriormente estesa. Sulla base di queste considerazioni, confidiamo, dunque, in una possibile positiva chiusura della procedura di infrazione.
  Sul piano normativo, devo riscontrare, da ultimo, che l'articolo 4 del decreto legislativo n. 24 del 4 marzo 2014 ha previsto delle specifiche tutele, dando attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva n. 36 del 2011 contro la tratta. Tra queste, vi è l'obbligo di informazione del minore sui diritti di cui gode, incluso l'eventuale accesso alla procedura di determinazione della protezione internazionale.
  Nell'ipotesi in cui sussistano dubbi sull'età del minore e questa non sia accertabile attraverso i documenti identificativi, come spesso avviene, si prevede una misura multidisciplinare di determinazione dell'età anagrafica, da realizzarsi nel pieno rispetto dei diritti del minore da parte di personale specializzato, con procedure che tengano nella dovuta considerazione l'origine etnica e culturale del minore, eventualmente anche mediante l'utilizzo delle autorità diplomatiche.
  Nel caso in cui la procedura appena accennata non risulti idonea a determinare esattamente l'età del minore, così come nelle more del procedimento, il soggetto si presume e si considera di minore età.
  La disposizione non è, tuttavia, sufficiente senza un sistema nazionale chiaramente organizzato, che consenta di attribuire con certezza competenze e responsabilità. Oggi, infatti, le competenze sono frammentate tra diverse istituzioni locali e centrali e tra gli stessi Ministeri.
  Risultati utili in questo senso potrebbero derivare dall'approvazione della proposta di legge n. 1.158, che vuole modificare il Testo unico sull'immigrazione, presentata nell'ottobre 2013 e sostenuta da quasi tutti i gruppi politici. Il testo mira a disciplinare in modo organico sul territorio nazionale la protezione e l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, superando l'attuale gestione emergenziale, anche in un'ottica di ottimizzazione delle risorse pubbliche, considerato che nella gestione di emergenza, come purtroppo abbiamo verificato, i costi sono maggiori ed è più difficile garantire l'efficienza e la trasparenza.Pag. 9
  Auspico, dunque, un iter rapido della proposta, che ha ricevuto, tra gli altri, il contributo dell'ANCI e quello di gran parte delle organizzazioni che si occupano della tutela dei minori.
  Ho già richiamato il tema delle procedure d'infrazione. Vorrei ritornarci brevemente. In realtà, su questo punto questo Governo è particolarmente attivo nel recepimento delle norme Ue, con l'intento di recuperare il ritardo accumulato negli anni passati. Ciò ha portato alla chiusura di numerose procedure di infrazione che sono state aperte nei confronti dell'Italia. Risultano ancora formalmente aperte le procedure relative alla direttiva sul diritto all'interprete e alla traduzione nei procedimenti penali, recepita con il decreto legislativo n. 32 del 4 marzo 2014, e quella per il mancato recepimento della direttiva sulla prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime, a sua volta recepita con la legge di delegazione europea n. 96 del 6 agosto 2013. Entrambe le procedure sono, dunque, in attesa di archiviazione.
  Il 16 novembre 2014 la Commissione europea ha invitato il Governo italiano, mediante una lettera di messa in mora, a operare relativamente alle modalità di trasposizione del contenuto della direttiva rimpatri nella legislazione interna. Alcuni rilievi riguardano materie di stretta competenza del Ministero dell'interno, delle quali non tratterò. Vi sono, invece, delle criticità che riguardano il sistema processuale penale. Tra queste, numerose hanno già trovato risposta nella legge europea del 2013. Per i dettagli rimando, anche in questo caso, alla relazione.
  Quanto alle altre procedure di infrazione, due sono quelle che più direttamente riguardano il Ministero della giustizia. La prima riguarda la mancata predisposizione di un sistema di monitoraggio efficace dei rimpatri forzati. Come sapete, l'Italia aveva proposto di istituire un organismo destinato a svolgere tale compito presso lo stesso Ministero dell'interno, ma la Commissione europea ha ritenuto che tale organismo di monitoraggio non avrebbe fornito adeguate garanzie d'indipendenza rispetto all'autorità che attua il rimpatrio.
  Si è, perciò, deciso di affidare il compito di monitoraggio al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o prive della libertà personale, recentemente istituito con legge del 23 dicembre 2013. Ritengo che il Garante, con il necessario coordinamento con i garanti territoriali e sulla base delle informazioni acquisite dal Ministero dell'interno, sia in grado di soddisfare i requisiti di efficacia e di indipendenza richiesti dalla Commissione europea.
  Aggiungo che è in corso di approvazione il Regolamento di organizzazione del Garante nazionale, che ha ricevuto il parere favorevole del Consiglio di Stato ed è stato trasmesso al Dipartimento legislativo della Presidenza del Consiglio il 2 ottobre scorso.
  La seconda questione riguarda la mancata comunicazione da parte dell'Italia delle modalità relative agli strumenti di coordinamento tra Ministero dell'interno e Ministero della giustizia, al fine di migliorare concretamente le procedure di identificazione per gli stranieri detenuti.
  La legge europea 2013-bis del 21 ottobre scorso ha introdotto una norma, che prevede in questi casi l'attivazione delle procedure di identificazione del cittadino di un Paese terzo già all'interno della struttura penitenziaria. È stato anche limitato a 30 giorni il periodo di eventuale trattenimento presso i centri di identificazione ed espulsione nei confronti dello straniero che sia stato in precedenza già detenuto per almeno 90 giorni.
  Inoltre, fin dal 2007 sono stati istituiti meccanismi di coordinamento operativo tra Ministero della giustizia e Ministero dell'interno, al fine di accelerare le procedure di identificazione degli stranieri detenuti durante il periodo di trattenimento in carcere, e attivati canali con le delegazioni consolari competenti.
  Per migliorare i tempi delle identificazioni, dal marzo 2014 è in corso presso le 19 case circondariali della Lombardia una collaborazione sperimentale con gli uffici Pag. 10immigrazione delle questure, i cui primi risultati si conosceranno nelle prossime settimane. Aldilà dei casi sporadici, il fenomeno degli ingressi illegali in Europa è organizzato e gestito – come credo questo Comitato sappia bene – da organizzazioni criminali con basi in Paesi di partenza e di transito e con appoggi negli Stati di destinazione. Ciò è tanto più vero nel caso della tratta di esseri umani.
  In occasione dei lavori della settima Conferenza degli Stati parte della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale, che si è svolta a Vienna, la cosiddetta «Convenzione di Palermo», è stato ribadito con chiarezza che il fenomeno del traffico dei migranti richiede una ferma e sistematica azione di contrasto, che deve essere realizzata prima di tutto attraverso una leale e costruttiva cooperazione giudiziaria e di polizia tra tutte le autorità dei Paesi coinvolti.
  Il protocollo aggiuntivo della Convenzione UNTOC sul traffico dei migranti costituisce una base molto solida dal punto di vista generale, alla quale si è recentemente aggiunta la risoluzione sul contrasto al traffico di migranti proposta dall'Italia proprio durante i lavori di Vienna e finalizzata a consolidare la cooperazione internazionale su tali temi, la cui approvazione da parte della Commissione crimine dell'ONU ha costituito un indubbio successo per l'Italia.
  Allo stesso modo, nella sessione plenaria del 10-13 giugno 2014 il Comitato europeo per i programmi criminali (CDPC) ha approvato il Libro bianco sulla criminalità organizzata transnazionale. Anche in quella sede è stata rappresentata l'esigenza di estendere, ove possibile, gli ambiti della cooperazione a Paesi esterni al Consiglio d'Europa, ma fondamentali per la lotta al crimine organizzato, quali i Paesi del Nord Africa, Nigeria e Cina.
  Per ottenere un maggiore scambio di informazioni e dati tra le autorità giudiziarie e di polizia, è necessario allargare lo spettro della nostra cooperazione e agire per rafforzare i sistemi giudiziari dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, oltre a quelli dell'Africa subsahariana.
  Nell'area del Mediterraneo vi sono già accordi bilaterali di assistenza giudiziaria e penale con Algeria, Marocco, Tunisia e Turchia. In alcuni casi si tratta di accordi risalenti a decenni addietro, che necessitano di aggiornamento.
  Anche in quest'ottica, il Ministero della giustizia è impegnato in negoziati di cooperazione e di assistenza giudiziaria, attivati su iniziativa italiana, per instaurare e ampliare accordi di estradizione e assistenza giudiziaria e di cooperazione giudiziaria in materia penale con numerosi Paesi di quest'area, tra cui la Libia, la Tunisia e il Senegal, anche nell'instabilità che pure caratterizza alcune di queste zone e che rischia di rallentare significativamente la conclusione degli accordi.
  La scelta di estendere l'area degli accordi bilaterali è strategica anche rispetto all'esigenza di agevolare le procedure di acquisizione delle prove e il riconoscimento da parte dei Paesi terzi delle sentenze di condanna che sono pronunciate in Italia, al fine di poter disporre il trasferimento del condannato verso il Paese di residenza per scontare la pena sul posto. Nel mese di marzo ho siglato un accordo che va in questa direzione con il Marocco.
  Sappiamo che in ambito internazionale l'elemento distintivo tra tratta di persone e traffico dei migranti è essenzialmente il consenso della vittima all'espatrio, estorto o viziato a volte in via presuntiva nel caso della tratta, libero nel caso del traffico dei migranti. Lo stesso discrimine si trova in ambito interno tra le norme del Codice penale sulla tratta e all'articolo 12 del Testo unico sull'immigrazione.
  Il decreto legislativo n. 24 del 4 marzo 2014 ha dato attuazione alla direttiva n. 36 del 2011, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime, allo scopo di fornire una specifica tutela alle persone vulnerabili.
  Sono stati ridisegnati gli articoli del Codice penale in materia, l'articolo 600 relativo alla riduzione in stato di schiavitù e il 601 relativo alla tratta di persone, Pag. 11rafforzando così la risposta punitiva e ampliando l'ambito di applicazione delle disposizioni.
  Le condotte di introduzione in Italia di cittadini stranieri non in regola con le norme in tema di immigrazione sono, invece, sanzionate dal Testo unico sull'immigrazione.
  Rimandando alla relazione scritta per gli aspetti di maggiore dettaglio, sottolineo che l'articolo 12 del testo unico in specie è la norma che costituisce l'architrave del sistema, è quella che viene contestata ai cosiddetti «scafisti» e prevede numerose aggravanti, oltre a misure specifiche, quali la confisca obbligatoria dei mezzi utilizzati per consentire l'ingresso degli stranieri in Italia. È stato, inoltre, previsto che i mezzi sequestrati e confiscati agli scafisti siano utilizzati, laddove possibile, da parte delle forze di polizia.
  Rispondendo alla sua domanda, vi segnalo che la normativa sta dando significativi frutti. È della scorsa settimana la notizia dell'arresto a Catania di undici cittadini eritrei, che avrebbero organizzato almeno 23 viaggi tra il maggio e il luglio 2013, in uno dei quali, il 28 giugno, hanno perso la vita 244 migranti.
  Nel complesso, nell'ultimo biennio nel solo distretto catanese vi sono state 109 condanne in primo grado per il reato associativo, contestate in base all'articolo 416, comma 6, introdotto dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009, con la quale in tema di associazioni a delinquere si è introdotta un'aggravante nel caso di associazione finalizzata alla commissione del reato di cui all'articolo 12, comma 3, del testo unico citato.
  Le indagini in materia sono, tuttavia, molto complesse, poiché necessitano l'utilizzo di personale specializzato e l'uso ingente di mezzi e di fondi. Vorrei fare un esempio. È stata prevista la destinazione al Ministero dell'interno delle somme recuperate all'esito di tale procedimento. Tuttavia, l'applicazione concreta della norma non ha prodotto finora risultati adeguati, in ragione dell'irrisorietà delle risorse che confluiscono sul capitolo. I dati del 2012 e del 2013 indicano versamenti pari rispettivamente a 118,5 euro e a 350,08 euro. Ciò sembra dipendere, tuttavia, dalla difficoltà di imputare le somme provento di confisca alle condanne per lo specifico reato.
  Per completezza, ricordo che l'ingresso irregolare in Italia dello straniero che è privo di titolo, è oggi sanzionato dall'articolo 10-bis del Testo unico sull'immigrazione. Nell'ambito della delega in materia di depenalizzazione, contenuta nella legge n. 67 del 28 aprile 2014, il Governo è stato delegato a emanare un decreto che trasformi la suddetta violazione in illecito amministrativo, facendo salva, tuttavia, la rilevanza penale delle condotte costituenti violazioni di provvedimenti amministrativi. La legge-delega, infatti, esclude espressamente dalla depenalizzazione le condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia, che conservano, dunque, una rilevanza di carattere penale.
  Con riferimento alla decorrenza degli effetti della depenalizzazione, si è registrato un orientamento non unanime dei giudici di merito, i quali, argomentando sulla base della sentenza n. 224 del 1990 della Corte costituzionale, che riconosceva in alcuni casi effetti percettivi immediati alla legge di delegazione, hanno ritenuto l'immediata efficacia della depenalizzazione per le fattispecie indicate nella legge-delega.
  Con specifico riferimento al reato di clandestinità di cui all'articolo 10-bis, lo scorso 29 ottobre 2014, con la sentenza n. 44.977, la Corte di Cassazione ha rigettato tale impostazione, chiarendo che per l'abrogazione di questo reato il Parlamento nazionale, con la legge n. 67 del 2014, ha conferito al Governo una delega che non è stata ancora esercitata, per cui va da sé che, fino all'emanazione dei decreti delegati, le fattispecie in oggetto di depenalizzazione non potranno essere considerate violazioni di carattere amministrativo.
  Arrivo al tema del sistema penitenziario dei detenuti, sul quale la presidente richiamava la mia attenzione. Un accenno Pag. 12a questo tema è doveroso per la rilevanza, il peso e il carico dei detenuti stranieri.
  L'azione del Governo in materia penitenziaria, in particolare a seguito della nota sentenza Torreggiani, ha prodotto negli ultimi mesi effetti obiettivamente positivi sulle condizioni di sovraffollamento nelle carceri italiane.
  A seguito di tali provvedimenti, la popolazione detenuta è diminuita nel corso dell'ultimo anno di circa 10.000 unità e si è registrata una significativa diminuzione del numero dei detenuti non definitivi rispetto ai detenuti condannati con sentenza passata in giudicato. Parallelamente, sono aumentati i detenuti sottoposti a misure alternative alla detenzione.
  Un obiettivo riscontro favorevole alle politiche in materia di contrasto al sovraffollamento carcerario, può rinvenirsi dall'analisi del dato relativo ai flussi d'ingresso dei detenuti italiani e stranieri nel corso dell'ultimo anno. Gli ingressi in carcere dalla libertà per l'anno corrente fanno registrare un'elevata diminuzione del numero dei detenuti entranti rispetto all'anno precedente: 46.074 sino alla fine di novembre rispetto ai 60.000 del 2013. Il dato mensile medio degli ingressi è passato da 5.000 nel 2013 a poco più di 4.000 nel 2014. Si sono registrati una modesta diminuzione degli ingressi di soggetti italiani e un leggero aumento degli ingressi degli stranieri.
  Per quanto concerne i detenuti stranieri, rimandando alle relazione per i dettagli, il 30 novembre 2014 erano presenti 17.635 persone in stato di detenzione, pari al 32 per cento del totale, delle quali poco più di 4.000 in attesa di giudizio di primo grado, circa 3.000 condannati a pena non definitiva e poco più di 10.000 condannati a pena definitiva. Tale dato si mantiene sostanzialmente stabile da qualche mese, mentre l'anno scorso i detenuti stranieri corrispondevano a circa il 35 per cento del totale e ammontavano a poco più di 5.000 rispetto a oggi.
  I provvedimenti che sono stati assunti dal Governo hanno inciso in maniera rilevante anche sulla composizione della popolazione detenuta straniera. È interessante notare che fra i detenuti stranieri si registra un dato in controtendenza rispetto a quello complessivo: la diminuzione più accentuata è avvenuta, infatti, fra i detenuti definitivi rispetto ai detenuti in attesa di primo giudizio e ai detenuti con condanna non definitiva.
  Dei detenuti stranieri, circa un quinto provengono dai Paesi dell'Unione europea, mentre gli altri provengano dai Paesi extracomunitari, in particolare dal Marocco, dall'Albania e dalla Tunisia.
  Per quanto concerne i reati ascritti ai detenuti stranieri, i dati statistici indicano la presenza di oltre 1.300 persone per reati legati all'immigrazione clandestina, delle quali più di 1.000 per violazione dell'articolo 12 del Testo unico sull'immigrazione, i cosiddetti «scafisti». Il loro numero è in costante aumento, in ragione del crescente numero degli sbarchi e del conseguente incremento delle attività di controllo. Negli anni passati, alla maggior parte dei detenuti ristretti per reati legati all'immigrazione, risultava ascritto il reato di trattenimento indebito nel territorio dello Stato, previsto dall'articolo 14, comma 5-ter, del Testo unico sull'immigrazione. A seguito della modifica della citata norma, si è registrato un sensibile decremento dei detenuti presenti per il reato previsto dall'articolo 14, in ordine al quale oggi non si registrano detenzioni.
  Riguardo alla provenienza delle persone detenute cui sono ascritti reati legati all'immigrazione clandestina, è interessante notare che, a fronte di circa 100 italiani, si contrappongono 1.227 stranieri, provenienti da 62 diversi Paesi, in particolare dall'Egitto, dall'Albania, dalla Tunisia, dal Marocco e dalla Nigeria.
  Ai detenuti stranieri, insieme ai reati legati all'immigrazione clandestina, nel 27 per cento dei casi è contestata anche l'associazione per delinquere e nel 15 per cento dei casi la violazione della legge sugli stupefacenti o reati di falsa identità in atti e persone.
  A prescindere dalla connessione con i reati legati all'immigrazione, le tipologie di reato più diffuse fra gli stranieri detenuti Pag. 13riguardano in primo luogo i reati contro il patrimonio, i delitti in materia di stupefacenti e quelli contro la persona.
  Per quanto concerne l'età dei detenuti stranieri, è interessante notare che l'incidenza degli stranieri è inferiore a quella degli italiani nelle fasce dai 35 ai 44 anni, mentre è maggiore in quelle relative ai soggetti più giovani, in ciò rispecchiando il dato generale della minore età media degli stranieri residenti in Italia rispetto agli italiani.
  Dall'analisi dei dati relativi ai detenuti stranieri condannati a pena definitiva in relazione al quantum di pena inflitta, emerge che nella maggior parte dei casi gli stranieri vengono condannati per reati di limitata entità, connessi alla loro condizione di marginalità e di esclusione dal contesto sociale, e che essi rispetto agli italiani accedono in misura più limitata ai benefici alternativi applicabili in caso di condanna a pene di modesta entità e spesso non ne sono a conoscenza.
  Per quanto concerne le pene residue, la presenza degli stranieri condannati è più ridotta e si concentra soprattutto nelle fasce di pena sino a due anni. Ciò dipende dal ridotto accesso degli stranieri ai benefici penitenziari che ricordavo, dall'efficacia delle misure adottate dal Governo per un miglior coordinamento delle procedure dirette a rinviare di stranieri nei Paesi di provenienza per farvi espiare la pena e dalla conclusione di accordi bilaterali per il trasferimento dei detenuti condannati.
  Tra i detenuti attualmente sottoposti alle misure alternative alla detenzione, è interessante rilevare che, rispetto al totale di circa 22.000, il 13 per cento sono stranieri extracomunitari, mentre i cittadini comunitari sono meno del 3 per cento.
  Nel corso del corrente anno sono stati sottoposti all'espulsione come sanzione alternativa alla detenzione 745 detenuti stranieri, la maggior parte di nazionalità albanese, marocchina e tunisina. L'apparente limitatezza del dato complessivo si spiega con il fatto che il dato deve essere rapportato a circa 6.500 detenuti stranieri condannati aventi una pena residua da scontare sino a due anni, che è la platea nella quale si può intervenire.
  Credo sia di interesse riferire brevemente sulla condizione dei detenuti stranieri di minore età. Il loro numero è in crescita nel corso degli anni. Le principali aree geografiche di provenienza continuano a essere l'Est europeo e il Nord Africa. Tra le nazionalità europee, includendo anche quelle comunitarie, prevalgono in particolare la Romania, i Paesi appartenenti all'area dell'ex Jugoslavia e l'Albania, mentre tra le provenienze africane continuano a prevalere i minori del Marocco e della Tunisia.
  Si registra, tuttavia, un aumento dell'afflusso di altre aree di provenienza che, pur poco rilevanti in termini numerici, hanno però contribuito a rendere multietnico e più complesso il quadro complessivo dei minori in trattamento. Mi riferisco in particolare alla presenza di minori africani e centro-sudamericani.
  I minori stranieri detenuti sono prevalentemente di sesso maschile. Risulta maggiore rispetto a quella italiana la percentuale di presenza femminile, proveniente soprattutto dall'area dell'ex Jugoslavia e della Romania.
  Con riferimento alle tipologie di reato, i minori stranieri sono coinvolti prevalentemente in reati contro il patrimonio, in particolare nei reati di furto e rapina, anche se molto frequenti sono le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti.
  Quanto al trasferimento all'estero dei detenuti stranieri, preciso che al 21 novembre 2014 negli istituti di pena italiani, già notoriamente sovraffollati, erano detenuti 17.578 cittadini stranieri, pari al 32 per cento.
  L'obiettivo della riduzione della popolazione carceraria, congiuntamente con la tutela degli interessi umanitari, può essere perseguito anche attraverso l'applicazione di strumenti di cooperazione internazionale, che consentano alle persone straniere detenute di espiare nei Paesi di origine la pena a loro inflitta.Pag. 14
  In particolare la decisione-quadro del Consiglio d'Europa ha semplificato le condizioni per il rimpatrio, in quanto il trasferimento del condannato prescinde dal consenso dello Stato di esecuzione e della persona condannata quando quest'ultima risulti vivere abitualmente nello Stato di cittadinanza e quando, stante un provvedimento di espulsione, non le sia più consentito di rimanere nello Stato di condanna dopo avervi scontato la pena.
  Ciò ha portato nell'anno in corso, da un lato, a un significativo incremento delle richieste avanzate da parte italiana (475 a fronte delle 272 del 2013 e delle 369 del 2012) e, dall'altro, a una complessiva flessione del numero dei rimpatri (107 rispetto ai precedenti 143 del 2013 e 130 del 2012). Tuttavia, abbiamo ancora i dati di novembre.
  Il primo dato evidenza come siano state positivamente recepite dalle autorità giudiziarie competenti le informazioni e le indicazioni interpretative fornite dal Ministero della giustizia, soprattutto in tema di prova indiziaria, dell'assenza di un effettivo e stabile radicamento del soggetto straniero condannato in Italia e di informalità della consultazione del condannato in merito al suo trasferimento.
  Pur trattandosi di un Paese dell'Unione, è interessante rilevare che la massima parte (133) delle 215 richieste che alla data odierna risultano in attesa di risposta, è costituita da quelle inoltrate alla Repubblica di Romania. Peraltro, a oggi, soltanto tre domande sono state definite con decisione negativa.
  Nel recente Consiglio europeo, ho incontrato il Ministro della giustizia rumeno per chiedere che, in vista della chiusura dell'annualità, ci sia un'accelerazione che vada a recepire il cospicuo numero di richieste che è stato avanzato. La Romania, infatti, con 2.852 cittadini detenuti nelle carceri italiane, pari al 16,2 per cento del totale degli stranieri, è uno dei Paesi nei rapporti con il quale operano sia la decisione-quadro, sia un accordo sul trasferimento delle persone condannate che è entrato in vigore l'11 aprile del 2006.
  Sono, dunque, già vigenti nei rapporti con questo Paese strumenti funzionali alla massima semplificazione della cooperazione per l'esecuzione transfrontaliera delle pene detentive e delle misure privative della libertà.
  L'ulteriore semplificazione dei requisiti sostanziali implicherebbe frizioni con la ratio dell'istituto, diretto a favorire il reinserimento sociale del condannato, e con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. È necessario, invece, esperire percorsi interni all'assetto normativo e pattizio vigente, concentrati e concertati sulla comprensione e risoluzione delle difficoltà procedurali che determinano il ritardo della risposta da parte delle autorità destinatarie delle domande di trasferimento.
  Tuttavia, diverse migliaia di detenuti provengono da Paesi con i quali l'Italia non ha stipulato accordi di cooperazione giudiziaria in materia penale e che sono estranei alla Convenzione di Strasburgo del 1983 e anche alla decisione-quadro del 2008.
  Tra questi, sono oggetto di particolare attenzione, per l'incidenza numerica dei loro cittadini sulla popolazione carceraria italiana, i seguenti Paesi dell'area mediterranea: la Tunisia, che ha 1.983 detenuti in Italia, pari all'11,3 per cento della popolazione carceraria straniera; l'Egitto, che ha 540 detenuti, pari al 3,1 per cento della popolazione carceraria straniera; e l'Algeria, che ha 400 detenuti, pari al 2,3 per cento della popolazione carceraria straniera.
  Questo Ministero sta, dunque, procedendo verso la riattivazione dei negoziati con tali Paesi, sia sul tema dell'assistenza giudiziaria che in riferimento all'estradizione e al trasferimento delle persone condannate. Rimando ancora una volta alla relazione che è stata depositata per l'indicazione relativa ai Paesi con i quali sono già in corso negoziazioni e per i dati dettagliati per singoli Paesi sui rimpatri ai fini di esecuzione della pena.
  Vi ringrazio per l'attenzione. Ho cercato di concentrare, seppur in modo non troppo sintetico, le principali questioni, Pag. 15che sono comunque contenute per esteso, come dicevo, nella relazione che è stata depositata.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro, per questi utilissimi elementi di informazione. Naturalmente, acquisiamo la relazione di cui autorizzo fin d'ora la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna. Grazie anche per la precisazione sui decreti attuativi del disegno di legge n. 331. Naturalmente, le saremmo grati se poi ci vorrà tenere aggiornati sull'emanazione o meno, che sappiamo essere competenza del suo Ministero. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  NADIA GINETTI. Grazie, Ministro, per questa relazione molto dettagliata, ma anche complessa, perché tocca una serie di questioni fondamentali che stiamo affrontando – mi sembra di capire – con strumenti efficaci. Tuttavia, mi domando se dal punto di vista di quello che sta succedendo in questa città, legato alla gestione dell'accoglienza degli immigrati e quindi alle procedure di affidamento dell'accoglienza e di controllo sulla gestione stessa dell'accoglienza, il Ministro non ritenga – non so in che modo – di intervenire rispetto alla questione fondamentale che lui stesso rilevava. Mi riferisco al fatto di non considerare più il fenomeno come emergenza, quindi, evitando quelle procedure che consentono affidamenti e gestioni diverse dalle procedure ordinarie, anche al fine di un controllo più efficace delle modalità di affidamento.
  Le chiedo, insomma, se non si intende ormai considerare sia la condizione dei rom che la questione degli immigrati come fenomeno strutturale, quindi, da gestire in maniera ordinaria, anche per poter valutare più efficacemente il rischio corruzione.
  La seconda domanda, invece, riguarda la cooperazione in materia di repressione del fenomeno della criminalità internazionale legata al traffico di esseri umani, collegata sempre al fenomeno dell'immigrazione, in particolare nel Mediterraneo. Questa cooperazione, con il passaggio dall'operazione Mare Nostrum a Triton, in effetti viene rafforzata, ma dal punto di vista dello scambio dei dati e della repressione mi sembra di poter dire che gli accordi bilaterali potrebbero essere sostituiti in maniera più efficace da un intervento di livello europeo.
  Peraltro, noi siamo membri del Comitato che si occupa della sorveglianza e del monitoraggio sull'efficacia di Eurojust e Europol. Mi domando se anche lei, Ministro, non ritenga che quello sia il livello e quelli siano gli strumenti da rafforzare, oltre agli accordi bilaterali. Peraltro, nel dicembre 2014 è in scadenza il cosiddetto «Protocollo di Stoccolma» per la creazione di uno spazio unico europeo di sicurezza, libertà e giustizia, che quindi diventa materia comunitaria. La Commissione europea avrà la possibilità di intervenire, come è già intervenuta in materie parallele, con procedure di infrazione. Pertanto, mi sembra ancor più urgente rafforzare il sistema della cooperazione giudiziaria a livello comunitario, con istituzioni preposte già esistenti.
  L'ultima domanda riguarda la presenza della popolazione immigrata all'interno dei nostri istituti penitenziari, che costituisce una percentuale importante. Lei ci aggiornava sul fatto che questa si attesta ormai in maniera stabile intorno al 35 per cento. È una popolazione giovane. Con il rafforzamento di questi strumenti, che sono già definiti o in via di definizione, ovvero gli accordi per consentire ai condannati di eseguire la pena nei Paesi d'origine, si risolverebbe in modo molto significativo il problema del sovraffollamento, ma si avrebbe anche un effetto deterrente rispetto alla commissione dei reati. Mi sembra di capire che alcuni accordi, a partire da un percorso iniziato nel 2006 in materia di cooperazione giudiziaria, sono già stati firmati. Ritengo e condivido la necessità di accelerare nei confronti di alcuni Paesi, in particolare la Romania, con i suoi 2.800 detenuti, ma Pag. 16anche la Tunisia, il Marocco e l'Algeria. Credo che sia importante procedere in questa direzione.

  RICCARDO CONTI. Scusi, Ministro, io dovrei porle una domanda che mi ha fatto la mia cameriera stamattina uscendo di casa, che è un'extracomunitaria regolarmente assunta. Sapendo che venivo qui, costei mi ha detto: «Chieda, per favore, al Ministro perché non si possono mandare a casa tutti i detenuti extracomunitari».
  Mi sovrappongo un po’ alla domanda della collega, ma lo spirito con il quale le pongo io la domanda è meno collaborativo. Io sono democristiano, non ne faccio un problema razziale o cose di questo genere e conosco la complessità delle questioni. Abbiamo il sovrappopolamento delle carceri e abbiamo problemi sociali enormi.
  La mia cameriera mi dice: «Se aspettate gli accordi bilaterali, questi restano qui anni o decenni. Quando uno è condannato, dovete rimandarlo a casa sua». Io non sono in grado di rispondere alla domanda della mia cameriera, perché se spiego la complessità delle leggi e dei rapporti tra gli Stati e via dicendo, lei mi risponde: «Lei è un politico e dice sempre le stesse cose. Sono chiacchiere. Non risolvete mai i problemi».
  Vorrei sentire da lei, in parole povere, come io posso rispondere alle persone che mi pongono queste domande. Aggiungo, invece, una domanda mia, non della mia cameriera: esiste un rapporto di collaborazione tra il suo Ministero e quello dell'interno, per verificare se la gente che arriva da noi non sia già, per qualche motivo, condannata da qualche Paese straniero, per cui debba essere subito respinta in qualsiasi modo, evitando all'origine di aumentare i nostri problemi ?

  PAOLO ARRIGONI. Grazie, Ministro. Vorrei innanzitutto una precisazione, perché nella sua relazione, lunga e articolata, non ho colto bene il passaggio in ordine al reato di immigrazione clandestina, che – se non ho capito male – in base a una sentenza deve essere considerato tale fino all'emanazione del decreto legislativo. Pertanto, oggi è ancora vigente il reato di immigrazione clandestina. Vedo che annuisce. La ringrazio.
  Tra i vari dati che ha riportato in ordine ai detenuti stranieri, ha parlato di un numero che rappresenta una percentuale inferiore al 10 per cento di detenuti che sono andati a scontare la pena nel loro Paese di origine. Io avevo scritto: Albania, Marocco e anche Tunisia. Forse ho capito male ? Ha elencato la Tunisia tra i Paesi con cui lei vorrebbe potenziare questi accordi.
  Aldilà di questo, Ministro, la voglio invitare a un impegno intenso affinché i detenuti stranieri possano scontare le pene nel proprio Paese, non solo quelli di Albania, Marocco e via dicendo, ma anche tanti altri.
  È vero che la popolazione carceraria è diminuita a seguito di alcuni provvedimenti svuota-carceri, ma a fronte delle notizie di stampa che allarmano la popolazione italiana, oltre al caso di Mafia capitale, a proposito del quale il premier Renzi ha annunciato l'inasprimento della pena per il reato di corruzione, qui c’è un'inversione di tendenza: non vorrei mai che nel prossimo futuro ci fossero altri fenomeni, tali per cui l'inversione di tendenza si possa attuare su altre forme di reato. Noi, come Lega Nord, speriamo che ciò non avvenga in ordine ai reati predatori, che invece sono stati depenalizzati dal Governo.
  Venendo alla materia oggetto della sua relazione, lei ha affermato, Ministro, che nella competenza del suo Ministero ci sono i minori non accompagnati. Sui minori non accompagnati lei, tra i vari dati che ha espresso, ha parlato della fuga di questi minori. Peraltro, è un termine sul quale io sono stato richiamato dal suo collega Alfano, che mi ha detto che non si può parlare di fuga, laddove deve parlarsi di allontanamento, perché questi soggetti non sono controllati.
  A parte la battuta, noi abbiamo ricevuto, tra le varie audizioni, il sindaco di Udine, che parlava proprio di mercato dell'accoglienza, con tariffe diverse, non Pag. 17solo in ordine all'accoglienza degli adulti, ma anche in ordine all'accoglienza dei minori.
  Abbiamo anche audito l'ambasciatore dell'Egitto, che è uno dei Paesi – l'ha citato anche lei – per cui è più alto il numero di minori non accompagnati. L'ambasciatore sostanzialmente arrivava a questa conclusione: «Voi siete un Paese attrattivo. Molti minori egiziani vengono in Italia perché c’è una legge che ne impedisce il rimpatrio. Noi siamo disposti a riprenderceli, invece in Italia voi li prendete, li formate, gli insegnate la lingua e gli procurate un lavoro».
  Nell'ambito dei minori le cifre in ordine all'accoglienza sono importanti. Lei ha parlato di circa 10.000 minori accolti, oltre a quelli che sono fuggiti. Stiamo parlando di 300 milioni di euro all'anno, che è una cifra consistente e rappresenta un motivo di forti appetiti.
  Vengo a un'altra questione che lei ha citato. Lei ha parlato di difficoltà di determinazione dell'età anagrafica di questi minori. Richiamando ancora l'ambasciatore dell'Egitto, mi piacerebbe invitare il Ministro a fare un supplemento d'indagine per capire se, di fronte a questa disponibilità dell'Egitto di riprendersi questi minori, il Governo italiano può fare qualcosa in ordine alla modifica di questa legge italiana, di cui non so citare nome e cognome, a cui ha fatto riferimento l'ambasciatore stesso.
  Tornando al discorso dei minori, proprio nelle intercettazioni che sono state divulgate a mezzo stampa in ordine all'operazione Mafia capitale, si parla di soggetti che organizzavano questioni illecite e che esprimevano la volontà di lavorare sulla modifica dell'età anagrafica dei soggetti extracomunitari. Infatti, un conto è accogliere un adulto, che prevede determinate cifre, altro conto è accogliere un minore, le cui cifre per l'accoglienza sono più che doppie.
  Il Ministro Alfano nell'ultima sua visita presso il Comitato ci ha detto che all'interno dello SPRAR sono stati ricompresi, a seguito dell'ultimo ampliamento di 20.000 posti, anche i minori non accompagnati. Pertanto, sono ambiti di sua competenza. Vorrei però sapere se, alla luce di quanto è emerso nell'indagine Mafia capitale e di fronte agli scandali che si stanno paventando, il Governo intende mettere veramente mano alla distribuzione dei posti tra i vari territori. Le chiedo questo soprattutto alla luce del fatto che nella legge di stabilità il Governo ha deciso d'investire per il prossimo triennio 200 milioni all'anno per l'accoglienza di adulti e minori non accompagnati.

  MARIA CHIARA GADDA. Ringrazio anch'io il Ministro per la sua presenza qui oggi e soprattutto per la relazione approfondita e dettagliata. Ho una domanda abbastanza semplice e diretta in merito al fenomeno assai diffuso dello sfruttamento del lavoro nero. Vorrei chiedere al Ministro se una misura come la revoca del permesso di soggiorno nel caso di datori di lavoro che sfruttano il lavoro di immigrati extracomunitari possa essere valutata come misura deterrente o applicabile.

  GIORGIO BRANDOLIN. Io mi scuso con il Ministro, ma l'aereo era in ritardo (poche volte arrivo in ritardo e di ciò mi dispiaccio perché ho perso la prima parte del suo intervento). Non so se lei ha già parlato della gestione dei CIE e se è competenza del suo Ministero. La domanda, però, non è sulla gestione. Gli utenti dei CIE, come ben sappiamo, erano anche persone che avevano già avuto problemi con la giustizia e che venivano ospitati in questi centri per ottenere la loro identificazione. Dalle informazione che abbiamo avuto dal Ministro Alfano, sembra che questi centri saranno chiusi. Già da undici, ne sono operativi solo cinque – se non sbaglio con circa 400 utenti – ma se ho ben interpretato l'informazione dataci dal Ministro Alfano, ora l'identificazione viene fatta direttamente in carcere. Vorrei quindi capire se sono stati modificati i regolamenti o se, più semplicemente, è stata utilizzata qualche formula particolare in tal senso e, quindi, non c’è più il trasferimento nel CIE ma l'individuazione diretta in carcere, visto Pag. 18che una buona percentuale di questi utenti dei CIE erano persone che avevano già commesso dei delitti (quindi, dal carcere erano trasferite nei CIE).
  La seconda richiesta – probabilmente neanche questo è di sua competenza – è che ci sia chiarezza sul discorso relativo a quanto «vale» un emigrante. So che fino a qualche mese fa la differenza tra minore non accompagnato e maggiorenne stava tra 35 euro e 85 euro. In base all'informazione che abbiamo, adesso queste cifre sono molto diminuite. Vorrei al riguardo un minimo di chiarezza. Il business era stato fatto. L'avevo denunciato anch'io un mese fa e la presidente mi ha ripreso...

  PRESIDENTE. Non l'ho ripresa assolutamente, anzi. L'ho ripresa, semmai, nella terminologia, che purtroppo parrebbe confermata. Spetta alla magistratura l'accertamento di queste cose e non al Comitato Schengen.

  GIORGIO BRANDOLIN. Ho fatto una battuta. Occorre definire la questione una volta per tutte, perché su questa ambiguità degli importi pro capite si è giocato molto. Vediamo cosa è successo a Roma, ma si è giocato anche nel resto del territorio. Occorre un minimo di chiarezza: vale 30, 40, 50, 10 o 20 ? Anche questo è importante, proprio per evitare delle speculazioni politiche su questo problema rilevante.

  PRESIDENTE. Ministro, le domande sono tante, molto circostanziate e richiedono probabilmente degli elementi e delle indicazioni che lei può trasferirci, anche per iscritto, in un momento successivo. Se ora vuol rispondere per linee generali, le saremmo grati. Aspetteremo eventualmente della documentazione in seguito. Do la parola al Ministro della giustizia, Andrea Orlando, per la replica.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Cito i punti principali che riguardano le mie competenze. Alcune domande, infatti, esulano totalmente dalle stesse. Ciò vale tanto per la questione del costo della gestione dei servizi, quanto per il tema della revoca del permesso di soggiorno legata all'utilizzo del lavoro nero, che non è di competenza del mio Ministero. Citerei principalmente le questioni che sono emerse nei diversi interventi.
  Noi abbiamo una procedura di cooperazione con il Ministero dell'interno per quanto attiene alla questione dell'identificazione, rispetto alla quale abbiamo emanato degli atti che tendono a identificare la procedura in ossequio alle direttive di carattere europeo.
  Per quanto riguarda la questione dei minori non accompagnati, rispetto alla quale la direzione competente del mio Ministero ha una funzione di indirizzo di carattere generale, sono state emanate delle direttive, che riguardano prevalentemente le modalità di identificazione e le situazioni concernenti l'affidamento.
  Non c’è nessuna depenalizzazione dei reati predatori: lo dico tanto perché rimanga agli atti. C’è una delega votata dal Parlamento, che prevede la possibilità di archiviare i reati quando siano caratterizzati da particolare tenuità del fatto. Ho visto che il legislatore ha individuato un tetto massimo di quattro anni. Alcuni di questi reati, però, per struttura propria, non possono essere tenui. Questi casi andrebbero depennati da questa lista, che ho visto è stata fatta girare un po’ propagandisticamente.
  Quando il pubblico ministero ravvisa che il fatto sia particolarmente tenue e non vi sia offensività nei confronti di terzi, può chiedere al giudice l'archiviazione del reato e il giudice può riservarsi questa archiviazione. L'eventuale parte lesa può opporsi a questa procedura. Lo dico per avere una completezza d'informazione.
  Per quanto attiene, invece, alla questione della depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina, ho riportato ciò che la Corte di Cassazione ha detto in ordine all'interpretazione, alla successione delle leggi e al pieno esercizio della delega.
  Su quel punto devo dire che, non soltanto c’è un'indicazione univoca del Parlamento, che è contenuta all'interno della delega, ma ci sono anche censure di carattere internazionale in ordine alla Pag. 19struttura di questo tipo di reato. È un reato che nasce più dallo status del soggetto che non dal suo concreto comportamento e, pertanto, non è corrispondente alle convenzioni internazionali.
  Per quanto attiene alla questione della cameriera del senatore Conti, che è a conoscenza degli accordi bilaterali – questo è un fatto che ci aiuta a darle delle spiegazioni – cercherò di sintetizzare un quadro che è di assoluta complessità.
  Noi siamo in una situazione nella quale, nei confronti di alcuni Paesi, le procedure di rimpatrio dei detenuti non sono possibili, perché questi Paesi non aderiscono alle convenzioni internazionali alle quali aderiamo noi, quindi non rispettano alcuni standard minimi. In questo senso, il rimpatrio equivarrebbe a una violazione delle convenzioni che noi liberamente abbiamo sottoscritto.
  Spesso siamo stati criticati perché nell'affrontare il sovraffollamento tenevamo conto delle indicazioni della Corte europea. Si può decidere, a un certo punto, di uscire dalle convenzioni internazionali e di sottrarsi alla giurisdizione della Corte europea dei diritti dell'uomo. Le conseguenze politiche di ciò, però, andrebbero meditate. Nel momento, invece, in cui si decide che si sta in questo contesto volontariamente, se ne rispettano le regole. Da questo punto di vista, il rimpatrio in Paesi che non rispettano gli standard minimi equivale, sostanzialmente, a una violazione dei diritti fondamentali dell'uomo, per cui questa strada in alcuni casi è ab origine preclusa.
  Ci sono poi Paesi che, invece – in questo intervengono gli accordi-quadro – hanno sottoscritto alcune convenzioni di riferimento. Mi riferisco in particolar modo all'adesione al Consiglio d'Europa e, quindi, al riconoscimento del valore del ruolo della Corte e della Carta dei diritti dell'uomo. Questi Paesi sono potenzialmente degli interlocutori in questo tipo di processo.
  Riporto un esempio, perché bisogna vedere in concreto quali sono le difficoltà. A marzo ho siglato l'accordo con il Marocco, che è un Paese che ha aderito al Consiglio d'Europa e, quindi, ci sono i presupposti, almeno in termini generali. La mia sigla, però, deve essere poi ratificata dai due Parlamenti, perché fino a quel momento, sostanzialmente, non ha valore. Una volta che i Parlamenti l'hanno ratificata, si avvia il percorso delle procedure. Siamo già a questo stadio. Ancora più stringenti sono le procedure che riguardano i Paesi che sono, come noi, aderenti all'Unione europea, il cui numero è significativo. Noi spesso guardiamo il macronumero delle comunità che sono all'attenzione dell'opinione pubblica, per esempio la Romania, ma se mettiamo insieme tutti cittadini comunitari di altri Paesi, anche quelli che non associamo di solito al tema della detenzione di cittadini stranieri, otteniamo un numero significativo. Tra i comunitari, che complessivamente sono 5.000, metà sono rumeni, ma l'altra metà sono degli altri Paesi, quindi se lavorassimo su tutti gli altri Paesi, taglieremmo già una fetta di detenuti analoga a quanto previsto con un cosiddetto «provvedimento svuota-carceri».
  Quali sono i problemi ? Da un lato, abbiamo una procedura particolarmente macchinosa in tal senso, sulla quale vogliamo intervenire, che prevede un passaggio dal procuratore generale presso la corte d'appello, che quindi attiva il rientro. Dall'altro lato, c’è una sorta di vischiosità nel dar luogo alle procedure, non solo con i Paesi che noi spesso mettiamo all'indice perché riteniamo che siano la causa del sovraffollamento, ma anche con Paesi che hanno un sistema penitenziario molto efficiente. Non li cito, per non rompere le relazioni diplomatiche, ma complessivamente mi riferisco ai Paesi dell'Unione europea. Spesso, nel tempo che intercorre dal momento in cui si chiede di dar luogo alla decisione al momento in cui questa decisione viene realizzata, il detenuto non ha più, per esempio, i presupposti di pena o non ha più i termini necessari per finire la pena. Talvolta, il rimpatrio arriverebbe in un momento in cui sarebbe più la spesa che l'impresa, perché magari ci troviamo al termine della fase di detenzione.Pag. 20
  Comunque, aldilà della spiegazione della complessità di questo percorso, politicamente noi stiamo cercando di dar luogo a tutti gli accordi, seminando anche per chi verrà. È chiaro che noi raccogliamo una parte del lavoro che è stato fatto da Governi precedenti. Credo che dobbiamo lavorare anche per quelli che verranno, dati i tempi di efficacia di questi percorsi.
  Il lavoro che abbiamo fatto è quello di promuovere tutti gli accordi di riferimento internazionale possibili. Il Marocco è un caso. Abbiamo incontrato le autorità tunisine, con le quali, però, ci sono delle difficoltà, che derivano anche da una fase di passaggio che ha caratterizzato quel Paese. Peraltro, c’è una situazione di difficoltà anche a inquadrare esattamente qual è la politica penitenziaria che verrà esercitata in quella realtà. Stiamo portando avanti una negoziazione con la Nigeria, per arrivare all'accordo di riferimento. In seguito, la palla passa al Parlamento. Contemporaneamente, bisogna lavorare sulla celerità dell'esecuzione degli accordi.
  Come dicevo, noi abbiamo un dato positivo per quanto riguarda l'aumento delle domande. Questo significa che le procure generali hanno iniziato a lavorare in modo più costante e più continuativo. Spesso questo tema veniva derubricato ad affari di seconda importanza. Una delle prime cose che ho fatto da Ministro è stata quella di chiamare tutti i procuratori generali e chiedere che, nell'esercizio dell'azione penale e nella definizione degli affari delle procure, tale questione fosse inserita tra le priorità. Cominciamo a registrare un ritorno positivo. Non sempre, a fronte di questo aumento di domande, riusciamo ad avere una corrispondente risposta da parte delle autorità dei Paesi interessati.
  In questo senso, va svolta un'attività di carattere diplomatico e di moral suasion. Io, per esempio, ho chiesto un incontro con il Ministro della Romania, perché se la Romania si riprendesse più o meno quello che abbiamo chiesto, faremmo, solo con i detenuti rumeni, lo stesso numero di rimpatri che abbiamo fatto lo scorso anno. Questo è il lavoro che va fatto. Visto che spesso nella propaganda questo tema viene utilizzato, vorrei dire che non esistono risposte semplici a percorsi così complicati. Del resto, se non fosse vero quello che dico, i Ministri dell'interno e della giustizia, che su questo tema si erano caratterizzati molto, avrebbero ottenuto successi assai più significativi di quelli che i numeri ci consegnano. Il quadro dei Paesi di riferimento è quello che è. Il tutto è complicato ulteriormente dal fatto che molti dei Paesi, che potenzialmente sono interlocutori di questo percorso, nel corso di questi anni sono stati oggetto di cambiamenti molto profondi nel loro assetto, essendo talvolta privi di una chiara filiera istituzionale che sia in grado di costituire l'interlocutore di questo percorso.
  Da questo punto di vista, verificherò la questione che impedisce il rimpatrio dei minori egiziani. Se è possibile avere il testo dell'audizione dell'ambasciatore, questo ci potrebbe indubbiamente aiutare. Questa è una competenza del Ministero degli affari esteri. Non escludo che una particolare cautela sia stata rivolta a seguire l'evoluzione che in questi Paesi si veniva a determinare in ordine al rispetto di alcuni diritti fondamentali, per capire esattamente quali erano gli sviluppi politici. L'Egitto è un Paese nel quale ci sono stati dei cambiamenti molto radicali e molto forti e, per un certo periodo, non è stato chiaro quali fossero esattamente gli approdi delle politiche penali e delle politiche di gestione dell'ordine pubblico interno.
  Per quanto riguarda il tema, che è stato in più occasioni richiamato, sul malaffare nella gestione degli immigrati, è del tutto evidente che dal punto di vista della gestione di quei percorsi non c’è nessuna competenza del mio Ministero.
  Per quanto riguarda, invece, l'aspetto sanzionatorio, che è di competenza del mio Ministero, credo che le cose che si possono fare siano due: assicurare la massima collaborazione e il massimo sostegno Pag. 21alle procure che hanno la competenza di indagare, e valutare se gli strumenti sanzionatori sono adeguati.
  Non mi pare che rispetto a questo fenomeno, dal punto di vista della pena, vi siano delle peculiarità particolari rispetto a fenomeni di corruzione che riguardano altri ambiti. Mi pare che, seppure con una maggior discrezionalità, dovuta al fatto che l'erogazione di questi servizi è quantificabile con maggior difficoltà rispetto a un'opera pubblica o a una prestazione di servizi maggiormente standardizzata, la genesi sia esattamente quella dei fenomeni corruttivi, che riguardano molti altri ambiti, come quelli che ho citato. Non vedo una specificità, se non nella particolare aberrazione di chi si fa corrompere per gestire un servizio così delicato e così afferente a questioni che riguardano il senso di umanità.
  Da questo punto di vista, credo che gli interventi che prevediamo non abbiano una valenza specifica che riguarda questo settore, ma abbiano una valenza che riguarda il tema della deterrenza della corruzione. Io insisto molto sul fatto che qui non si tratta di inasprire le pene, perché l'inasprimento delle pene rispetto a reati che hanno ritorni patrimoniali enormi ha una deterrenza limitata, come abbiamo visto in molte occasioni.
  Il punto fondamentale è consentire una seria aggressione dei proventi e seguire il denaro, così come è stato fatto per quanto attiene alla criminalità di carattere mafioso. Peraltro, i due fenomeni ormai sono sempre più sovrapposti, vuoi perché una parte di queste reti di malaffare sono gestite in collaborazione con le organizzazioni criminali tradizionali, vuoi perché le nuove reti mutuano il metodo di carattere mafioso, così come la vicenda Mafia capitale ha indicato con grande chiarezza.
  Anche in questo caso, come è sempre doveroso, attenderemo i riscontri del giudice terzo, ma da questo punto di vista credo che l'estensione degli strumenti che sono stati utilizzati in ambito di contrasto alla criminalità mafiosa sia la strada maestra che deve essere seguita.
  L'aggressione ai patrimoni e ai capitali è la forma più significativa e forte di deterrenza, oltre a essere quella che è in grado di risarcire, seppur parzialmente, il danno che è stato provocato alla comunità.
  Per quanto attiene alla questione dei cosiddetti «svuota-carceri» – ormai anche noi ci siamo rassegnati a questa definizione – la scelta che è stata seguita non riguarda una serie di interventi di carattere generale e indiscriminato. Sono stati rimessi alla valutazione del giudice i singoli interventi, anche in base alla verifica della pericolosità del singolo detenuto. Il presupposto alla possibilità di accedere a pene alternative è, dunque, la valutazione della pericolosità che viene esercitata.
  Questo ha consentito a oggi di limitare fenomeni che, invece, hanno caratterizzato provvedimenti di clemenza generalizzata – penso all'indulto e all'amnistia – e, quindi, di rivolgere prevalentemente questo tipo di intervento a detenuti che avevano una contenuta pericolosità sociale o la cui pericolosità si era attenuata nel corso dell'esercizio della pena.
  C’è un dato che ho citato nella relazione e che vorrei riprendere. In percentuale, i detenuti extracomunitari hanno utilizzato di meno questi strumenti, per varie ragioni, non ultimo il fatto che, essendo dotati di un'assistenza legale in media qualitativamente peggiore rispetto ai detenuti di nazionalità italiana e non avendo piena conoscenza dell'evoluzione normativa, spesso non hanno richiesto neanche l'intervento per provvedimenti ai quali potevano accedere.
  Anche da questo punto di vista, una certa torsione propagandistica non tiene conto di un dato statistico che va in una direzione opposta rispetto a quella che viene mostrata, spesso per ragioni comprensibili di costruzione del consenso, che però confliggono con i dati che la statistica ci restituisce.
  Da questo punto di vista, vorrei rinviare a una più puntuale risposta, accogliendo l'invito della presidente, riservandomi anche di dare alcuni dati in ordine Pag. 22alle procedure di cooperazione che si sono realizzate con il Ministero dell'interno, ai quali credo che il Comitato abbia rivolto particolare interesse.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Consegneremo ai suoi uffici l'audizione dell'ambasciatore della Repubblica araba d'Egitto, Helmy Amr, che abbiamo tenuto il 30 settembre 2014. Con l'occasione, salutiamo chi l'accompagna: la dottoressa Fabbrini, vice capogabinetto; il dottor Bianchi, della segreteria particolare; la dottoressa Cremonini, la sua portavoce; e il dottor Spataro, della segreteria particolare. Ringrazio il Ministro Orlando e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.50.

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