XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 35 di Giovedì 4 dicembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), nell'ambito dell'esame degli schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: note metodologiche e fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica, viabilità, trasporti, gestione del territorio e dell'ambiente, servizio di smaltimento dei rifiuti, settore sociale, asili nido (atto n.120); note metodologiche e fabbisogni standard per ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica e gestione del territorio (atto n.121) (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Longobardi Ernesto , Componente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) ... 2 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
Guerra Maria Cecilia  ... 9 
Zanoni Magda Angela  ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 10 
D'Incà Federico (M5S)  ... 11 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 
Collina Stefano  ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 
Marantelli Daniele (PD)  ... 13 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14 
Longobardi Ernesto , Componente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti della COPAFF ... 17

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), nell'ambito dell'esame degli schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: note metodologiche e fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica, viabilità, trasporti, gestione del territorio e dell'ambiente, servizio di smaltimento dei rifiuti, settore sociale, asili nido (atto n. 120); note metodologiche e fabbisogni standard per ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica e gestione del territorio (atto n. 121) (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione, del professor Ernesto Longobardi, che rappresenta la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), nell'ambito dell'esame degli schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri riguardo alle note metodologiche e fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica, viabilità, trasporti, gestione del territorio e dell'ambiente, servizio di smaltimento dei rifiuti, settore sociale, asili nido (atto n. 120); nonché alle note metodologiche e fabbisogni standard per ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario, relativi alle seguenti funzioni: istruzione pubblica e gestione del territorio (atto n. 121)
  Nel ringraziarlo per avere risposto al nostro invito, do subito la parola al professor Longobardi.

  ERNESTO LONGOBARDI, Componente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). Grazie, Presidente. Questa Commissione sta lavorando da diverse settimane all'analisi di queste note metodologiche relative ai fabbisogni di spesa di sette funzioni dei comuni e due delle province. Ho avuto modo di scorrere i resoconti della Commissione e ho visto che è stato fatto un lavoro pregevole, entrando nei dettagli tecnici.
  Credo, quindi, che vi sia il rischio di ripetersi, cioè di dire cose che per la Commissione sono ormai scontate e metabolizzate. Pertanto, ho pensato potesse essere opportuno riprendere il tema per lineamenti molto generali, cioè riproporre alla Commissione alcune questioni di carattere generale relative all'operazione dei fabbisogni standard, per cui ho preparato la mia comunicazione su tre punti (vedi Allegato).
  Il primo riguarda le scelte principali effettuate sul piano metodologico e tecnico Pag. 3nell'operazione di istituzione dei fabbisogni standard. Questo è un aspetto che la Commissione già conosce, ma forse conviene tentare un'operazione di sintesi. Il secondo ha a che fare con le grandi questioni che sono emerse nella fase di elaborazione dei fabbisogni standard. Infine, il terzo aspetto verte sull'agenda, ovvero sui prossimi impegni sul piano tecnico e su quello politico.
  Prima di iniziare la mia relazione, consentitemi di volgere brevemente lo sguardo al passato. Vorrei mostrarvi questa tabellina (vedi Allegato, pag. 19), che io chiamo la road map dei fabbisogni standard (questa riguarda solo i comuni, ma ne ho una analoga che riguarda anche le province), su cui da diverso tempo segno le diverse tappe del percorso di costruzione dei fabbisogni standard.
  Come vedete, si tratta di un processo che ormai sia avvia alla fine, ma è stato molto lungo. Il primo passaggio in COPAFF vi fu nel giugno 2012 sulla prima funzione, quella della polizia locale, ma si lavorava già dal giugno 2010.
  Poi, a novembre 2010 si ebbe il decreto legislativo n. 216, che affidava alla SOSE (Soluzioni per il sistema economico Spa), con la collaborazione dell'IFEL (Istituto per la finanza e l'economia locale), il compito di determinazione dei fabbisogni standard.
  Insomma, è stato un percorso molto lungo, che si avvia al termine. Forse ci sono luci e ombre su cui ci sarà modo di discutere, ma credo sia stata un'operazione pregevole che ci ha consentito un investimento importante che adesso bisogna mettere a frutto.
  Venendo alle questioni principali, la Commissione conosce molto bene quella che riguarda la scelta fra l'approccio top-down e quello bottom-up (vedi Allegato pag. 20). Si è scelto l'approccio top-down, che si chiama «fondo chiuso», nel senso che le risorse da destinare alla perequazione vengono predeterminate a livello di grandi scelte macroeconomiche di finanza pubblica, quindi i fabbisogni standard si risolvono in un meccanismo di riparto di un fondo finanziario precostituito, con la scelta di coefficienti, appunto, come meccanismo di riparto.
  L'approccio alternativo, quello bottom-up – ovvero partire dal basso, determinare costi standard per singole prestazioni o singole funzioni e poi risalire all'aggregato finanziario – presuppone la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Infatti, senza livelli essenziali delle prestazioni partire dai singoli servizi e risalire alle grandezze finanziarie è piuttosto complicato, quindi bisognerebbe disporre di una misura delle quantità del servizio pubblico, ovvero dei livelli essenziali delle prestazioni.
  È chiaro, poi, che quello che si dice meccanismo a «fondo aperto» non lo è veramente perché i vincoli finanziari comunque permangono. Tuttavia, l'approccio bottom-up evidenzia un altro tipo di dimensioni, nel senso che, nel caso di riduzione delle risorse finanziarie disponibili per la perequazione, si deve mettere mano ai LEP, cioè risulta più evidente come un vincolo finanziario possa riflettersi sulla riduzione del livello delle prestazioni quantitative e qualitative dei servizi pubblici.
  Per ora – apro il discorso dei LEP, che ho visto che la Commissione ha considerato già diffusamente – non disponiamo dei LEP, quindi l'approccio a coefficiente, cioè quello top-down, era obbligato.
  Avete anche studiato a fondo la distinzione fra le funzioni di spesa e le funzioni di costo. È solo con la funzione di costo, cioè quando appare nella funzione di stima del fabbisogno standard l’output (quindi la stima del prodotto o del servizio pubblico), che si può propriamente parlare di costi standard, nel senso che il coefficiente delle variabili di output può essere interpretato come costo medio marginale della produzione di servizio pubblico.
  Per fare questo è necessario che il servizio pubblico (cioè l’output) sia misurabile e abbia natura esogena rispetto al modello di stima. Questa è una caratteristica tecnica. Come sapete, nella stima complessiva dei fabbisogni standard dei comuni solamente per due funzioni si è Pag. 4usato l'approccio della funzione di costo, mentre per l'altro si è utilizzato l'approccio della funzione di spesa, per la quale si stima il fabbisogno pro capite in euro, date determinate variabili di contesto per quanto riguarda la domanda e l'offerta di servizio pubblico. In questo caso, dunque, si parla più propriamente di fabbisogno standard che di costo standard.
  Non so quanto la Commissione abbia avuto la percezione di questo. Comunque, l'essersi limitati a due sole funzioni di costo è stata una scelta, ma si poteva anche farne altre, nel senso che è stata una scelta estremamente prudenziale.
  Nel lavoro che si è fatto più di recente nell'ambito della Commissione Cottarelli sulla spending review c’è stato un gruppo sui costi standard coordinato in una prima fase dal professor Zanardi e nella seconda fase dal sottoscritto, nel quale si è andati ben oltre queste due funzioni perché, sulla base degli stessi dati, siamo arrivati a coprire le funzioni corrispondenti a circa il 60 per cento dell'ammontare complessivo delle risorse.
  Cottarelli spingeva molto in questo senso, quindi abbiamo fatto scelte più coraggiose, anche perché quando il problema non è quello della misurabilità, ma quello della esogenità si può affrontare a livello econometrico, per quanto modo in complicato (vedi Allegato pag. 21).
  A ogni modo, si è fatta questa scelta prudente, che è stata forse l'esito di una particolare formula che abbiamo adottato per la stima, dal punto di vista dell'organizzazione istituzionale, con il partenariato SOSE-ANCI.
  Più avanti spiego meglio perché; ora voglio tornare sul punto degli aspetti di tipo procedurale e metodologico.
  Penso che una delle cose da fare adesso, in fase di manutenzione e di revisione dei fabbisogni standard, sia aumentare le funzioni di costo perché, in fondo, ciò che i diversi attori dello scenario politico e istituzionale e l'opinione pubblica si aspettano di sapere più precisamente è proprio il costo della singola prestazione per ciascun servizio. Questo, infatti, è uno strumento più ricco, con una portata informativa più ampia di quanto lo sia la funzione di spesa.
  Vi è un altro tema molto delicato, che ho visto avete affrontato diffusamente. Infatti, una volta stimati i coefficienti, in fase applicativa (quella in cui si vanno a inserire le variabili relative al singolo comune per determinare il fabbisogno standard) vi è il problema di come comportarsi quando il comune non presenta output per determinati servizi, cioè non presta quei servizi, come nel caso dell'asilo nido.
  In generale, la scelta fatta è stata di attribuire una quota di fabbisogni standard anche dove l’output è zero, in ossequio del terzo comma dell'articolo 119 della Costituzione che stabilisce che il fondo perequativo debba essere non vincolato, come sa molto bene la senatrice Maria Cecilia Guerra.
  Come insegniamo nei corsi di scienza delle finanze, il trasferimento non vincolato, dal punto di vista dell'efficienza, è superiore a quello vincolato. Quindi, il principio costituzionale del terzo comma dell'articolo 119 è importante perché è quello che riconosce l'autonomia e che consente, se i governi locali si comportano bene, una maggiore efficienza, visto che permette di rispondere meglio alle preferenze locali nella scelta della composizione dei servizi.
  Vi è, però, l'altro principio costituzionale dei livelli essenziali delle prestazioni che, invece, va nell'altra direzione, quella dell'equità e della garanzia di avere stessi livelli di prestazione per alcuni servizi fondamentali su tutto il territorio nazionale (vedi Allegato pag. 22).
  In questo caso, se ci si pone in questa seconda prospettiva, cioè quella della garanzia di servizi omogenei su tutto il territorio nazionale, bisognerebbe non tanto non attribuire risorse ai comuni che non prestano quel servizio, bensì garantire che tutti i comuni prestino quei servizi, quindi di nuovo fissare i livelli essenziali delle prestazioni, ovvero attribuire i fabbisogni guardando alle quantità, ma non a Pag. 5quelle effettivamente erogate, quanto a quelle corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni.
  Passo alla seconda parte della mia breve presentazione e alle grandi questioni che sono emerse. Abbiamo imparato moltissimo da questa esperienza, ma penso che adesso occorra mettere a frutto quanto abbiamo appreso.
  Dal punto di vista intellettuale e culturale, per me è stata un'esperienza estremamente importante perché ho toccato con mano come in questi campi ci sia uno stretto intreccio fra la scelta di tipo tecnico e quella di tipo politico. Nel caso dei fabbisogni standard, credo ci sia questo intreccio già nella fase di stima del fabbisogno, ma c’è ancora di più nella fase applicativa, quando si deve scegliere, dati i coefficienti, come applicare la singola funzione per il fabbisogno.
  Lo avete visto anche voi e ne avete discusso, per esempio, nel caso del costo del lavoro, là dove si deve scegliere quanto costo del lavoro effettivo riconosciamo. Riconosciamo tutto il costo, anche se il comune si è comportato in maniera molto allegra negli anni precedenti, oppure mettiamo delle restrizioni al riconoscimento del costo lavoro effettivo ?
  Su questo c’è stato un dibattito molto intenso nell'ambito del processo di stima dei fabbisogni standard soprattutto tra l'ANCI, la SOSE e la COPAFF. Chiaramente, in questa fase, dovrebbe intervenire la politica per dire quali variabili devono essere valorizzate, quali sono gli obiettivi e dove si vuole puntare per l'efficientamento.
  Riguardo al costo del lavoro, doveva essere prefigurato un percorso, ma questo non può che farlo il politico. La scelta fatta con il decreto-legislativo n. 216, ovvero quella del partenariato SOSE-IFEL, in cui l'IFEL, pur essendo un'istituzione tecnica, rappresenta l'ANCI, quindi il mondo dei destinatari dei fabbisogni standard, ovvero i comuni (ci sono, però, anche le province), ha dei grossi pregi.
  In sostanza, la scelta è caduta su quello che chiamo il «modello SOSE», ovvero quello degli studi di settore. Infatti, come sapete, la SOSE è la società nata per elaborare gli studi di settore ai fini dell'accertamento fiscale. Per 10 anni ha fatto solo quello; poi da 3-4 anni a questa parte ha anche questa seconda missione (vedi Allegato pag. 23).
  Il «modello SOSE» per gli studi di settore è stato quello di istituire tavoli tecnici in cui c'erano i rappresentanti dell'amministrazione finanziaria, i tecnici e i rappresentanti delle categorie, cioè quello di coinvolgere gli interessati. Questo ha due vantaggi molto grossi. Il primo è di tipo informativo, nel senso che le associazioni di categoria portano informazioni di tipo tecnico, sui bilanci e così via, che altrimenti non si avrebbero, ai tavoli del tecnici della SOSE. Il secondo vantaggio è quello di arrivare a costruire questi strumenti sulla base di un consenso, senza imporli agli attori che ne saranno destinatari.
  Questo è un modello assolutamente legittimo, che si è riprodotto tale e quale per i fabbisogni standard, perché avere messo allo stesso tavolo l'ANCI, attraverso l'IFEL, quindi un organo di rappresentanza politico-istituzionale riconosciuto a livello di ordinamento giuridico, e l'organo tecnico è stata una scelta di quel tipo, che si è fatta consapevolmente, proprio perché l'ANCI (anche se formalmente c’è l'IFEL) può portare informazioni, garantirà che i questionari verranno restituiti e così via. Insomma, è necessario avere il consenso dei comuni, altrimenti non si riesce ad andare avanti.
  Questo modello, quindi, va benissimo, ma in futuro vogliamo mantenerlo o vogliamo pensare che per la questione dell'intreccio fra scelta politica e scelta tecnica si debba pensare a un modello diverso ?
  Il ruolo estremamente rilevante della COPAFF in tutta questa vicenda è stato quello di allineare e tenere insieme ANCI e SOSE perché vi sono stati momenti di assoluta tensione. A un certo punto, la COPAFF ha deciso di assumere la regia dell'operazione. Questo non è stato dall'inizio ma in una certa fase la COPAFF ha deciso di istituire un tavolo tecnico, Pag. 6altrimenti ANCI e SOSE avrebbero litigato in continuazione. La COPAFF è, dunque, riuscita ad allineare le due posizioni con un tavolo che ho coordinato io e che vi assicuro essere stato estremamente faticoso.
  Questo è stato un ruolo essenziale. Tuttavia, deve essere questo il ruolo della COPAFF o di un'altra istituzione di tipo governativo o intergovernativo ? Ebbene, credo che non dovrebbe essere questo, ma che si dovrebbe trovare una formula in cui il lavoro viene svolto a livello esclusivamente tecnico, con i tecnici che presentano diverse opzioni; dopodiché, il lavoro è portato in un'istituzione intergovernativa, che può essere la COPAFF, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica oppure un altro organismo, se si vuole eliminare questa per fare qualcos'altro. Insomma, deve essere un organo politico esecutivo, possibilmente intergovernativo, dal momento che non solo Stato e città sono interessate a questo, ma tutti i livelli di governo. In questa sede devono essere prese le decisioni politiche sulla base delle opzioni tecniche. Penso che questo sia un tema di assoluta importanza e attualità.
  Vengo, infine, all'ultima parte che riguarda l'agenda (vedi Allegato pag. 24). Un elemento che è in agenda da tempo e che appare in via di soluzione è la stima della capacità fiscale. Anche su questo bisognerebbe fare una riflessione perché mentre il decreto legislativo n. 216 prefigurava esattamente quali erano i compiti e ruoli, cioè chi doveva fare i fabbisogni standard, sulla capacità fiscale non abbiamo niente, nel senso che c’è una norma di legge che dice chi deve stimare la capacità fiscale, come non c’è una norma di legge che dice chi dovrà mettere insieme i due pezzi.
  Infatti, una volta che abbiamo le capacità fiscali e i fabbisogni standard il processo non è affatto finito, ma bisogna costruire un modellino per cui le due cose si mettono insieme e si stabilisce come funziona il fondo perequativo.
  Ora, non c’è – ripeto – una norma di legge che dice come devono essere stimate le capacità fiscali. Le cose sono andate avanti, come spesso avviene, in maniera spontanea. Infatti, un paio di anni fa si è istituito un tavolo tecnico (che, tra l'altro, all'inizio era partito nell'ambito di un progetto PON che faceva capo al Dipartimento delle finanze e al Dipartimento degli affari regionali) per la stima delle capacità fiscali presso il Dipartimento delle finanze, di cui mi si affidò il coordinamento e producemmo un rapporto in cui si stimavano, appunto, le capacità fiscali di tutti i comuni.
  Successivamente, si è passati al livello politico e si è istituito un altro tavolo, dal quale la COPAFF è rimasta fuori (peraltro, anche nel primo non c'era la COPAFF, io vi ero per un incarico del Dipartimento delle finanze), tra ANCI e Dipartimento delle finanze, in cui sono state stimate le capacità fiscali.
  Come sapete, il decreto-legge n. 133 del 2014, all'articolo 43, comma 5-quater, ha stabilito il percorso, quindi la norma che mancava è stata approvata dal momento che il decreto-legge è stato convertito.
  Infatti, si prevede che con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze pubblicato in Gazzetta ufficiale sia adottata, previa intesa in Conferenza Stato, città ed autonomie locali, la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo della stima delle capacità fiscali. Dopo la conclusione dell'intesa, lo schema di decreto e la nota metodologica sono stati trasmessi alle Camere per il parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale – quindi arriverà a voi – e delle Commissioni parlamentari competenti.
  Questo è esattamente lo stesso percorso previsto per i fabbisogni, con l'unica differenza che la COPAFF non è prevista, cosa che mi rimane misteriosa perché penso sarebbe stato opportuno che si seguisse in pieno lo stesso percorso previsto per i fabbisogni standard: mancano, invece, la bollinatura della Ragioneria, che forse è data per implicita, e il passaggio in COPAFF, che, invece, era – ripeto – previsto per i fabbisogni standard.
  Comunque, questa è la scelta che è stata fatta. Se la COPAFF non deve più Pag. 7intervenire credo che dovrebbe essere detto in maniera più esplicita. Peraltro, la COPAFF ha cambiato totalmente natura con l'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, perché aveva una sua autonomia finché non si è costituita questa Conferenza. Invece, costituita quella, la COPAFF è un'organizzazione strumentale, una sorta di segreteria tecnica alla Conferenza. Pertanto, dire che non passa in COPAFF vuol dire che non passa in Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Allora, perché abbiamo istituito questa Conferenza ?
  Ricorderete, del resto, che essa era prevista dall'articolo 3 della legge n. 42, ma poi è rimasta a dormire per tanto tempo. In altri Governi è stata nominata, ma ha continuato a dormire; dopodiché, con il Governo Letta e con il Ministro Delrio al Dipartimento per gli affari regionali è stata attivata, ha fatto due riunioni e poi con il nuovo Governo Renzi è stata rimessa a dormire, nel senso che non è mai stata convocata.
  In definitiva, anche su questo bisogna decidere se deve esserci o meno un organo intergovernativo che entra in queste questioni, a prescindere dalla chiusura della vicenda del sistema perequativo. Inoltre, se deve esserci, vanno bene questi che abbiamo – cioè la Conferenza permanente con il supporto tecnico della COPAFF – o ne serve un altro ?
  Trovo abbastanza singolare che di queste cose non si dica niente. Semplicemente, gli organi, come la Conferenza permanente, non vengono convocati e la COPAFF viene esclusa da una norma di legge che avrebbe dovuto includerla. Insomma, mi sembra un modo di procedere poco trasparente anche rispetto all'opinione pubblica.
  Passo al secondo punto. Una volta che si sia costruito questo meccanismo perequativo e abbiamo le capacità fiscali, che bisogna mettere insieme ai fabbisogni standard (peraltro, non si sa chi lo farà), cosa facciamo ?
  La legge di stabilità per il 2015 prevede che sia impiegato per la distribuzione del 20 per cento del Fondo di solidarietà. Credo, però, che bisognerebbe procedere più rapidamente. Sono anni che tutto ciò che si fa in termini di distribuzione delle risorse ai comuni è dettato da logiche di compensazione e non di perequazione.
  L'unica minima perequazione si è fatta con il Fondo sperimentale il primo anno, dopodiché questi fondi sono sempre stati usati per la compensazione e non per la perequazione, cioè per ristabilire le situazioni preesistenti a determinate modifiche normative che avevano interessato la finanza locale. Quindi, abbiamo dovuto compensare l'IMU del Governo Monti, poi il fatto che la partecipazione statale all'IMU Monti cambiava natura e così via, per ristabilire ogni anno esattamente la stessa distribuzione di risorse che c'era nell'anno precedente. Allora perché stiamo lavorando dal 2011 su questo, visto che se confrontiamo il 2015 con il 2011 non si è spostato un euro da un comune all'altro ?
  Insomma, quando passeremo a questa effettiva perequazione e lasceremo stare la compensazione ? Anche questa è una questione di assoluta importanza politico-istituzionale. Credo che sarebbe ora di muoversi.
  Loro hanno certamente informazioni più fresche delle mie, ma le voci che mi arrivano è che quanto è allo studio per la local tax, ovvero per la predisposizione di questa ultima – speriamo definitiva – modifica delle benedette imposte immobiliari locali possa essere occasione per fare un salto anche su questo versante, cioè mettere in piedi finalmente un meccanismo perequativo, lasciando perdere il Fondo di solidarietà.
  In definitiva, la domanda è «dalla compensazione alla perequazione, se non ora quando ?».
  Sui LEP è inutile che aggiunga altro. Lo abbiamo visto in questa esposizione, come anche in tutti i lavori che avete fatto. I LEP risaltano fuori da ogni parte, come nella scelta tra fondo aperto e fondo chiuso o fra funzioni di costo e funzioni di spesa. Senza i LEP tutta questa operazione ha scarso significato. Chi farà i LEP ? Quando li farà ? Quale modello seguiamo ?Pag. 8
  Questo è un tema legato tutti i precedenti. Quali sono le istituzioni che si occuperanno di queste cose ? Quali sono le istanze tecniche e quelle intergovernative politiche che prenderanno le decisioni ? La decisione sui LEP non è tecnica, ma ancora più politica di quella sui fabbisogni standard.
  Infine, vi è il tema della ripresa del disegno del federalismo fiscale. In uno dei vostri verbali ho letto un'affermazione del Presidente Giorgetti, che condivido in pieno, che diceva che l'attuazione della legge n. 42 è stata smantellata nel corso degli anni, pertanto manca un disegno complessivo in quanto gli unici aspetti rimasti sono i fabbisogni standard e le capacità fiscali standard. Il Presidente è, peraltro, generoso perché mentre per i fabbisogni standard il percorso è delineato bene nei decreti legislativi, capacità fiscali standard e fondo perequativo sono articolati bene nella legge n. 42, ma in maniera pessima nei decreti delegati. Il decreto legislativo n. 23 e il decreto legislativo n. 68 non dicono niente sul fondo perequativo, anzi affermano cose vuote di senso e tecnicamente sbagliate. Per contro, il modello perequativo della legge n. 42 è costruito benissimo tecnicamente.
  A ogni modo, concordo pienamente con la posizione della Commissione e in particolare del Presidente Giorgetti. Adesso forse c’è uno strumento che si può usare perché, come sapete, la delega è stata riaperta con il decreto-legge n. 56. Infatti, il comma 97 – si parla di commi e non di articoli – della legge n. 56 prevede che sia riaperta la delega, ovvero che sia conferita al Governo una delega di 12 mesi per rivedere tutte le norme che riguardano i rapporti finanziari intergovernativi con il criterio direttivo di applicare i titoli della legge n. 42 che sono ancora validi ma inapplicati.
  Adesso, quindi, abbiamo anche il canale normativo – cioè questa nuova delega – che si è aperta proprio ora per 12 mesi con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.P.C.M. sul trasferimento delle funzioni, ai sensi del comma 92 del decreto-legge n. 56. Inoltre, a settembre vi è stato l'accordo Stato-città, ed il D.P.C.M. 26 settembre 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 12 novembre 2014.
  Sarebbe, quindi, molto interessante che la Commissione si esprimesse affinché chi lavora a questo nuovo esercizio di delega vada a ripescare e ricucire quanto della legge n. 42 è ancora buono per creare un quadro in cui tutti i problemi che mi sono permesso di portare alla vostra attenzione possano cominciare a essere affrontati.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi, mi sento di poter dire che, effettivamente, questa riapertura della delega offre lo strumento tecnico per riprendere e cercare di mettere a sistema tutta la materia di cui ci stiamo occupando. È fondamentale ricordare – come ho ribadito più volte – che tante scelte che sembrano tecniche, in realtà, hanno un'impostazione prettamente politica. Quindi, è necessario che chi nel Governo si occupa di questa vicenda riprenda decisamente in mano le redini e decida in quale direzione andare.
  Prossimamente, avremo il Ministro per gli affari regionali, la cui audizione abbiamo deciso di posticipare dopo la legge di stabilità, ma c’è anche il sottosegretario Bressa, che pure è venuto da noi e che a me sembrava quello più votato su questa materia. È, però, necessario dare un minimo di ordine.
  A questo proposito, faccio un esplicito riferimento alla vicenda delle capacità fiscali. Professore, anche questa Commissione è rientrata nel procedimento all'ultimo istante e quasi miracolosamente. Infatti, neppure questa Commissione era stata coinvolta, ma poi è stato fatto un emendamento all'ultimo minuto, anzi nei tempi supplementari, affinché ci fosse un parere parlamentare su scelte tecniche, ma in realtà molto politiche. Peraltro, non abbiamo più notizie di tutto ciò.
  Non mi sorprende, quindi, il fatto che la COPAFF o altri siano rimasti esclusi dall'ambito procedimento. È, però, altrettanto evidente che, nel momento in cui il 20 per cento del Fondo di solidarietà verrà ripartito, mancherà qualsiasi elemento di valutazione rispetto a come questo verrà.Pag. 9
  Chiuso questo discorso introduttivo, mi sembra che ci siano degli elementi molto rilevanti che meritano di essere ulteriormente approfonditi. Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA CECILIA GUERRA. Come Commissione, sentiamo un po’ di stanchezza nel riproporre gli stessi temi. Il professor Longobardi, che ringrazio per la sua disponibilità, ha mostrato consapevolezza del lavoro che abbiamo svolto, quindi è inutile che riproponiamo le stesse questioni. Tuttavia, vi è una difficoltà di tipo generale che è molto evidente, cioè abbiamo un quadro incerto e indefinito sotto il profilo sia delle entrate sia delle uscite.
  Oggi è stato spiegato bene che c’è anche un problema di governance dei rapporti interistituzionali. Pertanto, dovendo esprimerci su queste note metodologiche, dobbiamo considerare due aspetti. Il primo è quello di valutare come è stato fatto questo processo, cosa su cui farò alcune domande; il secondo è capire se questo sia il momento adatto per usarle per lo scopo per cui sono state elaborate.
  Credo che sia condiviso da tutti il fatto che l'operazione che è stata messa in piedi ha permesso di fare un enorme passo conoscitivo in avanti, per cui interrompere questo processo sarebbe la cosa più sbagliata dal punto di vista sia dell'uso delle risorse pubbliche sia per l'esito che stiamo cercando.
  Perciò, il tema che pongo è se sia possibile, in questo momento, un uso giusto anche per questo 20 per cento, ovvero nella direzione della perequazione e non della compensazione. Questo dell'uso è il punto cruciale perché, avendo uno scopo di perequazione, non può essere usato per la compensazione. Se, però, arriveremo al 31 dicembre 2014 con un cambiamento probabile – pare che lo decideranno venerdì in Consiglio dei ministri – delle capacità fiscali perché cambia il disegno delle imposte, con ritrasferimenti di risorse che erano state centralizzate e che vengono riportate com'erano, è ovvio che il tema della compensazione diventa cruciale. Anche se il modello di distribuzione delle risorse fosse radicalmente sbagliato, non si può intervenire da un secondo all'altro e in un quadro totalmente indefinito dal punto di vista costituzionale e anche della relazione fra governi decentrati, essendoci in ballo la questione delle province, per cui non si sa dove vanno a finire delle funzioni. Insomma, è un problema molto serio.
  Ora, siccome mi interessa molto la valutazione di una persona come lei, che è stato protagonista di questo processo con competenze particolari, le chiedo se non sia il caso di proporre un uso diverso che serve anche a validare meglio le procedure seguite. Penso a un uso tipo benchmarking, valutando anche il fatto positivo dell'aver messo a disposizione degli enti decentrati i dati. Capisco che c’è un rischio anche in questa proposta, perché c’è il pericolo che la cosa si areni per sempre.
  Personalmente, non ho un'idea precisa su questo, ma lo sto proponendo alla discussione comune. Vorrei, inoltre, fare qualche domanda sulla metodologia.
  Mi turba moltissimo la scelta fatta sulla questione dei servizi mancanti perché non riesco a capire qual è il modello. In sostanza, abbiamo un modello che, in assenza della definizione dei LEP, usa tutti gli strumenti possibili informativi e di stima econometrica a disposizione per spiegare la spesa. Tuttavia, a questo punto, se un ente non ha fatto gli asili nido, gli diciamo che sono fatti suoi, ma se non ha fatto i servizi per gli anziani non gli diciamo la stessa cosa. Insomma, non vedo una logica in questo. Non capisco la scelta di criteri diversi perché mi sembra particolarmente arbitraria.
  Lei ha spiegato in modo chiarissimo che si sono dovute compiere delle scelte discrezionali in un processo di governance tecnico-politica non proprio trasparente, anche se per necessità di cose. A ogni modo, si fa fatica a ricostruire questo percorso.
  Passo all'altra questione, di cui oggi non abbiamo parlato, ma che sto cercando Pag. 10di capire, avendo chiesto a tutti, senza, però, avere una risposta. Guardando la parte sociale, mi sembrerebbe di capire che sono state stimate spese diverse per diversi comuni. Infatti, per alcuni si è presa la spesa cosiddetta «lorda», quindi al lordo delle tariffe e delle entrate; per altri, la spesa netta; per altri ancora il dato è stato preso dal conto consuntivo, cioè l'integrazione con fonti esterne, tipo il conto consuntivo, è avvenuta quando non c'era coerenza tra il dato di spesa e i dati di input, di output e quant'altro. Questo è quanto ci hanno detto i tecnici SOSE. Ora, è vero ? Lo chiedo perché potrebbe avere delle conseguenze di validazione della stima che mi preoccupano.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Innanzitutto, vi ringrazio anch'io per questa audizione che mi è sembrato abbia portato un valore aggiunto rispetto alle precedenti.
  Dal punto di vista dell'utilizzo di questo strumento in una prospettiva futura, credo che l'introduzione della local tax e il percorso verso il quale mi pare ci si stia incamminando, ovvero addizionale IRPEF allo Stato e local tax che riguarda tutta tassazione locale, porti a dire che non ci sarà più un fondo come quello attuale di distribuzione tra i comuni perché anche il Fondo di solidarietà, probabilmente, assumerà una funzione diversa.
  Forse, bisognerà anche ripensare le modalità con cui i comuni devono essere solidali fra di loro perché non è più lo Stato che gestisce in prima persona, con fondi suoi, questo aspetto: quindi occorrerà ristudiare il meccanismo.
  Da questo punto di vista, è molto interessante quello che diceva la senatrice Guerra sulla possibilità di utilizzare questo strumento soprattutto come attività di confronto, ovvero come opportunità per i comuni di valutare, in prima persona, la propria attività e poi conseguentemente di prendere le proprie decisioni, dopo aver visto anche cosa fanno gli altri comuni. Questa è una considerazione di carattere generale che mi sembra sia emersa bene dall'audizione di questa mattina.
  Un'altra considerazione è rivolta al Presidente. Ho visto che nei verbali dei nostri incontri precedenti non sono stati riportati, come ho richiesto, i costi dell'operazione complessiva. Chiedo, quindi, quando sarà possibile avere queste informazioni perché è un tassello importante. Molti senatori mi hanno chiesto di avere notizie in tal senso.

  PRESIDENTE. La settimana scorsa abbiamo già scritto al Ministro. Peraltro, la questione era stata posta nell'ambito di un Ufficio di presidenza, non nella Commissione.

  GIOVANNI PAGLIA. Credo che, sotto molti aspetti, la sollecitazione più importante che è stata fatta oggi sia stata ricordarci che quello che stiamo affrontando è un tema sostanzialmente politico più che tecnico.
  È una sollecitazione che va bene che arrivi, altrimenti soprattutto per chi è poco avvezzo e sta affrontando per la prima volta in quest'anno la materia – cito me per primo – c’è il rischio di perdersi nell'inquadramento tecnico, mentre avere un disvelamento politico è spesso essenziale. Quindi, ringrazio di questa sollecitazione e parto da qui, per restare sul piano della politica.
  Prima di tutto, per quanto mi insegnavano all'università, penso che abbiamo mischiato troppi piani in questa vicenda. Uno Stato federale normale quando individua i livelli essenziali delle prestazioni li fa in proprio, non li delega a qualcun altro. Se lo Stato centrale decide che i cittadini italiani hanno diritto a scuole materne, asili e assistenza agli anziani in un certo livello, lo fa da sé, non impone ad altri livelli di amministrazione di farlo. Questo aspetto è sempre stato particolarmente sentito sulle scuole materne. In sostanza, si va a supporto su una cosa che, in teoria, competerebbe ed altri.
  Questo è un primo problema che continuiamo a rifiutarci di affrontare come tale e continuiamo, invece, a pensare di dover imporre funzioni ad altri, stabilendo quali sono i livelli minimi, dopodiché ci Pag. 11perdiamo nei fondi di perequazione. Non so se esistano altri Stati federali o presunti tali che agiscono in questo modo, ma non credo, anche perché – ripeto – mi insegnavano che non funziona così.
  Inoltre, c’è chi ha interpretato e continua a interpretare tutta questa vicenda non come una questione di assetto istituzionale dello Stato, ma come una sorta di spending review, per cui l'obiettivo di tutto è semplicemente eliminare presunti sprechi. Tuttavia, questa è una cosa abbastanza diversa da quella di cui, in teoria, dovremmo parlare perché è presunta.
  Capisco che il federalismo all'italiana sia nato dall'idea culturale che c'era una parte del Paese che sprecava e un'altra che era virtuosa. Sarebbe, però, ora di superarla perché continuiamo a inseguire l'idea che c’è chi spende troppo e deve tagliare e chi non spende troppo e deve tenere i soldi che produce.
  Questo ci porta all'ultimo loop che è quello per cui, in una fase di crisi profonda, anche oggi veniamo invitati a fare perequazione e non compensazione. Ebbene, sul piano politico credo che questo sia – lo dico chiaramente – impossibile.
  Del resto, anche quando si dice che ci saranno risorse proprie, come nel caso della local tax, ciò avviene sempre a fronte della china di un processo di tagli continui. In sostanza, non è che con la local tax l'ente arriva ad avere le risorse che aveva 10 anni fa. Si hanno, semmai, le risorse che si avevano l'anno scorso. Pertanto, pensare che in una fase in cui si è in difficoltà ovunque, si possa dire a qualche comune che gli arriveranno anche tagli verticali perché abbiamo cambiato, quindi c’è la perequazione e non più la compensazione, credo sia politicamente sostenibile, infatti non si fa.
  Questo, però, andrebbe riconosciuto politicamente, altrimenti con l'introduzione della local tax, come veniva giustamente accennato, credo che salti il meccanismo per cui la solidarietà diventa intercomunale e non più mediata dallo Stato, che fa solo da riscossore (dai comuni, non dai cittadini) e distributore.
  Infatti, anche rispetto al tema della solidarietà, una cosa è quando c’è un pezzo di imposta locale che viene prelevata dallo Stato che poi la ridistribuisce, un'altra è quando il comune si ritroverà a incamerare il 100 per cento delle proprie imposte e poi gli verrà chiesto, sulla base di parametri che nessuno conosce e capisce, di prendere il 5, il 10, il 30 o il 50 per cento di quelle risorse per destinarle a un'altra area del Paese.
  Questa cosa – non è presente il rappresentante del Governo, ma forse leggeranno i verbali o si ripeterà in altra sede – non tiene perché anche i comuni ricchi di questo Paese in questo momento hanno bisogno di risorse. Per cui, quando si andrà a dire ai propri cittadini che quelle risorse raccolte vengono drenate e messe da un'altra parte, politicamente non sarà sostenibile.

  FEDERICO D'INCÀ. Ringraziando il professor Longobardi per la presenza di questa mattina e per l'interessante audizione, vorrei, però, fare una domanda a lei Presidente.
  Oggi abbiamo avuto delle indicazioni su un lavoro fatto con il professor Cottarelli. Siccome più volte abbiamo cercato, come Gruppo del MoVimento 5 Stelle, di conoscere il contenuto dei 25 fascicoli del professor Cottarelli e non siamo mai riusciti ad avere l'apertura di questo segreto di Stato, o forse di Fatima, vorrei chiederle se lei è in grado, almeno per la parte riguardante questa Commissione e le variabili utilizzate nel tipo di analisi, di darci una valutazione di quel fascicolo che riguardava, appunto, i fabbisogni standard.
  Insomma, tranne nel caso in cui l'avessimo già visto e mi sono perso io un passaggio, le chiedo di intercedere nei confronti nel Governo.

  PRESIDENTE. Lo chiederemo senz'altro al Governo quando faremo l'audizione. Credo che del lavoro del commissario Cottarelli si sia perso qualcosa e si sia entrati in una situazione di confusione, come peraltro è accaduto per il resto.

Pag. 12

  STEFANO COLLINA. Credo che il richiamo alle responsabilità del livello politico vadano interpretate in questo senso. Dobbiamo fare le cose rigorose dal punto di vista metodologico e poi nell'applicazione essere eventualmente flessibili rispetto alla realtà da cui stiamo partendo.
  Mi sembra, invece, che la politica cerchi di essere flessibile dal punto di vista metodologico, ma poi non si sa come si va a finire in relazione agli obiettivi. Questo è il nostro problema di oggi.
  Sappiamo che il contesto è complicato e difficile e rispetto a questo dovremmo fare delle valutazioni, ma soprattutto tenere la barra dritta sul piano del rigore metodologico.
  Quello che siamo facendo contiene tutti questi obiettivi, sia la spending review, sia la definizione di un'omogeneità di fornitura dei servizi all'interno del nostro Paese, sia una rivalutazione delle funzioni degli enti locali. Questi sono gli obiettivi. Ci deve essere, però, una metodologia rigorosa che ci consente di valutare come ci si arriva.
  Dopodiché, nell'arco dell'anno esistono la primavera, l'estate, l'autunno e l'inverno, quindi rispetto a questo dobbiamo capire come approcciare il tema.
  La local tax va in questa direzione, ma dovrà avere un'applicazione che tenga conto delle condizioni in cui siamo oggi. D'altra parte, dal punto di vista metodologico, separare la fiscalità locale da quella nazionale è un fatto importante. Questo è un gioco al quale partecipiamo tutti. Non ci sottraiamo su questo perché siamo sì parlamentari che cercano di dare una forma allo Stato, ma proveniamo dai territori, quindi subiamo le sollecitazioni dei nostri comuni, della storia che ci portiamo dietro, delle regioni e così via.
  Faccio un esempio. Riguardo alla legge di stabilità, vedremo cosa succede al Senato in relazione al sacrificio che chiediamo alle regioni all'interno del percorso. Comunque, c’è stata una rivolta per un giorno, ma dopo ci si è messi a ragionare perché se guardiamo com’è organizzata la sanità, quanto è omogenea sul territorio nazionale e come sono fatti gli eventuali livelli essenziali delle prestazioni sanitarie distribuite sul nostro territorio nazionale, scopriamo che c’è un'organizzazione che in alcune parti è fatta in un modo e in altre in un altro (i numeri dei nosocomi non sono commensurabili, come i chilometri che un cittadino deve fare per trovare varie specialità e così via).
  Insomma, stiamo parlando di un obiettivo da raggiungere e attraverso delle valutazioni successive dobbiamo metterci su una strada costante che ci porti a raggiungerlo. L'idea che mi sono fatto in queste audizioni è che ci sia stata troppa interferenza politica sulla rigorosità del metodo perché già si vedeva quali conseguenze applicative ci sarebbero state nel metodo rigoroso. Allora perché dobbiamo cambiare il metodo ?
  Il metodo va tenuto. Come diceva, i tecnici fanno le loro proposte su come deve essere fatta una cosa, poi arriva la politica e decide il percorso applicativo, ovvero la progressione e la dinamica che deve portare a raggiungere determinati obiettivi.
  Faccio un ultimo esempio. Al Senato, stiamo affrontando il disegno di legge n. 1260 sulle scuole materne e sugli asili nido, proposto dalla senatrice Puglisi. In quel caso, stiamo introducendo il criterio base di una compartecipazione tra Stato, regioni e comuni a questi servizi. In sostanza, l'asilo nido non è più un'iniziativa facoltativa di un comune, ma si decide che è un elemento portante del percorso educativo che lo Stato italiano stabilisce di adottare.
  Dopodiché, siamo federalisti, non statalisti, quindi ragioniamo in questi termini. Allora, è evidente che il presentarsi della local tax e del criterio di separazione tra fiscalità centrale e quella locale pone anche il problema di pensare a come sia possibile inventarsi successivamente una legge sul servizio scolastico o educativo con una compartecipazione a vari livelli, dal momento che la scuola materna e i servizi per l'infanzia diventano istituzionali. In sostanza, chi paga quel servizio e in che modo, se decidiamo di separare le cose ?

Pag. 13

  PRESIDENTE. Vorrei fare una riflessione. Mi sembra di poter dire che quello che è stato fatto in questi anni è un processo che si basa sull'esperienza, quindi evidentemente anche su errori e sulla complicazione e la complessità della materia.
  Sicuramente, però, come era stato ribadito anche qui dall'allora Ministro Delrio, c'era la chiara consapevolezza e la volontà del punto di arrivo. Come ha detto anche lei, il sistema di perequazione della legge n. 42 è chiarissimo, tecnicamente funzionerebbe, quindi era un punto al quale si voleva arrivare. Ora, per arrivarci, la strada è tortuosa, complicata e difficile, fatta anche da errori. Invece, quello che dovrebbe essere definito adesso è se si vuole ancora arrivare a quell'obiettivo – atteso che la strada è sicuramente difficile – o si vuole andare da qualche altra parte. Infatti, se si vuole andare da qualche altra parte, siccome il processo è già complicato, bisogna girare a destra o a sinistra e riaggiornare i meccanismi.
  Sotto questo aspetto, condivido l'approccio del collega Paglia. Vogliamo fare o meno la perequazione ?
  La legge n. 42 nasce dalla consapevolezza abbastanza diffusa che il sistema di ripartizione delle risorse, basato originariamente sui decreti Stammati e successivi, non era equo, quindi si voleva fare un sistema di ripartizione o di perequazione che raggiungesse gli obiettivi di equità rispetto alla situazione esistente. Ora, si vuole fare ancora questo o si vuole fare in modo diverso ?
  La sollecitazione che arriva anche dall'ascoltare diversi esponenti del Governo che sono venuti in questa sede è che qualcuno deve delineare bene l'obiettivo finale. Recentemente, è venuto il Ministro Boschi, che ha detto molto chiaramente che il disegno federalista deve essere superato e che si deve tornare a un disegno regionalista più controllato. Ovviamente, non lo condivido, ma questo ha un suo senso politico.
  A questo punto, però, la legge n. 42 dovrà essere profondamente rivista, altrimenti continuiamo ad andare avanti su una strada, sulla quale già di per sé facciamo un'enorme fatica perché è in salita, tortuosa e pericolosa, andando verso un traguardo che qualcuno non concepisce più come tale.
  In conclusione, sul piano tecnico la legge n. 42 definiva compiutamente il traguardo dalla perequazione. Questo ha ancora un senso o no ? Se ha ancora un senso si va avanti. Magari, come suggerisce la collega Guerra, facciamo una pausa di riflessione, vediamo dove abbiamo sbagliato e quant'altro. Se, invece, quello non è più l'obiettivo, è chiaro che cambia radicalmente il tipo di impostazione.
  In appendice voglio dire che riguardo alla definizione delle capacità fiscali è stato fatto un grande lavoro, ma se viene fatta la local tax cambiano radicalmente i parametri fondamentali su cui sono state costruite. Come si fa, infatti, ad applicare la ripartizione del Fondo di solidarietà del 20 per cento, quando contestualmente si definisce un totale diverso ? Ecco, mi pongo questa domanda, anche se nessuno ha ancora la contezza esatta di come si costruirà.
  In definitiva, credo che l'esigenza fondamentale sia che la politica, in modo consapevole, riprenda in mano il volante di questa macchina. Dopodiché, deciderà dove andare. Insomma, in questo momento, ho l'impressione che siamo su un terreno scivoloso e incerto.

  DANIELE MARANTELLI. Professore, la ringrazio moltissimo perché credo che la sua relazione sarà utile per tutti noi e soprattutto i relatori. Non c’è la pretesa di avere da lei valutazioni che attengono al decisore politico, cioè al Governo. A questo riguardo, credo che l'audizione del Ministro per gli affari regionali che avremo nelle prossime settimane ci aiuterà a chiarire qualche domanda che ci stiamo ponendo. Tuttavia, non sprecherei la sua preziosa disponibilità e le rivolgerei due domande.
  La settimana scorsa ho visto un articolo sul Corriere della sera nel quale si chiedeva esplicitamente l'abolizione delle regioni. Il tema è negli ultimissimi giorni anche sulla Pag. 14stampa che conta. Ora, penso che dobbiamo sempre fare uno sforzo per stare ai fondamentali. Se non sbaglio, la sanità italiana è una delle migliori del mondo ed è gestita, pur tra mille complicazioni e comportamenti non sempre esemplari, dalle regioni. Ecco, dal suo osservatorio quale valutazione può dare di questa opinione che è ormai entrata nella letteratura diffusa ? Parlo, infatti, di un articolo impegnativo comparso sul Corriere della sera, non sul Corriere dei piccoli.
  Vengo alla seconda e ultima questione. Le domande puntuali che le ha rivolto la senatrice Guerra discendono dallo tsunami che è intervenuto nel 2011. La legge n. 42 è del 2009, ma nel 2011 con lo spread a 500 abbiamo visto di tutto.
  Ora, riguardo alla local tax, abbiamo l'esigenza di trovare una soluzione che faccia chiarezza sul problema che hanno i comuni e i cittadini e che credo sia condivisibile a invarianza fiscale. Siccome, però, siamo nel pieno di queste discussioni e circolano alcune bozze, chiedo una sua valutazione e un suo consiglio su questo punto, tenendo conto anche della valutazione molto condivisibile che ha fatto, cioè che dobbiamo puntare a superare questa logica della compensazione, se vogliamo provare a costruire una perequazione che sia condivisa e corretta.
  Ecco, qual è la valutazione, il consiglio e il suggerimento che può dare a una Commissione che – come diceva il Presidente Giorgetti – solo all'ultimo momento, per i capelli, ha avuto la possibilità di intervenire, seppure in forma consultiva, su un processo come quello di cui abbiamo discusso non solo oggi, ma nelle settimane scorse ?

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Longobardi per una breve replica.

  ERNESTO LONGOBARDI, Componente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). Comincio da una questione che è stata sollevata in molti interventi. In particolare, è stata la prima delle tre osservazioni della senatrice Guerra, la prima della senatrice Zanoni, la terza dell'onorevole Paglia ed è stata citata anche nell'ultimo intervento dell'onorevole Marantelli. Mi riferisco alla questione «perequazione o compensazione», ovvero che cosa fare subito e che cosa fare in connessione con l'introduzione della local tax.
  Non vorrei che la terminologia ci portasse fuori strada. Allora, qual è la differenza fra compensazione e perequazione ? C’è sempre la redistribuzione delle risorse tra i comuni, ma se la facciamo con l'ottica di compensazione il riferimento è allo status quo, cioè alla situazione dell'anno precedente, come si è fatto finora; se, invece, lo facciamo dal punto di vista della perequazione, si fa riferimento ai fabbisogni standard e alle capacità fiscali e non alla struttura storica.
  È chiaro, quindi, che c’è una scelta redistributiva, ma non è che sia neutrale. Continuare con la spesa storica, dopo averla criticata per anni, non è una scelta neutrale. Significa scegliere lo status quo, il che – ripeto – non è affatto neutrale. Se stiamo dando troppi soldi a persone che li usano male o i cui fabbisogni sono minori di quello hanno, non stiamo facendo scelte neutrali.
  Nella scelta dello status quo c’è una scelta redistributiva implicita. Da questi interventi posso cogliere la preoccupazione dell'impatto politico di cambiare troppo rapidamente lo status quo, ma questo si può gestire gradualmente. L'importante è imboccare la strada o, come osservava il Presidente, decidere se si vuole imboccare o se continuiamo a perpetuare la situazione che abbiamo da anni e che dagli anni Settanta vogliamo modificare, cioè dai primi decreti Stammati, senza riuscirci. Questa è una valutazione politica.
  La mia posizione è che ben venga un minimo di gradualità, ma la strada va imboccata subito. Su questo, vorrei fare un piccolo inciso rispetto all'osservazione del Presidente.
  Non credo che ci si debba preoccupare troppo per le modifiche che la local tax produrrà in termini di stima della capacità fiscale perché, grosso modo, essa coincide con l'imposta immobiliare, l'addizionale Pag. 15IRPEF e le imposte residuali. Ora, le imposte residuali rimango, anche se forse cambieranno nome, per cui la stima di tipo econometrico che è stata fatta rimane valida. L'imposta immobiliare cambia, ma solo fino a un certo punto perché la nuova imposta – da quello che si legge – sarà la TASI reincorporata nell'IMU. Inoltre, bisogna vedere se rimane l'addizionale IRPEF. Comunque, anche se non ci sarà, sarà un pezzo che se ne va, ma non cambia la metodologia. Pertanto, credo che le capacità fiscali che sono state stimate saranno facilmente aggiustate rispetto alla nuova situazione.
  In relazione alla seconda domanda della senatrice Guerra sui servizi mancanti, voglio dire che le sue osservazioni sono certamente giuste. Ho abbastanza chiaro il modello. In generale, bisogna lasciare autonomia al governo locale, cioè riconoscere un certo ammontare di fabbisogno, dopodiché ognuno farà le sue scelte (c’è chi deve andare incontro gli anziani, quello che ha più bambini e così via).
  Il federalismo fiscale è questo. Federalismo fiscale vuol dire lasciare che il governo locale possa meglio interpretare le differenze dei bisogni e delle esigenze a livello territoriale. Questo, però, viene meno dove ci sono i LEP.
  Così, questo si connette alla prima osservazione dell'onorevole Paglia, cioè se lo deve fare lo Stato o meno. Il modello italiano è molto chiaro. Lo Stato garantisce che, per i servizi che corrispondono ai diritti fondamentali di cittadinanza, ci siano prestazioni omogenee. Lascia che i servizi siano prodotti a livello locale, ma garantisce le risorse perché per i servizi coperti da LEP o funzioni fondamentali vi è la perequazione al 100 per cento.
  Quindi, il modello è chiaro. Lo Stato fissa i LEP e con legge disegna il sistema perequativo perché anche quella è materia riservata allo Stato dalla Costituzione. Dopodiché, la perequazione può essere verticale, orizzontale, gestita localmente e così via.
  Questo è il modello. Se si ritiene che questi debbano essere portati al centro, ovvero che i servizi debbano essere prodotti dal centro è un'altra scelta. Non è il modello italiano, ma è altrettanto legittimo perché sarebbe compatibile con un'altra visione federalista, nel senso che si lascia all'autonomia del governo locale, senza intromettersi, cioè senza fissare i LEP. Se, invece, si fissano i LEP, questi devono essere gestiti dallo Stato. Insomma, è una scelta.
  A me, il modello italiano non dispiace. Lo Stato centrale è garante, dal punto di vista dell'ordinamento giuridico, nel fissare i LEP e disegnare il sistema perequativo, quindi fornisce lo strumento della perequazione, ma il governo locale continua a erogare il servizio che è coperto dai LEP.
  È la stessa cosa dei servizi mancanti. Il modello è chiaro. Bisognerebbe lasciare il fabbisogno senza vincolo di destinazione dove non ci sono i LEP. Invece, dove ci sono, bisogna fissare i LEP, non c’è altro da fare. È vero che è stata fatta una scelta un po’ ambigua, ma, d'altra parte, mi chiedo cosa si poteva fare. Possiamo dare i soldi per l'asilo nido che usa Bologna o Reggio Emilia a Napoli, dove gli asili non ci sono ? In quel caso, si è guardato alla spesa storica, ma credo sia stata una scelta politica vincolata, che, peraltro, stiamo prendendo insieme, nel senso che la proposta che è stata fatta sta passando al vostro vaglio.
  In ogni caso, non vedo alternativa. Finché non ci sono i LEP, non credo che possiamo fare ridistribuzione togliendo i soldi alle città che hanno gli asili nido con i fiocchi, trasferendoli a città che non li hanno.
  Riguardo alla terza osservazione della senatrice Guerra circa le fonti informative, da quello che ho potuto seguire, dal momento che è stato un lavoro molto interno a SOSE e IFEL, in merito all'elaborazione dei questionari e così via, la base di partenza è stata per tutti quella dei certificati di consuntivo.
  Per quello che ho capito, dal punto di vista degli input informativi, la metodologia è omogenea da comune a comune. Si è partiti dai certificati di consuntivo; si è Pag. 16integrato con il questionario le variabili di tipo finanziario-contabile, là dove l'informazione non era sufficientemente dettagliata sul certificato di consuntivo, e si sono aggiunte le variabili extracontabili di tipo quantitativo ed economico. Non ho visto disomogeneità da comune a comune.
  Anzi, credo che la banca dati che è stata costruita sia stata fatta piuttosto bene. C’è stato un grosso lavoro per cercare gli outlier e le imperfezioni, con moltissimi filtri per controllare i questionari. Insomma, credo sia stata fatta bene. Probabilmente, il questionario può essere migliorato. So, infatti, che si sta lavorando a migliorarlo per la prossima tornata.
  Sono perfettamente d'accordo con l'osservazione dell'onorevole Paglia. Qual è la relazione con la spending review ? Questo è un tema molto delicato perché sensibile dal punto di vista politico. I fabbisogni standard che sono stati stimati in una logica di riparto, come possono essere impiegati, invece, a fini di efficientamento ?
  Ecco, a questo riguardo, il lavoro che è stato fatto nel gruppo della Commissione Cottarelli è interessante perché usa la stessa banca dati, ma propone una cosa sostanzialmente diversa. Peraltro, anche quel rapporto tiene a mantenere distinte le due cose.
  Anche dal punto di vista dell'immagine, credo sarebbe controproducente in tutta la fase di acquisizione dei risultati sbandierare ai comuni che stiamo facendo questo lavoro non a fini di tagli, bensì di coefficienti per poi usarli comunque a fini di tagli. Pertanto, credo che sia dal punto di vista politico e dell'immagine che da quello tecnico le cose vadano tenute distinte.
  Riguardo al rapporto della Commissione Cottarelli, credo che sia pubblico. Credo che Cottarelli lo abbia messo sul sito. Se non lo ha fatto, penso che non ci sia nessuna difficoltà ad averlo. A quanto mi risulta, del lavoro della Commissione Cottarelli c’è il programma iniziale, le slide di presentazione, il rapporto sulle partecipate e quest'altra cosa. Non so se c’è altro, tranne singoli documenti presentati ai rapporti di lavoro. A ogni modo, credo che il professor Cottarelli abbia trasmesso il rapporto del gruppo sui fabbisogni standard al Presidente del Consiglio. Forse è anche sul sito, ma – ripeto – credo che non ci sia nessuna difficoltà ad averlo.
  Il senatore Collina ha fatto osservazioni assolutamente condivisibili. Non credo, però, che ci sia stata troppa intrusione della politica. Non lo dico perché è l'istituzione a cui ho fatto riferimento in questi anni, ma credo che la funzione della COPAFF sia stata essenziale nel garantire un equilibrio perché l'ANCI aveva un certo tipo di esigenza, la SOSE altre e così via. Invece, penso che in COPAFF abbiamo cercato di mantenere un equilibrio che ci abbia messo in salvo da intrusioni politiche troppo forti.
  Ci sono, ovviamente, tutti i difetti che ha sottolineato la senatrice Guerra, ma li conduco, da una parte, al fatto che il modello istituzionale era del tipo che abbiamo descritto e discusso e, dall'altra, al fatto che mancano i LEP.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Longobardi per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.

Pag. 17

ALLEGATO

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24