XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 47 di Martedì 11 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Audizione del direttore di Rai Parlamento, Gianni Scipione Rossi:
Fico Roberto , Presidente ... 2 
Rossi Gianni Scipione , direttore di Rai Parlamento ... 2 
Pisicchio Pino (Misto)  ... 5 
Gasparri Maurizio  ... 6 
Airola Alberto  ... 7 
Ciampolillo Lello  ... 8 
Rampelli Fabio (FdI-AN)  ... 8 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 9 
Airola Alberto  ... 10 
Rossi Gianni Scipione , direttore di Rai Parlamento ... 10 
Fico Roberto , Presidente ... 12 
Rossi Gianni Scipione , direttore di Rai Parlamento ... 12 
Gasparri Maurizio  ... 13 
Rossi Gianni Scipione , direttore di Rai Parlamento ... 13 
Gasparri Maurizio  ... 13 
Rossi Gianni Scipione , direttore di Rai Parlamento ... 13 
Bonaiuti Paolo  ... 13 
Rossi Gianni Scipione , direttore di Rai Parlamento ... 13 
Ciampolillo Lello  ... 14 
Rossi Gianni Scipione , direttore di Rai Parlamento ... 15 
Ciampolillo Lello  ... 15 
Rossi Gianni Scipione , direttore di Rai Parlamento ... 15 
Airola Alberto  ... 16 
Fico Roberto , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore di Rai Parlamento, Gianni Scipione Rossi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore di Rai Parlamento, Gianni Scipione Rossi, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Il dottor Rossi riferirà sullo schema di regolamento predisposto dall'AGCOM in materia di tutela del pluralismo, di comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi di informazione nei periodi non elettorali.
  La Commissione è inoltre interessata a conoscere le valutazioni del direttore sul progetto di riposizionamento dell'offerta informativa della Rai nel nuovo mercato digitale elaborato dal direttore generale Gubitosi e illustrato alla Commissione nella seduta dello scorso 23 settembre.
  Do, quindi, la parola al dottor Rossi, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  GIANNI SCIPIONE ROSSI, direttore di Rai Parlamento. Presidente e onorevoli commissari, desidero anzitutto ringraziarvi per l'opportunità che mi viene offerta con questa audizione, che ha per oggetto il pluralismo dell'informazione e le possibili prospettive di riforma delle disposizioni sulla par condicio. Si tratta di temi che non posso non affrontare da un angolo visuale molto particolare, alla luce della mia lunga esperienza alla guida di una testata tematica qual è Rai Parlamento, chiamata, tra l'altro, a gestire in periodo elettorale trasmissioni di comunicazione politica e in periodo non elettorale, oltre alla comunicazione politica, l'informazione parlamentare.
  Consentitemi un passo indietro per ricordare la genesi di Rai Parlamento. La testata radiotelevisiva è infatti frutto di un processo di razionalizzazione dell'offerta informativa della Rai, avvenuto vent'anni fa, quando furono opportunamente accorpate le competenze in precedenza attribuite a tre direzioni: la tribuna politica, il servizio parlamentare e i programmi per l'accesso. La creazione della testata unificata ha determinato evidenti efficienze gestionali, garantendo continuità operativa al personale, in precedenza impiegato in modo discontinuo, senza perdere le caratteristiche di estrema specializzazione.
  Quando più di tre anni fa ho assunto formalmente la direzione di Rai Parlamento, dopo un lungo periodo di mia gestione interinale, ho ritenuto necessario, peraltro nel quadro della missione assegnatami dal consiglio di amministrazione, chiarire nel piano editoriale il senso della nostra specificità e della delicatezza del nostro lavoro. Ebbi a chiarire che sia nell'informazione parlamentare sia nella gestione della comunicazione politica in Pag. 3sede elettorale, Rai Parlamento è una testata di garanzia e come tale deve operare in ogni suo momento produttivo. Aggiunsi che, se essere giornalista del servizio pubblico radiotelevisivo impone una quota di responsabilità professionale, secondo me superiore alla deontologia che dovrebbe guidare il lavoro di ogni giornalista, essere giornalista di Rai Parlamento comporta una responsabilità aggiuntiva. Questo perché la nostra missione principale è raccontare i lavori del Parlamento, cioè dell'istituzione cui la Costituzione affida la rappresentanza della volontà popolare. Chiarii che lo dobbiamo fare con rigore, obiettività e completezza. Dobbiamo farlo stando ai fatti e non a opinioni, pur senza trasformarci in grigi burocrati dell'informazione. Essere rigorosi e completi non può soltanto volere dire usare il bilancino del farmacista. Vuol dire rappresentare le anime della politica presenti in Parlamento, per il contributo che ciascuna dà al processo formativo delle leggi e al dibattito che lo accompagna. Ritengo onestamente che, grazie a una redazione motivata e competente, l'obiettivo sia stato raggiunto. Lo deduco anche dall'assenza in tutti questi anni di critiche, sempre legittime, al nostro lavoro.
  Ricordo in sintesi l'offerta informativa di Rai Parlamento: i tre notiziari in onda sulle reti generaliste dal lunedì al venerdì, salvo edizioni straordinarie; le due rubriche di approfondimento tematico del sabato, Settegiorni su Rai 1 e Punto Europa su Rai 2; le dirette dal Parlamento, gli speciali e i question-time; le tribune elettorali; le tribune tematiche, qualora fossero disposte dalla Commissione parlamentare, e i programmi dell'accesso nazionale, anch'essi disposti dalla Commissione. Aggiungo che la testata si avvale, quando necessario, del contributo del TGR e, per l'informazione sull'attività del Parlamento europeo – questa è una novità rispetto agli anni scorsi – dei corrispondenti Rai da Bruxelles. La testata svolge, inoltre, un ruolo di service nei confronti delle testate generaliste, fornendo, quando richiesti, contributi sui lavori parlamentari. Tutto questo è garantito da un organico in lieve carenza, composto, me compreso, da 37 giornalisti, due dei quali vicedirettori, quattro programmisti-registi (siamo un'anomalia tra le testate) e venti amministrativi, quasi tutti a tempo indeterminato: tengo a dire che prima della mia direzione i vicedirettori erano cinque, decisamente troppi. Come è evidente, alcune produzioni sono strettamente informative, realizzate con criterio giornalistico, mentre in altre il criterio giornalistico è, per così dire, depotenziato o addirittura assente, come nel caso dei programmi per l'accesso.
  Veniamo al pluralismo e alla par condicio. L'ipotesi di una regolamentazione normativa del pluralismo in periodo non elettorale mi trova francamente contrario. Non ne capisco il senso, neppure per una testata specializzata come Rai Parlamento. Ciò finirebbe per sconvolgere il prodotto informazione, eliminando il principio aureo della gerarchia della notizia: tutto diventerebbe burocratico e nella sostanza si annullerebbe il diritto del cittadino a un'informazione certamente pluralista, ma anche attinente ai fatti.
  Non la penso così sulla comunicazione politica, non solo in periodo elettorale, pur condividendo le preoccupazioni sulla rigidità della par condicio, espressa dai colleghi direttori delle testate generaliste, che in periodo elettorale spesso conduce al paradosso. Questa è una verità difficilmente contestabile. So bene che la comunicazione politica non gode di buona stampa. Provo ad articolare il tema.
  Per quanto riguarda le dirette dei lavori parlamentari, non credo sia ininfluente in una democrazia consentire ai cittadini di seguire in diretta, in particolari situazioni, i lavori parlamentari. Quando si lamentano ascolti marginali, di solito si omette di evidenziare che molto dipende dal tema al centro del dibattito parlamentare, dalla durata degli interventi e anche dalla notorietà dei protagonisti. Si dimentica anche che Rai non può scegliere i lavori parlamentari da seguire in diretta televisiva, ma si attiene alla decisione delle conferenze dei capigruppo, assunte naturalmente con criterio politico e non giornalistico. Pag. 4Da tempo sono in corso colloqui tra Rai e Parlamento per individuare formule più rispondenti alle logiche del prodotto televisivo. Nel caso dei dibattiti su mozioni di fiducia o voti finali, si dovrebbe quantomeno limitare i tempi a disposizione e consentire che la diretta si chiuda con la proclamazione del voto. Noi viviamo da sempre il paradosso che c’è un dibattito che non si sa come vada a finire, che è il contrario di ciò che dovrebbe avvenire, anche nel caso di una trasmissione di comunicazione politica e con una scarsa mediazione giornalistica. Infatti, l'intervento del cronista è praticamente di presentazione e di chiusura, salvo incidenti, che peraltro rientrano nel normale lavoro di un cronista; non si sa in realtà come è finito il dibattito. Sapete bene che questo dipende dagli interventi a titolo personale. Il caso dei question-time è ancora più complesso: non vi è nulla di più distante da un prodotto televisivo delle attuali formule, peraltro diverse, contenute nei Regolamenti di Camera e Senato. Anche il premier Renzi nei giorni scorsi ha risposto alla sollecitazione della Presidente della Camera, che, come è successo con tanti altri premier e con tanti altri Presidenti di Camera o di Senato, ha lamentato la sua assenza al question-time. Egli ha risposto dicendo di cambiare formula. È una cosa che ricordo di aver suggerito al Presidente del Senato Mancino: è passato qualche anno, il tema è sentito, ma riguarda appunto i Regolamenti parlamentari. So che non tocca alla Commissione di vigilanza intervenire in questa materia, ma forse dalla Commissione può nascere uno stimolo alla revisione dei Regolamenti. Il modello del question-time non può che essere, anche televisivamente, quello del Parlamento britannico. Senza interventi correttivi, è ben difficile che queste produzioni possano trovare l'interesse di un pubblico più vasto dell'attuale, in sostanza tradendo il condivisibile obiettivo di trasparenza dei lavori parlamentari e talvolta addirittura rischiando di alimentare il distacco dei cittadini dalle istituzioni. Un'aula deserta durante il question-time fa una pessima impressione, anche se è nostra cura ricordare che sono contemporaneamente in corso i lavori delle Commissioni. Nessuno più di me, che faccio questo mestiere da tanti anni, sa che non è vero che il Parlamento non lavora, ma ho difficoltà a dirlo ai cittadini e mi dispiace essere costretto a trasmettere aule vuote.
  Fanno eccezione a questa situazione di scarso interesse e di scarsa rispondenza, che varia in base al tema e alle ore di collocazione, i grandi eventi, quali crisi di Governo, elezioni di presidenti delle Camere o del Presidente della Repubblica, oppure eventi totalmente straordinari, come il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia o la visita del Papa in Parlamento. In quest'ultimo caso – parlo di tanti anni fa – gli ascoltatori su Rai 1 di mattina furono 2,5 milioni. Per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia ci furono 2,6 milioni di spettatori nel pomeriggio. Si tratta di eventi straordinari. Penso che occorra regolare gli interventi ordinari.
  Per quanto riguarda la comunicazione politica in periodo elettorale, si è detto da più parti che le tribune elettorali hanno fatto il loro tempo, che non fanno ascolti e che non hanno più senso dopo la nascita di altre formule di giornalismo politico televisivo. Conoscete i dati: per quanto riguarda le elezioni europee sono stati ricordati in questa sede dal presidente Cardani. Più significativi sarebbero stati i dati relativi alle elezioni politiche del 2013, quando nella serata finale, con i leader, toccammo su Rai 2 (non su Rai 1) i 2 milioni di ascoltatori, con il 7,5 per cento di share, peraltro con una collocazione che presupponeva nel primo quarto d'ora la contrapposizione con Striscia la notizia. Comunque i dati vanno sempre interpretati, dipendono dalla rigidità dal regolamento, che a sua volta dipende dalla legge elettorale, dai protagonisti e dalla collocazione nei palinsesti. Mi sentirei di essere cauto sul futuro, alla luce della crisi attuale dei talk show. In ogni caso, è evidente che si tratta di prodotti totalmente diversi. Credo tuttavia che qualche correzione sia necessaria. È sbagliato, a mio parere, chiedere ai talk show di attenersi Pag. 5in periodo elettorale alle medesime regole delle tribune: altrimenti tutto è tribuna. Dovrebbero poter rispettare formule più flessibili. Quanto alle tribune in senso stretto, credo che una limitazione degli aventi diritto alle liste presenti in circoscrizioni che contino almeno i due terzi degli elettori consentirebbe di concentrare l'offerta informativa su soggetti realmente rappresentativi. L'esperienza insegna che non basta apparire in televisione per raggiungere quote di consenso superiori allo 0,1 per cento, come è capitato molto spesso. Totalmente superato mi sembra, inoltre, il tema dei messaggi autogestiti, una formula decisamente inefficace. Forse basterebbero spazi di spot fatti in forma di comunicazione propria, invece di messaggi da tre minuti accorpati in pacchetti che, onestamente, non guarda nessuno. È evidente che la riscoperta del faccia a faccia tra leader garantirebbe maggiore ascolto, ma questo dipende dalle scelte autonome e sovrane della politica, un'autonomia e una sovranità che riconosco e rispetto.
  Concludo con un'ultima annotazione sui programmi dell'accesso. Non c’è dubbio che il diritto all'accesso a domanda alla televisione e alla radio nel 1975 avesse un sapore rivoluzionario, oggi perduto. La moltiplicazione dei canali ha aumentato in modo esponenziale la possibilità di comunicare, anche da parte del mondo del no profit. Come giornalista, mi spiace scegliere che cosa raccontare, ma mi rendo conto che è molto difficile, quasi impossibile, per il servizio pubblico rappresentare le migliaia di realtà che operano sui territori. Devono sperare di essere scoperte, ma possono anche non essere scoperte mai. Non mi pare scandaloso che questa opportunità venga preservata. Credo anche che con la Commissione si possano condividere modifiche regolamentari che sollevino le associazioni da incombenze burocratiche oggettivamente complesse.

  PINO PISICCHIO. Grazie direttore, per la sua puntuale comunicazione. C’è un passaggio nel suo incipit che io ho apprezzato e su cui vorrei tornare. Lei ha detto «Siamo una testata di garanzia», nel senso che la funzione primaria che si addice a Rai Parlamento è quella di svolgere questo ruolo per cui la testata si distingue dalle altre, all'interno di quella summa divisio che va fatta tra dimensione della comunicazione e dimensione dell'informazione.
  Qui siamo nella dimensione dell'informazione «pura», perché di fatto questo strumento è messo a disposizione delle assemblee rappresentative più alte, ovvero la Camera e, fintanto che ci sarà, il Senato. Questo strumento (so con quale spirito il direttore l'ha affermato) non tiene molto in conto la dimensione all’audience. In realtà, c’è pochissimo appealing nel question-time di Pisicchio (parlo di me, così non offendiamo nessuno) in quell'orario, peraltro, particolarmente gradito alle massaie che pranzano in orario settentrionale e che, dopo aver fatto il pisolino, magari si prendono uno spazio di colloquio con la televisione.
  Non è l’audience che andiamo cercando, ma il servizio che va realizzato con riferimento a questa alta funzione, che deve essere svolta, di connessione tra corpo elettorale, ovvero opinione pubblica, e attività parlamentare. Con riferimento a ciò, dobbiamo dire che la sua testata è quella che si trova con maggiori sofferenze, perché non ha una dimensione d'uscita istituzionale, ma viaggia attraverso le altre testate generaliste, peraltro con una squadra di giornalisti sottoposta a un passaggio di spending review piuttosto intenso. Come lei diceva, i 37 giornalisti devono attendere a un lavoro piuttosto complicato, che è quello di dare informazione su tutta l'attività parlamentare, da quella d'Aula a quella delle Commissioni.
  A me risulta che anche il processo di digitalizzazione per quanto riguarda la sua testata sia un po’ in affanno, nel senso che gli strumenti con i quali si esprime sono ancora poco perfezionati: vorrei che lei lo confermasse o lo smentisse e lo valutasse e che ci facesse intendere che tipo di riverbero ha tutto ciò sulla qualità dell'informazione.Pag. 6
  Sul pluralismo lei ha risposto. Ci stiamo facendo un'opinione su questa bizzarra modalità di esprimere il concetto della par condicio. Sostanzialmente abbiamo attraversato e in parte condiviso le sue considerazioni. Non c’è un bilancino, tuttavia c’è anche una difficoltà di governo di questa dimensione.
  C’è una domanda che vorrei porle. Forse non ho colto il passaggio. Davanti al progetto di ristrutturazione e di riforma dell'informazione in atto, che è stato annunciato e anche esplicato con dovizia di slide da parte del direttore Gubitosi, che succede per la testata da lei diretta ? Come valutate complessivamente questa operazione di sintesi robusta che si immagina di fare ? Che dimensioni espressive troverà la testata di Rai Parlamento ?

  MAURIZIO GASPARRI. Mi unisco alla considerazione finale dell'onorevole Pisicchio. In questa riorganizzazione, dove va questa testata, che offre un servizio trasversale, rispetto alla Rai ? Può darsi che lei non lo sappia, perché il progetto ancora deve essere definito.
  Faccio solo un'osservazione. Nelle discussioni che hanno riguardato il Contratto di servizio era affiorata l'idea di fare un canale specializzato sull'informazione di servizio istituzionale, approfittando dell'opportunità che il digitale, con la moltiplicazione dei canali, ha determinato, di cui molti tardivamente si sono resi conto. In varie discussioni ho detto che andrebbe bene come fatto aggiuntivo o in sostituzione del canale satellitare che oggi diffonde integralmente i servizi d'Aula, che comunque c’è, ma è una cosa diversa dall'informazione che fate voi. Quella è una sorta di telecamera fissata sulle aule di Camera e Senato. Anche quello è un servizio importante, ma relativo. Lei cosa ne direbbe invece di un canale che assorbisse tutto questo tipo di informazione parlamentare e istituzionale, intesi anche i servizi, i dibattiti e le cose di cui stiamo parlando qui ? Ridurrebbe la visibilità o no ? Secondo la sua esperienza, oramai non breve, ci sarebbe una corsa di spettatori verso questo canale, che non trasmettesse soltanto, come un monoscopio, uno di noi che si alza e un altro che risponde, che – me ne rendo conto – dal punto di vista scenografico attira poco, bensì tutto il prodotto che voi fate ?
  La mia opinione, che ho già espresso in Commissione, è che la permanenza nei canali generalisti, a volte di mattina presto o a notte fonda, garantisca una maggiore fruizione del pubblico rispetto a una sorta di canale ghetto dell'informazione politico-istituzionale.
  Credo che nel Contratto di servizio abbiamo anche introdotto diverse precisazioni. Altrimenti avremmo fatto un favore all'azienda. Forse confinare su un canale tematico istituzionale tale programmazione e liberare spazio per telefilm, giochini, e isole per la Rai sarebbe un vantaggio, ma in fondo il servizio pubblico esiste anche perché deve dare un'informazione giornalistica, non con un modello statuario.
  C’è un'altra osservazione, che faccio invece per la prima volta. Non sarebbe meglio, a suo avviso, se il question-time si trasferisse in un contesto diverso, anziché riproporre l'immagine delle aule di Camera e Senato vuote ? Ciò è inevitabile, perché ci sono altri lavori parlamentari o perché la domanda e la risposta interessano chi pone la domanda, il Governo che deve rispondere e probabilmente qualche spettatore che vuole informarsi su quella singola materia. Il parlamentare che non pone la domanda e che deve andare lì a fare il pubblico, può darsi che in quella fase va in una Commissione, incontra una delegazione di cittadini o fa un'altra cosa più utile per il suo mandato rispetto a fare numero, non essendoci una votazione che lo coinvolge. Tuttavia, la gente a casa non lo sa e pensa: «Questi sono degli sfaticati che non fanno nulla». Potremmo proporre una diversa location. Si potrebbe scegliere una di queste aule, in cui verrebbero i membri del Governo e quei venti parlamentari che partecipano al question-time. Noi continuiamo con questo rito suicida di offrire un'immagine che la gente da casa non capisce, pensando che noi non ci siamo. Io non ho mai assistito a un Pag. 7question-time che non mi vedesse coinvolto. Lo confesso. Non credo di essere uno che svolge poco il suo impegno politico-istituzionale. Come valuterebbe la scelta di una diversa location da direttore televisivo ? È chiaro che la valutazione spetta al Parlamento e mi riservo di proporla, perché mi pare che sia tempo di farlo.

  ALBERTO AIROLA. Come Movimento 5 Stelle abbiamo apprezzato il lavoro di Rai Parlamento, anzi ne chiederemmo un incremento, nel trend esattamente opposto a quello che questa riforma dell'informazione mi pare seguire.
  Rispondo io al collega. Non li digitalizzeranno. Questi signori si trovano attualmente in forte difetto di concorrenza rispetto ad altri colleghi e ad altre testate, che hanno invece mezzi molto più rapidi, adeguati e moderni.
  Hanno mezzi ormai realmente obsoleti, come le cassette Betacam, per cui il giornalista fa il servizio, va in studio, lo monta e dopo un'ora e mezza, se va bene, a seconda delle situazioni, va in onda. Questo, secondo noi, è già un primo segno di prossima distruzione di Rai Parlamento dal punto di vista del direttore generale. Peraltro, non sappiamo neanche in quale Newsroom verrete inseriti, per non dire disciolti. Sono state tagliate edizioni, peraltro nelle fasce di orario che mi sembravano migliori dal punto di vista dell’audience. Sono d'accordo che non sia lo share ciò che Rai Parlamento deve inseguire, anzi. Cercherei di mettere addirittura nell'ambito dei TG o in coda a fasce orarie di ampio share le informazioni parlamentari. Peraltro, si tratta di un'attività giornalistica estremamente specializzata, che solo i giornalisti che se ne occupano da anni sanno svolgere con efficienza. La paura è quella di perdere competenze, con una Rai che le valorizza sempre meno: questa è la nostra sensazione.
  La critica che posso fare è che su Rai Parlamento – questo lo dovete fare voi e non l'altro sistema informativo, quali i telegiornali – si dovrebbe cercare di usare un linguaggio certamente tecnico, ma più divulgativo.
  Il collega Gasparri parlava del canale. Ci fermammo, perché, a parte la mancanza di risorse, avevamo il timore di relegare l'informazione istituzionale su un canale che sarebbe diventato ad esempio il 148, un numero che sul telecomando non si farà mai. Si sarebbe persa anche quella piccola informazione che riesce a passare, magari mentre si è distratti. È noioso seguire certi lavori parlamentari, ma chi ci dice che questo ai cittadini non interessa o che deve essere sempre imbellettato ? Si deve usare un linguaggio più divulgativo.
  La richiesta che avevamo fatto era quella di aggiungere all'attività di Rai Parlamento sui TG e sui canali convenzionali un canale specifico di divulgazione di una sorta di educazione civica, di cui, però, si dovrebbero occupare coloro che arrivano da Rai Parlamento e non altri. Se si devono fare sintesi dei lavori parlamentari, bisogna averli ben chiari, per poterli spiegare ai cittadini italiani. Non lo può fare un altro che è esperto solo nella divulgazione. Questa idea è un po’ scemata, viste le difficoltà.
  Anch'io le chiedo se lei ha informazioni riguardo al futuro di questa riforma e alla possibilità che questa competenza venga persa, perché non ne sappiamo nulla. Lo trovo gravissimo. Neanche dopo l'audizione del direttore Gubitosi sappiamo dove realmente vogliamo arrivare.
  Nell'ambito della par condicio, in questa Commissione stiamo portando avanti delle discussioni su quali siano gli strumenti adatti per garantire il pluralismo e l'equilibrio dell'informazione. Non è semplice. È vero che i bilancini fanno paura, perché sono strumenti assolutamente inadeguati – lo condividiamo – ma nello scenario dell'informazione pubblica non ci sono tanti altri strumenti, se non la lottizzazione, che peraltro attualmente non è adeguata alla rappresentanza parlamentare: c’è uno iato, una differenza fra la configurazione Rai e la configurazione del Paese. Oggi non ci sono Peluffo e Margiotta, quindi non mi possono dire che voglio lottizzare. Ribadisco che c’è un Pag. 8vulnus nell'informazione. Mi riferisco al modello proposto precedentemente. Noi ne vorremmo un altro, ma dubito che riusciremmo a realizzarlo, questa è una mia impressione, soprattutto dopo la ventiseiesima fiducia dubito che ci sarà un dibattito parlamentare...me lo auguro.
  Anch'io le chiedo, se le ha, tutte le informazioni possibili. Da parte nostra, cercheremo di salvare quanto più possibile la vostra competenza e le vostre risorse, chiedendo che vengano adeguate, sperando anche in un'intensificazione delle edizioni durante il giorno.
  Io non mi preoccupo che gli italiani che guardano La vita in diretta a un certo punto si trovino i vostri programmi, anzi ne sono ben contento.

  LELLO CIAMPOLILLO. Ho una domanda brevissima di cui ci occupammo già l'anno scorso. Vorrei capire se la copertura di Rai Parlamento, che ha una sua rete che diffonde in modulazione di frequenza sul servizio radiofonico, è sufficiente: abbiamo bisogno di questo dato molto importante. Vorremo sapere quale percentuale di territorio e quale percentuale di abitanti riesce a coprire Rai Parlamento in FM, visto che ha un certo costo, anche perché ha impianti molto grandi. Ad esempio, a Bari c’è un impianto di 12.000 watt acceso 24 ore su 24. un dato che moltiplicato per tutti gli impianti d'Italia, fa risultare impianti energivori. Vorremmo capire, a fronte di questa spesa, qual è la copertura del territorio e della popolazione.

  FABIO RAMPELLI. Anch'io ringrazio il direttore per questa visita, per la sua relazione e per il lavoro che svolge, che, come lui giustamente sottolineava, apparentemente è più semplice rispetto agli altri, ma invece è molto spigoloso e richiede una grandissima sensibilità e una grandissima preparazione, non soltanto di carattere professionale (mi permetto di aggiungerlo).
  Non so come si possa riuscire a venire incontro alle segnalazioni fatte dal direttore rispetto allo scarso appeal che si manifesta nel momento in cui il Parlamento va in onda, senza filtri, senza trucco e senza inganno, per come è e per come si manifesta. Questo vale soprattutto per il question-time, che apparentemente è un lavoro proficuo, perché si interroga in diretta tv il Governo su fatti specifici e si hanno delle risposte in tempo reale. Dovrebbe essere l'apoteosi della partecipazione da parte dei cittadini, che possono osservare quel che accade e anche farsi una ragione delle materie concrete che affrontiamo e che li riguardano. Penso che forse gli Uffici di presidenza di Camera e Senato potrebbero provare a fare una riflessione aggiuntiva, magari seguendo i suggerimenti poc'anzi manifestati dal senatore Gasparri.
  Immagino che anche dal punto di vista del dispendio di energie e di risorse, diretto o indiretto, per trasmissioni che vengono scavalcate per dare accesso a quest'altro tipo di resoconto, ci sia comunque un'esposizione, che da parte del servizio pubblico dovrebbe essere remunerativa e avere un ritorno positivo. Se così non è, sarebbe opportuno lavorarci su, non fosse altro che per ragioni di immagine, anche se non so come sia l'andamento in termini di audience del question-time in particolare. Magari può dircelo il direttore. Sebbene si tratti di un lavoro che non riguarda la Commissione in quanto tale, essa potrebbe però segnalare al Parlamento questa parziale anomalia, con il corredo di possibilità migliorative che autonomamente le presidenze di Camera e Senato possono provare a mettere in campo.
  Rispetto ai ragionamenti effettuati sulla par condicio, ho già avuto modo di manifestare in precedenti audizioni il mio parere. Ho ritenuto che, per quanto la par condicio sia una forzatura anche fastidiosa, soprattutto per chi la deve gestire e subire dall'alto della sua professionalità, costituisce comunque uno straccio di garanzia di diritto di tribuna per tutti, parzialmente prescrittivo, che funziona, non sempre e non totalmente, nelle campagne elettorali.Pag. 9
  Pur non esistendo la medesima norma al di fuori delle campagne elettorali, è come se rimanesse una traccia di questo passaggio, inducendo o ammonendo i direttori dei telegiornali a mantenere un equilibrio, il quale non sempre si manifesta, come abbiamo avuto modo di commentare già nelle tornate precedenti. Ribadisco però che in assenza dello scudo rappresentato dalla par condicio affidarsi completamente ai direttori di testate, alla loro sensibilità individuale e alla loro professionalità mi sembra un azzardo. Peraltro, non si può far finta che i direttori di testata siano lì solo e soltanto (sicuramente questa parte esiste) per propri meriti personali e per la specchiata carriera che hanno avuto la possibilità di percorrere. La Rai – non è un mistero – ha una sua governance, che ha una selezione di carattere politico-partitico. Il Parlamento fa la scelta del consiglio d'amministrazione e quindi a cascata i direttori vengono scelti, non esclusivamente, ma anche per criteri di carattere politico-partitico. Se ne deduce che la questione della garanzia del diritto d'accesso per tutte le forze politiche, in rispetto del pluralismo nella comunicazione politica e nell'informazione in genere, debba avere regole maggiormente garantiste rispetto all'arbitrio o alla soggettività di ciascuno.
  Venendo a Rai Parlamento, mi pare che ci sia, soprattutto in alcune rubriche, un maggiore equilibrio, almeno per quanto riguarda Fratelli d'Italia e Alleanza Nazionale, rispetto ad altre testate che sono venute in audizione rappresentate dai direttori in persona, per cui ho avuto modo di manifestare la mia insoddisfazione con tabelle a corollario. Insieme alla presidente del mio partito, Giorgia Meloni, ho presentato anche un esposto ad AGCOM. Dopo aver più volte fatto presente, con eleganza e con educazione, questa anomalia, non avendo ricevuto risposte, abbiamo dovuto per forza accedere allo strumento di garanzia dei propri diritti. Penso che questo sia dovuto sicuramente – altrimenti le cose andrebbero diversamente – da un lato, a un contributo soggettivo, a una sensibilità, a un'attenzione e a una capacità da parte del direttore che oggi ci fa compagnia e, dall'altro, alla natura del vostro servizio. Infatti, se si volesse oscurare una forza politica, lo si potrebbe fare in un telegiornale generalista che parla di tutto, ma è difficile poterlo fare a Rai Parlamento, perché altrimenti ci sarebbe davvero una sorta di accanimento terapeutico. Pertanto, constato che una serie di circostanze e condizioni ambientali mettono Rai Parlamento nelle condizioni di essere decisamente più obiettivo rispetto agli altri. Tuttavia, non lascio cadere il commento finale: se esiste una quota di presenza, di tempo-parola o di tempo-antenna in Rai Parlamento di una certa natura, ben superiore rispetto alle altre, significa che Fratelli d'Italia, Alleanza nazionale e le altre forze politiche presenti che non si sono lamentate lavorano. Pertanto, la scusa che una determinata presenza non sarebbe all'altezza, semplicemente perché sarebbe assente il lavoro o la notiziabilità del lavoro, si perde nel porto delle nebbie delle valutazioni soggettive.
  Ringrazio il direttore del suo lavoro. Come ho già detto in altre circostanze, spero che la par condicio non venga abolita o, nel caso in cui dovesse accadere questo, che al suo posto prenda il sopravvento un regolamento magari più flessibile, ma egualmente rispettoso dei diritti delle opposizioni e soprattutto dei movimenti politici di nuova costituzione.

  GIORGIO LAINATI. Ho apprezzato il discorso introduttivo del direttore Scipione Rossi. Ci confrontiamo da anni con lui e con i colleghi della vigilanza sugli spazi che dovrebbe avere e non ha Rai Parlamento. In particolare, mi riferisco ai telegiornali di Rai Parlamento, che difficilmente possono essere seguiti da telespettatori fedelissimi, perché non si sa bene a che ora vanno in onda, a differenza degli altri telegiornali di rete. Infatti, oltre a essere ospitati sulle reti generaliste, vengono ospitati in terza serata, se non quarta, o in altri orari estremamente improbabili. Il senatore Gasparri mi dice che vanno in onda anche in quinta serata. In Pag. 10effetti, delle volte è accaduto che andassero in onda dopo l'una di notte. Quello della programmazione oraria è un problema che abbiamo analizzato tante volte, ma ovviamente non è stato risolto e temo che non lo sarà mai, perché si tratta di una questione che dipende dai vertici aziendali e crea un inevitabile contrapposizione, anche se non voluta, con gli altri telegiornali delle reti generaliste.
  Lei può darci una risposta sulla valutazione generale che le veniva fatta sotto forma di domanda anche da altri colleghi. Nell'ipotesi di queste newsroom, dove andrà a finire Rai Parlamento ? Quale spazio potrebbe avere ? Dove è finita l'ipotesi della rete istituzionale ? Queste sono domande che ci accompagnano un po’ tutti.
  Per quanto riguarda le rubriche, lei ricordava, giustamente, che vanno in onda durante le campagne elettorali, in particolare per le elezioni politiche ma anche per le elezioni regionali. Queste rubriche sono determinate da noi, cioè da quello che questa Commissione dibatte, decide e mette per iscritto. Chi come me assiste a quei famosi sorteggi sa che ci sono 15 forze politiche che devono avere lo stesso spazio. C’è questo rito straordinario del sorteggio delle presenze, con la collaborazione degli uffici della Commissione, che determina la partecipazione di quel leader politico piuttosto che di un altro in quel determinato giorno e a quella determinata ora. È stata fatta una grande battaglia in questa Commissione – lei lo ricorderà – per conquistare spazi serali non di terza serata per le conferenze stampa, ritornate con una diversa dinamica sia di contenuti sia di contesto scenografico televisivo. I colleghi che c'erano ricorderanno che non è stato facilissimo rubare alla Rai fasce orarie oggettivamente di grande appeal per i programmi generalisti e per il conseguente investimento pubblicitario.
  È un continuo sforzo di equilibrio. Mentre c’è uno sforzo da parte della Commissione per cercare di rosicchiare qualche minuto per la collocazione dei programmi da voi gestiti, c’è anche l'azienda che tende a non essere così generosa nei confronti dei programmi di Rai Parlamento, come dicevo poc'anzi per quanto riguarda la collocazione dei telegiornali della vostra testata.
  Credo che il lavoro svolto dalla Commissione parlamentare di vigilanza e dai vertici di Rai Parlamento, che, come sapete, è molto sinergico, abbia prodotto, come hanno avuto modo di sottolineare i colleghi che mi hanno preceduto, un sostanziale equilibrio di presenze, di spazi informativi e di dignitosa divulgazione del messaggio politico di ciascuno. Credo che, proprio in quest'ottica, spetterà a questa Commissione eventualmente cercare dei nuovi spazi, ricordando che il servizio pubblico radiotelevisivo non deve guardare solo all’audience. Una questione è l’audience del venerdì o del sabato sera, semmai, ma quando ci sono spazi informativi in campagna elettorale magari si deve sacrificare qualcosa, per dare un messaggio sempre più ampio e più chiaro nei confronti dei cittadini.

  ALBERTO AIROLA. Io non mi preoccuperei del problema che il Parlamento sembri vuoto o pieno. Gli italiani hanno una loro opinione in merito. Se qua staccassimo in questo momento lo streaming, di quaranta consiglieri ne vedremmo solo alcuni. È chiaro che adesso i colleghi sono impegnati anche su altri fronti. Non sta a noi decidere il look del Parlamento.

  GIANNI SCIPIONE ROSSI, direttore di Rai Parlamento. Vi ringrazio delle domande. Ad alcune posso rispondere con cognizione di causa. C’è però una questione più generale, posta anche dal Presidente nell'introduzione, alla quale cerco di rispondere con poche righe, se avete la pazienza di ascoltarmi. In seguito entrerò nel merito delle singole questioni poste. Parliamo della ristrutturazione, un tema che si è aggiunto a quello previsto in origine per le audizioni, ovvero quello della par condicio e del pluralismo.
  Non mi è semplice rispondere a questa domanda sulla ristrutturazione. Come voi, conosco le linee-guida del progetto, il cui obiettivo dichiarato è migliorare l'offerta informativa del servizio pubblico, nel quadro Pag. 11di un contesto competitivo oggettivamente molto cambiato, razionalizzando nel contempo i costi attraverso un processo di verticalizzazione. Quello che mi sento di dire è che tutto dipende dalla definizione del perimetro dell'offerta informativa che il servizio pubblico intende immettere nel mercato. All'interno di un perimetro dato, le soluzioni possono essere diverse e credo debbano contestualmente riguardare l'offerta dei programmi di rete, oltre che delle news. Potrei aggiungere di condividere una recente intervista al sottosegretario Giacomelli. Mi riferisco a quella rilasciata a «Prima comunicazione». Forse qualcuno la ricorderà.
  In senso più generale, non amo la retorica del servizio pubblico. Non mi sono iscritto alla Rai da bambino. Sono entrato come un professionista normale, dopo altre esperienze professionali. Credo tuttavia che in un Paese democratico sia necessario un servizio pubblico. Se il servizio pubblico si ridimensiona, in qualche modo si restringe la democrazia. Credo che questa sia la base sulla quale ragionare.
  Quanto alle formule, la storia della Rai è fatta di unificazioni e separazioni di testate e non solo. Ho ricordato poc'anzi il caso di Rai Parlamento e come è nata questa testata. I giornali radio furono unificati, poi parzialmente separati, con l'autonomia del GR Parlamento, oggi superata. Il TGR nacque per separazione. Rai International è stata chiusa, ma la sua funzione era oggettivamente finita. Rai Sport è nata senza accorpare lo sport radiofonico. Rai News ha inglobato il televideo. Forse mi esprimo in termini inappropriati, però mi sono un po’ stancato della retorica della tripartizione, innanzitutto perché non è vero che la Rai è tripartita, casomai è multi – partita. È chiaro che ci si riferisce ai telegiornali, come ci si riferiva un tempo, quando lavoravo in radio, alla tripartizione delle testate radiofoniche. È vero che questa tripartizione (se vogliamo ancora usare questo termine) nasceva, da un lato, dalla decisione politica di far crescere il servizio pubblico radiotelevisivo, aumentando l'offerta di canali e generi, dall'altro, certamente dalla spartizione partitica delle influenze. Secondo le stagioni, il prodotto informativo è stato più o meno orientato, ma questo dipende – consentitemi di dirlo – anche dall'intrinseco spessore professionale e forse anche umano dei singoli. So che sensibilità culturali diverse hanno determinato offerte diverse. La mia formazione personale mi fa diffidare del pensiero unico. Credo nel pluralismo sostanziale, che può sposarsi con diversi modelli organizzativi. Nel caso di una verticalizzazione, questa è la sfida da vincere. Su questo francamente mi sento di non avere altro da aggiungere, perché non conosco il piano nella sua applicabilità: eventualmente ci si potrà esprimere quando esisterà.
  Vengo alle questioni poste dai singoli interventi. Alcuni sono simili. Seguo l'ordine d'intervento, partendo dall'onorevole Pisicchio.
  Sull'organico, non mi ricordo se ho detto che è un po’ scarso, ma mi riferivo onestamente a due o tre unità. Queste sono cose che accadono: c’è chi va in pensione, chi si trasferisce. In realtà, è un organico adeguato al prodotto. Come ho detto in premessa, Rai Parlamento è una testata molto particolare, che ha dei momenti di picco di produzione e dei momenti di bassa produzione. In un'azienda, è normale che si tari il personale, non solo giornalistico ma anche amministrativo, sulla media della produzione. È evidente che ci sono momenti di sofferenza, ma è anche evidente che ad agosto Rai Parlamento chiude. Forse non chiude nei primissimi giorni di agosto o di fine luglio, come avveniva un tempo che ricordiamo tutti, perché il Parlamento lavora in maniera diversa, ma certamente ci sono dei momenti di assoluta pausa. Pertanto, la mancanza di due o tre persone nell'organico giornalistico non è una cosa così grave da poter affermare che la struttura non ha una redazione adeguata per svolgere i suoi attuali compiti.
  Per quanto riguarda la digitalizzazione, è vero che siamo ancora analogici, però è anche vero che il processo di digitalizzazione Pag. 12della Rai è in fieri. Cominciò Rai News e poi è arrivato il TG 2. È stata una cosa molto complessa. Dopodiché, l'esperienza del TG 2 ha fatto sì che TG 1 e TG 3 riuscissero a digitalizzarsi in maniera molto più rapida e anche più efficiente. Adesso il giro continua. Tutte le testate/strutture giornalistiche della Rai verranno digitalizzate. Non vi so dire quando la struttura di Rai Parlamento sarà digitale. So però dire che in questi anni, dal tempo del mio incarico, Rai Parlamento ha modificato sensibilmente uno studio, lo ha spostato e rinnovato in maniera totale, e gode adesso di mezzi che prima non aveva. Certamente manca il processo finale di digitalizzazione, che però manca anche all'80 per cento del TGR. Finora sono state digitalizzate le testate della Lombardia, del Lazio e del Molise. È un problema industriale e di investimenti, ma è un processo che la Rai sta svolgendo. Che finisca a marzo o ad aprile non mi sembra molto significativo. Non so quale sia il timing degli interventi sulle redazioni regionali, ma all'interno di questo timing c’è anche Rai Parlamento. Su questo mi sento di rassicurarvi.
  Sul progetto di riforma, una domanda che mi è stata posta anche da altri commissari, credo di avere risposto prima.
  Rispondo al senatore Gasparri, che mi ha chiesto che visibilità potrebbe avere un canale istituzionale. Innanzitutto, dipende da come viene fatto. Penso che un canale istituzionale non possa essere simile ai canali satellitari di Camera e Senato. Se si trattasse solo di accendere e spegnere i riflettori su alcuni appuntamenti registrati a camera fissa o in diretta a camera fissa, credo che l’appeal non sarebbe nemmeno percepito. Ci sarebbe un audience nullo. Un canale istituzionale che, invece, abbia le caratteristiche del prodotto giornalistico e che possa dar conto con criterio informativo di dirette, condito da continui approfondimenti e un continuo flusso di notizie sull'attività parlamentare, certamente non sarebbe paragonabile a un canale di informazione generalista, che contiene anche altro, ma credo che un suo appeal possa averlo. Si tratterebbe comunque di servizio pubblico in senso pieno. Mi si chiede anche se questo eliminerebbe la nostra attuale produzione. Non ne ho sentore. Non mi pare che il progetto sia quello di creare un canale situazionale e abolire l'attuale informazione di Rai Parlamento. Penso che spazi nei canali generalisti siano necessari, per un motivo che mi sembra abbastanza evidente: il servizio pubblico è anche, potenzialmente, poter parlare al maggior numero di persone possibili. Credo che non sia questo il tema. Casomai il tema, come credo di aver detto – ne avete parlato anche voi – è come interpretare l'offerta dell'informazione sul Parlamento non solo nei canali generalisti, ma anche in quelli tematici.
  Vengo al question-time, la cosa più semplice o forse più difficile. Il senatore Airola diceva che non importa quanti lo guardano. Mi perdoni, ma non può essere così. Quest'anno, da gennaio ad agosto, il question-time del Senato, che, come quello della Camera, va in onda alternativamente su Rai 2 e su Rai 3, ha avuto uno share medio dell'1,59 per cento, con ascolti medi di 171.000 unità. Ho anche tutto il dettaglio, se vi interessa. Da ottobre, cioè dopo la ripresa, lo share medio è stato dello 0,71 per cento, con un ascolto medio di 72.000 unità. Per quanto riguarda il question-time della Camera – lo dico perché mi sembra importante sotto il profilo del prodotto – lo share medio nella prima parte dell'anno è stato del 2,75 per cento, con 333.000 ascoltatori in media. Ovviamente, a volte ce ne sono 500.000 e a volte 200.000. Dalla ripresa lo share medio è del 3,16 per cento e l'ascolto medio è 335.000 spettatori.

  PRESIDENTE. Questi dati si riferiscono ai question-time che vanno in onda su RA1 2 ?

  GIANNI SCIPIONE ROSSI, direttore di Rai Parlamento. Vanno in onda su Rai 2 e su Rai 3. Abbiamo fatto una media. È disponibile un resoconto più dettagliato; quella che ho citato è la media dei canali generalisti.
  Un ascolto medio di 72.000 spettatori è da canale digitale tematico. Per intenderci, Pag. 13la diretta dal Senato che abbiamo proposto, per un'ora su Rai 3 e per due ore su Rai 5, su Eduardo De Filippo, su Rai 5 ha ottenuto lo 0,7 per cento e 54.000 ascoltatori (il che ci sta, per un prodotto di quel genere) e su Rai 3 ha avuto 180.000 ascoltatori in quell'ora del mattino: non è niente di straordinario, ma non è poco.
  Tutto dipende sempre dal tema di cui si parla: nel caso del question-time, perché c’è una differenza tra Camera e Senato ? Il parlamentare ragiona evidentemente in un'altra maniera, io lo spiego da tecnico. Il question-time della Camera – che, peraltro, secondo me dovrebbe essere anch'esso modificato – ha più ascolti per il semplice motivo che dura mezz'ora di meno ed è più diretto. La formula è diversa e riesce a trattenere marginalmente un numero maggiore di ascoltatori.

  MAURIZIO GASPARRI. Al Senato lo facciamo episodicamente.

  GIANNI SCIPIONE ROSSI, direttore di Rai Parlamento. È quindicinale.

  MAURIZIO GASPARRI. Alla Camera lo fanno settimanalmente, quindi forse c’è una fidelizzazione di quei pochi.

  GIANNI SCIPIONE ROSSI, direttore di Rai Parlamento. Senatore Gasparri, questo è vero, ma mentre l'attuale question-time della Camera dura circa un'ora, quello del Senato dura 40 minuti in più, e con la formula per cui prima si pongono le domande e poi si risponde a tutti, è lentissimo e oggettivamente non televisivo. Non so se questo faccia parte del servizio pubblico. Lo voglio dire molto sinceramente. Ha un senso ? Per esempio, una cosa che avrei proposto in una sede di discussione tecnica, alla quale sono sempre disponibile, è di usare l'aula di una Commissione. Perché non cambiare il Regolamento ? In ogni caso, non si dovrebbero usare le aule vuote. Il senatore Airola dice che non importa, ma non è così. L'immagine fa parte del messaggio. Non c’è niente da fare. Ascolto molto i lavori parlamentari, è il mio mestiere. Sono disposto a scendere in piazza e a dire che in Parlamento e nelle Commissioni si fanno e si dicono cose serie, si affrontano i problemi di questo Paese, persino nei question-time. Non è vero che sono inutili, però bisogna proporli secondo il mezzo che si sceglie. Questo riguarda voi come parlamentari, ma non riguarda voi come...

  PAOLO BONAIUTI. Devono essere comunicati meglio.

  GIANNI SCIPIONE ROSSI, direttore di Rai Parlamento. Esatto. Le formule si possono individuare. Come minimo, proporrei di usare una piccola aula. Questo si potrebbe fare subito. Deve deciderlo la presidenza del Senato. Ovviamente non decido io, però possiamo dare qualche suggerimento tecnico. Altrimenti non si esce da questa logica. Vi dico di più: in un canale istituzionale, posto che possa fare di media lo 0,5 per cento (dico una cifra a caso, perché poi va verificato e dipende da come è fatto), il question-time del Senato, proposto così com’è, farebbe lo zero. Non è vero che farebbe di più. Farebbe calare anche gli ascolti di un canale istituzionale. Ne sono molto convinto e penso che il Parlamento si debba porre questo problema, aldilà dei mezzi, del canale o della sorte dell'informazione parlamentare e della comunicazione politica prodotta da Rai.
  Rispondo ora al senatore Airola: sulla digitalizzazione ho già risposto. Mi chiedeva dove finiamo. Nelle linee-guida del progetto è previsto che Rai Parlamento rientri nella Newsroom 1, insieme al TG 1 e al TG2. Questo si sa. Per la verità, non abbiamo avuto tagli di edizione. Abbiamo operato, d'intesa con la direzione palinsesti, una razionalizzazione dell'offerta per quanto riguarda i notiziari e le rubriche. In questo momento, sui canali generalisti, dal lunedì al venerdì, noi abbiamo tre edizioni. La prima è alle 6.55 su Rai 1 e dura tre minuti. Si tratta dell'agenda del giorno, un'invenzione di una decina di anni fa che ritengo opportuna. L'appuntamento del pomeriggio è stato spostato da Rai 1 a Rai 2 e va in onda alle 17.45, non Pag. 14in un'ora incerta. L'edizione serale, invece di andare in onda su Rai 2 in orario incerto, talvolta anche all'1.30 o all'1.35, va in onda sempre all'1.00 circa, dopo Linea notte, che è un prodotto informativo, su Rai 3.
  Perché è stato deciso questo ? È evidente che è stata una discussione che ha riguardato l'offerta informativa della Rai in senso generale. Non è una cosa che riguarda soltanto i notiziari di Rai Parlamento. C'era un'esigenza di palinsesto, anche per rafforzare la fascia del mattino, dove Rai Parlamento andava in onda dopo il LIS. Con tutto il rispetto per il LIS, sapete che fa crollare gli ascolti, ma c’è un obbligo di legge.
  Su Rai 1 c'era la necessità di rendere più fruibile il contenitore pomeridiano, per contrapporlo alla concorrenza. Vi dico la sincera verità: ho condiviso queste scelte. Sul piano pratico, tra le 6.55 e le 7.35 c’è una differenza marginale negli ascolti. Mandarlo in onda su Rai 2 ovviamente fa molta differenza, perché è un'altra rete. Credo che ci sia un problema nell'offerta del pomeriggio di Rai 2. Debbo dire però che sotto il profilo editoriale sono molto contento che vi sia un'ora in più per raccontare i lavori parlamentari. È una cosa che propongo da anni. I lavori parlamentari non si possono raccontare nel pomeriggio quando sono appena cominciati, perché poi c’è il tempo di fattura. Alle 16.50, francamente, avevamo poco da dire: un'ora dopo siamo in grado di dare un'informazione migliore. L'edizione della notte su Rai 3 viene inserita non, come si dice, «ballerina» all'interno dei prodotti più vari, ma all'interno di una striscia informativa, Linea notte, come una prosecuzione logica, ed è fissa. Si sa che all'1.00 di notte va in onda. Infatti, gli ascolti sono mediamente migliori di quelli della stagione precedente.
  Per quanto riguarda le rubriche di approfondimento, ricordo che Settegiorni quindici anni fa andava in onda alle 4.00 del pomeriggio: il mondo muta. È stato scelto di spostarlo dalle 10.00 del mattino, che era un orario «da famiglia», e di collocarlo dalle 7.05 e le 8.00, anche in questo caso all'interno di un flusso informativo, e i risultati sono sostanzialmente positivi. Vi dico la verità: alle 10 del mattino lo share crollava dall'inizio verso la fine, adesso aumenta. Marginalmente il numero degli ascoltatori dipende non solo dal programma, ma anche dal tempo, da ciò che trasmette Canale 5, che in questo momento sta andando meglio, e da vari altri fattori, però l'indice di gradimento e la durata dell'ascolto sono migliorati.
  Punto Europa, che si occupa del Parlamento europeo e non solo, va in onda il sabato mattina su Rai 2 alle 9.30, che è meglio dell'orario precedente, e fa anche il 2,5-3 per cento di ascolti: è molto variabile, ma si può passare da 120.000 a 250.000 ascoltatori. Di media siamo sui 180.000: per una rubrica specializzata sul Parlamento europeo, non mi sembra una cosa di poco conto. Si può ricordare che quindici anni fa, quando la curavo io e andava in onda alle 00.30 su Rai 2, arrivava a 800.000 ascoltatori, però è cambiato il mondo, ed è cambiato anche il mondo dell'informazione.
  Sull'ipotesi di fare più edizioni, io le farei, ma questo non dipende da me.
  Senatore Ciampolillo, lei mi pone una domanda che non mi dovrebbe porre, però rispondo ugualmente. Lei presuppone che GR Parlamento mi «appartenga»: non è vero. Ho diretto Rai Parlamento ad interim per un anno e mezzo fino al marzo di quest'anno. Dopodiché non è stata più una testata autonoma, bensì è rientrato nell'alveo del Giornale Radio Rai. Lei mi ha però chiesto una cosa specifica: questa la so, quindi le rispondo. Non le rispondo sulla sua attuale programmazione, perché non dipende da me. La copertura di GR Parlamento, anche se può sembrare strano, non è male. Equivale sostanzialmente a quella di Radio 3. È percepibile praticamente quasi in tutta Italia: non è, sotto questo profilo, tecnicamente la «sorella povera».

  LELLO CIAMPOLILLO. Mi fa molto piacere, perché di questo abbiamo parlato lo scorso anno, quando c’è stata la proroga a Radio Radicale dei servizi parlamentari, Pag. 15che ha un costo di 10 milioni di euro all'anno. Alla mia richiesta se fosse davvero necessario affidare i servizi parlamentari in FM a Radio Radicale, visto che esiste già Rai Parlamento, la risposta del Governo è stata che la copertura del segnale in FM di Rai Parlamento non è adeguata e, quindi, l'affidiamo a Radio Radicale. Mi fa piacere sentire questo, perché l'anno scorso abbiamo avuto una risposta completamente opposta. È una buona notizia: se il servizio pubblico riesce a realizzare un'ottima copertura, uguale a quella di Radio 3, sarebbe interessante capire perché continuiamo ad affidare questo servizio a Radio Radicale, visto che i cittadini pagano il canone, nel quale sicuramente rientrano i costi di Rai Parlamento e di Radio Parlamento in FM, che copre tutta la nazione. Peraltro, la Rai ha sopportato parecchi costi di investimento per acquistare i canali. Ricordiamo che all'epoca acquistò la maggior parte dei canali proprio dalle radio private, una cosa già un pochino strana.
  Indipendentemente da questo, adesso bisogna capire se serve davvero il servizio di Radio Radicale, che al momento costa ai cittadini 10 milioni di euro all'anno.

  GIANNI SCIPIONE ROSSI, direttore di Rai Parlamento. Su questo ovviamente non posso rispondere. Posso formarmi un'idea personale. Certamente la copertura totale del territorio è solo di Radio 1. Ci sono i monti: l'Italia è un paese strano. Esiste poi ancora il problema antichissimo delle sovrapposizioni delle frequenze. Il fatto che la copertura di GR Parlamento nel territorio sia abbastanza buona deriva proprio quello che dice lei: essendo nato tardi ed essendo stati comprati i canali, in realtà la copertura è stata fatta allora, negli anni 1990.
  Sotto il profilo dei costi, è meglio che taccio.

  LELLO CIAMPOLILLO. Visto che ormai la banda delle onde medie, la cosiddetta AM, è vuota, ed è in monofonia, quindi senza problemi, si potrebbero utilizzare pochi impianti per Rai Parlamento: con dei costi notevolmente inferiori, si potrebbe ottenere una copertura sicuramente più efficace, perché l'AM viaggia anche attraverso le montagne e, quindi, non ha problemi.

  GIANNI SCIPIONE ROSSI, direttore di Rai Parlamento. La mia competenza radiofonica si limita al fatto che la testata Rai Parlamento è radiotelevisiva, per un motivo molto semplice: produciamo le tribune elettorali e i programmi dell'accesso anche per la radio. Abbiamo quindi due mezzi di trasmissione: la questione a cui lei accennava però non dipende da me.
  Onorevole Lainati, sull'orario dei TG ho già risposto. Sulla rete istituzionale credo di aver risposto. Per quanto concerne le tribune elettorali nel periodo elettorale, ci siamo confrontati tante volte su questo tema. Potremmo ripeterci. Ho già detto qualcosa. È chiaro che sono il Parlamento e la Commissione parlamentare a fare le regole, peraltro sulla base della legge elettorale. È un po’ una questione di lana caprina discuterne in astratto. Come ho detto in premessa, ci sono cose veramente antiche: i messaggi autogestiti – ve lo dico sinceramente – non hanno più senso. Sono meglio gli spot liberi. Si potrebbero attribuire un tot di spot a lista di 30 secondi a messaggio. In quella maniera non servono veramente a nulla: i dati di ascolto sono tragici. Le tribune elettorali in sé, come i dibattiti a quattro che si fanno nel pomeriggio, secondo me, conservano un loro interesse. Se hanno pochi ascolti, ciò dipende dall'attenzione del cittadino e da vari altri elementi. Le conferenze stampa sono una formula tradizionale che abbiamo cercato di innovare nel corso del tempo, anche stilisticamente. È chiaro che le regole sono sempre e soltanto quelle stabilite dalla Commissione di vigilanza, che rispettiamo in maniera strettissima. Credo che abbiano un senso. Faccio un esempio editoriale. Se introduco una conferenza stampa con un servizio su una data lista o su un tale protagonista, come abbiamo fatto, almeno durante la mia gestione – mi occupo di tribune elettorali dal 2000, però non le gestivo io, Pag. 16se non in subordine – è evidente che non può venir fuori un servizio in cui quel leader risulta vincente e quello che viene dopo risulta perdente. Tutti gli inserimenti stilistici ed editoriali che si possono introdurre devono sempre tener presenti le norme della par condicio, che attengono anche alle immagini. Se si dà un'immagine negativa di una persona, si vede. Per noi è fondamentale. Da questo deriva un appeal inferiore rispetto alla libertà espressiva dei talk show.
  I talk show in campagna elettorale devono però ospitare anche le liste minori: quando ospitano le liste minori, i risultati sono identici. Con tutto il rispetto per le liste minori – l'ho detto in premessa e ci credo – se, come nelle elezioni del 2013, per il combinato disposto della legge elettorale e dell'abbassamento improvviso del numero di firme necessarie per presentare una lista, ci troviamo a mandare sul territorio nazionale liste che rappresentano scarsamente due regioni, non conta il numero degli ascoltatori: nel corso degli anni, mi è capitato di condurre tribune elettorali con soggetti che poi si sono ritrovati con 12.000 voti sul territorio nazionale, ottenendo in prima serata – non contro «Sanremo», come nel 2013 – 700.000 ascoltatori, ma sempre 12.000 voti hanno preso. Forse ha un senso intervenire su questo, ma questo attiene alla sovranità della politica e del Parlamento: più di questo, non mi sento di dire.

  ALBERTO AIROLA. Aggiungo una conclusione rapidissima. Direttore, la ringrazio ancora. Non si preoccupi dell’audience – glielo ribadisco – perché le percentuali che lei ha riferito sono ampiamente superiori alle performance di altri TG e canali specifici. Ripeto che, con gli oltre 1,7 miliardi di soldi pubblici che prende, credo che la Rai non debba preoccuparsi di Canale 5, ma garantire questo servizio che – lode a voi – siete tra i pochi a svolgere in maniera dignitosa.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Rossi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.