XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III-IV Camera e 3a-4a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Giovedì 16 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 2 

Audizione del Ministro della difesa, Roberta Pinotti, e del Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, sugli sviluppi del quadro internazionale, con particolare riferimento all'Iraq (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Vito Elio , Presidente ... 2 
Pinotti Roberta , Ministro della difesa ... 3 
Vito Elio , Presidente ... 8 
Della Vedova Benedetto , Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 8 
Vito Elio , Presidente ... 9 
Amendola Vincenzo (PD)  ... 9 
Casini Pier Ferdinando , Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 11 
Artini Massimo (M5S)  ... 12 
Latorre Nicola , Presidente della 4a Commissione del Senato della Repubblica ... 13 
Palazzotto Erasmo (SEL)  ... 14 
Cicchitto Fabrizio (NCD) , Presidente della III Commissione della Camera dei deputati ... 15 
Minzolini Augusto  ... 16 
Marazziti Mario (PI)  ... 18 
Vito Elio , Presidente ... 20 
Manciulli Andrea (PD)  ... 20 
Vito Elio , Presidente ... 20 
Manciulli Andrea (PD)  ... 20 
Vito Elio , Presidente ... 20 
Manciulli Andrea (PD)  ... 20 
Vito Elio , Presidente ... 21 
Della Vedova Benedetto , Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 21 
Vito Elio , Presidente ... 21 
Pinotti Roberta , Ministro della difesa ... 21 
Vito Elio , Presidente ... 24

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ELIO VITO

  La seduta comincia alle 17.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro della difesa, Roberta Pinotti, e del Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, sugli sviluppi del quadro internazionale, con particolare riferimento all'Iraq.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni riunite affari esteri e difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica reca l'audizione del Ministro della difesa, Roberta Pinotti, e del Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, sugli sviluppi del quadro internazionale, con particolare riferimento all'Iraq.
  Saluto il presidente della Commissione affari esteri e comunitari della Camera, Fabrizio Cicchitto, il presidente della Commissione affari esteri, emigrazione del Senato, Pier Ferdinando Casini, il presidente della Commissione difesa del Senato, Nicola Latorre, e tutti i colleghi presenti.
  Ringrazio per la disponibilità il Ministro Pinotti e il Sottosegretario Della Vedova, che anche in questa occasione hanno ritenuto importante fornire al Parlamento dati aggiornati sull'attuale quadro geopolitico internazionale, che mostra tensioni e instabilità crescenti.
  È a tutti nota la complessità dell'attuale quadro geopolitico internazionale, che sta cambiando, peraltro, rapidamente. Numerosi focolai di tensione e crisi interne ai singoli Stati sono potenzialmente in grado di destabilizzare intere regioni e contribuiscono a delineare un quadro della sicurezza quanto mai complicato e imprevedibile.
  Si tratta di un tema della massima rilevanza, sul quale è fondamentale mantenere costante la collaborazione e il confronto tra il Governo e il Parlamento, come è già accaduto in numerose occasioni e, di recente, lo scorso 20 agosto, in occasione delle comunicazioni dei Ministri Pinotti e Mogherini sugli sviluppi della situazione in Iraq, anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea che si era tenuto il 15 agosto.
  Ricordo che proprio subito dopo quelle comunicazioni furono deliberati – separatamente dalle Commissioni affari esteri e difesa, sia della Camera, sia del Senato – atti di indirizzo al Governo.
  Nella riunione tenutasi ieri del Consiglio supremo di difesa è stata manifestata una forte preoccupazione per l'attuale quadro geopolitico internazionale. Il Consiglio ha, in particolare, rilevato come la pressione militare dell'ISIS in Siria e in Iraq implichi rischi rilevanti per l'Europa e per l'Italia, anche per la forza attrattiva che il movimento sembra poter esercitare Pag. 3su altre formazioni jihadiste e dell'estremismo islamico in aree non contigue ai territori controllati.
  In tale situazione il Consiglio supremo di difesa ha rilevato che è necessario che l'Italia, insieme a Nazioni Unite e Unione europea, consideri con estrema attenzione gli eventi in corso ed eserciti ogni possibile sforzo per prevenire, in particolare, l'ulteriore destabilizzazione della Libia.
  Questa è una situazione grave, ha sottolineato sempre il Consiglio supremo di difesa nella riunione di ieri, che mostra l'urgenza e l'importanza, pur nei limiti della ridotta disponibilità di risorse, di una rapida trasformazione delle nostre Forze armate e dell'organizzazione europea della sicurezza. Sono tutti temi che le nostre Commissioni stanno costantemente trattando in questa legislatura.
  Anche alla luce, quindi, delle preoccupazioni manifestate ieri dal Consiglio supremo di difesa, è necessario che il Parlamento consideri con estrema attenzione gli eventi in corso e contribuisca, unitamente al Governo e alle apposite Istituzioni europee e internazionali, a fornire un contributo concreto alla prevenzione e alla gestione dei conflitti a livello globale e alle sfide che si profilano in termini di sicurezza. All'imprevedibilità e alla complessità delle minacce occorre, infatti, poter rispondere con una chiara strategia di sicurezza e difesa europea, sia con la tempestività e la flessibilità di strumenti integrati, sia con la loro sostenibilità da un punto di vista finanziario.
  Termino questo mio breve intervento ricordando che lo stesso Consiglio supremo di difesa di ieri ha ribadito, a conclusione, la necessità di continuare a perseguire una rapida soluzione della vicenda per i due fucilieri di Marina. Si tratta, come sapete, di una vicenda che le nostre Commissioni seguono in maniera costante, rispetto alla quale sono convinto di esprimere sentimenti a nome di tutti i presenti nell'assicurare il nostro sostegno in relazione a ogni possibile sforzo e iniziativa che possano garantire la positiva e rapida conclusione di questa vicenda.
  Do adesso la parola al Ministro Pinotti per la sua relazione.

  ROBERTA PINOTTI, Ministro della difesa. Signori presidenti, onorevoli senatori, onorevoli deputati, ringrazio tutti loro per l'opportunità offertami di tornare a riferire, come ricordava il Presidente Vito – fortunatamente, la relazione che abbiamo è piuttosto intensa e io la ritengo importante – circa l'evoluzione del quadro internazionale della sicurezza, rinnovando ancora una volta il rapporto di stretta collaborazione fra Governo e Parlamento su un tema nel quale è essenziale, a mio giudizio, la più stretta collaborazione fra tutti i poteri dello Stato.
  Non potrebbe essere diversamente, tenuto conto della straordinaria complessità del quadro internazionale e soprattutto della sua rapida mutevolezza. Sappiamo tutti come nell'arco di pochi mesi crisi latenti siano degenerate in conflitti particolarmente cruenti, con un ampio coinvolgimento sia degli attori locali, sia delle organizzazioni internazionali. È necessario, quindi, un periodico aggiornamento sul quadro di situazione, anche per consentire al Governo di raccogliere gli indirizzi del Parlamento su una materia così cruciale per gli interessi dell'Italia.
  Vorrei, pertanto, procedere con un rapido aggiornamento circa i più recenti sviluppi in alcune delle aree di crisi che ci vedono impegnati, per poi dedicare maggiore attenzione alla situazione in Iraq.
  In Ucraina è in vigore dallo scorso settembre un cessate il fuoco che non ha completamente interrotto gli scontri, ma li ha sostanzialmente limitati. Le parti hanno anche convenuto di ritirare gli armamenti pesanti ad una distanza di sicurezza dalla linea dei combattimenti, ma, come dimostrato da diversi incidenti che hanno causato la morte di civili nella città di Donetsk, ciò non rappresenta una garanzia assoluta di sicurezza.
  Kiev ha richiesto assistenza alla NATO e, parallelamente, ai singoli Stati, inclusa l'Italia. Abbiamo già offerto la possibilità di ricoveri di feriti gravi nelle nostre strutture sanitarie e militari.Pag. 4
  Procederà la cooperazione bilaterale con l'Ucraina da tempo avviata per la parte relativa alla frequenza in Italia da parte ucraina delle attività formative già previste dal Piano, mentre è sospeso cautelativamente l'invio di personale nazionale per le attività previste in tale Paese.
  Come è noto, domani a Milano, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in qualità di presidente di turno dell'Unione europea, presiederà l'incontro fra il Presidente Putin e il Presidente Poroschenko, incontro dal quale ci auguriamo che possano scaturire decisioni positive per la soluzione della crisi.
  In Libia continua la contrapposizione fra le due entità politiche appoggiate dalle rispettive milizie, entità di cui avevo già parlato nel corso dell'audizione del 3 settembre scorso. Si tratta, per la precisione, del Consiglio dei rappresentanti, eletto democraticamente a giugno 2014 con una maggioranza che possiamo considerare moderata, al quale si contrappone il Congresso nazionale, nel quale sono, invece, forti le componenti islamiste.
  Il primo non ha potuto insediarsi regolarmente a Tripoli, dove invece continua a operare il secondo, e si è, pertanto, stabilito a Tobruk. A questo proposito è bene ricordare che ognuna di queste due entità dispone dell'appoggio di distinte e rivali componenti tribali armate. Da questo punto di vista non si possono trascurare i rischi per la coesione interna del Paese determinati da un aggravarsi di questa contrapposizione.
  Alcuni segnali positivi possono essere individuati nella partecipazione delle diverse fazioni alla riunione convocata dalle Nazioni Unite a Gadames lo scorso 29 settembre. Recentissima è poi la visita a Tripoli del Segretario generale delle Nazioni Unite, congiuntamente con la collega Federica Mogherini, visita sulla quale potrà certamente fornire maggiori dettagli il Sottosegretario Della Vedova. Da parte mia segnalo l'importanza di una missione di così alto livello, che indubbiamente indica la grande attenzione di tutta la comunità internazionale per i destini di questo Paese.
  Per ciò che attiene alla nostra presenza militare, dal 4 ottobre il personale della missione italiana in Libia – peraltro molto ridotto nella sua consistenza – si è rischierato presso una nuova sede, dopo che nel mese di luglio era stato coinvolto, senza avere feriti, negli scontri in atto, allorquando un gruppo armato aveva fatto irruzione all'interno della sede della missione.
  Nella Repubblica Centrafricana continuano a registrarsi scontri in alcuni distretti della capitale, scontri che hanno visto il coinvolgimento anche di militari appartenenti al contingente multinazionale. Si tratta, per lo più, di episodi innescati dalla criminalità locale. Il nostro contingente, che – lo ricordo – consiste in un assetto del genio, non è stato direttamente coinvolto in tali episodi e continua nella sua missione regolarmente.
  Passando al Corno d'Africa, sono iniziati i voli operativi dei velivoli a pilotaggio remoto, Predator, schierati a Gibuti, che sono ora stati integrati nella missione a guida europea Atalanta per il contrasto alla pirateria.
  Prosegue l'attività del contingente internazionale, in particolare l'addestramento da parte italiana, condotto a Gibuti, delle forze somale, con un nuovo contingente di 150 poliziotti locali in via di addestramento ad opera dei nostri Carabinieri.
  In Somalia la situazione complessiva della sicurezza rimane instabile, sia per il continuo operare delle milizie islamiche di al-Shabaab, sia per la presenza, in particolare a Mogadiscio, di milizie armate espressione di clan e gruppi politici, restie a cedere le armi in favore della normalizzazione e dell'effettiva assunzione di responsabilità da parte delle forze di sicurezza centrali.
  Stiamo avviando, di concerto con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la costruzione della nuova ambasciata d'Italia, come previsto anche nella legge n. 141 del 2014.
  Relativamente all'Afghanistan, con l'insediamento del nuovo Presidente Ashraf Ghani si è sbloccato il lungo stallo relativo Pag. 5alla sigla degli accordi per la presenza del personale militare straniero oltre la data del 31 dicembre 2014. È stato, pertanto, sottoscritto il cosiddetto SOFA, l'accordo sullo status giuridico delle forze, e, di conseguenza, diviene possibile procedere con la missione «Resolute Support», che succede alla missione ISAF a partire dal gennaio 2015, avendo solo compiti di addestramento e assistenza alle forze afgane.
  L'Italia sta lavorando insieme agli alleati per definire il proprio contributo alla missione, in coerenza con gli impegni assunti con gli alleati e, al tempo stesso, considerando le nuove esigenze emerse negli ultimi mesi per interventi in nuovi contesti di crisi. Tale contributo sarà preventivamente comunicato al Parlamento secondo le modalità indicate dall'articolo 2, comma 3-bis, della già citata legge n. 141, di conversione del decreto-legge di proroga delle missioni internazionali.
  Vengo ora al tema principale dell'audizione odierna.
  Da circa due mesi l'avanzata in Iraq e in Siria delle forze militari del cosiddetto Stato islamico, accompagnata da indicibili violenze compiute indifferentemente contro civili inermi e contro militari fatti prigionieri, ha imposto a tutti noi di tornare a occuparci di questa regione del mondo, da moltissimi anni afflitta da guerre che paiono non avere fine.
  Ricordo, a beneficio di tutti, alcuni elementi che caratterizzano questo nuovo e violentissimo attore politico e militare. Il gruppo, che a partire dal 2013 ha assunto il nome di Stato islamico in Iraq e nel Levante, con ciò indicando anche il livello di ambizione territoriale che esso si prefigge, affonda le sue radici nell'estremismo sunnita che si era radicato in alcune regioni dell'Iraq fin dai tardi anni Novanta. Il disegno fondamentalista di questo gruppo consisteva, in sostanza, nell'innescare una sorta di guerra civile generalizzata in tutti i Paesi islamici, alimentando l'odio fra le componenti sunnite e sciite ed esercitando un'estrema violenza su tutte le altre confessioni religiose.
  Oggi questa organizzazione ha alcuni dei caratteri tipici di uno Stato, ma opera poi con le modalità che distinguono i grandi gruppi terroristici transnazionali. Da un lato, infatti, il cosiddetto Stato islamico controlla un territorio già molto vasto – delle dimensioni del Belgio, per avere un termine di paragone – che si estende in Iraq e in Siria e che include la quasi totalità dei centri urbani lungo il corso dell'Eufrate, da Raqqa in Siria fino a Falluja in Iraq, nonché lungo il Tigri, da Mosul fino alle porte di Baghdad.
  In questa regione raccoglie di fatto delle tasse, ma soprattutto estrae e commercializza il petrolio ed è giunto anche a generare energia elettrica nelle centrali conquistate militarmente. Si tratta, quindi, di un'entità capace di produrre autonomamente ingenti risorse, devolute in toto ai suoi obiettivi militari.
  Non meraviglia, pertanto, che le migliaia di combattenti che militano nelle sue file – le stime più pessimistiche parlano di 30.000 uomini – siano retribuite meglio delle forze regolari irachene e siriane. Sono confluiti sotto la bandiera dello Stato islamico, oltre agli originari estremisti sunniti, anche molti ex baatisti già sostenitori del regime di Saddam Hussein, nonché, fenomeno assolutamente preoccupante, un gran numero di stranieri, anche provenienti dai Paesi occidentali.
  Caratteristica peculiare dell'ISIS è, infatti, quella della sua notevole forza di attrazione ideologica, che rafforza la sua reale capacità militare. D'altra parte, come detto, lo Stato islamico impiega tecniche terroristiche, operando spietatamente sul terreno. Siamo tutti a conoscenza della violenza estrema operata contro i militari catturati e contro le minoranze religiose ed etniche nei territori occupati, violenza il cui effetto è ulteriormente amplificato dall'uso spregiudicato dei media internazionali e dei social network.
  La comunità internazionale sta reagendo a questi sviluppi con una molteplicità di iniziative, di carattere sia politico, sia militare. Le Nazioni Unite, sin dall'ottobre 2004, hanno inserito il gruppo nell'elenco delle organizzazioni terroristiche. Negli anni, oltre a molti Paesi occidentali, anche diversi Paesi musulmani hanno formalmente Pag. 6definito come terroristica tale realtà, fra cui la Turchia fino al 2013 e l'Arabia Saudita dallo scorso marzo.
  Numerosissimi Paesi hanno poi adottato misure concrete di contrasto. Sono almeno sessanta i Paesi e le organizzazioni internazionali che cooperano in una coalizione di fatto e fra questi sono almeno dieci quelli che stanno concretamente operando con azioni militari.
  Nelle scorse settimane anche il Belgio, l'Olanda e l'Australia hanno contribuito alle operazioni aeree, affiancandosi agli Stati Uniti, alla Francia, al Regno Unito e a diversi Stati del Golfo Persico che partecipano alla campagna aerea fin dalle prime fasi. Molti altri Paesi stanno fornendo aiuti umanitari e militari all'Iraq.
  Presidenti, onorevoli colleghi, senatori e deputati, come ho già avuto modo di comunicare nel corso dei precedenti incontri su questo tema nei mesi di agosto e di settembre, l'Italia sta contribuendo agli sforzi della comunità internazionale con una molteplicità di misure, incluse quelle di carattere militare.
  Il primo intervento di soccorso umanitario, portato a termine in agosto, ha visto la fornitura di aiuti umanitari e alimentari. Siamo successivamente passati al sostegno del processo di stabilizzazione mediante l'incremento delle capacità di autodifesa dei curdi e sono così iniziate le consegne dei materiali militari di cui avevo dato informazioni al Parlamento il 20 agosto e poi nuovamente il 3 settembre.
  Pertanto, nel mese di settembre sono state consegnate alle forze curde, ovviamente con il pieno appoggio del Governo iracheno, mitragliatrici in dotazione all'Esercito italiano giudicate cedibili in considerazione dei surplus esistenti nei nostri depositi.
  È poi iniziata la fase di confezionamento e trasporto di munizionamento di modello ex sovietico conservato nel deposito di Guardia del Moro, dopo che il materiale era stato confiscato dall'autorità giudiziaria nel 1994. Si tratta, in particolare, di munizionamento per mitragliatrice pesante, nonché di munizioni per sistemi controcarro dei tipi in uso da parte delle forze curde.
  Il trasporto verso la città di Erbil, nella regione del Kurdistan iracheno, è attualmente in corso utilizzando vettori aerei militari. In realtà si potrebbe dire che esso è continuamente in corso, nel senso che i viaggi aerei stanno susseguendosi continuamente, essendo la consistenza delle tonnellate importante.
  La cessione del materiale militare confiscato è resa possibile dalla deliberazione del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014 e dall'adozione del prescritto decreto interministeriale dei ministri della giustizia, della difesa e dell'economia adottato il 4 settembre scorso ai sensi dell'articolo 319 del codice dell'ordinamento militare e pubblicato per stralcio sulla Gazzetta Ufficiale del 12 settembre, che ne ha determinato la destinazione a uso istituzionale della Difesa.
  Per opportuna chiarezza – visto che in passato ci sono state alcune confusioni su questo punto – ricordo che il decreto legge di proroga delle missioni internazionali per il secondo semestre 2014, già convertito in legge dal Parlamento, mentre appresta le risorse destinate a coprire le spese di trasporto del materiale citato, prevede anche la cessione di 24 veicoli da combattimento Centauro al Regno hashemita di Giordania, un Paese in prima linea nel contrasto allo Stato islamico e da questo direttamente minacciato.
  Il conflitto, però, è in pieno svolgimento e per questo anche il contributo nazionale inquadrato nell'ambito della coalizione internazionale di cui ho parlato deve proseguire. In tale contesto hanno preso avvio anche lo studio e la pianificazione di ulteriori contributi che il nostro Paese può mettere in campo per inibire le capacità offensive dello Stato islamico, nonché stabilizzare la regione.
  Il nostro orientamento è, in primo luogo, quello di fornire ulteriori stock di munizioni di modello ex sovietico provenienti dal materiale confiscato nel 1994. Queste sono, infatti, forniture militari espressamente richieste dai curdi in considerazione Pag. 7della loro familiarità con tali armi. Ovviamente, anche in tal caso si procederà con la preventiva adozione del prescritto decreto interministeriale analogo a quello del 4 settembre scorso. Dello stock potranno far parte anche armi, munizioni controcarro e blindati in uso all'Esercito italiano e giudicati cedibili.
  Passando ora alla fase di supporto operativo, è all'esame il concorso all'operazione in Iraq, a partire dai prossimi giorni, con assetti e capacità che, in considerazione dell'andamento delle operazioni e dei contributi già resi disponibili dagli altri membri della coalizione, possono risultare più urgenti in questa fase.
  È stato, pertanto, già pianificato e si concretizzerà nei prossimi giorni l'invio di un velivolo KC-767 per il rifornimento in volo degli assetti aerei della coalizione, di due velivoli a pilotaggio remoto tipo Predator per la sorveglianza della regione e di una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione.
  Nelle prossime settimane potrà poi essere inviato personale per l'addestramento e la formazione delle forze che contrastano l'ISIS. Circa quest'ultimo possibile contributo, richiesto espressamente dalle autorità curde, si tratta di un totale di circa duecento militari, inclusi gli elementi di supporto, i quali andrebbero a operare nei luoghi concordati con le autorità irachene e i Paesi della coalizione, presumibilmente a Erbil. Sono destituite di fondamento, quindi, alcune anticipazioni che parlavano di un nostro impegno a Nassiriya.
  Peraltro, sono in arrivo in Italia alcuni militari curdi che verranno addestrati all'uso dei sistemi d'arma che abbiamo già ceduto loro.
  Successivamente potremo inserire nel teatro del personale con funzione di consigliere per gli alti comandi delle forze irachene, previsto in circa ottanta unità. In totale si sta pensando, quindi, a 280 persone.
  Infine, è in fase di pianificazione l'invio di altri assetti pilotati per la ricognizione aerea.
  Signori presidenti, onorevoli senatori, onorevoli deputati, ho ritenuto necessario fornire in apertura di questo mio intervento alcuni elementi relativi a quello che oggi si è autoproclamato Stato islamico per sottolineare la peculiarità di questo gruppo estremista, elementi che troveranno maggiore approfondimento da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Come detto, questa entità nasce, si sviluppa e conduce la sua feroce guerra senza regole soprattutto contro le altre componenti di fede islamica presenti in Iraq e in Siria, oltre che contro le minoranze non musulmane. Per questo motivo ritengo di straordinaria importanza la decisa presa di posizione di centinaia di ecclesiastici sunniti in tutto il mondo – non so se si parli di ecclesiastici nel caso dei sunniti, ma va bene così; diciamo di religiosi sunniti – i quali hanno pubblicamente e apertamente sconfessato la natura religiosa di tale movimento, rivolgendogli per contro l'accusa di essere un gruppo esclusivamente terroristico.
  È questa l'unica via per sconfiggere nel tempo questo genere di estremismi, che utilizzano strumentalmente il precetto religioso contro le sue stesse regole. È fondamentale, quindi, che la coalizione internazionale che opera contro lo Stato islamico veda attivamente coinvolti tanti Paesi islamici, anche con nette maggioranze sunnite.
  D'altra parte, la violenza militare con cui i terroristi stanno procedendo impone anche una risposta di questa natura, perché essi ben difficilmente si lasceranno intimidire dal pronunciamento dei leader religiosi o dalle pubbliche opinioni. Di fronte ai massacri di gente inerme non abbiamo la possibilità di voltarci dall'altra parte. Abbiamo un dovere morale di reagire e una necessità razionale per farlo, perché lo Stato islamico non può progredire oltre nella sua espansione territoriale.
  Per questo il Governo considera necessario continuare a contribuire alla vasta coalizione internazionale con le ulteriori misure di cui ho parlato oggi. Tali misure dovranno essere necessariamente aggiornate Pag. 8in funzione dell'effettiva evoluzione della crisi e dei suoi riflessi su altri Paesi dell'area mediorientale e di quelle contermini.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ministro.
  Ascoltiamo adesso la relazione del Sottosegretario agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, senatore Benedetto Della Vedova.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale. Grazie, presidente e colleghi. A complemento dell'esaustiva esposizione del Ministro Pinotti vorrei fornire alcune informazioni aggiuntive su un quadro regionale funestato dalla minaccia dell'ISIS e di altri gruppi terroristici radicati in Siria e in Iraq, i quali rappresentano una minaccia che va ben oltre la regione mediorientale, fino a interessare l'Europa e l'Italia.
  Nel prender parte sin dall'inizio alla mobilitazione della comunità internazionale per contenere l'avanzata dell'ISIS, il Presidente del Consiglio e il Ministro Mogherini hanno da subito perseguito un approccio di risposta alla crisi che fosse innanzitutto di carattere multidimensionale, comprendente misure non solo militari, ma anche di sostegno politico, di comunicazione pubblica, di contrasto ai flussi di combattenti stranieri e al loro finanziamento, di coordinamento informativo, umanitario, di cooperazione nel settore educativo, di promozione delle opportunità di sviluppo economico e sociale; in secondo luogo fondato sull'assunzione di concrete responsabilità da parte dei Paesi della regione; in terzo luogo pragmatico, nel tenere conto delle specificità e delle diverse realtà sul terreno; infine, informato al concetto di unicità del teatro siro-iracheno, viste le caratteristiche di mobilità e rapida capacità di adattamento dimostrate dallo Stato islamico.
  In questo approccio siamo stati guidati dalla considerazione che la frammentazione e il vuoto politico emersi nelle diverse crisi regionali hanno costituito terreno fertile per il radicamento e lo sviluppo del movimento terrorista. Quest'ultimo ha trovato poi ulteriore alimento nelle divisioni e rivalità regionali, che gli hanno permesso di crescere e prosperare.
  Su queste premesse abbiamo sin dall'inizio sostenuto la necessità di un'azione mirata non solo al contrasto diretto, ma anche alla ricostituzione di equilibri politico-sociali realistici e sostenibili nei singoli Paesi.
  Partendo da Iraq e Siria, riteniamo essenziale il coinvolgimento dei principali attori regionali nella ricerca di assetti stabili e accettabili per tutte le componenti etnico-religiose della regione, trovando nella nuova emergenza securitaria il motivo per mettere da parte rivalità inveterate e nefaste.
  Negli appuntamenti internazionali ad hoc in cui siamo intervenuti – quali la riunione ministeriale a margine del vertice NATO di Celtic Manor del 5 settembre, la Conferenza di Parigi sull'Iraq del 15 settembre, la sessione del Consiglio di sicurezza del 19 settembre e quella successiva sui foreign fighters del 24 settembre presieduta dal presidente Obama – ci siamo fatti portavoce di queste esigenze, assicurando il nostro sostegno alla partnership internazionale e fornendo, al tempo stesso, il nostro contributo per rafforzare le prospettive di stabilizzazione regionale.
  Parallelamente dobbiamo affrontare una drammatica emergenza umanitaria che si estende dall'Iraq occidentale alla Siria nordorientale. In questo contesto, attraverso la cooperazione italiana, abbiamo prontamente risposto alla crisi in corso nel Kurdistan iracheno, avviando operazioni umanitarie per un totale di oltre 2 milioni di euro, di cui 980.000 per attività delle organizzazioni internazionali già presenti in loco (l'OMS, il PAM e l'UNICEF) nei settori della salute e sicurezza alimentare, acqua e protezione dei minori. Abbiamo anche predisposto sei voli umanitari per la consegna di beni umanitari (50 tonnellate di acqua e generi alimentari, 200 tende, 400 sacchi a pelo) per un importo complessivo di 125.000 dollari. L'importo rimanente di circa un Pag. 9milione di euro è stato utilizzato per finanziare la realizzazione di progetti a forte impatto sociale da parte di organizzazioni non governative italiane.
  Sono, inoltre, allo studio nel prossimo futuro ulteriori iniziative umanitarie, fino a 2 milioni di euro, equamente ripartiti tra canali bilaterali e multilaterali, modulate a seconda di come si evolverà la situazione sul terreno.
  In un'ottica di azione politica di respiro più ampio e in un orizzonte di medio-lungo termine, nelle ultime settimane il Presidente del Consiglio e il Ministro Mogherini stanno lavorando a tutto campo con Paesi dell'area, a partire dall'Iran e dalla Turchia per arrivare fino ai Paesi del Golfo, per incoraggiare le prospettive di un dialogo nella regione e sostenere i princìpi di inclusività, convivenza pacifica e rispetto per le diverse identità etnico-religiose.
  La nostra posizione, in conclusione, rappresentata in ogni occasione di dialogo e confronto sui temi regionali, resta ancorata, quindi, non solo alla necessità di sostenere lo sforzo contro ISIS attraverso una mirata azione sul terreno, sorretta da un affinamento della capacità di intelligence, ma soprattutto alla convinzione che la prospettiva finale, il cosiddetto end game, debba essere strettamente legata alla costruzione di un equilibrio regionale che tenga conto delle aspirazioni di tutti gli attori rilevanti negli scenari di crisi.
  Questo equilibrio, allo stato, come è evidente, non c’è ancora. Persiste, al contrario, la logica degli assi regionali contrapposti – l'asse filo-iraniano e l'opposto schieramento delle monarchie del Golfo – su cui si innestano le agende di attori particolarmente rilevanti a livello regionale, come la Turchia.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Della Vedova.
  Passiamo adesso agli interventi dei rappresentanti dei Gruppi, al termine dei quali naturalmente i rappresentanti del Governo potranno replicare.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZO AMENDOLA. Ringrazio il Ministro Pinotti e il Sottosegretario Della Vedova. Io credo che la discussione introdotta dalle esaurienti relazioni ci dica che ad agosto noi non ci siamo riuniti per un'emergenza, ma per discutere e analizzare uno dei fenomeni della storia moderna del Mediterraneo e del Medio Oriente che riguarda sia noi, che siamo esposti sulla frontiera, sia il destino della composizione pacifica di una regione che da troppi anni, come abbiamo discusso in queste sedi e in queste aule, è pervasa da assi che si contrappongono e da guerre per procura, in cui sono nati dei fenomeni e delle organizzazioni come Daesh.
  Non è un caso che il cuore della strategia totalitaria di pulizia etnica – che ha colpito innanzitutto le minoranze in Iraq e oggi, in Siria, la frontiera turca – è un'ideologia che nasce, si è alimentata e ha costruito dentro il mondo islamico uno scisma da quella religione di pace e un assetto militare che fa sì che, lungo le linee dei fiumi e di una mezzaluna mediorientale sconvolta negli ultimi tre anni, si costruisca un'idea di statualità, fattore inedito, che porta a vedere come un'organizzazione agisca sia sul livello simmetrico di uno Stato che dichiara guerra sia utilizzando la strategia del terrorismo, come avviene a Baghdad nelle ultime settimane.
  Per questo, non era emergenziale vedersi ad agosto in quanto il tema in questione è strategico per l'Unione europea e per lo stesso consesso delle Nazioni Unite, come i presidenti hanno ricordato poche settimane fa.
  Come Partito Democratico, sosteniamo e condividiamo sia le scelte del Governo, che da agosto ci portano in quell'alleanza costruita, in quella partnership e a successive importanti scelte non solo per il livello umanitario – penso anche alle dichiarazioni fatte qui dal Sottosegretario Della Vedova, dal Ministro Mogherini sulla Pag. 10frontiera turco-siriana – sia quelle relative all'invio di nuovi aiuti militari per la difesa di importante parte della regione.
  A Erbil apriremo anche un consolato. Ci saremo per difendere le frontiere di una lotta alla pulizia etnica. Dobbiamo essere chiari nel linguaggio. Lo dico perché si cede a volte a scivolate quasi autoassolutorie. Abbiamo – di fronte allo sfaldamento del Medioriente, alla statualità dittatoriale e di guerre per procure – la proposta, il disegno di un'organizzazione che si vuole fare Stato e in quella religione costruisce un'idea totalitaria di pulizia etnica che dobbiamo respingere. Non si può giustificare qualcosa che è contro la natura e i valori dell'umanità che difendiamo.
  Facendo questo dobbiamo anche chiedere qualcosa di più. Nel sostenere questo Governo, chiediamo anche che ci sia un salto politico e strategico dentro la coalizione. Ci siamo mossi bene prima col vertice della NATO, poi con la Dichiarazione di Gedda, la Conferenza di Parigi, le risoluzioni dell'ONU n. 2170 e n. 2178, che hanno costruito un quadro di riferimento, ma sappiamo che per quel nemico e per quell'idea di dissoluzione del Medioriente serve anche un'idea strategica della coalizione che il nostro Governo può chiedere agli alleati.
  È evidente che il cuore di quell'organizzazione è la Siria dei 200.000 morti e più di una guerra civile. Sappiamo benissimo che una risoluzione ONU che si muova anche all'interno del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite ha bisogno di discutere sul futuro, ossia come noi tramite questa lotta vogliamo ricostruire un'idea di convivenza e affrontare dei nodi non solo con gli alleati storici di quest'alleanza – penso alla Turchia e alle ambiguità che ha perseguìto negli ultimi mesi – ma anche sui terreni di grande scontro che hanno fatto sì che quell'organizzazione si alimentasse. La capitale Raqqa è nella Siria dissolta e distrutta da quegli assi che si sono contrapposti e che fanno sì che una guerra per procura possa far rischiare una dissoluzione dal Libano alla Giordania e fino all'Iraq.
  Per questo parlo di un salto di qualità. Nella responsabilità e nella condivisione delle scelte che la coalizione porta avanti, dobbiamo chiedere anche qualcosa di più di analisi strategica, ovviamente di investimento in aiuti umanitari e militari, per far sì che quest'organizzazione sia debellata nell'interesse stesso della regione, non solo nell'interesse europeo o dell'umanità.
  Per fare questo la fiducia nel Governo è che i passi siano successivi. Più siamo credibili e condividiamo gli obiettivi, più possiamo chiedere alla coalizione, all'alleanza, alla partnership, alle Nazioni Unite una scelta successiva.
  Mi permetto anche di sottolineare che credo sia giusta la scelta della Giordania. È un Paese esposto, un tradizionale alleato per la lotta per la pace e la convivenza civile che abbiamo fatto bene a sostenere nell'ultimo «decreto missioni». È esposto su una frontiera che potrebbe essere l'ulteriore punto di attacco di quest'organizzazione totalitaria terroristica.
  Il piano di sostegno al Governo, quindi, riguarda un'azione che sarà modulare. Penso, purtroppo, che ci incontreremo più volte a discutere di questo elemento e anche di un fenomeno che lega l'Italia alla grande emergenza della Libia, su cui gli stessi toni, le stesse idee di superamento delle cosiddette primavere arabe o di operazioni militari portate avanti nel passato senza strategia politica potranno determinare gli stessi effetti.
  Per questo il sostegno del Partito Democratico alle scelte di agosto e a quelle che conduciamo avanti oggi e nelle prossime settimane sarà pieno, anche per andare oltre e tentare in questa coalizione di avere un livello politico più complesso, più analizzato, che sia più appropriato sul terreno.
  Certo, elementi positivi sono presenti.
  Concludo sottolineando come l'incontro di domani in Italia con i partner europei tra Putin e Poroshenko costituisca la giusta via per affrontare il quadro di preoccupazioni che abbiamo. Speriamo che quell'incontro, così come le prossime elezioni in Ucraina, diano dei segnali positivi.Pag. 11
  È la via politica che segue. Nel quadro mediorientale, però, oltre alla via politica, per tenere unita la coalizione e per dare una forza in più, bisogna anche assumersi alcune responsabilità nell'emergenza, come quella della difesa dalla pulizia etnica di quest'organizzazione che non ha a che fare né con la religione, né coi valori che difendiamo.

  PIER FERDINANDO CASINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Sarò breve, anche perché mi sembra che dall'introduzione del Ministro, del Sottosegretario e dal quadro, che condivido pienamente, fatto adesso dall'onorevole Amendola, emerga sostanzialmente – almeno per quanto riguarda la maggioranza, ma penso non solo quella – un'ampia unità nelle valutazioni su una situazione internazionale che viviamo nel disinteresse generale del nostro Paese. Come negli altri Paesi, da noi non si parla di questi temi, che sono fondamentali per il nostro futuro.
  Ieri, in un incontro a Ginevra in sede interparlamentare, la vicepresidente del Parlamento degli Emirati Arabi ha evidenziato come la questione non riguardi solo l'Oriente, ma noi non meno che loro. Ha osservato anche che quella è una mina pronta a esplodere e costruita per esplodere in Occidente, ribaltando i vecchi equilibri.
  Dunque, pur nel disinteresse generale, abbiamo il dovere nei confronti dell'opinione pubblica di tenere alta la sensibilizzazione e la consapevolezza dei rischi, perché siamo in un mondo globale. Nello stesso tempo, dobbiamo dare un segno di cosa sia la politica italiana.
  L'Italia ha una politica su questo punto. Ce l'ha avuta nella continuità. Il collega Amendola ha concluso il suo intervento parlando dell'incontro di Poroshenko con Putin, tuttavia nella politica italiana nei confronti della Russia c’è stata continuità sia con il Governo Berlusconi, sia con il Governo Prodi, sia con quelli successivi.
  È per questo che siamo anche – in questo caso, naturalmente parlo a titolo personale – un po’ preoccupati di una certa deriva. La politica di vicinato con la Russia non può essere condotta con le logiche della nostalgia nei confronti della Guerra fredda, che è passata.
  Pratica di Mare aveva rappresentato il fondamentale tentativo dell'Occidente di associare alla NATO, costruita per fronteggiare l'Unione Sovietica, un rapporto di buon vicinato tra la nostra organizzazione militare e la Russia. Bisogna andare avanti su quella strada, perché la nostalgia della Guerra fredda non ci porta da nessuna parte.
  Ieri, durante l'incontro interparlamentare a Ginevra, abbiamo incontrato con i colleghi del Movimento 5 Stelle e con l'onorevole Farina del Partito Democratico diversi attori dell'area: libanesi, siriani (in merito, non so quanto sia stato forte il processo democratico in Siria, lo lascio immaginare a tutti. In ogni caso, erano lì in rappresentanza del Parlamento), giordani e degli Emirati Arabi.
  Dico solo, per condividere un'informazione, che i siriani hanno avuto buono spazio nel dirci che avevamo sostenuto che Assad amplificava i rischi di terrorismo ed è successo quello che vediamo e che i turchi girano indisturbati per i territori occupati dall'ISIS e che a Kobane sono fermi e non intervengono. Il groviglio di contraddizioni, al di là di chi le fa notare, è enorme. Pensate a chi ha finanziato in funzione anti-Assad una certa presenza dell'ISIS e oggi si trova ad avere paura di esserne la prossima vittima. Pensiamo a tanti che sono dalle parti dell'Arabia Saudita. Ci sono, dunque, tante contraddizioni.
  Penso che quello che il sottoscritto e il presidente Cicchitto hanno evidenziato nei giorni scorsi, cioè la necessità di un coinvolgimento maggiore dell'ONU, rimanga fortemente in campo. L'ONU ha fatto le risoluzioni n. 2170 e n. 2178 ma non c’è un coinvolgimento pieno come penso sarebbe necessario da parte delle Nazioni Unite.
  Penso che l'Italia – sia con la sua politica di difesa, sia con quella estera – debba richiedere una sensibilità maggiore Pag. 12delle Nazioni Unite e un impegno più forte. Quello nei confronti dello Stato islamico è un contrasto di civiltà. Qui non c'entrano le guerre di religione, come voi tutti sapete meglio di me.
  Penso, in relazione a quanto annunciato dal Ministro della difesa, che il Governo italiano faccia benissimo a fare questo. Può fare anche altro. Penso che sia un nostro dovere. Il resto sarebbe una diserzione, oltretutto inconsapevole. La consapevolezza deve, invece, portarci a capire i rischi che su questa vicenda l'Occidente e l'Europa rischiano di subire in prima persona.

  MASSIMO ARTINI. Ringrazio il presidente, il Ministro e il Sottosegretario.
  La riflessione che mi veniva da fare rispetto alle relazioni di entrambi i membri del Governo riguarda proprio quanto hanno evidenziato sia il collega Amendola, sia il presidente Casini, ossia l'ambito di riconoscimento da parte delle Nazioni Unite rispetto a questo tipo di azione. Soprattutto, il Ministro ha fatto un quadro abbastanza dettagliato e preciso di quello che dovrebbe essere l'impegno militare italiano nella zona, il numero di uomini, i mezzi e i trasferimenti eventuali di ulteriori armi.
  Ritengo e penso sia opinione condivisa che quest'iniziativa non debba esaurirsi in una mera comunicazione, anche se su questo da parte del Ministro bisogna ammettere che la volontà di comunicare quest'informazione al Parlamento è abbastanza puntuale. Deve, però, esserci un passaggio parlamentare che autorizzi la presenza su quel territorio.
  Non si sta parlando, infatti, di una missione, di una figura, di un'unità o di pochissime unità, ma di una presenza molto più elevata di quella dell'attuale presenza in Libia, molto più di tutte le altre situazioni che hanno una copertura o da parte dell'Unione europea o da parte dell'ONU. La domanda che pongo al Ministro è, dunque, se ci sia o se senta la necessità di un passaggio parlamentare che autorizzi questa determinata situazione.
  Lei ha parlato, ad esempio, di trasferire non solamente armi leggere o, comunque, mitragliatrici e munizionamento, ma anche mezzi pesanti, cosa che il 20 agosto non era stata nemmeno paventata. Soprattutto, mi viene da pensare anche a un suo spunto che non era all'ordine del giorno, ossia al ragionamento sull'Afghanistan.
  La missione in Afghanistan, come ISAF, è al termine. Siamo agli sgoccioli anche del termine materiale per poter far rientrare, eventualmente, i mezzi qualora non ci fosse un'approvazione da parte del Parlamento per la «Resolute Support». Non siamo distanti neanche 10-15 giorni da quel termine fisico.
  La domanda che le pongo e pongo anche al Sottosegretario Della Vedova è la seguente: ha senso, o ha senso nei termini in cui la NATO ce lo impone, mantenere la presenza in Afghanistan quando le problematiche – il Ministro ha ricordato la Libia, ma anche la situazione dell'ISIS – ci portano considerazioni diverse ? Può essere un momento per l'Italia di assumersi la responsabilità di dire che l'Afghanistan non è più una priorità, per quanto tendenzialmente non lo sia mai stata, anche a giudicare un po’ dai risultati ?
  Ha senso prendere il coraggio e dire che quella missione va terminata completamente, che non deve esserci una presenza italiana, perché eventualmente i nostri interessi sono da concentrare da un'altra parte ? Quanto alla problematica dello Stato islamico, basta vedere la situazione tesa di Erbil, quella critica di Kobane e della parte anche del Rojava che sta comunque per essere attaccato. Ha senso valutare quel tipo di problema ? Il presidente Casini riportava che il problema non è esclusivamente di quell'area mediorientale, ma si riflette direttamente nelle nostre aree.
  A tal proposito, vorrei chiedere al Sottosegretario Della Vedova se a livello europeo, in merito alla problematica trattata anche molto bene durante l'Assemblea NATO dei Foreign Fighters, sono andati avanti dei passaggi in merito al riconoscimento della tracciabilità di chi, tramite Pag. 13voli aerei e pernottamenti, ha modo di essere «gestito» nel suo percorso di stazionamento in Europa. Effettivamente, è un problema robusto il fatto di poter controllare questa situazione, perché ci troviamo persone che vengono da quella regione e che hanno questo tipo di passaporto e di possibilità di entrare in Europa.
  Un ulteriore spunto riguarda un problema nato proprio in queste ultime ore. Pare che l’Islamic State stia utilizzando armi chimiche e anche radiologiche o, comunque, bombe atomiche sporche, create per attaccare direttamente civili e zone soprattutto nella parte curda di Kobane: esiste l'intenzione di pensare a sistemi NBC (nucleari, biologici, chimici) o anche tute o sistemi che possano proteggere o, comunque, aiutare la sicurezza delle persone e dei civili presenti nella zona ?
  Infine, il Ministro ha parlato di due Predator che dovrebbero essere utilizzati a livello di intelligence nella zona: siccome non ne abbiamo in quantità illimitata, volevo chiedere da dove saranno trasferiti. Posso immaginare che debbano essere presi dall'Afghanistan: a quel punto, che senso ha quella missione se togliamo anche – continuo a ribadirlo – quel tipo di strumento ?

  NICOLA LATORRE, Presidente della 4a Commissione del Senato della Repubblica. Interverrò molto rapidamente, perché su gran parte delle cose che sono state dette sono d'accordo, in particolare ovviamente con le comunicazioni e l'impianto, con l'impostazione che ci propone il Governo, che vorrei dire si muove rigorosamente nell'alveo delle decisioni già prese da questa e da queste Commissioni con un voto ad agosto sulle risoluzioni. Fin quando, quindi, ci si muoverà in questa cornice, non mi pare che sia necessario un voto del Parlamento. Naturalmente, qualora l'evoluzione della vicenda imponga un passaggio a un'altra fase o, addirittura, a una partecipazione diretta nel conflitto, è chiaro che dovremmo anche svolgere un dibattito parlamentare, come impone la Costituzione.
  Credo che sia da apprezzare l'iniziativa del Governo perché ha ritenuto preventivamente di svolgere questa comunicazione e credo che si possa assolutamente andare avanti sulla strada qui proposta.
  Vorrei introdurre un ulteriore elemento di riflessione. È chiaro che siamo di fronte a una vicenda che sarà lunga, faticosa e problematica, come mi pare abbastanza acclarato. Del resto, anche nel recente vertice che si è svolto a Washington mi pare che questi elementi siano emersi con estrema chiarezza e consapevolezza.
  Dunque, l'elemento di riflessione ulteriore che vorrei proporre, di cui appunto torneremo a discuterne, è che questa è una partita che certamente richiede un forte impegno militare. Certamente, è una vicenda che ci riguarda e che si porterà auspicabilmente a conclusione a due condizioni. La prima è che ci sia una rotta politica chiara. Dobbiamo avere anche una strategia politica accanto a quella militare in questa vicenda, e dunque mettere in campo anche un'iniziativa politica in sintonia con questa prospettiva strategica.
  Sono state dette alcune cose, ma forse alcune vanno esplicitate con ancora più chiarezza, probabilmente in una discussione successiva, avendo anche il coraggio di dire, per esempio, riprendendo una riflessione qui svolta, che la priorità ormai in Siria è non, come chiede la Turchia, l'immediata caduta di Assad, ma la fine dalla guerra civile e, successivamente, un sostegno serio all'opposizione moderata anche da parte dell'Occidente.
  Va detto con ancora maggiore chiarezza che forse, sugli accordi nucleari con l'Iran, è il caso di stringere i tempi per una conclusione e non rinviare ulteriormente, come che mi pare si stia prospettando in questi giorni. C’è un problema: si tratta di capire se in Iraq il nuovo Governo stia realmente superando i limiti del precedente nel coinvolgere i sunniti nella direzione politica e nella rappresentanza.
  Una serie di questioni politiche, compresa quest'ambiguità della Turchia, vanno Pag. 14chiarite. Non dimentichiamo neanche che la Turchia è un Paese membro della NATO. Sono tutti ingredienti di una riflessione politica seria che va fatta e che deve accompagnare un'iniziativa militare in cui l'Occidente deve fare la sua parte.
  È mia convinzione che questa guerra si vince – di questo si tratta – se le grandi potenze regionali dell'area diventeranno le principali protagoniste anche nello scontro militare. Non vorrei che si commettessero errori di valutazione, come quelli commessi in passato, per cui penso che l'iniziativa e l'approccio del Governo siano corretti, cauti, progressivi. Dobbiamo, però – in questo mi pare che ci siano anche delle opinioni che condivido – anche essere supportati da una forte iniziativa politica, che dovrà appunto chiarire in maniera più esplicita gli obiettivi su cui lavorare.
  Il tema è quello della stabilizzazione. Il vero problema dell'iniziativa dell'ISIS è che non è uno scontro di civiltà, una guerra religiosa: hanno sequestrato l'Islam ed è del tutto evidente che il primo nemico dell'ISIS sono i musulmani e che soltanto una larga unità di cattolici, musulmani, laici può vincere questa partita. È un progetto politico destabilizzante, che va arginato con la partita militare, ma anche con un'iniziativa politica che guarda alla stabilizzazione di quell'area. Da questo punto di vista, forse, occorre svolgere ulteriori elementi di riflessione e di chiarezza.

  ERASMO PALAZZOTTO. Penso che la complessità del contesto e la gravità della situazione in quella regione richiederebbero un intervento strategico che, partendo anche dagli errori del passato, viste anche le nostre responsabilità nell'esito e nella situazione attuale, provi a far superare quella crisi ridisegnando anche una nuova stagione per il Medioriente.
  Le informazioni che qui oggi il Governo viene a fornirci ci consegnano un quadro in cui di fatto abbiamo un graduale coinvolgimento in un nuovo conflitto in assenza anche di una visione strategica di cosa andiamo a fare precisamente lì. Lo scorso 20 agosto abbiamo autorizzato l'invio di armi ai peshmerga curdi. Oggi siamo qui a ricevere una comunicazione. Concordo con l'onorevole Artini che servirebbe un'altra autorizzazione.
  Se abbiamo votato un'autorizzazione per mandare delle armi che ci avanzavano, immagino che a maggior ragione serva un'autorizzazione del Parlamento per mandare uomini in un contesto così complesso, dove si sta combattendo, per quanto ufficiali addestratori. Penso che abbiamo bisogno anche di guardare a una possibile strategia.
  Non posso non far notare, come altri colleghi hanno fatto, come ha fatto il presidente Casini, l'assenza delle Nazioni Unite in questo momento. Al netto delle due risoluzioni di condanna dell'ISIS, non stanno svolgendo alcun ruolo. Non propongono alcuna soluzione. Credo che il nostro Paese dovrebbe preoccuparsi di più di far presente in sede di Nazioni Unite la necessità che l'ONU abbia un ruolo determinante nella possibile soluzione.
  L'altra grande assente, che credo rappresenti un problema a maggior ragione per l'Italia, che in questo momento esprime l'Alto Rappresentante della politica estera e di difesa, è una linea politica estera dell'Unione europea su questa vicenda. In questo momento, stiamo ragionando di come l'Italia, in maniera autonoma e scollegata dagli altri Paesi europei, interviene in questo conflitto senza che su questo vi sia una linea politica dell'Unione europea. Dovremmo aprire questo dibattito in sede di Unione europea.
  Concludo segnalando un'altra questione grave. Vorrei sottolineare il rischio che il nostro Paese si trovi trascinato suo malgrado in un conflitto: il comportamento che sta assumendo e che ha assunto la Turchia in questi giorni e in questi ultimi mesi è gravissimo, a maggior ragione se operato da un Paese con cui intratteniamo rapporti di cooperazione militare, economica e civile.
  È un comportamento gravissimo perché ha sostenuto e agevolato la nascita e la crescita dell'ISIS in funzione anti-Assad, continua a farlo permettendo che attraverso Pag. 15i suoi confini transitino foreign fighters, armamenti, miliziani che vanno a curarsi negli ospedali. Sta contribuendo all'assedio di Kobane, una delle roccaforti che in questo momento sta contrastando l'avanzata dell'ISIS.
  Tutto accade mentre dall'altra parte l'ISIS annuncia che, pur ringraziando la Turchia, come fa pubblicamente con alcuni comunicati fatti da combattenti dell'ISIS per l'aiuto dato, la Turchia sarà uno dei prossimi obiettivi. La mia domanda è la seguente: essendo la Turchia un membro della NATO, qualora subisse un attacco dall'ISIS, ci troveremmo coinvolti in funzione dell'articolo 5 della NATO, che richiede un intervento militare a difesa di uno Stato membro alla NATO ?
  È un problema che vorrei non sottovalutassimo. Ritengo che, davanti alla gravità di questa situazione e al rischio concreto che il nostro Paese si trovi coinvolto in un conflitto, serva un'informativa anche del Presidente del Consiglio davanti al Parlamento.
  La nostra sensazione è che questa situazione stia degenerando, stia sfuggendo di mano, mentre continuiamo ad avere un graduale trascinamento dentro questo conflitto. Sarebbe il caso che il Governo si assuma delle responsabilità in relazione alla decisione di entrare in un conflitto, con tutto quello che questo comporta anche dal punto di vista delle responsabilità, che mai ci siamo assunti rispetto alla scelta di entrare già nel conflitto in Iraq.

  FABRIZIO CICCHITTO, Presidente della III Commissione della Camera dei deputati. Sulla faccenda formale sono d'accordo con quanto ha detto il presidente Latorre. Siamo completamente nell'ambito della risoluzione approvata ad agosto, che parlava di aiuto umanitario e di supporto militare. Nell'espressione «supporto militare» è compreso sia l'invio di armi sia quello di istruttori. Il salto qualitativo avverrebbe se si trattasse, invece, di un intervento militare tout court. Da questo punto di vista, quindi, credo che non abbiamo un problema formale di questo tipo.
  Abbiamo dei problemi sostanziali enormi. Condivido le comunicazioni del Governo, ma reputo che ci sia, non già nel nostro Governo, ma nella comunità internazionale nel suo complesso, uno squilibrio pazzesco fra l'analisi e quello che si fa.
  L'analisi è estremamente drammatica e mette in evidenza che quello dell'ISIS è un salto di qualità, perché non è un terrorismo kamikaze, ma è un terrorismo che è diventato esercito, punta a essere uno Stato atipico e a fare una guerra simmetrica e asimmetrica.
  C’è uno squilibrio spaventoso tra quest'analisi e la situazione sul campo. Parliamoci chiaro: la responsabilità è in primo luogo degli Stati Uniti, ma anche di tutto il resto.
  Questo Occidente, che fa delle analisi così tragiche, poi, per un verso, dice di voler fare un'azione aerea (sappiamo che esistono volumi su volumi che spiegano i limiti dell'intervento con l'aviazione), ma dopo affida tutta la parte militare a questi disgraziati di peshmerga curdi.
  Per di più, come diceva poco fa l'onorevole Palazzotto, c’è il comportamento della Turchia, che mi ricorda – chiedo scusa – quello che fece l'Armata Rossa quando c'erano gli ebrei nel ghetto di Varsavia, ossia rimase ferma a vedere che cosa succedeva e se i nazisti li spazzavano via o meno.
  Questo è il punto drammatico che abbiamo davanti, rispetto al quale, secondo me, c’è una questione che coinvolge la coscienza di noi tutti.
  Come Commissione esteri, abbiamo incontrato alcune donne curde. Lì, peraltro, c’è una situazione straordinaria: c’è un intervento armato in cui le donne curde, insieme agli uomini, stanno in prima fila e sanno che cosa le aspetta nel caso in cui siano fatte prigioniere.
  Peraltro, la stampa, a proposito di una militare curda, ha indegnamente parlato di una kamikaze. Lei non era affatto una kamikaze. Lei era una persona che, di fronte alla prospettiva drammatica di diventare prigioniera, essere violentata e poi decapitata, ha scelto di morire insieme a Pag. 16dieci, quindici di quei criminali che stavano per farla prigioniera. Questa non è una cosa da kamikaze, ma è un'azione militare sul campo.
  Su questo, francamente, io interpello il Governo italiano. Noi, per quello che riguarda i curdi e il lato della Siria, che cosa facciamo ? Come solleviamo il problema rispetto alla Turchia, alla NATO e a questo nodo che va al di là di discorsi che, secondo me, lasciano il tempo che trovano ?
  C’è un dramma che interpella la coscienza oppure la viltà dell'Occidente e che va messo in evidenza, perché questo squilibrio fra analisi assolutamente drammatiche e giuste su cosa è l'ISIS e la divisione dei compiti fra chi bombarda (addirittura la Turchia ha bombardato truppe curde perché facevano capo al PKK) e chi interviene sul campo è assolutamente spaventoso e crea una drammatica contraddizione.
  Va benissimo quello che sta facendo il Governo. Tuttavia, voglio dire che il Governo italiano e tutti gli altri governi stanno un po’ sul terreno dell'ordinaria amministrazione in una situazione che è invece straordinaria.
  Io vorrei vedere come il mondo occidentale si guarderebbe in faccia rispetto a quello che è avvenuto a Srebrenica qualora l'ISIS sfondasse nella città di Kobane. Lì fortunatamente stanno tenendo, ma sono in una situazione in cui i turchi hanno addirittura ucciso una decina di curdi che protestavano.
  Secondo me è una questione gigantesca, che va posta in una logica nella quale se c’è la contrapposizione a un fenomeno straordinario come questo, bisogna che ci sia un rapporto tra l'analisi e quello che si fa. Questa, per me, è la cosa fondamentale.
  Quanto all'altro tema, io e il presidente Casini abbiamo scritto un articolo che in sostanza pone un problema: se ci deve essere un salto di qualità sul terreno militare, questo deve essere fatto dall'ONU, altrimenti andiamo incontro a dei grandi pasticci. Si deve evitare nel modo più assoluto che possa esserci il benché minimo accenno di guerra di religione, anche perché la guerra di religione, in effetti, la stanno facendo gli altri, sia al loro interno che nei confronti degli altri.
  Per quello che riguarda invece la vicenda ucraina-russa, io dico solo una cosa: va benissimo lo spirito di Pratica di Mare; secondo me, è la Russia che è venuta meno a quello spirito e ha in testa non tanto la Guerra fredda, quanto un problema imperiale di Grande Russia, che determina delle questioni abbastanza rilevanti.
  Tuttavia, in questo momento, francamente – lo dico perché io sto sempre sul punto, sia quando sono d'accordo sia quando sono in dissenso – non la reputo la questione principale e fondamentale.
  Reputo principale l'aspetto di cui parlavo prima e pregherei il Governo, il Ministro della difesa, il Ministro degli esteri e il Presidente del Consiglio di non affrontarlo stando dietro a un tran tran in cui si riflettono tutte le contraddizioni e tutti gli errori, specialmente degli Stati Uniti, perché questo tran tran è contraddetto dall'analisi che facciamo e da quello che sta avvenendo sul campo.
  Lo ripeto, io non vorrei che un giorno ci svegliassimo e sentissimo dalla televisione che a Kobane l'ISIS ha sfondato e sta massacrando donne e uomini curdi.

  AUGUSTO MINZOLINI. Sono d'accordo con quanto è stato detto sia dal collega Amendola, sia dai colleghi Casini, Cicchitto e, per alcuni versi, dal collega Artini.
  Parto da un presupposto: secondo me, non c’è una consapevolezza reale dell'emergenza. C’è l'impegno morale e il presidente Cicchitto è stato bravissimo nell'esprimerlo. Tuttavia, noi dobbiamo partire da un presupposto. Tenendo conto di quello che noi abbiamo fatto in Afghanistan, secondo me, due vicende sono prioritarie e riguardano un'emergenza addirittura continentale per l'Europa: una è la Siria e l'altra la Libia. Noi dobbiamo ragionare e partire da lì.
  All'interno di queste emergenze, che ci coinvolgono direttamente, perché di fatto stanno sui nostri confini, l'emergenza Italia Pag. 17è ancora più importante. Noi avremo delle conseguenze, in assoluto, se aumenteranno i flussi di profughi. Se per caso il Libano salta o se la Libia esplode, arriveranno tutti da noi.
  Pertanto, è inutile che noi ci giriamo intorno. Mentre abbiamo dato la nostra solidarietà (l'elenco che ha fatto il Ministro della difesa lo dimostra ancora oggi) su tanti scacchieri che non ci riguardavano, questo è un problema che ci riguarda in prima persona, con delle tipologie completamente diverse.
  Mi spiego facendo un raccordo con l'Afghanistan. Lì c'era uno Stato sovrano che ha ospitato dei terroristi. Qui abbiamo dei terroristi che si fanno Stato. Questo cambia completamente lo schema d'intervento. Di conseguenza, credo che per alcuni versi dovremmo fare ancora di più.
  Su questo sono d'accordo con il presidente Cicchitto: noi non possiamo immaginare di trattare questa vicenda come se fosse una delle vicende che abbiamo affrontato ultimamente. Non è né la vicenda irachena di Saddam né quella afgana. È una vicenda completamente nuova.
  Questo ci porta, quindi, a ragionare anche in termini di priorità. Secondo me, per quello che noi possiamo fare, i riti sono importanti. A differenza di quello che dicono loro – in questo non sono d'accordo – io credo che sia importante fare un dibattito su questo. Io sono d'accordo con l'onorevole Artini e, quindi, anche con il rappresentante di SEL.
  Nell'opinione pubblica internazionale io vedo una sorta di indifferenza. Hanno sbagliato gli Stati Uniti perché hanno sottovalutato la cosa, ma stiamo sbagliando pure noi. Richiamare l'attenzione su questo tema, in un Paese che, di fatto, è coinvolto in prima persona, secondo me è importante.
  La seconda cosa che dobbiamo fare – su questo sono d'accordo – è trovare delle priorità nell'intervento. Noi siamo in una fase problematica dal punto di vista delle risorse. Non possiamo continuare a spanderci così per il mondo, perché una cosa di questo tipo non ci aiuta. Oltretutto, non riusciamo neanche a dare l'idea di qual è la nostra politica estera.
  Su questo io sono d'accordo, noi dobbiamo tornare a modulare nuovamente l'intervento che facciamo a livello internazionale, che ci espone molto sia dal punto di vista delle risorse finanziare che dal punto di vista delle risorse umane, rispetto alla nostra politica estera, tenendo conto che abbiamo in primo luogo l'Iraq e la Siria e dall'altra parte la Libia.
  Facendo così, secondo me, in ogni caso ricreiamo le condizioni per avere una consapevolezza come nazione di tutto questo.
  La terza questione riguarda anche il quadro generale: è evidente che se noi diamo queste priorità, dobbiamo pure avere un atteggiamento diverso rispetto alla crisi russa-ucraina. Noi dobbiamo tener conto che dobbiamo far capire ai nostri alleati che in questo momento le priorità sono queste. Lì c’è bisogno di più diplomazia. Mentre la vicenda iracheno-siriana è molto militare, lì dobbiamo farlo, perché non possiamo avere diecimila fronti aperti.
  La stessa cosa vale per quanto riguarda l'Iran. Ha ragione il presidente Casini quando dice che dobbiamo risolvere il problema nucleare, perché continuiamo a tenerci in piedi questo caso, sapendo che in quello scacchiere, che per noi è prioritario, il ruolo dell'Iran può essere preponderante.
  Inoltre, dobbiamo assolutamente affrontare la questione turca. L'atteggiamento della Turchia è inaccettabile. L'unico strumento che, secondo me, noi potremmo utilizzare è la NATO. A questo punto si può chiedere un vertice NATO che affronti la questione. Non è vero che la vicenda dell'ISIS non coinvolga il nostro sistema, però c’è un problema di fondo: bisogna capire se la Turchia è ancora all'interno di questo schema, da cui ha ricevuto e continua a ricevere molto, o se invece la situazione è un'altra.
  Secondo me, questo è l'unico modo che noi abbiamo per riuscire a fare pressioni efficaci, tenendo conto che lì ci sono delle Pag. 18realtà etnico-religiose, che conoscete benissimo, che vanno avanti da anni e che non ci portano da nessuna parte.

  MARIO MARAZZITI. Mi sembra che, come hanno detto altri colleghi, non solo siamo in una situazione di dimensioni straordinarie, ma siamo di fronte anche a un cambiamento che io ritengo epocale.
  Ringrazio il Ministro Pinotti e il Sottosegretario Della Vedova per l'informazione puntuale sulla nostra azione. Io credo che sia un'azione nella direzione giusta, ma ritengo senz'altro che Italia, Europa e resto del mondo siano agli inizi e che ci sia una sproporzione – concordo con il presidente Cicchitto – tra la valutazione della situazione e l'intervento reale.
  Siamo a un cambiamento epocale, perché stiamo assistendo alla riscrittura dei confini Sykes-Picot. Stiamo assistendo alla riscrittura degli equilibri nell'intero mondo arabo-islamico della zona mesopotamica e mediterranea. Siamo di fronte a una guerra per l'egemonia nel mondo sunnita. Siamo di fronte alla prima volta in cui il terrorismo islamista radicale si fa Stato.
  Siamo di fronte alla prima guerra mediatica all'interno della guerra, il cui utilizzo sofisticato non è fatto da uno Stato. Attraverso un uso del terrore e dell'orrore, si creano reazioni automatiche nel campo occidentale e se ne fa un utilizzo tale da poter aumentare forza e potere all'interno del mondo islamico.
  Siamo di fronte a una crisi di dimensioni tali che non è esagerato definire «terza guerra mondiale a frammenti». Di fronte a una situazione di questo tipo, la risposta sul campo è effettivamente modesta.
  Io credo che la risposta che occorre dare debba partire da una comprensione della gravità complessiva della crisi. Qual è la battaglia in campo ? È la battaglia per il raggiungimento dell'egemonia nel mondo islamico. L'Occidente è obiettivo secondario, ma fortemente mediatizzato, per accelerare il rafforzamento dell'egemonia e la capacità di attrazione del mondo islamico.
  Credo che in questa situazione noi stiamo scontando errori perpetuati in maniera prolungata: l'implosione della Libia, provocata dall'Occidente e non naturale; la disgregazione dell'Iraq, in cui l'Occidente purtroppo ha avuto un ruolo totalmente rilevante e poco funzionale al raggiungimento degli obiettivi di stabilità dell'area; e la crisi siriana, che ha visto tre anni d'incoraggiamento e innalzamento dello scontro militare, quando potenze regionali dell'area o del mondo arabo-islamico hanno cercato di trarne dei vantaggi. Mi riferisco al Qatar, alla Turchia e, in modo diverso, alla Giordania.
  Mi scuso per essermi dilungato, ma sarò breve nella seconda parte del mio intervento.
  Quello dell'ISIS è un problema gigantesco e centrale. Il Ministro Pinotti diceva che l'ISIS controlla i pozzi di petrolio e fa tassazione, quindi controlla il territorio. Il petrolio, se nessuno lo compra, è solo qualcosa di pesante. Il petrolio, essendo una cosa voluminosa, è fortemente tracciabile. Dunque, il petrolio è comprato da potenze dell'area.
  A questo proposito, arriviamo al problema delle complicità e delle ambivalenze. In questo momento la più evidente è quella della Turchia. Il problema è che tutte le potenze dell'area, in forma diversa, hanno cercato di trarne dei vantaggi, destabilizzando e pensando di prendere dei pezzi di Siria e, poi, in altro modo.
  A questo punto, la soluzione, anche militare, purtroppo non può essere quella semplice dei curdi peshmerga. C’è il problema delle potenze arabe dell'area.
  Mi sembra che la nascita dell'alleanza internazionale sia un fatto importante e positivo. I soggetti finora coinvolti prevalentemente a sostegno di queste forze destabilizzanti, oggi stanno entrando a far parte di questa alleanza.
  Ciononostante, occorre una grande iniziativa politica. Infatti, gli Stati che ho appena nominato non saranno fino in fondo parte dell'alleanza nei modi resi Pag. 19necessari dalla situazione eccezionale in cui ci troviamo se non c’è una grande iniziativa politica europea, americana, mondiale o delle Nazioni Unite e se non c’è un lavoro nella NATO, affinché ognuno controlli l'altro ed eviti le ambivalenze, in modo da diventare efficaci.
  Il tempo è il fattore decisivo, perché Kobane può cadere fra qualche giorno.
  Credo che, in questa situazione, noi dobbiamo dare conferme. Io non sento la necessità di un dibattito parlamentare su questo perché non mi sembra che stiamo andando verso un'escalation di intervento che lo ritenga necessario.
  Peraltro, temo un dibattito parlamentare, perché sono appena reduce da un dibattito sull'immigrazione che è stato molto strumentalizzato da alcune forze politiche, per esempio dalla Lega Nord. Siamo in un'emergenza mondiale, cambia la storia del mondo e si parla dell'immigrazione nel Mediterraneo come se ci fosse un cattivone che volesse venire nel Bengodi italiano.
  Capirete che dobbiamo fare cose serie. In questa situazione, c’è un'idea che ritengo strategica. Innanzitutto, c’è una questione morale. Noi abbiamo fatto un'audizione con i cristiani e le minoranze della Piana di Ninive, oggi sfollati, a causa dell'ISIS, in Kurdistan. Sono 130.000 nuovi profughi, c’è l'inverno e non hanno dove dormire. L'Europa che fa ? Noi che facciamo ?
  Occorre un impegno diretto. È giusto il consolato a Erbil, ma noi dobbiamo aiutare questa gente in maniera seria per sopravvivere durante questo inverno, con tende, coperte, cibo e soprattutto container, perché altrimenti non ci saranno più le minoranze religiose in quell'area. Cambieranno duemila anni di storia.
  Per questo motivo, io sono d'accordo con la drammaticità dell'intervento del presidente Cicchitto e anche degli altri. Non possiamo ascoltare chi dice: «Poveri cristiani, povere minoranze perseguitate». Quelli sono 130.000 ma ce ne sono già 1,5 milioni. Non ci saranno più, perché giustamente vogliono scappare.
  Almeno, guadagniamo tempo. Vincano l'inverno e vediamo se nel frattempo cambierà qualcosa e ci sarà una situazione diversa in primavera, se non avremo perso questa battaglia epocale.
  In conclusione, io credo che l'azione umanitaria sia urgente. Per quanto riguarda l'azione militare, io credo che dobbiamo ottenere, con una forte azione politica, che i soggetti, soprattutto arabi, dell'area si prendano delle responsabilità in una nuova alleanza dei moderati contro l'ISIS.
  Tuttavia, senza una soluzione per la Siria, tutto questo non reggerà. Per esempio, adesso a nord di Aleppo noi abbiamo Marea, che è un altro punto come Kobane. La linea del fronte è dentro Aleppo. Se l'ISIS sfonda a Marea, prende tutta Aleppo. A quel punto, questa situazione creerà un fatto nuovo e radicale definitivo, perché le sue dimensioni avranno una conseguenza estrema.
  Per la Siria dobbiamo pensare a qualcosa che vada nella direzione di recuperare i gruppi armati non jihadisti all'interno di un percorso di negoziato per la fine della guerra in quel Paese. Siccome non è possibile farlo su tutto il territorio della Siria, bisogna intanto lavorare a questa alleanza su settori strategici locali della Siria, perché questo possa diventare la base del negoziato complessivo, isolando jihadisti e ISIS.
  I combattenti laici non jihadisti sul terreno non faranno questo se non sentiranno un Occidente schierato per questa soluzione politica, perché nel momento in cui mostrassero la disponibilità a una trattativa verrebbero massacrati dai più forti jihadisti dell'ISIS. Occorre, quindi, un sostegno reale dentro questa cornice, per giungere ad accordi separati.
  Credo che in questa direzione, essendo cambiato tutto nell'area, occorra un approccio completamente diverso, cioè abbiamo bisogno di tutti gli attori. È fondamentale l'incontro del Presidente Renzi con Poroshenko e con Putin, perché dobbiamo recuperare la Russia al più presto. Pag. 20È altrettanto fondamentale risolvere il problema dell'Iran, perché dobbiamo raccogliere anche quell'attore nell'area.
  In questa situazione, credo che l'Italia abbia le idee chiare. Non ha tutta la forza, ma dobbiamo lavorare in questa direzione.

  PRESIDENTE. Con l'intervento dell'onorevole Marazziti, sono intervenuti i rappresentanti di tutti i Gruppi che l'hanno richiesto.
  Ringrazio i numerosi colleghi che erano iscritti a parlare e che hanno acconsentito a rinunciare per ascoltare il Ministro Pinotti prima che in Aula inizino le votazioni.
  Ha chiesto però di intervenire l'onorevole Manciulli e, naturalmente, ne ha facoltà.

  ANDREA MANCIULLI. Visto che è stata chiamata molte volte in causa la NATO, io mi sento di intervenire.
  Sinceramente sono d'accordo con molte delle cose che sono state dette, mentre con altre non sono d'accordo. Siccome il Ministro giustamente deve andare via, le dirò con precisione.

  PRESIDENTE. Ci sono le votazioni in Aula. Il Ministro mi aveva dato la disponibilità a continuare.

  ANDREA MANCIULLI. Sarò rapido.

  PRESIDENTE. Devo dare atto al Ministro della disponibilità.

  ANDREA MANCIULLI. È corretto dire che non c’è una giusta consapevolezza ? Sì. L'allarmismo che ora si sta mobilitando va tutto nella giusta direzione ? No. Infatti, secondo me, uno dei punti che nella discussione di oggi andava espresso meglio è che l'ISIS è davvero una cosa anomala, nella quale la componente sul territorio è una parte del problema. L'ISIS è quello che vediamo in Siria, ma anche una nuova forma di terrorismo. Negli ultimi due attentati che sono stati fatti in Europa, in Belgio, si trattava di ex militanti dell'ISIS. Al Suri, uno dei principali teorici dei «lupi solitari», cioè dell'attentatore singolo, è un teorico dell'ISIS. Pertanto, la minaccia dell'ISIS non è solo lì, ma è nel terrorismo internazionale.
  Uno dei problemi che in questo momento vengono fronteggiati è la competizione fra organizzazioni terroristiche. Non è un caso che al-Zawahiri abbia annunciato la formazione di al-Qaeda in India proprio qualche settimana fa. È in atto una competizione.
  Se noi vogliamo essere efficaci, va bene quello che abbiamo detto, però io ascolterei con molta attenzione anche quello è stato detto dalla nostra parte interna della politica e anche dai nostri servizi. C’è una strategia di prevenzione che si fa all'interno e che ha bisogno di grande attenzione.
  Da questo punto di vista, bisogna guardare bene come è fatto questo esercito di combattenti dell'ISIS. Le prime quattro nazioni che contribuiscono ai combattenti dell'ISIS sono la Tunisia, la Giordania, l'Arabia Saudita e i Paesi del Golfo. Chi sono ? Sono persone giovanissime e quasi tutte hanno avuto legami con la Fratellanza musulmana.
  Chi sono i militanti di al-Qaeda ? Sono persone radicalizzate, più avanti nell'età e che fanno più capo al mondo salafita. È un caso ? No. Se non è un caso, bisogna riflettere su come mai la grande esplosione dell'avanzata dell'ISIS avviene dopo la caduta di Morsi in Egitto.
  Bisogna riflettere, a partire da questo, sul ruolo della Turchia. Io temo che la spiegazione che la Turchia rimanga ferma perché ci sono i curdi non sia sufficiente. C’è un problema di riequilibrio nelle forze del Mediterraneo che sta in parallelo alle due principali forze che si sono occupate del post-primavere arabe e all'assenza dell'Europa in questo contesto.
  Io penso che sia giusta la nostra scelta, la quale, però, ha bisogno di una grande intercapedine politica, che è quella che deve mettere la NATO. L'ultimo vertice della NATO a Vilnius era solo sull'Ucraina. Una NATO che si occupa solo dell'Ucraina manca la sua vocazione strategica.Pag. 21
  Penso che il nostro ruolo di parlamentari, supportando un'azione, secondo me, molto positiva del nostro Ministro, sia quella di ridare un senso all'Alleanza atlantica. Così si risponde. Diversamente non c’è risposta.

  PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti del Governo per la replica.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale. Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti. Credo che la discussione sia stata particolarmente appassionata e corale, con obiettivi di fondo che hanno un'amplissima, se non unanime, condivisione.
  Prima di lasciare la parola al Ministro, esprimo la considerazione che uno degli argomenti che sono stati affrontati in molti interventi, cioè il ruolo della Turchia, è uno dei temi più presenti al Ministro e al Governo e al contempo uno di quelli su cui è più difficile esprimere una valutazione allo stato dei fatti.
  Al di là della cronistoria dei provvedimenti, delle risoluzioni parlamentari e dei pronunciamenti del Governo e del Presidente del Consiglio, anche di recente, e dell'ostacolo che viene frapposto a un coinvolgimento più diretto della Turchia sul terreno rispetto al destino che l'alleanza che si è formata vuole dare al Governo siriano, vorrei fare un punto sui foreign fighters che era stato sollecitato e sul ruolo dell'Europa, ricordando che, a quest'ultimo riguardo, fino alla fine di questo mese le responsabilità sono quelle pregresse e solo da novembre in poi avremo la nuova Commissione e il nuovo Alto Rappresentante.
  Premesso che conosciamo quello che sta accadendo in merito ai foreign fighters, voglio ricordare che a Bruxelles in ambito dell'Unione europea sta per essere finalizzato un documento strategico – che ha l'obiettivo esattamente di rispondere all'esigenza che veniva sollevata dall'onorevole Artini – intitolato «Syria and Iraq counter-terrorism and foreign fighters», basato su quattro pilastri: antiterrorismo, sostegno all'opposizione moderata siriana, supporto politico-militare all'Iraq e gestione della crisi umanitaria.
  La dimensione antiterrorismo, che è quella che riguarda anche l'interno nostro, ha ricevuto rinnovato slancio a seguito delle risoluzioni ONU n. 2170 e n. 2178, adottate il mese scorso. Il documento si incentra prioritariamente sull'interruzione del flusso dei foreign fighters ma anche sulla delegittimazione dell'ideologia dell'ISIS. Quindi, in qualche modo è una contropropaganda.
  Sulle azioni in sede di Unione europea, istituzioni e singoli Paesi dovremmo aver al più presto finalizzato un documento strategico rivolto esattamente a questo.

  PRESIDENTE. Saluto il Sottosegretario Rossi che l'accompagna e che è sempre presente nei nostri lavori. Do ora la parola al Ministro Pinotti.

  ROBERTA PINOTTI, Ministro della difesa. Grazie. Anch'io ho trovato questa discussione importante, interessante e con spunti di riflessione che saranno sicuramente utili anche per l'azione del Governo, per quello che riguarda sia il tema di politica estera sia il tema di difesa.
  Devo dire che come Paese non abbiamo sottovalutato l'ISIS già dall'inizio. Ci tengo a dirlo perché ogni tanto dobbiamo riconoscerci quello che facciamo.
  Vi ricordo che, a parte il vertice di Newport, nei due vertici NATO precedenti, mentre tutti quanti parlavano quasi esclusivamente, se non esclusivamente, di Ucraina, l'unico Paese (per questo a volte anche additato come se volesse sottovalutare la preoccupazione dei Paesi dell'est per la Russia) che si è espresso – sia con il Ministro degli esteri sia con il Ministro della difesa sia nell'assemblea parlamentare della NATO, in occasione dei loro incontri – per richiamare l'attenzione sul fatto che quello che stava avvenendo di fronte a noi era di estremo pericolo e di estrema gravità, è stata l'Italia. Lo ha fatto per sottolineare non solo la situazione Libia, che in qualche modo noi abbiamo a particolarmente a focus per la storia, i Pag. 22legami e gli interessi, ma anche la situazione di questo terrorismo che si fa Stato. Da questo punto di vista, ritengo che noi non possiamo sentirci colpevoli di sottovalutazione.
  Raccolgo tuttavia l'invito a esprimere adesso questa emergenza. È un'emergenza che, come dicevate voi, deve richiamare intanto un intervento più forte, anche per quello che riguarda l'elemento militare – come si diceva, la caduta di Kobane può essere una tragedia immane – ma anche inquadrare questo intervento in una strategia politica più chiara, che ci dica dove vogliamo arrivare alla fine.
  È successo, in passato, che interventi militari non inquadrati in una strategia che potesse indicare l'obiettivo finale abbiano prodotto dei guasti, alcuni dei quali sono anche concausa della situazione che ci troviamo oggi ad affrontare. Questo è un punto che volevo sottolineare.
  Il secondo tema è quello dell'Europa. Anche su questo, però, l'Italia si è fatta promotrice del Consiglio dei Paesi europei che si è tenuto il 15 agosto proprio per decidere in merito alla situazione. Noi ci siamo visti il 20 agosto proprio perché avevamo una copertura di decisione dell'Europa di partecipare a questo intervento, se vogliamo ancora prima che tutta la coalizione fosse messa in movimento. L'Europa su questo tema si è accorta del problema, è intervenuta con una decisione e poi ovviamente ha lasciato agli Stati membri – così prevedono i trattati e questa è la situazione europea – la decisione su come intervenire. Ciascuna nazione decide, ma non possiamo non sottolineare che quasi tutti – ne mancano pochissimi – gli Stati europei sono presenti fra i sessanta Paesi che partecipano alla coalizione. Da questo punto di vista, in realtà c’è una discussione europea e c’è un invito a partecipare per contrastare l'ISIS. Certo, poi c’è la decisione dei singoli Stati, che ovviamente con la propria autonomia decidono che assetti dare, come intervenire, con quante forze e in che modo.
  Raccolgo dunque questa discussione, ne condivido gli elementi di preoccupazione e di emergenza che vengono sottolineati. Pensando comunque che l'Italia possa continuare a far sentire la propria voce, è anche importante però essere tempestivi nelle risposte.
  Noi abbiamo svolto a Washington un vertice con i capi di stato maggiore e sulla base di quel vertice sono nate delle esigenze. Oggi vi riporto appunto delle esigenze nate all'interno della coalizione. Il fatto di poter rispondere tempestivamente con questi assetti è non solo una necessità per quello che sta succedendo in quei territori, ma lo è anche per avere voce in capitolo e per poter orientare la coalizione. Diversamente saremmo partiti per primi; il viceministro Pistelli era a Erbil ben prima anche di altri ministri degli esteri che vi si sono recati successivamente, quindi con un'attenzione particolare.
  Ricordo che mentre al Senato discutevamo le riforme costituzionali mi ha chiamato il viceministro Pistelli da Erbil per dirmi che mentre noi stavamo pensando di mandare aiuti umanitari se non avessimo fornito strumenti, quindi anche armi, per permettere loro di difendersi, non saremmo andati avanti.
  Quindi, c’è stato un ruolo, un protagonismo, una presenza dell'Italia che penso dobbiamo ricordare. Tuttavia, c’è oggi bisogno di orientare una coalizione che ha elementi sia di strategia sia di cornice giuridica complessiva che devono essere in qualche modo rafforzati. Su questo ci sarà sicuramente un lavoro dell'Italia.
  Per quanto riguarda i passaggi parlamentari, penso che sia fondamentale, su un tema come questo, incontrarci anche più volte, ma se deve esserci un voto o no, dal punto di vista dei ruoli del Parlamento e dell'Esecutivo, il Parlamento dà degli indirizzi e l'Esecutivo poi agisce. Ovviamente, se il Parlamento lo ritiene, noi siamo disponibili a sottoporci a un voto come è stato fatto in altre occasioni. Ci mancherebbe altro, c’è massima disponibilità e anche massimo rispetto, quindi se ci fosse una richiesta agiremmo in tal senso. Mi pare, però, da quello che hanno detto i Presidenti e da molti interventi, che Pag. 23non si ritenga che per mandare questi assetti di cui vi ho parlato, che sono la prosecuzione delle decisioni che abbiamo preso insieme ad agosto, ci siano queste esigenze. Sarà nostra cura, comunque, ogni altro passaggio successivo. Come si diceva negli interventi, non sarà una situazione che può essere risolta in breve tempo.
  Quindi, noi adesso abbiamo un nuovo passaggio parlamentare, ma ne avremo altri. Non entro nel merito di fare previsioni, poiché queste cose si vedranno sul campo, ma sono certa che la situazione non la risolviamo in brevissimo tempo. È importante che ulteriori eventuali coinvolgimenti che io immagino avremo modo di dover discutere – perché la situazione andrà avanti – saranno oggetto sempre di un confronto e, nel caso lo si decida ovviamente, anche di un voto.
  Vi ringrazio anche di aver ricordato la questione della scelta della Giordania perché sembra un piccolo particolare, però secondo me dà la misura dell'attenzione che stiamo dando all'area. Ho avuto un incontro con il fratello del re, che mi aveva detto che avevano bisogno di blindati perché nella lotta al terrorismo sono necessari per controllare la frontiera. Quindi, abbiamo deciso che avremmo utilizzato il primo strumento utile, quindi il «decreto missioni», per fornirglieli immediatamente. Sembra un piccolo gesto, ma in realtà fa parte di una strategia di sostegno a tutti quei Paesi che in questo momento stanno combattendo in loco.
  L'abbiamo fatto, ad esempio, con la Tunisia per quanto riguarda i visori notturni, laddove c'era sempre un problema di controllo di frontiere.
  Siamo in realtà interlocutori attenti alle richieste che vengono espresse, quindi non stiamo sottovalutando il problema.
  Ritengo però che l'affermazione fatta in molti interventi secondo la quale debba essere messa più lucidamente a fuoco una strategia, una strategia più definita, più precisa e non solo militare, ma politica in senso alto del termine, credo che sia assolutamente una necessità e che il lavoro che dovremo fare in questo senso sia molto importante.
  Per quello che riguarda l'Afghanistan, come voi sapete la disponibilità dell'Italia a continuare nella missione «Resolute Support» è stata data da Governi precedenti. Quello che io ho affermato e che ho da subito riferito ai nostri alleati è che, avendo degli scenari che si prefiguravano molto complessi davanti a noi, dovevamo il più possibile ridurre il nostro impegno per poterci concentrare su altri scenari. Questa è un'interlocuzione che ho avuto dalle prime settimane in cui ho fatto il Ministro della difesa. Nello stesso tempo, esiste una responsabilità di Paese, perché l'Italia si era proposta per avere una responsabilità di comando nella regione ovest. Queste programmazioni si fanno con tempi lunghi, quindi dire che noi a un certo punto ce ne andiamo tout court vuol dire che quella zona rimane priva di qualsiasi tipo di organizzazione.
  Quando si è Ministro della difesa o degli esteri si sa che esiste un Paese da rappresentare e non solo un Governo o una situazione temporanea. Ovviamente quando diciamo che passiamo la decisione al Parlamento, il Parlamento stesso sarà sovrano in questa decisione, ma francamente vi posso già annunciare che la mia proposta sarà quella di ridurre il più possibile i nostri numeri e il tempo che dovremo rimanere, ma un mantenimento di questo impegno per una conduzione morbida di uscita dalla situazione è una soluzione che verrà proposta.
  Ovviamente, come si è detto, ci sarà un passaggio parlamentare e quello che deciderà il Parlamento noi faremo. Nella proposta, però, vi annuncio già che non mi sembrerebbe serio né responsabile dire che a questo punto ci togliamo complessivamente dalla situazione. A differenza di altre nazioni, noi abbiamo il comando di una regione, quindi è complicato sostituirci in questo.
  Noi abbiamo dodici UAV Predator. In questo momento ne sono impiegati due in Pag. 24Afghanistan e due a Gibuti, quindi abbiamo la disponibilità di inviare questi assetti.
  Qualcuno ha sottolineato l'esigenza di fare di più. Io penso che il numero che vi ho riferito, cioè duecento addestratori più ottanta di supporto, fermo restando che stiamo parlando di chi deve stare a sostegno, non è un numero particolarmente esiguo, ma piuttosto significativo dal punto di vista del tipo di impegno. La richiesta degli addestratori italiani viene fortemente dai curdi. Evidentemente abbiamo fama, come ci meritiamo, di essere capaci di dare una mano alle truppe sul campo per l'addestramento.
  Concludo constatando che nei vostri interventi avete toccato più punti, questioni che riguardano l'immigrazione, il terrorismo, l'esigenza dell’intelligence. Quando all'inizio del mio intervento ho affermato che è importante il rapporto col Parlamento, ma è importante che tutti gli attori dello Stato si sentano uniti per poter combattere, intendevo proprio questo. Noi dobbiamo anche pensare a strategie interno-esterno perché la minaccia adesso si esplicita in quella zona, ma lo stesso presidente Casini ha riportato le parole dell'interlocutrice che ha detto di fare attenzione perché non è un problema soltanto dell'Oriente, ma diventa un problema dell'Occidente. È una consapevolezza che sicuramente abbiamo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Pinotti, il Sottosegretario Della Vedova, i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.20.