XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Giovedì 13 marzo 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle province autonome su attuazione e prospettive del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Maroni Roberto , Presidente della Regione Lombardia ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 4 
Garavaglia Massimo , Assessore all'economia, crescita e semplificazione della Regione Lombardia e coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 4 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
Marantelli Daniele (PD)  ... 8 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
Fornaro Federico  ... 8 
Dirindin Nerina  ... 9 
Guerra Maria Cecilia  ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Garavaglia Massimo , Assessore all'economia, crescita e semplificazione della Regione Lombardia e coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 10 
Maroni Roberto , Presidente della Regione Lombardia ... 11 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome su attuazione e prospettive del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome su attuazione e prospettive del federalismo fiscale.
  Comunico che il presidente Vasco Errani ha delegato il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, a relazionare alla Commissione. È presente anche l'assessore al bilancio della Regione Lombardia, nonché già deputato e senatore, Massimo Garavaglia, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
  Ringrazio anche il dottor Turturiello e il dottor Nepomuceno, che accompagnano la delegazione.
  Do la parola al presidente Maroni.

  ROBERTO MARONI, Presidente della Regione Lombardia. Buongiorno a tutti. In realtà, la Conferenza delle Regioni ha delegato la Regione Lombardia, non il presidente della Regione. Colgo quindi l'occasione per fare una breve introduzione, parlando di un tema che riguarda proprio la Regione Lombardia, lasciando a Massimo Garavaglia il compito di rappresentare tutte le regioni, essendo il coordinatore per le regioni delle materie economiche e finanziarie.
  L'indagine conoscitiva riguarda attuazione e prospettive del federalismo fiscale. L'attuazione mi pare molto arretrata, mentre le prospettive sono molto importanti per noi – parlo della regione Lombardia, in questo caso – perché sono i dati a dire quanto sia penalizzante la situazione attuale, per la nostra regione e non solo.
  Voglio citare solo due dati: quanto ai dati regionalizzati del residuo fiscale al 2012 in percentuale sul PIL, nella media italiana il residuo fiscale sul PIL è il 2,5 per cento, la Lombardia ha il 17 per cento, mentre la regione che ha un vantaggio maggiore nel riparto delle risorse è la Calabria, con un – 26 per cento. Questo squilibrio pesa, perché i servizi che la regione Lombardia garantisce sono servizi di eccellenza, con risorse minime rispetto alle necessità. Nonostante questo, la virtuosità della regione che ho l'onore di governare, ma anche di molte altre, come Emilia-Romagna e Veneto, è tale che noi garantiamo un modello di efficienza nonostante pochissime risorse.
  L'assessore Garavaglia e i nostri uffici hanno calcolato che se solo in materia sanitaria, che come sapete rappresenta il 75 per cento circa del bilancio delle regioni (17 miliardi di euro in regione Lombardia su 23 miliardi), venisse adottato il modello della sanità della Lombardia per quanto riguarda i costi in tutte le regioni Pag. 4italiane, avremmo un risparmio di oltre 20 miliardi di euro. Lì c’è risparmio vero, naturalmente.
  Il secondo dato che voglio segnalare è la spesa per abitante, al netto degli interessi sul debito pubblico pro capite, in valore assoluto e in rapporto al prodotto interno lordo. In valore assoluto la media italiana è 3.821 euro per abitante; la Valle d'Aosta ha 10.207 euro, la prima regione non a statuto speciale ha 5.428 euro, la Lombardia 2.860 euro per abitante, quindi ben sotto la media di 3.821.
  Quanto alla spesa in rapporto al prodotto interno lordo, sempre al netto degli interessi, la media italiana è il 14,42 per cento. Nella prima regione non a statuto speciale, la Calabria, è 24,31, in Campania 24,13, in Molise 22,57, in Lombardia 8,36. Questi sono dati storici che non impediscono alle regioni che sono così fortemente penalizzate di funzionare, ma la fatica è enorme e cominciano a vedersi segni di affaticamento.
  L'unico dato positivo in questo contesto, che richiede un intervento vero di attuazione del federalismo fiscale, è l'iniziativa che hanno preso alla fine dello scorso anno le regioni con il Governo di dare inizio al processo di cambiamento in materia sanitaria dei costi storici e dei costi standard, cominciando ad attuare un criterio di virtuosità che tiene conto degli standard che devono essere applicati e non solo della spesa storica effettuata.
  Da questa prima applicazione si è proceduto a un riparto di risorse in modo diverso rispetto a quello che era avvenuto fino ad allora. Per quanto riguarda la mia regione, per gli ultimi due mesi del 2013, applicando questo criterio (che è ancora un criterio grezzo, da affinare) la regione Lombardia ha avuto un beneficio di diverse decine di milioni di euro. Intendo dire che basta un intervento di razionalizzazione del sistema per spostare ingenti risorse da una parte all'altra. Lo dico con grande aspettativa per la regione Lombardia, ma anche sottolineando la difficoltà di intervento, perché con piccole manovre si spostano grandi risorse e questo può determinare squilibri e reazioni che tutti possiamo immaginare, a tutto vantaggio della mia regione e delle regioni del Nord.
  Sono state elaborate una serie di proposte da parte della Regione Lombardia, non solo sul tema del federalismo fiscale, ma più in generale sulle riforme costituzionali. In tarda mattinata avremo un incontro in Conferenza delle regioni per discutere una proposta – che ho chiesto al presidente Errani di formulare, come regioni nel complesso, da trasmettere al Parlamento – di riforma costituzionale sul Senato delle regioni, prendendo spunto dalla decisione del Governo e del Parlamento di metter mano finalmente alla riforma delle riforme, la riforma della Costituzione.
  In questo momento in cui le regioni sono considerate un centro di spesa da eliminare o quasi, in cui avverto una tendenza a ricentralizzare poteri e competenze delle regioni, voglio che le regioni stesse siano protagoniste nel formulare una proposta da mandare al Parlamento. Questo è il compito a cui ci accingiamo oggi.
  Se tutte le regioni nel loro complesso riusciranno, come mi auguro, assieme al mondo delle autonomie, con l'alleanza dell'ANCI e dei comuni, a formulare una proposta unitaria al Parlamento, credo che sia un contributo importante di cui il Parlamento non potrà non tenere conto. Ho concluso, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'assessore Garavaglia.

  MASSIMO GARAVAGLIA, Assessore all'economia, crescita e semplificazione della Regione Lombardia e coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Do lettura di un documento predisposto da tutte le regioni.
  Il processo di riforma nel senso dell'autonomia nella responsabilità, come prefigurato dalla legge delega n. 42 del 2009, in materia di federalismo fiscale, necessita di una verifica in ordine al suo stato di avanzamento, e di una ricognizione della strada sino ad oggi percorsa. Pag. 5La delega per l'emanazione di decreti correttivi necessari al completamento del sistema costituito dalla legge n. 42 scadrà il 21 novembre 2014.
  Le misure di finanza pubblica connesse alla necessità di superamento della crisi economica hanno impattato su tale processo, in qualche caso incidendo anche sugli spazi di autonomia finanziaria finora attribuiti a regioni ed enti locali.
  Appare necessario, quindi, a seguito di tale momento di verifica, coordinare il nuovo sistema fiscale che si sta costruendo con l'assetto istituzionale che si va delineando. L'intervento legislativo in materia di province e del conseguente nuovo ruolo delle regioni e degli enti locali richiede di intensificare, altresì, il lavoro sui costi standard per tutti i livelli di governo.
  In tale prospettiva, la legge delega n. 42 per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione si propone, attraverso il decreto attuativo n. 68 del 2011, di ridisegnare la fiscalità delle regioni con il superamento della spesa storica a favore dei costi standard e della capacità fiscale.
  Il 2013, come diceva prima il presidente Maroni, segna il definitivo abbandono del percorso tracciato dal citato decreto legislativo n. 56 del 2000, con il passaggio ai costi standard in ambito di spesa sanitaria e di definizione del fondo sanitario nazionale e del relativo riparto tra le regioni a seguito dell'individuazione delle regioni benchmark. Questo percorso può essere ulteriormente migliorato e le Regioni si stanno facendo carico di una proposta da condividere con il Governo.
  Il federalismo fiscale presuppone la fine della finanza derivata. Il decreto legislativo n. 68 del 2011 interviene in tal senso innanzitutto prevedendo la soppressione dei trasferimenti statali e la loro fiscalizzazione.
  La Corte dei conti, nel corso dell'audizione del 6 marzo scorso presso questa Commissione parlamentare, ha evidenziato quanto i contenuti della legge delega n. 42 sul federalismo fiscale siano stati elusi.
  Cito testualmente l'intervento del Presidente della Corte dei conti: «Gli interventi che avrebbero dovuto scandire la transizione al federalismo sono stati finora adottati fuori delega per essere in larga parte finalizzati all'equilibrio dei conti pubblici».
  Per quanto riguarda il federalismo regionale, la Corte ricorda la mancata determinazione dell'aliquota base e dell'addizionale IRPEF, ovvero la cancellazione della finanza derivata e il mancato raggiungimento dell'autonomia tributaria delle regioni. L'emergenza finanziaria si è riversata sul versante impositivo di competenza statale reintroducendo un surrogato dei trasferimenti, senza alcuna compensazione tra la fiscalità centrale e il fisco locale.
  Tra l'altro, appare di rilievo – come evidenzia ancora la Corte dei conti nella richiamata audizione – che «a distanza di quattro anni dall'entrata in vigore della legge delega non è ancora stata avviata una riforma in senso federalista del Patto di stabilità, nonostante gli elementi positivi emersi sin dalle primissime sperimentazioni regionali sulla sua regionalizzazione». Riforma, questa, ancora più necessaria dopo la modifica costituzionale sul pareggio di bilancio e la conseguente procedura di indebitamento dei singoli enti previsti dalla legge rinforzata n. 243 del 2012 recante «Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione».
  È evidente che se devi avere un obiettivo di debito a livello regionale, devi per forza avere il patto integrato regionale. Purtroppo, questo era previsto in norma ed è stato rinviato ulteriormente quest'anno, complicando non poco il lavoro degli enti locali nella costituzione del patto verticale.
  Sulla questione emergono alcuni elementi di attenzione. Fra questi uno di carattere strutturale, cioè lo spostamento dei trasferimenti sulle compartecipazioni ai tributi erariali, queste ultime determinate in modo da assicurare la copertura integrale delle spese essenziali di cui alla lettera m) dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione commisurata al Pag. 6relativo costo standard, e il finanziamento secondo le capacità fiscali delle altre spese, assicurando comunque una perequazione delle stesse fino a ridurne le differenze in misura non inferiore al 75 per cento.
  Sul medesimo tema è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza 273 del 2013, laddove evidenzia la perdurante inattuazione di quanto previsto in materia dalla legge n. 42 del 2009 e dal decreto legislativo n. 68 del 2011, quale ragione legittimante dell'intervento dello Stato in materia di trasporto pubblico locale relativamente al vincolo di destinazione delle risorse ad esso destinate.
  Sostiene, infatti, la Corte che in conseguenza della mancata determinazione sia dei livelli essenziali delle prestazioni sia di un livello adeguato del servizio di trasporto pubblico locale previsti dalle citate norme, si sia reso necessario il costante concorso del legislatore statale per assicurare la garanzia di uno standard di omogeneità su tutto il territorio nazionale. Concorso che, tra l'altro, essendo soggetto al tetto del Patto di stabilità, rientra nel Patto stesso, limitando la capacità di spesa su altre voci di spesa.
  È di tutta evidenza il quadro con cui la Corte costituzionale delinea un processo di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione discontinuo e talmente carente al punto che, per sopperire alle proprie inadempienze, lo Stato stesso interviene con misure finalizzate a surrogare le rinnovate modalità di trasferimento alla fiscalità regionale dal finanziamento del trasporto pubblico locale, le quali comprimono in modo sostanziale la competenza legislativa residuale delle regioni in materia. Una condizione necessitata e indotta in via straordinaria dall'attuale grave crisi economica nazionale e internazionale, ma riconducibile al portato temporaneo della perdurante inattuazione dell'articolo 119 della Costituzione, il cui vulnus va tempestivamente rimosso.
  Un'altra condizione che merita adeguata attenzione è rappresentata dalle misure introdotte con le manovre correttive dei conti pubblici, a partire dal decreto-legge n. 78 del 2010, per finire con il decreto-legge n. 138 del 2011, che hanno sostanzialmente abolito i trasferimenti nella discutibile modalità precedentemente delineata, senza la corrispondente ipotesi di fiscalizzazione degli stessi introdotta dal decreto legislativo n. 68 del 2011, senza oneri ulteriori per la finanza pubblica, così come era impostato il percorso.
  Nel corso della citata audizione della Corte, il presidente Squitieri ha sostenuto che «il consolidamento dei risultati ottenuti nella responsabilizzazione delle gestioni decentrate, infatti, rappresenta, ad avviso della Corte, una condizione indispensabile per il risanamento finanziario, evidenziando il valore strutturale del federalismo fiscale nel percorso di risanamento dei conti pubblici».
  D'altro canto, gli enti territoriali hanno già contribuito per 31 miliardi di euro dal 2009 al 2012, sommando un inasprimento del Patto di stabilità interno e il taglio dei trasferimenti. In percentuale le regioni hanno ridotto del 38,5 per cento la propria spesa, al confronto dello Stato che l'ha ridotta del 13,4 (questo è il contributo delle regioni rispetto al contributo dello Stato) e i comuni del 14,4.
  Nel periodo 2013-2016 il contributo dei medesimi enti alla riduzione della spesa si incrementerà di ulteriori 7 miliardi di euro circa (3 miliardi di parte corrente), garantendo un aumento di efficienza certamente importante dal punto di vista qualitativo e quantitativo con l'attuazione dei costi standard, accompagnato però da tagli alla spesa non indolori dal punto di vista della tenuta dei servizi resi alla collettività. Occorre, quindi, partire dall'attuazione dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, che recita: «In sede di attuazione dell'articolo 8 della legge 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo fiscale non si tiene conto di quanto previsto dal primo, secondo, terzo e quarto periodo del presente comma, come predisposto al fine di non vanificare l'attuazione del federalismo fiscale a seguito della sostanziale eliminazione delle risorse spettanti alle regioni introdotte nella prima parte del medesimo articolo», e dell'articolo 39 del decreto legislativo Pag. 7n. 68 del 2011 che al comma 5 recita: «La determinazione dell'addizionale regionale all'IRPEF, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, e la soppressione dei trasferimenti statali alle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 7, comma 1, sono effettuate conformemente a quanto disposto dai commi 3 e 4 del presente articolo, facendo riferimento alle risorse spettanti a tali enti nell'esercizio finanziario 2010, cioè alla situazione precedente la manovra correttiva stabilita dal citato decreto-legge n. 78 del 2010».
  Tale necessità viene ribadita quale condizione indispensabile per la realizzazione di un compiuto federalismo fiscale ai commi 3 e 4 del citato articolo 39, laddove, a decorrere dal 2012, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, viene ripristinata la condizione ante decreto-legge n. 78 del 2010 e anzi se ne prevede la procedura per l'attuazione attraverso l'istituzione di un apposito tavolo di confronto incardinato nelle funzioni attribuite alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
  Purtroppo, come ancora rilevato dalla Corte dei conti nella più volte richiamata audizione, non è stato adottato il criterio che avrebbe dovuto individuare i trasferimenti statali da sopprimere, condizione necessaria alla loro fiscalizzazione a favore delle regioni, garantendo un gettito equivalente al valore dei trasferimenti cancellati, così interrompendo un processo di riforma suscettibile di ricadute positive sull'assetto economico e sociale del Paese, oltre che sull'equilibrio dei conti pubblici.
  Fra l'altro, si può senz'altro procedere alla fiscalizzazione a favore delle regioni a statuto ordinario perché si può costruire una soluzione che non impatta sull'indebitamento netto e sul fabbisogno alla stregua di quanto accade per la gran parte dei trasferimenti regionali. A tale proposito, si possono considerare gli stanziamenti a favore delle regioni come previsti nell'ultima legge di stabilità. D'altro canto, le precedenti leggi di stabilità non hanno rispettato il percorso stabilito dal decreto legislativo n. 68 del 2011 e, quindi, occorrerebbe non perpetrare l'inadempienza. Il DEF potrebbe essere l'occasione giusta per cambiare strada, visto che deve essere aggiornato per numerose questioni.
  Anche la legge di stabilità per il 2014 rappresenta un'occasione mancata per il rilancio della riforma. Occorre, pertanto, far ripartire il tavolo di confronto disciplinato dal comma 4 dell'articolo 39 del decreto legislativo n. 68 del 2011 al fine di individuare gli strumenti per assicurare già per il successivo esercizio finanziario la congruità e l'adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte dalle regioni. E ciò appare ancora più evidente e necessario a fronte della constatazione che il processo di revisione degli enti intermedi sta generando discrasie rispetto al dettato richiamo del decreto legislativo n. 68, laddove si prevede la soppressione dei trasferimenti regionali alle province, sostituiti dall'attribuzione alle stesse di quote di fiscalità.
  Se mi consentite un inciso, tra l'altro, nell'abolizione delle province prevista dal disegno di legge Delrio si diminuiscono le funzioni alle province medesime, quindi non si capisce come faranno a stare in piedi, dal momento che, a seguito delle minori funzioni attribuite, le regioni trasferiranno meno risorse. Questo è un altro tema che non viene considerato da nessuna parte.
  Infatti, non appare molto chiaro come questo passaggio possa essere realizzato se la configurazione istituzionale delle province che il Parlamento sta delineando è quella di un ente di secondo livello con funzioni ridimensionate, una condizione difficilmente compatibile con l'esercizio della potestà fiscale. Questo è un altro tema, perché normalmente il bilancio viene gestito da chi viene votato; se qualcuno non è votato, non si capisce come possa gestire un bilancio, anche con entrate proprie.
  Un tema, questo, che deve essere ancora approfondito rispetto agli spazi di autonomia finanziaria riconosciuti alle province che, a fronte di competenze e funzioni ridefinite dalla riforma, potrebbero azionare la leva fiscale, seppure i propri organi di governo non derivino Pag. 8dagli esiti di una consultazione elettorale diretta, neutralizzando in tal modo il principio no taxation without representation (nessuna tassa senza rappresentanza).
  Il federalismo fiscale, oltre che una necessità, rappresenta un'opportunità. In quest'ottica, il processo della riforma federale dello Stato non è affatto da rallentare, tantomeno da rinviare.
  Proprio la situazione che stiamo attraversando richiede che il federalismo, quando non concepito come mero spostamento di logiche dirigistiche dal centro alla periferia, ma quando inteso come partecipazione e corresponsabilizzazione di tutti, è la strada maestra per risalire la china, premiando anche l'autonomia, non disgiunta dalla responsabilità.

  PRESIDENTE. Mi sembra che il quadro sia piuttosto complicato; non dico confuso perché ha una connotazione negativa, però mi sembra evidente che sia nei rapporti verso lo Stato sia, a discesa, verso province e comuni, le faccende sono molto complicate.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DANIELE MARANTELLI. Ringrazio gli auditi per i dati e le riflessioni che ci hanno offerto. Porrò alcune rapidissime domande.
  In relazione alle competenze che riguardano il turismo e l'energia, è possibile fare un bilancio onesto dell'insieme di questa esperienza, che ormai ha più di dieci anni, in tutte le regioni ? Lo dico perché naturalmente esiste una differenza tra la Lombardia e il Molise.
  Inoltre, in relazione alla proposta che avete in mente di presentare come Conferenza delle regioni circa la modifica dell'attuale funzione del Senato, chiedo se, anche alla luce di questa premessa, non riteniate di prendere in considerazione anche la modifica dei confini e del numero delle attuali regioni.
  In secondo luogo, i dati riferiti dall'assessore Garavaglia relativi alla spesa corrente e il loro paragone con i comuni e lo Stato, come si declinano alla luce dei dati – che ho solo letto, non avendo potuto partecipare all'audizione della Corte dei conti – che invece imputano, se ho ben capito, prevalentemente a regioni ed enti locali la responsabilità dell'aumento della pressione fiscale ?
  Infine, premesso che l'unico modo corretto per abbattere la spesa pubblica è l'applicazione corretta dei costi standard (questa perlomeno è la mia opinione), tenendo conto che basta una piccola applicazione dell'attuale legge n. 42 per determinare sensibili scostamenti fra le regioni, come si pensa di evitare, nella proposta che avanzerete, che la riforma permetta a giunte regionali non virtuose di scaricare i loro vizi sulla generalità dei cittadini e, nel contempo, di garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute ?
  Mi sembra che sia questo il problemino non aggirabile che si ha di fronte, rispetto al quale bisogna cercare non solo di denunciarne la difficoltà ma anche provare a individuare una soluzione, seppur parziale.

  PRESIDENTE. L'onorevole Marantelli si lamentava dell'assenza di pubblicità dei lavori, ma ha letto ampiamente sui giornali – in modo forse deformato – quanto la Corte dei conti ha detto qui. Quindi, abbiamo avuto ampia eco dei nostri lavori.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio il presidente Maroni e l'assessore Garavaglia per l'efficacia dell'esposizione.
  Dividerei il mio ragionamento in due parti. C’è un tema, posto dall'assessore Garavaglia, di corretta allocazione delle risorse e, quindi, della valutazione anche attraverso i costi standard dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività della pubblica amministrazione. Credo che, da questo punto di vista, più di una volta in questa sede si sia detto che sul tema del federalismo fiscale siamo a metà del guado e occorre proseguire. Questa è la posizione che è stata espressa a più riprese. Poi vedremo nel merito, avendo il testo, le indicazioni che arrivano da voi.
  Vorrei riprendere la questione posta dal presidente Maroni rispetto alla sfida Pag. 9che abbiamo davanti: in qualche modo da ieri – l'ho appreso dal sito del Governo, ma l'atto ufficiale non è ancora giunto – c’è un testo di riforma costituzionale che riguarda quello che, tra l'altro, non viene neanche più chiamato «Senato» (l'ho appreso ieri) ma diventa «Assemblea delle autonomie».
  La si può pensare in molti modi, ma difficilmente questa iniziativa rimarrà senza conseguenze. Da questo punto di vista, il fatto che le regioni si pongano in una posizione costruttiva e propositiva nella definizione dell'impianto costituzionale del nuovo Senato e della riforma, per noi fondamentale, del Titolo V è essenziale.
  La questione della riforma del Senato non riguarda i senatori o i «fu senatori». Lo vorrei dire con chiarezza, in forma pubblica. Personalmente sono stato eletto sulla base di un programma che prevedeva la riforma del bicameralismo perfetto.
  La questione, però, non può essere ridotta al solo tema del pagamento o meno dei senatori. La sfida è molto più ampia e, da questo punto di vista, credo che le regioni, anche in un ripensamento critico e autocritico dell'esperienza regionale, siano in grado anche di fare un bilancio, essendo ormai passati più di quarant'anni. Il richiamo fatto dal collega Marantelli, per esempio, al tema delle dimensioni ottimali delle regioni, anche alla luce dell'altra sfida, quella europea, è un tema a nostro modo di vedere ineludibile.
  Deve essere chiaro a tutti che, quando sparisce il Senato, da quel momento nessuno può sentirsi al riparo, neppure regioni che rispetto alla media europea hanno dimensioni largamente inferiori.
  La seconda questione è ancora più urgente e riguarda l'iter legislativo del disegno di legge Delrio sulle province, che mi pare sia entrato in un binario che non capisco se è morto o semimorto (lo vedremo nelle prossime ore, in quanto il Governo deve decidere come andare avanti al riguardo) ma che sicuramente non può non trovare una risposta, ritornando al tema della riforma del Titolo V, che diventa l'altro elemento fondamentale.
  Pensare di fare la riforma delle province e non inserirla dentro la riforma del Titolo V significa andar dietro a una moda: le province erano, due anni fa, il cuore del problema del debito pubblico e dello spreco, e giornali autorevoli parlavano di risparmi di costi nell'ordine di miliardi di euro, mentre oggi, più modestamente, si ragiona nei termini di decine di milioni di euro, ammesso e non concesso che, alla fine del processo, non si arrivi, come ha scritto la penultima volta la Corte dei conti, anche a un aumento dei costi.
  Da questo punto di vista, credo che un ruolo proattivo delle regioni sia assolutamente fondamentale e credo anche – mi rivolgo qui, non avendo avuto modo di farlo in altra circostanza, al Presidente Giorgetti – che la presentazione e l'ufficializzazione del disegno di legge costituzionale ponga anche questa Commissione di fronte alla necessità di ripensare per un certo verso il suo ruolo e provare ad aiutare tutti i soggetti a trovare un luogo in cui si possa partecipare a questo progetto. L'obiettivo, che non può che essere condiviso da tutti, è il superamento del bicameralismo perfetto e al tempo stesso l'occasione per ridefinire un diverso modello e una diversa architettura dello Stato, nella direzione di un dimagrimento della macchina statale nel suo complesso e di un rafforzamento di un'idea di decentramento e di federalismo, e non invece di un nuovo centralismo che è il rischio vero che si rischia di correre nei prossimi mesi.

  NERINA DIRINDIN. Anch'io ringrazio il presidente Maroni e l'assessore Garavaglia per il contributo che ci hanno portato a nome delle regioni.
  Mi soffermo solo su un punto. Voi stessi avete affermato che questo percorso è stato molto complesso ed è stato attuato soltanto in piccola parte. Tuttavia, e al riguardo chiederei una riflessione, mi stupisce l'ottimismo sull'applicazione dei costi standard in sanità.
  Diciamo la verità, qualcosa che non corrispondeva al nome di «costi standard» ma era sostanzialmente una metodologia Pag. 10molto simile, almeno da una ventina di anni veniva applicata in sanità. Mi domando se davvero abbiamo compiuto passi avanti, al di là della denominazione degli strumenti e dei metodi che sono stati impiegati. D'altra parte, per una regione così importante come la Lombardia la variazione dell'attribuzione delle risorse di qualche decina di milioni sarebbe un risultato minimale.
  Che cosa si aspettano le regioni che si possa fare davvero per migliorare questa procedura ? In secondo luogo, si ritiene che davvero l'applicazione dei costi standard, una volta che la metodologia fosse affinata, possa portare grandi variazioni nell'attribuzione delle risorse fra regioni ? In tal caso, anche qualora fossimo tutti d'accordo che la nuova metodologia possa essere migliore, come pensiamo possa essere affrontato il problema di regioni che si troverebbero con grandi riduzioni di risorse e che, almeno nel breve periodo, non potrebbero affrontare le difficoltà, quindi bisognerebbe prevedere inevitabilmente una gradualità ?

  MARIA CECILIA GUERRA. Aggiungo alcune brevissime annotazioni. Collegandomi a quanto diceva il senatore Fornaro, anch'io penso che questa Commissione possa avere un ruolo importante nell'accompagnare il processo che ci porterà alla revisione del Titolo V della Costituzione.
  Un aspetto che sottolineerei fin d'ora è la necessità di tenere insieme, cosa che mi sembra il dibattito attuale stia facendo in modo troppo limitato, la ridefinizione delle materie, specialmente per quanto riguarda l'eventuale soppressione (bisognerà vedere che cosa significa) delle materie concorrenti, con il ripensamento delle forme di finanziamento. È evidente, anche nella storia dei diversi Paesi, che l'accentuazione di forme di autonomia, di trasferimento o di compartecipazioni è legata alle attribuzioni delle materie.
  Un punto che mi sembra significhi non attuazione del processo di federalismo riguarda il coinvolgimento forte delle regioni in fase di definizione della legge di stabilità per quanto riguarda i famosi obiettivi di servizio in campo sociale. Mi sembra che questo sia un punto molto dolente; il progetto del sociale è rimasto un bel disegno dal punto di vista della previsione iniziale, con definizione dei livelli essenziali e via elencando, ma il processo non è stato assolutamente intrapreso e abbiamo una sofferenza di tutte le regioni per quanto riguarda sia il finanziamento sia l'oggettiva necessità di processi di convergenza per evitare la sperequazione territoriale fortissima che ancora connota il nostro Paese.

  PRESIDENTE. Questa Commissione ha una missione, che è quella della delega, ancora aperta fino al 2014, ma mi sembra evidente che tutto quello che sta accadendo intorno imponga una riflessione e una revisione. Il disegno di legge Delrio crea qualche complicazione sull'attribuzione delle funzioni tra province e regioni e ridefinisce i confini, così come verranno ridefiniti evidentemente i confini tra regioni e Stato e come si stanno ridefinendo, peraltro, i confini con l'Europa.
  Auspico che questo intento profondamente rinnovatore sia anche ispirato dalla volontà di mettere ordine a ogni livello, ma in modo privo di pregiudizi. Come ha detto il senatore Fornaro, o si inseriscono le province complessivamente nel quadro della riforma costituzionale del Titolo V oppure, procedendo in modo casuale e disordinato, credo che si crei soltanto grande confusione che è sicuramente nemica del principio di responsabilità, che è il fondamento essenziale del principio federalista.
  Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MASSIMO GARAVAGLIA, Assessore all'economia, crescita e semplificazione della Regione Lombardia e coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Mi limito ai numeri, lasciando al presidente Maroni le questioni più generali di carattere costituzionale.
  Onorevole Marantelli, i dati che ho citato – meno 38 per cento di spese delle Pag. 11regioni e meno 14 per cento dello Stato – sono certificati da un tavolo comune tra Ministero dell'economia e delle finanze, Ragioneria generale dello Stato e COPAFF. Si tratta quindi di dati certi, comunque faremo avere ai parlamentari il relativo documento, che è interessante dal momento che offre la fotografia dell'effetto delle manovre dal 2009 in poi sui vari componenti dello Stato.
  È interessante anche per capire, in prospettiva, come si possono risolvere taluni problemi, ad esempio quello dei debiti della pubblica amministrazione. Se, ad esempio, si sottofinanzia una regione, questa crea debito e i debiti si devono pagare.
  Sulla pressione fiscale, vi invito a leggere il documento tratto dall'audizione della Corte dei conti. A pagina 17 trovate un'ottima spiegazione delle ragioni per cui, a fronte di questo aumento della pressione fiscale a livello regionale, non c’è un corrispondente aumento a livello centrale: è stato trasferito a livello locale l'aumento della pressione fiscale e sono state definanziate le funzioni. Peraltro, esaminando quel documento, capirete anche, rispetto ai dati citati prima, cosa è successo per quanto riguarda le regioni.
  Se, tolta la spesa sanitaria, passiamo da 35 miliardi (totale delle regioni) a 19, è evidente che le regioni che hanno una spesa più rigida, avendo tanto personale, o hanno dovuto contrarre debiti, quindi ricorrere al decreto-legge n. 35 del 2013 per pagare i debiti della pubblica amministrazione, o hanno dovuto aumentare la pressione fiscale. Le regioni che avevano una spesa rigida inferiore sono riuscite, bene o male, a barcamenarsi. Questa è la fotografia di quello che è successo.
  Sui costi standard, dico per inciso che, come regioni, stiamo preparando un documento che riguarda il tavolo Cottarelli sulla spending review e siamo riusciti ad avere un accordo per individuare dei benchmark, anche a livello personale, identificando le regioni per fasce di popolazione. La Lombardia con 10 milioni è fuori scala, con 19 euro pro capite. Le altre fasce sono attorno ai 45 euro, gli altri di più. È interessante il fatto che le regioni stesse individuino ulteriori vie di riduzione della spesa proprio attraverso la componente più pesante, quella del personale. Si può fare, quindi, ancora qualcosa di meglio.
  In relazione alla questione generale sui costi standard in sanità, se questi possano essere compatibili con un miglioramento del servizio, rispondo che ci sono gli strumenti della sussidiarietà. Questa è una mia visione personale. Seguendo il tavolo del Patto per la salute, posso dirvi che se ne discute anche in quella sede. La sussidiarietà vera prevede che, laddove un ente locale non è in grado di svolgere bene una funzione, debba intervenire l'ente superiore con i commissariamenti, ma se si commissaria con lo stesso presidente, il discorso funziona poco. Inoltre, questo è correlato alla dimensione delle regioni. Ci sono regioni talmente piccole che non hanno la massa critica sufficiente per svolgere bene quella funzione.
  Per quanto riguarda la spesa sociale, il tema è particolarmente drammatico. Mentre la spesa sanitaria è fuori dal Patto di stabilità (e quindi è possibile mantenere, anche nelle situazioni più complicate, livelli adeguati di servizio), essendo invece la spesa sociale soggetta al Patto, per quello che abbiamo detto prima, passando da 35 miliardi a 19 e non potendo licenziare la gente, in talune realtà si è tagliata la spesa sociale. Questo è purtroppo quello che è successo.

  ROBERTO MARONI, Presidente della Regione Lombardia. Ricordo che nella legge finanziaria 2013 era prevista la regionalizzazione del Patto di stabilità a partire dal 1o gennaio 2014. Questa norma è stata prorogata fino alla fine del 2014 e questo è stato un errore, perché la sua applicazione avrebbe comportato una responsabilizzazione dei territori. Se come regione devo governare il Patto di stabilità con i comuni, non faccio una misura taglia unica, che è l'errore che viene commesso di solito per quanto riguarda la spesa pubblica, perché ci sono realtà diverse che hanno esigenze, storie, comportamenti e reazioni diverse, di cui bisogna tener conto altrimenti si va a finire come sappiamo.Pag. 12
  Anche in materia sanitaria, è giusto garantire il diritto alla salute, però non si capisce perché certe regioni garantiscono eccellenze avendo una spesa pro capite molto inferiore a quella di regioni che queste eccellenze non garantiscono. Poiché ci sono dei modelli, dobbiamo prendere le best practice ed estenderle a tutte le regioni.
  In Lombardia ci sono 500 centri di ricerca e 18 IRCCS, alcuni dei quali costituiscono eccellenze europee, altri eccellenze mondiali. Ho incontrato, qualche giorno fa, i responsabili di un centro nato pochi anni fa a Pavia, il CNAO (Centro nazionale di Adroterapia oncologica), uno degli otto centri al mondo (il secondo in Europa, e non ce ne sono negli Stati Uniti) che curano con fasci di elettroni i tumori che non sono curabili con la radioterapia. È un'eccellenza mondiale.
  Si può fare, e quella dei costi standard è una strada giusta, è una prima applicazione. Come regione Lombardia abbiamo avuto per due mesi un beneficio di 65 milioni di euro, che su base annua corrispondono a 300 milioni di euro. Senza esagerare, è una primissima timida applicazione dei costi standard; se fossero a regime, credo che avremmo un vantaggio di qualche miliardo, e non solo di 300 milioni.
  La prima applicazione condivisa da tutte le regioni, anche quelle che sanno che un sistema di costi standard le costringerebbe a migliorare enormemente la spesa, ha portato questo risultato. Questa è la strada, non c’è dubbio: costi standard significa competizione tra le regioni. Se una prestazione sanitaria in un posto costa 10 e in un altro posto costa 100, non v’è ragione perché questo accada, quindi bisogna fare in modo di arrivare al costo inferiore, mettendo in competizione i territori. Chi fa pagare la prestazione a un costo superiore, farà pagare ai suoi cittadini la differenza rispetto al costo standard.
  Questa è la strada della responsabilizzazione, che non significa non garantire il diritto alla salute. Se la prestazione in una regione può essere garantita con un costo inferiore, è dimostrato che si può fare.
  Si può obiettare che ci sono condizioni di contesto: in cima alle montagne o in certe regioni la situazione è diversa, così come lo è per la campagna rispetto all'area metropolitana. Queste condizioni di contesto sono, però, quelle che determinano l'intervento dello Stato, del Governo o della solidarietà delle regioni, ossia il fondo di solidarietà che appunto serve per compensare le condizioni di contesto, non lo spreco né la spesa fatta male. Ci sono realtà metropolitane, al Nord, al Centro e al Sud, identiche dal punto di vista del contesto, che però hanno costi enormemente differenti e non si capisce bene perché (oppure lo si capisce bene).
  La prima strada, quindi, è quella dei costi standard. In secondo luogo, come ho detto, occorre la regionalizzazione o, per quanto riguarda gli enti locali, l'abolizione del Patto di stabilità. È una necessità che anche il Presidente del Consiglio Renzi ha ammesso qualche tempo fa, definendo il Patto di stabilità come «patto di stupidità».
  Ricordo i dati della regione Lombardia: i 1.540 comuni della regione Lombardia hanno un avanzo, a fine 2012, di 8,5 miliardi di euro, soldi che hanno in cassa e che non possono spendere per i vincoli del Patto di stabilità. Pensate che l'IRAP totale pagata dalle imprese in Lombardia ammonta a 8 miliardi che, se potessero essere utilizzati, non lo sarebbero per la spesa corrente, già pagata interamente, ma per gli investimenti, comportando un beneficio all'economia non solo di quelle regioni ma di tutto il Paese, come è facilmente immaginabile. Bisogna trovare altri modi, ma è necessario liberare le risorse disponibili; non si deve dire ai comuni di indebitarsi, ma si deve poter dire loro di utilizzare i soldi che hanno in cassa per sostenere la crescita economica e le imprese.
  Sono d'accordo con l'onorevole Marantelli quando parla della dimensione delle regioni. Bisogna metter mano anche a questo, e non perché lo dico io o perché noi parliamo di accorpamento di regioni, Pag. 13ma perché è un processo in corso. Ricordo che a novembre di quest'anno, a Milano, il Governo firmerà, assieme ai Governi di altri sei Paesi, la nascita della Macroregione Alpina, che comprende sette Paesi, tra cui tutta la Svizzera, e quarantasei regioni, sette del Nord (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige). Questa Macroregione Alpina, che è un'iniziativa dell'Unione europea, a differenza di altre macroregioni come quella Adriatica (che tiene insieme regioni molto diverse, come il Veneto e l'Albania), mette insieme regioni e territori omogenei dal punto di vista economico, sociale, di sviluppo. Cito Rhone-Alpes, Baden Württemberg, Lombardia che, insieme alla Catalogna, sono i quattro motori d'Europa. Nella Macroregione Alpina non c’è la Catalogna, perché è nei Pirenei, ma ci sono le altre tre.
  Credo che questo cambierà i rapporti di queste regioni con Bruxelles e la Commissione europea, anche nella gestione dei fondi. Penso, ad esempio, alla PAC (politica agricola comune), ma non solo. Di fronte a questo processo che è in corso – è iniziato anni fa e a novembre di quest'anno viene formalizzato e ratificato – le Istituzioni italiane rimangono immobili a vedere che cosa succede ? Noi avremo la Macroregione Alpina, con le sette regioni del Nord, e piccole regioni come Molise e Basilicata ? Non cambierà nulla ? Io penso di sì. Considerata, poi, l'applicazione del fiscal compact, il trasferimento di sovranità dagli Stati nazionali a Bruxelles, si tratta di riforme istituzionali che di fatto avvengono a livello europeo di cui noi non ci stiamo occupando e che invece guardiamo con signorile distacco. Ma io penso che questa macroregione delle Alpi avrà un impatto rilevante sui conti.
  Tra l'altro, sono stato incaricato dalla Conferenza delle regioni di coordinare il lavoro delle sette regioni italiane in vista di questo appuntamento. Sento un grande interesse, al di là dell'aspetto politico. Stiamo parlando di una cosa che esiste e che verrà realizzata entro pochi mesi. Questa macroregione avrà certamente – perché noi vogliamo che l'abbia – un ruolo. Non è solo un'area di libero scambio per migliorare i rapporti tra nord e sud delle Alpi, è un soggetto istituzionale. Io e i miei colleghi, non solo italiani, vogliamo che abbia una dimensione istituzionale intermedia tra gli Stati e la Commissione europea. È un fenomeno che è in atto e io credo che il Parlamento italiano se ne debba occupare, anche procedendo a una revisione del numero e delle dimensioni delle regioni italiane, un processo che in Europa è già in corso.
  Impostazione del confronto con il Governo e posizioni da assumere sulle riforme istituzionali: questo è il titolo dell'incontro che terremo oggi alle ore 10 con tutte le regioni. Quanto all'impostazione del confronto con il Governo, mi pare che quest'ultimo abbia detto ieri che entro quindici giorni presenterà la proposta di riforma costituzionale (Senato delle autonomie). Noi abbiamo interesse, come ho detto, a intervenire. Ci sono vari modelli e io porterò il documento che il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato nei giorni scorsi, che prevede il Senato delle regioni.
  Personalmente mi piace molto il modello Bundesrat, laddove le regioni sono rappresentate e c’è il vincolo di mandato di chi le rappresenta. È rappresentato, peraltro, il Governo delle regioni, non tutta la regione, maggioranza e opposizione. Questa è la mia preferenza personale, che so non essere condivisa. Penso che alla fine la proposta delle regioni sarà, d'intesa con il mondo delle autonomie, quella di un Senato che rappresenti non solo le regioni, ma anche il mondo delle autonomie.
  Quello che importa, per quanto mi riguarda, è che questa Camera delle regioni rappresenti le diversità territoriali, che sono molto forti e richiedono, quindi, interventi differenziati. Come dicevo prima, basta con le misure a taglia unica, che sono insoddisfacenti per noi e per chi sta in fondo alla classifica.
  Bisogna tener conto di queste differenze e prevedere misure responsabilizzando le regioni. In questo vedo un ruolo fondamentale delle regioni. Voglio contrastare, Pag. 14pertanto, l'operazione di ricentralizzazione che è in corso, compresa la riforma del Titolo V, che pure è una riforma necessaria. Personalmente sono dell'idea che si debba mettere fine al sistema delle competenze concorrenti, che ha generato un numero enorme di contenziosi davanti alla Corte costituzionale, perché in occasione di qualunque legge di bilancio del Governo le regioni che sono politicamente all'opposizione presentano ricorso alla Corte.
  È necessaria, quindi, la riforma del Titolo V che deve prevedere le competenze esclusive di Stato, regioni e città metropolitane, sulle quali concludo. Penso che il disegno di legge Delrio sia sbagliato, non tanto per le province, quanto per le città metropolitane, per due motivi. In primo luogo, esso conferisce alle città metropolitane poteri e competenze che attualmente l'articolo 117 della Costituzione prevede per le regioni, quindi è incostituzionale. Se venisse approvato così com’è presenteremmo subito eccezione di costituzionalità di fronte alla Corte. In secondo luogo, il disegno di legge stabilisce che per legge il governo dell'area metropolitana vada al sindaco della città metropolitana e non sia invece eletto.
  L'assessore Garavaglia richiamava il principio «no taxation without representation» e noi siamo d'accordo. Non siamo contrari alla nascita delle città metropolitane, ma dobbiamo decidere quante sono. Sono otto o nove in Europa e il disegno di legge Delrio ne prevede dieci o dodici in Italia. Mi sembra eccessivo. L'area metropolitana di Torino avrebbe dentro la Val di Susa; l'area metropolitana di Brescia avrebbe la Valcamonica.
  Milano va benissimo, però deve valere il principio che il sindaco della città metropolitana debba essere un sindaco eletto dall'area metropolitana stessa e non, per legge, il sindaco della città di Milano, di qualunque colore politico sia.
  Penso che la cosa migliore sarebbe fermare il disegno di legge Delrio e procedere rapidamente alla riforma costituzionale, attribuendo in quella sede le competenze alle città metropolitane, togliendole anche alle regioni, non sono contrario, ma questo non può avvenire per legge ordinaria.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Maroni, l'assessore Garavaglia e tutti gli accompagnatori.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.