XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Giovedì 27 febbraio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), Piero Fassino, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Fassino Piero , Presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 3 
Scozzese Silvia , Responsabile finanza locale dell'ANCI ... 6 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 
Zanoni Magda Angela  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Dirindin Nerina  ... 10 
Fornaro Federico  ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 
De Menech Roger (PD)  ... 11 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Fassino Piero , Presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal presidente dell'ANCI, Piero Fassino ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), Piero Fassino, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), Piero Fassino, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale.
  Ringraziamo il presidente Fassino per la disponibilità a intervenire ai lavori di questa Commissione. Il presidente è accompagnato come sempre dai valenti collaboratori dell'ANCI, la dottoressa Nicotra e la dottoressa Scozzese, che salutiamo.
  Ne approfitto per portare i saluti dell'onorevole Marantelli, che purtroppo è indisposto e non può presenziare. Mi ha raccomandato esplicitamente di giustificarsi con il presidente Fassino.
  Do la parola al presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), Piero Fassino, per lo svolgimento della sua relazione.

  PIERO FASSINO, Presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Ringrazio la Commissione per questa audizione.
  Il tema è molto vasto e riguarda moltissime materie. Per comodità e tenuto conto dei tempi parlamentari, sarò breve e propongo di fare qualche considerazione sulle questioni relative alla delega in materia di federalismo fiscale, riferita in particolare all'applicazione dei tributi di tipo patrimoniale. Chiederei poi alla dottoressa Scozzese di fare qualche considerazione per quello che riguarda il tema dei fabbisogni e dei costi standard.
  Per ciò che attiene alla prima questione, c’è un punto che credo sia ben evidente alla Commissione: la legge delega richiedeva e richiede un certo numero di decreti attuativi e in realtà finora noi siamo in presenza di una limitata disponibilità normativa e legislativa dei decreti necessari. Sono stati approvati nove decreti attuativi, mentre l'insieme dei decreti, dei regolamenti e dei provvedimenti di carattere normativo-ordinamentale che sono necessari per una piena attuazione della legge delega è molto più grande. Questo è un primo problema: ci troviamo in presenza di una legge delega che è per ora largamente incompiuta nei suoi strumenti operativi. Questo naturalmente fa sì che l'intero impianto sia faticoso da gestire, perché non dispone di tutti gli strumenti normativi di attuazione.
  Avendo fatto per anni il parlamentare e l'uomo di Governo, so benissimo che si tratta di un'opera piuttosto ampia e complessa e che non si può pretendere di risolvere tutti i problemi in qualche mese. Tuttavia i tempi con cui si procede all'elaborazione e alla predisposizione degli strumenti attuativi sono estremamente lenti e, Pag. 4in ogni caso, in assenza di un strumentazione organica e completa, l'applicazione delle parti che già sono normate è più complessa e più onerosa. La prima considerazione che faccio qui è quindi che da parte dell'ANCI c’è una sollecitazione a predisporre quegli strumenti che oggi non ci sono ancora.
  Venendo al merito, la questione fondamentale è che in realtà noi ad un vero federalismo fiscale non siamo ancora giunti. Uso il termine «ancora» perché sono un uomo che spera. Naturalmente qualcuno potrebbe dire che non vi si è giunti e non vi si giungerà mai, ma questa è una valutazione che lascio a ciascuno. Certamente oggi noi siamo lontani da un federalismo fiscale. Un federalismo fiscale ha come pilastri fondamentali il riconoscimento di un'autonomia fiscale del sistema degli enti territoriali (comuni, province, città metropolitane e regioni), così come normato dalla legge stessa, e la predisposizione di un impianto di tributi e di strumenti che diano concreta realizzazione a questa autonomia. È proprio su questo punto che dobbiamo riscontrare un grande deficit.
  Oggi l'autonomia fiscale degli enti territoriali, che è riconosciuta in linea di principio, in realtà è molto limitata dal punto di vista concreto e normativo. Non disponiamo di una piena titolarità di tributi, se non per tributi minimi e marginali nella loro influenza sui saldi e sulle politiche di bilancio. Laddove la titolarità viene riconosciuta più significativamente, continua a esserci un principio di concorrenza e di sovrapposizione che riduce la nostra autonomia. Questo è il punto.
  In particolare, tutta la vicenda ICI, IMU e IUC è caratterizzata esattamente da questo limite, per ragioni che sono tutte comprensibili. Quando un Paese ha il debito pubblico che ha, ovviamente ha un fabbisogno di carattere statale molto grande, che comporta che si attinga a tutte le fonti di entrata possibile. Pur comprendendo queste ragioni, che nessuno ignora, resta il fatto che l'autonomia fiscale degli enti territoriali, e in particolare dei comuni, per quello che ci riguarda, oggi non è né piena né sufficiente per garantire quell'autonomia finanziaria che dovrebbe essere l'esito di un'autonomia fiscale.
  Per venire alla concreta situazione attuale, questo è particolarmente vero se si guarda al passaggio dall'IMU al nuovo regime della IUC e della TASI. Queste questioni sono ben conosciute dai parlamentari che sono qui. Il passaggio dal regime IMU al nuovo regime determina una diminuzione significativa del gettito per i comuni. Infatti sulla prima casa passiamo da un regime che aveva un'aliquota standard del 4 per mille ad un regime con un'aliquota standard dell'uno per mille, in ogni caso estensibile solo fino al 2,5 per mille. È quindi elementare che ci sia una riduzione di gettito sulla prima casa.
  Sulla seconda casa sostanzialmente le aliquote sono invariate, soprattutto dopo che il Senato, con proprio emendamento, ha corretto lo strumento predisposto dal Governo, che prevedeva la possibilità di portare l'aliquota sulla seconda casa all'11,6 per mille. L'aliquota è stata invece ricondotta all'10,6 per mille, ovvero al valore precedente, su cui si era già attestata la gran parte dei comuni medio-grandi del nostro Paese.
  È quindi evidente che c’è un gettito minore, aggravato dal fatto che anche per ciò che riguarda la predisposizione degli spazi relativi alle detrazioni, nel nuovo regime gli spazi per le detrazioni sono inferiori a quelli previsti precedentemente.
  Questa situazione ha portato l'ANCI a richiedere al Governo una correzione della predisposizione iniziale. Come sapete, c’è stato lungo negoziato, che mi auguro si concluda nella giornata di oggi con la predisposizione del decreto che il Governo dovrebbe adottare nel Consiglio dei ministri domani mattina. Questo decreto prevede degli strumenti di natura compensativa che garantiscono ai comuni che il nuovo regime non determinerà minore gettito o minore copertura di detrazioni di quello che vigeva nel 2013.
  Tuttavia questa è una misura per risolvere la situazione contingente. Io penso che il problema vero che dobbiamo porci Pag. 5per l'esercizio 2015 sia quello di andare verso una normazione a regime di questo problema che sia chiara. Il punto da cui partire che noi poniamo è che l'intero tributo che deriva dalla patrimonialità su scala locale sia in disposizione dei comuni, e segnatamente che anche gli immobili di categoria D, il cui tributo viene oggi percepito dallo Stato, sia invece di titolarità dei comuni, anche naturalmente rivedendo altri strumenti di natura compensativa e perequativa che oggi sono predisposti.
  Per esempio, noi, sulla base dell'esperienza, riteniamo che, se viene riconosciuta una piena titolarità della fiscalità patrimoniale ai comuni, ci siano le condizioni per andare verso il superamento del Fondo di solidarietà, anche perché questo fondo nel suo concreto funzionamento ha rivelato molti problemi e molte aporie. Si possono discutere anche altre variabili. Da parte dei comuni non c’è semplicemente la richiesta di darci la patrimonialità lasciando tutto il resto invariato. Riteniamo che ci sia la necessità di mettersi intorno a un tavolo con il Governo e confrontarsi con le Commissioni parlamentari per ridiscutere la materia, in ragione tale da rendere organico e chiaro che questa è una titolarità degli enti locali, il che comporta l'esclusività nella gestione del tributo a tutti gli effetti. Questo determinerebbe una certezza di flussi finanziari certamente maggiore di quella che oggi abbiamo.
  Segnalo un aspetto che può sembrare estraneo, ma non lo è. Una delle questioni più vive nel dibattito politico e nell'agenda politica da un certo tempo, fino alla predisposizione di uno strumento normativo come Destinazione Italia, è il tema dell'attrazione degli investimenti. In questo tema una delle questioni fondamentali sono gli strumenti di incentivazione e di gestione flessibile del rapporto con l'investitore.
  Io sono stato a New York qualche giorno fa a incontrare degli investitori, per rappresentare le opportunità di investimento nella mia città. Mi domandavano quali fossero gli strumenti di incentivazione per cui dovrebbero venire a Torino e non andare a Bordeaux. Io mi sono arrampicato sugli specchi, perché i comuni oggi non hanno quasi nessuna flessibilità e nessuna strumentazione. O ho una disponibilità di uso della leva fiscale più ampia, con cui posso avere margini di flessibilità, oppure, con l'attuale sistema fiscale tutto quello che io posso offrire a un'azienda straniera che viene in Italia è lo sconto sulla TARSU o sulla TARES, il che, come è ben evidente, non è un grande incentivo.
  L'autonomia fiscale non è soltanto necessaria per avere maggiore discrezionalità e autonomia nella spesa, tenuto conto della diversità e della varietà delle situazioni tra comuni grandi, medi e piccoli, tra comuni del Nord e del Mezzogiorno, tra comuni che hanno una concentrazione industriale e altri che non la hanno (son tutte cose che chiunque capisce). C’è anche il problema di avere un'autonomia finanziaria e fiscale che consenta di avere quegli elementi di flessibilità nella gestione delle politiche che è fondamentale per sostenere politiche di sviluppo. Questo è un tema assolutamente essenziale.
  Il secondo capitolo, su cui lascio la parola alla dottoressa Scozzese, è quello dei fabbisogni e costi standard. La materia è particolarmente complessa. Per parte mia, sottolineo soltanto due aspetti.
  Il primo è che le funzioni fondamentali che vengono assunte a riferimento nella definizione di fabbisogni e costi standard sono solo parte di ciò che i comuni fanno. Questo è un punto che viene spesso eluso. I comuni fanno molto di più delle funzioni che vengono loro assunte. Questo è un primo tema. Parliamo di funzioni essenziali, tanto quanto quelle che sono normate. Faccio solo un esempio: oggi gran parte delle politiche per la cultura di questo Paese, soprattutto nelle grandi città, passano per le politiche degli enti locali. È una funzione assolutamente ignorata nella definizione di fabbisogni e costi standard. Questo è un esempio, ma se ne potrebbero citare altri.
  La seconda considerazione è che se l'obiettivo della determinazione di fabbisogni e costi è quello di superare la gestione dei flussi finanziari soltanto sulla Pag. 6base della spesa storica, questo ci trova tutti d'accordo. Se invece la determinazione di costi e fabbisogni standard significa anche la determinazione di livelli essenziali di servizio, che non tengono conto del fatto che l'erogazione dei servizi non è omogenea nel Paese e ci sono realtà territoriali significative che su certi servizi oggi esprimono un'offerta più alta della media, si apre un problema.
  Io mi sono sentito dire da un commissario per la spending review precedente all'attuale che avevo troppi asili-nido e avrei dovuto chiuderne qualcuno. Questo non funziona. Non esiste che sulla base di una tabella io spiego ai cittadini che chiudo degli asili nido. Bisogna che ci capiamo. È giusto avere un riferimento di fabbisogni e costi, dopodiché bisogna introdurre un elemento di flessibilità, tenuto conto che fa parte di obiettivi di civiltà se si è in grado di offrire un servizio più alto, di maggiore qualità e di maggiore fruibilità. Questo è un punto che non può essere ignorato.
  Dopo queste due valutazioni di natura politica, lascio la parola alla dottoressa Scozzese.

  SILVIA SCOZZESE, Responsabile finanza locale dell'ANCI. Buongiorno e grazie. Io cerco di sintetizzare gli elementi che secondo noi devono essere correlati all'attuale attività di individuazione dei fabbisogni standard.
  Come sapete e come il presidente ha ricordato, noi abbiamo condiviso il percorso indicato dalla legge n. 42 di individuare dei fabbisogni standard, non per stilare una classifica teorica di spesa o, come viene spesso ricordato, di efficienza dei comuni, ma piuttosto per stabilire una distribuzione equa di risorse. È questo il tema che manca oggi all'attività di individuazione dei fabbisogni standard.
  È stato fatto un importantissimo lavoro di raccolta dei dati, a cui i comuni hanno partecipato con un grande sforzo e con un grande senso di responsabilità. Abbiamo riempito un numero impressionante di questionari e di dati, che evidentemente può servire a moltissimi scopi, e ha costruito quella prima parte di analisi, che è l'analisi della spesa in base ai costi standard.
  Cosa manca a questa analisi che, come sapete, noi abbiamo richiesto da anni ? Ad esempio, è agli atti di questa Commissione la richiesta di avviare l'analisi della distribuzione delle capacità fiscali. La legge n. 42 individua questa metodologia, che è anche la metodologia più usata in tutto il mondo, per individuare un percorso di fabbisogni standard, che risponderebbe anche a quegli elementi di criticità che ha appena enunciato il presidente, ad esempio alla necessità di indicare una metodologia per valutare la spesa sulle altre funzioni.
  La legge n. 42 immagina che sulle altre funzioni vengano valutate la spesa e la distribuzione di risorse, cioè la perequazione delle capacità fiscali. Non capiamo perché questo elemento venga trascurato. Da noi è stato più volte richiesto, perché è un elemento necessario per completare l'analisi sui fabbisogni standard.
  Faccio un esempio, perché altrimenti sembra che parliamo di pura teoria. Io oggi ho degli elementi di analisi di spesa che non sanno distinguere tra la qualità e la quantità del servizio. Io posso avere una spesa rilevata che dipende da un'abitudine che è storico-sociale del nostro Paese, cioè l'abitudine a fornire determinati servizi con una certa intensità e una certa qualità. Si tratta della decisione di autonomia di un ente, in base a una data situazione e a una data popolazione.
  In questa analisi, si deve tener conto dello sforzo fiscale, cioè del fatto che nella maggior parte dei casi (questo è dimostrabilissimo e lo dimostriamo anche in questa relazione) la qualità e la quantità si pagano con la pressione fiscale. Fate attenzione, questo è scritto nella Finanziaria di quest'anno. In questo modo si rischia di prelevare quello sforzo fiscale di quel territorio, che era destinato a quella qualità e a quella quantità, e di distribuirlo in altri posti, dove ad esempio la spesa non c’è e la funzione non è svolta.
  Questi sono gli elementi che noi stiamo sottoponendo a tutte le istituzioni di questo Pag. 7Paese da almeno un anno. Nella COPAFF che si è tenuta il 23 dicembre abbiamo dato un parere negativo all'analisi di tre funzioni, perché c'erano degli elementi tecnici a cui non abbiamo avuto ancora risposta e su cui abbiamo presentato un documento scritto, che riguardano, ad esempio, l'uniformità di valutazione di determinati elementi, tra cui gli oneri come il costo degli affitti. La valutazione è fatta in un modo per le funzioni generali ed è fatta in un altro modo per altre funzioni. Queste cose devono essere riportate all'unità, altrimenti non trattiamo i comuni allo stesso modo.
  Inoltre, abbiamo un problema di analisi della spesa per il personale, perché spesso e volentieri il salario accessorio è inserito nelle spese generali, mentre non dovrebbe essere così. Questo porta certi comuni, che sono finiti anche sui giornali, ad avere spese generali particolarmente gonfiate, solo a causa di un problema di mancata neutralizzazione di questa fattispecie. Ci sarebbero altri esempi.
  Vi assicuro che queste questioni non sono di poco conto, perché se quando noi utilizziamo questi dati non sappiamo spiegare perché abbiamo delle differenze di spesa tra un comune e l'altro, evidentemente abbiamo tutti fallito il nostro obiettivo e questo secondo me non è nella volontà di nessuno.
  Tornando al problema di base, se noi non completiamo questa analisi con la distribuzione delle capacità fiscali, rischiamo un'eterogenesi dei fini, ovvero di ottenere una finalità contraria a quella che ci siamo posti in questo percorso. Invece di mantenere le risorse dove vengono spese per determinati servizi e incentivare anche con ulteriori risorse chi il servizio deve offrirlo ad un certo livello e ad un certo costo standard che noi individuiamo, rischiamo di fare una distribuzione e quindi che quel prelievo fiscale, che in base ai principi del federalismo fiscale deve sostenere quei servizi, finanzi servizi da un'altra parte, che non sappiamo nemmeno se saranno svolti.
  Malgrado tutto quello che ci siamo detti, sono state approvate delle raccomandazioni che, ad esempio, assegnano un fabbisogno standard nei comuni dove la funzione non è svolta.
  È stato individuato questo percorso dei fabbisogni standard. Forse dobbiamo fermarci un attimo e capire cosa vogliamo fare di questo percorso. Questo è importantissimo, perché noi stiamo continuando, anche facendo riforme fiscali continue, a rappresentare le risorse finanziarie di quell'ente con quelle che sono sempre state.
  Se noi non mettiamo in gioco la distribuzione delle risorse non facciamo un percorso che ci fa raggiungere una certa equità, e quindi la possibilità per tutti i cittadini in tutti i territori di accedere a un set di servizi standard o di base, che è quello che voleva garantire la legge n. 42 con i principi costituzionali.
  Invece, stiamo facendo una rincorsa alla modifica delle norme, con una diminuzione progressiva delle risorse fiscali disponibili. Noi abbiamo dimostrato che le nostre risorse, mettendo insieme trasferimenti, risorse fiscali e tutto il resto, negli ultimi cinque anni sono diminuite almeno di 5 miliardi, con uno sforzo fiscale massimo. Questo vuol dire che le risorse si riducono sempre di più.
  Non abbiamo una frontiera di distribuzione delle capacità fiscali nuova. Oggi abbiamo quindi un'analisi monca. Nella Finanziaria di quest'anno addirittura c’è l'uso di questa analisi dei fabbisogni standard che non è completa e che distribuisce il 10 per cento del Fondo di solidarietà comunale, quello che serviva a compensare la perdita di gettito degli immobili di categoria D, mantenendo l'equilibrio finanziario dei comuni nel trapasso fiscale dalla norma del 2012 alla norma del 2013.
  Decidiamo di distribuire un fondo orizzontale con una classifica di efficienza monca. La chiamo così, perché così si chiama. Vi assicuro che in realtà non si tratta di efficienza, ma di tutt'altra cosa, però purtroppo le abbiamo affidato questa definizione. Con questa classifica di analisi della spesa distribuiamo una parte di risorse che invece avrebbe dovuto portare Pag. 8all'equilibrio, con dei risultati che noi qui riportiamo, che potrebbero essere abbastanza controintuitivi.
  Proprio perché questo è un fondo orizzontale, alimentato al 70 per cento da risorse comunali, i comuni che avrebbero un posizionamento positivo sui fabbisogni standard cedono al fondo, mentre quelli che l'avrebbero negativo prendono.
  Oltre a queste osservazioni tecniche, che ho cercato di sintetizzare, mi permetto di portare la vostra attenzione anche su un tema comunicativo. Facendo uscire questo tipo di operazioni in un momento in cui non sono spiegate, non sono completate e addirittura sono un po’ controintuitive rispetto a quello che vogliamo realizzare, quando queste arrivano sul nostro territorio, nel consiglio comunale e nella stampa locale effettivamente portano a disguidi e incomprensioni, che noi dovremmo rincorrere. Questo non fa bene né all'obiettivo comune di arrivare a un percorso di redistribuzione equa delle risorse né a noi che dovremmo essere in grado di spiegare che attraverso tutto questo sistema usiamo le risorse di tutti.
  Noi riteniamo che sia il momento di fare un po’ il punto su questo sistema e di mettersi subito al lavoro per sistemare le cose, dal punto di vista tecnico, delle stime e di tutto il resto. Chiediamo che si riprendano immediatamente l'analisi e la correzione degli elementi che lo necessitano, come quelli che ho citato. Ci sono alcune decisioni di cui dovrebbe essere evidenziato l'effetto, come quella di assegnare una spesa a chi non svolge il servizio, che è evidentemente il contrario di quello che tutti quanti volevamo fare.
  Richiediamo inoltre che venga immediatamente completato il percorso con l'individuazione delle capacità fiscali e l'avvio di un fondo perequativo, ovvero di una perequazione delle capacità fiscali vera basata su questi elementi che abbiamo, avendo lavorato per tre anni su questo tema.
  Mi rendo conto che per il 2014 questo non può avvenire, ma spero che il 2015 veda il completamento di questo percorso, perché il Fondo di solidarietà non è il fondo perequativo, ma serve a compensare differenze fiscali. Mi auguro inoltre che si prenda la responsabilità di dare un assetto organico e definitivo alla finanza locale.
  Colgo l'occasione, se il presidente me lo consente, di parlare anche dell'armonizzazione dei princìpi contabili, che è un altro tema che ora veramente sta arrivando a un punto di svolta. Anche su questo devo dire che è stato fatto un grande lavoro da parte di tutti i Ministeri competenti e di tutti gli enti locali, che hanno partecipato alla riscrittura dei principi contabili, nella convinzione che dovessimo addivenire a due temi.
  Il primo tema è l'armonizzazione dei principi contabili, perché l'esperienza dell'attuazione della legge n. 42 ci ha mostrato che non esisteva un metodo di confronto della spesa dei vari livelli di governo, ovvero della cosiddetta governance multilevel che in un sistema federale maturo dovrebbe esistere, chiarendo nella manovra finanziaria qual era il contributo al deficit di ogni settore, qual era il metodo con cui veniva calcolato e qual era il sacrificio richiesto a ogni settore di governo.
  Senza uno strumento contabile che metta in grado di leggere il percorso finanziario di ogni singolo livello di governo, ovviamente questa misura non può essere presa da nessuno. Fino ad oggi ci siamo basati su un sistema in base al quale ognuno conta per la sua spesa e vediamo la spesa totale, senza valutare quale spesa fosse. La spesa, al netto di previdenza e sanità, viene messa in un calderone che fa cento e ognuno contribuisce in base al valore della propria spesa.
  Questo meccanismo un po’ di anni fa poteva avere un senso, anche se fu contestato già allora. Noi (regioni, province e comuni) da sette o otto anni diciamo che probabilmente bisognerebbe maturare un meccanismo che individui il deficit e non la spesa, e quindi il percorso al deficit.
  La legge n. 42 prende in considerazione questa esigenza. Nell'armonizzazione dei princìpi contabili stabilisce un modo di lettura del percorso di risanamento Pag. 9e di concorso alla finanza pubblica, ovvero di equilibrio di ogni settore, e si basa su questo metodo per intervenire nei singoli settori e individuare dei princìpi.
  Uno è il principio di certezza degli accertamenti: nessuno deve spendere più di quello che ha e gli accertamenti devono essere veri e controllati. Inoltre, la spesa in conto capitale deve essere programmata in maniera trasparente, senza accumuli di residui. Le assemblee devono essere in grado di verificare qual è lo stato di andamento della programmazione dei lavori pubblici.
  Non vi tedio sui princìpi. Quelle che ho appena enunciato sono le questioni fondamentali. Dopo un enorme lavoro e una grande attenzione all'impatto finanziario di tutto questo, noi abbiamo chiesto al Ministro dell'economia di trovare delle misure di sostenibilità e devo dire che lo abbiamo trovato disponibile.
  Capirete che tutti gli enti non sono nella stessa situazione, e quindi questa revisione straordinaria dei residui potrebbe portare all'emersione di situazioni di deficit e di difficoltà. C’è stata un'importante apertura al fatto di poter assorbire questi deficit, nel caso in cui ci fossero, in un numero di anni che consenta il loro assorbimento, e anche evidentemente ad avere la disponibilità ad un sostegno per chi non è in grado di farvi fronte.
  Una volta che questo percorso sembrava concluso, si viene a scoprire nel corso di una riunione tecnica che per la sanità questa cosa non vale. Abbiamo dei principi diversi, che sono molto importanti, quali la capacità di accertare le entrate e la capacità di assorbire il deficit.
  La cosa più particolare è che questa questione è stata sollevata dalle regioni direttamente interessate, che hanno già dichiarato la loro non condivisione di questo principio proposto dal Ministero e ha visto anche la nostra contrarietà, perché i princìpi a cui si è lavorato tutti insieme evidentemente vengono riconosciuti fino alla fine. Ci sarebbe la particolarità che per la sanità non avremmo l'emersione di nessun deficit, perché ci sarebbe una possibilità di accertare entrate future per compensarlo, mentre, ad esempio, per i comuni di una stessa regione ci sarebbe l'emersione di un deficit che andrebbe coperto immediatamente con entrate fiscali, con le difficoltà che abbiamo rappresentato.
  Noi crediamo che, dato che abbiamo creduto in questo percorso e vi abbiamo lavorato, non possa essere possibile né che una regione faccia un pezzo di bilancio in un modo e un pezzo in un altro né che nello stesso territorio e nella stessa nazione si abbia una modalità differente di trattamento di una cosa così importante che è il deficit di gestione. Altrimenti vuol dire che l'armonizzazione dei princìpi contabili non la vogliamo fare e quindi a questo punto forse dovremmo rivedere tutto. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Faccio presente che sui princìpi contabili non c’è soltanto un problema domestico italiano. Se andiamo a vedere i criteri di contabilizzazione dell'Europa e quello che dobbiamo fare per trasformare i nostri dati contabili in dati convalidati in sede europea vediamo che si tratta di un processo di armonizzazione estremamente complicato.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Innanzitutto ringrazio l'ANCI per questo intervento e per le delucidazioni che ci ha già dato.
  Devo dire che condivido gran parte delle osservazioni proposte per quanto riguarda i fabbisogni e i costi standard, su cui mi ero già espressa in questa sede, sollevando tutte le mie perplessità, non ultimo il fatto che è un lavoro di tre anni che avrebbe dovuto dare i suoi frutti molto tempo prima e si richiederebbe un lavoro di sintesi che non c’è stato. Sicuramente questo è un aspetto importante.
  L'altro aspetto rilevante è che le difficoltà dei comuni che sono a rischio default devono essere fortemente considerate. Non possiamo concentrare tutta l'attenzione su Pag. 10Roma, anche se chiaramente Roma ha un'importanza strategica per tutta l'Italia. Sicuramente anche le altre realtà vanno considerate.
  Sul tema degli investimenti la preoccupazione è tanta, non solo per i risvolti sui singoli comuni, ma anche per il fatto che gli investimenti che passano attraverso questa rete di agenzie, che sono i nostri comuni, possono sicuramente dare una forte mano allo sviluppo. È inutile che continuiamo a proporre politiche di sviluppo e agevolazioni nel mondo del lavoro da un lato e dall'altro impediamo ai comuni di utilizzare l'avanzo di amministrazione, che sono risorse fresche spendibili immediatamente e che potrebbero davvero essere un volano della nostra economia.
  Credo che sottovalutare la rete capillare che noi abbiamo in tutta Italia di possibilità di sviluppo sia veramente un errore grave. Spero che il nuovo Governo sia in grado di capire questa potenzialità e di aprire spazi sul Patto di stabilità proprio rispetto all'uso dell'avanzo di amministrazione, perché questo sarebbe un modo di premiare i comuni che hanno fatto politiche virtuose nel passato.
  Io chiedo scusa, ma purtroppo devo andare alla Commissione bilancio, dove abbiamo uno strascico sul decreto Salva-Roma, sul nuovo disegno di legge e su tutti gli emendamenti che erano stati cassati dal presidente Grasso. Vi chiedo scusa e vi abbandono.

  PRESIDENTE. Non si preoccupi. Temo che di strascichi ce ne saranno tanti.

  NERINA DIRINDIN. Anch'io ringrazio l'ANCI per l'intervento e soprattutto per la puntualità di alcune delle osservazioni che sono state esposte. Condivido in pieno molte delle osservazioni che sono state fatte con preoccupazione sull'analisi dei costi e dei fabbisogni standard, che, per quello che mi riguarda, avevo avuto occasione di rappresentare quando c’è stato in questa sede un incontro con la SOSE.
  Condivido in pieno il fatto che quell'analisi che è stata fatta sui dati di bilancio non porta delle indicazioni di efficienza. Bisognerebbe fare una mozione generale non so a chi per togliere quella parola. Sono indicazioni e valutazioni che ci possono consentire di trarre qualche conclusione, ma ovviamente è rischiosissimo dire che sono valutazioni di efficienza, e ancora di più di efficacia.
  Il rischio è che si faccia dire a quei numeri, che sono molto complessi dal punto di vista scientifico e quindi generano un po’ di difficoltà da parte dell'interlocutore a chiedere spiegazioni, quello che essi non possono dire. Questo sarebbe estremamente pericoloso in una fase così delicata.
  Sottolineo un altro punto che è stato trattato. In questo momento si sta chiedendo alla parte tecnica di risolvere un problema sul quale non abbiamo ancora lavorato a livello politico, che riguarda gli indicatori di obiettivo. Questa non è una cosa che si può chiedere alla parte tecnica. Dobbiamo lavorare in altra sede.
  Chiedere di colmare in sede tecnica un obiettivo politico è estremamente rischioso, perché il meglio a cui si può arrivare è avere degli indicatori di cosa si faceva prima, che diventano indicatori di obiettivo. Quello che si faceva è la media fra chi faceva tanto e chi faceva poco. Questo è estremamente pericoloso in questa fase. Per questa ragione io condivido in pieno le vostre considerazioni e sono disponibile a fare quanto è di nostra competenza.

  FEDERICO FORNARO. Mi associo anch'io ai ringraziamenti, che non sono formali. Nel corso del dibattito parlamentare in più occasioni abbiamo avuto modo di sottolineare come il 2013 sia stato un anno orribile per la finanza locale, da non ripetere. Non lo dico ovviamente al presidente dell'ANCI, ma è un segnale che va dato con forza.
  Da questo punto di vista non abbiamo iniziato tanto bene, perché oggi c’è una data limite per l'approvazione dei bilanci di previsione, sostanzialmente in assenza di certezza sulle risorse e i trasferimenti.
  È già stata fatta una dilazione al 30 aprile e segnalo che ci sono 4.000 comuni Pag. 11che vanno al voto (circa metà degli enti locali), per cui ci sono anche questioni interpretative sulla possibilità di andare oltre il 10 aprile per approvare atti.
  Detto questo, io vorrei cogliere una sollecitazione del presidente Fassino sul tema del superamento del Fondo di solidarietà. È un tema che forse i colleghi ricorderanno. Il presidente Giorgetti lo ricorderà senz'altro, perché lui, a differenza nostra, c’è sempre. È una cosa abbastanza incomprensibile. C’è un punto in cui i trasferimenti calano fino ad arrivare a zero e dovrebbero fermarsi lì. Siccome io sono sindaco di un comune che va oltre, vi assicuro che spiegare questo ai cittadini è molto complicato, perché passa l'idea che se quel dato è aumentato, vuol dire che il sindaco è stato «scemo».
  Secondo me il punto di approdo finale è che probabilmente una parte significativa dei comuni sanno già oggi, per la struttura dei costi che hanno e per la qualità dei servizi, di essere in una condizione di neutralità, cioè di essere indipendenti rispetto ai trasferimenti dello Stato. Visto dal punto di vista dello Stato questo è un significativo passo in avanti rispetto a dieci anni fa. Arrivare a fare un Fondo di solidarietà comunale finanziato di fatto anche da un pezzo dei comuni virtuosi pone in una situazione assoluta di non praticabilità.
  Io mi permetto di suggerire di collegare i due elementi. Nell'ambito della titolarità c’è un punto in cui si arriva a zero, ma non sotto zero, altrimenti diventa impraticabile. Faccio una proposta, anche perché il problema di questa bicamerale, come delle altre, è trovare gli spazi. Col presidente abbiamo inventato questi spazi mattutini romani abbastanza originali.
  Io credo che i temi che sono stati posti oggi siano numerosi e forse meriterebbero di essere affrontati, compatibilmente con i nostri tempi. Ponendo l'attenzione sul tema del Fondo di solidarietà, sul tema della finanza locale, sul tema dei tempi eccetera, bisognerebbe riuscire a programmare a breve, anche per dare un senso forte, un'audizione del nuovo Ministro dell'economia. Io non so se questo è nelle consuetudini parlamentari. Credo che il presidente sia d'accordo con me.
  Anche in una logica di dialogo a tre (Governo, ANCI e Commissione), si potrebbe provare ad interloquire su alcuni punti, altrimenti c’è sempre un ragionamento univoco e non si riesce ad incrociare una serie di riflessioni. Ovviamente questi temi sono oggetto dei tavoli di confronto con il Ministero, ma se vogliamo dare un ruolo anche al Parlamento, questa potrebbe essere un'occasione in cui fare il punto su alcune questioni e individuare dei percorsi, ognuno per le sue competenze, affinché – chiudo da dove sono partito – un altro anno orribile come il 2013 non si ripeta.
  Sottolineo questo anche dal punto di vista dei cittadini. Il caos sulla mini IMU è la punta dell’iceberg. Chi amministra sa (perché ha già provato a fare le simulazioni) che con la TASI ci sarà una riemersione della tassazione sull'abitazione principale. I raffronti che si fanno col 2012 tecnicamente sono ineccepibili, ma il cittadino li fa col 2013, dove la tassazione principale è a zero. L'impatto comunicativo e di portafoglio o è spiegato bene oppure rischia di essere molto negativo.

  PRESIDENTE. Per quanto riguarda il Ministro dell'economia, io confido molto che Palazzo Chigi, avendo esperienza, abbia sensibilità verso i problemi dei comuni.

  ROGER DE MENECH. Io vorrei solo fare una valutazione di metodo rispetto al futuro di tutte queste tematiche. La cosa che spaventa di più un sindaco, più che un parlamentare, è il non fare nulla, cioè aver costruito un meccanismo di costi standard che oggi è assolutamente perfettibile e che non riusciamo a utilizzare e a calare nella realtà comunale. Abbiamo costruito il Fondo di solidarietà e lo stiamo gestendo diluendolo nei tempi, come avvenuto l'anno scorso, arrivando a fine anno con i dati certi, e creando un'incertezza diffusa nei comuni.
  Noi dobbiamo considerare il principio – almeno questa è la mia idea – che se Pag. 12noi rimaniamo fermi ad oggi è comunque peggio. Sto facendo un ragionamento politico più che tecnico. Come politica dobbiamo avere quel pizzico di coraggio che serve a prendere delle decisioni su questi temi.
  È chiaro che i comuni italiani sono talmente diversi che è complicato unirli in un metodo matematico, però è anche vero che ci sono almeno alcuni macroelementi che possono darci un metro di giudizio. Non vorrei che passassimo dal metodo matematico e dal puntualizzare ogni cosa a dire che i numeri non servono. Cosa facciamo d'altro ? Questo mi spaventa, più da sindaco che da parlamentare.
  Noi dobbiamo iniziare a mettere a segno qualche punto e a mettere qualche paletto, almeno sulle cose che uniscono i comuni italiani. Dico questo perché probabilmente nell'approccio politico di alcuni anni fa l'elemento di ambizione di questa manovra era fortemente spinto, cioè si voleva arrivare a un risultato pari a cento. Io dico che i comuni sono in una situazione tale che potremmo anche ritarare quell'elemento, accontentandoci di un po’ meno, ma iniziando a mettere in linea alcuni numeri.
  Ripeto che questa situazione è insostenibile. Ricordo che tutto quello che è stato detto provoca il fatto che non abbiamo certezze sui bilanci, non abbiamo certezze sui servizi da rendere e abbiamo ampliato la sperequazione territoriale. L'abbiamo ampliata e non diminuita.
  Lo dico al presidente dell'ANCI e ai colleghi della Commissione: iniziamo a fare una sintesi e diamoci un metodo di lavoro. Abbiamo i dati per capire quello che è troppo specifico per arrivare a un risultato razionale e quello che invece può essere preso, che a mio avviso c’è.
  Lo dico perché il tempo che abbiamo davanti è limitato. C’è anche la variabile tempo rispetto a queste dinamiche. Potremmo avere più tempo se il nuovo Governo decidesse di ridare un po’ di ossigeno ai comuni. Siccome credo che non sarà così, allora, stanti i tagli e stanti le riduzioni dei trasferimenti che abbiamo sopportato tutti quanti in questi anni, non abbiamo tempo da perdere. Decidiamo quali paletti mettere in fila e facciamolo.
  Sono molto d'accordo su una visione generale di questa tematica. Mettiamoci tutti intorno a un tavolo, perché sappiamo che questa è una sfida complicata e ci potranno essere degli errori. Lo sappiamo già. Non agire però sarebbe l'errore più grande.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente dell'ANCI, Piero Fassino, per la replica.

  PIERO FASSINO, Presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Faccio due osservazioni. La prima è che il 2013 è stato un anno orribile, ma la sua «orribilità» (scusate il brutto neologismo) è data dal fatto che veniamo da sette anni di costante e continua riduzione delle risorse. Nel 2013 è esplosa una situazione che via via è divenuta sempre meno sostenibile. Per questo è necessario andare verso un cambio di passo radicale.
  Noi abbiamo posto come questione fondamentale, arrivandoci quasi (al 100 per cento probabilmente non ci arriveremo mai), che nel 2014 sia almeno garantita l'invarianza di risorse per i comuni.
  Arrivo alla seconda questione. Io sono totalmente d'accordo sul fatto che non possiamo stare fermi. Per usare un'espressione un po’ abusata, noi siamo in mezzo al guado. Stare a lungo in mezzo al guado ti porta via. O torni indietro, o raggiungi la riva, o prima o poi la corrente è più forte di te. Noi siamo in una condizione di insicurezza quotidiana.
  Io ho fatto il calcolo. Voi lo sapete perché siete parlamentari e li avete convertiti. Vorrei segnalarvi che dal novembre 2011 (quando è nato il Governo Monti) a oggi, i comuni sono stati destinatari di 38 decreti, cioè uno al mese. Ciò vuol dire che noi sindaci una volta al mese abbiamo dovuto rifare i bilanci, perché i decreti incidevano sempre su di essi. Il problema era soprattutto spiegarlo ai cittadini.
  Io sono d'accordo col fatto che bisogna arrivare a delle decisioni e penso anche che ci sia la necessità di uno strumento Pag. 13concertativo che oggi non abbiamo. Personalmente mi vado convincendo che se noi istituissimo una Conferenza tripartita (Governo, Parlamento e rappresentanti degli enti territoriali) questa potrebbe essere una sede possibile. Noi abbiamo questo problema. Noi avanziamo le proposte, si negozia col Governo, più o meno si trova un accordo, poi si va in Parlamento e quest'ultimo fa le modifiche. Per l'IMU e la TASI è stato così. Diventa un assoluto casino.
  Penso che dobbiamo avere una sede nella quale cercare una concertazione, fatto salvo che ovviamente la sovranità del Parlamento e del Governo sono assolute. Non si mette in discussione questo, però bisogna avere un luogo di concertazione che ci consenta di avere almeno un percorso convenuto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.

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ALLEGATO

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