XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 17 di Mercoledì 12 febbraio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 2 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Prestipino Giarritta Michele , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Moscardelli Claudio  ... 13 
Lumia Giuseppe  ... 13 
Mineo Corradino  ... 14 
Giarrusso Mario Michele  ... 14 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 15 
Moscardelli Claudio  ... 16 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 
Prestipino Giarritta Michele , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 18 
Giarrusso Mario Michele  ... 20 
Prestipino Giarritta Michele , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Fava Claudio (SEL)  ... 21 
Garavini Laura (PD)  ... 22 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 22 
Sarti Giulia (M5S)  ... 22 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 23 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 23 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 25 
Bindi Rosy , Presidente ... 27 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 27 
Bindi Rosy , Presidente ... 27 
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 27 
Prestipino Giarritta Michele , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 30 
Fava Claudio (SEL)  ... 31 
Prestipino Giarritta Michele , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 31 
Bindi Rosy , Presidente ... 32 

Comunicazioni della Presidente:
Bindi Rosy , Presidente ... 32

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.45.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, sui temi della criminalità organizzata mafiosa a Roma e nel basso Lazio.
  Il procuratore Pignatone è accompagnato dal procuratore aggiunto Michele Prestipino Giarritta.
  La seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera. Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterranno opportuno, potranno chiedere che i lavori della Commissione proseguano in seduta segreta.
  Do la parola al procuratore Pignatone, che ringrazio per la sua presenza.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Vi ringrazio innanzitutto dell'invito. Svolgerò una relazione, che spero non sia troppo lunga. Ovviamente, qualora vi fossero domande, saremo lieti di rispondere, subito se siamo in grado, oppure con uno scritto da consegnare in seguito.
  Depositeremo poi, per quanto può essere di interesse della Commissione, le ultime due relazioni redatte in occasione dell'anno giudiziario, 2011-2012 e 2012-2013, e le copie di alcuni provvedimenti su supporti informatici, di cui a mano a mano parleremo.
  Io sono procuratore della Repubblica di Roma dal 19 marzo 2012, ossia da quasi due anni, e non avevo precedenti esperienze romane. Il collega Prestipino, che ho incaricato di aiutarmi nella direzione distrettuale antimafia, è arrivato a Roma da altri incarichi, anche i suoi non romani, da novembre 2013. Anche lui è in carica da quasi due mesi.
  Premetto che – può sembrare banale, ma non bisogna mai dimenticarlo – a differenza delle esperienze che io ho maturato a Palermo e a Reggio Calabria, la mafia non è la sola emergenza di Roma e neanche la principale. Può sembrare, lo ripeto, ovvio e banale, ma non bisogna dimenticarlo.
  Questo per dire che la procura della Repubblica di Roma, così come poi, a cascata, gli uffici giudiziari romani, si trova a dover fronteggiare una serie molto ampia di problematiche, dai reati contro l'economia a quelli propri della pubblica amministrazione, a seri problemi, in alcuni momenti, di ordine pubblico e comunque di criminalità di tipo eversivo, a grandissimi problemi di reati contro l'economia, tributari, fiscali, ambientali, nonché Pag. 3altre questioni molto particolari, come quella che può riguardare lo Stato di Città del Vaticano e i rapporti con l'estero. Pensate al caso dei marò, per esempio. Ciò, ovviamente, sta a indicare che l'ufficio ha una grandissima varietà di problematiche.
  Anticipo comunque una questione su cui poi tornerò. Molte, anche se non tutte, naturalmente, di quelle che ho accennato, secondo me, si possono intrecciare – lo sforzo è capire se questo intreccio ci sia – anche con i problemi di criminalità organizzata di stampo mafioso in senso stretto.
  Qual è l'analisi tradizionale sulla presenza delle mafie – usiamo il termine in modo generico e generale – nel Lazio ? La competenza della DDA di Roma è sull'intera regione Lazio. Per quanto riguarda la parte meridionale della regione, quella più vicina alla Campania, secondo un'analisi tradizionale che da molti anni a questa parte è ripetuta da tutti gli esponenti sia della magistratura, sia delle forze dell'ordine e dai responsabili governativi, si registra, per ovvie ragioni proprio di vicinanza geografica, una presenza più strutturata di esponenti di clan camorristici, ma anche di cosche di ’ndrangheta.
  Questa analisi, che io definisco «tradizionale», va confermata anche alla luce delle esperienze degli ultimi due anni. In questi ultimi due o tre anni ci sono state anche alcune conferme processuali importanti, ossia alcune sentenze ancora non definitive, ma molto importanti.
  Citandole rapidamente, sono: la cosiddetta operazione Damasco, che riguarda il mercato ortofrutticolo di Fondi, con imputati Tripodi Carmelo ed altri, del tribunale di Latina del 2011; l'operazione cosiddetta Sud Pontino contro alcuni esponenti del clan Noviello-Schiavone, del 2012, anche questa del tribunale di Latina, ma con presenza anche ad Anzio e Nettuno; le recentissime (del 22 ottobre 2013) operazioni di polizia Appia e Mithos, due operazioni sul clan calabrese Gallace, su cui c’è stata la sentenza di condanna di gran parte degli imputati per reati di cui all'articolo 416-bis, riconoscendo la presenza di una cosca di ’ndrangheta in territorio laziale, del tribunale di Velletri. Ovviamente, i fatti a cui si riferiscono queste sentenze risalgono ad anni precedenti, ma confermano quella che io chiamavo l'analisi tradizionale.
  Per quanto riguarda la città di Roma, invece, questa analisi, che io continuo a chiamare tradizionale, indica che non ci sarebbero state e non ci sarebbero a Roma presenze tali da configurare il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, ma «soltanto» significativi o addirittura imponenti investimenti di capitali di origine quanto meno dubbia, se non decisamente illecita.
  La conferma che questa era l'analisi tradizionale è che nella relazione per l'anno 2011-2012 l'allora coordinatore della direzione distrettuale antimafia scriveva testualmente che «l'attività della DDA è stata in gran parte assorbita dai procedimenti in tema di stupefacenti». È un problema certamente serio, ma non l'unico cui dedicarsi.
  Al mio arrivo, a seguito di un colloquio con i colleghi della DDA, partendo dall'analisi che ho fatto io nelle sue due articolazioni, ovvero quello che si riteneva, e in parte si ritiene ancora oggi, sulla presenza delle mafie nella regione e quello che ho detto all'inizio volutamente sulla complessità del quadro complessivo in cui opera e dei problemi che deve affrontare la procura della Repubblica di Roma, noi abbiamo ristrutturato la DDA – ma questo non credo interessi particolarmente la Commissione – e, grazie anche a questa ristrutturazione, abbiamo avviato un'azione complessiva di indagini, complessiva, ma anche molto articolata, per verificare innanzitutto se ed eventualmente in che termini e in che modo ci fosse una presenza delle organizzazioni mafiose a Roma in termini diversi dal «mero» investimento economico.
  In secondo luogo, abbiamo verificato se e in che misura fosse possibile aggredire i patrimoni mafiosi sfruttando soprattutto le misure di prevenzione, che per gli anni pregressi non sono state molto utilizzate a Roma.Pag. 4
  Infine, abbiamo visto se, all'esito delle indagini di cui ai due punti precedenti, emergano, da un lato, punti di contatto fra organizzazioni e capitali mafiosi e, dall'altro, altre forme di criminalità presenti a Roma di cui ho parlato all'inizio, sia quella propriamente criminale (rapinatori, residui di vecchie organizzazioni storicamente famose), sia quella politica eversiva, sia soprattutto quella economica e dei colletti bianchi, per usare un termine non propriamente scientifico, ma che comunque rende bene l'idea.
  Sottolineo che non vi erano, e non vi sono ancora oggi, secondo me, risposte certe e che comunque non ci sono risposte per me prestabilite. Come ho detto in altre occasioni ad altro proposito, secondo me, di fronte a una realtà come questa, che non è certamente quella di Palermo, dove nessuno può mettere in dubbio che esista cosa nostra con le sue caratteristiche, ci vuole un approccio laico. Non possiamo né escludere a priori che ci siano organizzazioni mafiose presenti in modo strutturato, né dire necessariamente che a Roma c’è la mafia o, come riportano alcuni titoli di giornale, domina la mafia.
  Per svolgere questa che io ho definito una verifica – facciamo le indagini, vediamo cosa emerge e poi andiamo a ragionare su quello che dalle indagini emerge – abbiamo, quindi, avviato una serie di procedimenti per i reati di cui all'articolo 416-bis o per i reati spia, cioè quelli aggravati dall'articolo 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203 (estorsioni e usure), materia ampiamente nota, con alcune precisazioni di metodo.
  La prima è la circolazione delle informazioni all'interno della DDA, molto spesso – e questo tengo a sottolinearlo – con il coinvolgimento di colleghi di altri gruppi di lavoro. Questo è sempre il punto da cui siamo partiti: se la mafia a Roma c’è e se interferisce, interviene, agisce e opera con la realtà della città, dobbiamo pensare che ci sia un collegamento fra fenomeni strettamente mafiosi e fenomeni criminali di altro genere.
  La seconda cosa fondamentale, secondo me e secondo l'esperienza che insieme al collega Prestipino abbiamo maturato altrove, soprattutto a Reggio Calabria, è la seguente: è assolutamente indispensabile la collaborazione tra le forze di polizia giudiziaria, collaborazione che deve arrivare anche a indagini congiunte.
  Le indagini congiunte più importanti sono state fatte a Reggio Calabria. Indagini congiunte fra diverse forze di polizia sono in corso – alcune sono già state espletate e sono giunte a conclusione, altre sono ancora in corso – a Roma. C’è sempre l'aspetto economico-patrimoniale che consiglia o addirittura impone un arricchimento delle professionalità che intervengono.
  Colgo l'occasione, al riguardo, per esprimere pubblicamente in una sede istituzionale il mio elogio e il mio ringraziamento ai responsabili dei servizi di polizia giudiziaria che da due anni ormai lavorano a Roma con la procura di Roma, il dirigente della Squadra mobile, il comandante del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, il comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri, il comandante del Raggruppamento operativo speciale (ROS), che stanno attuando nel migliore dei modi e con risorse che non sempre, come avviene in tanti altri campi, sono adeguate alle necessità la linea di indagine che abbiamo detto.
  La terza questione fondamentale che tengo a sottolineare è, secondo noi, la necessità di collaborare con le altre DDA, con le DDA meridionali in genere e soprattutto, per ovvie ragioni, con la DDA di Napoli, perché è la più vicina ed è quella che fa registrare presenze significative sia nel sud della regione, sia a Roma.
  Emblematica in tal senso è la recentissima operazione Righi-Contini – Contini è il versante napoletano di camorra, Righi è il versante romano, che ha portato al sequestro, giornalisticamente noto, di 23-25 pizzerie nel centro di Roma, per un totale di 50 milioni di euro – in cui c’è stata questa collaborazione virtuosa fra le due DDA e numerose forze di polizia.
  Naturalmente, è troppo presto per fare un bilancio, però alcune cose sul piano dei numeri si possono dire. Siamo passati da Pag. 5462 richieste di ordinanza di custodia cautelare nel 2011-2012 a 582 nell'anno successivo. Soprattutto, però, voglio indicare alcuni procedimenti significativi. Se la Commissione consentirà, ne parlerà in dettaglio il dottor Prestipino.
  Uno è quello di Ostia, su cui, per la prima volta, nel territorio di Roma Capitale è stata provata, secondo noi e secondo quelle che sono, allo stato, le risultanze processuali – non abbiamo sentenze definitive perché abbiamo cominciato da poco – la presenza di due organizzazioni mafiose strutturate ai sensi dell'articolo 416-bis.
  Sono state svolte indagini su due omicidi avvenuti sul litorale laziale nell'estate 2012, l'omicidio Pellino e, nella città di Roma, l'omicidio Femia, uno a carattere camorristico, uno a carattere ’ndranghetista.
  Un quarto processo, apparentemente minore, ma che, secondo me, è stato assai importante, è quello che ha portato – è tuttora in corso – nella fase delle indagini all'emissione di misure cautelari nei confronti di alcuni professionisti, in particolare di un avvocato e di alcuni medici.
  Perché, secondo me, questo procedimento è importante ? Perché ha svelato, secondo le risultanze, un sistema che andava avanti da anni – naturalmente, si procede per alcuni episodi specifici – di totale vanificazione dell'efficacia del processo prima e dell'esecuzione della pena dopo. Facendo figurare malattie inesistenti o aggravando quelle esistenti, persone responsabili di gravissimi reati, in particolare di narcotraffico, ma non solo, sono riuscite ad avere arresti ospedalieri in case di cura non particolarmente rigide come regime, o arresti domiciliari. Questo sul versante 416-bis.
  Naturalmente, noi cerchiamo di non trascurare gli altri settori di competenza della DDA. Per quanto riguarda la droga, risulta che Roma sia, da un lato, avendo 3 milioni di abitanti, un mercato estremamente importante per lo spaccio a tutti i livelli, che poi genera anche omicidi, o tentati omicidi, per le frizioni che si determinano.
  Dall'altro lato, Roma è anche un luogo di transito e di gestione diretta – perlopiù riscontriamo insieme la presenza di romani e di napoletani, ovvero di romani e di calabresi soprattutto – di grandi traffici, con collegamenti con la Spagna, con l'Olanda, con il Sudamerica. Cito soltanto 300 chilogrammi di cocaina sequestrati qualche mese fa a Genova e 2.000 chili fra hashish e marijuana sequestrati a Brindisi.
  Ci sono poi fenomeni che abbiamo riscontrato di piazze di spaccio a Roma, un po’ sulla falsariga di quelle, molto più famose e ovviamente più gravi, di Napoli.
  C’è un'attenzione anche agli altri reati ai sensi dell'articolo 51, comma 3-bis, fuori dal significato tecnico stretto delle mafie, che si è rivelata con esiti processuali sia per il fenomeno estremamente grave, anche se poco attenzionato, della tratta di esseri umani – in particolare, un'operazione ha visto coinvolte, sia come indagate, poi raggiunte da misure cautelari, sia come parti offese, etnie nigeriane – sia per il problema del traffico illecito dei rifiuti, che è di competenza della DDA, con le indagini che hanno portato all'arresto di Cerroni Manlio e di numerosi altri soggetti protagonisti di questo settore economico a Roma.
  Infine c’è il riciclaggio. Il processo più importante, per certi versi, è quello contro Ciancimino Massimo e altri, che, secondo me, rivela anche una lacuna legislativa in termini di autoriciclaggio. Siamo, infatti, al paradosso che si procede contro coloro che, eseguendo gli ordini di Ciancimino Massimo, tentano, secondo la ricostruzione accusatoria per ora confermata dai giudici fin qui intervenuti, di occultare somme ingenti di denaro, di esportarle all'estero e di rivendere una società proprietaria di una discarica in Romania, ma non si può procedere contro Ciancimino perché concorrente nel reato base da cui questa massa di denaro deriva.
  Mi fermerei qui per quanto riguarda i procedimenti penali in senso stretto e aggiungerei, invece, qualcosa sulle misure di prevenzione. Come dicevo prima, partiamo quasi da zero, per la verità da tre misure di prevenzione negli anni precedenti Pag. 6al mio arrivo. Da tre siamo passati a 56 nell'anno successivo e quest'anno siamo più o meno su questi livelli.
  Quello che conta, al di là del numero, sono i capitali, ovvero il valore dei beni sequestrati. Anche qui abbiamo moltiplicato i risultati, grazie allo sforzo delle forze di polizia, passando da pochi milioni ad alcune centinaia di milioni di euro come valore di beni sequestrati, sia a Roma città, sia nel Lazio, sia, in grande misura, investiti altrove.
  I clan interessati sono sia calabresi, in particolare la cosca Gallico con alcuni prestanome, sia napoletani, soprattutto esponenti collegati al clan Mallardo. Le attività oggetto di sequestro sono state imprese edili, molte attività commerciali anche di prestigio, concessionarie auto e beni immobili, sia terreni, sia edifici, anche in gran numero.
  C’è poi l'episodio che ricordavo già prima delle pizzerie dei Righi nel centro storico di Roma.
  Perché ho perso due minuti a indicare questa tipologia, che peraltro corrisponde più o meno a quello che si vede a Napoli, a Palermo o a Reggio Calabria ? Perché, come sicuramente la Commissione ha sentito dire da altri, ma non è mai troppo ripeterlo, è importante notare che tutte queste attività imprenditoriali sono un mezzo per le mafie in generale per entrare in contatto con imprenditori, professionisti, banche, amministratori locali, funzionari e via elencando.
  Ovviamente, a Roma tutto questo, rispetto a realtà come Palermo e Napoli, è più facile, in quanto vi è la convinzione diffusa che la mafia a Roma non esista. Il fatto che ci siano capitali largamente disponibili in una realtà, per fortuna, ancora, nonostante tutto, ricca, grande e multiforme come Roma non è, di per sé, elemento di sospetto, mentre, se ci fossero 100 milioni di euro investiti a Reggio Calabria, subito uno si chiederebbe che cosa c’è dietro. Sotto questo profilo si capisce perché Roma sia una sede privilegiata per questo tipo di investimenti.
  In conclusione, restando strettamente all'oggetto organizzazioni di stampo mafioso, finora emerge che non c’è una presenza strutturata come può essere quella di Napoli, Reggio Calabria o Palermo, ma non c’è neanche un fenomeno come quello osservato in Lombardia, ossia la presenza di una serie di cosche di ’ndrangheta strutturate esattamente come nella provincia di Reggio Calabria e con quelle in contatto.
  Tuttavia, lo ripeto, noi abbiamo cominciato queste indagini in modo sistematico da un anno e mezzo, dall'ottobre 2012, e i risultati più importanti sono quelli di Ostia, su cui, se la Commissione ritiene, parlerà il dottor Prestipino.
  Io vorrei aggiungere due ultime considerazioni. La prima è per rispondere a una convinzione diffusa che torna sempre, secondo cui a Roma non ci sono incendi, manifestazioni di violenza, estorsioni palesi. Questo è obiettivamente vero, mentre, per esempio, manifestazioni di questo tipo sono piuttosto frequenti nel Sud Pontino.
  Non bisogna, però, mai sottovalutare la capacità intimidatoria che le mafie hanno anche senza ricorrere alla violenza. Franchetti, nel 1876 – ed era il 1876 – diceva che solo raramente i mafiosi – lui parlava dei mafiosi siciliani dell'epoca, 150 anni fa, quindi – hanno bisogno di esercitare la violenza, perché quello che conta è che il popolo sa che possono ricorrervi. Parliamo del 1876.
  Al di là di queste citazioni letterarie, che si potrebbero ripetere fino ai giorni nostri, vorrei citare due dati processuali.
  Il primo è la dichiarazione di un testimone in Liguria, una realtà ancora diversa. Questo signore, interrogato in sede processuale, dice che la famiglia X, per la quale peraltro i procedimenti non hanno avuto esito positivo, a quanto risulta da cronache più o meno riferite da addetti ai lavori, è notoriamente ritenuta in tutta la zona – parlava, credo, del Ponente ligure – facente parte della ’ndrangheta. Quando un esponente di questa famiglia si presenta a un commerciante, a un amministratore locale, o a un altro imprenditore, non ha bisogno di Pag. 7minacciare, perché l'interlocutore è già convinto della sua disponibilità alla violenza.
  L'altro episodio che abbiamo vissuto io e il collega Prestipino a Reggio Calabria, ma che riguarda Roma e che, quindi, credo sia utile citare in questo momento, è la vicenda piuttosto nota alle cronache giornalistiche del Café de Paris. Il noto locale di via Veneto viene comprato, secondo l'accusa, da un soggetto che è tuttora al vaglio dei giudici competenti, ma credo che a Reggio la misura di prevenzione sia stata confermata certamente in tribunale e forse in appello, per qualche centinaia di milioni. Tale soggetto esercitava la nobile arte del barbiere in un paesino dell'Aspromonte. Si trattava, quindi, di un acquirente improbabile.
  Non è questo che interessa, però, perché questo è un caso «normale» di personaggi improbabili che acquistano beni rilevanti. Quello che io volevo citare con riferimento alla violenza occulta, o che addirittura non c’è bisogno di esercitare, è che il proprietario del Café de Paris, avendo ritenuto insoddisfacente la prima offerta del calabrese, instaura una trattativa, che conclude, con un libanese. Fanno anche un contratto scritto, un preliminare di vendita.
  Quando il calabrese torna, offrendo di più, il proprietario dice che ormai ha concluso il contratto con il libanese, che peraltro l'aveva messo in mora e lo minacciava perché voleva andare dal notaio a stipulare l'atto. Il calabrese insiste. A un certo punto il proprietario dice che ormai ha stipulato e che dovrebbe pagare una penale e avrebbe un sacco di problemi. A un certo punto il calabrese gli dice: «Ma allora non hai capito: a Reggio Calabria si vuole così.»
  Tutto questo è ampiamente documentato nei processi, perché il libanese, che evidentemente non accetta questa logica, intenta una causa civile, in cui racconta questa storia, viene sentito anche in sede penale e conferma.
  Il proprietario del Café de Paris e di molti locali di lusso, a questo punto, si fa fare la causa civile dal libanese, paga la penale pattuita e stipula il contratto con i calabresi.
  Quando noi parliamo di violenza che si vede o non si vede, o, se la vogliamo mettere sotto altro profilo, della capacità di inquinamento delle mafie in danno della libera concorrenza, delle regole del mercato e dell'ordinato svolgimento della vita economica e, a seguire, sociale e politica, non abbiamo bisogno necessariamente di vedere l'incendio o l'Attak nei lucchetti, come avviene nel quartiere Brancaccio di Palermo o a Reggio Calabria. Questa violenza ormai sottile può essere presente senza essere manifestata. In un certo senso, l'accresciuta consapevolezza che tutti noi cerchiamo di far sorgere nella società sul pericolo mafie aumenta addirittura la sensibilità del pericolo.
  Chiudo con una considerazione che si riallaccia alla premessa. Quello che noi cerchiamo di verificare è se ci sono le mafie e, se cominciamo a dare una risposta positiva, come si collegano con altre forme di criminalità.
  Il primo collegamento verosimilmente può essere rappresentato da tutti quei professionisti di vario tipo (commercialisti, tributaristi, avvocati, ingegneri) che sono necessari per effettuare investimenti di denaro di provenienza illecita, sia che esso venga dalle mafie, sia che esso venga da attività quali la corruzione, la bancarotta fraudolenta e via elencando.
  In questa logica, come ufficio, abbiamo potenziato l'attività di aggressione dei patrimoni illeciti anche negli altri settori, ragion per cui c’è stato un aumento esponenziale dei sequestri per equivalente, cioè di quelli che normalmente hanno alla base reati tributari o di pubblica amministrazione.
  Inoltre, Roma è stata, credo, la prima a ottenere dal tribunale – non la prima in assoluto, ma la prima su processi e vicende importanti – un sequestro previsto dal codice antimafia per reati non di mafia, ma di altro genere. In base a questo erano stati eseguiti sequestri molto importanti nei confronti di pubblici amministratori Pag. 8imputati di corruzione – la cosiddetta «cricca», per andare sempre ai richiami giornalistici – e di truffa in danno della pubblica amministrazione (penso al processo sulla sanità romana), anche per una cifra molto significativa, di 250 milioni di euro, di valore dei beni sequestrati. Questo nei confronti di un soggetto il cui nome non dice niente a nessuno, ma che ha una vicenda processuale molto tormentata di bancarotte fraudolente e di illeciti tributari. Gli sono stati appunto sequestrati beni per un valore di 250 milioni di euro.
  C’è un momento in cui si perde il senso delle cifre, ma, come ho detto, in due giorni, in questo modo, la procura di Roma ha ottenuto dai giudici – sono sempre i giudici che vi devono provvedere – il sequestro di somme pari, usando una forma giornalistica fortunata, a una mini-IMU, perché erano 420 milioni in due giorni. Questa è la vicenda sulla quale il Parlamento si è arrovellato per la mini-IMU, stando ai giornali.
  Chiudo con questo riferimento per dare la dimensione dei problemi.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, procuratore.
  Do la parola al procuratore Prestipino Giarritta.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. La ringrazio, presidente.
  Ci sono una serie di vicende processuali che il procuratore ha citato nella sua relazione e che appaiono molto significative e offrono una serie di elementi di fatto di straordinaria valenza per iniziare a comprendere quali siano le modalità dell’«eventuale» presenza mafiosa a Roma e nel territorio laziale.
  Svolgo una premessa derivante dal tipo di esperienza professionale che anch'io ho personalmente maturato negli ultimi vent'anni. Roma, soprattutto la città di Roma, ma anche l'area territoriale di contorno e il basso Lazio costituiscono il teatro di una presenza che non è monopolistica, che non è una sola presenza, ma che vede interagire e coesistere, dal punto di vista delle attività criminali, fenomeni di tipo diverso.
  Innanzitutto si hanno – chiamiamole genericamente, poi bisognerà capire che cosa significa questo termine nel concreto – proiezioni delle organizzazioni mafiose tradizionali, che significano cosa nostra, la ’ndrangheta e le organizzazioni di camorra radicate nell'area napoletana. Insieme a queste proiezioni, però, interagiscono gruppi che, da un punto di vista criminale, operano con metodiche e attraverso modalità che ricadono nel paradigma normativo del 416-bis e che, quindi, noi possiamo qualificare come mafiose.
  Da questo punto di vista ci sono una serie di vicende. Su tutte queste vicende cito quella che ha dato luogo a questo processo, che noi definiamo il processo di Ostia, in cui sono raccolti numerosi elementi che noi giudichiamo estremamente dimostrativi e significativi.
  Di che cosa parliamo ? Parliamo di un procedimento che, al termine delle indagini preliminari, ha consentito – in merito i numeri sono importanti per capirci – il 23 luglio 2013, non più tardi di sei mesi fa, alla direzione distrettuale antimafia di Roma di ottenere un provvedimento restrittivo della libertà personale, un provvedimento cautelare, nei confronti di 51 persone.
  Di queste 51 persone ben 27 sono state raggiunte da una misura applicata in ordine al reato di associazione mafiosa, cioè al reato di cui all'articolo 416-bis, 13 in ordine a reati specifici aggravati dalla cosiddetta aggravante di mafia e altri soggetti sono stati destinatari di provvedimento cautelare applicato dal giudice per traffico di stupefacenti.
  Contestualmente sono stati sequestrati complessi aziendali, attività commerciali operanti in vari settori (forniture, commercio al minuto, società immobiliari, società che gestiscono attività di videogiochi) e, ovviamente, essendo sul litorale romano, un complesso balneare particolarmente Pag. 9conosciuto, un complesso di quelli di tendenza, molto alla moda, uno dei più conosciuti.
  Il provvedimento cautelare e soprattutto, per quel che ci riguarda, la contestazione che ci interessa in questa sede, ossia la contestazione dei reati di mafia, hanno passato il vaglio del controllo giurisdizionale nella fase cautelare. Tutto è stato confermato dal tribunale del riesame e dalla Corte di cassazione in sede cautelare. È stata esercitata l'azione penale e da circa 3-4 settimane è iniziata la fase dibattimentale del processo.
  I due principali imputati del reato di associazione mafiosa sono stati destinatari da parte del Ministro della giustizia del provvedimento di cui all'articolo 41-bis dal punto di vista carcerario, perché considerati capi e promotori delle rispettive organizzazioni e, quindi, sono stati sottoposti a un regime idoneo a impedirne le comunicazioni con i restanti componenti dei gruppi di rispettiva appartenenza.
  La contestazione dell'articolo 416-bis, nonché le condotte sottese a questa contestazione sono particolarmente importanti e offrono una triplice chiave di lettura per consentire di capire come si atteggia e come si modula una contestazione del reato associativo mafioso in una località che è territorio metropolitano della città di Roma. Siamo alle porte di Roma.
  Cosa significa una contestazione di associazione mafiosa in un territorio che è a 30-40 chilometri dal cuore della capitale ? Rispondere a questa domanda significa, ovviamente, rispondere alla domanda principale, ovvero: c’è la mafia a Roma ? In tal caso, cosa c’è e cosa fa ?
  Parlavo prima di una triplice chiave interpretativa perché gli elementi che noi abbiamo raccolto nel corso di questa indagine, che si è alimentata delle fonti di prova più tradizionali nelle indagini di mafia, ossia le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e le attività di intercettazioni, non soltanto telefoniche, ma anche delle conversazioni tra presenti, ci consentono alcune considerazioni.
  Esse riguardano per primo il profilo della struttura dell'organizzazione, vale a dire il profilo della strutturazione del gruppo mafioso che opera su un territorio che non è la Sicilia, la Calabria o la Campania.
  Ci offrono poi un altro punto di vista, costituito dalle attività criminali che questi gruppi, così strutturati, operano sul territorio di cui sono responsabili.
  Infine, c’è un'altra chiave di lettura, che a me pare estremamente interessante, perché rappresenta la cartina di tornasole della mafiosità del contesto di cui parliamo, che riguarda le interazioni tra i due gruppi che in questo contesto investigativo sono stati raggiunti dalla contestazione del reato associativo.
  Per capire come hanno funzionato e che cosa ci offrono queste tre chiavi interpretative devo fare una piccolissima premessa.
  Questa occasione ha costituito la prima volta, dopo tantissimi anni, in cui viene contestato un reato di cui all'articolo 416-bis su un gruppo che opera nel Lazio e nella città di Roma. L'ultima volta, se non ricordo male e se i dati non mi ingannano, il 416-bis era stato contestato alla banda della Magliana. Sono passati moltissimi anni.
  Questa contestazione in questa indagine – anche questa è una premessa importante per poi comprendere quello di cui parliamo – ha riguardato due gruppi e, quindi, due associazioni diverse che coesistevano e operavano, da un punto di vista criminale, sullo stesso territorio, cioè l'area di Ostia.
  Quali sono questi due gruppi ? Sono due gruppi che, a loro volta, presentano caratteristiche strutturali di mafiosità che li distinguono tra di loro.
  Il primo è un gruppo che ha un radicamento storico e che storicamente, davvero da tantissimi anni, ha funzionato e opera come proiezione su un territorio extraregionale, fuori dalla Sicilia, di una famiglia mafiosa siciliana storicamente radicata e riconosciuta in passato come di grandissima potenza e potenzialità offensive Pag. 10mafiose, la famiglia Caruana-Cuntrera, che ha da sempre operato nell'area dell'agrigentino.
  Questo gruppo, che opera su Ostia, ha al vertice dei componenti, persone fisiche, che hanno con i Caruana e i Cuntrera dei legami storicamente accertati, legami non soltanto personali, ma anche dal punto di vista di interessi economici e patrimoniali. Questi legami li hanno mantenuti nonostante da tantissimi anni i Caruana e i Cuntrera siano lì ad Agrigento, mentre questi signori si sono stabilizzati e radicati sul territorio di Ostia.
  Contemporaneamente a questo gruppo, che noi possiamo inquadrare nel paradigma che io chiamavo proiezione di un'organizzazione conosciuta e radicata altrove, ha operato sul territorio di Ostia un altro gruppo. Anche a questo secondo gruppo è stata effettuata la contestazione del reato di cui all'articolo 416-bis, ma, e questa è una novità, si tratta di un gruppo che ha origini assolutamente autoctone.
  Tale gruppo non ha alcun legame con organizzazioni mafiose di tipo tradizionale, cioè cosa nostra, ’ndrangheta e gruppi di camorra, ma al proprio interno ha assunto una strutturazione tipica dell'organizzazione mafiosa, opera in settori di privilegio e di intervento tipici dell'attività di chiara matrice mafiosa, come vedremo, e persegue i propri obiettivi e realizza i propri interessi con il metodo mafioso.
  Che cosa hanno consentito di accertare queste indagini ? Hanno consentito di accertare che questi due gruppi si sono contesi il territorio, hanno avuto anche dei momenti di collisione di interessi e che questa collisione di interessi è stata risolta nel classico modo con cui si risolvono determinate controversie tra gruppi mafiosi, cioè con un atto di forza cui fa seguito la pace mafiosa.
  Si tratta di una pace che entrambi i gruppi hanno rimesso a un soggetto a cui veniva riconosciuta l'autorità mafiosa di governare il conflitto, di attribuire torti e ragioni e di stabilire le regole della futura convivenza e che ha visto, da un certo momento in poi, la prevalenza di un gruppo, il gruppo autoctono, ma non ha visto la scomparsa degli altri. Questa pace, quindi, ha ingenerato, con una posizione di forza nuova e di rapporti di forza, la prevalenza di un gruppo sull'altro, ma anche la coesistenza pacifica sullo stesso territorio.
  Questo è un sintomo assolutamente significativo della presenza mafiosa. Questo tipo di governo dei conflitti all'interno di gruppi criminali è tipico delle organizzazioni mafiose e non avviene in nessun altro contesto criminale, sia pure organizzato.
  Quando tra gruppi criminali che operano, per esempio, nel traffico di stupefacenti, nell'usura o in altri settori criminali si determinano dei conflitti, è difficile che i due gruppi comunemente conferiscano a una terza persona l'autorità di risolvere il conflitto, riconoscendone le decisioni. Questo è tipico soltanto di chi si riconosce in un comune sentire di – consentitemi il termine, che non è assolutamente appropriato – «valori» di tipo mafioso.
  Sulla piazza di Roma noi abbiamo assistito a una serie di omicidi, tentati omicidi, persone oggetto di attentati, gambizzazioni che sono il sintomo manifesto di contrapposizioni tra gruppi criminali che si contendono il territorio per la gestione di un'attività criminale. A nessuno di questi gruppi è venuto in mente di rivolgersi a un arbitro terzo dotato di autorevolezza.
  Perché questa indagine è particolarmente importante ? Dal punto di vista del gruppo legato ai Caruana e ai Cuntrera noi abbiamo registrato una serie di fatti che si ripetono davvero in modo assolutamente identico e che verifichiamo nell'indagine di Ostia e nelle indagini su altri due omicidi, quelli che il procuratore chiamava uno a matrice camorristica e l'altro a matrice ’ndranghetistica. In tali casi noi abbiamo sempre lo stesso meccanismo di espansione degli interessi mafiosi dai territori di origine e di penetrazione di gruppi – chiamiamoli così – mafiosi in vista di una strutturazione.Pag. 11
  Noi registriamo che queste organizzazioni mafiose operano attraverso la figura che potremmo definire di una «testa di ponte». Per una serie di motivi un soggetto, un componente, anche da un punto di vista di legami familiari, di queste organizzazioni si sposta su un altro territorio, che è quello laziale.
  Per esempio, uno di questi omicidi avviene perché c’è un soggetto appartenente a un'organizzazione camorristica che viene sottoposto a misura di prevenzione personale e sorveglianza speciale nel comune di Nettuno. Lui si sposta sul comune di Nettuno e in breve tempo costruisce intorno a sé una rete di persone, di personaggi che lo aiutano e che lo mettono in contatto. Piano piano intorno a questa persona si consolida un nucleo di altre persone che tengono i collegamenti con il territorio di provenienza.
  La stessa cosa abbiamo registrato sull'omicidio che il procuratore chiamava di matrice ’ndranghetistica, in cui c’è il soggetto che si sposta dall'area di San Luca sul territorio di Roma e ci sono soggetti che fanno la spola tra San Luca e Roma. Intorno a questo soggetto che si sposta si crea una rete di soggetti, in vista di una futura stabilizzazione anche dal punto di vista della struttura, che curano interessi mafiosi e svolgono attività criminali.
  Questo è importante perché questo gruppo proiezione dei Caruana-Cuntrera su Ostia lavora, opera non da due o tre anni, il periodo in cui noi abbiamo fatto le indagini, ma da lunghissimo tempo. Pensate che i rapporti tra queste persone che erano su Ostia e i Cuntrera-Caruana sono evidenziati addirittura nelle sentenze degli anni Novanta della Corte di assise di Agrigento che vedevano come imputati i componenti della famiglia Caruana.
  Pensate che nel 1996 Spatuzza, ora collaboratore, all'epoca elemento di primo piano della famiglia mafiosa di Brancaccio, aveva avuto l'incarico di recarsi a Ostia per uccidere i soggetti apicali di questo gruppo proiezione dei Cuntrera-Caruana. Spatuzza – lo dice lui stesso quando diviene collaboratore – non riesce a portare a compimento il progetto omicidiario perché nel frattempo, nel luglio 1997, per fortuna, viene arrestato. Era latitante, viene arrestato a Palermo e lì si ferma questo progetto omicidiario.
  Pensate ancora che nel 1998 un esponente di punta come Alfonso Caruana, che non è a Ostia, non è ad Agrigento, ma era altrove, per trovare una sistemazione logistica a Pasquale Cuntrera, che in quel momento era latitante, per trovargli un rifugio sicuro in Spagna, si rivolge a questo gruppo che era a Ostia.
  Se ci spostiamo sull'altro gruppo, quello cosiddetto autoctono, noi abbiamo raccolto alcuni elementi che io definisco «straordinari». Uso dei termini impropri, perché chi lavora su queste cose magari finisce per appassionarsi e allora li definisce elementi straordinari. Non sono elementi straordinari, ma lo sono da un punto di vista dell'analisi, dello studio e poi, ovviamente, dei processi.
  Questo gruppo, che è autoctono e che, quindi, non ha rapporti con la mafia, con la ’ndrangheta, con le camorre, che è fatto di persone che sono nate, vissute e si sono «formate» anche da un punto di vista criminale in un territorio che sta alle porte di Roma, lo ripeto, si struttura, opera, persegue obiettivi e svolge attività tipicamente mafiose. Se noi potessimo cancellare la collocazione geografica di questi soggetti su Ostia e immaginarli in un'area territoriale della provincia di Reggio Calabria o della provincia di Palermo, di Trapani o di Agrigento, potremmo non cambiare nulla di quello che io vi sto per dire.
  Questo perché innanzitutto sono strutturati al loro interno come un'organizzazione di tipo mafioso, gerarchicamente, con una serie di divisioni di ruoli e compiti, ma soprattutto perché dal punto di vista criminale operano attraverso acquisizione di attività economiche, imposizione ed esazione del pizzo su tutte le attività commerciali, sostegno materiale e morale agli affiliati detenuti, stipendio per i soldati del gruppo che curano la realizzazione degli interessi, rinuncia alla violenza espressa e uso della violenza come extrema ratio rispetto al fatto che la loro Pag. 12presenza già di per sé incute timore e diventa quell'intimidazione rilevante di cui all'articolo 416-bis e soprattutto hanno chiaro il concetto della spartizione del territorio con l'altro gruppo che vi coesiste.
  Ci sono due cose, secondo me, estremamente significative anche da un punto di vista lessicale. Le racconta il collaboratore, che è una delle fonti di prova di questo processo, quando spiega come questo gruppo impone il pizzo. Mi permetto soltanto – poi chiudo – di leggervi queste quattro righe, perché noi poi, quando facciamo le analisi, dobbiamo partire dai fatti e i fatti ovviamente sono quello che fanno loro, i mafiosi, quello che dicono, come si esprimono, qual è il loro approccio ai problemi.
  Dice questo collaboratore, che era interno a questa logica, che questo gruppo si prendeva 500 euro, 1000 euro, che sono somme ridicole, irrisorie, somme tutto sommato rinunciabili dal punto di vista dei bilanci di un gruppo che poi alla fine dell’«esercizio commerciale» assomma centinaia di migliaia, probabilmente milioni di euro. Cosa sono 500 euro ?
  Lui spiega che cosa sono i 500 euro e dice: «È una questione – come ti posso di’ – di rispetto nei miei confronti. Io non li voglio per i 500 euro al mese. 500 euro al mese è una stupidaggine per gente come noi, parliamoci chiaro. Sono stupidaggini, ma è una questione di rispetto».
  Ora vi leggo le parole che un ’ndranghetista usa con un altro ’ndranghetista quando gli racconta che era andato da un imprenditore a dirgli: «Tu sei venuto qui a fare un lavoro e non hai pagato ancora nulla». Quando glielo racconta gli dice: «Perché vedi, io ci sono andato e te lo devo dire – lo leggo in italiano – non è per i soldi, per i 1000 euro, gli ho detto io, non è per i 1000 euro. A me non importa dei 1000 euro. È per il principio. Tu non puoi venire a lavorare da noi senza bussare alla nostra porta, perché vieni da fuori paese».
  Qui addirittura c’è una terminologia. Non è solo un problema di concetto. C’è addirittura una similitudine linguistica, lessicale, che accomuna questo gruppo al modo tipicamente mafioso di imporre un'attività criminale come quella dell'esazione del pizzo.
  Come secondo esempio, viene chiesto a questo collaboratore, quello cui prima il procuratore accennava in termini generali, dell'uso della violenza. Gli viene chiesto: «Bisogna ricorrere alle intimidazioni, al danneggiamento, all'incendio – parliamo del gruppo autoctono su Ostia – per esigere il pizzo ?». Quello dice: «Macché, quando mai ? No, no. La gente ha paura già di per sé. Ha paura di per sé sentendo il nome. Su dieci al massimo una o due volte uno deve fare sentire qualche cosa».
  Guardate, si tratta della stessa proporzione, della stessa metodica, degli stessi numeri, dello stesso modus operandi che noi registriamo in quelle terre, in quelle regioni, in quei territori in cui le organizzazioni mafiose sono da tempo radicate.
  Io credo – e chiudo – che questa indagine, come le altre cui accennavo e che, per ragioni di sintesi, potrei anche illustrare, ma non lo faccio, ci offrono davvero degli spunti di riflessione importantissimi per capire cosa si muove dietro allo slogan «A Roma c’è la mafia, a Roma non c’è la mafia».
  Noi dobbiamo capire a che punto siamo arrivati, cioè questi gruppi come si sono stabilizzati. Dobbiamo soprattutto capire se anche in questo territorio ci sono quelle forme di penetrazione e di espansione di interessi criminali da parte delle organizzazioni tradizionali, come cosa nostra, ’ndrangheta e camorra. Io ho detto che ci sono delle proiezioni, ma noi dobbiamo stare attenti, dobbiamo capire. È compito della procura accertare i fatti, individuare i responsabili e dare impulso ai processi, ma dobbiamo davvero capire tutti che cosa succede.
  Il passaggio da una proiezione che funziona e si esplica con la costruzione di un punto di riferimento soggettivo, con la presenza di un solo soggetto o di pochi soggetti i quali, naturalmente, poi curano interessi e, se volete uno slogan, si comportano da ambasciatori dell'organizzazione in territorio straniero, a forme più accentuate e pericolose di stabilizzazione Pag. 13sul territorio di strutture criminali – è il meccanismo tipico di espansione criminale della ’ndrangheta, che è quello che è successo in Lombardia, in Liguria, in Piemonte, con la stabilizzazione delle strutture criminali ’ndranghetiste – io credo rappresenti una preoccupazione che ci deve far riflettere tutti.

  PRESIDENTE. Grazie davvero. Passerei subito la parola prima di tutto ai senatori, che credo abbiano esigenze di Aula. Raccogliamo prima alcune domande.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO MOSCARDELLI. Grazie, presidente. Pongo alcune domande.
  Negli interventi che ho ascoltato mi hanno colpito alcuni elementi circa una presenza radicata negli anni, come nell'ultimo esempio dei Cuntrera-Caruana. Leggo l'ordinanza di custodia cautelare del Gip D'Alessandro, del luglio 2013: «Data la sistematicità delle vicende e la loro collocazione all'interno di un territorio significativo per l'immediata contiguità con una grande capitale europea sede di scelte di Governo, date le prassi operative diffuse, talmente inquietanti da risultare sorprendenti, data la pulviscolare mafiosità, eccetera, non può sottacersi che tale chiarificazione, che ora è in corso, per anni è mancata e lascia stupefatti, siccome è oggetto di indagine solo nel 2012».
  Poiché noi abbiamo una presenza storica e una pervasività importante, che valutazione date di questo «ritardo» ? Quali sono gli elementi a vostra disposizione per comprendere le ragioni di questa sottovalutazione di dimensioni così gigantesche di questo fenomeno nella regione Lazio ?
  Un altro elemento importante: è possibile ipotizzare che, invece, per il litorale e, nella parte sud del Lazio, anche per l'entroterra oggi la presenza di organizzazioni criminali sia tanto pervasiva che ha fatto fare un salto di qualità, per cui questi territori possono essere anche molto avvicinati a realtà più famose dal punto di vista del controllo di organizzazioni criminali ?
  Sono moltissimi gli esempi di omicidi con modalità tipicamente mafiosa e comunque di organizzazioni mafiose. Voglio citare anche uno degli ultimi fatti emersi all'attenzione che sono stati fatti oggetto di interrogazioni parlamentari.
  Per esempio, ad Ardea, uno dei comuni del litorale, almeno dal 2007 si possono mettere in successione omicidi di pregiudicati, intimidazioni ad amministratori pubblici, atti intimidatori, macchine incendiate e via elencando, con una pressione pesantissima sulle istituzioni e sugli stessi giornalisti, senza che vi siano mai state reazioni adeguate minimamente a quel livello.
  Da ultimo, vorrei chiedere come giudicate un fatto. Con la revisione della geografia giudiziaria sul confine del Garigliano, sia dalla parte sud del Lazio, sia dalla parte della Campania, sono venute meno le sezioni distaccate e c’è ora una diversità di azione fra i comandi provinciali di Caserta e di Latina rispetto alle procure: per la parte sud della provincia di Latina afferiscono a Cassino e per la parte della provincia di Caserta la procura di riferimento è il costituendo polo Napoli nord.
  Mi spiego. Io ho il dato di Cassino. Tutte le notizie di reato che adesso affluiscono dalla provincia di Latina sud a Cassino sono ferme. Non c’è il seguito dei procedimenti di attività della procura. Praticamente si limitano a riceverli. Questo è quanto arriva dagli ordini professionali ed è stato anche sottoposto all'attenzione del ministro.
  Grazie.

  GIUSEPPE LUMIA. Grazie, presidente. Ringrazio anch'io il dottor Pignatone e il dottor Prestipino, al loro terzo stadio della lotta alla mafia, dopo Palermo e a Reggio, adesso qui a Roma.
  La Commissione antimafia ha sofferto molto nel passato una mancata interlocuzione con una visione così sistematica di azione e di lavoro come quella che voi ci avete proposto. Da questo punto di vista Pag. 14sarebbe interessante, nel continuare il ragionamento che qui ci avete proposto, capire la figura che ha saputo stabilire un equilibrio tra le due cosche, quella storica e radicata e quella autoctona, e capire la fonte di legittimazione che questa terza figura ha avuto, la storia di questa fonte, la sua legittimazione, per essere riuscita a far trovare la quadra con una metodologia mafiosa poi accertata gerarchicamente dalle due organizzazioni. Sarebbe molto interessante.
  L'altra cosa che mi interessa capire è la seguente: voi ci state dicendo che il negazionismo ha fatto dei danni dall'organizzazione mafiosa ai capitali. Spesso questo avviene anche dai capitali verso l'organizzazione mafiosa. C’è il rischio che a Roma città dai capitali con delle presenze si passi all'organizzazione mafiosa.
  Volevo sapere se avete e potete fornire alla Commissione in modo dettagliato tutte le figure che, per le azioni interdittive che hanno subìto, in Sicilia da cosa nostra e in Calabria dai casalesi in particolare, decidono poi di stabilire il loro domicilio a Roma. Mi risulta che molti, almeno nel passato, usassero questo schema. Chiedo se avete una mappatura aggiornata, perché potrebbe aiutarci a capire il tipo di evoluzione di questa presenza, che in apparenza è singola, ma che poi si localizza, si struttura e costruisce rapporti.
  Volevo sapere, inoltre, se, a partire dalle due realtà che avete già individuato, il sistema di relazione con gli imprenditori sia simile a quello di Milano, dove domina l'omertà. Oltre al linguaggio interno, c’è anche un linguaggio esterno di tipo mafioso. A Milano molti imprenditori meneghini, anche di fronte a filmati che li ritraevano mentre pagavano, hanno negato, sono stati negazionisti e si sono beccati l'articolo 7.
  Vorrei sapere se avete riscontrato le stesse condizioni e se questi due gruppi hanno chiesto, hanno cercato e hanno instaurato rapporti con le istituzioni e con settori della politica.

  CORRADINO MINEO. Grazie, presidente. Sarò brevissimo. Ringrazio il procuratore.
  Prendo la parola solo per un chiarimento. È evidente che non può essere il contrasto alla mafia la prima questione della procura di Roma, ma, dalle cose che lei, procuratore, ha detto – penso alla citazione di Franchetti e poi soprattutto al racconto che ha fatto il procuratore Prestipino – e da siciliano, io ho la sensazione di una mafia che non sente ancora il fiato sul collo del contrasto e che, quindi, può agire con modalità non esplosive perché ha un controllo ancora più forte.
  Io vorrei che il procuratore, nei limiti delle sue possibilità, chiarisca se vede un fenomeno di questo tipo, cioè una presenza mafiosa nella capitale e nel litorale non contrastata e, quindi, con una grossa capacità di egemonia, per usare un termine che non si usa in genere per la mafia.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Grazie, presidente. Ringrazio anch'io il procuratore per il quadro che ci ha fatto. Sono un po’ sorpreso che si discuta ancora sul fatto che a Roma o nel Lazio ci sia la mafia, visto che risulta ormai un dato storico la presenza, oltre quarant'anni fa a Pomezia, di Frank «tre dita» Coppola, braccio destro di Lucky Luciano, che importò qui metodi e mafia.
  Sorprende, come hanno detto altri colleghi, questa sensazione di grande sottovalutazione perché la famiglia Caruana-Cuntrera è una delle più pericolose famiglie della mafia in assoluto. Basti pensare che uno degli ultimi esponenti di questa famiglia era il capo della mafia canadese. Si tratta di una famiglia pericolosissima che operava nel Lazio.
  Una domanda sorge. Si è parlato dell'inchiesta di Ostia anche come di un'inchiesta insabbiata dieci anni fa. Noi vorremmo capire se questo ha avuto riscontri e soprattutto com’è che le indagini sono arrivate a lambire elementi sicuramente coinvolti con la politica. Io leggo da notizie giornalistiche che Cleto Di Maria, capofila della cosca Cuntrera-Caruana, era l'uomo Pag. 15di fiducia del presidente del porto turistico di Ostia. Se c’è stato un insabbiamento, sicuramente queste famiglie devono aver goduto di coperture ad ampio raggio. Vorremmo capire com’è che non si è arrivati ancora a individuarle.
  Su un'altra vicenda triste e molto dolorosa, che vede noi del Movimento 5 Stelle in prima linea, vorremmo chiedere notizie. Si tratta di quella di Attilio Manca, che sicuramente lei, procuratore, conosce e che è una delle storie allarmanti e tragiche del nostro Paese. Vorremmo sapere che cosa pensa la procura di Roma di questa vicenda.

  PRESIDENTE. I senatori, a parte il resistente Moscardelli, sono stati richiamati in Aula. Si leggeranno il resoconto. La senatrice Ricchiuti, prima di andar via, mi ha consegnato la sua domanda: visto che Roma incomincia a essere un centro importante per le misure di prevenzione, la senatrice vorrebbe sapere se, tra le tante tesi di riordino e di riforma dell'Agenzia per i beni confiscati, c’è anche una visione o un contributo da parte della procura di Roma.
  Do la parola al procuratore Pignatone per la replica.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Per alcune delle domande che sono state fatte non posso essere esaustivo. L'ho detto all'inizio: io sono arrivato il 19 marzo 2012 e il collega è arrivato due mesi fa. Sarebbe presuntuoso e improprio, nella veste che abbiamo noi, riferire cosa è successo prima che arrivassimo.
  Per altro verso, devo dire che è giusto mantenere sempre un non semplicissimo equilibrio quando parliamo di cose di mafia, e anche per questo ho fatto la premessa iniziale, che qualcuno cortesemente ha ricordato, sulla complessità della situazione romana.
  Da un lato, fenomeni come quelli che ha descritto il collega e a cui io avevo accennato secondo me danno la risposta che non solo nel sud della regione, ma anche a Roma ci sono e rappresentano un problema da porsi seriamente organizzazioni mafiose del tipo classico, cui è stato possibile contestare il reato di cui all'articolo 416-bis, cosa che non avveniva su Roma città da tantissimi anni. È avvenuto – io ho ricordato le sentenze – negli anni scorsi, invece, nella parte meridionale della regione.
  Dall'altro lato, il fatto che ci siano queste organizzazioni, accompagnato dal fatto che ci siano capitali di origine dubbia, che noi riteniamo addirittura illecita, per cui abbiamo queste attività di sequestri, di misure di prevenzione e non solo, non deve far dimenticare che Roma è tante altre cose.
  Roma è molto grande. Bisogna sempre tenere conto che la gravità del rischio che noi abbiamo sottolineato va accompagnata alla consapevolezza che Roma non è Palermo, non è Reggio Calabria e non è neanche Napoli. A Roma ci sono tante altre – il termine è brutto – emergenze o questioni criminali da affrontare, il che serve, secondo me, a ridimensionare il fenomeno.
  Non voglio essere minimalista – la mia storia parla abbastanza, oltre a quello che stiamo tentando di fare – ma vanno inquadrate le cose per come sono. Credo che questa sia la premessa e in parte la risposta ad alcune delle domande.
  Una seconda risposta alle domande che sono state fatte è che il salto di qualità delle indagini, che io credo ci sia stato, dipende da tanti fattori. Uno è la professionalità di chi opera, a cominciare dalla polizia giudiziaria. Io l'ho ringraziata, e ci ho tenuto a farlo. Oggi sono ai vertici delle forze di polizia che operano a Roma ufficiali o funzionari che hanno maturato esperienze a Palermo e Reggio Calabria, in terre di mafia tradizionali. Questa è una questione importante.
  In secondo luogo, c’è il ricorso a tecniche investigative che cercano di valorizzare al meglio collaboratori anche di non altissimo rilievo, perché quelli che sono stati per ora a Roma non sono certo Buscetta o Marino Mannoia. Sono collaboratori di livello molto più modesto, che però portano, da un lato, la loro pietruzza Pag. 16alla formazione della prova e, dall'altro, una pietruzza un po’ più grande alla comprensione dei fenomeni.
  Credo che si debba onestamente dire che questo è un problema di sensibilità generale. Quello che è avvenuto a Milano gioca a favore anche della comprensione di Roma. Il fatto che – ormai credo sia una convinzione non dico unanime, ma abbastanza diffusa in tutta Italia – bisogna porsi il problema se ci sono le mafie e che cosa fanno le mafie fuori dalle regioni tradizionali, in cui il punto più importante, io credo, è stata l'operazione Crimine fatta da Reggio Calabria e Milano, che ha avuto un impatto sull'opinione pubblica qualificata e meno qualificata imponente, che continua, secondo me, aiuta a porre il problema.
  Questo ci aiuta a capire il problema e, laddove c’è, a dare una risposta positiva o negativa, sia a livello di giudici, di magistrati, di pubblica accusa e ancora più di giudicante, sia a livello di opinione pubblica generale, anche nelle altre regioni. Finora, invece, tutto sommato, si è ritenuto che quello delle organizzazioni mafiose fosse un problema marginale in una realtà come Roma.
  Vengo alla domanda sulle sezioni distaccate. Su questo noi siamo, da quello che capisco dall'intervento del senatore Moscardelli, di opinione esattamente opposta. Secondo noi, per affrontare fenomeni di questo genere, come sono le mafie, ci vogliono uffici forti, strutturati, con personale di esperienza, che, sia pure con le difficoltà ovvie delle distanze, possano affrontare il tema – occorre un certo numero di sostituti. Alla DDA di Roma io ho aumentato due volte l'organico. Ora ci sono 11 sostituti e il procuratore aggiunto Prestipino, oltre a me – compatibilmente a tante altre cose – a dedicarsi al problema mafie.
  L'intuizione di Giovanni Falcone, consacrata nella legge sulla creazione delle DDA, rimane sempre validissima: i presìdi territoriali sono importanti, ma non sono la risposta giusta al problema mafie.

  CLAUDIO MOSCARDELLI. Permette, procuratore, che la interrompa ? Non intendevo questo. Concordo con lei su questo dato. Si è verificata un'altra situazione. Tutta quell'area del Sud Pontino, molto sensibile, tolta la sezione distaccata, invece che afferisce alla procura di Latina, che è efficiente e attiva sul versante delle iniziative, è stata messa sotto la giurisdizione della procura di Cassino, che è completamente paralizzata. Non è minimamente attrezzata a quel tipo di reati, non li ha mai conosciuti. Da tempo ormai tutte le notizie di reato arrivano lì e si fermano. Non hanno alcun seguito.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Questo è chiaro. Io non ho obiettivamente conoscenza, e se l'avessi certamente non esprimerei la mia opinione sull'operato di altri uffici giudiziari, ma questo è un problema – se vogliamo – che può essere legato a una situazione locale, qualunque essa sia, se così è. È importante, però, capire che l'unico modo di fare la lotta alle mafie è con uffici strutturati come le DDA.
  Non seguendo l'ordine, ma andando ad alcune domande del senatore Giarrusso, non è che in passato su Ostia ci siano stati degli insabbiamenti. Non c’è nessuna traccia, nessun elemento che induca a ritenerlo. C’è stata un'indagine in passato soprattutto sul gruppo Contrera-Caruana, che peraltro era ben lungi dall'avere gli elementi di prova che sono stati accumulati oggi.
  Gli elementi fondamentali dell'indagine di Ostia, che ha dettagliato il mio collega, sono, da un lato, la collaborazione di questi soggetti, che sono pentiti di non grandissima caratura, e, dall'altro, un'attività di intercettazioni ambientali che sono state fatte nel 2012 grazie alla professionalità di organi di polizia che avevano maturato esperienze a Palermo o a Reggio Calabria, realtà in questo campo, purtroppo, «all'avanguardia», che fanno scuola nel bene e nel male.
  Dopodiché, è possibile, per carità, che ci sia stata un'insufficiente valutazione o Pag. 17un'insufficiente comprensione di quel poco o di quel tanto che c'era.
  Un'altra cosa che tengo a dire, e che dimostra, ancora una volta, l'importanza di un organo di indagine unitario a livello sia di procura, sia di polizia, è che nell'indagine di Ostia, che è un'indagine della polizia di Stato, cui va gran parte del merito, alcune intercettazioni fondamentali sono state recuperate dalla mia collega, cui in questa parte va reso merito, da un procedimento per lesioni fatto dai carabinieri nel 2007. Quelle intercettazioni, che a suo tempo non erano state valutate e da sole non significavano tanto, lette insieme a tutto il materiale accumulato dalla polizia hanno fatto fare un salto di qualità.
  Non ci sono stati insabbiamenti. Secondo me, non ci sono state coperture. Può darsi che ci sia stata una maggiore o minore capacità professionale e – ripeto – c’è un cambio di metodo che cerchiamo di portare avanti nel 2012.
  Il senatore Lumia chiedeva: dai capitali all'organizzazione mafiosa. Questa è la nuova frontiera, che è estremamente complessa, perché è molto più facile, e normalmente avviene questo: noi abbiamo il mafioso X che da Napoli viene a Roma, investe 100-200 milioni di euro e desta sospetti. «Tu che sei mafioso com’è che hai 200 milioni ?» Questa è l'indagine classica, che ha portato anche a questi risultati, che io ritengo piuttosto positivi, nel breve periodo di tempo che abbiamo avuto a disposizione finora.
  La DDA sta facendo uno sforzo – speriamo fra un po’ di tempo di poterne dare conto in questa o in altre sedi pubbliche istituzionali – per vedere se sia possibile fare il percorso inverso, cioè constatare che ci sono grandi capitali investiti e vedere di ricostruire un'eventuale, ipotetica origine illecita.
  Laddove non ci sia il nesso diretto fra la mafiosità di un soggetto che viene da Palermo, Reggio Calabria o Napoli, o in genere dalle regioni del sud, vorremmo fare il percorso inverso. Per fare questo la DDA di Roma sta valorizzando questo tipo di indagini – chiamiamole così – economico-patrimoniali sia a livello di polizia, sia a livello di magistrati che ne entrano o ne entreranno a far parte, ma siamo tutti consapevoli che non è semplicissimo.
  A questo mirano anche – per questo ne ho fatto cenno, non soltanto per il piacere di fare dei numeri – quelle attività di sequestri ai sensi del codice antimafia nei confronti di persone che mafiose non sono. Esse forniscono elementi di conoscenza utili per le future indagini che vanno messe a sistema in un'entità che può essere, anzi che io mi sforzo che sia, non solo la DDA, ma anche una buona parte dell'ufficio di procura. Io ho mantenuto la responsabilità diretta anche delle misure di prevenzione della DDA, ma c’è un rapporto continuo con gli aggiunti e con i sostituti dei settori pubblica amministrazione, economia e personalità dello Stato, proprio perché, secondo me, su Roma bisogna che tutti questi settori di attività riescano a dialogare in modo intenso.
  Alla domanda del senatore Mineo su un'egemonia credo di avere risposto dicendo quanto sia complessa la situazione di Roma.
  Su Attilio Manca lascio la parola al mio collega, ma dico subito che la DDA di Roma non ha un procedimento sulla morte di Attilio Manca, perché procede Viterbo, o Velletri. Non ricordo. Pare, da notizie giornalistiche, che se ne sia interessata Palermo. Posso dire anche a nome del collega che in passato Palermo, quando noi eravamo a Palermo, ha fatto delle indagini. Allora non si ritenne che ci fossero nessi con la vicenda Provenzano.
  Sul discorso misure di prevenzione, personalmente ho fatto parte, e ho cercato di darle il mio contributo, della Commissione Fiandaca. Io so che la Commissione ha sentito ieri a lungo il professor Fiandaca e, quindi, risparmio di dire peggio quello che ha detto sicuramente meglio lui. La mia opinione personale e quella della procura di Roma – naturalmente, ho anche su questo il dialogo; ho portato in Commissione il risultato delle esperienze non solo personali, ma anche dei colleghi di Roma – si rispecchiano nelle conclusioni Pag. 18della Commissione Fiandaca per quanto riguarda la necessità di ripensare se dare la gestione realisticamente all'Agenzia. Credo che in questo senso lo stesso ministero dell'interno manifesti una notevole difficoltà ad assicurare la gestione nella fase, come la legge oggi prevede, fra la confisca di primo grado e quella definitiva.
  Probabilmente si può ripensare di tornare ad affidare all'Agenzia, perché possa svolgerla nel migliore dei modi e con tutte le sue risorse, la fase della destinazione, la fase successiva alla confisca, e riportare alla giurisdizione la fase fino alla confisca definitiva. In questo senso gioca anche molto, ma naturalmente tutto può essere migliorato, secondo me, a parte la carenza di risorse che abbiamo tutti sempre e dovunque, l'estrema varietà del quadro.
  Oggetto di misure di prevenzione, di sequestro e confisca, possono essere le tipologie di beni e anche di aziende le più varie e variegate, da quella alimentare, ai supermercati, ai piccoli negozi di periferia, alle imprese edili, a quelle che sono pure e semplici lavanderie nel senso gergale che, secondo me, prima falliscono e meglio è. Lo dico senza esitazione, perché sono solo un inquinamento del mercato. Ci sono grossi problemi, noti a tutti, ovviamente, sul fatto che vengono meno i crediti bancari, che si deve far emergere dal nero tributario e lavorativo, tutti problemi che la Commissione conosce benissimo.
  L'opinione maturata, dopo lunghissimi dibattiti in sede di Commissione, che io personalmente condivido, è quella prospettata dalla Commissione Fiandaca: riportare all'Agenzia il compito fondamentale di una rapida e, ovviamente, oculata destinazione dei beni, studiare un sistema per cui l'Agenzia possa coadiuvare gli amministratori e i tribunali della prevenzione nelle fasi precedenti e lasciare, invece, il resto all'autorità giudiziaria, la quale, peraltro, in questa fase si può avvalere meglio di quanto non possa fare l'Agenzia, oltre che degli amministratori – molto c’è da fare da parte di tutti – anche delle forze di polizia e delle acquisizioni che a mano a mano procure e forze di polizia continuano a fare. Infatti, le indagini sulle persone sottoposte alle misure di prevenzione normalmente continuano e tutto questo ha portato a noi.
  Inoltre – credo che ne avrà parlato, anzi sono certo che ne abbia parlato a lungo il professor Fiandaca – la Commissione ha fatto una proposta sul controllo giudiziario, su cui noi abbiamo molto discusso. Secondo me, è un «investimento», un esperimento che il legislatore, se ritiene, potrebbe tentare per cercare di evitare quel gioco infernale «o tutto bianco o tutto nero» che coinvolge aziende e imprese che possono operare in varie parti d'Italia, tanto più se sono imprese di fuori che vengono nelle regioni più a rischio e che fatalmente toccano realtà estremamente malate.
  Una fase del controllo giudiziario attenta a salvare il salvabile, a cercare di ritornare dal grigio al bianco piuttosto che dal grigio al nero forse potrebbe essere utile. Su questo c’è un articolato della Commissione di cui siamo fortemente convinti.

  PRESIDENTE. Vuole aggiungere qualcosa, procuratore Prestipino ?

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Procederò davvero per flash e in estrema sintesi, trattando sostanzialmente tre punti.
  Il senatore Lumia e l'onorevole Giarrusso chiedevano, facendo riferimento anche a una serie di notizie e di indicazioni che emergono dagli atti processuali che già sono stati oggetto di discovery processuale e, quindi, di conoscenza pubblica, di rapporti tra i gruppi mafiosi, per come noi li abbiamo caratterizzati, che operano sul territorio di Ostia e pubbliche amministrazioni, politica e apparati.
  Ovviamente, io non intendo sottrarmi a questa domanda, ma rispondo con un'indicazione di metodo. Nell'esperienza che non solo io, ma anche noi come lavoro in équipe abbiamo maturato in tanti anni – io vengo da un'esperienza estremamente Pag. 19lunga fatta nella procura di Palermo e poi nella procura di Reggio Calabria – le indagini, le attività investigative nei confronti della mafia devono seguire, come noi abbiamo detto tantissime volte, un andamento che va dal basso verso l'alto e dal cuore dell'organizzazione e della struttura organizzativa verso gli anelli esterni. Solo questo metodo consente di ricostruire quel sistema di relazioni e di rapporti che inevitabilmente e necessariamente caratterizza le mafie e non le altre organizzazioni criminali.
  Per capirci, se pensiamo a quella che per un certo periodo di tempo fu conosciuta come la mafia del Brenta, che veniva indicata come «mafia» del Brenta – non è un problema di caratterizzazione geografica, ma proprio di connotazione strutturale – vediamo che per quel tipo di attività, per quel tipo di presenza criminale, ai fini del conseguimento degli interessi che quell'organizzazione, sia pure strutturata, sia pure di tipo complesso, perseguiva, non erano assolutamente indispensabili i rapporti con la politica e con la pubblica amministrazione.
  Potevano essere utili o comunque potevano giovare rapporti, per esempio, con uomini delle istituzioni, con funzionari appartenenti alle forze di polizia. Potevano essere senz'altro utili e giovare, ma all'esistenza di quell'organizzazione criminale di tipo complesso non era certamente indispensabile il rapporto con la politica o la pubblica amministrazione.
  Ciò, invece, è vero per le organizzazioni davvero mafiose, al di là della denominazione. Non c’è mafia vera, che sia cosa nostra, che sia ’ndrangheta, che sia camorra, la quale nel corso del tempo – quando dico «tempo», possiamo partire senz'altro dall'unità d'Italia – non abbia avuto rapporti con la politica, con la pubblica amministrazione e con gli apparati. Questa non è una variabile. È un elemento strutturale di come l'organizzazione è presente, esiste e opera.
  Se noi vogliamo ricostruire questa rete relazionale, che è importantissima, perché senza la ricostruzione di questa rete poi l'azione di contrasto è un'azione – per carità – meritoria, ma certamente spuntata e non efficace come potrebbe essere, l'unico metodo verificato è quello di partire dal cuore dell'organizzazione, cioè dalle condotte degli associati, degli affiliati mafiosi, e del loro sistema di rapporti, per estendere le indagini da quel cuore verso l'esterno e dal basso, procedendo dal livello dell'organizzazione ai livelli più alti. Si va, quindi, dal basso verso l'alto e dall'interno verso l'esterno.
  Mi permetto di dire – davvero con il massimo dell'umiltà, perché sono processi che abbiamo seguito e curato, ai quali ho anche preso personalmente parte quando ero alla procura di Palermo e alla procura di Reggio Calabria – che, quando c’è stata condanna definitiva di alcuni soggetti che vogliamo definire colletti bianchi, politici, pubblici amministratori, ci si è arrivati esattamente seguendo questo metodo, quello che dicevo prima.
  Il processo all'ex presidente della regione siciliana ha unito tanti pezzetti che sono partiti dal cuore dell'organizzazione: un pezzetto è partito da personaggi mafiosi di Bagheria, un pezzetto da personaggi mafiosi di Brancaccio e poi, unendoli, si è arrivati a ricostruire un sistema di relazioni che le sentenze, anche quelle passate in giudicato, hanno chiarito in tutte le sue forme e le sue potenzialità.
  Perché dico questo ? Perché anche a Ostia, proprio perché è il nostro approccio – parliamo di mafia – dobbiamo seguire questo metodo. Questo metodo è, nella nostra convinzione, l'unico che paga, ma richiede un po’ di tempo. Le prime misure cautelari sono state eseguite a luglio del 2013. Siamo ancora a febbraio del 2014. Ci vuole un po’ di pazienza e di tempo, perché stiamo ricostruendo. Il fatto che abbiamo già esercitato l'azione penale nei confronti dei soggetti arrestati a luglio non significa che non ci siano indagini in corso, sulle quali ovviamente è necessario mantenere il dovuto riserbo.
  Questo riguarda non solo la parte politico-imprenditoriale – i colletti bianchi e i ruoli a cui faceva riferimento prima l'onorevole Giarrusso – ma anche la figura a cui faceva riferimento il senatore Lumia Pag. 20sul ruolo di intermediazione dei conflitti. È un problema serio ed è un problema che va letto, anche questo, insieme a tutte le altre risultanze, non solo a quelle di Ostia. Come ipotesi, potrebbe essere possibile che quel ruolo venga svolto anche con riferimento ad altri territori, il che naturalmente implica, sul piano delle ricostruzioni, conseguenze diverse da quelle che si potrebbero trarre se fossero fenomeni limitati a una questione – passatemi il termine – o lite condominiale o di quartiere.
  Venendo agli imprenditori, di cui chiedeva sempre il senatore Lumia, si chiedeva il paragone con la situazione lombarda. A Ostia noi non abbiamo avuto alcuna denuncia. Questo è un dato di fatto con il quale dobbiamo misurarci e orientare la nostra azione, ma con cui si deve misurare non soltanto la procura della Repubblica.
  Il fatto di non aver avuto alcuna denuncia è significativo. Io, per esempio, attribuisco una valenza importante ai fenomeni di associazionismo nell’antiracket, a quelli seri, che mettono insieme le vittime, le persone offese, che le aiutano, che le consigliano. Il ruolo dell'associazionismo antiracket – ripeto, di quello serio – è un ruolo davvero importante. Dove non c’è quel tipo di fenomeno e dove la partita si gioca tra il singolo imprenditore, il singolo operatore commerciale e l'organizzazione mafiosa, lo sappiamo tutti, è una partita impari, perché si tratta del singolo contro un gruppo organizzato. Ripeto, noi non abbiamo avuto alcuna denuncia.
  Egualmente, sull'altro versante, quello delle misure di prevenzione, i sequestri – se ne faceva parola prima – delle pizzerie hanno messo in evidenza il ruolo in prima battuta di figure imprenditoriali, in questo caso operatori nel settore della ristorazione. L'organizzazione camorristica, che ha un suo radicamento territoriale fortissimo nel cuore di Napoli, in una vasta zona della città, dove, peraltro, hanno sede anche gli uffici giudiziari – parliamo dei Contini – ha un rapporto, anche questo maturato e risalente nel tempo, con questi imprenditori che, invece, si erano stabilizzati su Roma.
  Anche in questo caso, allo stesso modo di come le nostre indagini ci hanno consentito di accertare prima a Palermo e poi anche a Reggio Calabria, si crea quel rapporto di reciproco vantaggio e di reciproco interesse derivante dalla conclusione, sia pure tacita, di un patto criminale che assicura e garantisce utilità a entrambi i contraenti. Questo è il punto, lo snodo cruciale della questione. Questo patto criminale porta a questo tipo di conseguenza. C’è un ruolo degli imprenditori fondamentale. È fondamentale se denunciano ed è fondamentale all'opposto, all'inverso, quando si schierano con l'altra parte, perché scelgono di fare i patti con le mafie.
  C’è un'ultima questione veramente di sessanta secondi: la questione di Attilio Manca. Io ora non parlo come procuratore aggiunto di Roma, perché Roma, che a me consti, non credo abbia attivato o seguito indagini. Ci sono le regole della competenza.
  Io me ne sono occupato quando ero sostituto a Palermo e, rispetto alle ultime emergenze, sia pure di tipo giornalistico e mediatico, sento il dovere di dire almeno una cosa. C’è un processo che si è svolto a Palermo, che si è concluso con sentenze divenute definitive, cioè con tre gradi di giudizio, con condanne e, quindi, con l'accertamento delle responsabilità penali, in cui è stata ricostruita in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi passaggi, anche geografici, quella che mediaticamente è stata definita la «trasferta» di Bernardo Provenzano nel territorio di Marsiglia per sottoporsi a un'operazione chirurgica.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Con la carta di identità di Troia ?

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, esattamente quella. Quella vicenda è stata ricostruita – passatemi il termine – minuto per minuto e tutti i soggetti coinvolti Pag. 21protagonisti che hanno commesso reati sono stati condannati con sentenza passata in giudicato grazie alle intercettazioni, alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e agli atti acquisiti con una rogatoria presso l'autorità giudiziaria di Marsiglia, alla quale ho personalmente partecipato.
  Noi abbiamo sentito, con i colleghi francesi, i medici e il personale infermieristico. In più, abbiamo acquisito le dichiarazioni, estremamente collaborative, di una donna che è stata legata a uno degli uomini che avevano organizzato la trasferta e che ha curato e assistito personalmente, spacciandosi per una nipote, il signor Troia, in realtà Bernardo Provenzano, quando è stato ricoverato in terra di Francia.
  Ebbene, nella ricostruzione – abbiamo sentito chi lo ha assistito, chi l'ha operato, chi ha fatto il prelievo; abbiamo potuto estrarre anche il profilo del DNA, perché all'epoca Bernardo Provenzano, quando abbiamo eseguito questa rogatoria, a giugno del 2005, era ancora latitante – di tutti questi fatti, dalla partenza, proprio con orario e data, al ritorno, con orario, data e riconsegna delle valigie di Provenzano, non c’è mai stata traccia di Attilio Manca.
  Questo lo dico come dato di fatto. Mi sento in dovere di doverlo precisare.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Passiamo al secondo giro di domande. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO FAVA. Grazie, presidente. Intanto mi permetto di esprimere il mio apprezzamento per il lavoro del dottor Pignatone e del dottor Prestipino a Roma e per il lavoro che hanno fatto anche in Calabria, di cui abbiamo potuto raccogliere risultati certificati.
  Pongo tre domande. Una riprende il tema che era stato sollevato dal collega su Ardea, Aprilia, Anzio, una zona che ha registrato diversi attentati incendiari. L'ultimo attentato è stato rivolto al presidente del Consiglio comunale. Volevo chiedere, procuratore, se è previsto un monitoraggio della DDA, un'attività diretta e mirata investigativa che cerchi di capire se c’è un filo e se questo filo collega anche con una criminalità che si possa definire di stampo mafioso.
  La seconda questione riguarda Fondi. Come voi ricorderete, ci fu una richiesta di scioglimento, alcuni anni fa, del comune di Fondi, richiesta che fu inevasa dall'allora Governo perché alla vigilia della decisione si arrivò poi allo scioglimento per dimissioni dei consiglieri e alle elezioni.
  La relazione del prefetto, che era stata corroborata dal lavoro della polizia giudiziaria, è una relazione molto dura, molto rigorosa, molto preoccupante. C’è stata una nuova operazione nel 2011, l'operazione Damasco.
  Vorrei capire qual è lo stato dell'arte in questo momento a Fondi. Che cosa rappresenta il mercato ortofrutticolo di questa città, alla luce anche di quello che si era potuto acclarare prima ? Avete la sensazione che i rapporti non risolti tra dimensione amministrativa e politica e pervasività della mafia siano ancora irrisolti ?
  La terza questione riguarda, invece, l'ipotesi di una quinta mafia. Lo dico così per semplicità. Penso a questo gruppo autoctono che alla fine ha costruito un percorso di stabilizzazione e di espansione che non ha alcun legame con altre mafie, ma che, come è stato ricordato, ha strutture, organizzazione pratica e linguaggi che hanno a che fare con l'organizzazione mafiosa.
  Esiste il rischio di un'espansione, ossia il rischio di una vera e propria quinta mafia, di una mafia che ha come connotato antropologico Roma, il Lazio ? Esiste il rischio di un suo consolidamento, di un suo radicamento territoriale, anche per effetti di emulazione e non soltanto come espansione di questo gruppo autoctono ? Siamo di fronte a un episodio che voi ritenete possa essere considerato isolato e legato alla dimensione criminale del litorale, o esiste il rischio in questo territorio ?

Pag. 22

  LAURA GARAVINI. Grazie, presidente. Volevo sapere se dalle indagini in corso e anche dalle indagini concluse, di cui il procuratore Pignatone ci ha raccontato, ma soprattutto da quelle in corso, risultino anche collegamenti tra le infiltrazioni di stampo criminale, camorrista, mafioso o ’ndranghetista, con elementi della politica.
  Proprio perché brucia particolarmente la vicenda Fondi, di cui ci accennava il collega Fava, primo e unico esempio in cui l'allora ministro dell'interno chiese lo scioglimento senza che si giungesse allo scioglimento stesso, chiedo: c’è un motivo ? Come mai in Lazio abbiamo così pochi comuni sciolti per mafia ?
  Ci sono monitoraggi per quanto riguarda la presenza, invece, di infiltrazioni criminali, anche partendo dai numerosi e frequenti cambi di proprietà sugli esercizi commerciali qui nella capitale ? Si procede a un monitoraggio che prenda in esame eventuali frequenti passaggi di proprietà in determinati esercizi ? In particolare, penso al proliferare di compro oro, ma non solo.
  Pongo ora due domande di carattere generale. L'audizione del professor Fiandaca ci ha dato occasione di conoscere anche una valutazione in merito alla bozza di proposta elaborata al Senato e, dunque, modificata rispetto a quanto era stato formulato alla Camera in merito alla proposta di legge sul voto di scambio. Forse sarebbe interessante sentire anche una vostra valutazione in merito.
  Analogamente, pur non essendo all'ordine del giorno, vista la professionalità che caratterizza entrambi i nostri ospiti anche alla luce della loro lunga esperienza e delle origini del loro operato in Sicilia, chiederei una vostra valutazione inerente le dichiarazioni recenti di Riina emerse alla pubblica opinione attraverso la loro pubblicazione sulla stampa.

  FRANCESCO D'UVA. Grazie, presidente. Grazie agli auditi di essere qui.
  Molto brevemente, io vorrei chiedervi riguardo all'inchiesta sui rifiuti, se, oltre al lavoro svolto, sono previsti sequestri di impianti e se la situazione di monopolio che si era venuta a creare sia riconducibile ad associazioni di stampo mafioso.
  Dopodiché, volevo sapere se per caso, con la vostra esperienza passata, ritenete sia possibile o vi aspettiate che sul territorio romano si possa trovare una qualche locale di ’ndrangheta così come si è creata al nord Italia.
  Sempre restando collegato a questo tema, mi chiedevo come vi spiegate la nascita di una cosca autoctona dal punto di vista sociologico. Mi chiedo quali possano essere, in un territorio che notoriamente, a parte i rari casi che il mio collega senatore riportava, piuttosto vecchi, gli elementi che possono far nascere una cosca o meno. Effettivamente io non mi aspettavo questo e mi chiedevo se tali soggetti abbiano imparato dalla cosca che veniva da Agrigento il metodo, oppure se voi vi siete fatti un'opinione a riguardo.
  Sempre pescando nella vostra esperienza, riguardo al sistema Messina, nel senso della città di Messina – voi siete stati per anni a Reggio Calabria e in Sicilia, anche se non proprio in territorio messinese – vorrei sapere se avete notizie di collaborazioni o di presenza della ’ndrangheta a Messina, fermo restando che sappiamo che la ’ndrangheta, come voi mi insegnate e da quello che ho potuto leggere, va dove vanno i soldi.
  Non è che a Messina ce ne siano molti, però si parlava anche di colletti bianchi. A Messina c’è un'università che l'ex presidente della Commissione antimafia diceva essere la prima università calabrese, più che la terza università siciliana.
  Vi ringrazio per le risposte.

  GIULIA SARTI. Grazie, presidente. Innanzitutto io chiedo scusa ai due auditi perché sono arrivata tardi, ma provengo dalla Commissione giustizia, in cui siamo finalmente giunti al termine dell'esame della travagliata modifica dell'articolo 416-ter, proposta di legge che dovrebbe finalmente vedere la luce entro la fine di questo mese.
  Mi associo innanzitutto alle domande dei colleghi Fava e Garavini con riguardo Pag. 23al comune di Fondi. Faccio notare, nonostante questa sia una considerazione prettamente politica, che uno dei membri di questa Commissione, Claudio Fazzone, che non si è visto molto spesso in questa Commissione ma ne fa parte, si batté fortemente negli anni addietro contro lo scioglimento del comune di Fondi. Anch'io sarei felice di capire come le notizie riguardo a questo comune si sono evolute.
  So che avete accennato al problema del gioco d'azzardo. Io volevo chiedervi delle notizie un po’ più precise su quali operazioni sono state intraprese e se ci sono indagini corpose riguardanti il contrasto al grande business del gioco d'azzardo, in particolare dei casinò e dei siti online.
  Prima leggevo un articolo sul sito di Il Fatto Quotidiano online che citava l'inchiesta partita alla procura di Napoli con riguardo soprattutto al clan Zaza-Mazzarella, in particolare a Ciro Smiraglia, che adesso è stato arrestato, e al suo socio in affari, Andrea Ricci, in carcere anche lui, i quali possedevano due sale da gioco qui a Roma e avevano intenzione di aprirne molte altre.
  Sappiamo che le situazioni in provincia di Roma, alla periferia di Roma e anche al centro sono particolarmente gravi con riguardo a questa egemonia, a questo interesse fortissimo della criminalità organizzata per questo grandissimo business.
  Nell'articolo si citavano tutti i collegamenti avviati da Smiraglia per arrivare addirittura al fratello del primo ministro maltese per cercare di avere a Malta la sede del server che doveva ospitare questi siti illegali di gioco d'azzardo. Il tramite, l'intermediario, il canale tra Smiraglia, Ricci e il fratello del primo ministro maltese, è stato Gaetano Fidanzati. C'era tutto questo gran giro di collegamenti. Volevo capire da voi che cosa sta facendo la procura di Roma su questo grandissimo problema.
  Grazie mille.

  MARCO DI LELLO. Grazie, presidente. Grazie al presidente Pignatone e al procuratore Prestipino.
  Io sono molto facilitato nella domanda perché il vicepresidente Fava e la collega Garavini hanno, con i loro interrogativi, superato i quesiti che volevo porvi sulle iniziative in essere ad Ardea, sul litorale pontino, e soprattutto sul giudizio che esprimete sulla qualità degli amministratori del territorio, sapendo che, peraltro, proprio ad Ardea mi pare ci sia un fronte positivo per la legalità. Su questo aspetto vorrei avere una vostra opinione.
  Faccio una domanda al presidente Pignatone che potrebbe apparire di mera curiosità, ma che comprenderete non essere tale: il proprietario del Café de Paris, nella vicenda che lei ci ha raccontato prima, è stato incriminato ? Glielo chiedo perché è sempre molto sottile il limite della complicità, o meglio dell'azione tesa ad agevolare, ai sensi dell'articolo 7, la vittima dell'estorsione.
  Io credo che incida molto anche l'elemento di condizionamento psicologico. Vorrei sapere la vostra opinione sul punto. È diversa la valutazione se questo avviene in un territorio particolarmente gravato dalla presenza della criminalità organizzata o, invece, in una realtà che non ha, almeno in apparenza, questo livello soffocante di incidenza della criminalità organizzata.

  ANDREA VECCHIO. Desidero unirmi al coro degli apprezzamenti per il presidente Pignatone e per il sostituto Prestipino, anche perché ho motivo personale di essere grato al loro operato e al loro lavoro.
  Prima di tutto avrei una domanda. Voi avete parlato di un clan autoctono che si è creato nel Lazio, di una diatriba nata con un altro clan e del pacificatore. Il senatore Lumia mi pare avesse chiesto chiarimenti sulla figura di questo pacificatore. Io non ho capito se i chiarimenti li avete dati, oppure se è opportuno che non li diate.
  La seconda questione riguarda la relazione Fiandaca, che lei condivide e a cui lei ha contribuito nella sua redazione. Io ho creduto di capire che lei sia favorevole acché le imprese sequestrate, se sono grigie Pag. 24o grigio scure, è opportuno che vengano immediatamente liquidate.
  Questa è la mia posizione personale, perché io ritengo, usando una metafora, che, se tu stai in cucina mentre tua moglie frigge melanzane, non puoi dire, uscendone, di non aver contribuito alla frittura delle melanzane. Pertanto, credo che tutti i soggetti implicati in quell'azienda, da dipendenti, da dirigenti, o a qualunque altro titolo abbiano grossissime responsabilità, che non possono essere sanate tout-court.
  L'altra domanda è a proposito dei protocolli di legalità che si usano nella realizzazione delle grandi opere e che speriamo si introducano anche nella realizzazione di medie opere, ma con alcune facilitazioni.
  La lungaggine delle certificazioni antimafia che si è costretti a chiedere per l'assunzione anche di un solo soggetto, di un solo operaio, piuttosto che facilitare lo svolgimento e, quindi, la collaborazione di questo protocollo di legalità al fine di portare avanti in maniera più spedita l'esecuzione delle opere, lo complica e crea costi a volte insostenibili per le imprese.
  Quando parliamo di mafia, attribuiamo la nascita di questi fenomeni, purtroppo, alla Sicilia. Poi la spostiamo alla Calabria e ci fermiamo alla Campania. Io credo, però, che dalla vostra esperienza professionale possa venire una risposta a una mia domanda. Nel sistema dei lavori pubblici, soprattutto in Sicilia, l'implicazione della mafia è stata portata dalle imprese del nord. Le grandi imprese del nord che sono venute in Sicilia per fare opere pubbliche sono state le prime ad aver cercato la collaborazione dei grandi gruppi mafiosi.
  Volevo solo puntualizzare questo. Grazie.

  PRESIDENTE. Anch'io voglio unirmi ai ringraziamenti e lo faccio a questo punto dell'audizione, perché so bene che poi, quando avrete concluso le risposte, l'attenzione sarà minore da parte di tutta la Commissione.
  Voglio ringraziare, quindi, per l'audizione di oggi e anche per la collaborazione che continueremo a chiedervi. È intenzione di questa Commissione istituire anche un gruppo di lavoro e di attenzione proprio sulla capitale. Noi crediamo che, se siamo arrivati al punto che voi ci avete descritto e che le indagini hanno fatto emergere, senza attribuire la responsabilità del passato né a voi, né a noi, ci sia stata una distrazione su questa città.
  Una penetrazione così forte, soprattutto nel tessuto economico-commerciale, un tessuto certamente non forte di questa città, ma che si è esposto, è stata anche, io credo, frutto di una distrazione che ha consentito di creare quello che a me sembra un vero e proprio «modello Roma» della criminalità organizzata di stampo mafioso, la quale ha caratteristiche tipiche proprie anche rispetto ad altre realtà che conosciamo, che stiamo cercando di conoscere e che sono sottoposte a indagini.
  Se c’è un'attenzione così forte del Paese nei confronti, in questo momento, soprattutto di Milano – penso all'Expo – giustamente, credo che noi dobbiamo avere anche l'ambizione che la capitale d'Italia riesca a liberarsi da una penetrazione così forte e preoccupante. Roma è una città già provata da molti punti di vista in questi ultimi anni. Come ci diceva giustamente lei, procuratore, ha tante problematiche. Tali problematiche, però, si intrecciano e hanno preparato un terreno fertile per la penetrazione delle mafie. Ora questo intreccio può rischiare di diventare ancora più pericoloso.
  Anche a me viene voglia di fare una domanda, in particolare al procuratore aggiunto, il quale ci ha giustamente detto che la mafia, le mafie, ma soprattutto cosa nostra, non prescindono mai dal rapporto con la politica. A parte il fatto che verrebbe la voglia di dire che, se la politica non fosse disponibile, forse avremmo sconfitto le mafie in questo Paese. In qualche modo ci saremmo riusciti. Ahimè, sì, questa conclusione possiamo tirarla. Se non fosse a disposizione, se non si fosse Pag. 25abituata a conviverci, se non avesse contagiato anche questa disponibilità alla convivenza, le avremmo sconfitte.
  Sorge la domanda su questa città: sul basso Lazio qualche luce c’è già stata, ma sulla città, sulla capitale, a che livelli siamo in termini di compromissione della politica ? Sono quelli locali o anche all'ombra dei palazzi della politica nazionale possono avvenire serenamente e tranquillamente queste cose ? Questa è una domanda che dalle sue parole mi nasce spontanea.
  Vi ringrazio ancora, sapendo che lavoreremo un po’ insieme, come ho promesso anche a un gruppo che ho incontrato, Da Sud a Sud, di calabresi venuti a Roma. Non solo, infatti, c’è stata una proiezione della ’ndrangheta, ma c’è anche una proiezione della lotta alla ’ndrangheta. Loro hanno chiesto un'attenzione particolare sulla città che credo questa Commissione dovrà avere.
  Grazie.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Ringraziamo a nostra volta, sia per gli apprezzamenti personali, sia, ancora di più, per l'attenzione al nostro lavoro. Io devo continuare a rivendicare che è cominciato da meno di due anni e che ovviamente ha alcuni limiti, in relazione sia al fatto che è cominciato da due anni, sia al fatto che abbiamo davanti un fenomeno molto ampio, molto frastagliato, tutto da investigare, in molti casi partendo più o meno da zero.
  Per quanto riguarda Ardea, Aprilia, Fondi – io aggiungerei anche Acilia, per esempio, dove c’è stata un'operazione della DDA di Napoli, parte della quale trasmessa poi, per competenza, a Roma – sono tutte località, come quelle nel litorale del basso Lazio, all'attenzione della DDA, con questi limiti (io non mi nascondo di fronte alla realtà) di uomini, di risorse, di mezzi, di difficoltà.
  Ci sono alcune indagini in corso, su cui non credo sia opportuno andare a fondo. Parte di queste indagini sono della DDA di Roma, parte della DDA di Napoli. Vorrei spiegare brevemente perché, in quanto questo giustifica la necessità di una collaborazione, che è in atto, con la procura di Napoli, sia come DDA, sia come procura ordinaria, come si dice con una brutta espressione. Questo spiega anche perché a volte la procura di Napoli esegue sequestri a Roma, lodevolmente, anzi, apprezzabilmente, in capo a soggetti che stanno a Napoli e che hanno beni illeciti a Roma. A volte, come nel caso più volte richiamato dei Righi, riusciamo a fare un'operazione congiunta, cosa non semplicissima, con arresti eseguiti dalla procura di Napoli e sequestri eseguiti dalla procura di Roma.
  Con questo rispondo a quello di cui si è parlato ormai più volte nel corso del pomeriggio, cioè del fatto che qualcosa è avvenuto anche con Reggio Calabria, anche qui, in due direzioni, sia con carte mandate e, quindi, con input investigativi da Reggio Calabria verso Roma, sia con carte e input investigativi mandati da Roma verso Reggio Calabria, che ha poi proceduto, per esempio, al sequestro di un albergo e di altri beni. Il collega Prestipino ricorderà i nomi meglio di quanto non faccia io. In questo caso, è stata Reggio Calabria a procedere su input romani.
  Questa collaborazione virtuosa è indispensabile nel momento in cui ci sono soggetti la cui qualificazione mafiosa emerge nella terra di origine e che hanno investimenti qui. Sotto questo profilo, secondo le regole della competenza e anche secondo lo stato delle indagini, noi cerchiamo di sommare le risorse e le conoscenze degli uni e degli altri per ottenere questi risultati.
  Nel caso, per esempio, di Acilia, ha iniziato Napoli, ritenendo che vi fossero due associazioni fra loro, dichiarate entrambe mafiose, tanto connesse da giustificare una trattazione unitaria. Poi il giudice, o il tribunale del riesame, ha stabilito che un caso era di Napoli, mentre l'altro si dovrà tenere a Roma.
  Fondi è un altro di quei luoghi in cui in passato si sono intrecciate indagini di Roma di alcuni anni fa e di Napoli e di Reggio Calabria di alcuni anni fa. Volta Pag. 26per volta, secondo le risultanze e la concretezza delle indagini, si stabilisce anche la competenza.
  È estremamente intrigante la domanda che ha fatto l'onorevole Fava sul clan autoctono e su come fa a spuntare, domanda poi ripresa da altri. Non abbiamo una risposta certa. Forse, se arriverà fra un certo numero di anni o un certo numero di mesi – non si sa mai – un pentito, un collaboratore di giustizia che ce lo racconterà dall'interno, sarà più facile rispondere. Secondo me, ma è un'analisi ipotetica e non ci sono dati processuali che ce lo spieghino, se fosse vero, questo sarebbe un elemento in più di preoccupazione, con un effetto di emulazione e di stabilizzazione successiva.
  Io ricordo che a Roma, cosa di cui stasera non abbiamo parlato, ma che penso tutti sappiate, se andiamo col pensiero ad anni più remoti, c'era Pippo Calò. Pippo Calò, a fine anni Settanta e primi anni Ottanta, finché non è stato poi arrestato, era, si diceva, il capo della mafia a Roma, o il cassiere della mafia. Al di là delle definizioni, era un rappresentante di peso estremamente autorevole a Roma degli interessi di cosa nostra siciliana.
  Pippo Calò aveva instaurato, all'epoca, un rapporto, virtuoso dal suo punto di vista, ma estremamente vizioso e grave dal punto di vista dello Stato, con la criminalità romana, in particolare con quella della banda della Magliana. Tant’è vero che l'ultimo processo a Roma città di cui si ha traccia prima di questi di Ostia, poi sfociato in provvedimenti cautelari, ha riguardato proprio esponenti della banda della Magliana.
  Indagini ne sono state fatte tante, evidentemente con poca fortuna. Un paio di indagini importanti sono poi finite – è giusto dirlo, perché condotte da colleghi prima che arrivassimo noi – a Napoli, proprio per ragioni di competenza. Per esempio, quella su Righi e Contini delle pizzerie e quella più recente, che è stata pure citata, di Zaza e Smiraglio sono indagini fatte da polizia e carabinieri, rispettivamente di Roma, con la procura di Roma. Tuttavia, prima di sfociare in un provvedimento cautelare e, quindi, in una forma anche di pubblicità e di notorietà legittima, hanno urtato contro una dichiarazione di incompetenza dei giudici, perfettamente corretta, per carità. Hanno avuto, quindi, il loro esito processuale, almeno allo stato attuale delle misure cautelari, a opera della procura di Napoli.
  Lo preciso per correttezza. Non è che non si sia fatto niente da Calò a Ostia. Non è così.
  Tornando a Calò, Calò innestò una serie di rapporti estremamente pesanti, gravi e fruttuosi per lui, o per loro, con la banda della Magliana. Come stavo dicendo, l'ultimo processo, che in parte è sfociato addirittura con condanne definitive per 416-bis, fu proprio per gli esponenti della banda della Magliana che scelsero il rito abbreviato e furono condannati con sentenza definitiva.
  Quelli che scelsero la via del giudizio ordinario e del dibattimento furono, invece, assolti dal reato di associazione mafiosa, per vicende strane dei processi. È chiaro, però, e questo ormai si legge nei libri, che c’è stato uno scambio di esperienze fra Calò, portatore del know-how della mafia siciliana, e la banda della Magliana, portatrice del particolare know-how della criminalità romana, la quale era legata a una criminalità di tipo politico, avente contatti con la politica e anche coi servizi dell'epoca.
  Io temo che i Fasciani, il clan autoctono, nel piccolo di Ostia – ma a Ostia ci sono 200.000 abitanti, più di quanti non ne conti l'intera città di Reggio Calabria – abbiano seguito un percorso analogo, cioè che abbiano avuto un effetto emulativo rispetto ai clan siciliani o camorristici anche attivi su Ostia e che ora si siano stabilizzati e abbiano anzi assunto un peso preponderante. Ripeto, è un'analisi che non ha grandi addentellati nei dati processuali per quello che può valere.
  Quanto alla politica, visto che la presidente ha chiesto al mio collega Prestipino, lascio a lui la parola.

Pag. 27

  PRESIDENTE. Mi sono rifatta alla sua affermazione. Se lei ci risponde attraverso il 416-ter, siamo contenti.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Rispondo attraverso il 416-ter, fermo restando – così anticipo quello che non potrà non dire il dottor Prestipino – che noi, purtroppo, possiamo parlare sulla base di dati processuali. Possiamo curarci, magari, fra un anno, di avere più dati di quanti ne abbiamo oggi.
  Continuando con le domande, noi – in questo caso le autorità dello Stato, non tanto la procura della Repubblica, perché questo non è suo compito – stiamo facendo un monitoraggio, per usare questa parola un po’ di moda, sui cambi di proprietà o di gestione di attività commerciali, compro oro e non soltanto. È soprattutto la prefettura che ha avviato da tempo un'attività di questo genere, ovviamente con le forze di polizia.
  Ripeto, secondo me, questa è un'attività che attiene alla prevenzione e non alla fase della giurisdizione. È chiaro che ne possono nascere, ne sono nati e sicuramente ne nasceranno in futuro spunti di indagine.
  Sul 416-ter io non posso che essere d'accordo con quello che vi ha detto il professor Fiandaca, non perché mi piaccia l’auctoritas del professor Fiandaca, ma perché la relazione è stata oggetto di discussione. A quanto abbiamo sentito, è stata approvata.
  Io esprimo tutta la mia perplessità sulla formulazione della proposta attuale, soprattutto laddove si dice «in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione». Confesso, da procuratore della Repubblica, che mi pare una formula molto vaga, molto poco ancorata a dati di fatto e, in quanto tale, affidata al rischio di interpretazioni, su cui, del resto, la stessa Cassazione in questi venti o trent'anni non ha fornito sicuri elementi di certezza. Essi potranno magari consolidarsi a livello della sentenza definitiva di una delle sezione unite, ma, prima di arrivare alla sentenza definitiva delle sezioni unite, si rischieranno di creare ulteriori polemiche, ulteriori discussioni, ulteriori accuse di indagini aperte sul poco o sul nulla, sostenendo che esse possano avere alterato l'esito delle elezioni o, prima ancora, la formazione delle liste e viceversa, nonché l'ulteriore delusione di indagini iniziate e poi non sfociate.
  Non so cosa abbia detto il professor Fiandaca, ma presumo più o meno questo. Non ho avuto il tempo di ascoltare Radio Radicale.

  PRESIDENTE. C'era il dubbio sulla disponibilità.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Quanto al dubbio sulla disponibilità, la commissione aveva proposto, ma ormai questo è superato. Nel momento in cui viene chiesta l'opinione, vi comunico che la mia opinione coincide con le riflessioni della commissione Fiandaca.
  Per quanto riguarda le dichiarazioni di Riina, io non ritengo di poter rispondere. Noi leggiamo i giornali. Sono processi di altre autorità giudiziarie. Non penso sia corretto da parte nostra esprimere neanche semplici opinioni.
  Per quanto riguarda i rifiuti, nell'indagine Cerroni non sono emersi, allo stato, in modo assoluto contatti con elementi della criminalità organizzata di tipo mafioso.
  Invece, per quanto riguarda i sequestri, la procura di Roma ha ottenuto dai GIP, nella materia generale dei rifiuti, il sequestro sia di uno dei depuratori di Roma, per un'inadeguatezza del funzionamento che, secondo noi, è tale da configurare reati, sia della discarica denominata Testa di Cane dalla località dove si trova, anch'essa già approdata perlomeno al rinvio a giudizio.
  Sulla possibilità che ci siano locali di ’ndrangheta risponderà il collega.
  Sulla città di Messina, per lo stesso motivo di cui prima, credo che noi non possiamo dire nulla.
  Per quanto riguarda i giochi d'azzardo, ripeto, il processo Smiraglia, di cui ho Pag. 28parlato, è nato a Roma e si è risolto con un'operazione, allo stato, estremamente positiva condotta a Napoli, per problemi di competenza. Anche questi, peraltro, sono indicativi di quanto sia complessa e anche complicata, se vogliamo, la realtà di queste organizzazioni mafiose.
  Tali organizzazioni hanno il loro luogo di nascita nelle regioni del sud, ma poi si spostano in misura significativa al centro, a Roma, per quello che ci riguarda. Questo genera problemi di competenza non semplici da risolvere e, peraltro, rappresenta una situazione abbastanza nuova. Anche su questa aspettiamo, quando arriverà, una sentenza di Cassazione definitiva che possa dare maggiori certezze.
  Sui giochi d'azzardo, come discorso generale, c’è una grande attenzione anche della procura di Roma. Io ricordo che abbiamo eseguito un sequestro per misure di prevenzione nei confronti di Tancredi, come risulta dagli atti processuali e anche da notizie di stampa, che era un grande organizzatore di questo tipo di gioco, con interessi e server situati all'estero. Non potendo procedere al sequestro dei server, i Monopoli hanno in contemporanea revocato tutta la possibilità tecnico-giuridica di procedere nell'attività giudicata illecita.
  Sotto questo profilo anche Roma, così come molti altri uffici giudiziari d'Italia, è consapevole dell'entità del problema e ha una serie di attività di indagini in corso.
  Alla domanda che si riferisce al proprietario del Café de Paris e al fatto se sia stato incriminato, la risposta è no. Oscilla fra Reggio Calabria e Roma, perché avrebbe potuto essere incriminato qui o là, ma non lo è stato né qui, né là. Questo perché il proprietario del Café de Paris che vende al calabrese che offre una somma pari o superiore a quella del libanese è verosimilmente, come ho detto io stesso poco fa, influenzato in questa decisione da questa frase sibillina, eppure piena di significato: «A Reggio si vuole così».
  La posizione processuale degli imprenditori, che rappresenta uno dei punti più delicati del contrasto alle organizzazioni mafiose, non ha una risposta univoca. Lo stesso vale per quello che ha chiesto l'onorevole Vecchio a proposito delle imprese del nord che cercano la mafia in Sicilia o in Calabria.
  È un problema da esaminare caso per caso per vedere se c’è una consapevolezza dell'interlocutore e un calcolo di convenienza basato su un do ut des che possa far sì di ritenere, secondo le fattispecie, gli imprenditori concorrenti esterni nel reato di associazione mafiosa, o favoreggiatori nei casi meno gravi, ovvero, invece, pure vittime, cosa che non è assolutamente da escludere, specialmente laddove si tratta di piccoli imprenditori.
  La vicenda del titolare del Café de Paris ricorda alcune vicende milanesi in cui la procura di Milano ha incriminato, con o senza l'aggravante dell'articolo 7, per favoreggiamento, perché, dopo i fatti, sentiti come testimoni, questi imprenditori hanno negato di avere avuto richieste estorsive o simili.
  Nel nostro caso non è avvenuto questo, perché l'originario proprietario del Café de Paris, sentito, ha confermato quello che aveva raccontato il libanese, cioè la storia che abbiamo detto, e che è inutile ripetere. A giudizio sia della procura di Roma di allora, sia della procura di Reggio Calabria, di cui noi all'epoca avevamo la responsabilità – io avevo la responsabilità come procuratore – non c'erano gli elementi per procedere.
  Sul problema delle imprese sequestrate forse non mi sono espresso chiaramente. Secondo me, le imprese sequestrate è bene che vengano dichiarate fallite, o comunque che vengano poste in liquidazione, laddove siano mere lavanderie a fini di riciclaggio, cioè laddove non abbiano una vera e propria realtà economico-imprenditoriale e si limitino, da un lato, a fornire un apparente posto di lavoro a parenti o amici prestanome del mafioso che ne sia il reale proprietario e, dall'altro, a svolgere improbabili attività economiche che occultano e coprono una sostanziale attività di riciclaggio. Questo, per esempio, si riferisce a gran parte delle piccole imprese a carattere familiare in cui sono impiegati la moglie, il figlio, il nipote, il cugino del proprietario. Tentare di salvare queste Pag. 29imprese, secondo me, non solo è inutile, ma è dannoso, perché appunto si tratta di questo.
  Laddove, invece, le imprese hanno un substrato economico vero, ma sono in quel territorio che abbiamo definito per comodità grigio, secondo me bisogna cercare di salvarle. L'onorevole Vecchio sa meglio di me quanto in Sicilia, e non solo in Sicilia, si giochi lo slogan «La mafia dà lavoro e lo Stato lo toglie». Su questo bisogna combattere, combattendo quei fenomeni negativi, come le banche che, dopo aver concesso il credito senza problemi al mafioso, appena arriva l'amministratore giudiziario, lo revocano o vogliono garanzie improbabili, neutralizzando l'effetto negativo del fatto che l'amministratore giudiziario deve mettere in regola i lavoratori e deve pagare le tasse, mentre il fisco arriva e vuole pure pagati tutti gli arretrati che non aveva chiesto finché il mafioso era lì, magnificamente seduto al posto di comando.
  Queste sono questioni che la Commissione ha ovviamente chiarissime. C’è un lungo lavoro della Commissione precedente sul punto.
  Situazione diversa ancora, e su questo concordo con l'onorevole Vecchio, è che coloro che hanno avuto responsabilità direttive e direzionali nell'impresa – le melanzane sono un frutto siciliano che amiamo, ma parliamo di cose più significative – debbano essere posti quantomeno in condizioni di non nuocere sotto il piano imprenditoriale. Gli amministratori devono poter gestire l'impresa in modo leale e corretto e quantomeno a parità di condizioni. Non dico che debbano essere avvantaggiati, perché si creerebbero problemi probabilmente con le norme europee, ma quantomeno devono gestire a parità di condizioni, su un mercato che venga in questo modo ripulito.
  Anche dei protocolli di legalità parlerà il dottor Prestipino.
  Io mi permetto di chiudere ringraziando ancora la presidente e dicendo che effettivamente lei ha sintetizzato con l'espressione «modello Roma» la domanda che tutti noi ci facciamo e alla quale oggi non siamo in grado di dare una risposta.
  Ripeto, rispetto a due anni fa noi crediamo di aver potuto offrire alla Commissione – lasceremo le relazioni e i provvedimenti, ma la sintesi più o meno l'abbiamo fatta, seppure sommaria e affrettata – quello che è emerso. Sotto questo profilo noi abbiamo alcuni dati di fatto che ripeto molto rapidamente.
  Parliamo di Roma città. Si è sfatato il mito che non ci possa essere un'organizzazione mafiosa a Roma. Sarà a Ostia, ma Ostia è sempre Roma, non è una cosa diversa.
  Si è accertata la presenza di capitali mafiosi in senso classico in misura certamente significativa. Certo, se noi in due anni abbiamo sequestrato 700-800 milioni di euro e altre cifre significative le hanno sequestrate Napoli o Reggio Calabria per i meccanismi della competenza che dicevo prima, significa che queste sono punte di iceberg. Non abbiamo trovato tutto.
  Emerge quello che io ho volutamente richiamato, approfittando delle domande poste, per cui ringrazio, con l'esempio di Calò. Purtroppo, la storia della mafia e la nostra esperienza siciliana, oltre a quelle molto più brevi calabresi e romane, ci insegnano che ci sono cose che si ripetono, moduli che magari a distanza di decenni vengono a galla di nuovo.
  Quello che avevo detto nella premessa iniziale, a parte il fatto di essere arrivato da meno di due anni, è che quello che noi stiamo cercando di capire – lo ripeto ancora una volta – con spirito laico e senza certezze pregiudiziali è questo intreccio. A Roma non c’è un potere unico. Non è Palermo, sotto questo profilo, né tanto meno Reggio Calabria. Ci sono tanti poteri, tanti centri di interesse, tanti centri economici. Ovviamente, la gran parte è legale, ma ci sono quelli che sono illegali o che hanno la tentazione dell'illegalità.
  Certamente non siamo di fronte a qualcosa di uguale al fenomeno milanese. L'ho già detto: 25 locali in Lombardia non credo che li troveremo a Roma e dintorni e neanche al sud ci sono 25 locali. C’è una Pag. 30realtà economica diversa, come giustamente diceva la presidente, perché non c’è tanto un'impresa, quanto un'attività commerciale. Inoltre, ci sono anche tutte quelle attività dipendenti e in qualche modo intrecciate col pubblico.
  Lo spirito con cui noi cerchiamo (sottolineo ancora una volta, non solo la DDA, ma anche l'intera procura, nelle sue varie articolazioni) di lavorare – ripeto, abbiamo sequestrato, in quarantott'ore oltre 400 milioni di euro non di mafia, ma di altro tipo di illegalità. Sono cifre che a me sembrano enormi – il compito che ci siamo proposti, la sfida cui trovare una risposta consistono nel vedere se fra alcuni di questi centri di interesse, fra alcuni di questi poteri e la criminalità mafiosa, che abbiamo visto esserci anche a Roma, ci siano contatti e rapporti, in che misura, se penalmente rilevanti, se non penalmente rilevanti, ma significativi sotto altro profilo.
  Su questo, ripeto, non possiamo dare risposte astratte. Dobbiamo aspettare che ci siano le indagini e che le indagini abbiano dei risultati. Quei risultati li sottoporremo, secondo le regole del processo, che, peraltro, per fortuna, oggi consentono una pubblicità anche piuttosto rapida, non appena si raggiungono determinate fasi processuali, all'attenzione di tutti, in primis della Commissione antimafia.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Mi pare che il procuratore abbia già risposto su una questione che vorrei affrontare.
  Le indagini che sono state condotte – lo posso dire avendo partecipato all'esperienza calabrese negli ultimi cinque anni e sei mesi e adesso a Roma – e che hanno riguardato il territorio romano, sia quelle che ho seguito a Reggio Calabria, sia quelle che ho seguito ora da Roma, al momento (e qui la frasetta, in giuridichese, «allo stato», va sottolineata due volte), non hanno fatto emergere una situazione analoga o paragonabile a quella di altri territori del centro-nord, come l’hinterland milanese, il Piemonte, la Liguria. In tali territori vi sono già dati giudiziali oggetto di accertamento stabile sul fatto che ci sia una strutturazione delle organizzazioni, in particolare dell'organizzazione mafiosa della ’ndrangheta, in locali.
  Su Roma le indagini che io ho seguito e che noi abbiamo condotto, anche queste romane cui abbiamo fatto cenno, hanno evidenziato la presenza di nuclei e di componenti in collegamento strettissimo con la casa madre, con il territorio di origine dove è insediata storicamente l'organizzazione, il che però non significa ancora quella stabilizzazione della presenza mafiosa in termini di locale, con le sue regole e con i suoi rapporti funzionali con la casa madre.
  Questo ovviamente non significa che non ce ne siano. Dobbiamo probabilmente approfondire le indagini e aspettare che gli eventuali risultati ci consegnino una situazione forse diversa e, se diversa, in quale misura.
  Si chiedeva dei protocolli di legalità. Sono uno strumento – la mia esperienza mi induce questa osservazione – e, come tutti gli strumenti, sono neutri. Il problema è vedere come si utilizzano. Se i protocolli di legalità sono solo e semplicemente un dato formale, un dato cartaceo che serve a coprire determinate situazioni e a conferire una veste formale di legalità a situazioni che poi nella sostanza manifestano e comportano dati diversi, allora è certo che non assolvono alla funzione per la quale erano stati pensati.
  Come tutti gli strumenti, ovviamente, devono essere continuamente aggiornati e adattati alla realtà che devono disciplinare. L'esperienza concreta offre quotidianamente spunti e mette in evidenza punti di criticità che meritano, di volta in volta, interventi di aggiustamento. Il protocollo di legalità non è la Costituzione repubblicana, è uno strumento duttile, che deve essere adeguato alle diverse esigenze che di volta in volta vengono in evidenza. Se poi nella pratica diventa, come ha detto lei, un costo persino eccessivo per l'impresa, vuol dire che qualche cosa non funziona.Pag. 31
  Vorrei ora interloquire con l'onorevole Fava. Io ho un po’ di ritrosia, quando noi utilizziamo slogan o formule di sintesi. Per esempio – è una mia fissazione, sulla quale mi batto – tutti dicono «l'infiltrazione mafiosa» e parlano di infiltrazione mafiosa quando è ormai un dato accertato e asseverato che in Lombardia non c’è l'infiltrazione mafiosa: ci sono 25 locali di ’ndrangheta.
  Di fronte a 25 locali di ’ndrangheta, che comportano come minimo 49 componenti ciascuno, nonché anni e anni di presenza, di relazioni, di rapporti, e che determinano che, ogni volta che si attiva una microspia e si avvia un'indagine antimafia in Lombardia, immediatamente vengano coinvolti personaggi della politica, dell'amministrazione, degli apparati, dal presidente dell'azienda sanitaria di Pavia all'assessore che compra i voti rivolgendosi agli ’ndranghetisti – ovviamente, finché non abbiamo i processi definitivi, vale per tutti il principio di non colpevolezza, sottolineato due volte, ma fino adesso ci sono vagli giurisdizionali che determinano se un'indagine è fondata oppure no – quando siamo di fronte a tutte queste cose e io ancora sento il termine «infiltrazione», francamente dico che questa non è un'infiltrazione. È un'altra cosa. L'infiltrazione è quella che noi possiamo registrare in alcuni Paesi europei dove iniziano ad arrivare i segnali di presenze mafiose.
  Io parlavo dell'utilizzazione dell'espressione «quinta mafia», un'espressione estremamente suggestiva e anche bella, per la verità. Tuttavia, parlare di «quinta mafia» con riferimento a Roma e al Lazio implica un giudizio finale al quale, come diceva prima il procuratore, ancora noi dobbiamo certamente pervenire, anzi – lo dico in tutta franchezza e umiltà e perché mi piace restare aderente ai fatti – da cui siamo ben lontani.
  Parlare di quinta mafia significa che questa sarebbe una quinta mafia, come cosa nostra e la ’ndrangheta. Siamo già in presenza di un'organizzazione stabilizzata, con regole, vertici e strutture. Da un punto di vista dei fatti acquisiti possiamo dire che noi abbiamo certamente elementi che ci fanno pensare che ci sia forse più di un gruppo autoctono che si atteggia e che si è organizzato secondo schemi, metodologie, obiettivi e attività propri delle mafie. Sicuramente sono più di uno questi gruppi e il problema non riguarda solo Ostia, ma è tutto da esplorare il terreno delle interrelazioni tra questi gruppi, degli eventuali rapporti, dell'eventuale presenza di regole di interazione, di accordo e di simbiosi operativa.
  Io credo che noi questo lo dobbiamo tenere presente prima di arrivare a un giudizio conclusivo che implica una valutazione su tutti questi dati e che è senz'altro un passo in avanti.

  CLAUDIO FAVA. Mi permetta di interloquire un attimo. Io chiedevo se ci fosse una capacità emulativa, cioè se, a partire da quello che noi abbiamo, e che certamente non può essere definito una quinta mafia – abbiamo un gruppo autoctono – e alla luce della vostra esperienza, questo potesse diventare elemento prodromico di un consolidamento. È come se qualcuno dicesse: «Abbiamo scoperto che funziona. Possiamo immaginare di emulare questa organizzazione e di estenderla anche su altri territori». Lo pongo come rischio futuro.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma Certo. Sono le indagini e i dati che raccoglieremo nelle indagini che dovranno dirci se c’è questa tendenza, in che misura ci sarà e a quali risultati finali arriverà.
  Tornando al concetto dell'emulazione, io credo, proprio per esperienza – piace anche a me sottolinearlo; poi chiudo subito – che nel mondo criminale, soprattutto in quello mafioso, l'emulazione sia una molla molto forte, ossia una spinta molto forte ai comportamenti.
  L'onorevole Fava sicuramente lo ricorderà, da siciliano che si occupa di queste questioni da tantissimo tempo, io lo ricordo perché è un fatto che appare curioso, folcloristico, ma che, secondo me, la dice lunga: il 5 novembre del 2007, quando Pag. 32fu arrestato Salvatore Lo Piccolo, insieme a uno dei suoi figli, latitante, nei vari pizzini e appunti che furono sequestrati, molti dei quali erano di carattere operativo, importanti investigativamente, ce n'erano alcuni che avevano, secondo me, un'importanza non certamente investigativa, ma culturale, per capire, per comprendere.
  C'era un appunto del figlio di Lo Piccolo, giovanissimo rampollo di mafia, il quale copiava su un suo quadernino le citazioni non dei libri che leggeva, ma dei pizzini di Provenzano, le frasi che lo colpivano maggiormente. Lui le doveva usare quando scriveva, a sua volta, i pizzini, perché l'uso di quel frasario e di quella terminologia gli conferiva autorevolezza mafiosa.
  Questa è l'emulazione. L'emulazione comincia sul piano dei rapporti, degli atteggiamenti culturali, delle letture e poi porta molto avanti.

  PRESIDENTE. Abbiamo terminato. Vi ringraziamo e ci diamo appuntamento al più presto, quando il nostro lavoro sarà strutturato.

Comunicazioni della presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che la nostra missione a Palermo, prevista dal 17 al 19 febbraio prossimi, è stata rimandata ad altra data per la concomitanza con la votazione della legge elettorale e che l'Ufficio di presidenza previsto per oggi è rinviato a data da definire. Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 17.35.