XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Martedì 11 febbraio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata, Giovanni Fiandaca:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Visconti Costantino , membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Visconti Costantino , membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 10 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 11 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 11 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 12 
Visconti Costantino , membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Lumia Giuseppe  ... 13 
Visconti Costantino , membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 14 
Lumia Giuseppe  ... 14 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 16 
Garavini Laura (PD)  ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 17 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 18 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 19 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 20 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 20 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 21 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 22 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 22 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 22 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 23 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 23 
Bindi Rosy , Presidente ... 23 
Fava Claudio (SEL)  ... 24 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 24 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 24 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 24 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 24 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 24 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 24 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 25 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 25 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 25 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 25 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 25 
Bindi Rosy , Presidente ... 26 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 26 
Lumia Giuseppe  ... 26 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 26 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 27 
Fava Claudio (SEL)  ... 27 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 27 
Bindi Rosy , Presidente ... 27 
Mirabelli Franco  ... 27 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 27 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 28 
Mirabelli Franco  ... 29 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 29 
Mirabelli Franco  ... 29 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 29 
Mirabelli Franco  ... 29 
Lumia Giuseppe  ... 29 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 29 
Mirabelli Franco  ... 30 
Visconti Costantino , Membro della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 30 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 30 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 32 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 32 
Bindi Rosy , Presidente ... 32 
Lumia Giuseppe  ... 32 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 32 
Bindi Rosy , Presidente ... 33 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 33 
Bindi Rosy , Presidente ... 33 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 33 
Bindi Rosy , Presidente ... 33 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 33 
Lumia Giuseppe  ... 34 
Fiandaca Giovanni , presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata ... 35 
Bindi Rosy , Presidente ... 35

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 10.30.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata, Giovanni Fiandaca.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata, il professor Giovanni Fiandaca.
  La seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera. Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che se lo riterranno opportuno potranno chiedere che i lavori della Commissione proseguano in seduta segreta.
  Il professor Fiandaca è accompagnato dal professor Costantino Visconti, anch'egli docente di diritto penale e membro della medesima commissione.
  Cedo ora la parola al professor Fiandaca, che ringrazio per la sua presenza e che invito a illustrare le principali risultanze del lavoro della commissione da lui presieduta.
  Ricordo ai colleghi che la relazione conclusiva è stata recentemente depositata in Commissione antimafia dal Ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, in occasione della sua audizione che, come ricorderanno, è avvenuta lo scorso 30 gennaio.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Presidente, ringrazio a mia volta di essere stato invitato all'audizione di oggi per esporre innanzitutto, in sintesi e senza addentrarmi in un eccesso di tecnicismi, quali sono i risultati cui è pervenuta nel complesso la commissione ministeriale di studio e di proposta nominata dal ministro Cancellieri nel giugno scorso e che lei stessa mi ha incaricato di presiedere.
  La commissione è composta da docenti universitari, come il professore Alessandri, noto studioso di diritto penale dell'economia; da illustri magistrati, tra cui il procuratore di Roma Pignatone; e da alcuni prefetti di particolare competenza.
  Abbiamo presentato i lavori in un documento che ho fatto pervenire al ministero a metà gennaio. L'incarico ricevuto inizialmente era quello di elaborare proposte di modifiche normative, in relazione a punti della normativa antimafia che, come commissione, noi ritenessimo bisognosi o suscettibili di interventi correttivi nel breve tempo. Si era infatti rimasti d'accordo che in un'eventuale seconda fase Pag. 4dei lavori avremmo invece ipotizzato interventi modificativi di più ampio respiro.
  In commissione abbiamo svolto innanzitutto un'attività di ricognizione, per individuare le aree tematiche che si prestassero ad un intervento nell'ambito della prima fase dei lavori. Come era inevitabile, abbiamo preso in considerazione tematiche di cosiddetto «diritto penale sostanziale». Inoltre, considerato lo spazio che ha in questa materia, abbiamo dedicato ampia attenzione al sistema della prevenzione, nella duplice forma della cosiddetta «prevenzione giurisdizionale», di competenza della magistratura ordinaria, e della cosiddetta «prevenzione amministrativa», di competenza dei prefetti.
  Per quanto riguarda l'ambito del diritto penale sostanziale, abbiamo preso in considerazione tre aree tematiche. Innanzitutto abbiamo fatto una riflessione sul reato di associazione di tipo mafioso, per verificarne la persistente tenuta nella struttura attuale, considerando anche gli orientamenti che sono andati emergendo nella prassi. In seguito entrerò più nel dettaglio.
  La seconda area tematica oggetto di interesse, anche in considerazione dell'attualità del tema, è stato il reato di scambio elettorale politico-mafioso, di cui all'articolo 416-ter, considerato che le proposte attualmente in discussione al Parlamento – mi permetto di dirlo da studioso – non mi paiono del tutto soddisfacenti.
  Abbiamo poi considerato il tema importante, arduo e di attualità del cosiddetto «autoriciclaggio».
  Sinteticamente, per quanto riguarda la riflessione fatta sull'associazione di tipo mafioso, abbiamo preso in considerazione soprattutto le due più importanti problematiche che sono emerse nell'ambito degli ultimi tempi nella prassi applicativa.
  I magistrati, soprattutto al Nord, sono andati incontro a qualche problema interpretativo e applicativo rispetto da un lato alle organizzazioni criminali etniche e dall'altro alle organizzazioni criminali di nuovo insediamento, cioè organizzazioni che sono filiazioni di organizzazioni mafiose classiche residenti al Sud. Mi riferisco ad esempio alle filiali di organizzazioni come la ’ndrangheta che sono nate al Nord.
  Si è posto il problema, sia per le organizzazioni etniche sia per le cosiddette «organizzazioni di nuovo insediamento», di capire se si trattasse di organizzazioni capaci di sprigionare nell'ambiente circostante quella forza di intimidazione diffusa che rappresenta un elemento caratterizzante della struttura dell'organizzazione mafiosa. Non potendo sostenere che si trattasse di organizzazioni che allo stato sprigionavano un potere di intimidazione diffusa nell'ambiente circostante, i magistrati hanno avuto qualche problema applicativo.
  Ci siamo dunque chiesti se fosse il caso di ritoccare la struttura dell'articolo 416-bis, cercando di rimediare a questo problema, integrando la definizione del reato di associazione di tipo mafioso con qualche requisito, per sottrazione o per aggiunta. Si tratta di un problema molto complicato, perché si rischia di dover toccare l'articolo 416-bis e di essere anche male interpretati, soprattutto nel dibattito politico corrente.
  Abbiamo ritenuto che fosse più ragionevole soprassedere, in attesa che il problema venga meglio elaborato a livello giurisprudenziale. Abbiamo quindi deciso di affidarci per il momento ad un'ulteriore elaborazione giurisprudenziale, rimandando al futuro la scelta di ritoccare o meno normativamente la struttura dell'articolo 416-bis, per ragioni di prudenza e per evitare l'esplosione di un dibattito politico improprio, come non di rado accade su questi temi.
  In secondo luogo, abbiamo suggerito una modifica dell'articolo 416-ter sullo scambio elettorale politico-mafioso, che consente, a nostro avviso, di ampliarne l'ambito di applicazione e potenziarne l'efficienza repressiva, inserendo al tempo stesso qualche elemento garantistico in controbilanciamento. Se nel modificare l'articolo 416-ter ci si limita ad aggiungere al «danaro» l'espressione «qualunque altra utilità», mantenendone immodificata, Pag. 5per il resto, la struttura, c’è il rischio che questa fattispecie si presti ad applicazioni eccessivamente estensive.
  Né mi piace il termine «procacciamento» inserito in una delle proposte in discussione al Parlamento, perché si tratta di un elemento che sembra presupporre la prova dell'effettivo ottenimento dei voti. Da un lato si allarga e dall'altro si restringe eccessivamente, comportando un'enorme difficoltà di prova.
  Noi proponiamo una soluzione di compromesso, nel senso che non richiediamo che l'associazione promittente procacci voti, ma solo che si adoperi a questo scopo. Questo adoperarsi non presuppone la prova dell'effettivo procacciamento, però presuppone che si accerti che l'associazione non si è limitata a un'ipotetica semplice promessa labiale, ma ha tentato di fare qualcosa per sostenere il candidato. È discutibile come tutte le proposte, però, a nostro avviso, questo modello di soluzione può rappresentare un equilibrato compromesso.
  L'autoriciclaggio è un problema di particolare complessità politico-criminale e tecnico-giuridica. In realtà, lavorandoci in commissione e dedicandovi sufficiente spazio e tempo, abbiamo avuto la riprova, un po’ tormentosamente, che dei modelli di soluzione del problema astrattamente possibili nessuno è veramente soddisfacente al 100 per cento. Ciascuno dei modelli di soluzione adottati presta il fianco a diverse obiezioni, per cui si tratta sempre di bilanciare costi e benefici di ciascuno dei modelli da porre a confronto.
  Non entro molto nelle tecnicalità perché sarebbe complicato, però voglio dire che non è vero, come si dice nella polemica politica corrente, che l'Italia è l'unico tra i Paesi moderni che a tutt'oggi non ha previsto espressamente la punibilità dell'autoriciclaggio, presente in tutti gli ordinamenti. A livello di indagine comparatistica le cose non sono così semplici come si dice. In realtà, anche nell'ambito degli ordinamenti in cui l'autoriciclaggio è espressamente punibile si pongono problemi interpretativi e applicativi molto seri.
  La difficoltà nasce soprattutto dal fatto che nel nostro ordinamento il riciclaggio è punito con una pena particolarmente elevata (da quattro a dodici anni), che è la pena più rigorosa di tutti gli ordinamenti europei. È questo il dato che rende ardua l'introduzione della punibilità dell'autoriciclaggio, perché c’è il rischio che, considerando la pena per l'autoriciclaggio e la pena per il reato presupposto, l'autore di entrambi i reati vada incontro a eccessi sanzionatori ingiustificati. Il discorso è più complicato di quanto una certa vulgata politico-giornalistica faccia sembrare.
  Per risolvere questo problema ci sono diverse modalità tecniche. La commissione da me presieduta ha prospettato a maggioranza un modello di soluzione che prevede una pena differenziata, cioè più mite, per l'autoriciclatore autore del reato presupposto. Questa pena va dai tre ai sei anni.
  Per evitare che i concorrenti dell'autoriciclatore possano beneficiare ingiustificatamente della pena più bassa prevista per lo stesso, abbiamo prospettato che gli eventuali concorrenti nel reato siano soggetti alla pena generale prevista per il riciclaggio, che va da quattro a dodici anni. Si tratta di un modello di soluzione già presente, per esempio, per l'infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale. Per la madre autrice dell'infanticidio si prevede infatti una pena più bassa rispetto a quella prevista per gli eventuali concorrenti.
  Ci sono altri modelli di soluzione. In teoria si potrebbero introdurre anche specifiche cause di non punibilità per l'autoriciclatore in presenza di determinati presupposti, sui quali non mi dilungo, secondo una proposta di minoranza che è riportata nel documento che ho presentato al ministero.
  So che ci sono proposte in elaborazione anche nell'ambito del gruppo di lavoro istituito presso la Presidenza del Consiglio e presieduto dal consigliere Roberto Garofoli, con il quale mi sono incontrato ieri. Probabilmente i componenti della mia commissione e i componenti del gruppo di Pag. 6Garofoli continueremo a interloquire per perfezionare un'ipotesi di disciplina dell'autoriciclaggio.
  Con questo tema chiudo la panoramica sul versante del diritto penale sostanziale e passo al sistema della prevenzione. Dico subito che in materia di criminalità mafiosa io continuo ad attribuire maggiori chances di successo all'intervento preventivo che non al sistema penale in senso stretto.
  Voglio dire – e con questo concludo il discorso sull'autoriciclaggio – che anche se, come è opportuno, si introduce una norma che punisce espressamente l'autoriciclaggio, è realisticamente da ritenere che l'introduzione di questa norma non sarà uno strumento magico che varrà a potenziare in maniera significativa la repressione penale dei fenomeni di riciclaggio.
  Infatti, se si piglia atto che finora, nel corso di un ventennio di applicazione giurisprudenziale, le fattispecie di riciclaggio hanno avuto un impatto nella prassi molto insoddisfacente e molto limitato, io credo che questo risultato si spieghi, piuttosto che con insufficienze nelle formulazioni normative in se stesse considerate, con la complessità delle indagini in materia di riciclaggio, per cui i fenomeni più rilevanti sfuggono, mentre cadono nella rete giudiziaria fatti di importanza secondaria.
  Mi permetto di avanzare l'ipotesi che l'insufficiente repressione giudiziaria dei fenomeni di riciclaggio dipende anche da un'insufficiente preparazione tecnica dei magistrati. Non lo dico polemicamente né per muovere accuse ingiustificate. C’è un problema grosso di formazione anche in materia economico-finanziaria dei magistrati. Come sempre, il problema non è soltanto di formulazione normativa in astratto, ma è più complesso.
  Passiamo al sistema della prevenzione che, come è noto, almeno nel nostro Paese, ha finora rappresentato lo strumento più efficace di intervento, quantomeno rispetto all'ablazione patrimoniale della criminalità organizzata. È ovvio che nel parlare di prevenzione intendo fare riferimento soprattutto alla prevenzione patrimoniale.
  Come è noto, per effetto delle recenti riforme, l'ambito di applicabilità del sequestro e della confisca dei patrimoni di provenienza illecita è stato esteso aldilà del settore della criminalità mafiosa. Per esempio, possono essere fatti oggetto di sequestro e confisca anche i patrimoni facenti capo ad autori di reati di corruzione o di reati contro la pubblica amministrazione.
  Mi risulta che questo ha destato e continua a suscitare un certo allarme, anche in settori qualificati della cultura e della dottrina penalistiche. Per «settori qualificati» non intendo soltanto i soggetti preventivamente interessati a difendere forme di criminalità. Faccio riferimento anche a studiosi e professionisti qualificati di tutto rispetto, che hanno a cuore l'anima dell'ordinamento giuridico e dell'ordinamento penale. Ci dovremmo sempre sforzare di realizzare un equilibrato bilanciamento tra esigenze repressive ed esigenze garantistiche. È facile a dirsi a parole, ma è difficilissimo trovare il punto di equilibrio.
  Io sono convinto che, proprio per evitare che una futura applicazione allarmante di misure patrimoniali nei confronti di autori di reato non mafiosi possa suscitare una preoccupazione tale da rialimentare improprie campagne garantistiche contro il sistema della prevenzione, oggi ci si dovrebbe preoccupare di potenziare un po’ la dimensione garantistica del procedimento di prevenzione. Ciò potrebbe avere un effetto preventivo rispetto a queste campagne di aggressione critica.
  Peraltro, come sappiamo, incombe la prospettiva europea. Non c’è bisogno di essere giuristi per sapere che lo strumento delle misure di prevenzione è una peculiarità storico-normativa italiana. Le misure di prevenzione non sono presenti in altri ordinamenti e sono guardate senza particolare favore, anzi con una certa diffidenza.
  C’è un problema serio di compatibilità con i principi della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU). La CEDU finora Pag. 7ha compiuto operazioni di salvataggio, però non è detto che in prospettiva, evolvendo la giurisprudenza della CEDU stessa, i problemi relativi alle misure di prevenzione non crescano.
  Anche per questa ragione, per ottenere una legittimazione maggiore in prospettiva per le misure di prevenzione, io riterrei opportuno apportare qualche aggiustamento garantistico. Si tratterà poi di trovare il punto di compromesso e di sottrarsi alle critiche dei pubblici ministeri.
  Io ritengo che la politica debba compiere le sue scelte di mediazione. Nessuno ha il diritto all'ultima parola, né i pubblici ministeri né il fronte della dottrina o degli avvocati. La politica dovrebbe riuscire a operare una sintesi equilibrata di tutte le istanze in campo, pigliandosi la responsabilità delle decisioni anche in materia politico-criminale, senza spaventarsi troppo se un pubblico ministero afferma che c’è troppa garanzia, ma cercando di studiare il problema.
  Nell'ambito delle proposte fatte dalla commissione, alcune hanno appunto l'obiettivo di integrare la disciplina vigente, anche quella risultante dal cosiddetto «Codice antimafia». Il cosiddetto «Codice antimafia» rappresenta una consolidazione normativa o un testo unico che ha avuto più la funzione di riordinare in un unico testo materiali normativi sparsi che non quello di innovare in profondità la disciplina preesistente. Come sappiamo, le innovazioni più rilevanti sono state introdotte dai pacchetti sicurezza del 2008 e del 2009. Tanta enfasi posta sul Codice antimafia a livello politico era più giustificata per l'opera di riordino normativo compiuta che non per le innovazioni di sostanza apportate. Proprio perché innovazioni di sostanza non ce ne sono state, alcuni interventi integrativi sono opportuni.
  Nel tentativo di avvicinare il procedimento di prevenzione al rispetto dei principi di quello che noi potremmo definire «un giusto processo al patrimonio», la commissione da me presieduta ha fatto qualche proposta. Tra le proposte c’è, per esempio, quella di introdurre nel momento in cui si comunica a un determinato soggetto di essere proposto per l'applicazione delle misure di prevenzione qualcosa di simile alla citazione in giudizio, cosa oggi non prevista. Per esempio, si potrebbe dare un'indicazione dei fatti che stanno alla base della proposta. Finora si informava il soggetto di essere proposto per una misura di prevenzione, senza rivelare la motivazione. Ora invece si prevede un'indicazione dei fatti che stanno alla base. Mi pare che sia una cosa molto civile e non sconvolgente.
  Tra le proposte che formuliamo, auspichiamo che sia prevista espressamente la possibilità di ricorrere in Cassazione per mancanza o insufficienza della motivazione, mentre oggi si può ricorrere in Cassazione solo per violazione di legge.
  Io mi fermo qui, altrimenti entrerei in un ambito tecnicamente più complicato. Vorrei però mettere in evidenza quali sono a nostro giudizio le proposte più significative, anche in relazione alle questioni oggi sul tappeto in termini di attualità. Abbiamo rivolto in questo senso particolare attenzione al nodo mafia e imprese. Uso la parola «mafia» come termine generico di sintesi, che ricomprende tutte le tipologie di organizzazione criminale di stampo mafioso. Non ho bisogno di spiegare quali sono le ragioni per cui abbiamo ritenuto questo nodo di centrale importanza.
  Per quanto riguarda l'applicazione delle misure patrimoniali antimafia, come è noto, sono oggetto di sequestro e confisca non solo i beni in senso stretto, ma anche le aziende. Storicamente l'applicazione delle misure patrimoniali nei confronti delle aziende ha avuto un'evoluzione a macchia di leopardo, nel senso che non è avvenuta in tutti i contesti territoriali del nostro Paese.
  Tuttavia, da un po’ di tempo a questa parte, è andata incrementatosi la tendenza degli uffici giudiziari del Nord a fare uso di misure di prevenzione patrimoniale, quale inevitabile riflesso del fatto che le organizzazioni criminali, come è noto, sono andate espandendosi nel Nord, dove Pag. 8nel corso degli anni hanno finito per condizionare il funzionamento di non poche imprese.
  Nel guardare a questo problema, noi abbiamo ritenuto di sdoppiare la prospettiva visuale a seconda che il punto di riferimento sia un'impresa che possiamo definire mafiosa o collusa in senso stretto ovvero un'impresa «contaminata» (prendo in prestito un aggettivo usato dal professor Visconti in un suo recente saggio). Per «impresa contaminata» si intende un'impresa infiltrata soltanto in maniera parziale o occasionale dalle organizzazioni criminali. Si distingue dalle impresse colluse o mafiose in senso stretto, che nascono geneticamente in ambiente criminale, sono frutto di riciclaggio e sono totalmente sotto il controllo delle organizzazioni criminali.
  Rispetto alle imprese mafiose in senso stretto il paradigma sequestratorio e confiscatorio è valso, e a nostro avviso vale tutt'oggi, come strumento tipico d'intervento, perché queste imprese meritano di essere confiscate ed eliminate dal mercato. Invece, per quanto riguarda le imprese infiltrate solo in parte dalle organizzazioni, tanto più se in maniera occasionale, riteniamo che, a certe condizioni da verificare, il ricorso al sequestro e alla confisca possa essere eccessivamente penalizzante.
  In questa direzione, noi abbiamo ritenuto che fosse opportuno potenziare gli strumenti esistenti e concepirne di nuovi, volti a favorire il disinquinamento delle imprese curabili, con un intervento meno a carattere chirurgico (come quelli ablativi del sequestro o della confisca) e più a carattere terapeutico-riabilitativo. Con questa metafora, ci riferiamo a misure capaci di curare e guidare l'impresa in modo da riportarla ad un funzionamento secondo una normale logica di mercato.
  Io ho la presunzione di ritenere che la parte più significativa delle proposte elaborate in questo campo riguardi una proposta di riscrittura dell'istituto che viene definito «amministrazione giudiziaria», previsto dall'attuale articolo 34 del Codice antimafia. Questa misura nacque come «sospensione dell'amministrazione dei beni», prevista dall'articolo 3-quater e 3-quinquies della legge n. 575 del 1965, poi ridenominata «amministrazione giudiziaria» dal Codice antimafia.
  Noi proponiamo una riscrittura che elimini alcune ambiguità nei presupposti di applicabilità di questo istituto, che ne hanno reso difficoltosa e finora insoddisfacente l'applicazione pratica. In questo orizzonte di revisione dell'amministrazione giudiziaria prevediamo all'articolo 34-bis l'istituzione di una nuova forma di controllo giudiziario, che sarebbe a nostro avviso la misura più idonea a essere applicata, perché meno invasiva rispetto alle imprese che abbiano caratteristiche tali da poter essere ragionevolmente recuperate e riabilitate.
  Nel proporre questa modifica abbiamo esteso il nostro sguardo a un ulteriore problema, che sorge per le imprese che operano nell'ambito dei lavori pubblici e degli appalti pubblici. Abbiamo esteso la nostra attenzione alla cosiddetta «prevenzione amministrativa», cioè ai provvedimenti interdittivi emanati dai perfetti, che a volte, come alcuni casi emersi nella prassi mettono in evidenza, diventano provvedimenti indefinitivamente interdittivi, che impediscono a determinate imprese di continuare a lavorare o di avere nuove commesse nell'ambito dei lavori pubblici, senza che questo sia giustificato.
  Per queste imprese abbiamo previsto che se l'imprenditore che diventa punto di riferimento di un provvedimento interdittivo chiede di sua iniziativa il controllo giudiziario e al tempo stesso compie sforzi organizzativi all'interno dell'impresa, adottando modelli organizzativi a finalità preventive, aventi come obiettivo il disinquinamento, tutto questo dovrebbe essere valutato dai prefetti per una revisione del giudizio interdittivo precedentemente emanato, per liberare l'impresa.
  Su questi punti chiederei al professor Visconti di entrare più nel dettaglio. Io mi fermerei qui.

  PRESIDENTE. Prima di passare la parola al professor Visconti per questo approfondimento, approfitto subito per fare una domanda.Pag. 9
  Avete previsto anche una modalità e una formula simile per i comuni in cui la commissione d'accesso prevede un eventuale rischio, per evitare di arrivare allo scioglimento qualora siano disponibili ad essere accompagnati ? Mi è venuto subito in mente il parallelismo.

  COSTANTINO VISCONTI, membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Rispondo io, presidente. È molto interessante. Non l'abbiamo previsto, anche perché la nostra commissione ha selezionato i temi di cui occuparsi e ha ritenuto di non trattare lo scioglimento dei consigli comunali, sapendo anche che la task force della Presidenza del Consiglio si occupava di questa materia.
  Comunque, presidente, la ringrazio, perché mi pare di capire che lei abbia colto lo spirito della nostra proposta sulle aziende. C’è stato un confronto serrato nella nostra commissione, che è stato molto prezioso, perché ha messo insieme vari studiosi. Noi siamo gli ultimi esponenti di una razza rarissima: gli studiosi a tempo pieno. Ci occupiamo soltanto di questo e parliamo in base alle nostre ricerche. Non abbiamo altra autorevolezza se non quella derivante dagli studi che compiamo.
  Abbiamo messo a confronti gli studi che abbiamo condotto con l'esperienza straordinaria dei magistrati e dei prefetti presenti in commissione. Mi permetta di soffermarmi su questo punto, a cui tengo, perché è stata una novità. Questa commissione ci ha consentito di mettere assieme mondi diversi: magistratura giudicante; magistratura di legittimità; pubblici ministeri di altissimo profilo, come il procuratore di Roma; prefetti; il direttore degli affari legislativi del ministero; e infine noi, esponenti della sedicente dottrina.
  Questo ci ha consentito di mettere in comunicazione saperi e sensibilità diverse in un unico frullatore. Il prodotto è figlio di questa combinazione. Da questa combinazione è venuta fuori l'idea che il nostro sistema sulla questione del nodo mafia-imprese è sostanzialmente scoperto. Questo è un paradosso.
  Da vent'anni a questa parte abbiamo dei risultati straordinari, che inviterei tutti a non sottovalutare proprio in questo momento. Mentre si dice, anche in luoghi ufficiali, che ci sono delle opacità in questo settore, io inviterei a vedere anche le luci del settore. Quando si sottolineano le opacità, anche in maniera indiretta, si mette in discussione l'operato di persone coraggiose che, lontano dai riflettori, in questo momento stanno lavorando in zone difficilissime del nostro Paese, per mettere il dito sul tallone di Achille (come diceva Giovanni Falcone) dell'organizzazione mafiosa, che è il denaro.
  Io mi permetto, da cittadino e anche da studioso, di usare tutta la ponderazione e la prudenza del caso per affrontare un tema che potrebbe avere ricadute immediate sulla tranquillità del lavoro di alcuni investigatori e di alcuni magistrati che in questo momento stanno lavorando sul territorio nazionale per colpire l'organizzazione mafiosa nel punto più importante.
  Come dicevo, paradossalmente c’è una scopertura del nostro sistema su questo versante. Noi ci siamo resi conto che una grande fetta di esperienza ci racconta di strumenti di prevenzione, quali il sequestro e la confisca, utilizzati non del tutto propriamente.
  Succede che quando un investigatore fotografa una situazione di commistione di interessi non meglio precisata, di cui la matrice non è facilmente afferrabile, ha un unico strumento, che è quello del sequestro. Egli va dal giudice e chiede il sequestro. Questo significa che se quella commistione di interessi non ha alle spalle una situazione che integra i requisiti del sequestro, e cioè che l'azienda sia frutto di proventi illeciti, il sequestro dura tanto tempo e la confisca pure, ma alla fine probabilmente noi abbiamo distrutto Pag. 10un'azienda e non abbiamo neanche incamerato la confisca, perché magari i presupposti non erano quelli.
  Noi abbiamo cercato di intervenire su questo segmento. Con il controllo giudiziario, insieme all'amministrazione giudiziaria, si fornisce al sistema uno strumento più flessibile e più duttile, che consente alla magistratura di entrare dentro questa commistione di interessi e di analizzarla meglio, con una presenza meno invasiva del sequestro, che invece blocca tutta l'azienda e la consegna all'amministratore giudiziario.
  Nel caso dell'amministrazione giudiziaria (articolo 34) si tratta di un sequestro dimidiato. Concretamente, io sospendo l'attività dell'assemblea dei soci di una grande società, mi sostituisco ad essa e controllo l'operato del consiglio di amministrazione, o viceversa sospendo il consiglio di amministrazione, all'interno del quale metto i miei uomini, ma lascio l'assemblea dei soci, perché ritengo che la proprietà non sia intaccata da questa commistione d'interessi e c’è soltanto un problema gestionale. Le soluzioni possono essere variabili. Quella che ho illustrato è l'amministrazione giudiziaria ex articolo 34 (l'attuale e il nuovo che noi proponiamo). Rimane quindi l'istituto dell'amministrazione giudiziaria. Il presupposto è un'agevolazione sostanzialmente duratura.
  Pensiamo a dei casi che l'esperienza ci ha riportato riguardanti grandi complessi imprenditoriali. Penso alla Salerno-Reggio Calabria o in ipotesi (perché non ho elementi, grazie a Dio) all'Expo. Se ci si accorge che alcune forniture ripetutamente si rivolgono a un certo mondo e che c’è un'agevolazione oggettiva, non è necessario riscontrare elementi dolosi di agevolazione. Si prende atto di un'agevolazione duratura di interessi mafiosi e allora si interviene, ma in maniera flessibile e non invasiva, con lo strumento dell'amministrazione giudiziaria, che non va confusa con il sequestro. Mi riferisco all'articolo 34 attuale e anche futuro (da questo punto di vista c’è continuità tra la nostra proposta e quella precedente).
  Se invece si riscontra un'agevolazione che noi definiamo «episodica», relativamente a una singola fornitura o a un singolo appalto, unita a un requisito di pericolosità concreta di una contiguità che può essere dovuta a un direttore dei cantieri che non fa solo gli interessi dell'azienda, ma anche quelli di qualche organizzazione criminale, allora abbiamo uno strumento ancora più flessibile, che è il controllo giudiziario.
  Il tribunale non sequestra l'azienda e neanche la pone in amministrazione giudiziaria, ma dispone il commissariamento giudiziale. Un professionista di elevata professionalità e competenza viene immesso nel ciclo decisionale dell'azienda, con tutti i diritti del consigliere di amministrazione o anche del componente della proprietà. Ciò significa che può partecipare al consiglio di amministrazione e all'assemblea dei soci. Noi l'abbiamo chiamata «vigilanza prescrittiva». Questo professionista può dare delle indicazioni, di concerto con il giudice delegato, per togliere l'azienda da quella situazione. Ad esempio, può indicare che c’è un direttore che non funziona e che va licenziato oppure che non c’è un modello di organizzazione efficiente che consente di prevenire le infiltrazioni. Questo è un altro aspetto purtroppo molto trascurato dal sistema delle imprese.
  Il tribunale da questo punto di vista si limita a vigilare. Ovvio è che se dovessero emergere elementi ulteriori si passerebbe ad altro, ossia agli strumenti chirurgici. Invece, se si accerta che, una volta eliminato il problema, l'azienda può ripartire, la si lascia nel mercato, però munita di antidoti organizzati e concertati con l'autorità giudiziaria.
  Spero di aver illustrato questo sistema nella maniera più semplice possibile. Non bisogna esagerare con i tecnicismi, quando ci si intende sui contenuti. I giuristi amano trincerarsi dietro ai tecnicismi per nascondere decisioni.

  PRESIDENTE. Lo sappiamo bene.

  COSTANTINO VISCONTI, membro della commissione istituita presso il Ministero Pag. 11della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Lei è una giurista, infatti. Fa parte della categoria, presidente.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. I giuristi sarebbero notoriamente dei cattivi...

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Mi permetto di suggerirvi di diffidare di quelli che vi dicono che c’è un problema tecnico. C’è sempre un problema politico, nel senso più alto del termine di una decisione che bisogna prendere su come orientarsi. La tecnica viene dopo e si trova.
  L'altro aspetto che per noi è motivo di orgoglio è che siamo riusciti a mettere questo sistema in collegamento con l'altro mondo della prevenzione amministrativa. Fotografiamo il problema, anche questo rilevato dopo due anni di faticosa ricerca condotta dal nostro dipartimento.
  I giuristi di queste cose di solito non capiscono moltissimo e i penalisti ancora di meno. Per capirne di questo mondo, si deve avere un gruppo di analisi integrato tra penalisti, amministrativisti e anche aziendalisti. Nel nostro dipartimento all'Università di Palermo, noi abbiamo la fortuna, nella nostra povertà, di avere un gruppo integrato e ci avvaliamo di queste truppe, sempre un po’ malconce, però ancora esistenti, di tempopienisti. È una grande fortuna avere dei tempopienisti che guadagnano poco, però si dedicano soltanto a questo.
  Noi abbiamo affrontato il tema delle interdittive e abbiamo fotografato questo problema. L'interdittiva è uno strumento straordinario, di cui si è dotato il nostro sistema negli ultimi vent'anni. Come saprete, il prefetto interviene in via anticipata. Il presupposto dell'emissione dell'interdittiva è il pericolo di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte dell'azienda. Questo strumento ha consentito al nostro sistema di stoppare forme di infiltrazione ancora in stato germinale.
  Nella prassi, si è posto il problema che, una volta intervenuto il sistema attraverso queste interdittive, queste imprese, piccole e grandi, sono spesso state lasciate a se stesse. Il nostro sistema blocca l'impresa e le impone di togliersi dai lavori pubblici, perché c’è un'infiltrazione o un tentativo d'infiltrazione, però poi non dice più nulla. Gran parte di queste imprese non sono poi aggredite dall'autorità giudiziaria sul versante della prevenzione giurisdizionale, ma rimangono in un limbo in cui non si è mafioso, non si è antimafioso, ma si è un'impresa che ha subìto un tentativo di infiltrazione. L'attività dell'impresa va per aria, perché il sistema bancario ritira i crediti e l'impresa non può contrattare più con la pubblica amministrazione. È una situazione veramente difficile.
  Noi abbiamo pensato che se un'impresa ha subìto un'interdittiva e c’è un interesse pubblico alla continuazione dei lavori, se l'impresa vuole riprendere in mano la situazione ha tre strade. La prima strada è l'impugnazione, con i TAR che non capiscono di cosa si tratta. È una strada infernale, che io considero mortale per tutti: per le imprese, per i TAR e per i prefetti. L'opera comunque si blocca e l'interesse pubblico finisce.
  Abbiamo congegnato una seconda strada. Se un'impresa ha avuto un problema, che sta alla base di un'interdittiva, ma non è un problema grossissimo di complicità col sistema del malaffare, su propria istanza l'impresa stessa può chiedere al tribunale della prevenzione competente di disporre nei suoi confronti il controllo giudiziario, cioè quella forma attenuata di cui vi abbiamo parlato. In altre parole, l'impresa che ha subìto l'interdittiva va in tribunale a chiedere che le sia applicato il controllo giudiziario, ossia che le sia mandato un commissario giudiziario in azienda, che ne verifichi il Pag. 12funzionamento dal di dentro e con una vigilanza prescrittiva le dica cosa deve fare.
  Se l'impresa fa questo e il tribunale dispone un provvedimento, l'interdittiva sospende immediatamente gli effetti, perché l'interesse pubblico è la continuazione dei lavori e il tribunale, attraverso un esperto, sta dentro l'azienda. Quindi continuano i lavori e poi si vede. Secondo noi l'elemento più innovativo è che questa strada mette in collegamento in maniera virtuosa sistemi che per adesso non dialogano: il sistema della prevenzione giurisdizionale e il sistema della prevenzione amministrativa.
  Una terza strada su cui noi interveniamo è quella a monte dell'interdittiva. Noi seguiamo due o tre piste in giro per l'Italia di grosse aziende che hanno a che fare con lavori pubblici. Ci siamo accorti che questa interdittiva spesso nasce nel deserto, cioè senza neanche un tentativo di dialogo con l'impresa, perché attualmente il Codice antimafia considera facoltativo l'istituto dell'audizione della parte interessata. L'interdittiva per il prefetto è un carico di responsabilità e di lavoro, e quindi molto spesso i prefetti evitano di fare l'audizione. Noi invece la prevediamo come obbligatoria, perché riteniamo – e abbiamo degli elementi empirici sul territorio che lo dimostrano – che spesso la previa audizione dell'impresa da parte del prefetto ha consentito al prefetto stesso di chiarire lo sfondo e anche di registrare una disponibilità dell'impresa a risolvere quei problemi. La prima soluzione è quindi ascoltare l'impresa e poi eventualmente mettere l'interdittiva.
  Il secondo intervento è l'istanza di aggiornamento o revisione, che è un po’ la questione che dicevo prima. Dopo l'interdittiva le imprese sono senza armi. L'istanza di aggiornamento prevede che l'impresa richiede al prefetto di verificare se il pericolo alla base dell'interdittiva sussiste ancora. La risposta del prefetto è facoltativa. Il prefetto può dire che si è sforzato ad assumersi la responsabilità dell'interdittiva e non vuole assumersi la responsabilità di rivederla. Allora noi prevediamo un'istanza di aggiornamento.
  Abbiamo avuto dei colloqui molto preziosi con i prefetti che lavorano seriamente sul territorio, che ci dicono che c’è il problema di rispondere. Le norme non impongono loro di rispondere e il sistema non dà loro dei parametri, per cui si chiedono come fare per assumersi questa responsabilità. Nel pacchetto noi diciamo che l'istanza di aggiornamento va presentata, però va documentata, cioè l'impresa deve mostrare che cosa ha fatto.
  Ritorniamo sul punto spesso trascurato dal mondo dell'impresa e anche dal sistema giudiziario: i modelli di organizzazione ex 231 sono uno strumento fondamentale. Per adesso sono cartacei, si comprano a 3.000 euro sul mercato, si scaricano da internet e si appiccicano a una società. Questo non va bene. Il modello di organizzazione significa che le aziende si devono sottoporre a un autocontrollo. È importante che le imprese mettano in moto meccanismi di autocontrollo e di conoscenza dei propri processi. Le aziende spesso conoscono i processi produttivi, ma non conoscono i propri processi decisionali nelle relazioni col mondo esterno. Si devono mappare, conoscere e poi studiare questi processi.
  Noi diciamo che l'istanza di aggiornamento va documentata con l'attività che l'impresa ha compiuto dopo l'interdittiva per mettersi a posto. Il prefetto a questo punto ha l'obbligo di rispondere.
  L'altra obiezione che ci fa qualche prefetto è che non hanno gli strumenti per accertare. Noi diamo ai prefetti gli strumenti, cioè la possibilità di avvalersi del gruppo interforze, di cui si avvalgono già per fare gli accessi ai cantieri, per vedere se l'istanza di aggiornamento è fondata.
  Riassumo e chiudo, perché sto parlando più del mio maestro e questo costituirebbe una violazione disciplinare molto grave.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità Pag. 13organizzata. Non c’è nessuna controindicazione di carattere istituzionale.

  COSTANTINO VISCONTI, membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. A parte gli scherzi, riassumendo ci sono tre soluzioni. Nel caso del controllo giudiziario, l'azienda va dal tribunale della prevenzione e chiede spontaneamente che gli sia applicato il controllo giudiziario e che gli sia mandato il commissario giudiziale. Secondo me le imprese, soprattutto quelle sane, ne sarebbero felici, perché non subiscono lo spossessamento gestorio, che è traumatico, ma hanno un commissario esperto al loro interno, che le aiuta a risolvere il problema.
  La seconda soluzione è l'istanza di aggiornamento regimentata. L'azienda sa cosa deve fare per mettersi a posto e il prefetto ha i poteri e i parametri per revocare l'interdittiva.
  La terza strada, che vorrei continuare a escludere, è quella del ricorso amministrativo, che è quella più dannosa. Su questo punto abbiamo pensato a un sistema del genere grazie a una bella idea del prefetto Frattasi, che ha lavorato con noi nella commissione. L'idea era di far leva sulla spontanea attività dell'azienda.
  Tuttavia, secondo me, l'idea del ministero è molto limitata, rivolgendosi solo ad aziende con più di 80 dipendenti. Il nostro Paese non è fatto di aziende con più di 80 dipendenti. Questo provvedimento fotograferebbe solo alcune grandi aziende. Chi è meridionale come me sa che, soprattutto da Roma in giù ma non solo, le aziende che ruotano attorno ai lavori pubblici spesso hanno una media di 40-50 dipendenti, o anche meno. Nella filiera si trova anche l'azienda di cinque dipendenti, che è un'azienda vera, ma è piccola.
  Secondo me un provvedimento di quel tipo, limitato soltanto alle grandi aziende, per certi versi sarebbe addirittura incostituzionale e non efficace sul piano politico, economico e sociale, perché fotograferebbe solo due o tre situazioni. Comunque l'idea l'abbiamo presa da lì. Questa è una generalizzazione dell'idea che è maturata dentro il Ministero dell'interno.

  PRESIDENTE. Grazie. Io, come sapete, sono una sostenitrice del tempo pieno. Abbiamo avuto una prova che chi studia all'università ha un rapporto con la realtà spesso superiore a chi accampa la necessità di svolgere una libera professione per poter essere in grado di capire la realtà e poi riportarla negli studi.
  Da ex piccola ricercatrice ed essendomi cimentata sul problema del tempo pieno in altri settori, mi pare di poter dire che dalla chiarezza dell'esposizione di questa mattina abbiamo capito l'importanza di una ricerca libera e al tempo stesso attenta alla realtà. Ringrazio molto il professor Fiandaca e il professor Visconti.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIUSEPPE LUMIA. Ringrazio il professor Fiandaca e il professor Visconti. Questa è stata un'occasione preziosa, perché il tipo di lavoro che hanno fatto, come hanno ribadito orgogliosamente, mette insieme figure che da un punto di vista dell'esperienza e della riflessione hanno un approccio integrato.
  Naturalmente questo è un Paese che costituisce tanti gruppi di lavoro. Ne abbiamo un altro alla Presidenza del Consiglio. Questo è un problema non da poco, perché c’è un eccesso di elaborazione che può mandare in tilt il momento decisionale. Peraltro, come voi avete descritto con onestà intellettuale, ci sono state alcune differenziazioni anche all'interno della vostra commissione. Ci risulta che ce ne siano state anche all'interno del comitato presso la Presidenza del Consiglio. Il processo decisionale paradossalmente rischia di andare in sovraccarico. Comunque, questo fa parte della nostra storia.

  COSTANTINO VISCONTI, membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di Pag. 14criminalità organizzata. Se mi posso permettere, penso che questo sia il luogo migliore. In seguito studieremo con il professor Fiandaca, se lui ce lo consentirà, anche in maniera integrata. Ci sono circuiti apparentemente tecnici che sono sottratti alla discussione pubblica. Questo non va bene. Parlo di questioni per cui la gente è morta. Questo non è possibile.

  PRESIDENTE. Come sanno i commissari e come sa anche la Presidenza del Consiglio, via Garofoli, noi vorremmo riparlamentarizzare questo preziosissimo contributo che è venuto da commissioni di studio, che credo abbiano bisogno di un confronto tra di loro e di una decisione politica, come diceva il professore. Sicuramente il Governo può far tutto, ma forse la Commissione antimafia è il luogo adatto a rendere centrale il Parlamento e per far sì che ci sia una condivisione pubblica.
  Penso che, con le Commissioni giustizia di Camera e Senato, si potrebbe pensare a una giornata seminariale nella quale queste straordinarie proposte vengano confrontate e si cerchi di offrire un primo approccio di sintesi allo stesso Governo.

  GIUSEPPE LUMIA. Ringrazio la presidente, perché da tempo avanzo la proposta che nel nostro Paese ci sia una sessione di lavori parlamentari dedicata al tema complessivo della lotta alle mafie, integrato dai vari aspetti normativi. Questo potrebbe essere svolto, come sottolineava la Presidente, con un ruolo centrale della commissione, ma anche con un dibattito pubblico e delle audizioni specifiche che potrebbero aver luogo anche nelle Commissioni giustizia di Camera e Senato. Una sessione dedicata, sul modello della legge finanziaria, dove tutti i lavori si orientino in questa direzione potrebbe darci la possibilità di fare quel salto di qualità che ormai è maturo, sia nell'esperienza sia nell'elaborazione culturale.
  Sul 416-bis, ho apprezzato la cautela con cui vi siete determinati nel non toccare questo delicatissimo strumento. Non sono convinto delle motivazioni che avete avanzato qui. Quando andammo a Milano nella passata legislatura fu incredibile la prospettazione che allora ci fece il prefetto Lombardi, quando nella premessa ci consegnò un giudizio tagliato e brutale secondo cui «la mafia non esiste», utilizzando gli argomenti della non omertà, del non assoggettamento e del rapporto con il contesto collusivo.
  C'erano decine e decine di pagine che invece erano il prodotto del lavoro delle forze di polizia, che erano parte integrante della relazione della prefettura, dove si parlava di incendi, omicidi, estorsioni, minacce e atti concreti di intimidazione. Per questa ragione dire che il Nord adesso sta conoscendo la presenza delle mafie è un po’ riduttivo, perché le mafie sono lì presenti da trent'anni e si sviluppano spesso con diverse forme. Infatti anche il sistema delle mafie è integrato.
  Di volta in volta in un sistema integrato dove esistono violenza, collusione economica e collusione politica, le mafie decidono di avanzare un lato a seconda del contesto. Questo non significa che gli altri lati non ci sono, ma solo che le mafie decidono di adattarsi a quel contesto. Quando è necessario, come è successo a Duisburg, se è necessario sparare, si spara. Anche in Germania quando c’è da fare la collusione elettorale si avanza, come ci può dire l'onorevole Garavini. Così è avvenuto da trent'anni nel Nord.
  Adesso, secondo le indagini più recenti che abbiamo potuto apprendere in Commissione antimafia, c’è anche l'esempio tipico dell'assoggettamento omertoso. Addirittura al Nord non riescono a trovare la collaborazione delle imprese, che abbiamo in particolare in Sicilia. Le imprese preferiscono prendersi l'articolo 7 e negare l'evidenza, anche di fronte ai filmati che documentano la dazione e l'estorsione con la minaccia, piuttosto che collaborare, sottrarsi all'omertà mafiosa e dare un contributo, che è anche conveniente per la stessa impresa nel rapporto con l'autorità giudiziaria. Questo è un mito che dobbiamo sfatare, anche se non ha ripercussioni concrete.
  Sul 416-ter mi sono segnato un aspetto. Voi affermate che le soluzioni possono Pag. 15essere diverse e che avete cambiato la proposta della Camera, prospettando una soluzione molto più ampia. C’è un punto che non mi convince: il trattamento punitivo, considerato il minore disvalore comparativo dello scambio politico-mafioso, rispetto sia alla partecipazione associativa che al concorso esterno.
  Nell'autonomia del Parlamento si ritiene invece che il momento dello scambio, siccome è un momento sorgivo della democrazia, non sia inferiore agli altri momenti. Nel momento sorgivo della democrazia rappresentativa, che è il momento elettorale, lo scambio elettorale per il Parlamento, e in questo caso per il Senato, ha acquisito un valore tale che anche per quanto riguarda la punibilità è stato comparato al 416-bis.
  C’è stata una discussione molto forte all'interno della nostra commissione. Si prevedeva anche un ulteriore aggravio, proprio perché nella comparazione dei valori democratici da soppesare non si considera il momento elettorale come un minore disvalore, ma addirittura come un valore da proteggere con molta attenzione e severità.
  Stamattina in Commissione giustizia del Senato ci siamo posti il tema del autoriciclaggio. Anche in commissione ci sono diversi approcci e si rischia la paralisi, che noi dobbiamo scongiurare. Guardo con interesse il modello da voi proposto, perché ci potrebbe aiutare ad inserire la fattispecie dell'autoriciclaggio, senza fare danni e scompensare l'equilibrio del sistema.
  Voglio chiedervi se è possibile inserire in questo vostro modello un approccio a doppio binario. Voi sapete a cosa mi riferisco, quindi non ve lo devo spiegare. In questo modo per alcuni tipi di reati e presupposti legati a reati mafiosi si potrebbe avere la possibilità di andare più avanti e essere più rigorosi sul successivo reato di autoriciclaggio, senza squilibrare il sistema nel suo complesso.
  Sul resto vi devo fare i complimenti, perché sulla vicenda delle imprese avete portato un'analisi e una serie di soluzioni che mi piacerebbe vedere in comparativo. Ho visto il documento che ci avete fornito. Potrebbe essere utile presentarci il testo esistente a fronte, in modo tale che questo lavoro di attenzione alle novità che ci presentate possa essere ancora più dettagliato. Potremmo addirittura trovare un modo per dargli uno sfogo normativo.

  PRESIDENTE. Colleghi, a mezzogiorno incominciano le dichiarazioni di voto alla Camera. Vi prego di fare domande che siano tali.
  Do la parola al professor Fiandaca per la replica.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Rispondo brevemente. Innanzitutto ringrazio il senatore Lumia per gli apprezzamenti fatti al lavoro della commissione.
  Per quanto riguarda il trattamento punitivo del reato di scambio elettorale politico-mafioso, il senatore Lumia si renderà conto che al momento di ipotizzare la soglia del trattamento punitivo da prevedere per un dato reato non c’è scienza e non c’è verità, nel senso che si tratta di valutazioni e, come tutte le valutazioni in termini di maggiore o minore gravità, gli elementi valutativi che vengono in ballo possono essere differentemente apprezzati, anche sulla base di punti di vista soggettivi. In tutto questo non c’è nulla di scandaloso. Direi quindi che un certo margine di opinabilità rispetto alla gravità del reato di scambio è inevitabile.
  Quando si dice che si tratta di comportamenti che pregiudicano gravemente la democrazia e il suo funzionamento, io capisco il senso del discorso, ma dal mio punto di vista di vecchio penalista tutto questo non ha un'immediata traducibilità in categorie penalistiche ben definite.
  In realtà il condizionamento dell'attività politica è già preso in considerazione nella definizione dell'associazione mafiosa, di cui all'articolo 416-bis. Questo perturbamento del regolare funzionamento del sistema democratico è preso in considerazione Pag. 16già dall'articolo 416-bis, a cui si uniscono elementi di ulteriore gravità. Gli elementi costitutivi del 416-bis vanno infatti al di là del condizionamento elettorale. Proprio perché il 416-bis prevede già che si arrechi un disturbo al regolare funzionamento del sistema politico democratico e prevede che ulteriori elementi integrativi che fanno da fondamento all'associazione mafiosa, mi sembra che nel rapporto sul 416-ter manchi qualcosa in termini di gravità rispetto al 416-bis. È per questo che noi riteniamo che il trattamento punitivo debba essere meno grave. Ovviamente è una materia opinabile.
  Per quanto riguarda il problema veramente arduo dell'autoriciclaggio, ribadisco che qualsiasi modello di soluzione si adotti per disciplinarlo, ci sarà sempre un'obiezione plausibile, perché qualsiasi modello sacrifica interessi di altro tipo. Differenziare la gravità non solo dell'autoriciclaggio, ma più in generale del riciclaggio, in base alla gravità dei reati presupposti è un'ipotesi plausibile, tant’è vero che le discipline precedenti del reato di riciclaggio erano basate sulla previsione di reati specifici. Con l'ultima riforma si è preferito eliminare il riferimento a reati specifici, per attribuire alla fattispecie una portata applicativa più ampia.
  In linea ipotetica, si potrebbe ritornare all'antico modello, cioè alla previsione di reati specifici, però credo che non ne usciremmo rispetto all'individuazione dei reati e la dosimetria sarebbe complicatissima, perché avremmo una pena ballerina, a seconda del reato presupposto. Ci sarebbe un eccessivo pluralismo di trattamenti punitivi. Credo che questa strada, per quanto astrattamente possibile, complicherebbe ulteriormente le difficoltà di una decisione politica.
  Mi permetto di rilevare che i temi di cui stiamo trattando sono di un'elevata complessità, non solo politica-criminale ma anche tecnica. Facendo riferimento a quanto diceva Lumia, i decisori politici in questo momento hanno un surplus di responsabilità, perché purtroppo hanno l'onere di entrare nel merito tecnico di questioni complicate.
  Mi permetto di raccomandare, come studioso e come cittadino, di non essere soggetti alla lusinga o alla tentazione di mostrare al popolo italiano che la politica oggi è di nuovo capace di riformare. Il punto non è riformare comunque. Stiamo attenti ai contenuti delle riforme. Si tratta di contenuti tecnici altamente impegnativi.
  Anche a mio giudizio va approfondito il confronto. Non pretendo che le proposte della mia commissione siano tutte migliori a confronto di proposte elaborate da altri gruppi di studio, però mi pare essenziale che si vada avanti nell'approfondimento del confronto tra le proposte elaborate dalla commissione che ho presieduto e quelle del gruppo Garofoli, senza dare pregiudizialmente la patente di meritevolezza di essere tradotti in provvedimenti concreti a nessuna delle proposte fatte in entrambi i campi.

  PRESIDENTE. Posso chiedervi se avete approfondito il rapporto tra l'auspicata introduzione del reato di autoriciclaggio e il ricorso a scudi fiscali al rientro di capitali dall'estero ? In primo luogo, ci risulta che attraverso lo scudo fiscale siano stati ripuliti anche patrimoni sequestrati a criminali mafiosi. In secondo luogo, ci è giunta voce che soprattutto adesso che si sta affrontando finalmente il problema con la Svizzera, l'introduzione del reato di autoriciclaggio potrebbe entrare in conflitto con disposizioni che riguardano l'applicazione di nuove regole sui capitali in Svizzera.
  Io penso che uno dei problemi principali dell'autoriciclaggio in questo Paese sia il grande tema dell'evasione fiscale. Forse sbaglierò, ma penso che questo sia il problema principale.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Siamo consapevoli dell'esistenza di questo problema, però dico onestamente che finora non abbiamo avuto modo di approfondirlo.

Pag. 17

  LAURA GARAVINI. Professor Fiandaca, nel complimentarmi anch'io per il lavoro svolto, oltre che per la relazione che ci è stata oggi presentata, gradirei avere un paio di delucidazioni maggiori rispetto ad un passaggio che ho particolarmente apprezzato nella sua relazione odierna, circa i limiti da lei stesso riscontrati nella direttiva che il Parlamento europeo si appresta a votare a fine mese, vale a dire l'assenza di misure di prevenzione. Questo aspetto potrebbe invece avere un ruolo determinante in un contrasto alla criminalità organizzata che non fosse soltanto nazionale, ma anche europeo. Innanzitutto vorrei sapere qual è la sua valutazione in merito.
  Lei rilevava come, anche all'interno della nostra stessa legislazione, in vista di un approccio più internazionale, sia necessario un atteggiamento di ripensamento del nostro provvedimento. Ad esempio, chi si confronta con interlocutori internazionali si trova spesso a dover giustificare approcci del nostro impianto legislativo che non garantiscono una serie di diritti. Si pone dunque la questione di come coniugare i due aspetti, ossia agire in termini di sensibilizzazione nei confronti degli inquirenti internazionali o del legislatore internazionale, e allo stesso tempo capire esattamente in che modo intervenire sulla nostra legislazione. Qual è la sua valutazione rispetto alla proposta di direttiva europea che ci accingiamo a recepire a livello di Parlamento europeo ?
  Inoltre, vorrei sapere come giudica le valutazioni emerse dalla nostra commissione, relativamente all'opportunità di utilizzare il semestre di presidenza italiana proprio per cercare di sensibilizzare commissione e Parlamento per il futuro, nella direzione di considerare misure di prevenzione.
  Che ruolo gioca in tutto questo l'inversione dell'onere della prova ? A livello internazionale, rispetto alla necessità di introdurre delle misure di prevenzione cautelare, ci viene opposto proprio questo aspetto, quando invece sappiamo che a livello di sentenze già emanate, tutto sommato, le stesse misure di prevenzione italiane non richiedono l'inversione dell'onere della prova. Come si potrebbe agire in questi termini ?
  In una delle audizioni precedenti è emerso in misura molto consistente uno dei problemi legati alla gestione dei beni confiscati nel ruolo dell'amministratore giudiziario. Avrete senz'altro seguito una serie di dibattiti, in parte anche polemici, apparsi sulla stampa a questo riguardo. Dal confronto maturato all'interno del gruppo di lavoro che ha dato origine alla relazione Fiandaca oggi presentata, è emerso questo aspetto ? Ritenete che questo sia frutto di un gap o di un'assenza normativa, o è invece un corto circuito che si può creare, alla luce di decisioni e di individuazioni di particolari amministrazioni giudiziarie ?

  PRESIDENTE. Aggiungo un'altra domanda. In materia di misure di prevenzione giudiziaria e amministrativa, vorrei sapere come giudicate la proposta avanzata da qualche magistrato per le misure di prevenzione di istituire una sorta di tribunale distrettuale che abbia una sua specializzazione in questa materia.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Siamo d'accordo, perché se l'applicazione di misure di prevenzione ha avuto un limite che ha fatto ritenere complessivamente insoddisfacente rispetto a tutto il territorio nazionale la loro prassi applicativa, una delle ragioni che ne spiegherebbero l'insufficiente applicazione a livello nazionale va proprio ravvisata nel fatto che non sempre i magistrati hanno la competenza necessaria. Anzi, per un certo numero di anni in alcune parti del Paese sono stati strumenti sconosciuti quasi come fuori d'Italia.
  Credo quindi che prevedere una magistratura specializzata e istituzionalizzata come tale sia un obiettivo da perseguire con convinzione, anche perché promuovere un più elevato livello di professionalità e quindi di specializzazione significa Pag. 18anche far lievitare l'attenzione per le garanzie da parte dei magistrati.
  Mi ricollego alla domanda fatta prima. Almeno in parte un pregiudizio diffuso a livello europeo rispetto alle misure di prevenzione italiane ha come base un'insufficiente conoscenza della normativa italiana e soprattutto un'insufficiente conoscenza delle prassi applicative.
  Assistiamo a una sorta di paradosso: a fronte di un'insufficiente livello di garantismo ravvisabile nella normativa scritta – e mi riferisco alla disciplina scritta delle misure di prevenzione – dobbiamo prendere atto che nel corso degli anni, almeno se facciamo riferimento agli uffici giudiziari più competenti, come quelli palermitani ma non soltanto, si sono sviluppati una tale competenza e un tale livello di professionalità per cui nella prassi concreta si è assistito a un progressivo innalzamento degli scrupoli probatori. Da questo punto di vista ormai non c’è una sostanziale differenza tra gli standard probatori che si utilizzano nell'ambito degli uffici di prevenzione e gli standard probatori che si utilizzano per il sequestro e confisca in sede penale.
  In relazione alle preoccupazioni che venivano manifestate nell'intervento, se, come dicevo all'inizio, compiamo lo sforzo di potenziare anche nella disciplina scritta alcuni elementi di garanzia per il procedimento di prevenzione, noi siamo in grado di rispondere più adeguatamente alle preoccupazioni europee.
  È anche vero che ci sono forme di sequestro e di confisca definite formalmente penali in ordinamenti diversi da quello italiano, che però rappresentano anch'essi forme di confisca allargata che si avvicinano nei presupposti applicativi a un'inversione dell'onere della prova. L'obiezione dell'inversione dell'onere della prova riguarda infatti tutte le forme di confisca moderne esistenti negli ordinamenti nazionali, tra cui il tedesco, l'inglese e il francese. Anzi, da questo punto di vista l'ordinamento inglese è uno dei meno garantisti. Il problema è rintuzzare queste obiezioni, senza rimanere legati all'impressione dei nomi e andando dietro ai presupposti applicativi reali e alla prassi applicativa.
  Certamente l'ipotesi di direttiva in discussione, anche nel fare riferimento a una confisca senza condanna, rimane finora legata complessivamente a presupposti di processo penale in senso stretto. Ciò che viene meno è la condanna in concreto. Per promuovere a livello europeo una diffusione del modello di misure di prevenzione, bisognerebbe assumere un atteggiamento orgoglioso di rivendicazione culturale, smetterla di avere complessi d'inferiorità e soprattutto entrare nel merito tecnico di quegli istituti confiscatori definiti formalmente penalistici, ma che sul piano delle relazioni non sono molto diversi.
  Il mio orientamento è favorire a livello europeo la diffusione di modelli simili alle misure di prevenzione italiane.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Intervengo velocemente sulla questione europea. Io aggiungo, se mai fosse necessario, qualcosa sulla tattica.
  Io ho seguito un po’ i lavori, soprattutto gli emendamenti proposti dalla commissione LIBE, che hanno oggettivamente determinato un rinculo. La commissione LIBE si è caricata di un modello ultraitaliano e questo ha provocato delle reazioni. I tedeschi, che già erano diffidenti, appena è uscita la commissione LIBE hanno pensato che bisognava arginarli.
  Il punto è uscire un po’ dalla propaganda. Questo è un terreno su cui se si fa propaganda si ritorna molto peggio di prima. Io ripeto un'espressione bella che ha utilizzato il senatore Lumia nella scorsa audizione: stiamo attenti a parlare di spazio unico europeo antimafia, perché ci ritroviamo con uno spazio unico italiano. Ci rinchiudono nel nostro sistema.
  Gli altri sono molto più orgogliosi di noi. Mi risulta che Regno Unito e Irlanda hanno già dichiarato che contesteranno la Pag. 19direttiva e non si sentiranno vincolati. Gli irlandesi hanno combattuto l'IRA, hanno utilizzato strumenti molto più penetranti e molto meno garantistici dei nostri e non intendono rinunciarvi, così come il Regno Unito si è servito di confische molto meno garantistiche delle nostre sul traffico di stupefacenti e se ne sta fregando dell'Unione europea, delle garanzie eccetera.
  Non mi risulta che noi abbiamo preso posizione su questo punto. Rischiamo di avere una direttiva che delegittima la confisca senza condanna, senza che noi si sia sparato un colpo, a parte un po’ di propaganda. La propaganda qui non serve. Dico questo anche sulla base delle nostre ricerche a poco prezzo che ha finanziato il MIUR. Noi abbiamo fatto una verifica sul campo degli standard probatori applicati nei tribunali in tutta Italia, che sono risultati, se non superiori, almeno pari a quelli del processo penale.
  C’è una ragione: dentro i tribunali di prevenzione, non solo a Palermo ma anche a Milano, a Reggio Calabria e a Santa Maria Capua Vetere, c’è a una rete di giudici e magistrati che per ragioni personali hanno accumulato esperienza, senza alcun sostegno dal punto di vista istituzionale. Non ci sono delle misure che prevedono una specializzazione e una stabilizzazione dei tribunali, quindi si sono specializzati per vocazione personale e per queste esperienze hanno accumulato una capacità di gestire le misure di prevenzione con grande sensibilità e scrupolo garantistico.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Se ho ben inteso, era stata posta una domanda in relazione a polemiche scoppiate di recente, tra il prefetto Caruso, alcuni amministratori giudiziari palermitani e, direttamente o indirettamente, magistrati dell'ufficio per le misure di prevenzione di Palermo.
  Al di là del loro merito specifico, rispetto al quale non ho particolare titolo per intervenire, ritengo che queste polemiche siano un inevitabile riflesso dell'eccessiva problematicità della complessa interazione tra l'Agenzia nazionale, come ente pubblico a carattere amministrativo, e l'attività giurisdizionale, nel cui ambito si inquadra in larga parte anche l'attività degli amministratori giudiziari nominati dai giudici.
  In realtà, l'istituto dell'Agenzia nazionale, secondo il modello attuale, pur avendo mirato all'obiettivo meritorio di favorire l'assegnazione pubblica e l'assegnazione finale dei beni confiscati, è stato però concepito e introdotto in maniera troppo affrettata e non si è riflettuto a sufficienza sui conflitti e sull'interazione estremamente complessa cui avrebbe dato luogo l'attribuzione all'Agenzia nazionale come ente amministrativo dei poteri di intervento all'interno della giurisdizione, in modo da condizionare e eventualmente da rivedere le scelte operate dai magistrati. Tutto questo, anche in presenza della buona fede di tutti, provoca grossissimi rischi di implosione intrasistemica.
  Noi riteniamo (credo che il professor Visconti sia d'accordo con me) che l'Agenzia nazionale vada potenziata, dotandola di maggiori risorse e di maggiori capacità di funzionamento rispetto a quanto sia finora avvenuto. Riteniamo però che il potenziamento dell'Agenzia debba accompagnarsi ad una rivisitazione critica delle sue funzioni, in una direzione che non vedo perseguita dal gruppo di lavoro Garofoli, che si occupa espressamente dell'Agenzia.
  Io appartengo al novero di coloro che ritengono che le funzioni dell'Agenzia debbano essere concentrate soprattutto nella fase finale della destinazione dei beni, che l'Agenzia debba essere il più possibile allontanata dalla giurisdizione e che le sue funzioni in rapporto alla giurisdizione debbano essere soprattutto di ausilio esterno, subordinato rispetto alla giurisdizione stessa.
  Mi rendo conto che non è un'operazione politicamente facile, dopo l'enfasi propagandistica politicamente posta sull'innovazione dell'Agenzia nazionale. Ci sono anche problemi di comunicazione Pag. 20politica. Mi rendo conto che rivedere in senso riduttivo le funzioni dell'Agenzia non è facile, però a mio avviso, se si ha a cuore veramente il merito dei problemi, al di là della propaganda, ci si dovrebbe sforzare di realizzare una correzione in questo senso.
  Questo ibrido mostruoso tra amministrazione e giurisdizione porta inevitabilmente con sé problemi difficilmente risolubili, anche in base allo strumentario delle categorie giuridiche nel rapporto tra amministrazione e giurisdizione. Non faccio questa critica in quanto giurista purista, ma sulla base degli aspetti pratici in termini di conflitto e di sfiducia reciproca. Infatti paradossalmente si scatenano fenomeni di sfiducie incrociate, e nella comunicazione pubblica si allude a chissà quali fatti che ci sono dietro. È possibile che problemi, conflitti e diversità di valutazione portino a situazioni difficili, senza pensare necessariamente a collusioni di nessun tipo.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Posso essere in disaccordo con il mio maestro ? Io ritengo invece che dal punto di vista comunicativo questa sia l'occasione buona per uno scatto in avanti. Noi abbiamo il problema di difendere l'intero sistema del sequestro, della confisca e della gestione dei beni.
  Prendiamo atto dopo qualche anno che strutturalmente – lo ha detto ieri il Ministero dell'interno, non lo dico io – noi non siamo in grado di gestire le aziende in particolare. Neanche IRI negli anni 1950 si è trovata a gestire 1.000 o 2.000 aziende, dai cavalli all'agroalimentare, passando per la trasformazione chimica. Neanche le più avanzate conglomerate si trovano a gestire una cosa del genere. È una follia, ma non si tratta di un passo indietro, maestro, scusami. C’è stata una sperimentazione ed è un passo in avanti.
  Noi abbiamo due criticità, dalla confisca definitiva all'assegnazione: i tempi e la qualità. Lì ci mettiamo l'Agenzia potenziata. Abbiamo poi altre criticità dal sequestro alla confisca. Diamo una risposta giusta, che non è l'Agenzia in mezzo alle scatole, che non ha neanche le capacità.
  Consideriamo tutte le soluzioni, ma non la vendita. Mi giunge voce che qualcuno vorrebbe vendere le aziende prima della confisca definitiva. Se vogliamo essere consegnati alla Corte europea dei diritti dell'uomo in manette facciamolo pure. È come dire a una persona condannata a morte in primo grado «ti tagliamo la testa, poi se ti assolvono in secondo grado rifacciamo la famiglia». Come sia potuta circolare un'idea così balzana nei circoli decisionali tecnocratici di questo Paese io francamente non lo so. Anche uno studente in giurisprudenza sobbalzerebbe leggendo che si vende un'azienda prima della confisca definitiva. L'affitto è una cosa seria. Siccome circola un documento che parla di vendita dell'azienda dopo la confisca di primo grado, io mi chiedo come sia potuto accadere.

  PRESIDENTE. Mi permetto di interromperla su questo punto. Noi saremmo contrari da un punto di vista politico a questa cosa. Si tratta di beni che devono rientrare in circolazione per la comunità.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Io lo dico da un punto di vista delle mie garanzie, perché io non taglio la testa a quel condannato a morte.

  PRESIDENTE. Fintanto che le due strade si incontrano, va tutto bene.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Garanzia e efficienza si mettono assieme.
  Analizziamo il problema: queste amministrazioni giudiziarie sono state gestite in piena solitudine in giro per l'Italia, con Pag. 21una sproporzione di mezzi assurda. I giudici di Trapani si trovano a gestire cose enormi. Ci vogliono competenze in tante materie. Un uomo non può essere bravo in tante materie, neanche il migliore dei magistrati.
  Questo ha creato una prassi e delle sperimentazioni, che possono essere buone o cattive. Ci saranno anche dei margini di ambiguità. Ci sarà pure qualche compenso elevato. Ci saranno i Marchionne dell'amministrazione giudiziaria (anche se i Marchionne sono persone che hanno portato soldi allo Stato e poi hanno una percentuale).
  Comunque, il punto è che noi dobbiamo strutturare e stabilizzare. Da qui nasce l'ottima proposta dei tribunali specializzati distrettuali. Il CSM deve battere un colpo. Ora vi faccio una domandina da professore. Voi sapete qual è l'unica sezione autonoma della prevenzione in Italia ? Non è Palermo, non è Napoli, non è Reggio Calabria, non è Santa Maria Capua Vetere. È Milano.

  PRESIDENTE. Lo abbiamo imparato adesso. Io sto imparando adesso, come tutti sanno.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Ragioniamo su questo: vi sembra normale che in questo Paese, dopo trent'anni dalla legge Rognoni-La Torre, l'unica sezione autonoma è a Milano ? Complimenti a Milano, però forse qualche problema su Napoli, Roma, Palermo, Catania, Messina e Reggio Calabria il CSM se lo dovrebbe porre.
  Come affrontiamo il problema ? Lo affrontiamo utilizzando bene l'Agenzia per quella criticità, cioè i tempi dal sequestro alla confisca. L'Agenzia in questo caso deve aiutare l'autorità giudiziaria ad amministrare bene questi beni. Quando li aiuta ad amministrare bene questi beni...

  PRESIDENTE. La posso fermare un attimo su questo punto ? Il sistema attuale non funziona, e noi ci prendiamo il demerito di aver fatto scoppiare una bombetta in più, ma lo abbiamo fatto con lo scopo di affrontare il problema, anche perché venivano fuori dei pasticci e vogliamo cercare di capire.
  Tra l'altro, voi sapete che sigleremo un accordo a Palermo con la DDA, l'Università di Palermo e la Cattolica di Milano, con particolare attenzione alle prassi applicative delle misure di prevenzione. Ciò verso cui il senatore Lumia ci spinge da molto tempo diventerà uno dei nostri lavori privilegiati. Lo sigleremo il 19 febbraio, a conclusione della missione a Palermo.
  Gli incroci impropri tra la magistratura, l'Agenzia o altro non funzionano, però io faccio molta fatica a pensare che, ancorché si tratti di un tribunale specializzato, sia proprio la magistratura ad avere la competenza più adeguata per gestire quell'immenso patrimonio di aziende al quale lei faceva riferimento.
  Servono delle competenze e una mentalità che probabilmente non sono del magistrato in quanto tale, anche come controllore. Bisogna pur prevedere un incrocio di competenze, con chiarezza di funzioni. Voi parlate di ausilio. Va benissimo, però questo deve essere chiaro. Soprattutto ci vogliono le professionalità adeguate.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Io suggerirei – e credo che il professor Visconti sia d'accordo – che l'amministratore giudiziario secondo il modello professionale attuale sia integrato nella gestione dell'impresa dalla presenza di una professionalità ulteriore di tipo manageriale.
  Una delle innovazioni normative da proporre, secondo me, è la possibilità, oppure l'obbligo laddove si tratti di azienda (che è destinata per le sue caratteristiche a poter sopravvivere, nonostante sia oggetto di provvedimenti giudiziari) di prevedere un'interazione virtuosa tra l'amministratore Pag. 22giudiziario e uno o più esperti in management, che abbiano il compito di dedicare la loro attività alla gestione e alla promozione dell'azienda in termini economici e in termini di sviluppo.
  È possibile concepire l'attività dell'Agenzia nazionale sotto forma di fornitura di competenze e di professionalità volte alla gestione dell'impresa, però questo non necessariamente comporta che l'Agenzia nazionale debba avere poteri di condizionamento o di revisione delle scelte di competenza dei magistrati, che come tali che debbono rimanere di competenza della giurisdizione.
  Sostenere che l'amministrazione deve avere una funzione di ausilio non significa attribuire la funzione gestionale o la direzione della funzione gestionale ai magistrati, ma significa evitare interferenze di competenze, distinguendo meglio ciò che è di competenza della giurisdizione da ciò che è di competenza dell'amministrazione.
  Bisogna sottrarsi alla facile obiezione secondo cui i magistrati non hanno più competenze degli altri. Non è questo il punto. Bisogna creare un modello diverso di interazione tra giurisdizione e amministrazione, promuovendo le competenze economiche e manageriali di supporto all'attività degli amministratori giudiziari.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. È a portata di mano. Non è complicato.

  PRESIDENTE. Anche con le varie tipologie che voi avete previsto.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. Ringrazio innanzitutto i relatori per il corposo documento che ci hanno fornito. Non ne ho ancora preso visione, però il metodo mi sembra molto suggestivo e indicativo.
  Io vorrei porre una domanda che ho fatto prima ancora a me stesso, partecipando per la prima volta ai lavori di questa commissione e venendo io dal mondo dell'impresa. So quanta difficoltà l'impresa ha oggi nel ricercare il credito all'interno del mondo bancario e ho colto un paradosso, soprattutto negli argomenti che stiamo trattando, quando ho verificato che una delle grandi difficoltà che porta dal sequestro alla confisca è esattamente la tutela dei terzi creditori.
  In una situazione di questo tipo mi sono posto il grande problema – e vorrei capire se voi l'avete affrontato – di capire come mai si ha una difficoltà nel mondo lecito ad accedere al credito, che non hanno invece le imprese del mondo criminale.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Ci sono più livelli possibili per rispondere a questa domanda, che tocca un nervo scoperto.
  C’è un livello che definirei «sociocriminologico empirico». Lei mi fa una domanda che interroga anche me, come siciliano e come palermitano. Negli ultimi 30-40 anni i più grossi istituti siciliani hanno erogato palate di denaro alle più grosse imprese, che poi si è scoperto erano nelle mani dei più grossi mafiosi siciliani. Questo è un fatto che ci deve interrogare tutti.
  C’è una questione che forse non tutti conoscono: con complessi procedimenti giudiziari, arrivati al giudizio di Cassazione civile, è stata riconosciuta la malafede di alcuni grossi istituti bancari nell'erogazione di mutui senza la base che tutti sappiamo, legata a istruttorie fondate. Oggi queste banche battono cassa per avere indietro i soldi, ma dato che è stata riconosciuta la loro malafede lo Stato non dà loro nulla.
  Dovremmo fare un seminario di due o tre giorni per discutere su come questo sia potuto accadere. Poniamoci il problema di non farlo accadere più, soprattutto in questa stranissima configurazione per cui si l'azienda ha il credito facile finché è in piedi, e poi credito difficile quando è sequestrata, oppure si dà credito facile ad alcune aziende e ad altre no.Pag. 23
  Sul problema della tutela dei terzi, con il Codice antimafia adesso abbiamo un sistema che giustamente sottopone a scrutinio la buona fede dei creditori. Questo sistema è stato consegnato da una testa fallimentaristica. Probabilmente questa parte del Codice antimafia è stata scritta da un esperto di diritto fallimentare e ha come orizzonte e come filosofia la liquidazione dell'azienda. È dunque una procedura giusta, ma che ha un andamento, un ritmo e degli scopi che portano alla liquidazione dell'azienda. Bisogna metter mano a quella parte.
  Noi abbiamo invece l'idea che se si sequestra l'azienda ci si entra dentro. Pensiamo alla grande distribuzione. Si bloccano i crediti con coloro che hanno fornito la carne nell'ultimo anno ? Non si può chiedere ai creditori di continuare a fornire la carne e di aspettare per i crediti perché bisogna verificare la loro buonafede. Bisogna intervenire. Quando si tratta di aziende bisogna diversificare. Magari si pagano i creditori in forma anticipata e poi si verifica la buona fede, altrimenti tutto l'indotto attorno a un'impresa sequestrata si blocca.
  Su questo progetto non abbiamo fornito un elaborato, perché la questione è molto seria. Troverete dei criteri di intervento in appendice. Su questo tema del credito bisognerebbe fare una sessione a parte.
  Io consiglierei di leggere i documenti che ha sfornato, anche di recente, la Banca d'Italia. C’è uno studio molto importante di un bravissimo dirigente della Banca d'Italia, Luigi Donato, che secondo me andrebbe studiato, perché rivela alcuni stereotipi. In Banca d'Italia hanno fatto un confronto tra aziende dello stesso settore, che svolgevano la stessa attività, alcune delle quali sono state poi sequestrate. Hanno visto che le aziende che sono state sequestrate avevano già una sofferenza col sistema bancario. Quando arriva il sequestro la ritrazione del credito è quasi automatica. Questo ci deve far interrogare sulla qualità delle aziende che vengono sequestrate.
  In particolare questo studio mette in discussione – però è tutto da verificare, perché la Banca d'Italia non è la verità rivelata – che queste restrizioni nel credito di cui tutti sappiamo siano empiricamente suffragate da dati statistici. Ciò vuol dire che il sistema creditizio continua a erogare credito anche ad aziende sequestrate. Questo è uno dei punti nodali, che non si può affrontare con la propaganda, affermando che le banche sono cattive o le banche sono buone. Bisogna studiare e la Banca d'Italia sta studiando. Perché non utilizziamo la Banca d'Italia, che ha dei bravissimi funzionari che stanno lavorando ? Io sono un bruto penalista.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Nella parte finale del nostro documento c’è una sezione dedicata alle proposte emendative e integrative in materia di tutela dei terzi. Come anticipava il professor Visconti, non siamo arrivati a fare delle proposte sviluppate in un possibile articolato normativo, però abbiamo enunciato dei criteri di orientamento, che dovrebbero essere adottati per migliorare la disciplina in questo campo. Non entro nel merito, perché anch'io, essendo tutto al più un «penalaio», non ho una particolare competenza.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Invece sul modello liquidatorio, per un verso, e il modello incentivante l'attività delle imprese, dall'altro, possiamo prendere posizione. Noi non siamo per il modello liquidatorio. Non si può liquidare l'impresa saldando i creditori.

  PRESIDENTE. Ci tengo a sottolineare l'innovazione degli ufficiali di collegamento, che abbiamo fatto con questa commissione, senza dar loro dei gradi. Da Pag. 24questa legislatura, abbiamo anche un collegamento fisso con la Banca d'Italia.

  CLAUDIO FAVA. Intervengo per ringraziare i nostri ospiti e pongo due elementi problematici. Dovremmo provare ad approfondire il ragionamento, che è quello più suggestivo, su una modifica complessiva del regime del sequestro e della confisca e una rivisitazione dell'Agenzia, con competenze più chiare tra magistratura e gestione dei beni.
  Mi pongo due problemi. In primo luogo, più flessibilità c’è e più, in modo quasi geometrico, si alza il debito di risorse e professionalità. Se noi abbiamo bisogno di immaginare strumenti flessibili per entrare nelle aziende non in forma chirurgica, come avviene con il sequestro e con la confisca, ma, come dicevate voi, attraverso forme di vigilanza prescrittiva, abbiamo bisogno di una quantità e una qualità di risorse umane, economiche e di professionalità che, alla luce dell'esperienza che abbiamo avuto nella gestione da parte dello Stato di queste aziende, prevede una sorta di rivoluzione copernicana nell'approccio. È un problema solubile ma che va posto.
  Il secondo problema è più umano e riguarda i condizionamenti ambientali. Intervenire in modo chirurgico è anche un modo per bypassare il rischio di questi condizionamenti. Intervenire in modo flessibile, entrare, gestire e cogestire vuol dire farsi carico di qualcosa che la legge non può normare, ma che esiste nell'esperienza, cioè la forza dei condizionamenti ambientali, che riguardano i dipendenti, gli amministratori, i fornitori e il contesto complessivo umano ed economico in cui si muovono queste aziende. Troveremo un'altra occasione per approfondire questo tema.
  Ho invece una domanda molto più secca sulla proposta di modifica del 416-ter che è stata approvata e rivista al Senato e che arriverà alla Camera tra qualche giorno. Rispetto al testo approvato dalla Camera, questa proposta sottrae l'elemento della consapevolezza come un elemento costitutivo e parla della promessa. Non c’è soltanto la dazione, l'elemento che voi indicate nel vostro testo, ma anche la promessa come vincolo che si stabilisce e che va punito.
  Possiamo decidere di modificare questo testo, ma se dobbiamo rimettere in circuito questo percorso normativo mi piacerebbe il conforto di una vostra opinione sul testo che andremo a votare alla Camera tra qualche giorno.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Posso essere sincero ? Io conosco quello approvato a luglio.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Io lo conosco. Io ho assistito a questo dibattito. Purtroppo me ne occupo da vent'anni e vorrei liberarmi un giorno di questi temi.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Con l'approvazione di una buona norma.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Ho letto nei giornali che al Senato avete cambiato l'aggettivo «consapevole» con l'espressione «disponibilità a soddisfare gli interessi».

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Per essere espliciti, in termini penalistici è un obbrobrio.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero Pag. 25della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Visto da un tecnico è stato un dibattito folle, lunare. Innanzitutto, come tutti sanno, la consapevolezza è richiesta in qualsiasi reato, anche in forma maggiore.
  L'unica cosa che, come è accaduto per l'abuso di ufficio estromesso, può portare a qualcosa in più di un semplice dolo è l'intenzionale, perché c’è una direzione della volontà precisa verso quell'obiettivo. In questo caso, se si fa un accordo è chiaro che è intenzionale. Quello sulla consapevolezza è stato un dibattito folle.
  Sul segmento della «disponibilità a soddisfare gli interessi dell'associazione criminale», se avete tempo riflettete un attimo. Dal punto di vista penalistico penso che non ci siano allo stato delle norme che prevedono la punibilità di qualcosa che assomigli a una disponibilità a soddisfare. Penso che nel sistema penale questo non esista.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. È una clausola generale del tutto vuota.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Vuota e pericolosissima. Noi ultimamente usiamo il termine «provabilità». È non provabile una disponibilità a soddisfare ? No. Non è provabile con elementi empirici.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Tutto ciò che non è provabile non dovrebbe diventare elemento costitutivo di un reato.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Questo lo diceva Feuerbach nel 1700. Noi lo possiamo dire adesso, soprattutto in questo delicatissimo tratto. Feuerbach diceva che l'asino che vola si può anche mettere in una fattispecie, ma poi nessuno lo può provare.
  Questo tratto rischia di mettere a repentaglio l'autonomia e l'indipendenza della giurisdizione. Voi capite bene che se due giorni dopo le elezioni si apre semplicemente un fascicolo per il 416-ter in una parte del Paese in cui si prospetta l'ipotesi secondo cui un deputato o un senatore appena eletto abbia mostrato in qualche modo una disponibilità a soddisfare l'interesse, quell'elezione è già inquinata e messa in discussione. Cosa faremo poi, quando il procedimento neanche arriverà a un rinvio a giudizio ?
  Scusatemi, lo dico sommessamente: voi non dovete pensare al processo e alla Cassazione. Voi dovete pensare che ormai di diritto penale se ne discute alle prime battute. Adesso si apre un fascicolo e si pone un problema politico. Il nostro sistema è in grado di reggere un simile confronto, fatta salva la buona fede di qualsiasi sostituto procuratore o di qualsiasi amministrazione distrettuale ?

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. È come se si ignorasse tutta la problematica del concorso esterno. È come se si ignorasse tutto il dibattito che c’è dietro l'implausibilità di assumere il concetto di disponibilità a presupposto di una fattispecie incriminante. Il problema è quello di rinvenire gli elementi sintomatici e gli indicatori fattuali della disponibilità. Quali sono gli indicatori fattuali della disponibilità ? È un concetto disposizionale di per sé vuoto, che allude a riscontri esterni che possono venire soltanto dall'esterno.
  La condotta non è sufficientemente indicata, cioè non c’è un messaggio rispetto alla condotta: che vuol dire che non Pag. 26devi essere disponibile ? Che non devi fare promesse ? E se fai delle prese in giro con riserva mentale o assumi un comportamento concludente che ha l'apparenza di una disponibilità, è presupposto del reato ?
Nel linguaggio penalistico, nella logica penalistica e sul piano probatorio queste sono delle clausole in bianco, suscettibili dell'uso più rischioso, nel bene e soprattutto nel male.

  PRESIDENTE. Voi capite che, se andate avanti così, poi sarete interpellati per darci una mano quando tornerà alla Camera.
  A me è venuto un pensiero cattivo: non vorrei che questa norma fosse stata adottata come deterrente per non mettere le preferenze nella legge elettorale. Naturalmente questa è solo una battuta gratuita.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Mi permetto una nota di censura al senatore Lumia che ha presentato l'emendamento. Posso farlo da palermitano a palermitano ?

  GIUSEPPE LUMIA. Mi piacerebbe che leggessimo insieme questa norma, nel senso che ho l'impressione che forse siete ancorati più al testo della Camera che a quello del Senato.
  La questione che noi ci siamo posti è che intanto c’è una norma di salvaguardia, perché tutto questo si deve realizzare con il metodo previsto dal comma 3 dell'articolo 416. Questo è il punto che riorganizza il 416-ter e lo mette in condizioni di stabilire che quel tipo di rapporto tra il politico e l'organizzazione mafiosa passa attraverso la raccolta del voto con il metodo mafioso.
  Per quanto concerne la disponibilità, voi sapete che lo scambio tra il politico e il mafioso non si esercita solo su dazione di denaro o su altre utilità (appalto), ma anche dicendo:«noi ti diamo i voti, questo dovrà essere esercitato attraverso il metodo mafioso, tu renditi disponibile tutte le volte che l'organizzazione ha bisogno di te per gli interessi dell'organizzazione mafiosa e noi ti diamo i voti in base a questa disponibilità che tu devi dare all'organizzazione mafiosa tutte le volte che ha bisogno di te».

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Mi permetto di fare lo studioso di diritto penale. C’è una pericolosissima interferenza con la giurisprudenza in tema di partecipazione all'associazione mafiosa, c’è a tutt'oggi un filone giurisprudenziale che identifica la condotta partecipativa nella messa a disposizione del soggetto nei confronti dell'organizzazione criminale.
  Se lo stesso concetto di messa a disposizione si inserisce nell'articolo 416-ter, finisce con il realizzarsi una sovrapposizione perversa tra la condotta partecipativa, di cui all'articolo 416-bis, e l'articolo 416-ter, per cui si realizza una matassa inestricabile, che renderebbe impossibile la distinzione e in ogni caso rischierebbe di trasformare ogni disponibilità nel senso dell'articolo 416-ter in disponibilità nel senso dell'articolo 416-bis.
  Al di là di tutte le preferenze e di tutti i gusti, questa a mio avviso è la maggior ragione di pericolo laddove, se si inserisce il concetto di disponibilità dell'articolo 416-ter, si finisce con il determinare una sovrapposizione inestricabile.
  Tale concetto di disponibilità è stato già criticato dalla giurisprudenza in tema di partecipazione, perché, utilizzando la disponibilità come nucleo della condotta partecipativa, come l'esperienza giudiziaria ha messo in evidenza, si finisce con il basare la condotta partecipativa sul nulla. Questi stessi rilievi critici valgono automaticamente per un'eventuale utilizzazione del concetto di disponibilità nell'ambito dell'articolo 416-ter.
  Lo dico spassionatamente, senza alcun interesse pregiudizialmente polemico o critico: utilizzare il concetto di disponibilità è estremamente rischioso.

Pag. 27

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Forse con il senatore Lumia sono stato troppo sbrigativo e me ne dispiaccio. Io capisco il bisogno politico-criminale che io condivido, però la promessa di denaro o altra utilità cosa altro è, se non un impegno per il futuro ad adempiere questa promessa ?
  Questa sovrabbondanza di una disponibilità come se fosse qualcosa di diverso e di ulteriore rispetto alla promessa crea le premesse per allargare in maniera incontrollabile e insondabile la fattispecie. Non so se mi sono spiegato: io politico prometto denaro o altra utilità, il che significa che mi impegno ad adempiere l'oggetto del patto, che può essere variabile.
  Può essere disponibilità specifica ad assecondare «x», può essere disponibilità generica, ma non meno pregnante, ad assecondare un settore. Quando invece metto assieme in maniera alternativa promessa e disponibilità come se fosse altro allargo ancora di più, perché la disponibilità sarà qualcosa di diverso dalla promessa, quindi mi preoccupo perché può essere qualcosa che noi sapremo soltanto quando, alla prima indagine di qualche procura distrettuale, sarà aperto un fascicolo sulla elezione di un deputato di una lista.
  Lo sapremo allora, e allora come lo gestiremo dal punto di vista democratico ? Un'altra interferenza tra giustizia e politica ?

  CLAUDIO FAVA. Presidente, vorremmo chiedervi una vostra opinione per iscritto nel giro di qualche giorno sul testo del Senato.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Se fosse possibile avere ufficialmente una copia del testo, siamo disponibili a fare le osservazioni.

  PRESIDENTE. Ve lo forniremo volentieri.

  FRANCO MIRABELLI. Su questo punto mi riallaccio alle considerazioni del senatore Lumia, in quanto ritengo che non basti togliere la disponibilità, perché c’è una casistica che resterebbe fuori. Cito l'esempio di una vicenda che abbiamo seguito concretamente: voto di scambio, prendo i voti, il mio referente, che è la criminalità organizzata, mi spiega che il favore non devo più farlo a quella cosca, ma a un'altra, non in quel modo ma in un altro.
  Questo non rientra nella promessa, c’è un problema: non basta togliere la disponibilità, perché c’è il rischio che queste cose restino fuori.
  Vorrei fare altre due domande. Una non rientra nella casistica del documento però, avendo la possibilità di parlare con il professore, vorrei porgliela perché è materia di cui ci siamo occupati e ci occuperemo. Rispetto alle interdizioni, oggi siamo di fronte a una serie di protocolli sulle grandi opere, che di fatto di fronte all'interdizione non attendono l'esito del ricorso al TAR, ma non bloccano i lavori e fanno scattare immediatamente.
  Questo avviene per protocolli, leggi che sono state fatte ad hoc, commissariamenti. Vorrei capire se ci sia la possibilità di sistematizzare questo strumento, che è stato attivato solo per le grandi opere e che secondo me potrebbe invece essere utile attuare anche per le cose che diceva prima.
  Qualche settimana fa ho letto un articolo su Il Foglio, professor Fiandaca, in cui si esprimeva una sua opinione interessante sul processo sulla trattativa di Palermo. Credo che, se lei volesse riassumercela in questa sede, essendo questa materia con cui ci siamo misurati, gliene saremmo grati.

  ANDREA VECCHIO. Vorrei innanzitutto dare atto ai professori universitari che smentiscono il mio pregiudizio che le università italiane non funzionino, perché Pag. 28sono le galline bianche dell'università italiana e sono felice di dargliene atto.
  Mi limito a poche, rapide considerazioni. Per quanto riguarda la qualità dei gestori che si dovrebbero inviare per supportare le imprese, sappiamo che l'elenco dei professionisti presente nei vari tribunali è il rifugio dei professionisti senza qualità. Forse questa mia opinione è eccessiva, ma confortata dall'esperienza sul campo, perché anch'io vengo dal mondo dell'impresa, dal mondo dell'impresa siciliano, dal mondo dell'impresa dei lavori pubblici in Sicilia e non solo.
  La seconda cosa che volevo dire riguarda la certificazione antimafia, che è una palla al piede del sistema. È uno strumento utile, credo indispensabile, ma dovrebbe essere modificato, snellito, velocizzato, perché non è possibile aspettare sessanta giorni una risposta, soprattutto in certi protocolli. Faccio riferimento a un protocollo sulla Salerno-Reggio Calabria, per la quale la certificazione antimafia deve essere chiesta anche per assumere gli operai e bisogna aspettare sessanta giorni per assumere un lavoratore.
  Il mondo del lavoro dell'edilizia è molto veloce, molto dinamico e muta di giorno in giorno, quindi questi tempi sono irragionevoli.
  Credo che i subappalti, che in questo momento dalla legge vengono limitati al 30 per cento dell'opera principale, limite che dovrebbe essere abolito, dovrebbero essere liberalizzati, perché all'interno di questo limite si annida una cosa molto pericolosa: il noleggio delle macchine a freddo che le imprese mafiose tentano di imporre agli imprenditori che lavorano nel territorio.
  Se invece fosse possibile dare il subappalto, l'impresa dovrebbe essere passata al vaglio della certificazione antimafia e il rapporto potrebbe essere molto più trasparente e libero, mentre nel caso di noleggi è molto difficile aggirare la pressione che si esercita nel territorio, perché nel territorio c’è bisogno di lavoro.
  La magistratura antimafia ha funzionato bene in Italia, e quindi, se questo tipo di magistratura specialistica per la gestione fosse una branca della magistratura antimafia, forse potrebbe essere più facile arrivarci.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Onorevoli, avete posto da lati diversi una questione molto delicata, importantissima, trascurata dal grande pubblico e dalla propaganda, cioè la questione che noi definiamo della «prevenzione partecipata», cioè la prevenzione che si realizza attraverso questi protocolli di legalità.
  Per me è qualcosa di innovativo da perseguire, però va gestito e va illuminato. Se posso permettermi, do un consiglio: esiste un organismo poco conosciuto, il Comitato per l'alta sorveglianza sui lavori pubblici, che ha un materiale straordinario e un'esperienza che adesso vanno stabilizzati con le opportune osservazioni che l'onorevole Vecchio ha fatto.
  Noi abbiamo studiato i protocolli di legalità, le interrelazioni tra protocolli di legalità e Codice dei contratti pubblici, quel famoso articolo 118 cui fa riferimento (appalti, subappalti), e ci siamo stati in sei persone per tre mesi, tre mesi per capire il quadro.
  La complessità quindi è elevatissima, le imprese hanno oggettivamente un costo ulteriore aggiuntivo, che certe volte abbiamo quantificato per appalti di una certa rilevanza in un milione di euro soltanto per gestire dal punto di vista burocratico il protocollo di legalità, con effetti poi discutibili, nel senso che sono strumenti straordinari che sfidano l'impresa a far da sé nella prevenzione, con un rischio, però, che si è verificato: una forma, se male interpretati, di deresponsabilizzazione.
  Se infatti il protocollo di legalità e prevede soltanto che io faccia il passacarte, cioè chieda più informazioni alla prefettura, io azienda mi affido alle valutazioni di una prefettura che non riuscirà mai a darmi le informazioni in tempo per gestire la mia prevenzione in house.Pag. 29
  Non so se sapete (io l'ho scoperto da poco, per questo mi permetto) che il Codice dei contratti al comma 7 dell'articolo 117 prevede dei piani di sicurezza che facciano corpo con il capitolato d'appalto, piani di sicurezza molto importanti in cui l'azienda deve far vedere come intenda gestire nel futuro, qualora vinca l'appalto, la sicurezza nei cantieri e quindi la prevenzione.
  Sto parlando non dei lavoratori, ma della sicurezza contro la criminalità organizzata, ed è un uno strumento straordinario che esiste dal 2006. Dalle vostre facce capisco che non ne eravate al corrente, ma anch'io non lo sapevo fino a quattro o cinque mesi fa.
  Questo è uno strumento straordinario, che va collegato ai protocolli di legalità, in modo tale da chiedere alle aziende la predisposizione, sulla base del territorio in cui andranno a operare, di un piano di sicurezza anti-infiltrazioni che sia anche, come nella sicurezza dei lavori, sottratto al ribasso d'asta.
  Sembra che l'antimafia sia gratis, mentre, come direbbero gli americani, l'antimafia non ha un prezzo, ma ha un costo, e su quello dobbiamo lavorare. C’è un costo per le imprese per cui, se chiediamo alle imprese uno stress da questo punto di vista, dobbiamo riconoscergli un costo e anche un premio, nel senso che vince chi ha maggiori capacità di autogestirsi sulla prevenzione.
  Il prefetto Frattasi da dieci anni fa un lavoro di questo tipo e probabilmente, se facessimo tesoro dell'esperienza che è maturata nel Comitato alta sorveglianza delle opere, riusciremmo a trovare qualche soluzione veramente innovativa nel senso della semplificazione. Anche l'antimafia può infatti essere semplificata e non dobbiamo avere paura: può diventare uno strumento agile, flessibile, che non abbassa assolutamente il rigore dell'accertamento, ma lo rende più abbordabile dalle imprese.

  FRANCO MIRABELLI. Chiedo scusa, forse non mi sono spiegato: io mi riferivo non ai protocolli di legalità, ma ai tre protocolli che si stanno facendo per mettere in sicurezza gli appalti pubblici su Expo, che prevedono che, a fronte di una misura di interdittiva del prefetto, salti tutto immediatamente e non si aspetti il ricorso al TAR, andando avanti con un altro soggetto.
  Questa cosa è ovviamente una deroga alle attuali disposizioni, quindi vorrei sapere se sia possibile dal punto di vista del diritto sistematizzare questo punto, evitare che il ricorso al TAR anche su altri terreni blocchi i lavori, perché è un problema serio.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Nella relazione l'abbiamo detto e lo ribadisco: invece di far saltare tutto in una fase ancora incerta, si raccomanda di rivolgersi al tribunale della prevenzione...

  FRANCO MIRABELLI. Questo lo capisco, però cito l'esempio dell'Expo: 41 aziende sono state interdette ed è stato detto loro che non avrebbero lavorato.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Perché la norma non c’è, siamo senza strumenti. Non conosco queste vicende...

  FRANCO MIRABELLI. Abbiamo uno strumento nuovo che consente di non attendere il pronunciamento del TAR.

  GIUSEPPE LUMIA. Utilizzando la clausola di gradimento nel caso dell'Expo, immediatamente la stazione appaltante può revocare l'appalto.

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Da dieci anni i Pag. 30protocolli di legalità congegnati dal prefetto Frattasi prevedono questo, non è una novità.

  FRANCO MIRABELLI. Viene applicata solo per le grandi opere, comunque...

  COSTANTINO VISCONTI, Membro della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Sì, e magari a Milano si ha l'idea che si tratti di una novità, ma è da dieci anni che si fa così nei protocolli.
  Le voglio dire, però, che in questo modo lei vede soltanto un lato della questione, perché le chiederei se sia sicuro che quelle 41 aziende non siano infiltrate e meritino di rimanere fuori dall'appalto. Lei non ne è sicuro, io neanche, e il prefetto è sicuro che ci siano elementi di pericolo fa il suo dovere ed emette l'interdittiva. E dopo ?

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. È tardi e concludere con il tema della trattativa dopo più di due ore di discussione credo prospetti un'impresa non facile da realizzare.
  Nella domanda si faceva riferimento a un mio saggio che è stato pubblicato per fattori casuali per intero, cosa inconsueta, ne Il Foglio del 1 giugno scorso, peraltro con un titolo che mi ha creato imbarazzo, del quale naturalmente non sono responsabile, ma è responsabile il giornale.
  Avrei dovuto non condividere la pubblicazione su Il Foglio, però ho pensato poi che fosse meglio così, perché il saggio ha avuto una diffusione che diversamente non avrebbe avuto, perché è stato concepito, come è noto, per una rivista specialistica, e che abbia avuto una diffusione maggiore di quanto non consentisse una sede specialistica dal mio punto di vista è stato positivo.
  Aggiungo però che sta per uscire a fine febbraio un volumetto della casa editrice Laterza sullo stesso argomento, in cui io ripropongo e approfondisco i punti di vista espressi nel primo saggio. Questo saggio avrà un titolo provocatorio, del quale neanche questa volta sono responsabile: La mafia non ha vinto. Il labirinto della trattativa.
  Questo libro sarà composto da un mio saggio, Lo sguardo del giurista, e da un saggio dello storico Salvatore Lupo. Ci siamo trovati a scrivere due saggi confluiti nello stesso volumetto, perché abbiamo non pochi punti di convergenza nell'adottare una determinata ottica ricostruttiva rispetto a quell'insieme di fatti e di fenomeni, che purtroppo assai impropriamente sono stati ricondotti sotto l'etichetta generica e in fondo fuorviante, ma di facile uso mediatico di «trattativa».
  Una delle ragioni fondamentali del disorientamento manifestato dal punto di vista della percezione e anche della conoscenza pubblica di tutto quello che è accaduto è infatti dovuto proprio all'infelice uso del termine «trattativa».
  Non ho il tempo per entrare in profondità e in dettaglio nell'esporre il mio punto di vista, ma vi dico subito che, al di là di ogni contingente intento polemico, l'interesse per l'argomento nasce in me dal fatto che sono uno studioso di diritto penale sempre più interessato ad analizzare i complessi rapporti di interferenza e di interazione, che nell'ambito di processi per tematiche molto complesse si realizzano tra l'approccio ricostruttivo-giudiziario, l'individuazione o il tentativo di individuazione di una fattispecie di reato in termini tecnico-giuridici, il giudizio storico-politico che sta a monte e di cui è portatore lo stesso magistrato, e il giudizio ancor prima anche in chiave etico-politica che il magistrato esprime su determinati fenomeni.
  Dal mio punto di vista si realizza un intreccio molto complesso, che merita di essere lumeggiato, cioè su quanto una preconcetta ricostruzione storica e soprattutto un preconcetto giudizio di condanna in termini etico-politici possa determinare rispetto a una determinata scelta qualificatoria in termini di criminosità.Pag. 31
  Sottopongo all'attenzione come elemento problematico il fatto che l'insieme dei fatti o delle vicende impropriamente etichettate come trattativa ha più volte costituito oggetto di vaglio giudiziario in sedi diverse, presso uffici giudiziari diversi del territorio nazionale o presso diversi uffici giudiziari di una stessa sede come Palermo.
  Non è casuale che diversi magistrati che si sono occupati degli stessi fatti non solo non hanno ravvisato gli stessi elementi di criminosità, ma hanno ancora più a monte fornito una lettura diversa in chiave sia di ricostruzione storica, sia di sottostante giudizio di meritevolezza o di condanna etico-politica.
  È sintomatico, per esempio, che nelle 800 pagine che il Tribunale di Palermo ha dedicato, nell'ambito delle complessive 1.300 pagine, al secondo processo per favoreggiamento nei confronti di Mori, i tentativi di trattativa che vengono considerati condannabili innanzitutto sul piano etico-politico e dotati di rilevanza penale secondo il processo in corso a Palermo, alla stregua del paradigma criminoso di cui all'articolo 338 del Codice penale, da un diverso giudice, l'estensore, sono considerati tentativi meritori nella particolare fase storica in cui sono avvenuti.
  C’è quindi un diverso giudice che non solo non ravvisa estremi di reato, ma esprime apprezzamento, perché il pluralismo delle valutazioni insiste ed entro certi limiti è meglio che esista anche tra magistrati, però entro certi limiti, perché poi, se le valutazioni sono eccessivamente differenziate, si creano elementi di disorientamento.
  Come studioso sono interessatissimo al complesso gioco delle interazioni fra la ricostruzione storica, il giudizio politico, il giudizio etico-politico e poi il tentativo di inquadramento giuridico.
  Lo dico brutalmente: io ritengo che un preconcetto giudizio di disapprovazione etico-politica e la preconcetta adesione a una sorta di tendenza storica per cui la mafia dal secondo ’800 ad oggi ha sempre trattato con lo Stato, un'adesione un po’ dogmatica a questa tesi e un affrettato giudizio di condanna etico-politica.
  Senza valutare tra l'altro un problema molto rilevante, che i magistrati che hanno imbastito l'attuale processo sulla trattativa hanno sottovalutato: il grosso problema di rapporto tra i diversi poteri istituzionali e un grossissimo problema di divisione dei poteri, che i magistrati non hanno adeguatamente valutato. Questo ha comportato un'affrettata tendenza a criminalizzare il comportamento di soggetti in qualche modo titolari pro quota del potere esecutivo.
  Non ho il tempo di motivare le mie affermazioni e in particolare ritengo che l'ipotesi di reato alla fine escogitata, cioè quella di violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato, sia difficilmente sostenibile dal punto di vista tecnico-giuridico, tra le altre cose perché il Governo non è un corpo politico, ma è un organo costituzionale e come tale il riferimento all'organo costituzionale è contenuto nell'articolo 289 del Codice penale e fa riferimento all'attentato contro organi costituzionali, per cui, dal punto di vista non soltanto mio ma anche dei professori di diritto penale, c’è anche un errore giuridico che potrebbe essere considerato anche marchiano.
  Le ragioni che hanno indotto a qualificare il fatto facendo riferimento alla fattispecie di cui all'articolo 338 e non alla fattispecie di cui all'articolo 289 sono complesse, alcune posso intuirle, qualcuno dice probabilmente anche profili legati a un rischio di prescrizione, però non voglio argomentare esplicitamente in questi termini.
  Aggiungo che, se risultassero veri i livelli di coinvolgimento che l'accusa prospetta rispetto ad alcuni dei soggetti istituzionali coinvolti, per coerenza e per rigore penalistico la qualificazione non avrebbe dovuto essere in termini di 238, ma sarebbe dovuta avvenire, alla stregua di paradigmi criminosi molto più gravi e impegnativi, a cominciare dal concorso esterno o addirittura dal concorso morale nelle stragi.Pag. 32
Evidentemente, un passo avanti che non ci si è sentiti di compiere per ovvie ragioni di prudenza, ma questo conferma a mio avviso la poca plausibilità nella configurazione del reato di cui all'articolo 338.
  Nel secondo saggio che ho scritto ci sono maggiori riferimenti alle altre sentenze che si sono occupate della trattativa, in cui metto in evidenza difformità di orientamenti e discrasie. Il fatto che sugli stessi fatti coesistano orientamenti diversi da parte dei magistrati è quantomeno la conferma dell'elevata complessità della vicenda e della stessa problematicità di un suo inquadramento penalistico.
  Raccomando però rispetto a questa questione di evitare la tendenza a giudizi facili, agli slogan o ai giudizi preconcetti, perché siamo di fronte a vicende di particolare complessità, e nel dibattito pubblico purtroppo tutti gli aspetti veramente complicati non sono stati sufficientemente lumeggianti, non solo perché per lumeggiarli tutti ci vuole competenza anche costituzionalistica, ma perché è arduo anche in termini politici affrontarli, e il nostro Paese negli ultimi anni purtroppo non è stato in grado di affrontare politicamente questioni impegnative all'altezza del problema, cioè così come avrebbero dovuto essere affrontate.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. La cosa mi interessa particolarmente, professore. Conosco perfettamente il suo saggio che ho letto e studiato, e da quello che lei dice possiamo arrivare una conclusione di questo tipo e cioè che la magistratura in un certo senso ha invaso il campo politico, per cui quei giudizi si possono esprimere sul campo politico ma non possono essere espressi sul campo giudiziario ?

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Vorrei che questa affermazione non venisse intesa in un senso strumentale...

  PRESIDENTE. Vediamo allora se ho capito bene: Di per sé la trattativa non è un reato, ci sono poteri dello Stato che a fini buoni possono e in alcuni casi devono parlare e interloquire con tutti. Il reato può subentrare quando questa trattativa porta a specifici comportamenti criminosi, per cui o siamo in grado di dimostrare che c’è stato questo o altrimenti la trattativa in sé non può essere considerata reato.
  La tesi del professore mi pare di aver capito, oltre al pluralismo delle sedi, è che non si può disconoscere anche in sede giudiziaria l'articolazione dei poteri dello Stato, che, oltre alla grande divisione costituzionale (legislativo, esecutivo, giudiziario), comporta all'interno degli stessi potere, in particolare quello esecutivo, spazi e obblighi d'intervento, altrimenti, volendo arrivare a soluzioni tranchant, sarebbero illegali i servizi segreti in un Paese e dovremmo abolirli.

  GIUSEPPE LUMIA. Però ci può essere un'altra valutazione. Sono d'accordo con il professore che il pluralismo in questo caso, vista la complessità degli argomenti, non debba essere demonizzato ma possa diventare una ricchezza, però noi abbiamo una discussione aperta per comprendere se la trattativa ci sia stata e abbia rilievi penali, una discussione aperta per comprendere se la trattativa ci sia stata e sia stato anche un dovere esercitarla, ma c’è anche una discussione per comprendere se la trattativa ci sia stata e, al di là dei rilievi penali, siano stati commessi degli abusi e ci sia stato un percorso di legittimazione devastante dell'interlocutore cosa nostra.
  Ecco perché la complessità va analizzata e da un punto di vista della Commissione antimafia il terzo profilo che ho prospettato è un profilo di particolare interesse, che richiama la cosiddetta «responsabilità politico-istituzionale», che da un punto di vista democratico ha un valore di rilievo che va tutelato.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Molto sinteticamente, riterrei che la Commissione antimafia ha Pag. 33più competenza di un tribunale rispetto a questo tema.

  PRESIDENTE. Per arrivare al terzo, però, non si può prescindere dai primi due, quindi la domanda è un'altra.
  Non ho dubbi sul fatto che dovrebbe essere la politica che giudica se stessa e forse, se cominciasse a giudicare se stessa, non sarebbe male ed eviterebbe anche qualche sede impropria, ma non solo perché è ingerenza, ma perché non è in quella sede che si possono accettare certe responsabilità che comunque ci sono.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. I paradigmi sono politici e i paradigmi di quella sede non sono politici.

  PRESIDENTE. Esatto: non sono penali, ma sono politici. Io penso che ci sia un voto di scambio che magari non arriverà mai in una sede giudiziaria e che politicamente è da condannare.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. E che implicano giudizi morali sui quali poi noi facciamo i conti.

  PRESIDENTE. Non c’è dubbio, implicano dei giudizi politici, e sono convinta di questo. La mia domanda è però se siamo in grado in questa fase, quando è in atto un procedimento in sede giudiziaria, di poter contestualmente aprire in questa sede la riflessione.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Il discorso è molto complesso. Io sono pessimista rispetto alla possibilità che si possano compiere anche nell'immediato futuro significativi passi avanti sul piano dell'accertamento per le ragioni che sto per dire. Un eccesso di indagini, cioè un numero rilevante di indagini già realizzatesi sugli stessi fatti ha nel corso del tempo determinato un fenomeno di usura del testimone.
  Le stesse persone ascoltate nel corso di un ventennio più volte sugli stessi fatti, anziché riuscire a contribuire con deposizioni ripetute e successive a un maggiore approfondimento della verità, rischiano di complicare ulteriormente le cose, perché gli stessi testimoni anche inconsapevolmente sono influenzati da quanto ascoltano e leggono anche da parte di altri in sedi diverse.
  Risulta ad esempio dagli atti relativi al processo per favoreggiamento, cui facevo riferimento prima in cui Mori è stato assolto per la seconda volta, che anche magistrati insospettabili nella procura di Palermo, che hanno riferito delle stesse vicende, per esempio la visita insieme a Paolo Borsellino al Ministro dell'interno epoca, in tempi diversi, ascoltati da magistrati diversi hanno riferito cose corrispondenti a ricordi diversi. Lo dico emblematicamente, perché si tratta di magistrati insospettabili.
  Lo stesso è avvenuto con uomini politici, e soprattutto c’è da temere il fatto che i collaboratori di giustizia più furbetti, attraverso tutto quello che hanno letto nel corso del tempo e che hanno ascoltato, danno spesso l'impressione di rivedere ad hoc nel corso del tempo le loro deposizioni.
  Il fatto che si sia messo su un processo sulla cosiddetta «trattativa» in senso stretto, cioè diversa dalle stragi e quindi dai reati per stragi, ha complicato la situazione. Faccio un esperimento mentale. Immaginiamo che non ci fosse stata un'indagine prevale sulla cosiddetta «trattativa» con la configurazione di un'ipotesi di reato e ammettiamo che la vicenda, anziché essere affrontata più volte in tribunale, fosse stata oggetto di indagine soltanto in sede di Commissione antimafia.
  Io credo che, se questo fosse avvenuto con l'obiettivo di un approfondimento della verità storico-politica, senza il fantasma Pag. 34incombente di un'imputazione penale qualsiasi, avrebbe potuto favorire la conoscenza di un maggior numero di fatti rispetto a quanto siamo riusciti a sapere.
Siccome presumo che alcuni dei soggetti coinvolti non siano dei delinquenti e, se hanno anche potuto operare politicamente in modo discutibile, in ogni caso però, ammesso che esistano, non hanno le stimmate del criminale in senso forte, il timore di poter essere coinvolti in un'imputazione penale opera come fattore frenante, inibente, di remora rispetto alla disponibilità a dire più di quanto finora non si sia detto.
  Mutatis mutandis, come voi sapete meglio di me, è avvenuto in certi contesti storici molto più gravi che le famose Commissioni per la verità e la riconciliazione, che sono state messe su in alcuni Paesi con la sospensione del procedimento penale, hanno avuto l'effetto di favorire la disponibilità a ricostruire con minore timore il passato.
  È una mia valutazione personale, ma, poiché a tutt'oggi mi pare che le udienze sinora fatte a Palermo non abbiano fatto emergere elementi nuovi, ma anzi c’è l'impressione che si riversino sempre le stesse cose, e siccome da penalista ritengo improbabile che sia sostenibile un'ipotesi seria di reato connesso alla trattativa, a meno che non risultino prove di coinvolgimenti ben più gravi, che per fortuna non ci sono, un approfondimento degli stessi fatti in una sede diversa dalla sede penale, quindi in una sede politica avrebbe avuto maggiori chances di raggiungere livelli di conoscenza maggiori.
  Per quanto concerne l'interferenza tra giudizio penale e Commissione antimafia, tutto può succedere, ma sono convinto (e concordo con il senatore Lumia) che, soprattutto rispetto al terzo versante, la Commissione antimafia mi sembrerebbe la sede più adatta, ma, essendovi connessa un'ipotesi di imputazione, c’è questo effetto perverso per cui non se ne esce.

  GIUSEPPE LUMIA. Noi abbiamo un precedente interessante, che è stata l'inchiesta della commissione, che forse per la prima volta ha utilizzato pienamente i poteri che la legge le attribuisce simili a quelle della magistratura sul caso Impastato, dove contemporaneamente c'era anche un processo aperto.
  Avere distinto che la finalità della commissione è l'accertamento politico-istituzionale, utilizzando in questo accertamento anche poteri simili alla magistratura in un caso ad esempio ci fece acquisire un documento presso la caserma dei Carabinieri di Cinisi. Sei mesi prima della morte di Peppino Impastato, su segnalazione del Ministero dell'interno che chiedeva di fare una radiografia sui possibili movimenti eversivi che potevano sfociare nel terrorismo, proprio quella Stazione dei Carabinieri valutò l'esperienza di Impastato e due suoi compagni è definì lontana da qualunque ipotesi eversiva quel tipo di attività. Sei mesi dopo, invece, la stessa attività fu attribuito un movente eversivo.
  L'attività della Commissione parlamentare antimafia, che mirava all'accertamento politico-istituzionale, in quel caso riuscì nell'intento e fornì anche una documentazione probatoria, che fu fornita all'autorità giudiziaria, per cui ci fu non sovrapposizione, ma collaborazione tra le istituzioni.
  Così è avvenuto nella passata legislatura, perché in questa commissione, al di là del giudizio finale sulle stragi su cui ci siamo divisi, nacque il caso Conso, il caso 41-bis, elemento dirimente del lavoro ricostruttivo che in sede giudiziaria si sta facendo nacque qui, cioè c’è stata anche una produzione interessante.
  Cito un terzo esempio importantissimo, che già allora si definirono alcuni moventi trattativistici con documenti ufficiali delle forze di polizia, cosa che nacque proprio qui in questa commissione e nella DIA, attraverso il lavoro di scavo e d'inchiesta fatti in questa commissione.
  Con la difficoltà e la complessità del caso, quindi, un lavoro di inchiesta che punti non all'accertamento penale, ma a quello politico e istituzionale, utilizzando i Pag. 35poteri forti che la legge ci consente, può diventare un elemento arricchente e non invece un elemento sconfinante.

  GIOVANNI FIANDACA, presidente della commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per l'elaborazione di una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata. Resta il problema in ipotesi che potrebbe essere individuato qualcuno in grado di riferire qualcosa che potenzialmente però può essere ritenuto penalmente perseguibile.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.30.