XVII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 21 gennaio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 2 

Audizione del Vice Ministro per lo sviluppo economico, professor Antonio Catricalà, sull'ipotesi di cessione da parte dello Stato di una quota del capitale di Poste italiane SpA (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 2 
Catricalà Antonio , Vice Ministro per lo sviluppo economico ... 2 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 4 
Catalano Ivan (M5S)  ... 4 
Biasotti Sandro (FI-PdL)  ... 5 
Coppola Paolo (PD)  ... 5 
Quaranta Stefano (SEL)  ... 6 
De Lorenzis Diego (M5S)  ... 6 
Mura Romina (PD)  ... 7 
Bergamini Deborah (FI-PdL)  ... 8 
Liuzzi Mirella (M5S)  ... 8 
Garofalo Vincenzo (NCD)  ... 9 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 10 
Catricalà Antonio , Vice Ministro per lo sviluppo economico ... 10 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Vice Ministro per lo sviluppo economico, professor Antonio Catricalà, sull'ipotesi di cessione da parte dello Stato di una quota del capitale di Poste italiane Spa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Vice Ministro per lo sviluppo economico, professor Antonio Catricalà, sull'ipotesi di cessione da parte dello Stato di una quota del capitale di Poste italiane Spa.
  Tenendo conto anche del leggero ritardo dovuto ai lavori dell'Assemblea, darei subito la parola al professor Catricalà per la relazione introduttiva.

  ANTONIO CATRICALÀ, Vice Ministro per lo sviluppo economico. Grazie presidente. La mia sarà una relazione breve in quanto i termini esatti della privatizzazione saranno definiti dal Consiglio dei ministri e successivamente trasmessi per il parere alle Commissioni parlamentari, secondo quanto prevede la legge.
  Il Gruppo Poste italiane, nel corso degli ultimi anni, si è consolidato sulla diversificazione dei servizi, sull'integrazione delle piattaforme e dell'offerta e sulla continua innovazione di prodotto. Per continuare a creare valore, il Governo ritiene che il processo di privatizzazione del Gruppo Poste Italiane debba avvenire mantenendo l'unitarietà del Gruppo stesso. Questo esclude l'ipotesi di vendere solo una parte di Poste.
  L'infrastruttura di Poste Italiane è di particolare rilevanza. È il più grande datore di lavoro del Paese con 145.000 persone. La rete fisica è composta da 13.000 uffici postali, 2.500 uffici di recapito, 19 centri di meccanizzazione postale, 110.000 postazioni di lavoro, contact center con 900 operatori, canale web con oltre 8 milioni di visitatori unici e 26.400 portalettere dotati di terminale per l'erogazione di servizi mobili.
  Poste Italiane dispone di un'infrastruttura ICT integrata che offre supporto e connettività alla rete fisica, alla rete logistica e alla rete dei servizi mobili di Poste e garantisce la possibilità di accedere in multicanalità a tutti i servizi. Di particolare rilevanza sono anche la rete logistica e il business della telefonia cellulare. Poste mobile è un operatore virtuale.
  I principali numeri di riferimento sono: 50 milioni di operazioni al giorno; 220.000 pacchi movimentati giornalmente; oltre 14 milioni di lettere al giorno; 19 milioni di carte di pagamento, di cui 12 milioni prepagate (Postepay è la prima carta prepagata in Europa); 400 miliardi di euro di risparmio italiano gestito; 2,8 milioni di clienti della telefonia cellulare (Poste mobile è primo tra gli operatori virtuali in Pag. 3Italia); 13,2 miliardi di euro di premi vita raccolti nel 2013; 2 milioni di conti on line.
  Nel 2012, Poste ha avuto ricavi per oltre 24 miliardi di euro e utili superiori al miliardo di euro. Tutti i settori in cui Poste Italiane opera sono già da anni completamente liberalizzati e sottoposti alla vigilanza delle rispettive autorità di settore.
  Poste Italiane, quindi, possiede i requisiti necessari per avviare un processo di privatizzazione. Il piano industriale si basa su una strategia che ha già dato i propri frutti. Si è già verificata, in via preliminare, l'esistenza di un atteggiamento positivo da parte del management, dei dipendenti e delle organizzazioni sindacali. Il patrimonio con i mercati finanziari, con recente emissione di prestito obbligazionario, e i rapporti con le agenzie di rating sono consolidati. I sistemi e i processi contabili sono già quelli adottati dalle società quotate col sistema dell’International Accounting Standard. La separazione contabile è certificata a livello europeo.
  Rimangono alcuni aspetti da completare, la cui realizzazione è comunque necessaria a prescindere dalla privatizzazione, come il contratto di programma. Si tratta di dare seguito al contratto di programma con le nuove modalità, che prevedono che il servizio offerto dia piena correlazione tra ricavi e costi sostenuti – bisogna dimostrare all'Unione europea che non c’è un aiuto di Stato, e che quindi quello che paghiamo è comunque uguale o inferiore al costo effettivo del servizio stesso.
  Vi è, inoltre, la convenzione con Cassa Depositi e Prestiti che, in scadenza nel 2013, è già in corso di rinegoziazione. I contenuti vanno trasferiti in un contratto pluriennale. In Europa, gran parte degli operatori è stata privatizzata. Molti operatori, infatti, hanno subìto la privatizzazione. Nella quasi totalità dei casi, ad esclusione delle Poste olandesi, con il 100 per cento del capitale sul mercato, lo Stato ha mantenuto una partecipazione tale da garantire il controllo delle società.
  Sono state previste modalità di cessione di azioni ai dipendenti. Ciò vale per Germania, Austria, Regno Unito, Belgio e Portogallo. Non vale per l'Olanda, ma lo Stato olandese non ha trattenuto neanche una quota propria di partecipazione. In Italia, le privatizzazioni sono disciplinate dalle due leggi fondamentali n. 474 del 1994 e n. 481 del 1995.
  La prima, all'articolo 1, stabilisce che la modalità di cessione delle società partecipate direttamente dallo Stato sono determinate con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanare su proposta del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dello sviluppo economico. Tuttavia, la legge n. 481 del 1995 prevede che, per i servizi di pubblica utilità, il Governo, verificata l'esistenza delle autorità di settore, definisca le modalità di vendita e le trasferisca al Parlamento per il parere. Secondo i precedenti, quindi, la privatizzazione avverrà nel rispetto del combinato disposto delle due leggi.
  Per essere più chiaro, sarà preparata una bozza di DPCM dal Ministero dell'economia e delle finanze, che otterrà il concerto del Ministero dello sviluppo economico. Successivamente, il Consiglio dei ministri approverà lo schema di decreto, che sarà trasmesso in Parlamento per il parere delle Commissioni competenti. La delibera definitiva sul DCPM ritornerà in Consiglio dei ministri per l'approvazione finale e sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
  Il tempo necessario per questa procedura è di circa 2 mesi. Nel frattempo, il Ministero dell'economia e delle finanze, sulla base dello schema del DPCM elaborato in prima istanza dal Consiglio dei ministri, potrà attivare gli studi necessari e preparare la cosiddetta equity story, quindi predisporre gli atti necessari per la migliore presentazione al mercato. Una volta approvato in via definitiva il DPCM, bisognerà presentare l'operazione alla CONSOB e a Borsa Italiana. È immaginabile un periodo tra i 5 e i 6 mesi per definire i dettagli dell'operazione e concluderla.Pag. 4
  Negli anni Novanta, per Eni ed Enel il DPCM definì varie possibilità di vendita, dall'offerta pubblica alla trattativa privata, cioè dalla quotazione in borsa fino alla vendita diretta. La scelta deve essere lasciata al Ministero dell'economia, che ha le migliori competenze per procedere all'operazione, anche a prescindere dal fatto che presso il ministero siede il Comitato per le privatizzazioni.
  Lo spettro delle opzioni è, del resto, ristretto poiché il Governo deve prevedere modalità di vendita trasparenti e non discriminatorie. Prima che il DPCM sia approvato nel suo primo schema, non è possibile con serietà anticipare quali potrebbero essere le modalità di cessione né se ci saranno diverse fasi di vendita con diverse modalità, quindi una prima fase di vendita diretta e una seconda di vendita in borsa. L'orientamento è di mantenere sia il controllo sia la maggioranza del capitale in mano allo Stato. Altro fatto importante è che una quota sarà riservata ai dipendenti. Gli incentivi all'acquisto, naturalmente da parte dei dipendenti, potrebbero essere quelli utilizzati secondo le prassi internazionali e i precedenti.
  La privatizzazione comporterà una provvista di risorse utili a ridurre la nostra esposizione debitoria – come è noto, i soldi che vengono dalla privatizzazione di asset devono essere destinati al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato – e sarà anche strumento di incentivo per la maggiore efficienza dei servizi, che quindi non solo non diminuiranno ma miglioreranno, e per l'ampliamento dell'offerta che una grande azienda come Poste Italiane è in grado di formulare.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Catricalà anche per la sua chiarezza.
  Do ora la parola agli deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  IVAN CATALANO. Fino alla lettura delle ultime quattro righe, in effetti non si capiva perché il Governo volesse privatizzare Poste. Quando abbiamo audito, a suo tempo, l'ingegner Sarmi per l'illustrazione del piano di riorganizzazione aziendale di Poste, ci disse quanto fosse bella l'azienda, efficiente, come l'utile realizzato fosse stato nel 2012 di un miliardo di euro e rappresentasse un risultato da rendere orgoglioso l'intero Paese, come l'azienda fosse il primo datore di lavoro, quanto potesse essere al servizio della pubblica amministrazione e volesse gestirne la digitalizzazione nonché l'identità digitale dell'intero Stato italiano.
  Lei ci ha illustrato le premesse, per cui non si capiva perché si volesse privatizzare Poste. Leggendo le ultime quattro righe, ne abbiamo capito la ragione. Si vuole privatizzare Poste perché va bene, è una bella azienda, quindi sul mercato può dare un po’ di soldi e possiamo buttarli via nel debito pubblico.
  Non capisco, però, la seconda parte, come potrebbe essere questo uno strumento incentivante e di ampliamento dell'offerta su Poste Italiane. Non capisco come mai un'azienda con un utile di un miliardo di euro dovrebbe essere favorevole alla privatizzazione di se stessa per poter mettere più asset a disposizione per migliorare il proprio servizio. Delle due l'una: o la descrizione che ci avete fornito di quest'azienda è una menzogna o sono una menzogna i dati di bilancio di Poste, che quindi non ha quel miliardo di euro di utile. Se le servono soldi per migliorare i servizi, infatti, quell'utile di un miliardo di euro non c’è. Non capisco per quale motivo la privatizzazione dovrebbe rappresentare un guadagno per Poste.
  Quanto alla diminuzione del debito pubblico, si sa bene che non è con la privatizzazione dei beni dello Stato che si può risolvere il problema. Si sta svendendo un'azienda che, a quanto affermato da voi e da Poste, vale un miliardo di euro di utile nel 2012, ha un ricavo di 24 miliardi di euro, ha 400 miliardi di euro di risparmio gestito con la Cassa depositi e prestiti, ha accordi con altre banche per la gestione dei fondi di garanzia, del microcredito, dei prestiti alle imprese del Mezzogiorno, fa parte di parecchi programmi di sviluppo per il Paese, ha accordi con tutte le banche, con Deutsche Pag. 5Bank, con Mediolanum, con Monte dei Paschi di Siena, UniCredit, BNP Paribas.
  Tutte le banche presenti in questo Paese hanno accordi con Poste Italiane, un'azienda di telefonia mobile con numerosi clienti e prima in Italia, quindi il ragionamento è: facciamocene un vanto, privatizziamola, in modo che siamo contenti tutti ed eliminiamo il nostro debito pubblico.
  Questi sono i paradossi del nostro Paese che non si capiscono mai. Si capisce benissimo perché si vuol privatizzare Poste. Probabilmente, lo Stato vuole liberarsi di alcune grane presenti nell'azienda, i problemi nel Mezzogiorno, come nel caso dell'indagine «Lost pay» sul riciclaggio di denaro della mafioso. Lo Stato vuole liberarsi di questi problemi con la privatizzazione di Poste, attribuire una parte di responsabilità al privato, così da liberarsi dei problemi che ha nel Mezzogiorno o di tutti quelli legati alla gestione del personale.
  Il Governo non risponde quando lo si interroga sulle questioni del personale di Poste Italiane perché la questione della gestione amministrativa dell'azienda non sarebbe di competenza del socio di maggioranza, anzi socio unico: immagino, quando questa azienda sarà privatizzata e che lo Stato, presumibilmente, ne avrà il possesso per un 31 per cento, cosa potrà rispondere all'interrogazione riguardo il servizio universale posta da un parlamentare.
  Risponderà che possiede il 30 per cento, meno di quanto possedeva prima, quando non aveva la possibilità di rispondere: quindi ci fornirà il 70 per cento di risposte in meno sulle questioni. Quest'operazione di privatizzazione di Poste non convince affatto. Non so quale sia il reale motivo per cui il Governo vuole privatizzare Poste.

  SANDRO BIASOTTI. Come forza politica, dovremmo essere assolutamente d'accordo su un piano del genere, ma da un po’ di tempo – chi è in Commissione ci ha ascoltato – nutriamo alcuni dubbi.
  Ne nutriamo, anzitutto, per l'esperienza precedente. Le più grandi privatizzazioni risalgono al Governo Bersani e, obiettivamente, i risultati sono stati, per mille motivi, indipendentemente dalla volontà, del tutto deludenti. Telecom è proprio l'esempio massimo di pessima privatizzazione.
  Adesso abbiamo il caso di una società al 100 per cento controllata, che funziona e funziona proprio perché è controllata al 100 per cento dello Stato: obiettivamente, ci poniamo un po’ di perplessità, anche manifestandola, Vice Ministro, in relazione alla sua esposizione, a mio avviso troppo carente per esprimere un giudizio.
  Capisco che forse lei non potrebbe dire niente di più, ma siamo qui proprio per capire, per sapere, per decidere se esprimere un parere positivo o negativo. Non conosciamo, però, la quota, i prezzi, non sappiamo se esistano blocchi da parte del sindacato. La paura, sostanzialmente, è che finisca in mano a qualcuno, a qualche capitano coraggioso, un 5 per cento e che poi questo gestisca la società nei modi già visti e che non ci sono piaciuti. Questa, quindi, è un po’ la perplessità di Forza Italia.
  Approfitto per rivolgerle alcune domande che sono state suggerite dai miei colleghi. È vero o non è vero che, a fronte di un'ipotetica privatizzazione del 40 per cento, che potrebbe realizzare per lo Stato 4,5-4,8 miliardi di euro, dovremo pagare altrettanto se non di più a Poste – così leggo – 5 miliardi in 3 anni per garanzie per la raccolta postale, in aggiunta 350 milioni di euro di sussidio per il servizio universale e ancora un miliardo di euro per coprire i debiti pensionistici ? Potrà risponderci anche successivamente.

  PAOLO COPPOLA. Vorrei porre una domanda e fare un commento. Partendo dalla relazione del Vice Ministro, l'orientamento è quello di mantenere il controllo della maggioranza e l'obiettivo è quello di abbattere il debito pubblico. Non sono un esperto di finanza, ma mi sono domandato anzitutto quale sia la remuneratività del capitale di Poste in questo momento.Pag. 6
  Da quanto osservato dal collega Biasotti, capisco che il capitale è più o meno di 11 miliardi di euro – se il 40 per cento è 4,5-4,8 miliardi e se con un miliardo di utile siamo intorno al 10 per cento, a spanne è quello – mi domando, benché in modo molto grezzo e semplificato, se sia il caso di abbattere un debito al 4 per cento con un investimento al 10, a meno di chiarissimi segnali che il debito al 4, o quale che sia la percentuale, durerà comunque a 15 anni, mentre la redditività di quel capitale avrà un andamento assai diverso nello stesso periodo.
  In secondo luogo, alla fine ci dice che la privatizzazione, pur non essendo di controllo, sarà uno strumento di incentivo per la maggiore efficienza dei servizi e l'ampliamento dell'offerta. Sinceramente, per quanto creda nel mercato, non credo che il semplice ingresso di un socio privato renda per magia tutto più efficiente. Mi sembrerebbe, al contrario, strano che un'azienda che va bene, come è stato sottolineato, abbia bisogno di un socio privato per fare meglio. Se ci sono margini per andar meglio, facciamolo.

  STEFANO QUARANTA. Quando l'ingegner Sarmi venne in audizione in Commissione, molti di noi fecero un pubblico riconoscimento delle capacità dimostrate nella gestione dell'azienda e per i risultati ottenuti, risultati che lei ha anche ricordato nella sua relazione di oggi. In pratica, ci ha anche ricordato cosa rappresenta oggi Poste nel Paese in termini di posti di lavoro, di presenza sul territorio, di reti informatiche.
  Già altri colleghi ricordavano quale sia stato l'esito di alcune altre privatizzazioni, da Telecom ad Alitalia, a Ilva, ed è chiaro che in tutti noi ci sia una forte preoccupazione a pensare che un gioiello del genere possa fare una brutta fine.
  La forza di questo Gruppo, che consiste nel tenere insieme gli aspetti della logistica con quelli finanziari, nell'aver costruito sinergie che hanno portato a risultati positivi e nel fare un importante concorrenza in tanti settori, da quello assicurativo a quello bancario, contribuendo anche a un risultato davvero positivo per il Paese in quanto tale, ci induce a ribadire la nostra totale contrarietà a questa forma di privatizzazione.
  Trovo anche un po’ contraddittorio che, mentre si privatizza, si sia chiesto a Poste di svolgere un ruolo, ad esempio, nel salvataggio di Alitalia. In questo modo, si riconosce implicitamente il buon funzionamento di quest'azienda e, grazie al fatto che è pubblica, si è potuto procedere a quell'operazione su Alitalia. D'altro canto, anziché portare avanti questo tipo di politica, che ha dato così buoni risultati, si intraprende la strada della privatizzazione.
  Espressa la nostra totale contrarietà, avrei però voluto almeno ricevere ulteriori notizie sulle modalità di questa privatizzazione, la percentuale, quali investitori si auspicano. Tra l'altro, quando esplicitamente a Sarmi chiesi se fosse favorevole o contrario alla privatizzazione, ci fece capire in maniera direi chiara che era contrario.
  Allora si parlava, a dire il vero, di privatizzare alcuni settori del Gruppo Poste, in particolare quello assicurativo, che è poi quello che garantisce la massima redditività. Quest'approccio è già, a mio avviso, meno peggio di quello che si voleva portare avanti qualche mese fa. Tuttavia, senza un quadro con maggiori elementi, diventa davvero difficile esprimere un giudizio, precisato che dal punto di vista di principio siamo contrari.
  Perché quest'audizione sia utile, forse dovremmo disporre di qualche elemento in più. In caso contrario, si tratta sostanzialmente di una ratifica di quanto abbiamo sentito e letto, ma che non ci offre elementi sufficienti per interloquire e dire fino in fondo la nostra.

  DIEGO DE LORENZIS. Oltre a condividere i commenti già ascoltati dai colleghi in merito alla lacunosità della relazione, al fatto che non sono quantificati i benefici di quest'operazione, aggiungerei una terza ipotesi alle due già citate dal collega Ivan Catalano. Secondo Catalano, sostanzialmente, o le cifre citate nel bilancio sono Pag. 7fasulle o non corrisponde al vero la relazione sulla grandezza dell'azienda che distribuisce utili.
  E vengo alla terza ipotesi: evidentemente, se decidiamo di privatizzare un'azienda a totale controllo pubblico che effettivamente produce utili, senza dirlo in campagna elettorale e, soprattutto, sorprendendo i partiti di maggioranza che appoggiano il Governo, credo che l'ipotesi – a mio avviso abbastanza evidente – sia un'altra. Bisogna fare, cioè, un regalo a qualcuno, regalare uno degli asset strategici italiani, tra i pochi rimasti, a privati che non si sa chi siano al momento né che garanzie offrano. Questo sarà mascherato, come spiegherete in televisione in qualità di partiti di maggioranza, dietro gli interessi degli italiani: si dirà che l'operazione serve per diminuire il debito pubblico.
  Ora, il debito pubblico è di 2.000 miliardi di euro con un interesse di 100 miliardi ogni anno: mi spiegate quale avete stimato che sia la vostra ipotesi di ritorno da quest'operazione ? Il Governo pensa che con una relazione di tre pagine possa giustificarsi davanti al Parlamento, che dovrebbe in realtà prendere queste decisioni e il Governo eseguirle, e con una relazione che ribadisco scarna definire la volontà del Governo a insaputa dei partiti di maggioranza.
  Mi aspetterei, su queste questioni, chiarimenti molto più precisi e puntuali. Ribadisco che non esiste alcuna convenienza, dal punto di vista dello Stato italiano e dei cittadini, a questo tipo di operazione, a meno che qualcosa non sia stato detto.
  Si parla, inoltre, di diverse possibilità, dalla vendita diretta all'offerta pubblica, e anche qui si sostiene che sarà garantita la trasparenza: vorrei capire se questo tipo di operazioni, pur essendo già state normate dalle leggi citate, non facciano sobbalzare rispetto a quanto è già successo negli anni passati.
  Si parla di Poste come della più grande azienda italiana e del più grande datore di lavoro perché le altre grandi aziende, a seguito delle privatizzazioni, non sono più le grandi aziende che avevamo. Telecom Italia o Alitalia erano grandi aziende, molto più grandi di Poste Italiane. Se questa è la fine che volete far fare anche a Poste Italiane, sinceramente nutriamo, ma evidentemente non siamo gli unici, qualche dubbio. O riuscite a essere leggermente più convincenti come Governo e come partiti di maggioranza o forse questo tipo di audizione non dovrebbe tenersi.

  ROMINA MURA. Il patrimonio di Poste Italiane, in termini sia di servizio pubblico, oltre che di altri servizi che hanno contribuito a rendere grande Poste Italiane e a consentirle anche di entrare nel mercato, sia di posti di lavoro, come il Vice Ministro ci ha elencato, è di tale importanza che, rispetto a un percorso di privatizzazione – mi unisco ai colleghi – sarebbe il caso di ricevere maggiori dettagli, capire esattamente dove porta, e perché è visto come una modalità per migliorare i servizi.
  Oltretutto – colgo l'opportunità nella presenza del Vice Ministro – constatiamo in questi ultimi mesi alcuni disservizi di Poste che derivano proprio dall'esternalizzazione della gestione di alcuni servizi fondamentali. Mi riferisco a una delle articolazioni dell'organizzazione di Poste che ha citato, i centri di meccanizzazione postale. Si stanno presentando in questi mesi, a seguito dell'avvicendamento della gestione del servizio medesimo, grossi problemi di efficienza e di funzionamento.
  Ricordiamo per i colleghi, ma immagino sia risaputo, che i centri di meccanizzazione postale sono i luoghi fisici dove avviene la fase di lavorazione fondamentale per la posta, cioè lo smistamento: la posta arriva, viene smistata e poi parte verso i cittadini.
  A seguito di quest'avvicendamento di gestione, questo servizio non funziona più come aveva funzionato sino ad allora. Il dubbio – definiamolo così, come Partito Democratico stiamo anche preparando un atto di sindacato ispettivo per avere maggiori chiarimenti dal Governo – è che quel servizio non funzioni più perché il soggetto privato che lo gestisce ha deciso di rinunciare, ovvero sostituire parte del personale qualificato con personale generico.Pag. 8
  Questo tema, che apparentemente esce fuori un po’ dal ragionamento che abbiamo proposto stamattina con la questione della privatizzazione di Poste, richiama tutti noi a una grande attenzione rispetto alla privatizzazione di un servizio pubblico che definirei essenziale, universale, qual è quello postale, così come anche richiamato nella Carta dei servizi di Poste.
  A questo proposito, chiederei al Vice Ministro maggiori dettagli rispetto al percorso di privatizzazione e di fornirci delle delucidazioni rispetto al caso specifico dell'anticipazione di quello che potrebbe succedere attraverso la privatizzazione di altri servizi di carattere pubblico.

  DEBORAH BERGAMINI. Ringrazio il Vice Ministro per la sua relazione. Vorrei fare un breve commento. Lei stesso ha ricordato che stiamo parlando di cedere quote detenute dallo Stato della più grande azienda italiana. Forza Italia – mi associo alle parole del capo gruppo Biasotti – non è mai stata contraria alle privatizzazioni nella maniera più assoluta. Al contrario, è stata sempre favorevole, ma qui effettivamente, come evinciamo dal dibattito che si sta tenendo, penso che su parecchie questioni sia molto importante avere dei chiarimenti dal Governo.
  Tanti sono gli aspetti che generano timore. Si cederebbe un pacchetto di quote incamerando così denaro immediato, che andrebbe, come sappiamo molto bene, ad abbattere il debito. Allo stesso tempo, però, vedremmo uscire dalla finestra questi soldi che entrano dalla porta. Non è un segreto per nessuno: la politica di sussidi alle Poste da parte dello Stato non verrebbe a cessare.
  Rinunciamo, allora, a delle quote, incameriamo lì per lì un'importante quantità di denaro che va ad abbattere il debito, ma negli anni continuiamo a versare denaro alle Poste, quindi ci impoveriamo come proprietari e continuino a sussidiare Poste. Il denaro entra e allo stesso tempo esce.
  Bisogna essere capaci di convincere che quest'operazione, da un punto di vista economico e finanziario, regga. Sappiamo molto bene che l'imperativo di tutte le democrazie che fanno parte dell'Unione europea oggi è l'abbattimento del debito, ma dobbiamo anche farci carico di immaginare quale sia il futuro industriale e il futuro, se mi consentite, anche familiare di un'azienda da 145.000 dipendenti. Forse bisognerebbe esprimere con più chiarezza una visione che si vuole avere dell'assetto della maggiore azienda italiana.
  Giustamente lei ha fatto anche dei paragoni con altre esperienze europee, di cui questa Commissione ha sentito parlare in più occasioni anche nella precedente legislatura. Aggiungo che tutto questo accade in un ambito, quello nazionale, dove sono presenti ancora restrizioni normative anticoncorrenziali denunciate tante volte, anche in contrasto con le normative comunitarie: la riduzione del perimetro del servizio universale, in particolare con riferimento alla posta business; l'eliminazione di ogni forma di riserva per quello che riguarda il fornitore del servizio universale; la rivisitazione, in generale, del regime delle agevolazioni perché quella è un po’ una giungla. Teniamo presente anche questo. Non siamo in un settore veramente aperto in Italia, e quindi dobbiamo fare fronte anche a questo elemento.
  Un'ultima domanda è relativa a un accenno da lei fatto nella relazione di una quota da destinarsi ai dipendenti, in caso di eventuale vendita. Forse sarebbe interessante per tutta la Commissione capire se si sia già delineato un percorso, un criterio. Credo che anche questo sia un elemento importante da comunicarci, da condividere con noi.

  MIRELLA LIUZZI. Ci tenevo a fare questo intervento, nonostante sia il terzo del nostro gruppo perché la questione non è importante, ma molto più importante di quanto sembri. Questo è un piano di privatizzazione di alcune aziende come Eni, Finmeccanica, Fincantieri, ENAV e adesso Poste Italiane che il Presidente Letta ha chiaramente annunciato all'inizio, come anche il Ministro Saccomanni. Pag. 9Stiamo andando in una direzione già tracciata negli scorsi mesi.
  Oltre al fatto che questa privatizzazione è pericolosissima, mi soffermerei sulla motivazione, quella del debito pubblico. Non esiste motivazione più ridicola. Come ben sappiamo e ci hanno dimostrato diversi economisti, il debito pubblico italiano attualmente è causato soprattutto dal debito privato, dall'indebitamento di soldi pubblici investiti in banche, per la liberalizzazione di alcuni servizi e anche dall'entrata nell'euro. Non va dimenticato.
  Credo, quindi, che il debito pubblico sia assolutamente un falso problema. Vorrei che rimanesse agli atti che, se poniamo questa come motivazione alla vendita di Poste Italiane, come la porremo per Eni e Finmeccanica, riparleremo nei prossimi anni, ne riparlerà chi resterà in Italia, di quanto sta succedendo attualmente.
  Non è mai successo che la vendita di attività pubbliche potesse restaurare il debito pubblico. Lo stock di debito non va migliorato grazie alla vendita di questi servizi. È evidente che potranno comprare Poste anche capitali esteri, magari anche Stati centrali, come la Germania. Torniamo, così, sempre alla stessa questione.
  Non stiamo parlando di Poste Italiane, ma di come vogliamo gestire questo Paese, come l'Italia vuole affrontare il suo ruolo nell'Europa e come vogliamo affrontare la questione del debito pubblico. Francamente, ci siamo stancati. Non mi rivolgo a lei, ma mi riferisco proprio ai princìpi di base del Governo. Ci si muove, effettivamente, su una linea programmatica del Governo chiara dall'inizio. Stiamo comunque attraversando un momento molto particolare della nostra storia nazionale.
  Tornando al caso specifico di Poste Italiane, un'azienda che a quanto parrebbe va bene, ci sembra assolutamente insensato cedere addirittura il 40 per cento del capitale in essa detenuto.

  VINCENZO GAROFALO. Abbiamo più volte ascoltato l'amministratore delegato Sarmi, che ci ha illustrato le performance del Gruppo Poste Italiane, la consistenza, il livello di attenzione ai servizi, anche la capacità di affrontare l'ammodernamento in un settore in cui, ovviamente, il rischio poteva essere quello di mantenere semplicemente i servizi universali come prevalente attività. Questa capacità, invece, è stata in effetti sviluppata al punto che oggi quest'azienda produce un dividendo pari a un miliardo di euro l'anno e anche superiore, che quindi diventa solamente un'entrata per lo Stato.
  Per quanto favorevoli all'idea della privatizzazione, cioè che lo Stato torni a essere e mantenga la sua posizione di Stato, di regolatore e di garante dei servizi essenziali, francamente, anche a partire dalle parole del Vice Ministro, credo siano necessari ulteriori elementi. Quelli forniti sono pochi rispetto alla necessità di chiarirci le idee in relazione al percorso delle cosiddette privatizzazioni o cessioni di partecipazioni dello Stato.
  Le esperienze vissute e che hanno citato i miei colleghi, infatti, sinceramente ci hanno creato una quota non modesta di diffidenza. Spesso da questi percorsi si sono concatenati effetti di spogliamento di asset dello Stato a vantaggio di privati. Telecom è stata citata: tutto il patrimonio di Telecom è diventato patrimonio di Gruppi che, nel susseguirsi dei vari passaggi di azioni o di cessioni, alla fine hanno lasciato l'azienda con un patrimonio inferiore e cliente, per quanto riguarda locazioni di immobili, di altri gruppi, un sistema che quindi non ha funzionato, ed è inutile nasconderci.
  In merito all'ipotesi che riguarda Poste Italiane e anche le altre, ma ci soffermiamo su questa, credo sia anzitutto necessario approfondire un po’ meglio tutti gli aspetti della valorizzazione, come è stato sottolineato dai colleghi Biasotti e Coppola. Oggi, lo Stato paga degli interessi, quando prende del denaro a prestito, intorno al 3 per cento per un valore già abbastanza alto al momento. In questo modo, se i numeri citati sono veritieri e corretti, cederebbe una partecipazione che le rende il 10 per cento.
  D'altro canto, a me non preoccupa solo un'adeguata valorizzazione del capitale o di quanto viene ceduto, ma anche quello Pag. 10che succede dopo. Se, infatti, il controllo della società, attraverso le varie forme di governance o le scelte che possono susseguirsi, farà perdere quella forza, quella capacità, quella patrimonialità che oggi quest'azienda vanta, alla fine avremmo non solo perso cedendo per valori non risolutivi rispetto al debito pubblico per lo Stato, ma avremmo domani un ulteriore problema da affrontare, magari quegli azionisti ci direbbero di ricomprare o di rivendere allo Stato le quote che si sono acquistate perché il problema è attuale per altri servizi dello Stato e si può rivelare un problema sociale.
  Le informazioni di cui disponiamo oggi sono, francamente, un po’ scarse per esprimere compiutamente una considerazione. Non vi è, quindi, nulla contro la cessione di partecipazioni dello Stato, ma forse quella di Poste Italiane fatta in questa maniera non è una delle migliori cessioni.

  PRESIDENTE. Restituisco, quindi, la parola al Vice Ministro Catricalà per la replica.

  ANTONIO CATRICALÀ, Vice Ministro per lo sviluppo economico. Quando mi è stato chiesto di venire a riferire sulle notizie comparse sulla stampa di riunioni alla Presidenza relative alla privatizzazione, il mio primo istinto è stato quello di aspettare il testo del DPCM prima di venire a riferire. In assenza, infatti, di una delibera del Consiglio dei ministri, cosa avrei raccontato a questa Commissione ?
  Sono, però, un servitore dello Stato e so che, quando il Parlamento chiama, non si possono definire la data e il momento più opportuni. Mi sono detto che avrei riferito allo stato degli atti. Mi sembra di aver chiarito nella relazione che parlare di numeri e di scelte determinanti, relative ad aspetti importanti, come la governance o le modalità di privatizzazione, senza lo schema di DPCM approvato dal Governo e dal Consiglio dei ministri, è poca roba, ma sono venuto a illustrare quelle che so essere decisioni ormai assunte dal Presidente del Consiglio, come quella di procedere alla privatizzazione non di asset, ma di una quota, quindi di mantenere l'unitarietà di questo Gruppo.
  Il fatto che la società vada bene dipende da quest'unitarietà del Gruppo. Indubbiamente, si potrebbe pensare che alcuni settori sono più profittevoli, altri lo sono meno, ma la forza di Poste è di avere insieme tutte queste caratteristiche. Un altro elemento positivo è riservare una quota ai dipendenti.
  Esistono poi problemi di debito e credito tra Stato e Poste. Non parlerei di sussidi. La regola è che lo Stato deve pagare a Poste il costo del servizio universale. In realtà, questo non è mai accaduto finora. Il costo del servizio universale si aggirava sui 700 milioni di euro: lo Stato ha sempre pagato intorno alla metà. Questo problema si riproporrà anche in futuro perché la legge di stabilità ha già stabilito per il 2014, il 2015 e il 2016, delle cifre che, stando all'esperienza, potrebbero diminuire, certamente non potrebbero aumentare.
  Conta che lo Stato non paghi più di quel costo. Quello sarebbe un sussidio, un aiuto di Stato. È per questo che le modalità di determinazione del costo sono affidate non al Governo, ma a un'autorità indipendente. Nonostante sia stabilito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, saremo ugualmente presenti a Bruxelles per spiegare quali sono queste modalità e in che modo vogliamo arrivare alla determinazione; stiamo parlando di centinaia di milioni rispetto all'importanza miliardaria rivestita da Poste. Questa è la ragione per cui tenevo a far capire che il Governo condivide l'impostazione positiva sulla capacità di Poste di attrarre mercati con la stessa esposizione che altre volte vi ha fatto l'amministratore delegato Sarmi.
  Privatizzazione è indubbiamente un brutto termine se messo in relazione ad altri episodi del passato, in particolare quello di Telecom. Penso che questo sia l'esempio che piace meno. In questo caso, non si tratta di mantenere allo Stato solo una quota di controllo, ma anche la maggioranza delle azioni. Non posso anticipare se sarà il 40, il 41 o il 39 per cento Pag. 11perché può stabilirlo solo il Consiglio dei ministri, che però so che se occuperà quanto prima. In questo momento, è in corso una riunione al Ministero dell'economia per stabilire questi importantissimi dettagli.
  È chiaro che la Commissione dovrà esprimersi compiutamente, ma potrà farlo non sulla base di una relazione allo stato degli atti come la mia di oggi e prima che l'intero Governo sia informato, bensì nel momento dell'approvazione di uno schema di decreto. Pur trattandosi, infatti, di una privatizzazione non generale, siccome riguarda dei pubblici servizi che anche noi riteniamo essenziali, il passaggio al Parlamento è obbligato e, ovviamente, in quella sede saranno esplicitati numeri e modalità. Questo è di tutta evidenza. Il DPCM, infatti, contiene le disposizioni che regolano tutta la procedura.
  È chiaro che quando si parla di affidamenti diretti, cioè di vendita diretta, si tratta sempre di procedure non discriminatorie. Non si sceglie questo o quello, ma semplicemente si vende, come al solito, al miglior offerente. Naturalmente, al dipendente o ai cittadini che intendano comprare, si offrono incentivi come quelli che tutti ricorderanno furono concessi per ANAS, quando la bonus share consentiva, a chi manteneva l'azione per un certo periodo, di riceverne una gratis ogni 10 o 15.
  Le modalità sono molte e complesse ed è per questo che esistono uffici molto ben attrezzati al ministero. Credo, per quanto so, che Poste non sia l'unica privatizzazione di questo periodo, ma parte di un più generale disegno, in modo che il colpo che si dà al nostro debito possa essere sostanzioso e non limitato solo a una scrematura.
  Per Poste, in particolare, finora le attività svolte sono quelle previste dalla vecchia legge Amato, con un passaggio da ente pubblico a società integralmente posseduta dallo Stato, ma credo che fosse nella natura imprenditoriale di Poste uno sbocco più chiaro sul mercato.
  È per questo che il Governo ritiene che, oltre all'aspetto positivo per il debito pubblico, possano configurarsi anche aspetti positivi per la qualità dei servizi. In genere, le forme privatistiche migliorano la qualità del servizio. Non cambierà il controllo della società, che resterà sotto un controllo pubblico, ma ci sarà lo stimolo a fare di più e meglio, a realizzare maggiori economie, stimoli in genere presenti nelle aziende private.
  Si parla tanto di partnership pubblico-privato: in questo caso, penso che sia la normale evoluzione di ciò che accadde quando, con il Ministro Maccanico sotto il Governo Prodi, si passò dalla forma dell'ente pubblico a quella societaria. C'erano anche in quel caso molti cattivi presagi. Tutti sostenevano, soprattutto negli ambienti ragionieristici, che guardavano solo i bilanci, che in 3-4 mesi Poste sarebbe fallita e avrebbe dovuto portare le carte al tribunale, come si diceva, per la dichiarazione di fallimento. Ciò non è accaduto e credo che quest'operazione di privatizzazione possa comportare comunque un miglioramento, non solo dei conti dello Stato, ma anche dell'azienda.
  È chiaro che finora non si è stabilito un quantum da riservare ai dipendenti. Bisognerà aspettare lo schema di DPCM, ma laddove si è data la circostanza che il dipendente sia stato egli stesso comproprietario dell'azienda e che voglia anch'egli contribuire alla produzione di ricchezza, ha dato sempre frutti. In base all'esperienza, pensiamo che questo possa accadere ancora.
  Posso promettere di tornare, parallelamente ai più importanti esponenti del Governo, a spiegare quali saranno le decisioni assunte in Consiglio dei ministri per questa importante fase. È un DPCM che sarà, ovviamente, oggetto di una particolare valutazione, data l'importanza.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Vice Ministro per quanto ci ha illustrato e anche per l'impegno a tornare non appena disporrà di qualche elemento ulteriore.
  Ricordo ai colleghi che l'Ufficio di presidenza ha deliberato di procedere anche all'audizione dell'amministratore delegato Sarmi. Vi informo inoltre che oggi, sul Pag. 12tema dismissioni e privatizzazioni vi è stata un'audizione alla Commissione Attività produttive con il dottor Pansa. Diverse di quelle questioni affrontate anche in quella sede, con la curvatura sulla produzione e altri temi, sono anche di competenza della nostra Commissione. Penso a Breda, a tutta la parte sottoposta anche alle attenzioni del Governo per eventuali altre cessioni, alienazioni, quotazioni in borsa.
  Personalmente, non affronto la parte trasportistica dal versante delle convinzioni ideologiche. Ricordo che diversi mesi fa il Presidente del Consiglio, sul comparto strategico dei trasporti e della mobilità, che fanno capo alle aziende di proprietà dello Stato, parlò di una sorta di distretto: Fincantieri, sistemi ferroviari che si stanno alienando, Ansaldo, Breda.
  La ringraziamo per il contributo che ci ha offerto su quest'aspetto, ma teniamolo come elemento di riflessione fino alla prossima riunione dell'Ufficio di Presidenza. Probabilmente, dovremo tornare ad audire il Governo sull'insieme degli altri segmenti che afferiscono anche alle altre Commissioni, come tutta la parte in trasportistica, Breda, Ansaldo STS, particolari gioielli tecnologici che esportiamo in tutto il mondo.
  Chi è presente in questa Commissione e lo era anche nella scorsa legislatura ricorderà la crisi di Fincantieri, dalla quale siamo usciti. Adesso dovranno anche spiegarci meglio le quotazioni in borsa. C’è materiale per affrontare la questione. Seguiremo la strada anche delle audizioni congiunte e mi ha sorpreso che la Commissione Attività produttive non ci abbia non dico invitato, ma nemmeno avvertito dell'audizione su questi aspetti. In ogni caso, è un problema che risolveremo.
  Ringrazio ancora il Vice Ministro Catricalà.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.40.