XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 19 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino, Gian Carlo Caselli:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Caselli Gian Carlo , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 5 
Caselli Gian Carlo , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 5 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Bossa Luisa (PD)  ... 10 
Fava Claudio (SEL)  ... 11 
Lumia Giuseppe  ... 12 
Dadone Fabiana (M5S)  ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Caselli Gian Carlo , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Caselli Gian Carlo , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 17 
Mattiello Davide (PD)  ... 20 
Buemi Enrico  ... 20 
Sarti Giulia (M5S)  ... 20 
Esposito Stefano  ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 22 
Caselli Gian Carlo , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 27 
Mirabelli Franco  ... 27 
Mineo Corradino  ... 27 
Garavini Laura (PD)  ... 28 
Caselli Gian Carlo , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 28 
Ricchiuti Lucrezia  ... 28 
Caselli Gian Carlo , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino ... 28 
Bindi Rosy , Presidente ... 30 

Comunicazioni del Presidente:
Fava Claudio , Presidente ... 30 

ALLEGATO 1: Audizione del Ministro della giustizia, Annamaria Cancellieri, svoltasi nel corso della missione a Reggio Calabria il 9 dicembre ... 31 
Bindi Rosy , Presidente ... 31 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 31 
Bindi Rosy , Presidente ... 35 
Fava Claudio (SEL)  ... 35 
Bindi Rosy , Presidente ... 36 
Lumia Giuseppe  ... 36 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 37 
Mineo Corradino  ... 37 
Bindi Rosy , Presidente ... 37 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 38 
Bindi Rosy , Presidente ... 40 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 40 
Fava Claudio (SEL)  ... 40 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 40 
Finocchi Grassi RENATO , Capo di gabinetto del Ministro della Giustizia ... 41 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 41 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 41 
Bindi Rosy , Presidente ... 41 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 41 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 41 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 41 
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 42 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 42 
Bindi Rosy , Presidente ... 42 
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 42 
Molinari Francesco  ... 42 
Scopelliti Rosanna (NCD)  ... 43 
Mirabelli Franco  ... 43 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 43 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 43 
Molinari Francesco  ... 45 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 45 
Bindi Rosy , Presidente ... 45 
Giarrusso Mario Michele  ... 45 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 45 
Bindi Rosy , Presidente ... 45 
Buemi Enrico  ... 46 
Bianchi Dorina (NCD)  ... 46 
Picierno Pina (PD)  ... 47 
Magorno Ernesto (PD)  ... 47 
Giarrusso Mario Michele  ... 48 
Cancellieri Annamaria , Ministro della Giustizia ... 48 
Bindi Rosy , Presidente ... 49 

ALLEGATO 2: Audizione del Ministro dell'interno, Angelino Alfano, svoltasi nel corso della missione a Milano il 16 dicembre ... 50 
Bindi Rosy , Presidente ... 50 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 50 
Bindi Rosy , Presidente ... 62 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 62 
Bindi Rosy , Presidente ... 62 
Giarrusso Mario Michele  ... 63 
Mirabelli Franco  ... 64 
Fava Claudio (SEL)  ... 64 
Buemi Enrico  ... 65 
Bianchi Dorina (NCD)  ... 66 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 66 
Lumia Giuseppe  ... 67 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 67 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 68 
Sarti Giulia (M5S)  ... 68 
Ricchiuti Lucrezia  ... 69 
Bindi Rosy , Presidente ... 70 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 70 
Bindi Rosy , Presidente ... 71 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 71 
Bindi Rosy , Presidente ... 71 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 71 
Bindi Rosy , Presidente ... 73 
Fava Claudio (SEL)  ... 73 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 73 
Fava Claudio (SEL)  ... 73 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 73 
Bindi Rosy , Presidente ... 73 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 74 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 74 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 74 
Giarrusso Mario Michele  ... 74 
Bindi Rosy , Presidente ... 74 
Giarrusso Mario Michele  ... 74 
Alfano Angelino (NCD) , Ministro dell'interno ... 74 
Giarrusso Mario Michele  ... 74 
Bindi Rosy , Presidente ... 74

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino, Gian Carlo Caselli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino, dottor Giancarlo Caselli, sul tema dell'infiltrazione delle mafie al nord e nell'economia locale.
  Cedo la parola al procuratore Caselli, che ringrazio per la presenza e che siamo molto lieti di avere con noi.

  GIAN CARLO CASELLI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Grazie, presidente. Grazie anche a voi, signori commissari, per questa opportunità di chiudere la mia esperienza professionale in una maniera molto importante e preziosa.
  Loro sanno e, se non lo sanno, mi permetto di comunicarlo, che il 27 dicembre prossimo finisce la mia attività di magistrato e comincia quella di pensionato, per cui questo è un modo per concludere di cui non posso che esservi grato.
  Con il vostro permesso vorrei lasciare agli atti una serie di documenti, perché, se la Commissione naturalmente lo riterrà utile e opportuno, studiandoli e approfondendoli se ne possano ricavare dati e notizie più analitici e particolareggiati di quanto la mia esposizione verbale sia in grado di fornire.
  Il primo documento, l'allegato 1, è una relazione recentissima, del 28 novembre scorso, del collega procuratore aggiunto vicario, cioè il vice più vice in una procura della Repubblica come quella di Torino, Sandro Ausiello, che è anche il capo effettivo, formalmente lo sono io, della direzione distrettuale antimafia. La competenza più vicina ai vostri interessi è dunque del dottor Ausiello.
  In questa relazione si parla dei processi che hanno riguardato l'organizzazione criminale nota come ’ndrangheta nelle sue diramazioni piemontesi, in particolare la provincia di Torino e il basso Piemonte, inchieste comunemente note come «Minotauro», «Albachiara» e «Colpo di coda». Un capitolo particolare è dedicato alle iniziative patrimoniali come binario parallelo a quelle propriamente investigativo-giudiziarie.
  Vorrei segnalare le iniziative di monitoraggio che abbiamo posto in essere su probabili atti di intimidazione in tutto il Piemonte, poiché lo considero un profilo molto positivo e produttivo dell'attività del nostro ufficio. Abbiamo cominciato coinvolgendo le province di Torino, Alessandria, Asti, Vercelli, Novara e la Regione Valle d'Aosta, noi siamo competenti per due regioni Piemonte e Valle d'Aosta. I primi risultati di ricognizione, di conoscenza, Pag. 4di monitoraggio sono sembrati utili e abbiamo dunque esteso questa iniziativa alle questure di Asti, Biella, Cuneo, Verbania, nonché ai comandi provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza e a tutte le aree già interessate attraverso la Polizia di Stato.
  Questa attività di monitoraggio riguarda i reati di minacce – dalle lettere anonime alle scritte sui muri, all'invio di pallottole, agli spari di colpi d'arma da fuoco – i reati di danneggiamento o incendio – incendi veri e propri, danneggiamento seguito da incendio mediante diverse tipologie di innesco, mediante colpi d'arma da fuoco – i reati di danneggiamento e incendio a mezzi, automezzi, cantieri, e ancora i fatti di pestaggio, in genere i fatti che presentino finalità intimidatorie, anche tenuto conto dei luoghi dove questi fatti avvengono, per esempio cantieri, o della natura dei beni attinti o sfiorati dall'attività illecita.
  A tale attività di monitoraggio avviata ormai qualche anno fa ricolleghiamo risultati, se non immediati, nel medio periodo sicuramente interessanti e comunque tali da costituire una piattaforma sulla quale eventualmente innestare fatti più specifici di ’ndrangheta e di crimine organizzato che successivamente abbiano a verificarsi.
  Ci sono paragrafi destinati alla criminalità di stampo rumeno, albanese, del Nord Africa (Marocco in particolare, Nigeria, Senegal), sudamericana e cinese, niente di particolarmente diverso da quello che avete appreso e apprenderete sentendo altre procure della Repubblica. È da segnalare però, almeno per quanto possiamo sapere, un'esperienza non dico unica, ma sicuramente specifica e abbastanza singolare che riguarda la criminalità rumena.
  È stata, infatti, individuata una vera e propria organizzazione di stampo mafioso con contestazioni del 416-bis, strutturata su un modello paramilitare, con i vertici di questa organizzazione operante in Italia in stretto contatto con criminali rumeni operanti in Romania. C’è stato un collaboratore di giustizia riscontrato e affidabile, non è frequente in questo ambito di criminalità, ammesso al programma di protezione, e l'ambito delinquenziale di questa organizzazione di stampo mafioso per cui ricorrono tutti gli estremi del 416-bis è principalmente quello della prostituzione sulla piazza di Torino.
  Naturalmente loro sanno meglio di me che a Torino la comunità rumena è particolarmente numerosa e organizzata, si tratta per la stragrande maggioranza di persone perbene, ma, come può accadere in tutte le grandi famiglie, ci sono anche momenti diversi e questo è un momento particolarmente e pericolosamente diverso, ma la comunità rumena evidentemente non c'entra.
  Il secondo allegato è il dispositivo della quinta sezione penale del tribunale di Torino nel dibattimento di Minotauro, il più articolato ed esteso dei processi relativi alla ’ndrangheta torinese. Questo dispositivo è del 22 novembre scorso, non si conosce ancora la motivazione, ma, come avrei già dovuto premettere, l'ottica è quella del pubblico ministero e sono decisive le verifiche del giudicante. In questo caso una verifica del giudicante di primo grado è intervenuta e consente di dire, dispositivo alla mano, che l'impianto accusatorio è stato sostanzialmente convalidato.
  C’è anche un recentissimo dispositivo sempre relativo a Minotauro della corte d'appello di Torino, perché il processo Minotauro ha 150 imputati e si spezza ben presto in due tronconi: alcuni degli imputati scelgono il patteggiamento, la maggior parte il rito abbreviato, gli altri decidono di praticare il rito ordinario, cioè il dibattimento.
  Il rito ordinario ha avuto questa prima conclusione dibattimentale ad opera della quinta sezione del tribunale di Torino, l'abbreviato ha una prima sentenza del GUP di Torino, qui c’è il dispositivo, l'allegato 3, che poi trova conferma in appello pressoché totalmente. Sia sulla parte del rito abbreviato, che è già arrivata in corte d'appello, sia sulla parte del dibattimento, che si è per il momento Pag. 5conclusa soltanto in primo grado, le risultanze nell'ottica dell'accusa sono assolutamente confortanti.
  Un altro procedimento di indubbio interesse è quello denominato Albachiara, che riguarda il basso Piemonte. L'esito in prima battuta della verifica del giudicante non è stato confortante per l'accusa, perché il GUP del tribunale di Torino ha assolto tutti. La procura ha fatto appello e recentemente la corte d'appello di Torino ha ribaltato la sentenza di primo grado del GUP, affermando viceversa la responsabilità di tutti gli imputati.
  Dico subito che anche il GUP che ha assolto tutti non ha negato l'esistenza dell'organizzazione considerata, ma ha fatto prevalere quell'orientamento giurisprudenziale che secondo noi è ormai di assoluta minoranza, in base al quale per il 416-bis l'organizzazione dimostrata come esistente non basta, ma bisogna anche, uso un'espressione che naturalmente non è propria di nessuna sentenza, che scorra il sangue per le strade, che ci siano forme di intimidazione per essere più sofisticati.
  Credo invece – ma questa ancora una volta è la mia personale opinione e l'opinione di tutto il mio ufficio, consacrata in questo caso dalla corte d'appello – che il 416-bis sia stato introdotto nel nostro ordinamento proprio allo scopo di punire i comportamenti associativi, a prescindere dalla estrinsecazione dei medesimi in fatti specifici di violenza, intimidazione, omicidi, stragi.
  L'allegato 5 riguarda un'altra operazione amministrativo-giudiziaria che è denominata Colpo di coda. Anche questa si è spezzata in due parti, c’è una pronunzia di condanna del GUP per alcuni degli imputati e una richiesta di rinvio a giudizio con decreto che dispone il giudizio per il 25 novembre 2013, è appena cominciato, per quanto riguarda gli altri imputati.
  L'operazione Colpo di coda è molto importante perché, mentre in Minotauro ci sono due comuni coinvolti, Leinì e Rivarolo Canavese, Colpo di coda riguarda un grosso comune, Chivasso, per il quale era forse alle porte un provvedimento di scioglimento del consiglio comunale analogo a quello di Leinì e Rivarolo Canavese.
  Questo non è stato adottato perché ci sono stati degli arresti e la giunta comunale appena eletta ha avuto momenti di difficoltà, che poi hanno portato alle dimissioni del sindaco e quindi a nuove elezioni, quindi l'ipotizzabile scioglimento del consiglio comunale a Chivasso non si è verificato, ma i problemi di infiltrazioni mafiose da questa inchiesta vengono fuori a chiare lettere.
  Alleghiamo due strumenti elettronici, un DVD che contiene la lunghissima, articolata memoria della procura di Torino dei miei colleghi pubblici ministeri nel processo Minotauro, dibattimento concluso davanti alla quinta sezione, e due CD-ROM che contengono la parte fonica utilizzata dai pubblici ministeri nella loro requisitoria, intercettazioni e quant'altro. L'allegato 7 contiene la requisitoria davanti alla corte d'appello di Torino nel processo Minotauro, parte che è stata giudicata in abbreviato, di una collega della procura generale, la collega Daloiso.
  L'allegato 8 riguarda il procedimento Albachiara, proscioglimento totale da parte del GUP in prima battuta, ribaltamento totale delle pronunzie da parte della corte d'appello, ovvero la requisitoria del procuratore generale in persona, dottor Maddalena. Come dicevo, mancano ancora le motivazioni, salvo la motivazione di condanna dell'abbreviato Minotauro e la motivazione di assoluzione di Albachiara in prima battuta. Mancano le pronunce successive, quelle che hanno fatto fare dei passi avanti.
  Non posso naturalmente esaminare tutti i processi e tutte le pronunzie, sia pure per quanto riguarda la parte dispositiva, ma molto rapidamente mi permetterei di sottoporre...

  PRESIDENTE. L'illustrazione della documentazione è terminata ed è tutta libera...

  GIAN CARLO CASELLI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Sì, è tutto pubblico. Sintetizzando Pag. 6gli esiti allo stato degli atti delle principali operazioni sul versante della criminalità ’ndranghetista, perché poi ve ne sono altre, ma di minore importanza almeno per quanto riguarda l'oggi, possiamo dire: 163 imputati rinviati a giudizio per 416-bis, 9 di questi purtroppo deceduti nelle more dei processi, 107 imputati condannati per 416-bis, 1 imputato non luogo a procedere, 1 imputazione derubricata ex articolo 418 del codice penale, 33 imputati assolti, 12 rinviati a giudizio.
  Non mi piace fare il notaio degli anni di reclusione, perché è estremamente antipatico e da certi punti di vista anche di pessimo gusto, perché gli anni di reclusione a chiunque siano inflitti incidono sempre pesantemente sulla vita e sugli interessi di una persona, ma, scusandomi se posso sembrare un notaio, un ragioniere o uno statistico degli anni di reclusione, cosa che non mi piace, devo farlo per farmi capire.
  Complessivamente sono stati comminati 944 anni e 6 mesi di reclusione. Per la violazione del 416-bis, senza tener conto dei reati specifici, sono stati comminati 885 anni, 4 mesi e 10 giorni di reclusione per la ’ndrangheta in quanto tale insediata nel territorio piemontese.
  Il dato statistico di comparazione consente di dire che circa il 77 per cento dei rinviati a giudizio è stato condannato, il 23 per cento è stato assolto, quindi il giudicante ha fatto il suo mestiere, non ha preso a scatola chiusa tutto ciò che gli abbiamo fornito, ma lo ha selezionato, decidendo quando condannare e quando assolvere. La percentuale delle condanne rispetto alle assoluzioni nell'ottica dell'accusa è decisamente confortante, perché il 77 per cento è di condanne e il 23 per cento di assoluzioni.
  Anche questo lo lascerei unitamente a un riepilogo di Minotauro che probabilmente ha impiegato molte notti del mio collega Sparagna, ma che soltanto qualche appassionato può seguire. L'ultimo documento che mi permetterei di allegare è una relazione specificamente elaborata dal collega Perduca, che sovrintende il gruppo di lavoro che abbiamo denominato «Riciclaggio, misure di prevenzione patrimoniali e altro ancora», che in queste inchieste è estremamente importante.
  Anche se può sembrare un luogo comune, infatti, i mafiosi patiscono ovviamente la riduzione della loro libertà personale, ma patiscono altrettanto se non di più se gli si tocca il portafoglio, perché al carcere sono culturalmente e mentalmente preparati, mentre alla riduzione delle ricchezze che hanno accumulato con le attività illecite non sono altrettanto preparati. La procura di Torino ha cercato di condurre tutte le inchieste – Minotauro, Albachiara, Colpo di coda – in maniera irrituale, e per Torino l'abbiamo sperimentata per la prima volta, cioè far viaggiare in contestualità l'accertamento amministrativo-giudiziario con richieste di condanna quando necessario e i provvedimenti di carattere patrimoniale.
  In questa nota del dottor Perduca (allegato 10) c’è l'illustrazione analitica, con risultati interessanti sui quali però dovrò fare una chiosa. Il numero dei procedimenti aperti, che nel 2010 era 30 e nel 2011 91, è diventato quest'anno fino a novembre 140, quindi c’è stato un incremento di interventi davvero cospicuo.
  Il numero complessivo delle proposte presentate al tribunale di Torino sale a 83, mentre erano 21 nel 2010 e 47 nel 2011, il numero delle proposte presentate dalla procura di Torino è di 50, contro le 4 del 2010 e le 23 del 2011, e di queste proposte 37 sono personali, 46 patrimoniali. Il primo importante test di questa metodologia di intervento è proprio il processo Minotauro, di cui qui si spiegano analiticamente gli obiettivi.
  Siamo riusciti a coinvolgere magicamente le polizie italiane, che sono ancora tante e tra le quali ai miei tempi, cinquant'anni fa, la concorrenza ostile era la regola. Oggi non c’è più concorrenza ostile, ma un po’ di sana concorrenza esiste ancora. Presuntuosamente, ho un altissimo concetto di me medesimo e quindi non posso non parlare bene di me, siamo riusciti nel piccolo miracolo di mettere d'accordo e far collaborare Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia di Stato.Pag. 7
  Quando abbiamo presentato i primi risultati di Minotauro, abbiamo realizzato la conferenza stampa che il coordinamento giudiziario consente di fare al procuratore della Repubblica e agli aggiunti e alle forze di polizia giudiziaria facendo sedere dietro lo stesso tavolo Carabinieri e Guardia di Finanza, che nella storia del nostro Paese costituisce, se non un unicum, un fatto poco frequente.
  Qui c’è tutto quello che può interessare e su cui eventualmente, documento alla mano, potrò rispondere ai vostri quesiti, perché autonomamente non potrei procedere.
  La conclusione di tutto questo, se di conclusione si può parlare, è che la ’ndrangheta in Piemonte c’è. Questa era un'ipotesi di lavoro sviluppata già dal mio predecessore come procuratore della Repubblica, dottor Maddalena, che adesso è procuratore generale, e l'inchiesta Minotauro comincia 6-7 anni fa, è un'inchiesta lunga, faticosa, paziente, che sfocia in questi risultati di recente – un paio d'anni fa la conclusione dell'inchiesta, i primi risultati a livello di giudicante recentissimi – ma si può affermare con ragionevole certezza, con serena obiettività che la ’ndrangheta purtroppo c’è anche in Piemonte.
  Per fronteggiarla adeguatamente, la procura di Torino ha creato un pool numericamente molto agguerrito: oltre al procuratore della Repubblica che segue un po’ tutto, due sono gli aggiunti, il capo della DDA, di fatto il dottor Ausiello, e il preposto al gruppo di lavoro su riciclaggio e misure di prevenzione patrimoniali, dottor Perduca, e come pubblici ministeri complessivamente dieci magistrati – adesso nove perché uno è stato trasferito alla procura generale – che mi sembra doveroso menzionare in questa sede così importante perché se lo meritano: il dottor Sparagna, la dottoressa Abbatecola, il dottor Arnaldi Di Balme, il dottor Castellani, il dottor Malagnino che è passato alla procura generale, il dottor Tibone, il dottor Riccaboni specialmente impegnato sul versante patrimoniale, e la dottoressa Stupino.
  Questa inchiesta è importante perché in Piemonte, nonostante l'omicidio del procuratore della Repubblica ad opera di ’ndranghetisti, così come è consacrato in una sentenza della Corte di Cassazione definitiva, due esponenti della famiglia Belfiore, la ’ndrangheta non ha mai ucciso magistrati: ha ucciso Scopelliti, ma sembra di poter sostenere che l'ha ucciso per fare un favore a cosa nostra alla vigilia del maxiprocesso, per far saltare la pubblica accusa, che per fortuna non è saltata e, nonostante il sacrificio di Scopelliti, il processo si conclude in Cassazione nel modo che tutti sappiamo.
  Fuori dalla Calabria non ha mai ucciso imputati eccellenti e meno che mai magistrati, l'unico caso è questo di Torino e, nonostante questo campanello d'allarme terrificante, a Torino c’è stata sempre disattenzione, non usiamo un'altra parola che forse sarebbe più adatta, al punto che, quando la Commissione parlamentare antimafia presieduta dal senatore Forgione ha dedicato una relazione specifica alle infiltrazioni e alle presenze ’ndranghetiste nel nord del nostro Paese, il capitolo relativo al Piemonte è stato salutato con molto scetticismo, per non dire peggio.
  Forgione è stato accusato anche di esagerare, di essere un provocatore, perché, anche se le parole non erano queste, la sostanza era quella. Non voglio difendere né attaccare nessuno, ma voglio ricordare che il comune di Bardonecchia è stato uno dei primi comuni a essere sciolto in Piemonte, l'omicidio Caccia è del 26 giugno 1983 e nella provincia di Torino dal 1970 al 1983 erano stati registrati ben 44 omicidi, 24 dei quali riconducibili a personaggi o vicende di Calabria, per non dire ’ndrangheta perché non c'era la certificazione di questa o quell'altra sentenza.
  Il comune di Bardonecchia viene sciolto nel 1995 e ci sono anche, ben prima di Minotauro, di Albachiara e di Colpo di coda, robuste e importanti inchieste, una per tutte «Cartagine», che rivelano una presenza consistente dalla ’ndrangheta in Piemonte, nella provincia di Torino in particolare. Eppure tutto questo scorre come l'acqua sul marmo, perché quando Pag. 8scoppia il caso Minotauro molti si stupiscono e, per quanto riguarda i rapporti di questo o quell'esponente della ’ndrangheta con questo o quel segmento del mondo politico e amministrativo inorridiscono. Anche i magistrati sostengono che, se non c’è rilevanza penale, è inutile parlare di queste cose che non interessano a nessuno.
  Questo è un punto molto rilevante secondo me e mi permetto di ritenere che possa interessare anche questa Commissione: le organizzazioni mafiose sono organizzazioni gangsteristiche, perché commettono una serie di reati di tipo gangsteristico, che sono quelli previsti dal codice penale negli articoli ordinari, dagli omicidi ai furti, alle rapine, ai sequestri di persona, al traffico di armi, di sostanze stupefacenti, di rifiuti tossici, ma non sono, in base alla mia esperienza in Sicilia e poi recentemente a Torino, soltanto dei gangster per un'infinità di motivi. Uno mi sembra di facile intuizione: se fossero soltanto gangster, in quaranta o cinquanta anni al massimo come tutte le bande di gangster scomparirebbero, se non altro per motivi di carattere generazionale.
  Le mafie, invece, dopo più di due secoli infestano ancora il nostro territorio. Questo significa che sono indubbiamente dei pericolosi gangster, ma sono anche altro, e questo quid pluris sono le relazioni esterne, cioè un intreccio di coperture, collusioni, complicità, interessi reciproci con pezzi – senza generalizzare perché ovviamente c’è un'infinità di persone perbene – della politica, dell'economia, della finanza, delle istituzioni, della cultura, dell'informazione, della società civile.
  Queste relazioni esterne sono addirittura il nerbo, la spina dorsale del potere mafioso, se è vero che, come ritengo, senza queste relazioni esterne non avremmo a che fare con questi terribili problemi da circa duecento anni, nel corso dei quali naturalmente ogni mafia è cambiata, si è modificata, si è adattata alle varie fasi. Ci sono dei siciliani che se provo a dire calati iunco ca’ passa la china mi bastonano perché non ho una pronuncia corretta. La regola aurea del comportamento di cosa nostra in particolare ma di tutte le mafie è che, se ci sono fasi di difficoltà, si arretra, ci si inabissa magari, per poi ripresentarsi con una diversa articolazione, ma con la identica sostanza.
  Posto che le relazioni esterne sono fondamentali per quanto riguarda il potere mafioso, non si può fare a meno di indagare, oltre che sui mafiosi di strada, anche sul versante delle relazioni esterne, cosa che comporta l'esigenza di affrontare la cosiddetta «zona grigia», quindi le difficoltà sono infinitamente maggiori perché il grigio è molto sfumato, può sfuggire, può essere difficilmente catalogabile. È però un profilo decisivo, forse il più significativo per quanto riguarda la forza criminale delle varie organizzazioni mafiose. Se emergono delle relazioni esterne con questo o quel politico, questo o quell'amministratore, questo o quell'uomo delle istituzioni, anche se non hanno rilevanza penale in sé per sé considerate, devono essere segnalate ed evidenziate, e far parte dell'inchiesta, perché sono una prova significativa che quella non è un'organizzazione soltanto gangsteristica, ma è un'organizzazione mafiosa.
  Quante più sono quindi le relazioni esterne dimostrate, quanto più le relazioni esterne sono articolate e diffuse tanto maggiore è la prova che si ha a che fare con un'organizzazione articolata a sua volta, pericolosa, diffusa sul territorio.
  Quando qualcuno in assoluta buona fede vorrebbe che, quando vengono fuori relazioni esterne che riguardano soggetti non responsabili di fatti penalmente rilevanti, tutto quanto fosse coperto con degli omissis, propone una cosa che con le esigenze di un'inchiesta su fatti di ’ndrangheta e mafia in generale ha davvero poco a che fare, anzi è assolutamente controproducente riguardo alla possibilità di decifrare il fenomeno nella sua complessità e nella sua articolazione.
  La ’ndrangheta dunque è anche in Piemonte, anche se è stata sicuramente non attenzionata, per usare un verbo orribile, a sufficienza per un lunghissimo periodo, le sue caratteristiche sono quelle riscontrabili ovunque altrove: una struttura Pag. 9rigorosamente familiare, con conseguente, notevole difficoltà di penetrazione dall'esterno, e credito sociale, perché tutte le mafie ma la ’ndrangheta in particolare praticano violenza soltanto come extrema ratio.
  Prima della violenza, infatti, ricorrono alla corruzione, all'intimidazione, alla suggestione, alla minaccia, a comportamenti sott'acqua, comportamenti sotterranei, mimetizzati, nascosti, che, proprio perché nascosti, consentono di conseguire questo o quell'altro obiettivo più facilmente che non l'esibizione della violenza, che ha clamore esterno, ripercussioni e magari crisi di rigetto, come nei casi di violenza stragista.
  Comportandosi come persone «insospettabili», che fanno di tutto per mimetizzarsi e ibridarsi, finiscono per godere di un certo credito sociale, perché sanno anche fare bene il loro mestiere nel campo dell'edilizia, del movimento terra, della ristorazione, in quanto persone abili e capaci.
  La conseguenza è non l'assenza dei pentiti, perché qualcuno c’è, ma il numero esiguo dei pentiti soprattutto per quanto riguarda l'esperienza torinese, due o tre non di più, anche per gli attacchi. Sono cresciuto in questa esperienza, sia quando mi occupavo di terrorismo, sia successivamente quando ho lavorato a Palermo, sia recentemente lavorando a Torino sul versante ’ndrangheta. I pentiti non sono simpatici, io ho fatto tutte le scuole dai Salesiani che insegnavano che «chi fa la spia non è figlio di Maria».
  I pentiti non piacciono, però quando si tratta di collaborazioni riscontrate e assolutamente affidabili contro il crimine organizzato, sia esso terrorismo o mafia, sono insostituibili per il semplice fatto che terrorismo e mafia sono fenomeni profondamente lontani, ma in quanto crimine organizzato hanno in comune il fatto di essere costruiti sulla segretazione anche parossistica.
  Questo significa che posso efficacemente combattere il crimine organizzato, si tratti di terrorismo o di mafia, purché questi segreti, che sono i guardiani della forza e della compattezza dell'organizzazione criminale, siano violati, altrimenti anche la migliore inchiesta del mondo riesce soltanto a far saltare qualche frammento della superficie. Se invece conosco i segreti di mafia, ho una specie di password grimaldello per entrare dentro l'organizzazione, e, se sono fortunato e so lavorare bene, la speranza di determinare un crollo verticale, partendo dall'interno dell'organizzazione, diviene prospettiva concreta.
  Esaurita questa lunga premessa, la conseguenza diventa quasi scontata: occorre qualcuno che riveli i segreti di mafia, come può fare soltanto chi è stato terrorista o mafioso e in quanto tale ha commesso gli efferati delitti propri della violenza terroristica e mafiosa.
  Utilizzare le parole del pentito per cercare di chiarire alcuni fatti di reato e fare giustizia dal punto di vista morale non è la cosa più facile di questo mondo, ma dal punto di vista tecnico, giuridico e investigativo è indispensabile. Ho sempre mal digerito tutte le polemiche furibonde che ho dovuto affrontare insieme ai miei colleghi al tempo del terrorismo, ai tempi palermitani e ai tempi torinesi contro i collaboratori di giustizia, perché sono assolutamente in contrasto con le esigenze ovvie, quotidiane, elementari di un'investigazione su questi versanti.
  La ’ndrangheta in Piemonte come ovunque fuori dalla Calabria cresce per gemmazione, cioè riproduce i nuclei operativi nei territori in cui si espande, che tracciano un loro percorso criminale autonomo, ma nello stesso tempo mantengono legami molto stretti e indissolubili con la terra d'origine, la Calabria, e da questo vincolo con la terra d'origine traggono legittimazione e autorevolezza, altrimenti sarebbero, come ebbe a dire una volta un pentito, «zattere in mezzo all'oceano».
  Questi vincoli consentono di dire che le teorie negazioniste del 416-bis, nel senso di una fattispecie di reato non applicabile a certe manifestazioni ’ndranghetiste perché Pag. 10non scorre il sangue, perché non ci sono manifestazioni eclatanti all'esterno, non tengono conto di questa realtà.
  Vorrei concludere con una segnalazione, che mi porta a tornare alle misure patrimoniali, che sono importantissime, ma non tutti gli uffici giudiziari italiani, lo dico con il massimo di rispetto, della magistratura giudicante sono attrezzati e culturalmente preparati su questo versante. Non è facile: quando ormai vent'anni fa arrivo a Palermo, trovo la mitica procura di Palermo, la procura di Falcone e Borsellino, mitica anche da questo punto di vista perché Falcone aveva cominciato a insegnare a tutti che le indagini si fanno anche inseguendo i soldi, andando a vedere nelle banche questo o quell'altro conto.
  La mitica procura di Palermo per quanto riguarda le misure di prevenzione di carattere patrimoniale, partita diversa rispetto all'indagine vera e propria, era letteralmente a zero, e ho fatto fatica a convincere qualcuno ad occuparsi di questa materia perché ne valeva la pena. Non ne farò mai il nome perché ho una grande stima e un grande affetto per questo collega, ma il primo collega che si dichiara disponibile è uno straordinario collega che però, dovendo fare una graduatoria, non era il primo della classe.
  Essendo però molto capace e volenteroso, intuisce che è un'opportunità di sviluppo professionale e si forma un'unità di lavoro su questo versante, poi le cose funzionano e allora il pool patrimoniale si può formare, al punto che, come ho raccontato più volte, recentemente un avvocato palermitano a Torino per lavoro si affaccia nel mio ufficio e mi chiede chi sia secondo me il personaggio economico-finanziario più importante nella realtà torinese.
  Un paio d'anni fa si poteva serenamente rispondere che era Marchionne, quindi mi chiede di fare lo stesso nome per Palermo, ma dico di non esserne più capace e chiedo a lui di citarne uno. Mi cita quindi il nome della collega Silvana Saguto, che allora era presidente della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, perché in progress è arrivata ad amministrare dal punto di vista istituzionale un vero e proprio patrimonio. La cultura si è formata e consolidata e ormai basta aprire un giornale perché constatare come tutti i giorni ci siano sequestri colossali.
  Questa premessa era lunga, ma mi sembrava utile. A Torino, come ufficio di procura abbiamo assunto molte iniziative e, mentre le vicende sul piano investigativo-giudiziario sono di grande conforto per le ipotesi d'accusa, sono leggermente più deludenti per quanto riguarda il versante patrimoniale, anche perché ci sono delle oscillazioni: a volte si sequestra e poi si dissequestra e poi si fa ricorso e si sequestra ancora.
  Probabilmente la nostra impostazione non è ancora sufficiente, non voglio cercare responsabilità fuori del nostro ufficio, ma potrebbe essere utile un'iniziativa di formazione culturale da parte del Csm nei confronti della magistratura sia a livello centrale, sia a livello decentrato, periferico, che coinvolga insieme polizia giudiziaria in tutte le sue articolazioni, pubblico ministero e magistrati della giudicante.
  Se loro trovassero il modo di suggerire, come cerchiamo di fare noi con ben minore autorevolezza, al Csm – non so se esista anche in questa consiliatura una commissione antimafia come c'era ai miei tempi, nel 1986-1990, quando si discuteva di Borsellino procuratore di Marsala e di Falcone successore di Caponnetto, quindi preistoria – l'opportunità di valutare iniziative sul piano della formazione culturale sul versante delle misure di prevenzione patrimoniali contro il crimine organizzato.
  Mi fermo qui, sperando di non aver esagerato con il tempo.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il procuratore Caselli. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  LUISA BOSSA. Le pongo queste domande, dottor Caselli, perché lei è al termine del suo servizio a favore delle Pag. 11istituzioni e quindi più degli altri può fare una specie di bilancio del suo lungo lavoro.
  Tocco un argomento border line e spero che lei me lo permetterà. Lei ha rappresentato per tantissimi anni quando ha lavorato a Palermo e rappresenta ancora un'icona della legalità, io l'ho conosciuta quando ero sindaco di Ercolano e, quando lei arrivò nella mia città, per le strade dove si sarebbe tenuta un'iniziativa con gli studenti, per permetterle di intervenire in tutta sicurezza, fu fatto il deserto.
  Quel deserto, quel vuoto, quel silenzio, quell'aria rarefatta mi colpì profondamente. Le chiedo quanto deserto lei e i magistrati e come lei avete dovuto attraversare da soli, senza l'aiuto di nessuno, e se oggi a suo parere vi sono fiori in quel deserto, se il deserto fiorirà, se ritiene che i cittadini si siano liberati da quel complesso di Giona, cioè dell'arroccamento, di voler rimanere nel ventre accogliente della loro balena.

  CLAUDIO FAVA. Ci piace salutare il procuratore della Repubblica che conosciamo da trent'anni ed esprimere il nostro dispiacere per la conclusione di questa lunga avventura e per non averla avuta in Italia come procuratore nazionale antimafia per responsabilità che credo facciano capo anche a questo Parlamento.
  Vorrei porle una domanda sulla sua esperienza recente in Piemonte e una più complessiva sulla memoria storica che lei rappresenta nella lotta contro le mafie. In Piemonte, oggi ne parlavamo con la presidente Bindi e con altri ex presidenti della Commissione, si comincia a pensare che al nord, Lombardia e anche Piemonte, il rapporto tra imprenditoria e mafia si sia modificato.
  Un tempo questo era infatti di forte subalternità di un'imprenditoria che era costretta a difendersi o ad accettare compromessi, mentre adesso, almeno questa è la sensazione che ci hanno trasmesso a Milano, è una relazione di compiacenza e di convenienza, al punto da permetterci di parlare non più di zona grigia, ma di zona nera, cioè di un'imprenditoria che è parte in causa e protagonista a pieno titolo, come si legge ad esempio nel fatto che, come ci confermava la dottoressa Boccassini qualche giorno fa, è prossimo allo zero assoluto il numero delle denunce raccolte negli ultimi anni da imprenditori e commercianti milanesi.
  Le chiederei, quindi, se abbia constatato questa relazione anche nella sua esperienza di lotta alla ’ndrangheta in Piemonte, e quale sia oggi in Piemonte il rapporto fra ’ndrangheta e politica, ovvero se sia simile a quello riscontrato in Lombardia di una politica che non subisce più le seduzioni, ma le cerca, che ha bisogno di cercare la capacità di manipolazione e anche di convogliamento di consensi, di protezione sociale, di accompagnamento alle carriere che la ’ndrangheta è in condizione di offrire.
  L'ultima domanda, invece, riguarda il tempo presente e il suo passato di procuratore della Repubblica a Palermo, la sua straordinaria esperienza in quella procura in quegli anni e su quelle vicende. Sappiamo poco degli elementi nuovi, tranne quello che abbiamo appreso in questi giorni sui giornali, però ho ricavato la sensazione, che le chiedo se in base alla sua esperienza condivida, che ci sia un'atmosfera pesante non soltanto per la quantità e la qualità dei rischi che corrono questi magistrati per il fatto che si torni a evocare una nuova stagione di stragi, ma anche perché si ricomincia un lavoro sordo, sgradevole, ai fianchi, che punta all'isolamento.
  Ho sentito parlare di nuovo di Addaura o meglio ho sentito utilizzare gli stessi argomenti che sentimmo utilizzare venticinque anni fa, quando, senza fare titoli di giornale, ma lasciando che queste parole corressero e facessero proseliti, si diceva, si pensava, si immaginava che forse l'esplosivo fosse stato piazzato da Falcone sotto casa, forse era un modo per cercare altre carriere e altri sbocchi.
  In questi giorni ho sentito dire le stesse cose da giornalisti quasi in faccia nei confronti di Di Matteo, chiedendosi chi possa dire che tutto questo non sia frutto della vanità della procura e di alcuni Pag. 12magistrati palermitani. Al di là del fatto specifico, mi chiedo se anche lei, seppure a distanza, non condivida questo clima abbastanza pericoloso, che si affianca al rischio concreto che tutti sentiamo che si torni a una stagione stragista.

  GIUSEPPE LUMIA. Anch'io ringrazio il procuratore Caselli a cui non solo il Paese, ma anche questa Commissione deve tanto.
  Lei, procuratore, ha caratterizzato la stagione della lotta al terrorismo e in questi ultimi vent'anni la stagione della lotta alle mafie. Sarebbe importante per la Commissione conoscere le difficoltà che ha incontrato nei rapporti con le istituzioni nella lotta al terrorismo e le difficoltà che ha incontrato nella lotta alle mafie, in particolare cosa nostra, ma oggi anche ’ndrangheta.
  Sulla scia di quanto chiesto dal vice presidente, un punto essenziale della questione che ha caratterizzato la stagione delle stragi e della trattativa, che oggi è importante per capire anche il grado di minaccia che il dottor Di Matteo e gli altri magistrati stanno vivendo, riguarda gli apparati. Vorrei sapere quale idea si sia fatto di questo coinvolgimento degli apparati e perché non siamo riusciti a individuare delle piste per poter indagare anche lungo questa scia.
  Vorrei chiederle, infine, se possa delinearci un quadro seppur sintetico della presenza delle altre mafie nel rapporto con l'economia e la politica, in riferimento anche a cosa nostra e alla camorra in Piemonte.

  FABIANA DADONE. Grazie, procuratore Caselli, è un piacere poterla ascoltare. Provengo dal Piemonte, conosco il fenomeno mafioso e ritengo che sia un fenomeno anche culturale, che è legato a tutta la prospettiva di come a volte viene coperto e accettato dai cittadini. Detto questo, però, come Commissione antimafia vorremmo arrivare a delle conclusioni, quantomeno noi che siamo gli ultimi arrivati.
  Sulla questione del monitoraggio dei reati in Piemonte lei ha parlato di minacce, incendi per danneggiamenti e reati di pestaggio in cantiere, per cui a grandi linee mi pare evidente il riferimento alla questione del cantiere TAV, che è preponderante nella nostra zona.
  Vorrei conoscere la sua opinione sull'articolo 6, comma 2, dell'atto di ratifica tra Italia e Francia, che prevede espressamente l'applicazione nel territorio a cavallo tra Italia e Francia, quindi nella sezione transfrontaliera, per l'azienda promotrice della Costituzione francese. Ho consultato vari consulenti e tutti hanno detto che, se si attua la Costituzione francese, viene meno il diritto italiano e altresì la normativa antimafia, che tra l'altro è una delle migliori al mondo, per cui vorrei rassicurazioni da questo punto di vista.
  Questa Commissione è solita operare in tanti sottocomitati, ma ci siamo resi conto che più ci sono comitati, più è difficile riuscire a portare avanti i lavori, per cui vorremmo puntare su un argomento chiave. Ho avuto modo di leggere in maniera piuttosto frettolosa la relazione semestrale della DIA che ho ricevuto soltanto ieri sera e mi pare di capire che i reati su cui si punta siano sostanzialmente narcotraffico, tratta di esseri umani, riciclaggio di denaro, quindi gira tutto intorno ai soldi.
  Se lei dovesse puntare su una questione in particolare per riuscire a rendere tra sei mesi alla Camera una relazione, quale sarebbe un reato o un argomento in particolare sul quale questa Commissione potrebbe lavorare per i prossimi sei mesi sino a formulare una proposta effettiva che possa servire anche ai magistrati antimafia ?
  Vorrei chiederle infine come potremmo non far sentire soli i magistrati antimafia in questo periodo in quanto rappresentanti dello Stato.

  PRESIDENTE. Darei la parola al procuratore Caselli per rispondere a questo primo blocco di domande.

  GIAN CARLO CASELLI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Per quanto riguarda la domanda Pag. 13dell'onorevole Bossa, la mia è stata in quasi cinquant'anni un'esperienza molto lunga, molto articolata e su versanti diversi, antiterrorismo e antimafia. Anche le fasi che più direttamente sono interessate dalla domanda, silenzio e attenzione, sono state molto diverse, luci e ombre da questo punto di vista. In generale, devo dire che solo non mi sono mai sentito, se non in alcune fasi di cui dirò successivamente.
  L'attenzione era a volte molto selezionata da parte di alcune associazioni, da parte di alcune componenti della collettività, e viceversa una disattenzione e addirittura una forte ostilità da parte di altre componenti.
  Fiori nel deserto ne sono sbocciati parecchi, e il deserto, pur essendo ancora un problema da alcuni punti di vista, non è più sostanzialmente tale. Quando io arrivo a Palermo, non si può non partire dalle parole di Nino Caponnetto che, quando torna in Sicilia per i funerali di Paolo Borsellino, dice: «è tutto finito, non c’è più niente da fare». Non lo dice perché è particolarmente emozionato e colpito in quel momento: dice quello che sente lui e sente l'intero popolo italiano in quel momento, perché sembrava tutto finito.
  Abbiamo recuperato secondo me molto bene, lavorando tutti quanti insieme come componenti dello stesso circuito: la politica, le istituzioni. In quel periodo la politica – senza distinzioni di casacca e di bandiera – vota una relazione della Commissione parlamentare antimafia sui rapporti tra mafia e politica, nella quale sono scritte importanti cose mai dette prima e mai ripetute dopo.
  Il Parlamento praticamente all'unanimità vota due iniziative, la legge sui pentiti e la legge sul trattamento carcerario di giusto rigore, detto 41-bis dei mafiosi detenuti, che si rivelano prestissimo due strumenti formidabili per quanto riguarda la lotta al crimine organizzato, ancorché in quel momento dilagante, almeno come potenzialità intuibili a seguito delle stragi.
  Questi votati all'unanimità dal Parlamento italiano sono strumenti che, vuoi perché efficaci in sé, vuoi perché questa unanimità conferisce loro ancor più forza, restituiscono entusiasmo ed efficienza alle forze dell'ordine e indirettamente anche alla magistratura.
  Allora forze politiche, iniziative legislative, forze dell'ordine, magistratura ma – ecco la sua domanda – è la stagione in cui a Palermo, ma non soltanto a Palermo, le piazze si riempiono soprattutto di giovani che dicono che la nostra democrazia avrà tanti difetti, ma è sempre meglio di uno Stato mafia o di un narco-Stato. È la stagione dei lenzuoli, che è stata decisiva, mentre altrove crescono altri fiori.
  Non voglio sembrarvi provinciale o sciovinista se parlo di Torino, ma a Torino in quel periodo nasce Libera, che esprime una pubblicazione oggi utilissima che è Narcomafie, una presenza di sostegno anche critico, quando necessario, nei confronti dei magistrati.
  Avrei mille cose da dire sul versante dell'associazionismo, ferma restando l'impressione che ha avuto lei, derivante dal fatto che in quel periodo lavoravo a Palermo non potevo respirare, se gli uomini della mia scorta, e li ringrazio ancora adesso, non mi davano il permesso di farlo, non avevo neanche la minima libertà, e quindi queste misure di sicurezza che potevano fare il deserto intorno erano anche necessitate.
  Scoprirò dopo che loro avevano intuito un attentato con un missile da Monte Pellegrino contro l'abitazione in cui ero io e mi hanno soltanto trasferito dalla sera alla mattina, dandomi solo il tempo di prendere lo spazzolino da denti, oppure una volta mi hanno fatto girare per Torino, a Natale, prima di lasciarmi rientrare a casa senza dirmi perché, ma si capiva chiaramente che avevano intuito qualcosa. Chissà che quel giorno non fosse arrivata loro qualche notizia e quindi dovessero necessariamente fare un deserto più deserto del solito.
  Tra le tante tantissime cose che vorrei dire ce n’è una che mi sembra molto importante e spero interessi anche voi. Noi siamo sicuramente un Paese che ha tanti problemi di mafia, la vostra Commissione istituzionalmente lo dimostra il fatto, il Pag. 14fatto che vogliate audire me e come me tanti altri lo conferma, ma siamo anche il Paese dell'antimafia.
  Ho fatto anche un'esperienza di lavoro in Europa, Provisional Eurojust, l'Eurojust nascente, poi quando si è trattato di confermare i membri provvisori in definitivi, tutti i Paesi d'Europa hanno confermato il proprio meno l'Italia, che non ha confermato me, non sono neanche finito in una certa rosa, perché per finirvi bisognava avere due requisiti, detto e scritto, la professionalità e la fiducia del Governo. Non so quale dei due requisiti mi mancasse, ma ho qualche vago sospetto. Scusate la digressione.
  Lavorando in Eurojust ho respirato e toccato con mano la straordinaria considerazione di cui il nostro Paese gode, naturalmente se lasciamo da parte le copertine del Der Spiegel su pizza, P38, luoghi comuni brutti, antipatici, pervasivi luoghi comuni. Coloro che qualcosa studiano e capiscono prendono il nostro Paese come punto di riferimento per il contrasto alla mafia, non solo per la legislazione, laddove abbiamo il 416-bis che gli altri Paesi non hanno e che molti degli addetti ai lavori, degli osservatori, degli specialisti vorrebbero e chiedono ai loro Parlamenti, ma anche per la struttura amministrativa, che è merito di Giovanni Falcone e del suo lavoro al Ministero.
  La procura nazionale antimafia con la sua banca dati, che raccoglie un'infinità di dati ed elementi in ogni parte del territorio nazionale sul versante del crimine organizzato, e le procure distrettuali antimafia sono la proiezione su scala nazionale delle carte vincenti che avevano sperimentato come vincenti Falcone e Borsellino, specializzazione e centralizzazione. Le forze dell'ordine e i magistrati che si occupano di queste cose facciano soltanto questo, almeno tendenzialmente, se non davvero, e tutti i dati che riguardano un certo fenomeno siano fatti confluire in un unico motore di raccolta.
  Questa nostra esperienza era ammirata e io vivevo di rendita grazie alla considerazione di cui il mio Paese conseguentemente godeva, tanto che quando chiedevo qualcosa sul versante delle rogatorie internazionali da sveltire veniva più facilmente concesso, perché avevo credito come cittadino di questa nostra Repubblica e delle sue risposte antimafia.
  La cosa che maggiormente colpiva, veniva ammirata e apprezzata con tentativi di imitazione era quella che noi chiamiamo «antimafia sociale», antimafia dei diritti, che è sostenuta da tante associazioni, Libera e altre, perché per fare bene antimafia ci vuole la repressione, con il rispetto di tutte le regole s'intende, ci vuole l'antimafia della cultura – discutere di queste cose, far capire che la mafia non dà lavoro, che la mafia non è pacificazione, ma è un'orribile cosa – ma ci vuole anche l'antimafia sociale, l'antimafia dei diritti.
  C’è una celeberrima frase di Dalla Chiesa quando viene intervistato da Bocca pochi giorni prima della strage di via Carini che ucciderà lui, la moglie e il loro autista, Domenico Russo. Io parlo di Dalla Chiesa con un affetto straordinario, perché ho lavorato con lui per anni ai tempi dell'antiterrorismo, ho imparato a stimarlo, spero e son convinto che la cosa fosse reciproca, ma era uno sbirro con la «s» maiuscola, che più sbirro non si può, un uomo di manette, nato e cresciuto istituzionalmente parlando per la repressione.
  Questo sbirro con la «s» maiuscola, uomo di manette, in questa intervista dice: «ho capito una cosa molto semplice, ma decisiva: se non facciamo in modo che alcuni diritti fondamentali dei cittadini siano garantiti e soddisfatti, questi saranno sempre sudditi della mafia invece che alleati di noi Stato», ed è una profonda verità.
  Ho detto e scritto altre volte che quando un mio collega di Palermo straordinariamente bravo, Alfonso Sabella, bravo soprattutto nella ricerca e cattura dei latitanti, interroga Pietro Aglieri, boss di primaria grandezza, in una pausa dell'interrogatorio o della conversazione perché Aglieri non era uno che accettasse di essere interrogato, gli dice testualmente: «vede, giudice, voi andate nelle scuole a Pag. 15parlare ai nostri ragazzi – dice «nostri ragazzi» – e i nostri ragazzi vi ascoltano e quando tornano a casa parlano con i fratelli e con i genitori e dicono che avete ragione, ma quando è finita la scuola e cercano lavoro, casa, occupazione, chi trovano, voi o noi ?».
  Questo fiore all'occhiello rappresentato dall'antimafia dei diritti, dall'antimafia sociale, il recupero dei beni confiscati, l'assegnazione dei beni confiscati alle cooperative che gestiscono queste cose, che si chiameranno Libera o in qualunque altro modo, perché ce ne sono tantissime anche in Piemonte, sono la verifica quotidiana, la realizzazione che l'antimafia paga anche in termini di lavoro, di iniziative imprenditoriali libere, non più sotto il giogo della mafia, ed è estremamente importante.
  Tutto questo si è moltiplicato e si sta moltiplicando in una situazione che è ancora difficile e che potrebbe essere assimilata per certi profili al deserto, è un fiore dopo l'altro che sboccia e cresce.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Fava sui rapporti con l'imprenditoria e con la politica, il perimetro è quello che emerge dalle nostre inchieste senza sconfinamenti nella sociologia. Fino a qualche tempo fa le mafie avvicinavano, se non addirittura sottomettevano, gli esponenti politici che potevano risultare preziosi per raggiungere certi obiettivi: appalti, traffici, speculazioni soprattutto immobiliari. Da qualche tempo, invece, le mafie sembrano ritenere più conveniente inserire direttamente i loro uomini negli organismi politici e amministrativi che considerano rilevanti per l'attività criminale.
  C’è un precursore, Giovanni Iaria, poi c’è tutta l'esperienza di Chivasso, che va la pena di studiare perché è emblematica, ci sono i comuni di Leinì e di Rivarolo Canavese, ma il caso più significativo è quello di un imputato singolo, il cui nome faccio con rispetto istituzionale e costituzionale assoluto e indiscusso, perché è stato condannato in primo grado e la Costituzione impone di considerare gli imputati come presunti innocenti fino a sentenza definitiva e qui la sentenza definitiva non c’è.
  Ragionando esclusivamente sul provvisorio, sul contingente, sulla sentenza di primo grado, quella di Nevio Coral, che è stato sindaco di Leinì, rappresenta l'unica imputazione di concorso in associazione mafiosa, perché gli altri sono tutti condannati per associazione mafiosa, e il materiale probatorio è interessante per quanto riguarda i quesiti posti dall'onorevole Fava.
  C’è una conversazione in cui gli ’ndranghetisti dicono di poter usare il nome di questo imputato «come biglietto da visita» perché, se andassero loro, la magistratura salterebbe loro addosso, mentre, se si presenta lui nelle banche, gli danno fiducia. La conversazione prosegue dicendo che, in cambio del lavoro da ottenere con l'aiuto dell'imputato, l'organizzazione criminale garantisce a quest'ultimo appoggio elettorale perché una mano lava l'altra, quello che tecnicamente definiamo tutti sinallagma.
  Un'altra intercettazione, questa volta ambientale, riguarda una riunione piuttosto articolata, composita e numerosa in un albergo di proprietà della famiglia Coral peraltro, a cui parteciparono ’ndranghetisti di elevato livello, tra cui Argirò Vincenzo, una vera e propria assemblea che dura tre ore. Ne risulta un programma comune, una vera e propria strategia di intervento, l'imputato intercettato dichiara: «bisogna far sì che la gente dica: «con te le strade si fanno, i lavori si fanno, gli appalti vanno avanti, l'università procede», perché si faceva riferimento all'università delle scienze motorie. Puoi realizzare questo principio su un gruppo che è fedele, quindi uno lo mettiamo in comune, l'altro lo mettiamo nel consiglio, l'altro nella pro loco e l'altro in un'altra cosa, magari arriviamo che ci ritroviamo solo i nostri.
  Questo lo dice l'imputato Coral e Argirò commenta: «è così dottore, date un messaggio importante !». Il biglietto da visita di cui si parlava prima è la cosiddetta zona grigia, una mano lava l'altra è il Pag. 16sinallagma, facciamo squadra, controlliamo tutto è la forza relazionale che controlla il territorio, con l'intreccio della forza politica di Coral e della presenza, che è già di per sé stessa intimidazione, della ’ndrangheta, perché basta l'accoppiata perché tutti capiscano cosa è più conveniente fare.
  Abbiamo sostenuto che sarebbe stato difficile fotografare meglio il lato oscuro del pianeta mafia, cioè gli intrecci, i rapporti con l'imprenditoria e la politica, in questo groviglio di rapporti fra l'imputato e alcuni esponenti della ’ndrangheta con epicentro il comune di Leinì.
  Sono prolisso, vi chiedo scusa, ma sono già pensionato, quindi cerco di darmi un'occupazione. È importante – dico delle banalità, perché questa Commissione lo sa meglio di chiunque altro – chiedersi chi paghi il prezzo di tutte queste cose, chi paghi il prezzo di una ’ndrangheta che non è soltanto criminalità «comune», ma è anche criminalità intrecciata con pezzi dell'imprenditoria e della politica: lo pagano i cittadini, i consumatori, perché sul versante dell'intreccio con pezzi della politica abbiamo organismi elettivi opachi e disonesti, perché la regolarità dei mercati è stravolta e perché si deve vivere in un ambiente pervaso, impregnato di corruzione, intimidazione, fino alla violenza.
  Ecco perché è importante riaffermare la presenza dello Stato anche con l'intervento investigativo-giudiziario, anche con l'intervento repressivo, che non deve essere l'unico. Guai a delegare tutto a polizia e magistratura, come è avvenuto abbastanza frequentemente, per non dire quasi sempre, nel corso di questi vent'anni e per svariati settori, dal terrorismo alla mafia, alla corruzione, alla sicurezza sui posti di lavoro, all'ambiente, alla tutela della salute.
  Bisogna che la magistratura e le forze dell'ordine facciano la loro parte e siano messe in condizione di farla sempre meglio, ma la presenza dello Stato in tutta la sua articolazione è altrettanto o forse persino più importante, perché, se si afferma un sentimento di distacco dallo Stato come strumento di regolamentazione della vita della nazione, ecco che le mafie trovano spazio, è una sorta di legge naturale, matematica, per sostituirsi allo Stato, tanto più in questa stagione di crisi economica, di crisi di liquidità.
  Qui non aggiungo nulla, perché il discorso sarebbe troppo lungo, ma quando Draghi era Governatore della Banca d'Italia, prima di diventare Governatore della Banca europea, diceva che le mafie, poiché non hanno crisi di liquidità, sono in grado di condizionare, penetrare, avvelenare settori dell'economia apparentemente normali in quantità crescente, devastante per quanto riguarda il libero mercato e la concorrenza che possono diventare vuoti simulacri.
  La magistratura ha naturalmente il suo compito da svolgere e credo – lo dico presuntuosamente – che, per quanto riguarda il crimine organizzato di caratterizzazione ’ndranghetista, la magistratura torinese in tutte le sue articolazioni fin qui abbia fatto quello che era possibile, necessario, utile fare.
  La seconda parte della domanda dell'onorevole Fava è molto bella, molto intelligente, molto suggestiva, ma tra le più difficili che si possono fare, perché rievoca tutta una serie di ricordi, dall'Addaura in poi. Io ero allora al Consiglio Superiore della Magistratura e ricordo che Falcone, dopo essere stato mortificato, penalizzato, umiliato non nominandolo, con le ragioni che in alcuni erano emerse, successore di Caponnetto, alla vigilia della cancellazione dell'ufficio istruzione, in quanto Caponnetto lascia la dirigenza all'ufficio istruzione, si deve nominare il successore, il consigliere istruttore di un ufficio che però è morto, perché pochi mesi dopo entrerà in vigore il nuovo codice di procedura penale e l'ufficio istruzione verrà spazzato via.
  Tutta l'enorme, terrificante bagarre che c’è stata riguarda certo questo o quel magistrato da nominare al posto di Caponnetto, ma forse c’è anche altro. Sta di fatto che Falcone non ce la fa, Falcone viene letteralmente umiliato, dirà Borsellino non lo dico io, comincia a morire nel momento in cui non viene nominato consigliere Pag. 17istruttore. Scompare poi l'ufficio istruzione e, come tutti i magistrati che prima lavorano all'ufficio istruzione, Falcone chiede una diversa collocazione e chiede di essere nominato procuratore aggiunto.
  Questa volta il Consiglio superiore della magistratura gli fa questa graziosa concessione, ma io ricordo e l'onorevole Fava lo ha ricordato a sua volta che dietro le quinte si faceva circolare con intensità nei cortili il pettegolezzo molto robusto secondo cui l'attentato all'Addaura magari se lo era fatto da solo per avere una chance in più per essere nominato procuratore aggiunto. Semplicemente non era vero, ma è incredibile conoscendo la statura morale, la correttezza e la dirittura di Giovanni Falcone.
  La tesi della vanità di questo o quel magistrato che fa processi antimafia per sgomitare, scavalcare gli altri e arrivare in qualche posto di responsabilità professionalmente parlando o anche successivamente come iniziative politiche, a me sembra totalmente destituita di fondamento.
  È la tesi che si riassume nella formula «professionisti dell'antimafia», che è stata usata per la prima volta nei confronti di Borsellino e quindi nei confronti di tutto il pool coordinato da Chinnici prima, da Caponnetto poi, perché Borsellino viene nominato procuratore della Repubblica di Marsala, c’è questo famoso, a suo modo bello, articolo di Sciascia – che sapeva scrivere, non devo dirlo io, come nessun altro al mondo – che però è dirompente, perché dare del professionista dell'antimafia a Borsellino significava indirettamente darlo anche a Falcone e quando si tratterà di nominare il successore di Caponnetto questo articolo verrà esibito come un trofeo da chi non voleva che fosse eletto Falcone, e Falcone non viene eletto.
  Definire però professionista dell'antimafia Borsellino quando questo articolo viene scritto essendosi già verificata la terribile, triste, cupa esperienza di Falcone e Borsellino e delle loro famiglie esiliate all'Asinara per poter scrivere l'ordinanza: altro che vanità della procura, vanità di questo o quel magistrato della procura o di altri uffici giudiziari, ma per favore !
  La stessa cosa oggi: vivere perennemente sotto scorta per il magistrato e la sua famiglia non è una cosa facile. Dicevo prima al Presidente che mi scuserà se ho approfittato della sua pazienza, che adesso ho due nipoti, e questo si potrebbe anche segretare, non c’è niente di riservato però si tratta di fatti personali.

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio.

  La Commissione procede in seduta segreta.

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audio.

  La Commissione procede in seduta pubblica.

  GIAN CARLO CASELLI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. E soprattutto impone attenzione per le minacce quali che siano, da chiunque provengano. Tanto più se provengono da colui che nel linguaggio giornalistico viene definito «capo dei capi» credo che non vi sia nulla da trascurare, da considerare velleitario o estemporaneo. Giustamente l'onorevole Fava ricordava che la mia esperienza palermitana ormai è ridotta ai ricordi e a quanto leggo sulle cronache quotidiane come qualunque altro cittadino, però sulla base dei ricordi, di una certa esperienza maturata allora, della logica e del buonsenso, guai a parlare di vanità di questo o quel procuratore, guai a parlare, partendo dal presupposto della vanità, di qualcosa che non è neanche il caso di ipotizzare.
  Il senatore Lumia parlava di comparazione fra terrorismo e mafie, chiedendo se ci siano state difficoltà con le istituzioni. Qui bisogna distinguere fasi, periodi sia per il fenomeno terrorismo, sia per le mafie. Mi sono occupato per dieci anni come giudice istruttore di terrorismo brigatista e di terrorismo di prima linea, dieci anni a tempo pieno prima da solo e poi in Pag. 18pool, e la fase iniziale non è stata per niente facile, è stata la fase – per sintetizzare brutalmente – dei «compagni che sbagliano», «né con lo Stato, né con le BR», quando non degli Zorro o dei Robin Hood che interpretavano istanze del movimento, sia pure estremizzandole con gesti di violenza. Era molto difficile anche l'intervento investigativo-giudiziario in un clima che era, se non di contiguità, quantomeno non di ostilità, anzi di sostanziale, culturale favore nei confronti di questo mondo.
  Per superare questa fase, a Torino si sono dovute fare cose che sono state assolutamente decisive nella sconfitta del terrorismo. Torino vive un'esperienza che nessun'altra città sul piano giudiziario ha mai vissuto, neanche Palermo o la Calabria nei processi di mafia. Nel 1977, infatti, le Brigate Rosse uccidono l'avvocato Croce, presidente dell'ordine degli avvocati di Torino che stava organizzando le difese d'ufficio, perché in uno Stato democratico la difesa ci deve essere e, se non c’è la difesa, il processo è una farsa, quindi l'avvocato Croce faceva il suo dovere.
  Lo uccidono perché avevano minacciato: questo processo non s'ha da fare, la rivoluzione non si processa, la lotta armata non si condanna, chi collabora avrà del piombo e il piombo arriva a uccidere l'avvocato Croce. Torino vive uno dei momenti più brutti della sua storia, Torino città antifascista, città di lotte operaie intensissime, città di affermazione dei diritti democratici anche con le mobilitazioni di massa, in quel momento si affloscia, è terrorizzata, sparisce, perché non si trovano 6 cittadini, non 60 o 600, disposti a fare i giudici popolari.
  Sul tavolo del presidente della corte d'assise, Guido Varvaro, si accumulano uno dopo l'altro certificati medici, che con formule poco diverse sostanzialmente dichiarano «sindrome depressiva», paura. La città è impaurita e sconvolta, le istituzioni politiche per prime, il sindaco Novelli, il presidente della giunta regionale Dino Sanlorenzo, il presidente del consiglio regionale, avvocato Viglione, un'infinità di uomini politici di tutti i partiti, di sacerdoti, sindacalisti, intellettuali e professori organizzano assemblee.
  La strada delle assemblee è lunga, faticosa, ma alla fine sono assemblee oceaniche nei reparti della FIAT, dove c'erano i brigatisti ancora non individuati, che magari individueremo di lì a poco, e gli aspiranti brigatisti.
  Queste assemblee hanno un'importanza decisiva perché i brigatisti e quelli di «prima linea» se possibile ancor di più, perché maggiormente mescolati con il sociale, avvertono che sta cominciando, poi si consolida e poi diventa irreversibile il loro isolamento politico, non possono più illudersi di essere l'avanguardia di questo o di quello, ma si rendono conto di essere semmai l'avanguardia di se stessi.
  Il loro assunto, gambizziamo e uccidiamo per costringere lo Stato a gettare la sua maschera falsamente democratica e a rivelare il suo autentico volto fascista, reazionario, autoritario, per cui la gente a questo punto capirà, si ribellerà e si coagulerà intorno a noi avanguardie già organizzate, crolla, e con esso crollano certezze politiche, certezze psicologiche, un formidabile fattore di crisi che e alla base di tutti i pentimenti che ci saranno.
  La prima fase è durissima, è difficile. Quando ci occupiamo dell'inchiesta sui capi storici della cosiddetta «zona grigia», cioè di persone che non sono propriamente militanti delle brigate rosse, ma hanno ruoli marginali, di concorso con le brigate rosse, emerge un celeberrimo avvocato, grande e autentico partigiano, medaglia d'argento della resistenza, autore di un bellissimo libro, Ponte Rotto, l'avvocato Gian Battista Lanzani. Quando ce ne dobbiamo occupare – sarà condannato definitivamente in Cassazione per concorso esterno, come fiancheggiatore delle brigate rosse – scoppia un pandemonio, noi veniamo considerati, sebbene fossi di magistratura democratica, persone che non stanno capendo assolutamente niente di quanto succede intorno a loro. Si tratta quindi di momenti difficili. Poi, invece, la Pag. 19grande mobilitazione, la grande solidarietà, queste assemblee che finiscono per essere oceaniche.
  Per quanto riguarda la mafia, la stessa cosa ma con fasi invertite, con riferimento alla mia esperienza. Quando arrivo a Palermo, lo sfascio in procura e fuori, ma subito dopo, sull'onda del «Caponnetto n. 2», perché Caponnetto dichiara che è tutto finito, ma è il primo a rimboccarsi le maniche e a battere tutte le scuole italiane logorandosi letteralmente per parlare di legalità e antimafia soprattutto ai ragazzi, molti non soltanto ragazze e giovani vengono trascinati anche dall'esempio di Caponnetto, e i primi due sono «magici» anni di coesione e di unità nazionale, di sforzi comuni straordinari, e i risultati sono imponenti.
  Per quanto riguarda la procura di Palermo e la contabilità addirittura degli ergastoli, 650 ergastoli, e non è poco, i primi processi sul versante mafia-politica con risultati – checché se ne dica in giro – che sono straordinari e soprattutto rappresentano la prima, importante rottura del fronte mafia-politica.
  A questa prima fase positiva segue una seconda fase di segno contrario, perché, quando cominciamo ad occuparci della cosiddetta «zona grigia» cioè non soltanto dei mafiosi di strada ma anche di pezzi dell'economia, della politica, della finanza, dell'imprenditoria, comincia la reazione progressivamente sempre più feroce e violenta nei nostri confronti.
  Con questa differenza, però: che mentre Falcone e Borsellino furono letteralmente spazzati via dal punto di vista professionale e il pool cancellato, Falcone costretto a emigrare dalla Sicilia a Roma, a chiedere a Roma asilo politico-giudiziario al Ministero, per noi la strada a un certo punto si fa in salita ma mai nessuno ci impedisce di lavorare, mai nessuno allude anche soltanto all'opportunità che noi lo facciamo.
  Con molte istituzioni il rapporto rimane buono, certo è che, a partire da una certa data che può essere collocata intorno al 1996-1997, l'antimafia in generale, trasversalmente non è più ai primi posti dell'agenda politica.
  Gli apparati. Chiedo scusa in particolare al commissario Lumia e a tutti quanti loro, ma sono ormai trascorsi quarantasei anni e idee non me ne sono mai fatte, nel senso che ho sempre cercato di muovermi, ragionare e soprattutto esporre le mie considerazioni e le mie tesi all'interno del perimetro dei fatti accertati e riscontrati, svolgendo il mio lavoro quando potevano essere in qualche modo oggetto di esternazione.
  Se c’è stato qualcosa a volte che riguardava gli apparati, lo abbiamo sottoposto ad accertamenti; se non ci sono stati accertamenti con l'esito che possono aver avuto in un senso o nell'altro, idee proprio per principio ho cercato di non farmene, non me ne sono fatte e meno che mai credo di essere legittimato e aver titolo o ruolo per esporle.
  Per quanto riguarda la domanda del commissario Dadone, il monitoraggio riguarda i reati che noi chiamiamo in termine non tecnico «spia», cioè quelli che nel 90 per cento dei casi non sono ’ndrangheta, possono essere altro, ma sempre – non solo il 10 per cento che poi si rivelerà mafia – possono essere mafia in quanto sintomatici, in quanto spia dell'esistenza di qualcosa su quel territorio.
  Il TAV. Conosco questa problematica perché riguarda l'applicazione o meno della normativa antimafia, perché alcuni parlamentari del MoVimento 5 Stelle cui siamo grati ci hanno sottoposto questi problemi e presentato della documentazione, ma a quel punto ci siamo fermati e abbiamo segnalato a chi di dovere questo problema, che è un problema di carattere legislativo, riguarda accordi internazionali. Se qualcosa c’è da fare e non posso saperlo perché non è la mia competenza, quello è un ambito di competenza non mio, ma altrui, in cui si dovrà eventualmente intervenire.
  Mi si chiedeva cosa suggerirei, se fossi componente di questa Commissione, come punto sul quale incentrare l'intervento. Sono molto compreso di me, molto presuntuoso, Pag. 20ma non fino al punto di dare consigli alla Commissione antimafia. Non è un modo di dribblare la domanda, ma tutte le cose che lei ha elencato sono ugualmente importanti. Se poi dovessi proprio scegliere qualcosa, il riciclaggio secondo me è ancora un settore decisivo e nevralgico.
  In questo momento i magistrati di Palermo hanno bisogno di attenzione, di vicinanza e avete mille modi e mille strumenti per manifestargliele in maniera significativa e non soltanto – ma non è assolutamente il vostro caso – in modo formale, di facciata. L'attenzione, la vicinanza, audirli, raccogliere le loro relazioni, provare poi a intervenire sui settori che loro specificamente vi segnalino come sensibili, a partire dalle scorte, dalla loro protezione.
  Credo di aver finito di rispondere.

  DAVIDE MATTIELLO. Nella sua carriera, dottor Caselli, lei è stato anche direttore del DAP e una delle questioni che sta emergendo con frequenza nelle nostre audizioni è proprio il rapporto all'interno delle carceri tra agenti dei servizi e detenuti – si è parlato anche di «protocollo farfalla» – rapporti che avverrebbero all'insaputa della magistratura, con ciò rendendo il compito della magistratura molto più complicato, oltre che alimentare quantomeno il sospetto che esista una zona di interferenza che non chiamiamo più grigia, dal momento che la Presidente ancora questa mattina ci ha invitato a distinguere tra bianco e nero. Essendo stato lei direttore del DAP, vorrei chiederle quali esperienze, quali fatti abbia raccolto su questi eventuali rapporti.

  ENRICO BUEMI. Voglio esprimerle l'apprezzamento di un cittadino piemontese, di quel territorio travagliato in questi ultimi tempi. Abito a cinque chilometri da Chivasso, sono sempre vissuto lì e quindi conosco le problematiche di quel territorio.
  Vorrei porle alcune questioni, la prima di carattere generale, chiedendole cosa ne pensa del 416-ter. Noi domani in Commissione giustizia al Senato discuteremo sugli emendamenti e dovremo trovare un punto di sintesi che ci consenta di dare rapidamente questo strumento all'autorità giudiziaria per svolgere le sue attività.
  Un'altra questione è riferita invece alla vicenda TAV. Siccome sono nato e vissuto in Piemonte per oltre i suoi cinquanta anni di esperienza nel campo della magistratura, mi sembra strano che quanto accada in Val di Susa non accada con il consenso o il sostegno di organizzazioni storicamente insediate in quella valle, che hanno avuto anche momenti di esplicitazione della loro presenza attraverso lo scioglimento del consiglio comunale di Bardonecchia, ma non solo. Lei sa, infatti, che ci sono state altre vicende relativa all'ambito infrastrutture in quella valle – il traforo del Frejus autostradale, l'autostrada Torino-Bardonecchia – che non hanno avuto atteggiamenti di ostilità così pesanti.
  Poiché mi sento solitario in questa interpretazione, vorrei chiederle se sia possibile che in quella valle accada tutto quello che accade senza che ci sia un interesse convergente con i fatti.
  L'ultima domanda di carattere storico riguarda il sequestro Crosetto, effettuato da calabresi negli anni ’80. Chi viveva in quel territorio aveva la sensazione di una presenza organizzata dell'organizzazione criminale ’ndrangheta, lei era impegnato altrove in quel periodo, ma le chiedo quali potrebbero essere state le difficoltà per non individuare in maniera esplicita e concretamente rilevata la presenza di quell'organizzazione criminale.

  GIULIA SARTI. Colgo l'occasione per ringraziarla non solo per il suo lavoro, ma soprattutto per l'esempio che lei ha dato in tutti questi anni ai giovani come me, esempio come magistrato e come uomo. Ho avuto l'occasione di ascoltarla tante volte in questi anni e mi ha sempre fatto piacere constatare la sua disponibilità a confrontarsi con i ragazzi.
  Avrei tantissime domande da porle, ma mi limiterò ovviamente soltanto ad alcune. Lei ci ha parlato dei processi in Piemonte Pag. 21riguardanti la ’ndrangheta e ha citato la presenza di mafie straniere come quella rumena, però vorrei chiederle se abbia riscontrato la presenza anche di altre mafie in Piemonte e se esista un collegamento. Nella mia regione, l'Emilia-Romagna, si trovano infatti cosche di diverse organizzazioni che collaborano tra loro.
  Per quanto riguarda il coordinamento tra le diverse procure della Regione Piemonte e anche fra le procure delle altre regioni del nord, nel corso delle missioni a Reggio Calabria, Milano e a Caserta abbiamo potuto rilevare come fra Milano e Reggio Calabria vi sia una forte collaborazione sia fra le DDA, sia fra le procure. Vorrei chiederle quindi se questo coordinamento esista anche in Piemonte e anche fra le procure delle altre Regioni. Penso soprattutto alla Liguria, perché spesso i legami fra le famiglie della ’ndrangheta insediate in Piemonte e in Liguria fanno emergere importanti collegamenti.
  Occorrerebbe probabilmente un convegno apposito per approfondire il tema, però lunedì sera una bellissima puntata di Report si è incentrata sull'istituto della prescrizione dei reati. Vorrei chiederle se, alla luce della sua esperienza in tutti questi anni, lei ritenga necessaria da parte del Parlamento una revisione dell'istituto della prescrizione e se abbia rilevato problemi posti da questo istituto, ovviamente non riguardo a reati di terrorismo o associazione per delinquere di stampo mafioso, ma in riferimento a reati spia, per cui istituti come questo, delineati e disciplinati come in Italia, possono creare forti problemi.

  STEFANO ESPOSITO. Sarò brevissimo, ponendo tre domande incentrate sull'indagine e il processo Minotauro e su quello che ancora non si è scoperto e che speriamo possa avere uno sviluppo, a partire proprio dalle cose che lei diceva, ovvero che questa indagine arriva a conclusione dopo 6-7 anni di faticoso lavoro.
  Vorrei chiederle se corrisponda alla realtà il fatto che uno dei principali esponenti condannati nel processo Minotauro, Giovanni Iaria, si sia mosso per rilevare alcune imprese «decotte» nel settore edilizio. Una in particolare poteva essere il veicolo attraverso cui entrare nel cantiere TAV di Chiomonte.
  Siccome abbiamo abbastanza chiaro che l'obbiettivo dell'organizzazione criminale che opera a Torino è quello dei lavori pubblici, le dico con franchezza che non credo che esista solo un interesse per il piano regolatore di comuni importanti ma molto piccoli come Leinì, ma ritengo che la partita siano i grandi appalti dove girano molti soldi, mi ricollego ai quesiti posti dall'onorevole Dadone, chiedendole se siamo oggi in condizione di poter dire che gli strumenti di cui disponiamo su questo tema, che non sono solo la magistratura, riescano a fare da filtro a questo tentativo e se possa darci dei suggerimenti per rafforzare tutto questo.
  La mia seconda domanda si collega alle considerazioni del collega Buemi, ma sarò un po’ più brutale. Noi sappiamo bene che cosa è stata la Val di Susa e il fatto che nel 1995 c’è stato lo scioglimento del primo consiglio comunale d'Italia per mafia la dice lunga. In quella valle la presenza è stata importata dalla realizzazione di una grande infrastruttura e dal confino di alcuni esponenti. Intorno alla grande infrastruttura che si realizzò allora, l'autostrada del Frejus, si è innestato un sistema e sono state importate dalla Calabria imprese e persone che poi vi si sono insediate.
  Vorrei sapere se le sembri credibile che oggi un intervento rilevantissimo come il raddoppio del tunnel autostradale del Frejus, che si concluderà entro i prossimi diciotto mesi, non sia minimamente oggetto di alcuna protesta e tutto scorra su quel versante, a pochi chilometri dal tunnel della Torino-Lione, con un'operazione che prevede che quel tunnel venga sostanzialmente realizzato dai francesi.
  Inizialmente c'era infatti l'idea che saremmo intervenuti noi come italiani quando si fosse superato il confine, mentre abbiamo finito per lasciarli continuare dalla nostra parte. Le chiederei quindi se su questo versante non ci sia il rischio di infiltrazioni anche pesanti. La calma che si Pag. 22segnala intorno a quel grande intervento mi suscita una maggiore preoccupazione.
  Considerando l'intreccio di possibili interessi e il silenzio intorno a questa grande opera, un tunnel molto lungo e molto costoso, mi chiedo se non sia forse una pax derivante da altri interessi che si giocano intorno a quella partita.

  PRESIDENTE. Signor procuratore, siccome ha accennato all'esigenza di rivolgere un'attenzione particolare al tema del riciclaggio e noi saremmo già orientati a introdurre il reato di autoriciclaggio, se ci rafforzasse in questa convinzione, aiuterebbe anche chi ha ancora delle resistenze.

  GIAN CARLO CASELLI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Sono diventato direttore del DAP per una serie di ragioni che mi riportano immediatamente all'esperienza palermitana.
  Ho detto prima che le cose cominciano bene e vanno bene per un paio d'anni, ma poi cominciano gli attacchi furibondi contro il nostro lavoro, contro l'ufficio di procura, contro la mia persona, finché a un certo punto, mentre prima mi ero sempre messo di traverso rispetto ai miei colleghi per difenderne la serenità, l'autonomia, la possibilità di continuare a lavorare senza essere turbati più di tanto e c'ero riuscito, maturo la convinzione di essere diventato una sorta di parafulmine che attira le saette e quindi di essere più di danno che di utilità alla serenità, alla compattezza, alla possibilità di continuare l'importante lavoro del mio ufficio.
  Poiché sono passati quasi sette anni e tutte le cose hanno un loro ciclo, quando mi viene prospettata l'opportunità di fare il direttore del DAP accetto. È però un'esperienza breve, perché ho fatto tanti mestieri – di alcuni abbiamo parlato oggi – ma il più difficile, il più tormentato, il più pesante è questo, perché anche qui mi sono reso conto e tutti coloro che lavorano in quest'ambito si rendono conto che è molto difficile e faticoso amministrare la sofferenza, perché finire in carcere è sofferenza, infliggendo anche la sofferenza istituzionalmente, perché le condizioni di vita nelle nostre carceri sono di sofferenza che si aggiunge a quella ontologica, fisiologica, istituzionale.
  Qualcuno ha detto, e secondo me non è molto lontano dal vero, che questo è persino incostituzionale, perché la nostra Costituzione dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, mentre si infligge altra sofferenza. Questo da un lato ha determinato in me un'ammirazione davvero fortissima per tutti coloro – polizia penitenziaria, amministratori – che, nonostante queste difficoltà, nel carcere lavorano quotidianamente, faticano ottenendo – sia pure a macchia di leopardo – risultati di grande interesse, di grande consistenza, ma, non appena si è offerta un'altra possibilità, Eurojust, io ho pensato di dover cambiare mestiere.
  Ho ricordato questo e anche la brevità della mia esperienza, poco meno di due anni, perché ciò a cui ha fatto riferimento l'onorevole Mattiello con la sua domanda, agenti dei servizi e rapporti con detenuti, se non sbaglio riguarda la fase successiva alla mia direzione del DAP.
  Volendo approfondire questa materia – ho detto che non volevo dare suggerimenti, ma questo è un suggerimento tecnico – oltre ai magistrati che allora lavoravano al DAP, un magistrato che molto si è occupato di questa vicenda abbastanza criticamente, che ha lavorato con me al DAP e ha lavorato anche successivamente, ma adesso credo che abbia cambiato ruolo, è Alfonso Sabella. Potrebbe essere utile – spero, visto che siamo molto amici, che non pensi che gli ho fatto cattivo servizio – audire Alfonso Sabella, come naturalmente anche i colleghi che sono direttamente interessati, si trattava della direzione del collega Tinebra.
  Il 416-ter. Credo di avere anche scritto che così com’è attualmente è una cosa semplicemente ridicola, un'oscenità, non esiste una punibilità degna di questo nome del voto di scambio. Bisogna cambiare semplicemente introducendo, al posto Pag. 23delle parole «dazione di denaro», le parole «altra utilità» sarebbero il rimedio migliore.
  Mi sembra di ricordare però che la Camera dei deputati all'unanimità abbia approvato una versione nuova con riferimento al 416-ter, relativamente alla quale io personalmente, minoranza, ma continuo a esserne convinto, ravvisavo un passo avanti notevole, perché l'indicazione «altra utilità» c'era, come c'erano altre cose che non avrebbero pregiudicato la possibilità di fare un passo avanti consistente sul versante della repressione di questa brutta cosa che è il voto di scambio, e invece poi si è scatenata la polemica – legittima, ma da me non condivisa – e tutto si è arenato.
  Sono molto lieto di apprendere adesso che il discorso ricomincia, perché è un discorso che deve ricominciare, che deve andare avanti, in quanto così come è formulato oggi il 416-ter è ridicolo, è un simulacro, una parvenza, una finzione: nella storia giudiziaria italiana ci saranno due casi di applicazione di questo articolo.
  Per quanto riguarda il TAV e il timore o la possibilità di infiltrazioni ’ndranghetiste sul TAV, sulla seconda canna del Frejus e altre grandi opere di questa o quell'altra parte del nostro Paese, il problema ovviamente è complicatissimo. Voglio utilizzare un appunto informale che ho ritenuto di procurarmi della prefettura di Torino, alla quale si potrà utilmente fare riferimento per un eventuale approfondimento.
  In base al protocollo di legalità dell'11 settembre 2012 con LTF, che è la ditta che cura questo primo scavo, la prefettura cura un'approfondita e analitica istruttoria finalizzata all'adozione delle informazioni antimafia per le società coinvolte nei lavori propedeutici alla realizzazione del TAV Torino-Lione, a prescindere dai limiti di valore. L'istruttoria è condotta con il supporto delle forze dell'ordine territoriali e del gruppo interforze – tratta alta velocità, cosiddetto GITAV, istituito ad hoc presso il dipartimento per la pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, con il compito di svolgere attività di ricerca, raccolta, analisi dei dati e delle informazioni concernenti tutte le società per le quali sia richiesta l'informazione antimafia nell'ambito dei lavori citati.
  Sono state fatte a tutt'oggi oltre trecento istruttorie, sostanzialmente non è emerso nulla, se non in un caso di cui non credo di poter parlare io, perché eventualmente sarà la prefettura a valutare.
  Noi come magistratura, per quanto riguarda eventuali responsabilità penali, è cosa pubblica di cui posso parlare, abbiamo ritenuto che fossero accertati profili di infiltrazione ’ndranghetista nei cantieri relativi al TAV a opera di esponenti che hanno posto in essere attività volte a conseguire la disponibilità di una cava in Sant'Ambrogio di Susa, con annesso impianto di produzione di bitume, per stoccare e smaltire in maniera irregolare rifiuti speciali pericolosi e non, e per impiegare i rifiuti sopra indicati, fittiziamente smaltiti in modo lecito in opere di realizzazione e riempimento di fondi stradali, per usufruire degli incentivi previsti per lo smaltimento di questi rifiuti.
  Tutto questo ha portato anche all'emissione di provvedimenti di custodia cautelare in carcere nei confronti del titolare di questa impresa. Questo per dire che, sia sul versante prefettura, sia sul versante magistratura, siamo molto sensibili, molto attenti, ci rendiamo conto che i pericoli ci sono, che le infiltrazioni sono ben possibili, nessuno si illude di vivere nel modo di Candide, perché la Val di Susa ha avuto dei precedenti di certa natura.
  Se vogliamo parlare dei precedenti della Val di Susa, visto che intorno al cantiere No TAV si incentrano attività di commissione di reati attraverso l'esercizio sistematico della violenza, non dobbiamo dimenticare che la Val di Susa è stata anche serbatoio di militanti di «prima linea» di primaria grandezza organizzativa e dirigenziale, da Giai a Manina a Fagiano, è la storia delle inchieste di «prima linea». Non c'entrano assolutamente niente con quello che sta succedendo, sia chiaro, però quando si parla di precedenti è giusto vedere le cose su un versante come sull'altro.Pag. 24
  Il sequestro Crosetto. Forse non è stato scoperto, io non me ne sono mai occupato, più di quanto sia emerso, perché soccorre un altro passo di questa intervista che considero fondamentale quando ci si occupa di cose di mafia, in quanto le cose che Dalla Chiesa diceva trent'anni fa, nel 1982, in grandissima parte possono essere rilette oggi come se fossero state dette ieri.
  Con riferimento al confino e al TAV di cui parlava l'onorevole Esposito, ma anche con riferimento alle difficoltà di capire, inquisire, decifrare, scoprire più di tanto sul versante della ’ndrangheta allora, Dalla Chiesa tra le altre cose dice a Bocca: «ricordo che i miei corleonesi – poi vedremo in che senso dice «miei corleonesi» – i Liggio, centro dei sequestri di persona in Lombardia, i Collura e i Criscione si sono tutti ritrovati stranamente a Venaria Reale, alle porte di Torino, a brevissima distanza da Liggio, con il quale erano stati da me denunziati a Corleone per più omicidi nel 1949», ecco perché «miei corleonesi».
  Sono principalmente gli omicidi dei sindacalisti, per i quali i carabinieri avevano raccolto elementi – a loro giudizio e a giudizio della magistratura che vi aveva lavorato – sufficienti per un rinvio a giudizio, processi che si concludevano regolarmente, sistematicamente con l'insufficienza di prove.
  I suoi corleonesi, denunziati per più omicidi, erano quindi sempre assolti per insufficienza di prove. Prosegue e conclude Dalla Chiesa: «e chiedevo notizie su questi miei corleonesi di Venaria Reale» lui era comandante di Brigata quando fa queste cose «e mi veniva risposto: brave persone, non disturbano, firmano regolarmente. Nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti qui a Palermo o che tenevano ufficio a Milano o chissà erano stati a Londra o a Parigi».
  È la cosiddetta mimetizzazione, ibridizzazione, la capacità straordinaria della mafia di nascondersi, di non farsi notare tutte le volte che non farsi notare è nel suo interesse, al punto che i solerti carabinieri di Dalla Chiesa li definiscono «brave persone». Anche per ciò che riguardava fatti di reato non eclatanti come il sequestro essere decifrati fino in fondo e non soltanto in una certa misura poteva essere ed era sicuramente un problema.
  Commissario Sarti. Per quanto riguarda la presenza di altre mafie nel Piemonte, che è il settore di mia competenza territoriale, mi permetterei di rimandare all'Allegato n. 1, la relazione del collega Ausiello, che ne parla diffusamente.
  Salvo l'esempio di mafia rumena che è strutturata proprio a imitazione delle nostre mafie, negli altri casi si tratta di organizzazioni criminali assimilabili alla mafia, ma più che altro dedite al traffico di stupefacenti e allo sfruttamento della prostituzione, senza quei connotati di collegamento con la zona grigia, che sono la caratteristica delle mafie «nostrane».
  Collegamenti con le altre procure cerchiamo di averne sia tramite la procura nazionale antimafia, sia direttamente, con accordi diretti, senza il filtro della procura nazionale antimafia, e in particolare con la Liguria non solo perché è terra di confine, ma perché i problemi della Liguria sono anche i nostri. L'operazione Albachiara ha avuto una specificazione torinese e ligure, e lo stesso esito in prima battuta non felice nell'ottica dell'accusa per la procura torinese e per la procura genovese.
  I problemi sono gli stessi: basso Piemonte vuol dire Liguria, Liguria soprattutto verso il Piemonte vuol dire basso Piemonte. I nostri rapporti sono sempre stati particolarmente stretti, particolarmente significativi, con una procura che è stata abolita, quella di Sanremo. Non dico nulla, ma la procura di Sanremo era una procura nevralgica, che è stata assorbita da Imperia, ma c'era uno splendido magistrato ormai non più procuratore di Sanremo – è altrettanto splendido sicuramente il procuratore di Imperia, ma con lui abbiamo avuto meno a che fare – il dottor Cavallone, molto attento, molto sensibile, molto esperto sui problemi di mafia. Lì c’è stato lo scioglimento di Bordighera, Pag. 25due comuni hanno avuto i loro problemi e quindi i collegamenti diventano importanti.
  Cosa fare con la prescrizione: cancellare quella – scusatemi l'espressione molto volgare, pesante e atecnica – vergogna del nostro Paese. Siamo l'unico Paese al mondo di democrazia occidentale in cui la prescrizione non si interrompe mai: negli altri Paesi si interrompe con il rinvio a giudizio o con la condanna in primo grado, da noi mai, da noi la prescrizione prosegue interrotta fino a sentenza definitiva.
  Se io fossi un difensore di parte privata o un imputato – toccando ferro, naturalmente, non si sa mai – tirerei le cose in lungo quanto più possibile, perché la prescrizione tutto cancella e, se magari non cancella, arriva magari un indulto o un'amnistia. Conviene tirarla per le lunghe con una prescrizione che non si interrompe mai.
  Qui mi sento tirato per i capelli a parlare di Andreotti e non posso, perché ci vorrebbe mezza giornata, ma quello di Andreotti è il caso tipico di un imputato molto eccellente che è stato riconosciuto colpevole, penalmente responsabile anche in sede di Corte di cassazione confermando la sentenza della Corte d'appello di Palermo fino al 1980, e che non è stato condannato perché il reato commesso («commesso» è scritto nel dispositivo) è prescritto.
  Parentesi: la prescrizione è rinunciabile, sono pochissimi gli imputati che rinunciano alla prescrizione, e mi sembra di capire che Andreotti non ci abbia mai pensato, ma la prescrizione è rinunciabile. Mi spiace citare qualcuno che con l'antimafia non c'entra niente, ma il sottosegretario e sindaco De Luca ha rinunciato alla prescrizione ottenendo un'assoluzione nel merito.
  Al senatore Esposito, per quanto riguarda l'esistenza di strumenti sufficienti a fare da filtro, con quel che ho letto con riferimento alla prefettura e alla nostra iniziativa sulla cava spero di aver dato una risposta. Pone un problema di comparazione fra lo scavo geognostico del TAV e la seconda canna del Frejus e mi dispiace perché il senatore Esposito sarà sicuramente molto deluso, ma io mi tiro fuori, perché questa comparazione pone in campo costi, sostenibilità, compatibilità con il momento economico-finanziario del nostro Paese, utilità per quanto riguarda il sistema complessivo dei trasporti, impatto ambientale, tutti problemi che esulano dal perimetro di competenza della magistratura.
  Ho sempre detto che non tocca a me prendere posizione sull'utilità o meno, sulla convenienza o meno del TAV e allo stesso modo della seconda canna del Frejus, è un dato di fatto obiettivo che, mentre c’è la bagarre con fatti di reato gravissimi per quanto riguarda il TAV – gli ultimi commessi sono stati clamorosi e ci hanno imposto di contestare, impostazione completamente avallata dal GIP, la finalità di terrorismo – per fortuna non ci sono atti di violenza, ma non c’è neanche una bagarre culturale, magari non ci sono gli estremi, non tocca a me dirlo, per quanto riguarda la seconda canna del Frejus.
  Sono comunque problemi fuori della mia competenza: la mia procura – ancora per pochi giorni – si deve porre soltanto un problema, cioè se siano stati commessi fatti di reato. Se sono stati commessi, abbiamo il dovere di intervenire, poi possiamo intervenire troppo, intervenire poco, possiamo sbagliare o non sbagliare, ma ci viene contestato il dovere di intervenire.
  Non più tardi di ieri sui muri di Torino è comparsa l'ennesima scritta dicente: «Rinaudo-Padalino-Caselli la pagherete», Rinaudo e Padalino sono i due pm che maggiormente si occupano di queste cose, Caselli sono io, e sono frequentissime scritte di questo tipo.
  Parliamo tanto di solitudine dei magistrati palermitani sacrosanta, incomparabile con la nostra, ma non ci sono sufficienti prese di distanza in particolare nella valle da parte di quelle componenti indiscutibilmente perbene del Movimento No TAV, che finiscono, non per avallare, ma per accettare passivamente questi gesti di violenza, comprese le contestazioni.Pag. 26
  Il catalogo delle cose che sono state scritte contro di me è davvero ricco e articolato: «Caselli boia», «Caselli torturatore», «Caselli mafioso», mi si può dire tutto, ma mafioso forse non è la cosa più giusta, «Caselli finirai come Moro», «Caselli come Ramelli» e via seguitando. Non sono cose piacevoli, ma continuano ancora, nonostante tutto.
  Sul TAV vorrei dire un'ultima cosa: coloro che sostengono che quest'opera non s'ha da fare possono avere tutte le ragioni di questo mondo, è un ambito di competenza estraneo alle competenze istituzionali proprie del mio ufficio, però c’è una cosa che vorrei fosse oggetto di riflessione non da parte della magistratura, ma da parte del mondo politico, del mondo intellettuale, del mondo dell'informazione, ovvero che chi è contro il TAV fa un problema di diritti che vengono sacrificati per superiori interessi di carattere economico.
  Riflettiamo però per favore su altri diritti che vengono calpestati, che sono quelli dei lavoratori di questo cantiere che vengono attaccati con mezzi paramilitari, loro e le forze dell'ordine, a rischio della loro incolumità e della loro sicurezza ! Anche il lavoro è un diritto, anche il lavoro in sicurezza, anche il lavoro senza dover rischiare conseguenze sulla propria salute e la propria incolumità è un diritto, e quando si parla di diritti mi piacerebbe molto che, insieme ai diritti che si possono rivendicare su un certo versante, si parlasse anche di questi.
  Scusate, non riesco a parlare di certi argomenti senza scaldarmi, ma è davvero fuori luogo che lo faccia più di tanto, e spero che abbiate avuto pazienza anche per queste mie reazioni un po’ sopra le righe.
  Ho sempre detto che abbiamo una normativa antimafia, se non all'avanguardia, sicuramente molto buona, prova ne sia che la Convenzione dell'ONU del 1999 o del 2000, che si è tenuta a Palermo, ha sostanzialmente mutuato la nostra legislazione, i nostri indirizzi, i nostri princìpi, addirittura andando oltre perché lì parlano di immunità per i pentiti, mentre il nostro ordinamento non ce lo consente, ma delle agevolazioni per i pentiti noi siamo stati promotori con la legge voluta da Falcone e da Borsellino, intrisa del loro sangue perché arriva soltanto dopo le stragi, prima era sostanzialmente in corso d'insabbiamento, diciamo in corso di non approvazione.
  Quello che è mancato secondo me è l'aggiornamento periodico, sono passati vent'anni, di alcuni profili di questa normativa, per cui si sono appannati, arrugginiti, coperti di ragnatele, mentre dovrebbero essere rivitalizzati e dovrebbe essere il compito del codice antimafia, che mi pare languire.
  L'Agenzia per i beni confiscati è il nostro fiore all'occhiello, ma anche lì sveltire le procedure dovrebbe essere uno degli obiettivi da porsi. Non ci siamo dati nuovi strumenti, ci siamo accontentati molte volte di polemiche come tutte quelle furibonde sul concorso esterno in associazione mafiosa, che è l'unico strumento che abbiamo a disposizione per colpire la zona grigia, senza colpire la quale la mafia viene contrastata a metà.
  Queste sono polemiche inutili, addirittura controproducenti, sterili, strumentali. Se si vuole perfezionare il concorso esterno, ci sono tanti modi per farlo, altrimenti si lascino le cose come sono, che hanno funzionato dai tempi del Senato di Sicilia per quanto riguarda il brigantaggio fino ai tempi di Falcone e Borsellino, fino a tempi dell'antiterrorismo, fino ad oggi, con dei paletti garantisti fissati dalla Cassazione, in maniera tale che, se qualcuno dice che questo non è un reato, che se lo sono inventati i magistrati, che questo significa processare soltanto le ombre, sostiene cose non vere. Se si vuole fare qualcosa, i paletti fissati dalla Cassazione siano trasferiti sul piano legislativo, senza inventarsi niente di diverso da ciò che la Cassazione ha già scritto.
  Poi ci sono dei buchi: la mancanza di punizione dell'autoriciclaggio e del voto di scambio sono tra i più significativi. Sull'autoriciclaggio non ha senso, perché, se io mafioso accumulo quantità immense di denaro come sanno fare i mafiosi con le Pag. 27loro attività illecite e poi lo riciclo io stesso e questo riciclaggio, che è inquinamento dell'economia, del regolare funzionamento del mercato, è come acqua che scorre sul marmo perché non è punibile, davvero nel sistema complessivo qualcosa non funziona.

  PRESIDENTE. Evidentemente non si adotta questo strumento per combattere la mafia perché fa comodo su altri settori. La resistenza sull'autoriciclaggio dipende da altri settori: falso in bilancio, evasione fiscale. Terminiamo con gli ultimi quattro interventi.

  FRANCO MIRABELLI. Colgo l'occasione per ringraziare il dottor Caselli non solo delle cose che ci ha raccontato oggi, ma soprattutto delle cose che ha fatto in questi anni per il Paese.
  Vorrei verificare una serie di cose che abbiamo ascoltato a Milano in questi giorni per capire se corrispondano all'esperienza del dottor Caselli. Milano ci ha segnalato con grande preoccupazione un fenomeno omertoso molto forte soprattutto tra le stesse vittime, che ha costretto i magistrati addirittura a contestare il reato di favoreggiamento per molte di queste vittime. Credo che questo sia ricollegabile alla zona grigia e vorrei capire quali sensazioni abbia avuto nelle inchieste che ha svolto.
  Sia a Reggio Calabria, sia a Milano ci hanno comunicato la sensazione che ci siano organizzazioni ’ndranghetiste, che sono quelle più forti, radicate e organizzate con modelli già sperimentati su quei territori, ma che comunque venga mantenuto un rapporto con Reggio Calabria. Siccome il dottor Gratteri si dichiarava convinto di questo, ma continuava a dirci che non tutti erano d'accordo su questo, vorrei conoscere la sua opinione anche in base alle sue inchieste, perché credo che questo sia un punto importante.

  CORRADINO MINEO. Vista la speciale occasione, presidente, penso che lei mi consenta due parole per dire una cosa che non ho mai detto a Giancarlo Caselli, che nella sua attività contro le brigate rosse e prima linea non ci sono stati soltanto la sua intransigenza e il suo rigore, ma anche la sua capacità di distinguere, di capire e di essere garantista, e questo ha aiutato molto, perché il fenomeno si contrasta molto meglio se il procuratore ha un'autorevolezza indiscussa. Sono testimone del riconoscimento generale anche di indagati da Caselli di questo suo lavoro, e bisognerebbe che ce ne ricordassimo, perché questo è importante in molti campi.
  Venendo alla mafia, Caselli ci ha ricordato alcune cose che vorrei citare perché sono importanti. La prima è che forse conviene davvero consigliare al CSM che insista con i magistrati perché la mafia si combatte e si previene con l'operazione sui loro patrimoni. Questa non è una novità, Gian Carlo sa che ne parlavamo oltre quaranta anni fa, dicendo che «bisogna colpirli nella roba», però a questo punto è diventato un elemento di cultura comune ed è fondamentale farlo, anche perché ci risulta che molte delle minacce fatte non a Di Matteo ma ad altri procuratori di Palermo sono legate al gravissimo danno patrimoniale che la mafia siciliana sta subendo, che ne mina l'organizzazione, per cui cerca di colpire o di far paura.
  La seconda cosa che Caselli ci ha detto anche se en passant è che quando sequestriamo o confischiamo qualcosa dobbiamo utilizzarla. Oggi abbiamo perso un'ottima occasione in Senato per fare questo, perché c'era un emendamento che chiedeva di dare le case sequestrate nella disponibilità dei comuni e della regione anche per i senza casa, ma è stato ammorbidito e riscritto, mettiamola così.
  Sono però un po’ stupito, perché mi rioccupo di mafia dopo qualche tempo, andiamo a Reggio Calabria e sentiamo suoi colleghi che dicono di muoversi ormai in una città in cui tutti potrebbero essere mafiosi, perché si è saldato un rapporto fra professioni, ufficiali, agenti dello Stato e ’ndrangheta come mai prima, in una situazione in cui non si sa con chi si stia parlando, poi però si parla di mafia come Pag. 28anti-Stato e anche il termine «trattativa», che è invalso da parecchio tempo, fa pensare a due enti separati.
  Se il procuratore Caselli dovesse dare fondo alla sua storica, fondamentale esperienza, la mafia o le mafie rispetto allo Stato in che posto starebbero, come le brigate rosse, dentro, con rapporti in certi casi consustanziali ?

  LAURA GARAVINI. Procuratore, nel ringraziarla anch'io per questa lunga vita professionale, di cui oggi non ci ha fatto che un breve sunto attraverso tanti spunti davvero preziosi, vorrei chiederle, per quanto lei abbia detto che mai vorrebbe dare consigli all'antimafia, essendo a pochi giorni dal suo pensionamento, quali siano, accanto alle due o tre proposte di variazione legislativa di cui ci ha già parlato, i passaggi di aggiornamento e modernizzazione dell'apparato legislativo anche in vista di un contrasto internazionale alle mafie, approfittando anche dell'esperienza maturata dalla sua procura anche alla luce della posizione geografica del Piemonte. In particolare, abbiamo parlato del TAV ma, a seguito della posizione strategica del Piemonte e dunque anche delle presenze di criminalità organizzata in Piemonte, vorrei sapere se risultino anche tentativi di infiltrazione sull'Expo. Per focalizzare infine l'attenzione sulla fase delle stragi, oggi è stato finalmente estradato uno dei probabili artefici anche di questa fase, Palazzolo, più noto come il tesoriere di Riina. Plaudendo al fatto che si sia giunti finalmente all'estradizione di questo personaggio ricercato da decenni, vorrei chiederle se ritenga che questo arresto possa rappresentare una svolta e ci si possa aspettare dichiarazioni importanti da Palazzolo. Mi consenta comunque di rivolgerle a nome di tutti noi commissari dell'antimafia i più grandi complimenti per il suo operato e soprattutto i migliori auguri per la fase di pensionamento alla quale lei si sta avviando.

  GIAN CARLO CASELLI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. La ringrazio molto anche se diffido un po’ degli auguri. Nel farmeli, i ragazzi di Libera due giorni fa mi hanno consegnato una paletta di cartone costruita da loro con scritto «Alt !» e un pettorale di quelli rifrangenti, dicendo che questo fanno i nonni davanti agli asili e adesso questo è quello che mi tocca !

  LUCREZIA RICCHIUTI. Lei ci ha fatto una raccomandazione rispetto alla formazione dei magistrati da parte del Csm sulle misure di prevenzione per far fronte a un loro deficit culturale. Le chiedo quindi se non creda che la formazione sul fenomeno delle mafie al nord e il loro insediamento nel tessuto sociale debba essere fatta anche nei confronti delle forze dell'ordine. Mi riferisco per esempio alle piccole stazioni dei carabinieri situate nei piccoli comuni.
  In diversi casi, infatti, ci sono stati cittadini attenti, giornalisti di provincia attenti o associazioni sul territorio che hanno segnalato situazioni o fatti che apparentemente sembravano di poco conto, ma erano invece campanelli d'allarme del fenomeno mafioso sul territorio, che purtroppo non erano stati tenuti in debita considerazione proprio a mio avviso per un deficit culturale delle forze dell'ordine periferiche.

  GIAN CARLO CASELLI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino. Per quanto riguarda il quesito posto dal commissario Mirabelli, la reticenza, per non dire tout court l'omertà, di cui mi sembra abbia parlato la collega Boccassini purtroppo è riscontrabile anche sulla base dell'esperienza piemontese.
  Un dato obbiettivo però eloquente al riguardo è che nel processo Minotauro si sono avute molte costituzioni di parte civile, comuni sciolti per mafia, l'associazione Libera, ma di privati uno soltanto, eppure di reati che riguardavano privati a livello di estorsione e di minaccia ce n'erano molti.
  I rapporti con Reggio Calabria e Milano come tutti i rapporti tra uffici giudiziari a volte hanno momenti che necessitano di chiarimento e perfezionamento, ma sostanzialmente Pag. 29sono sempre andati bene. Minotauro è per una certa parte costola dell'operazione Infinito o Crimine di Reggio Calabria, abbiamo lavorato in perfetto accordo con il dottor Gratteri e con la dottoressa Boccassini.
  Non abbiamo mai avuto divergenze interpretative per quanto riguarda i rapporti con la casa madre e abbiamo sempre visto quelle locali del Piemonte come gemmazione della Calabria, che con la Calabria hanno un rapporto di autonomia da un lato, ma di solido intreccio dall'altro, senza la quale non sarebbero ’ndrangheta, ma sarebbero qualcosa di diverso. Questa la nostra ricostruzione, che ha retto, anche perché si sono posti problemi di competenza territoriale.
  Corradino Mineo dice una cosa che va ben oltre la mia persona, anche se ovviamente lo ringrazio: l'autorevolezza non è un problema di questo o quel magistrato, Falcone diceva cose che erano il massimo che si può elaborare al riguardo, e una delle cose che ha detto, ha ripetuto e troviamo regolarmente nei suoi scritti con riferimento ai collaboratori di giustizia è che «ci si pente quando ci si fida dello Stato», quando lo Stato appare credibile, autorevole.
  È quindi un problema di organizzazione complessiva della risposta, di autorevolezza e le cose funzionano. Per quanto riguarda la collocazione dello Stato rispetto al terrorismo e alla mafia, ci sono enciclopedie che riempiono gli scaffali delle nostre biblioteche. Direi una cosa soltanto in estrema sintesi: il terrorismo, senza distinguere le varie fasi, a un certo punto si sconfigge perché si prende coscienza, si avverte, si realizza tutti insieme che è altro rispetto a noi, e allora l'isolamento dei terroristi e la conseguente crisi diventano un fattore decisivo per arrivare alla soluzione di questo problema.
  La mafia, a parte alcuni momenti in cui c’è la sollevazione di popolo in coesione con tutte le altre forze politiche e sociali del nostro Paese – ho vissuto il biennio-triennio subito dopo le stragi che era improntato a questa cifra – purtroppo non è altro rispetto a noi, è impregnata con pezzi di noi attraverso le relazioni esterne, quindi il contrasto alla mafia è più difficile del contrasto al terrorismo perché rispetto allo Stato e alle componenti culturali ed economico-finanziarie è affatto diverso.
  Per quanto concerne le proposte principali, io punterei molto sull'Agenzia dei beni confiscati, forse adesso si chiama in altro modo, e sulle procedure che devono essere snellite, accelerate e semplificate, perché qui si gioca una partita importante, nel senso di antimafia sociale, antimafia dei diritti, per cui dei sudditi si trasformano in alleati, e perché anche dal punto vista economico-finanziario ci possono essere delle bellissime cose che vanno a vantaggio della collettività.
  Tutte le cose che si potrebbero fare sul versante dell'antimafia in generale possono trovare la loro giusta specificazione nella cornice di quello che si chiamava codice antimafia e non so come si chiami oggi. Si tratta di puntare di nuovo sul codice antimafia, di fare il punto su ciò che è ramo secco da tagliare, ramo da rinverdire, ramo nuovo da innestare, ma in un ambito complessivo di codice unico antimafia. Di eventuali infiltrazioni sull'Expo non so proprio nulla e chiedo scusa.
  Su Palazzolo, abbiamo cominciato a «dargli la caccia» quand'ero io a Palermo ed era ancora in Sudafrica. Il collega Gozo, che adesso è procuratore aggiunto a Caltanissetta, andò in Sudafrica per interrogarlo e farsi raccontare da Gozo il muro di gomma che ha trovato nelle autorità anche più significative del Sudafrica e che lascia pensare che sappia molte cose, sia molto potente, che sia davvero un tesoriere di questo o di quello, o magari di se stesso. La Thailandia non l'ha consegnato e pentirsi o non pentirsi, collaborare o non collaborare è sempre scelta individuale, non esistono regole, ma certo la mia opinione è che di cose da dire dovrebbe averne abbastanza.
  Alla senatrice Ricciuti, io non generalizzerei, perché ci sono forze dell'ordine – parlo di tutte le articolazioni – preparatissime e altre invece che scontano qualche incertezza, ma questo vale anche per la Pag. 30magistratura, però la risposta sta nella domanda: sono le piccole stazioni che necessariamente fanno i parroci laici e non hanno tempo secondo me di approfondire questi problemi, mentre sono le strutture centrali, i comandi provinciali o le strutture centralizzate a livello nazionale che devono capire più cose e cercare poi di diffonderle anche a livello periferico. Non è facile, e ricordo che quando ero a Palermo vi fu una stagione in cui si moltiplicarono gli attentati contro gli amministratori locali, con una profonda difficoltà di capire che era mafia. Non c'era malafede, ma la difficoltà a vedere da subito ciò che poi dopo si vedrà con evidenza. Non è facile.

  PRESIDENTE. Grazie, signor procuratore, siamo onorati e anche orgogliosi di essere stati forse una delle ultime istituzioni che hanno avuto la possibilità di ascoltarla come servitore dello Stato. Sappiamo che avremo ancora molte occasioni per incontrare un servitore della comunità come lei, perché continuerà ad esserlo e siamo sicuri che l'esperienza maturata in questi anni la porterà ancora su quelle frontiere in cui l'abbiamo incontrata molte volte, nelle scuole, con i giovani, tra le associazioni, a fare quella formazione che forse è ciò che è più importante nella lotta alle mafie. Grazie quindi a nome di tutti e tanti cari auguri, che facciamo al magistrato, all'uomo di Stato e anche al nonno.
  Lascio ora la parola al Vicepresidente Fava per comunicare l'ordine del giorno delle prossime riunioni. Buon Natale e buon anno a tutti, abbiamo lavorato intensamente in queste settimane, vi ringrazio molto, ma non pensiate che dopo le vacanze non sarà peggio.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CLAUDIO FAVA

Comunicazioni del Presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che nella riunione del 18 dicembre l'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi ha deliberato di effettuare le audizioni del direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), Ambasciatore Giampiero Massolo, e del direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), Generale C.A. Arturo Esposito. Tali audizioni si svolgeranno in forma segreta.
  A seguire, si svolgerà l'audizione del direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria (DAP), dottor Giovanni Tamburino, e poi si effettuerà una missione in Sicilia.
  Nella riunione odierna, l'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi ha inoltre deliberato di convocare il Presidente del Consiglio dei ministri o un suo delegato, per un'audizione sul tema delle proposte che il Governo intende formulare per il contrasto alla criminalità organizzata e in particolare il contrasto patrimoniale e la migliore gestione dei beni confiscati sulla base del lavoro svolto dalla Commissione istituita dal Governo sul tema.
   Comunico infine che il resoconto stenografico dell'audizione del Ministro della giustizia, Annamaria Camcellieri, svoltasi nel corso della missione della Commissione a Reggio Calabria il 9 dicembre 2013, e il resoconto stenografico dell'audizione del Ministero dell'interno, Angelino Alfano, tenutasi il 16 dicembre 2013 nel corso della missione che la Commissione ha svolto a Milano, saranno allegati al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 17.30.

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ALLEGATO 1

MISSIONE A REGGIO CALABRIA 9 DICEMBRE 2013

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta inizia alle 14.40.

Audizione del Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro della giustizia, prefetto Annamaria Cancellieri. L'audizione rientra nell'ambito di una serie di attività volte ad approfondire questioni di carattere generale riconducibili agli oggetti dell'inchiesta previsti dalla legge istitutiva che rientrino nella competenza del dicastero da lei diretto.
  Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire anche in seduta segreta. Avverto, inoltre, che, se non vi sono obiezioni, si darà ulteriore pubblicità ai lavori mediante l'ammissione della stampa in separati locali della prefettura, dove è stato attivato un sistema audio a circuito chiuso in conformità a quanto previsto dall'articolo 12 del Regolamento interno della Commissione e non diversamente da quanto avviene per le audizioni quando si svolgono a Palazzo San Macuto.
  Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
  Do il benvenuto al Ministro Cancellieri e la ringrazio di aver raccolto questa richiesta di audizione non nella sede tradizionale della nostra Commissione, ma di avere accettato di essere qui a Reggio Calabria, dove come Commissione abbiamo deciso di svolgere non solo la tradizionale missione che solitamente la Commissione svolge, ma di iniziare proprio i nostri lavori con le audizioni dei due principali ministri delle attività che riguardano la nostra Commissione.
  Siamo ben lieti di dare la parola al Ministro Cancellieri per lo svolgimento della relazione.

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Signor Presidente, onorevoli componenti della Commissione, desidero anzitutto porgere a voi tutti il mio augurio di buon lavoro, certa che saprete rinnovare l'alta tradizione di questa Commissione bicamerale che, attiva ormai da 50 anni, rappresenta un pezzo importante della storia di questo Paese, vero e proprio punto di riferimento di studiosi e addetti ai lavori che fa onore al Parlamento italiano.
  La stessa sede scelta per questa seduta, in uno dei territori maggiormente esposti all'assalto predatorio di organizzazioni criminali della massima pericolosità offre diretta testimonianza della sensibilità istituzionale della Commissione. Il segnale che si coglie è quello positivo di una speciale attenzione riservata non soltanto a Reggio Calabria, ma all'intera regione, nella comune consapevolezza che nell'azione di contrasto all'attività organizzata non si possono tollerare divisioni, omissioni o disimpegni di nessun genere.
  Bisogna, insomma, stare sempre sul pezzo, sia per offrire valide ed equilibrate soluzioni politiche, sia per supportare l'opera delle forze dell'ordine e dei tanti magistrati chiamati ad affrontare ogni giorno, tra mille difficoltà, un fenomeno criminale che non ha uguali al mondo per Pag. 32virulenza, durata, pervasività, diffusività e caratteristiche operative.
  Le grandi organizzazioni di stampo mafioso, mafia, ’ndrangheta, camorra e sacra corona unita, si caratterizzano, infatti, per un complesso modello operativo costruito sul ferreo controllo territoriale delle zone d'origine, cui si affianca una preoccupante capacità di infiltrazione e condizionamento della politica e dell'economia legale, che estende i suoi tentacoli su tutto il territorio nazionale.
  Questa pervasività nefasta fa dell'impresa mafiosa, ma anche di quella soltanto controllata dall'organizzazione criminale, un'impresa vincente sul mercato, soprattutto nei periodi di crisi come quello attuale. È un'impresa senza problemi di liquidità, senza necessità di accesso ai canali del credito legale, che utilizza lavoratori privi di ogni tutela sindacale, ma anche un'impresa che, tramite il ricorso all'usura professionale, organizzata da colletti bianchi al soldo degli associati, sbaraglia la concorrenza con una politica di costante espansione e conquista delle imprese concorrenti ammantata da una parvenza solamente formale di rispetto della legge.
  Non bisogna mai dimenticare che, attraverso questa duplicità di modello operativo, l'organizzazione criminale gestisce sia imprese operanti sul mercato legale, dalle società immobiliari ai negozi, dalle catene alberghiere ai ristoranti e così via, sia le imprese mafiose, attive, per così dire, sul mercato criminale.
  È da quest'ultimo mercato che sono ricavate le risorse frutto della predazione operata sul territorio, come dimostrano le più recenti indagini sulle ’ndrine calabresi operanti in Lombardia, ma anche la terribile vicenda campana della Terra dei fuochi, ove non è esagerato parlare di vero e proprio biocidio di interi territori.
  Non mancano, infine, concreti segnali di reimpiego delle risorse illecite anche all'estero grazie ai già consolidati contatti con la criminalità transnazionale da tempo attiva sul versante del traffico d'armi e di sostanze stupefacenti. In questo quadro, già complesso e difficile, se mi è consentita una breve digressione stimolata dalla tragedia di Prato di pochi giorni fa, appare sempre più pressante la necessità di confrontarsi con fenomeni associativi in tutto simili al modello mafioso, consacrato dall'articolo 416-bis del codice penale, al quale si aggiunge la comune etnia straniera, che si qualifica come elemento di coesione del controllo criminale ancora più complesso da contrastare.
  È una mafia da importazione, anch'essa destinata a sconvolgere il mercato legale attraverso forme di produzione a bassissimo costo, che ben poco hanno a che fare con l'illecito sfruttamento dei lavoratori in nero così come lo conosciamo, dando luogo a forme di vero e proprio schiavismo in grado di coinvolgere e sottomettere interi nuclei familiari quando anche non intere comunità, uomini in carne e ossa trasformate in macchine da cucito, senza volto,
senza nome e senza umanità, cui è negata l'identità di esseri umani persino di fronte alla morte.
  È una nuova mafia, fondata su forme di intimidazione spaventose, diffuse e non ancora del tutto svelata malgrado l'impegno massiccio della magistratura e delle forze dell'ordine. È un fenomeno nella sostanza sociale prima ancora che giuridica intrinsecamente mafioso di cui dobbiamo seriamente preoccuparci. Questo è il quadro di sintesi delle associazioni criminali che il Governo è chiamato a contrastare, forte di strumenti ed esperienze già collaudate ma, come subito dirò, ulteriormente migliorabili e potenziabili.
  In quest'ultimo decennio, le istituzioni, anche grazie all'opera della Commissione antimafia, hanno sperimentato positivamente una strategia di contrasto multifattoriale, di cui tutti i giorni raccogliamo i frutti, che senza dubbio possiamo e dobbiamo ancora più migliorare, ma che costituisce nel mondo un vero e proprio punto di riferimento di cui possiamo andare orgogliosi.
  Solo per citare un esempio recentissimo, il software ministeriale in uso alla Direzione nazionale antimafia italiana per il coordinamento delle indagini è stato Pag. 33richiesto in uso gratuito dalla Serbia. Abbiamo volentieri accettato la proposta nel quadro di un sempre più necessario coordinamento delle investigazioni nell'ambito dei Paesi dell'Unione europea. Il 5 dicembre 2013, un nostro rappresentante, insieme al procuratore Roberti, ha consegnato ufficialmente il programma al Governo di Belgrado.
  Tutto questo accade nel quadro del rafforzamento della cooperazione giudiziaria e dello scambio di informazioni tra gli Stati anche ai fini di polizia nonché dell'ambito della progressiva armonizzazione dei reati e delle selezioni dei diversi Stati dell'Unione europea, ciò che costituisce un primo traguardo importante nella formazione del diritto penale comune europeo, che riguarda anche l'obbligo per gli Stati membri di introdurre fattispecie incriminatrici uniformi nella specifica materia della criminalità organizzata.
  La multifattorialità dell'azione di contrasto alle organizzazioni criminali è oggi la nostra carta vincente e può essere riassunta in pochi punti: efficacia, professionalità e specializzazione dell'apparato info-investigativo formato da gruppi operativi speciali, come la DIA, il ROS e il GOM dalla nostra polizia penitenziaria; efficacia, professionalità e specializzazione della magistratura inquirente e giudicante ottenuta mediante la creazione delle sezioni specializzate dei tribunali della prevenzione, delle direzioni distrettuali antimafia e della direzione nazionale con forme di coordinamento investigativo, sconosciute in passato, che hanno consentito di cogliere risultati spesso eccezionali, una specializzazione che, grazie alla revisione della geografia giudiziaria, potrà essere ancora più accentuata con la concentrazione delle sedi; garanzia della massima sicurezza all'interno dei circuiti carcerari grazie alla stabilizzazione del cosiddetto regime del 41-bis per evitare che soprattutto i capi dell'organizzazione criminale possano continuare a mantenere i contatti con l'esterno, con una costante attenzione alle dinamiche interne dei circuiti di detenzione speciale, che ha spesso consentito al Ministero della giustizia di riapplicare il carcere duro a mafiosi ai quali il regime era stato revocato con provvedimenti giudiziari; aumento delle pene previste non soltanto per i soggetti che fanno parte dell'associazione di stampo mafioso, ma anche per tutti coloro che gravitano a qualsiasi titolo intorno al circuito criminale e di riciclaggio a esso connesso; controllo del territorio mediante una costante attività di intelligence finalizzata in via prioritaria ad assicurare la cattura di latitanti di maggiore pericolosità; recupero della ricchezza illecitamente accumulata dalle mafie con efficaci strumenti di prevenzione e confisca anche per equivalente nei confronti di chiunque, direttamente o indirettamente, risulti beneficiario di tali proventi.
  In sintesi, si tratta di una strategia del doppio binario sia sul fronte della repressione penale, con norme sostanziali e processuali espressamente dedicate al fenomeno, sia sull'essenziale fronte della restituzione alla collettività della ricchezza a essa sottratta.
  Le misure di prevenzione patrimoniali, in tempi recenti razionalizzate dal nuovo codice antimafia, sono oggi applicabili anche disgiuntamente da quelle personali e perfino dopo la morte del soggetto pericoloso. Più in generale, l'intero apparato normativo finalizzato alla confisca dei proventi illeciti è oggi molto più efficace che in passato, come dimostra la crescita esponenziale di sequestri e confische di patrimoni illeciti. Le ultime statistiche confermano il dato in costante crescita.
  Al riguardo, va sottolineato il ruolo svolto da due importanti innovazioni di quest'ultimo quinquennio. Mi riferisco sia al FUG, Fondo unico giustizia, sia all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la cui sede principale è stata collocata proprio qui, a Reggio Calabria, con una valenza simbolica sin troppo evidente per essere ulteriormente sottolineata.
  Come ben sapete, la novità strategica è duplice. Il primo obiettivo è quello di razionalizzare e rendere più efficace l'utilizzo, Pag. 34anche per fini istituzionali e sociali, degli immobili e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata. Di questo si occupa l'Agenzia.
  Il secondo obiettivo è quello di utilizzare in modo rapido ed efficace parte del flusso delle sole risorse finanziarie sottratte alla criminalità organizzata proprio nell'azione di contrasto posta in essere dalla magistratura e dalle forze dell'ordine che, attraverso tale canale, si dotano di risorse finanziarie per investimenti finalizzati a migliorare l'apparato giudiziario e investigativo, anche e soprattutto sotto il profilo tecnologico e informatico. È questa la funzione del FUG.
  Al riguardo, il FUG ha già fornito importanti risposte se è vero che dal 2010 al 2012 abbiamo prelevato 415 milioni di euro, che sono stati assegnati in parti uguali al Ministero dell'interno e della giustizia. La prova è nel complesso positiva, tanto che è mio personale convincimento che la confisca dei patrimoni illecitamente acquisiti è destinata a diventare, insieme alla confisca per equivalente, non soltanto un mezzo essenziale di contrasto alle organizzazioni criminali, ma anche uno strumento di generale applicazione quale misura efficace contro altri gravi fenomeni criminali, per intenderci dall'evasione fiscale alla corruzione e a tutti i fenomeni similari.
  Tanto più si perfeziona l'esperienza, sinora positiva, sia del FUG sia dell'Agenzia dei beni confiscati, tanto più detti strumenti si trasformano in know how disponibile per estensioni ulteriori in altri settori dell'ordinamento. Si tratta, tuttavia, di strumenti che necessitano di un'urgente messa a punto, sulla quale stiamo lavorando dopo che il primo correttivo, approvato con il decreto legislativo n. 159 del 2011, si è rivelato insufficiente.
  Con particolare riguardo all'Agenzia, un semplice sguardo ai numeri dimostra quanto siano rilevanti le questioni da affrontare per il suo miglioramento operativo se è vero che l'Agenzia gestisce oltre 11 mila beni immobili, il 75 per cento dei quali è collocato in tre regioni, Sicilia, Campania e Calabria, con la Sicilia capofila: 45 per cento del totale, poco meno di 5 mila immobili, valore stimato circa 25 miliardi di euro, circa 2 mila aziende, il 40 per cento delle quali operanti in Sicilia in massima parte nel settore delle costruzioni, 27 per cento, e del commercio, 28 per cento; circa 6 mila mobili registrati tra auto, moto, camper, camion, natanti e simili.
  Si tratta di un patrimonio davvero imponente che, se adeguatamente gestito, potrebbe produrre ricchezza riutilizzabile di rilevante quantità al netto delle assegnazioni imposte dalla legge per fini istituzionali e sociali, ma, ahimè, non è ancora così.
  Quanto agli immobili, la criticità maggiormente rilevante riguarda l'impossibilità di procedere alla vendita dei tanti beni che non è stato possibile assegnare secondo gli ordinari criteri previsti dalla legge, mentre in generale la struttura dell'Agenzia necessita di un rafforzamento operativo, ancora allo studio, ma che andrà definito in tempi ragionevoli.
  Desidero concludere il mio intervento sottolineando che sui possibili miglioramenti da apportare alla normativa antimafia attendo i risultati della commissione ministeriale affidata alla saggia e autorevole guida del professor Giovanni Fiandaca, ormai prossimo al completamento dei lavori.
  È una Commissione che ho fortemente voluto e di cui fanno parte autorevole addetti ai lavori, magistrati, avvocati, professori universitari, essendo mia convinzione che soltanto l'esperienza sul campo consente di elaborare i necessari correttivi per migliorare ulteriormente un apparato normativo che bisogna riconoscere essere già di buona fattura.
  La commissione sta svolgendo un eccellente lavoro che contiamo di utilizzare per le iniziative legislative nei prossimi mesi. Senza fornire anticipazioni indebite sulle conclusioni che ancora devono essere rassegnate, desidero descrivere sommariamente le tematiche affrontate, riservandomi di tornare in argomento dopo aver studiato la conclusione della commissione stessa.Pag. 35
  Si tratta, in particolare, di alcune correzioni d'ordine tecnico a diverse parti del codice antimafia, come le nuove norme di funzionamento della banca dati nazionale unica e della documentazione antimafia, con una specifica procedura per il caso di un suo mancato funzionamento a garanzia delle imprese interessate a ottenere la certificazione stessa; di una riformulazione dei reati di riciclaggio, articolo 648-bis del codice penale, e reimpiego, articolo 648-ter del codice penale, che hanno l'obiettivo di ampliare l'area del rilievo penale, senza tuttavia determinare un eccessivo aumento del carico sanzionatorio; di una riscrittura del reato di scambio politico mafioso, articolo 416-ter del codice penale, che ampli la rilevanza penale della condotta, ma al contempo ne offra una descrizione meno ambigua e più coerente con il principio di tassatività; di una revisione del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione, con miglioramenti tecnici volti anche a rendere detto procedimento compatibile con i principi del giusto processo.
  Tra i vari aspetti affrontati, vi è anche quello assai delicato della tutela dei terzi coinvolti nel procedimento di prevenzione, con particolare riguardo alla spinosa questione dei crediti pregressi dall'azienda del sequestro, un lavoro che peraltro ha tenuto conto delle proposte di modifica all'attenzione delle Camere con un approfondimento che renderà ancora più proficuo l'intervento del Governo nella specifica materia nel corso dei lavori d'Aula.
  Con l'auspicio che questa collaborazione tra Governo, istituzioni parlamentari e addetti ai lavori possa dare buoni frutti, vi ringrazio per l'attenzione e rimango a vostra disposizione per ogni ulteriore approfondimento.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  CLAUDIO FAVA. Ringrazio il signor Ministro per la sua disponibilità e per le informazioni che ci ha fornito. Vorrei rivolgerle una domanda legata a un tema che lei ha toccato e un'altra legata a un tema che ha sfiorato, ma che riteniamo di particolare attenzione e attualità alla luce di quanto è accaduto a Palermo e attorno a Palermo nelle ultime settimane.
  Il primo tema riguarda l'Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati, collocata non a caso qui a Reggio. Lei ha parlato della necessità di un'urgente messa a punto, indicando se non ho colto male, la questione che riguarda l'opportunità di procedere a una vendita dei beni immobili. Le chiederei se siano stati ipotizzati altri meccanismi di miglioramento. Credo che i punti di debolezza siano numerosi. Per non allontanarci da Reggio, nella relazione che lei ha presentato come Ministro dell'interno per lo scioglimento del comune di Reggio Calabria, si citava un caso, che mi sembra non così isolato, di un edificio confiscato a un capomafia nel 2004: nel 2012, i carabinieri certificavano che era ancora stabilmente occupato dai parenti del mafioso, anche a seguito di alcune benevole coperture che erano state assicurate dall'amministrazione di Reggio Calabria. Questa era la ragione per cui è stato chiesto lo scioglimento.
  In ogni caso, dalle informazioni raccolte, soprattutto nel sud Italia, si tratta di un caso non così isolato. Allo stesso modo, lei parlava di almeno 2 mila aziende confiscate. I dati che ci forniscono osservatori abbastanza attenti e imparziali indicano un livello di mortalità delle aziende confiscate preoccupante. L'1-2 per cento si salva e questo dipende anche forse da un avviamento alla legalità interpretata in forme abbastanza burocratiche dalla nostra legislazione.
  Vorrei chiederle se, da questo punto di vista, esiste un'attenzione, una cura e anche una proposta che, alla luce della sua esperienza, possa essere avanzata per migliorare l'attività di quest'Agenzia.
  Quanto al 41-bis, come lei, anche noi siamo molto preoccupati. Tra l'altro, siamo reduci da una missione informale, ma sostanziale per ciò che abbiamo raccolto, a Palermo con i vertici degli uffici giudiziari: la sensazione di essere potenzialmente Pag. 36alla vigilia di una nuova stagione stragista è reale, come peraltro mi sembra il Governo condivida. Abbiamo ascoltato la stessa preoccupazione nelle parole del Ministro dell'interno. La gestione del 41-bis è uno dei tasselli attraverso cui si cerca di comprendere quale sia all'effettiva intenzione delle minacce di Riina e di questa possibile nuova stagione stragista.
  Ci siamo chiesti, anche condividendo questa preoccupazione con i magistrati palermitani, come sia stato possibile che Totò Riina si sia trovato a condividere il suo spazio di socialità con un detenuto della sacra corona unita che, precedentemente, era stato messo di socialità con il figlio di Riina, creando una sorta di triangolazione forse involontaria, ma dal punto di vista della famiglia Riina assai virtuosa e che, probabilmente, è anche servita a costruire un messaggio che non ci sembra isolato. Non ci sembra tale anche alla luce delle lettere di minacce che sono state ricevute nei giorni successivi e che non provengono dal lontano pugno di Riina o di elementi di cosa nostra.
  Sempre in relazione al 41-bis, abbiamo appreso dai magistrati palermitani quanto era già stato anche detto da altri magistrati, in particolare dal dottor Ardita, numero due del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), e cioè che in passato è stato definito un protocollo, noto come Protocollo Farfalla, tra il DAP e i servizi di intelligence, in quel caso il SISDE, che naturalmente non poteva non avvenire con piena consapevolezza dell'allora Ministro della giustizia.
  Le chiederei di dirci qualcosa in proposito. Immagino che lei sia a conoscenza di questo protocollo che permette l'accesso a esponenti delle nostre agenzie d’intelligence nelle strutture carcerarie di massima sicurezza, si presume per interloquire e anche per indurre a una possibile collaborazione, ma in genere per raccogliere tutti gli elementi utili che riguardano i detenuti al 41-bis. Quest'attività, sfuggendo a un controllo d'altro tipo, si può prestare anche a qualche uso surrettizio che va in altre direzioni.
  Se questo protocollo esiste, come ci sembra, in quanto confermato da una testimonianza in un processo a Palermo dal dottor Ardita, che appunto è il numero due della struttura del DAP, che cosa prevede ? Che tipo di collaborazione costruisce ? Qual è il livello di controllo e consapevolezza che il Ministro e il Ministero hanno sull'attività che i servizi svolgono nelle strutture di massima sicurezza ?

  PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente.
  Ho molti iscritti. Mentre raccomando, naturalmente, a tutti una straordinaria capacità di sintesi, ricordo anche che, se una domanda è già stata rivolta, non si fa due volte, salvo eventuali sottolineature di altra natura.
  Ricordo al Ministro che, se lo riterrà, è sempre possibile la segretazione.

  GIUSEPPE LUMIA. Signor Ministro, lei ha più volte richiamato la necessità di guardare allo spazio giuridico antimafia europeo. Visto che tra qualche mese saremo anche chiamati a rivestire l'importante ruolo di guida per il semestre europeo, se vogliamo presentarci a testa alta, vorrei conoscere lo stato della misura sull'autoriciclaggio, che ancora il nostro ordinamento non ha.
  È a conoscenza, inoltre, di tutte le nostre inadempienze in merito all'applicazione di numerose misure che dovrebbero essere ancora ratificate nel nostro Paese e fatte proprie nel nostro ordinamento ? Cito, ad esempio, le squadre investigative comuni. Vi state preparando e informerete la Commissione antimafia in modo dettagliato su tutte queste convenzioni che ancora nel nostro Paese non sono stata applicate e che rischierebbero di farci fare una brutta figura o di renderci poco credibili quando chiediamo lo spazio giuridico antimafia europeo ?
  Vorrei anche sapere, come già l'onorevole Fava, se può fornire alla Commissione antimafia notizie su tutti i contatti dei servizi in questi ultimi 3 anni nelle nostre carceri: con quali detenuti questi contatti Pag. 37sono avvenuti e che risultati hanno sortito ? Gradiremmo, se possibile, averli anche naturalmente in una forma che lei riterrà opportuna. Capisco anche la delicatezza del tipo di informazione, ma penso che sia necessaria una vera verifica intorno al 41-bis anche da questo punto di vista, dato appunto lo scandalo ultimo. Lei sa che sulla trattativa più volte il 41-bis è stato oggetto di discussione. Mi pare che ritrovarci, a distanza di tanti anni, con questo fatto relativo a Riina rappresenti un elemento che deve finalmente orientarci a un lavoro di inchiesta serio, che ci metta in grado di capire bene cosa sta avvenendo.
  Inoltre, perché ancora non è stata riaperta almeno Pianosa, visto che la legislazione lo consente, senza ledere nessun diritto ai boss mafiosi ? Perché questa misura non è stata ancora presa ?
  Infine, relativamente all'Agenzia, qual è la ragione dello scollamento con le prefetture ? La Commissione antimafia ha registrato che questo era il punto di forza: perché, invece, l'Agenzia si sta organizzando in forma ministeriale centralizzata nonostante sia qui a Reggio anziché investire sul punto di forza, che nei territori sono le prefetture ? Perché questo dato, più volte denunciato anche in sede di Commissione parlamentare antimafia, non è stato mai di fatto perseguito ?

  MARCO DI LELLO. Il Ministro ha già avuto modo di rendersi conto dai due interventi che mi hanno preceduto della sensibilità di questa Commissione sulla prospettiva di un diritto penale comunitario, vista anche la prossima presidenza. Mi aspetto, quindi, che ci fornisca qualche notizia sulla direzione in cui si sta lavorando e sulle aspettative.
  Torno al tema FUG e Agenzia, oggetto anche di una mia interrogazione. Sono evidenti sia la bassa redditività del FUG, sia le difficoltà di gestione che lei non ci ha nascosto: anche alla luce del giudizio di insufficienza, che non possiamo che condividere sul codice antimafia, vorrei sapere come si intende procedere per superare le criticità evidenti che sono emerse.
  Siamo a Reggio Calabria e credo che una riflessione sulla legislazione in materia di scioglimento di comuni sia necessaria. Si interviene, giustamente, sulla parte politica. Persiste un buco nero, a mio avviso, nella legislazione sulla parte amministrativa burocratica. Tutta la parte di gestione è oramai demandata agli uffici, spesso si cambia la parte politica, ma con una continuità degli uffici, e dunque dell'attività gestionale, che rischia di depotenziare l'attività repressiva.
  In ultimo, sempre perché siamo a Reggio Calabria, credo che gran parte dei commissari siano rimasti colpiti dalla vicenda del tribunale in cui i lavori sono sospesi. Se non riusciamo a garantire a questa città neanche il nuovo tribunale, è evidente che facciamo fatica a dare un senso di legalità, di cui questo territorio ha particolarmente bisogno.

  CORRADINO MINEO. Vorrei chiedere al Ministro se le risulti che una parte delle minacce, non quella che ha riguardato Riina, a procuratori e non solo siano legate all'attività di sequestro di immobili, aziende e altri beni e se, in particolare, esistano dati o ipotesi per cui una parte delle organizzazioni mafiose riterrebbe in questa fase di non poter sopportare questo tipo di attività, preparandosi quindi a reagire violentemente.
  Mi piacerebbe, inoltre, che il Ministro ci fornisse maggiori notizie e il suo giudizio sulla ragione per cui lo Stato non riesce a utilizzare i beni requisiti per «far reddito», lo dico in modo brutale.
  Infine, non mi dispiacerebbe capire cosa intenda il Ministro per riscrittura dello scambio politico mafioso, in particolare quando ha rilevato ambiguità nella fattispecie del reato.

  PRESIDENTE. Mi permetterei di riagganciarmi alla domanda sullo scioglimento del comune di Reggio Calabria e chiedere al Ministro se intende, data anche la sua esperienza precedente di Ministro dell'interno, offrirci ulteriori elementi. Penso che la Commissione sia, a questo proposito, sicuramente interessata.Pag. 38
  Si è fatto, inoltre riferimento al tema del riciclaggio: esiste l'intenzione di proporre l'introduzione del reato di autoriciclaggio ?
  Do la parola al Ministro per la replica.

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Inizierei, prima di tutto, dall'Agenzia nazionale dei beni confiscati. Come sapete, l'Agenzia è sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, ma essendo stata Ministro dell'interno, è uno degli argomenti di cui mi sono molto occupata.
  L'Agenzia presenta una serie di problemi per la messa a frutto dei propri beni. Come vi ho illustrato, la quantità dei beni è immensa, ma la produttività minima. Diverse sono le questioni.
  Per far funzionare quest'Agenzia occorre una nuova normativa che dia un colpo d'ala su tanti temi, prima di tutto quello delle imprese. Le imprese sequestrate vivono sul mercato perché il mercato è drogato. Ho vissuto il caso catanese, tanto per raccontare un'esperienza personale, di un'impresa di trasporti, che aveva un mercato drogato che dava clientele e lavorava a tutto spiano. Una volta che l'impresa è stata gestita da un commissario o, comunque da persone che, per quanto di buona volontà, di grande impegno, è venuto meno proprio la materia prima perché questo è il vero dramma. Spesso queste imprese vivono, infatti, grazie a commesse che arrivano proprio dal voto mafioso, senza contare lo spirito di chi le amministra. Non si tratta di essere più o meno burocratici, ma di certo assolutamente osservanti di tutte le norme, per cui pagano tutto quanto va pagato, senza avere un patrimonio che consenta di far vivere queste imprese. Occorrerebbero delle sostanze che consentano loro di lavorare anche in perdita per un certo numero di anni, finché non conquistano una fetta di mercato.
  Ricordo, in quel caso, che ci siamo dati da fare, abbiamo cercato clientele anche nella grande distribuzione, ma esistono delle difficoltà: anzitutto, di intimidazione mafiosa poiché dar lavoro a un'impresa confiscata è complicato e richiede coraggio e anche di debolezza di chi amministra, che non può contare né sul know how né su beni su cui farla sviluppare.
  Occorrerebbe, quindi, che l'Agenzia potesse disporre di un patrimonio che consenta a qualsiasi impresa di avere il tempo di lanciarsi sul mercato e conquistare il suo posto al sole o, se l'impresa non è competitiva, che sia subito, per quanto è possibile, messa in vendita.
  Tenete presente che dietro vi sono interessi dei lavoratori, di persone, per cui il vero punto è che, se manca la capacità di offrire risposte su questo tema, la mafia riesce a sostenere di offrire il lavoro mentre lo Stato non lo fa, è un tema molto complesso.
  I beni, inoltre, sono assegnati in genere per fini istituzionali, sociali. Esistono delle straordinarie cooperative. Una per tutte, penso a Libera, ai suoi terreni, al loro lavoro meraviglioso, ma ormai non basta più. Ormai la ricchezza è tanta e tale che non basta più.
  Si fa un'enorme fatica a restituire questi immobili alla collettività. Personalmente, da prefetto di Catania, ricordo ancora degli immobili che avevamo sull'Etna, dovemmo mandare i Carabinieri a liberarli: gli occupanti non se ne andavano, c'erano connivenza e paura da parte dei sindaci. Chiediamo a tutti di essere coraggiosi, ma bisogna essere sul territorio e provare la paura che hanno loro. Occorrerebbe che l'Agenzia fosse dotata di un suo patrimonio forte, di uomini adeguati. Gli immobili non possono essere gestiti come può farlo una persona senza competenza, ma dovrebbero essere assegnati a fondi che sanno come farlo e come metterli a frutto. Le imprese vanno assegnate a chi gestisce impresa. Ormai occorre una professionalità di cui gli uomini dell'Agenzia non sono in grado di avere. Abbiamo cercato di aiutarli assegnando del personale. Quanto all'osservazione del senatore Lumia sulle prefetture, è perfetta, ma dipende da tanti aspetti. Sono convinta che le prefetture possano rappresentare un fortissimo aiuto.
  I temi richiederebbero uno sforzo legislativo notevolissimo per mettere in condizione Pag. 39di sfruttare in maniera adeguata questi beni, senza paure, nemmeno ideologiche. Se fosse necessario, sarà meglio venderli piuttosto che farli finire male. Un bene che finisce male, infatti, è una vittoria della mafia. È importante che tutto sia rimesso in circolo, a produzione, chiaramente con una grandissima attenzione. Se dovessero essere comprati dai mafiosi, infatti, è opportuno toglierglieli subito, essere molto attenti.
  L'Agenzia richiede, quindi, una norma che la renda funzionale, molto forte e molto efficace. Bisogna proprio rivedere tutto l'apparato. Forse, quando l'hanno pensata, non hanno immaginato che sarebbe diventata questa grossissima holding che gestisce beni di ogni genere. Occorre un forte impegno.
  Per quanto riguarda l'antimafia europea, adesso stiamo concludendo e spero nel prossimo Consiglio dei ministri di portare una serie di normative che riguardano il nostro territorio nazionale. Stiamo considerando i vari aspetti. Se ritenete, mi farà piacere venire in audizione in Commissione antimafia ed esporvi il pacchetto di proposte, che però per il momento è ancora in costruzione, per cui anticiperei misure che non abbiamo ancora definito.
  Tra l'altro, l'Europa ci chiede molto aiuto. Nessun Paese europeo è avanzato come noi sulla legislazione antimafia, per cui dobbiamo essere all'altezza di questa nostra cultura e di questa nostra tradizione. Quando affronteremo il problema del pacchetto, se avete piacere, non ho nessun problema a illustrarlo in Commissione prima ancora che diventi una serie di prospetti.
  Su Pianosa firmeremo un protocollo con la regione Toscana, se non sbaglio, il prossimo 17. Tuttavia, come sapete, da Pianosa è stata eliminata ogni forma di 41-bis. Ormai i carceri per il 41-bis sono tutti in Sardegna. Riapriremo Pianosa, ma come carcere a media detenzione, perché la regione Toscana vuole farne un'isola aperta anche al turismo e anche redditizia per la regione.
  Moltissimi posti per il 41-bis nella regione Sardegna sono pronti per essere occupati. Serviranno un paio di mesi, ma sono già molte le sezioni, per cui il nostro bisogno di collocazione in regime di 41-bis è tranquillamente coperto.
  Per Pianosa abbiamo pensato a un indirizzo molto sociale, carcere a media detenzione, coltivazioni dell'isola, abbellimento sulla base del protocollo che stiamo firmando con la regione Toscana, con qualcosa di ancora migliore che per Gorgona, dove si produce dell'ottimo vino, di più avanzato.
  Vengo al tema delle minacce al dottor Di Matteo. Vi leggerò un documento di cui, data la delicatezza, se necessario vi lascio memoria, ma chiedendo di segretare una parte.
  Il DAP dispone di un certo tipo di informazioni, mentre altre appartengono alla magistratura. Per quanto riguarda le dichiarazioni del dottor Ardita, persona che stimo moltissimo, che è stato vice capo del DAP, e quindi conosce la materia, onestamente di questo protocollo col SISDE non sono a conoscenza. Posso prendere, però, l'impegno formale di assumere tutte le informazioni del caso e di riportarle in Commissione a Roma. Non dispongo di informazioni in questo senso. Sicuramente, se l'ha detto, ci sarà stato, ma non è argomento che sia stato portato alla mia attenzione.
«In ordine alle notizie divulgate dagli organi di stampa, relativamente alle minacce formulate dal detenuto Riina Salvatore, nato a Corleone il 16 novembre 1930, ristretto presso l'area riservata dalla casa di reclusione di Opera a far data dal 24 dicembre 2003, nei confronti del dottor Nino Di Matteo della DDA di Palermo, bisogna evidenziare quanto segue. Nell'ambito dell'attività amministrativa, che è diversa da quella tipicamente investigativo giudiziaria propria di altri organi, svolta dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che si sostanzia nella redazione di eventuali relazioni di servizio, nella stesura di rapporti disciplinati, nella verbalizzazione di atti di ascolto dei colloqui, secondo quanto previsto dall'articolo 41-bis, e nei visti di controllo sulla corrispondenza, non risultano elementi Pag. 40espliciti o anche solo impliciti dai quali poter dedurre un'attività intimidatoria del Riina verso il predetto magistrato né verso altri magistrati.
  Tutte le relazioni di servizio di particolare rilevanza, peraltro, sono state già portate all'attenzione del procuratore nazionale antimafia e delle competenti DDA proprio per i possibili risvolti investigativi che potrebbero scaturire al comportamento intramurario del detenuto Riina».
  Pregherei di segretare la parte che segue.

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio.

  La Commissione procede in seduta segreta.

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audio.

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. «Per completezza di informazione, si fa inoltre presente che, nel corso della riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza tenutosi a Palermo in data 3 dicembre 2013 proprio per l'eventuale adozione di ulteriori misure tutorie nei confronti del citato pm della DDA di Palermo, è stata adombrata la circostanza che soggetti ubicati nella semisezione del Riina, prima di esservi assegnati, abbiano svolto momenti di socialità con il figlio di quest'ultimo, Riina Giovanni, detenuto anch'egli e sottoposto al regime 41-bis.
  Riina Salvatore, infatti, partecipa al cosiddetto gruppo di socialità col detenuto Lorusso Alberto, nato a Montemesola il 23 agosto 1959, a partire dal 20 aprile 2013. Questi non è mai stato ristretto nello stesso istituto di Riina Giovanni.
  In precedenza, dal 7 maggio 2011 al 14 dicembre 2012, Riina Salvatore aveva svolto la socialità col detenuto 41-bis Giardino Antimo, nato a Mesagne, Brindisi, il 7 aprile 1973. Dal 14 dicembre 2012 al 20 aprile 2013, Riina Salvatore ha espiato un periodo di isolamento diurno e, di conseguenza, Giardino Antimo è stato trasferito ad altro istituto penitenziario. Pertanto, deve evidenziarsi che né il detenuto Giardino Antimo, né il detenuto Lorusso Alberto hanno mai fatto parte del gruppo di socialità del detenuto Riina Giovanni, figlio di Riina Salvatore.
  Giardino Antimo, prima dell'assegnazione dall'area riservata ad Opera, è stato ristretto alla casa circondariale di Terni, dal 21 dicembre 2002 al 13 marzo 2004 e dal 23 aprile 2005 al 7 maggio 2011, dove era anche presente Riina Giovanni dal 26 giugno 2002 al 25 luglio 2008, figlio di Salvatore, peraltro in regime di isolamento diurno dal 23 aprile 2005 al 21 aprile 2007.
  Si evidenzia, infine, che i detenuti individuati per l'inserimento nei gruppi di socialità dei soggetti di particolare spessore criminale ristretti ad area riservata, tra questi Riina Salvatore, vengono concretamente assegnati a gruppi dopo che la competente direzione generale dei detenuti del DAP ha acquisito il parere favorevole del procuratore nazionale antimafia.
  Alla luce delle straordinarie e inusuali manifestazioni di insofferenza del Riina alle misure connesse al regime detentivo di cui all'articolo 41-bis, particolarmente enfatizzato dalla stampa nazionale, sono in corso da parte di questo Ministero le necessarie verifiche dell'adeguatezza della protezione nei confronti delle persone che all'interno dell'amministrazione della giustizia gestiscono il regime di cui all'articolo 41-bis».
  Sul tema degli apparati, non sono in grado di dare risposta perché non ne so nulla. Mi riservo di riferire alla Commissione quando si riunirà a Roma, mi informerò, non ne sono a conoscenza e qualunque cosa dicessi sarebbe infondata.

  CLAUDIO FAVA. Mi scusi, signor Ministro, le minacce di cui ha parlato la stampa rivolte al dottor Di Matteo...

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Non sono passate attraverso personale del DAP. Col permesso del presidente, cederei la parola al dottor Grassi.

Pag. 41

  RENATO FINOCCHI GRASSI, Capo di gabinetto del Ministro della Giustizia. L'amministrazione è in grado di rendere conto delle comunicazioni che avvengono attraverso l'amministrazione. Evidentemente, non possiamo e non dobbiamo rendere note ma, soprattutto non conosciamo, dati che sono o possono essere stati ricondotti all'attività investigativa, che evidentemente non è nella nostra disponibilità. La nostra responsabilità non può che collegarsi alla nostra competenza, non a ciò che evidentemente sfugge all'attività del Ministro.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. È chiaro che questi fatti investigativi, se svolti, lo sono nelle carceri, altrimenti non se ne potrebbe avere notizia: si possono svolgere attività investigative all'interno delle carceri senza che il DAP ne sappia nulla ?

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Sappiamo quello che avviene per il personale del DAP. Se è a conoscenza di minacce, fa la sua parte. L'attività investigativa da parte dei magistrati che sono a conoscenza di questi fatti a noi sfugge. Tra l'altro, non ce ne parlano perché si tratta di informazioni coperte da riservatezza. Non siamo in grado di dire se esistano o meno e in che misura siano presenti. Né escludiamo, né siamo certi: non lo sappiamo. Sappiamo solo quello che perviene attraverso il personale del DAP, quindi tutto quanto riguarda il nostro personale.

  PRESIDENTE. Dal momento che il Ministro si è resa disponibile a un'ulteriore audizione da parte della Commissione sul tema dell'eventuale protocollo tra il DAP e i servizi, credo che possiamo rinviare questo argomento alla sede in cui il Ministro sarà in grado di fornirci gli elementi che le abbiamo richiesto, evidentemente anche nel rispetto delle funzioni diverse del Ministero della giustizia rispetto alla magistratura, che credo sia l'elemento fondamentale della nostra Carta costituzionale. Penso che questo sia un argomento molto importante e che lo si debba rinviare a quando il Ministro sarà in grado di offrirci le informazioni che ci ha assicurato.

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Per quanto riguarda le normative relative agli scioglimenti dei comuni, ritengo che la normativa sia già molto esaustiva e offra diverse possibilità di intervenire, ma occorrerebbe qualcosa di più.
  Quando ci siamo trovati ad affrontare il problema di Reggio Calabria, ad esempio, abbiamo rilevato anche situazioni delicate nelle società partecipate. Occorre che la normativa si ampli anche alle società partecipate, dove si può annidare un interesse mafioso che magari trova ancora più spazio che non nei comuni stessi. La normativa è sufficiente per i comuni, ma credo che si potrebbe rivederla anche ampliandola a società che fanno riferimento al comune.
  Quanto al problema dello scambio politico mafioso e delle nuove norme, aspetto i documenti della commissione Fiandaca, che ha concluso i lavori pochi giorni fa. Sulla base di quegli esiti, cercheremo di approfondire questo tema. In un prossimo futuro, potremo parlare anche di un approfondimento di questo tema. La commissione Fiandaca ha espresso un parere anche sull'autoriciclaggio, su una serie di questioni legate a reati mafiosi. Mi hanno appena consegnato i lavori. Dovete darci il tempo di metabolizzarle e potremo tranquillamente parlarne appena avremo costruito qualcosa su questo tema. Per quanto riguarda i lavori del tribunale, purtroppo mancavano dei fondi, e quindi si erano sospesi. Finalmente, li abbiamo trovati. Sembra facile, ma non lo è. In ogni caso, i lavori riprenderanno. Mancavano 5 milioni di euro, che faticosamente siamo riusciti a mettere insieme.

  MARCO DI LELLO. Quali sono i tempi ?

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. A questo punto, dobbiamo chiedere. Abbiamo appena avviato il tutto, Pag. 42per cui servirà un po’ di tempo. In ogni caso, credo fosse importante reperire i soldi, senza i quali non potevamo fare nulla. Mi sembra di avere risposto a tutti i vostri quesiti. Se ci sono altre domande.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Sarò molto breve. Molte questioni, infatti, sono state già poste. Ho capito che non esisteva la possibilità concreta che Riina Giovanni e Lorusso si incontrassero, ma non ho capito se esistesse la possibilità concreta che lo facessero gli altri due.

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. No non si sono incontrati mai (Intervento fuori microfono).

  PRESIDENTE. Non c’è stata la proprietà transitiva.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Per quel che riguarda, invece, l'importanza di questa missione, vorrei sottolineare come, in relazione alla strategicità della ’ndrangheta rispetto alle altre mafie, questo dossier contenga una presentazione piuttosto forte della situazione. Naturalmente, il motivo per cui le audizioni stanno avvenendo qui e avverranno a Milano è spiegato anche dalla capacità di esportazione di questa criminalità. Vorrei, però, anch'io affrontare un tema. Le imprese della mafia rispetto ai beni confiscati vivono su un mercato drogato. Il tema vero è che tutto il mercato italiano rischia di essere drogato in negativo forse anche dalla crisi economica.
  Personalmente, suggerirei di provare ad affidare a dei manager, se possibile, la gestione delle imprese, provare anche a fornire un binario «drogato», in questo caso in positivo rispetto a questo tipo di imprese. Diversamente, non ce la faremo mai.
  Per quel che riguarda la situazione degli immobili, esistono, soprattutto in Sicilia; e se guardiamo alla Calabria, soprattutto in provincia di Reggio Calabria. Molto pochi sono nelle altre province, in particolare in quella di Cosenza, dove però c’è una mafia più aggressiva delle altre, nella zona della Sibaritide. Vengo al tema di Rossano che il signor Ministro conosce bene, dove si è chiuso il tribunale nella zona a più alta densità mafiosa della ’ndrangheta e con una situazione che vorrei sottolineare di una disattenzione – non si sta attuando il decreto emanato dal Ministro da parte del tribunale di Castrovillari – con un blocco dell'attività giudiziaria. Proprio perché siamo in questa situazione e in questo territorio, chiedo un'attenzione particolare al caso del tribunale di Rossano e al blocco dell'attività giudiziaria in questo momento provocata dal modo con cui Castrovillari sta affrontando l'unificazione.

  FRANCESCO MOLINARI. Ringrazio il Ministro per la sua relazione e resto sul pezzo, come suggerito. La Presidente le aveva già rivolto una domanda, visto che lei ne ha anche conoscenza storica, sulla situazione di Reggio: è sul suo tavolo la possibilità della prosecuzione del commissariamento ?
  Rispetto a questo, vorrei evidenziarle, come sappiamo benissimo, che la pericolosità di un'associazione criminale quale la ’ndrangheta è il suo controllo territoriale che si trasforma anche in consenso popolare. Vorrei chiederle se nelle sue possibilità di indirizzo vi è anche quella che i commissari di una regione capoluogo di provincia, unico caso di scioglimento per infiltrazione mafiosa, siano più attenti a una maggiore partecipazione dei cittadini. Mi dicono che i commissari non si sono spesi abbastanza su questo fronte, mentre a mio avviso questo è uno dei mezzi con cui possiamo riuscire a riconquistare i cittadini alle istituzioni.
  Mi preme evidenziare un'altra questione: la situazione tragica che già la collega Bruno Bossio ha evidenziato del tribunale di Rossano, ma la situazione della deficienza dal punto di vista dei mezzi e degli uomini non è soltanto di Rossano, dove addirittura si è dovuti arrivare a chiudere un tribunale. Ci sono Vibo, Catanzaro. Riusciamo a trovare i Pag. 43soldi e i mezzi per metterli nelle migliori condizioni possibili di svolgere al meglio il loro lavoro ?

  ROSANNA SCOPELLITI. Molto rapidamente, mi piacerebbe conoscere, signor Ministro, oltre alle già note misure tese ad alleviare l'emergenza del sovraffollamento delle carceri dei detenuti, l'intendimento del Governo in merito alla necessità di impedire che eventuali forme di indulto consentano uscite anticipate dal carcere di detenuti ad alta pericolosità sociale. Cosa si prevede in termini di riforma del regime carcerario del 41-bis ?

  FRANCO MIRABELLI. Rivolgerò due domande rapidissime. Sui beni confiscati, il Ministro è già stato esauriente. Vorrei capire se si sta prendendo in considerazione l'ipotesi di utilizzare il FUG, quei soldi, sia per il sostegno alle imprese confiscate di cui parlava il Ministro, sia per liberare una serie di immobili oggi non disponibili per i comuni e per la collettività perché caricati di ipoteche o perché i comuni non hanno soldi a sufficienza per metterli a disposizione.
  Inoltre, il Ministro ha giustamente sottolineato quanto il potere economico delle mafie in questo momento di crisi abbia un'influenza molto forte in un sistema economico con poco credito e molto bisogno di soldi. Vorrei capire se il Ministro pensa che servano ulteriori norme per tutelare alcuni settori economici dalle infiltrazioni e dall'inquinamento. Penso al commercio, all'edilizia, a tutto il tema degli appalti e alla certificazione delle imprese sui subappalti.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. Approfitto perché l'occasione è decisamente ghiotta. Partirò dalla situazione di Reggio Calabria: ci sono novità rispetto ai fatti intimidatori che hanno visto magistratura, tribunale e procura di Reggio Calabria messi sotto scacco negli anni passati, rispetto anche a questa figura abbastanza controversa del pentito Lo Giudice ?
  Vorrei anche tornare sulla notizia fausta che ci ha dato in questo momento. Vorrei procedere brevemente alla ricostruzione storica relativa all'anticipazione di una nuova stagione stragista dovuta alla questione Riina.
  Le nostre notizie derivano dal fatto che parrebbe, ma lei ce lo sta smentendo questa mattina, che il recluso Lorusso avesse portato a conoscenza di alcune relazioni intrattenute con Salvatore Riina, che aveva manifestato la sua volontà di intervenire con atti intimidatori nei confronti di magistrati della procura di Palermo. Stamattina, lei ci informa che, invece, non è accaduto assolutamente nulla.
  Si tratta di fatti raccontati all'interno delle carceri, per cui questo deriverebbe, evidentemente, dalla registrazione dei colloqui o della vita sociale che all'interno delle carceri spendono i reclusi assoggettati al 41-bis. Credo che sia estremamente importante avere notizie di questo tipo.
  Infine, vorrei capire se esista una particolare predisposizione della magistratura siciliana a ottenere sempre l'incarico della gestione dell'ufficio detenuti del DAP. Da 15-20 anni, sono quasi sempre magistrati siciliani.

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Cominciamo dal tribunale di Rossano. Come sapete, quando siamo arrivati, abbiamo trovato già un progetto completo che andava portato a termine e, per quanto riguarda la Calabria, si era decisa l'abolizione soltanto del tribunale di Rossano, mentre altri tribunali calabresi erano stati mantenuti in vita.
  Successivo è il provvedimento che consentiva un momento di riflessione su Rossano, come per altri tribunali. Come sapete, ho istituito una commissione d'indagine: abbiamo un anno di tempo per i decreti correttivi qualora ci accorgessimo che qualche misura della riforma di geografia giudiziaria è sbagliata. La commissione mi ha rassegnato i lavori, che mi consegnerà tra oggi e domani. Tra l'altro, vogliamo tenere conto anche di un parere del Senato sulla geografia giudiziaria. Alla luce del parere del Senato e dei lavori della commissione, capiremo come oggettivamente Pag. 44possiamo intervenire con decreti correttivi, pur mantenendo in vita la riforma della geografia giudiziaria, che non possiamo compromettere. Su Rossano, quindi, avremo ancora un approfondimento. Oltretutto, non possiamo permetterci il blocco dell'attività di Castrovillari, soprattutto in questo territorio.
  Tenga, però, presente che in Calabria sono rimasti aperti tutti gli altri tribunali. Ottennero, all'epoca – non ero io il Ministro – che altri tribunali calabresi fossero aperti, probabilmente ai danni di Rossano. In ogni caso, stiamo lavorando su questa materia.
  Vorrei addirittura arrivare entro la fine dell'anno ai decreti correttivi a partire dal parere del Senato o dai lavori della commissione, per cui spero di chiudere al più presto. La Camera, d'altra parte, si sta esprimendo e siamo arrivati al dunque, ancora qualche giorno e vedremo cosa succede.
  Per quanto riguarda la prosecuzione di Reggio, al termine della gestione commissariale la proposta verrà dal prefetto, dal Ministro dell'interno, vedremo.
  Quanto alla partecipazione della popolazione, i commissari sono tre persone che portano avanti un comune. Certo, ascoltare, partecipare, far partecipare la popolazione è importante, ma sono anche tre pellegrini che da soli mandano avanti un comune, quindi fanno anche una certa fatica. So che si sforzano molto di comunicare i problemi alla popolazione, che sta soffrendo molto in questo periodo di gestione commissariale. La popolazione è consapevole che in questo momento si chiede loro un grosso sacrificio. Bisognerà consigliare loro di comunicare ancora di più, ma – credetemi – compiono già uno sforzo importante, con tutto ciò che guidare un comune comporta.
  Quanto al fatto che le gestioni commissariali riguardano solo la politica e non anche l'amministrazione, laddove si toccano anche i funzionari, anche quelli vanno mandati a casa. Personalmente, in diversi comuni ho mandato a casa anche dipendenti comunali. In alcuni casi, in caso di elezioni in corso con candidati non compromessi, abbiamo consentito che il popolo si esprimesse, ma i dipendenti comunali sono andati a casa. Dipende, quindi, dalla relazione della commissione amministratrice. Laddove si evidenzi che il dipendente comunale è colluso, va tranquillamente a casa, quindi c’è la possibilità di agire anche nei loro confronti.
  Quanto alla preoccupazione dell'indulto, intanto l'indulto lo decide il Parlamento. I tipi di reati che toccherà sono decisi dal Parlamento, non è un problema del Governo. Per quanto, però, ci insegna la storia, mai con l'indulto sono usciti detenuti ad alta pericolosità sociale né tanto meno al 41-bis.
  Sul 41-bis non ci muoveremo di un millimetro. Resta quello che è, non ci sarà assolutamente nessun cedimento sul regime del 41-bis. Non vi sono preoccupazioni. In ogni caso, è sempre il Parlamento sovrano che deciderà per quale tipo di reato prevedere l'indulto.
  Il FUG per ora serve solo a erogare finanziamenti per le necessità dei due ministeri ed è una piccola percentuale dei valori. Bisognerebbe aumentare il valore del FUG o per lo meno individuare anche una rendita di fondi per far funzionare meglio l'Agenzia.
  Per quanto riguarda gli appalti, la legislazione esiste ed è anche molto efficace. Dobbiamo ancora fare qualcosa con la banca dati unica. Uno dei problemi delle prefetture, infatti, è che non hanno i collegamenti tra tutte loro. La banca data unica non funziona ancora, per cui spesso le certificazioni antimafia arrivano con ritardo e occorre, per esempio, su un caso che può avere tre o quattro collegamenti in diverse città d'Italia, sentire tre o quattro prefetture.
  Stanno lavorando sulla banca dati unica. Avevo avviato il lavoro quando ho lasciato il Ministero dell'interno e penso che ormai siano in dirittura d'arrivo. Quando la banca dati unica funzionerà, immediatamente le prefetture saranno in grado di procedere. Dovete chiedere, però, al Ministero dell'interno a che punto sono.
  Ritorno sulla questione precedente, noi non affermiamo né neghiamo le minacce. Pag. 45Mi limito a dire ciò che è a nostra conoscenza, che risulta al nostro personale e a quello del DAP. Non sono in grado di dire nulla sull'esistenza eventuale di investigazioni che portano a queste risultanze. Non è nostra materia. Può darsi che ne esistano in questo senso, sicuramente ce ne saranno, ma non sono tra le informazioni a disposizione del Ministero della giustizia. Rispondiamo del nostro personale e dei suoi comportamenti.
  Per quanto riguarda l'ufficio detenuti del DAP assegnato a un siciliano, a parte che l'ho trovato... molti magistrati sono siciliani, non so se sia mai esistito un nesso. Che ci sia una specialità siciliana non lo so...
  Per il tribunale di Reggio Calabria abbiamo ricevuto i finanziamenti, per cui ora partiranno gli appalti.

  FRANCESCO MOLINARI. [fuori microfono] Gli uomini ?

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Sono un bel problema. La Calabria ha sicuramente carenza di uomini, ma anche la Lombardia, il Veneto. Purtroppo, il nostro personale non ha ricambio da molti anni. Il personale amministrativo è ormai arrivato in condizioni spaventose. I pensionamenti non sono ricambiati.
  L'organico dei magistrati è quasi regolare, ma purtroppo abbiamo carenze su tutto il territorio nazionale. Certo, la Calabria merita un'attenzione particolare, ma è anche vero che il fenomeno della ’ndrangheta è su tutto il territorio nazionale. Abbiamo sciolto dei comuni per ’ndrangheta in Piemonte, in Lombardia, in Liguria. Ogni tribunale presenta dei problemi. Certo, se sarà possibile rinforzarli, sarà fatto ben volentieri. Non c’è dubbio che la Calabria meriterebbe un'attenzione veramente speciale. Bisogna, però, che tutti insieme ce ne facciamo carico.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Giarrusso, a cui do la parola.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Presidente, vorrei sapere se in queste audizioni sia possibile non rappresentare la realtà da parte dei soggetti auditi. Se agiamo con i poteri delle autorità giudiziarie, penso che le risposte debbano essere veritiere o, almeno, bisognerebbe affermare che non si conosce la risposta.
  Non si può sostenere, infatti, che del precedente indulto non abbiano usufruito soggetti pericolosi, mentre lo hanno fatto, come sappiamo, persino gli assassini del giuslavorista Tarantelli, mafiosi a fine pena dopo avere scontato la condanna principale per una condanna per reati minori. È possibile che un servitore dello Stato chiamato da questa Commissione possa riferire a questa Commissione notizie non vere ?

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Innanzitutto non ho riferito notizie non vere. Ho detto è il Parlamento a decidere a quale tipo di reato applicare l'indulto. Non è, quindi, un problema del Governo. Chiedete al Parlamento se riterrà di applicare l'indulto e a quali reati.
  In secondo luogo, normalmente l'indulto si applica a fine pena, con uscite antecedenti, ma non sono mai usciti detenuti del 41-bis. Di questo sono assolutamente certa. Lei mi dice che sono usciti gli assassini di Tarantelli: dopo quanti anni di detenzione e a che tipo di livello di pericolosità sociale ? Possiamo verificare caso per caso e, comunque, l'indulto è sempre stato deciso dal Parlamento, cui dovete chiedere quindi come ha proceduto e come intenderà procedere. Poniamo, però, con chiarezza che il Governo sull'indulto non ha nessuna voce in capitolo perché è il Parlamento a decidere sia indulto, sia l'amnistia.
  Prima di dire che si affermano cose false, ci penserei due volte, sa ?

  PRESIDENTE. Naturalmente, questa è una raccomandazione anche mia.
  Aggiungo che in questo momento stiamo svolgendo una libera audizione e non stiamo mettendo sotto inchiesta il Pag. 46Ministro della giustizia. Invocare i poteri di inchiesta durante una libera audizione, senatore Giarrusso, è abbastanza singolare.
  In ogni caso, sarà la Commissione giustizia della Camera a interessarsi di verificare gli effetti dell'applicazione della legge dell'indulto precedente. Mi pare evidente. Eventualmente, noi lo faremo su eventuali soggetti che sono stati raggiunti o giudicati per reati che hanno rapporti con i reati mafiosi.
  Restituisco la parola agli onorevoli colleghi che intendano ulteriormente intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ENRICO BUEMI. Essendo stato relatore alla Camera per l'indulto, non ricordo a memoria un provvedimento a favore dei detenuti sottoposti a 41-bis.
  Signor Ministro, i colleghi hanno già toccato molte questioni. Lei ha risposto in qualche caso in maniera rassicurante rispetto a questioni pratiche, come per il tribunale di Reggio Calabria e la questione riguardante il tribunale di Rossano. Vorrei richiamare la sua attenzione su una questione di cui, almeno personalmente, non riesco a venire a capo, relativa al registro dei tumori.
  Esiste una strana coincidenza tra territori fortemente interessati a fenomeni mafiosi e assenza di un registro tumori che abbia un senso. Da questo punto di vista, richiamerei l'attenzione del Ministero e degli altri organismi competenti sulla questione.
  L'altra questione è relativa ai tempi. È vero che le confische mettono a disposizione ricchezze ingenti accumulate attraverso il fenomeno criminale e che possono essere riutilizzate al fine del contrasto allo stesso fenomeno o della collettività per altre iniziative. Un vincolo di legge mi pare che, in ogni caso, orienti la destinazione.
  Il tempo, però, è un fattore essenziale per garantire il mantenimento del valore e, anzi, impedirne rapidamente il depauperamento. Nella gestione vedo forti limiti a quest'azione urgente. Un'azienda, un patrimonio immobiliare, un mezzo automobilistico o di altro tipo si depaupera rapidamente in funzione del tempo che trascorre dal momento della confisca a quello in cui è ricollocato sul mercato attraverso i vari percorsi. Pertanto, credo che si debba dedicare una maggiore attenzione a questo fenomeno. Il Ministero ha già preso in esame la questione ?
  Infine, una collega ha già fatto cenno all'opportunità di introdurre nella gestione burocratica dei beni una visione imprenditoriale, manageriale e professionale. Diversamente, si tratterà solo di volontariato. Offriamo un pessimo esempio alla collettività del modo in cui le ricchezze sono utilizzate e priviamo lo Stato, l'azione di contrasto di risorse importanti in questo clima di risorse estremamente limitate. Richiamo, quindi, nuovamente l'attenzione su questo punto.

  DORINA BIANCHI. Il Ministro ha in gran parte risposto perché le domande vertono soprattutto sull'Agenzia nazionale beni confiscati. Tra l'altro, ultimamente abbiamo assistito al caso del sindaco di Isola Capo Rizzuto, Carla Girasole, con cui si era stipulata quando era sindaco, una convenzione sui beni confiscati alla mafia in quel territorio.
  Non v’è dubbio che in questa regione le zone grigie siano talmente ampie che è difficile in alcuni momenti percepire la presenza di collusione con la ’ndrangheta, ma vorrei sapere dal signor Ministro se si sta registrando anche la situazione di Isola Capo Rizzuto.
  Inoltre, relativamente all'accesso ai mutui destinati alle vittime dell'usura, proprio a Reggio Calabria qualche mese fa anche sui giornali è venuta all'attenzione la storia dell'imprenditore De Masi.
  A parte il caso singolo, da un punto di vista più generale, vorrei sapere se sono previste misure relativamente alla quantità di risorse e, soprattutto, alla parte burocratica cui sono sottoposte le aziende, spesso vittime due volte: della ’ndrangheta, ma anche di tutta la burocrazia e di tutta la lentezza che crea una non risposta immediata, che significa per queste aziende spesso la chiusura.

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  PINA PICIERNO. Due domande. La prima sulle professioni. La cronaca giudiziaria ci restituisce ormai sempre più l'idea di professionisti sempre più vicini e molto spesso affiliati alle organizzazioni criminali, come commercialisti, notai. Immagino che il tema sarà oggetto del lavoro di questa Commissione, ma oggi vorrei rivolgere al Ministro della giustizia una domanda sulla questione degli avvocati, che mi preoccupa molto.
  Sempre di più si sta diffondendo, come apprendiamo dalla cronaca giudiziaria, la figura di avvocati ormai affiliati ai clan. Credo che potremmo chiamarli avvocati di sistema. Questo, ovviamente, distorce completamente non solo il diritto alla difesa di queste persone, ma il rischio è di neutralizzare completamente il 41-bis, con tutte le restrizioni e i vincoli che sarebbero e sono necessari.
  Il Ministero, visto che ormai si contano a centinaia casi di avvocati arrestati – penso alla nostra Campania, alla stessa Calabria e potrei citare decine e decine di nomi – ha avviato un monitoraggio di questo fenomeno, lo ha approfondito ? Se non lo avete fatto, credo che sia necessario farlo anche insieme al Consiglio nazionale forense. In che modo, infatti, di fronte ai numerosissimi casi di avvocati organici ai clan, il Consiglio nazionale forense intende muoversi, come si evita il rischio drammatico che denunciavo di neutralizzare il regime di 41-bis, che sarebbe un fatto molto serio e grave ?
  La seconda questione riguarda il codice degli appalti pubblici. Lei ha già risposto in parte, in sostanza affermando che le norme ci sono. Vorrei, però, fare una puntualizzazione rispetto ai subcontratti subappalti. Se è vera, rispetto agli appalti, anche una rigenerazione normativa – penso alle white list e a tutto quanto si è discusso anche negli anni passati – che va nella giusta direzione, credo che ci restino ancora ragione di preoccupazione fondata rispetto ai subcontratti e ai subappalti.
  Sa benissimo, infatti, Ministro, che gran parte dei subcontratti sono relativi al nolo di mezzi, al movimento terra, tutte attività in cui si sono specializzate le organizzazioni criminali. Inoltre, l'articolo 118 del codice dei contratti pubblici è assolutamente inefficace. Come lei sa, segna una soglia, fissata intorno ai 154 mila euro, al di sotto della quale non è nemmeno richiesta la certificazione antimafia.
  Credo, quindi, che ci sia un'enorme necessità di norme più stringenti e utili a evitare che, appunto, i clan, come hanno già fatto fino a questo momento, continuino a fare affari.

  ERNESTO MAGORNO. Dalle questioni poste dai colleghi calabresi e, più generale, dagli altri colleghi, mi pare che emerga che la nostra regione, come ha già osservato anche lei, meriterebbe un'attenzione maggiore da parte del Governo.
  È corretto il richiamo ai compiti, alle funzioni e alle decisioni che deve assumere il Parlamento, ma altre questioni devono essere affrontate dal Governo, come quelle sugli investimenti sulla giustizia, sul dare forza e capacità maggiore alle forze dell'ordine. Quello dipende dal Governo, non certo dal Parlamento. Credo che la sua venuta in Calabria abbia un grande valore, un grande significato. Bene ha fatto la presidente Bindi a organizzare la riunione della Commissione antimafia a Reggio, ma in Calabria lo Stato e la criminalità organizzata camminano con velocità diverse. Lo Stato ha una macchina antica, una 500, la criminalità organizzata ha una Ferrari e persone che sanno condurla bene.
  Si è parlato del tribunale di Rossano, di quello di Vibo, io le porto all'attenzione la storia del Tirreno cosentino, dove il clan Muto la fa da padrone. È stato sciolto il comune di Scalea per infiltrazioni del clan Muto in quel municipio e sono attenzionati molti altri municipi in quel territorio. C’è una caserma finita a Cetraro, regno del clan Muto, e non consegnata; ce n’è un'altra a Scalea, che è stata appaltata e che non vede iniziare i lavori da anni.
  So che lei rappresenta un Ministero che non ha competenza sulle questioni specifiche, ma i Carabinieri sono utili alla magistratura inquirente e sarebbero d'ausilio Pag. 48a quella 500 che c’è in Calabria ed è la giustizia. Non abbiamo i mezzi per affrontare la ’ndrangheta.
  Mi auguro che la Commissione di oggi dia non solo segno della presenza dello Stato a Reggio, come c’è bisogno, ma anche risposte ai calabresi.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Credo che confondiamo due ambiti diversi di soggetti: i condannati per mafia con i sottoposti al 41-bis. Mi pare evidente che abbiamo bisogno di sapere con precisione quali sono i due ambiti, cioè in questo momento quanti sono i condannati per mafia detenuti e quanti di questi sono sottoposti al 41-bis.
  Pongo questa domanda al Ministro. Non mi aspetto che risponda adesso se non ha i documenti, ma credo che la Commissione d'inchiesta abbia bisogno di conoscere questo dato per capire l'effettivo impatto sul sistema del 41-bis.
  Telegraficamente, vista l'esperienza come prefetto, come Ministro dell'interno e come Ministro della giustizia, ricollegandomi all'intervento della collega e a quanto è successo con la legge obiettivo in Calabria per l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, una Caporetto della legalità, vorrei chiedere al Ministro se per caso queste norme derogatorie e acceleratorie delle procedure non siano esse stesse fortemente criminogene. Quanto è successo in Calabria è sotto gli occhi di tutti.

  ANNAMARIA CANCELLIERI, Ministro della Giustizia. Per quanto riguarda la lunghezza dei tempi tra i sequestri e le confische, purtroppo rientra nel quadro della lunghezza dei tempi della giustizia e di tutti i passaggi necessari. Altro è sequestrare un bene, infatti, altro è confiscarlo.
  È anche vero, però, che il bene, nel momento in cui è sequestrato, è già attenzionato. Si dovrà cercare, per questo come per tutti i casi di lunghezza dei nostri processi, di accelerarli. Delle norme per rendere più celeri i processi saranno presentate a breve, ma le misure fanno parte di un discorso più ampio.
  Mi risulta che esista un registro dei tumori a Taranto, ma non so se ce ne siano altrove.
  La visione manageriale rientra nel discorso che ci siamo già fatti. L'Agenzia deve proprio cambiare marcia. Su questo non c’è dubbio.
  Per quanto riguarda Isola Capo Rizzuto e le problematiche della Calabria, l'inchiesta, i fatti, naturalmente hanno bisogno dei loro tempi, passaggi e dobbiamo assistere. È un territorio delicato. La situazione di Isola Capo Rizzuto fa veramente impressione, ma dobbiamo prima aspettare che tutto abbia il suo esito.
  Sulle vittime dell'usura, l'accesso ai mutui e così via, vi invito a chiamare in audizione il commissario antiracket e antiusura, che potrà fornirvi tutte le informazioni sui tempi. È bene sentirlo direttamente.
Quanto agli avvocati affiliati, credo che in questo, come in altri territori, a forte penetrazione mafiosa, sicuramente una parte della società civile sia collusa, avvocati, ingegneri e chissà chi altro. Sottoporrò al Consiglio nazionale forense l'idea di un monitoraggio. Naturalmente, se il fenomeno si presenta con certe dimensioni, è opportuno che anche il Consiglio nazionale forense prenda le sue decisioni per allontanarli.
  Allo stesso modo, si può abbassare la soglia dei subappalti. Occorrerebbe, però, che almeno si fosse molto ben organizzati con la banca dati unica nazionale, sennò blocchiamo proprio ogni forma di imprenditoria, ma sono argomenti sui quali si può approfondire sempre di più.
  Sono state richiamate la 500 e la Ferrari. È vero, i mezzi di cui disponiamo a volte sono quelli della 500, ma – mi creda – a volte li guidano persone che sono migliori di quelle che guidano la Ferrari. Voglio dare atto alle forze dell'ordine e ai magistrati che operano in questo territorio di una grandissima capacità. La procura di Reggio Calabria ha svolto lavori straordinari in questa città. Diamo atto che lo Stato sta rispondendo.
  È chiaro che il fenomeno è molto grosso e richiede ancora maggiore impegno Pag. 49e forse altri mezzi, ma non diciamo che i nostri conduttori della 500 sono scarsi. Oltretutto, qui abbiamo un'altissima magistratura e forze dell'ordine molto efficaci. Naturalmente, questo non significa che non si possa far di più e meglio. Per le vicende delle caserme dei Carabinieri, parlerò con il collega Alfano. In ogni caso, lei ha ragione nella misura in cui richiama la responsabilità del Governo. Tutta la Calabria è un problema del Governo. Lo rappresenterò in sede di Consiglio dei ministri perché sono convinta che sulla Calabria occorra un focus particolare, un impegno collettivo. Ogni dicastero ha da dire la sua su questo territorio e può dare una mano per un territorio particolarmente vessato.
  Fornirei una notizia non precisa perché non dispongo del dato numerico, ma mi riservo di farvi conoscere appena possibile il numero dei condannati per mafia e di quelli sottoposti al 41-bis.
  L'autostrada Salerno-Reggio Calabria è una delle vicende infinite di questo nostro Paese – mi dicono che si sta arrivando alla fine – ma è anche una delle difficoltà di operare in questo territorio molto difficile, che sono convinta richieda un'attenzione particolare. Certo, non c’è dubbio che l'autostrada Salerno-Reggio Calabria sia uno dei grandi scandali del nostro Paese.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro. Vorrei sottolineare alcuni aspetti prima di una sospensione di qualche minuto per consentire un incontro del Ministro con la stampa. Vorrei ricordare ancora una volta che questa è una riunione della Commissione antimafia, non solo una missione a Reggio Calabria. Abbiamo scelto volutamente di tenere una delle prime riunioni della nostra Commissione a Reggio Calabria, così come terremo la prossima a Milano, per svolgere a Reggio Calabria e a Milano parte del tradizionale programma nazionale della Commissione con un gesto di attenzione a due territori particolarmente sensibili e nella convinzione che affrontare i temi generali con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno significhi anche offrire risposte alle situazioni più critiche, tra cui la Calabria e Milano. Sappiamo che ce ne sono anche altre, ma abbiamo fatto insieme questa scelta.
  Tutto ciò di cui abbiamo parlato con il Ministro, che potrebbe sembrare non direttamente collegato a singoli casi calabresi, è comunque ricollegato alla Calabria. Se diamo, infatti, soluzione ai problemi di carattere generale che riguardano la lotta alla mafia, è evidente che daremo anche risposte alla Calabria.
  Non sono mancate, tuttavia, attenzioni a problemi locali, come allo scioglimento del comune di Reggio Calabria, ma anche a quello che giudico l'annuncio almeno di due buone notizie, o quanto meno una e mezza, che riguardano i due importanti tribunali di Reggio Calabria e di Rossano. Non ci sfugge, naturalmente, l'importanza per l'attenzione che sappiamo esserci per questa terra.
  D'ora in poi, dopo l'incontro con il procuratore nazionale antimafia, dottor Roberti, audizione che avrà la stessa caratteristica e caratura di quella con il Ministro per quanto riguarda i problemi nazionali, ci soffermeremo maggiormente sui problemi locali. Incontreremo la procura, il prefetto e i prefetti di altre province.
  Dopo questa parte della missione della Commissione, avremo forse bisogno di incontrare nuovamente il Ministro, la quale ci ha già annunciato risposte su alcuni aspetti in sede nazionale. All'occorrenza, le faremo pervenire, dopo la nostra missione di questi giorni e di queste ore, altre domande alle quali risponderà. Anche per noi è un percorso nuovo, che comunque credo avrà la sua efficacia.
  Ringraziamo ancora il Ministro per la sua disponibilità di oggi e delle prossime occasioni che ci ha già annunciato.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.18.

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ALLEGATO 2

MISSIONE A MILANO 16 DICEMBRE 2013

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROSY BINDI

Audizione del ministro dell'interno, Angelino Alfano

  La seduta inizia alle 11.25.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Vicepresidente del Consiglio e Ministro dell'interno Angelino Alfano.
  Avverto che, se non vi sono obiezioni, si darà pubblicità ai lavori, oltre che con la redazione del resoconto, anche mediante l'ammissione della stampa in separati locali della prefettura, dove potranno essere ascoltate le audizioni, salvo eventuali parti segrete, attraverso l'attivazione di un sistema audio a circuito chiuso, in conformità a quanto previsto dall'articolo 12 del Regolamento interno della Commissione e non diversamente da quanto avviene per le audizioni in sede.
  Se tutti sono d'accordo, così rimane stabilito.
  Do il benvenuto al ministro, al quale passo la parola, ringraziandolo ancora per aver accolto l'invito a essere presente qui a Milano.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Grazie, presidente, e grazie a tutti voi colleghi. È per me un grande onore essere presente qui come primo audito di questa serie di incontri che ha deciso di tenere la Commissione antimafia. La scelta di tenere a Milano una sessione di audizioni mi pare rappresenti la maniera più diretta ed esplicita di affermare con forza la presenza dello Stato a Milano, luogo simbolo del nostro Paese, proprio nel momento in cui si prepara a ospitare un evento della massima risonanza mondiale. L'Italia potrà mettere in mostra le sue capacità organizzative e i suoi talenti creativi con la serena consapevolezza di avere profuso ogni sforzo necessario per essere all'altezza delle diffuse attese che circondano Expo 2015.
  Noi faremo di tutto per impedire le infiltrazioni criminali, di tutte le mafie. Riusciremo a fare un Expo mafia-free. Questo è un obiettivo che ci vede tutti impegnati. Dimostreremo che si può fare, che si può realizzare un grande evento senza partecipazione mafiosa e senza lucro criminale.
  Con il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, che ringrazio per il lavoro che sta facendo, con il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, con l'amministratore delegato di Expo, Giuseppe Sala, è in programma la sottoscrizione di un Piano di azione che servirà ad affinare le nostre armi di difesa e di prevenzione dal rischio che la criminalità organizzata possa infiltrarsi nella realizzazione delle opere connesse allo svolgimento dell'esposizione universale.
  Non è un caso che io abbia usato la parola «affinare». Ciò perché le iniziative rivolte ad affrontare il pericolo di inserimento della criminalità di stampo mafioso nel business rappresentato da Expo sono state avviate da tempo e hanno formato oggetto di un ventaglio di articolati interventi che vorrei qui rapidamente ricordare nel loro sviluppo temporale.
  In attuazione dell'articolo 3-quinquies del decreto legge n. 135 del 2009 è stata Pag. 51istituita presso la prefettura di Milano una sezione specializzata del Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere presieduta dal prefetto e composta da esperti di varie amministrazioni, a cui partecipa anche un rappresentante della Procura nazionale antimafia.
  In applicazione della stessa norma di legge è stato dato vita al Gruppo interforze per il controllo di Expo 2015, il cosiddetto GICEX, composto da investigatori specializzati delle forze di polizia, a cui contribuisce anche la Direzione investigativa antimafia (DIA) con il preciso mandato di svolgere un'attività di analisi ambientale e di monitoraggio degli indicatori di rischio. I controlli di prevenzione antimafia per Expo, come già accaduto per le opere di ricostruzione in Abruzzo, corrispondono a un modello del tutto originale, che affida al prefetto di Milano compiti di direzione e di coordinamento delle attività.
  Le linee guida del Comitato per l'alta sorveglianza delle grandi opere adottate fin dal 2011 hanno accentrato nella prefettura di Milano tutte le attività di rilascio della documentazione antimafia. Ciò per evidenti ragioni di accelerazione dei controlli e per favorire il più possibile una visione unitaria dei fenomeni, oltre che una regia altrettanto unitaria delle misure di intervento.
  Nel febbraio del 2012 è stato sottoscritto alla presenza del mio predecessore un protocollo quadro tra il comune di Milano, la prefettura e la società Expo 2015 nel quale sono puntualmente definiti i particolari obblighi di collaborazione e di trasparenza a cui sono assoggettati i diversi operatori della filiera contrattuale, a cominciare proprio dal general contractor.
  Ricordo quelli più significativi, consistenti nell'obbligo di fornire tutti i dati necessari alla costituzione dell'anagrafe degli esecutori, una vera e propria banca dati allestita e gestita dalla società Expo 2015, capace di aggiornarli nel caso di loro cambiamento, di segnalare qualsiasi tentativo di estorsione che sia stato subìto e di registrare le presenze nelle aree di cantiere, settimana per settimana, convogliando le relative informazioni sulle persone e sui mezzi in una speciale sezione dell'anagrafe.
  L'attenzione alla sicurezza dei cantieri, che è anche indice della particolare considerazione per la dignità delle condizioni di lavoro, è testimoniata dall'attivazione presso la prefettura di un tavolo di monitoraggio dei flussi di manodopera a cui partecipano le organizzazioni sindacali di categoria. La necessità di disporre di un osservatorio specializzato si collega, infatti, all'esperienza di forme di caporalato risultate non di rado connesse alla criminalità organizzata.
  La consapevolezza di dovere adeguatamente affrontare l'impennata dei controlli che conseguirà all'intensificazione delle attività contrattuali mi ha indotto ad adottare lo scorso 28 ottobre – tengo a sottolineare questa informazione – una direttiva che assegna alla DIA un ruolo di snodo nello svolgimento delle verifiche sulle imprese, dirigendo verso tale organismo, che è un organismo, ci tengo a sottolinearlo, specializzato, l'intero flusso informativo.
  Naturalmente la DIA si avvarrà degli apporti delle forze di polizia territoriali e della qualificata attività del Gruppo interforze per Expo, che proseguirà la sua attività diretta a monitorare l'evoluzione dei rischi di contesto legati alla capacità attrattiva che un evento di così grandi dimensioni economiche presenta per le organizzazioni criminali.
  Infine, è del 20 novembre scorso la seconda linea guida del Comitato per l'alta sorveglianza delle grandi opere che sancisce una collaborazione ancora più stretta tra la prefettura di Milano e la Direzione nazionale antimafia. Infatti, tramite un canale informatico dedicato potranno essere velocemente scambiate le informazioni in merito alla sussistenza e all'attualità di evidenze penali ritenute sintomatiche della contiguità mafiosa delle imprese, con il conseguente abbattimento dei tempi delle verifiche e un evidente vantaggio anche per le stazioni appaltanti, soprattutto per la società Expo 2015.Pag. 52
  In sintesi, il complesso di tali misure persegue finalità di rigore nel sistema di prevenzione amministrativa antimafia, coniugandole con quelle di celerità dei lavori. L'attività svolta ha consentito di intercettare tentativi di infiltrazione e di escludere gli operatori economici risultati in odore di mafia.
  Quanto ai numeri, 29 fattispecie contrattuali sono venute a cadere in conseguenza dell'emissione da parte del prefetto di Milano di altrettanti provvedimenti interdittivi, 6 imprese sono state escluse e una è stata cancellata dalla white list. I tentativi di inserimento criminale, come dimostra l'ambito commerciale in cui operavano le imprese colpite dalle informazioni interdittive, sono stati riscontrati nel settore dell'indotto edilizio, considerato più vulnerabile ed esposto a un maggior rischio di infiltrazione.
  Un dato ulteriore di interesse è che le imprese interdette dal prefetto hanno sede nella quasi totalità dei casi al Nord e precisamente in Lombardia, Emilia, Piemonte e Veneto. I relativi titolari sono risultati legati, per vincoli parentali o per relazioni di affari, con persone o imprese del meridione, a ulteriore riprova della capacità di espansione delle mafie tradizionali nelle aree geografiche più ricche e appetibili.
  L'attenzione rivolta alle opere connesse alla realizzazione di Expo nasce, dunque, anche dalla constatazione della tendenza delle consorterie mafiose a proiettare in maniera sempre più marcata la loro presenza in regioni lontane da quelle di origine e di radicamento storico. In ogni caso e in ogni dove fiutino un affare seguono il profumo dei soldi. Da qui l'attenzione a Expo.
  L'aggressione ai circuiti dell'economia legale ha, inoltre, determinato una trasformazione delle organizzazioni mafiose e del loro modus operandi, non più caratterizzato dalla violenza, o meglio, non più caratterizzato dalla sola violenza visibile.
  La criminalità organizzata che ha risalito la penisola è venuta a specializzarsi nell'offerta di servizi legali forniti a basso costo all'imprenditoria locale, con lo scopo di far conseguire all'operatore economico entrato nell'orbita criminale una posizione di vantaggio illecito. Esempi di questo genere si traggono nel settore dello smaltimento dei rifiuti con abbattimenti dei prezzi che finiscono per dimezzare i costi a carico delle imprese, nonché nell'offerta di attività di sovrafatturazione e di falsa fatturazione che generano extraprofitti destinati anche ad alimentare la corruzione. La difficile congiuntura economica espone l'imprenditoria sana al rischio di subire ancora di più l'insidioso abbraccio delle mafie.
  L'offerta di liquidità finanziaria e senza costi bancari rappresenta un ulteriore veicolo di contagio che spesso prelude all'espulsione dell'operatore che ha subìto o ha opportunisticamente accettato il sostegno mafioso e all'espropriazione silenziosa della sua azienda.
  Non mancano, inoltre, accanto a questi rapporti di scambio forme di capitalismo «misto», in cui convivono capitali legali e illegali. Siamo in presenza di una zona grigia, come è stata suggestivamente chiamata, in cui si trovano a operare fianco a fianco colletti bianchi, esperti di finanza e altre figure insospettabili che agiscono come cerniera tra il mondo del crimine e quello degli affari e delle professioni.
  Non sono estranei a questo spaccato neanche pubblici amministratori, a dimostrazione che l'infiltrazione non ha risparmiato l'ambito della politica. È un indicatore oggettivo di questa tendenza lo scioglimento delle amministrazioni locali per infiltrazioni mafiose, misura che negli ultimi due anni ha riguardato cinque enti comunali di tre regioni – mi riferisco a tre regioni del Nord – due della Liguria, Bardonecchia e Ventimiglia, due del Piemonte, Leinì e Rivarolo Canavese, e uno della Lombardia, Sedriano. I provvedimenti di scioglimento sono stati determinati da accertate forme di ingerenza della criminalità organizzata in grado di condizionare l'operato delle amministrazioni locali non meno di quanto questo accada nelle regioni meridionali.
  Particolarmente esposti sono stati i risultati nel settore dell'edilizia, come è Pag. 53consueto, e anche degli appalti pubblici. In alcuni casi evidenze dello scambio elettorale politico e mafioso tra amministratori ed enti ed esponenti malavitosi sono state riscontrate nei casi di scioglimento.
  In Lombardia le attività investigative hanno evidenziato la presenza ramificata e incisiva della ’ndrangheta, che è riuscita a replicare il modello organizzativo autoctono, clonandone la struttura reticolare e di coordinamento interno.
  Le inchieste giudiziarie, in particolare le operazioni Meta e Il crimine del 2010, così come Grillo parlante, e anche quella dell'anno dopo, denominata Minotauro, hanno documentato l'esistenza di un vero e proprio mandamento composto dalle cosiddette locali, ossia cellule che a loro volta riuniscono più ’ndrine.
  Le attività criminali sviluppate in area lombarda riguardano principalmente il traffico di stupefacenti, settore nel quale la mafia calabrese ha conquistato una posizione di preminenza grazie alle alleanze con gruppi organizzati stranieri, soprattutto dell'area balcanica, del Nordafrica e del Sud America e talora interagendo anche con cosa nostra.
  Altro obiettivo di elezione è quello degli appalti pubblici, in cui l'infiltrazione della ’ndrangheta raggiunge significative quote di mercato in forza del controllo quasi monopolistico di segmenti dell'indotto e delle attività che ricadono nel cosiddetto ciclo degli inerti.
  Le iniziative criminali sono sviluppate dalle locali insediate in Lombardia con una marcata autonomia decisionale, anche se rimane forte la dipendenza dalla casa madre reggina, che, secondo le evidenze investigative, è il vero centro propulsore delle attività dell'intera ’ndrangheta.
  Un'evoluzione non molto dissimile si riscontra anche in Piemonte. In particolare nelle province di Torino, Biella e Vercelli è stata accertata la presenza di locali che hanno collegamenti altrettanto stretti con la ’ndrangheta di Reggio Calabria.
  Tra le attività delinquenziali dei sodalizi calabresi figurano l'usura, le estorsioni, il traffico di armi e degli stupefacenti. È in quest'ultimo settore che la ’ndrangheta si riserva la gestione del livello strategico, potendo contare sulle già rilevate sinergie con i più importanti cartelli dei narcotrafficanti e delegando, invece, le fasi operative a soggetti di minore caratura criminale.
  La consapevolezza di una presenza così pervasiva della mafia calabrese, dedita, come si è detto, anche in Piemonte alle infiltrazioni e al condizionamento delle attività più vulnerabili dell'indotto edilizio, ha spinto ad attuare, in analogia al modello Expo, speciali misure di controllo preventivo sui lavori di realizzazione della TAV.
  Dal giugno 2011 è operativo presso il Dipartimento della pubblica sicurezza un Nucleo interforze, il GITAV, acronimo di Gruppo interforze tratta alta velocità, che ha sviluppato un'intensa attività di monitoraggio, consentendo lo screening preventivo di 269 società e imprese operanti nei cicli del cemento, delle costruzioni e dei rifiuti.
  Seguendo un'ulteriore direttrice operativa, il GITAV ha parallelamente sviluppato approfonditi accertamenti sulla filiera delle imprese impegnate nelle aree di cantiere di Chiomonte, radiografando gli operatori economici coinvolti a vario titolo nei lavori, cioè 294, e anche le società a essi collegate o partecipate, che sono 689. Complessivamente, le verifiche hanno riguardato circa mille soggetti imprenditoriali.
  Questa intensa attività di controllo ha consentito di intercettare situazioni di interesse dal punto di vista del rischio mafioso. Il prefetto di Torino ha adottato, infatti, in cinque casi provvedimenti antimafia a carattere interdittivo, con conseguente allontanamento dai lavori delle imprese colpite.
  Nelle regioni della Liguria e dell'Emilia la capacità penetrativa della ’ndrangheta, come quella delle altre mafie, dimostra attitudine a inserirsi nei circuiti dell'economia legale. Anche in questo caso i settori di privilegiato interesse sembrano essere quelli del commercio e delle costruzioni. In relazione, pertanto, agli importanti Pag. 54investimenti pubblici per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del maggio 2012 è stato necessario riprodurre una strutturazione dei controlli di prevenzione antimafia non dissimile da quella illustrata per Expo e TAV.
  Un ulteriore punto di forza di questo speciale sistema di controllo basato sulle linee guida del Comitato alta sorveglianza grandi opere è rappresentato dalla previsione legislativa all'articolo 5-bis del decreto legge n. 74 del 2012, che ha finito, in pratica, per rendere obbligatoria l'iscrizione nelle white list gestite dalle prefetture del cratere sismico.
  La cautela antimafia in Emilia ha riguardato, come, del resto, è avvenuto in Abruzzo, anche la ricostruzione privata assistita da finanziamenti pubblici, con un significativo ampliamento della rete di monitoraggio, grazie al quale l'azione di prevenzione, da sempre esclusivamente orientata sui contratti pubblici, ha potuto compiere un salto di qualità.
  Dall'azione del GIRER, acronimo di Gruppo interforze ricostruzione Emilia-Romagna, altro dedicato nucleo dipartimentale di investigazione preventiva, sono scaturiti interessanti sviluppi che hanno portato all'adozione da parte delle diverse prefetture interessate di 13 informazioni interdittive e di 23 provvedimenti di diniego di iscrizione nelle white list.
  L'interesse delle mafie autoctone verso la regione è legato anche alle opportunità di investimento nelle attività turistico-ricreative della riviera romagnola. È per questo motivo che, oltre alla ’ndrangheta, risultano particolarmente attivi gruppi di matrice camorristica principalmente legati al clan dei casalesi e a sodalizi riconducibili a cosa nostra.
  Le risultanze investigative documentano una pressione estorsiva esercitata specie nel settore dell'edilizia e una spiccata aggressività che è alla base di attività illecite di varia natura, tra le quali è venuta più di recente a emergere l'ingerenza nel gioco clandestino attraverso la gestione di bische.
  All'offensiva della criminalità organizzata ha corrisposto un'energica azione di contrasto delle forze di polizia che ha consentito di disarticolare un'agguerrita organizzazione camorristica legata proprio ai casalesi, operante in diversificati comparti dell'economia legale e di quella illegale nelle province di Parma e Ferrara, nonché sulla riviera romagnola.
  Proiezioni extraregionali della ’ndrangheta vengono rilevate anche in Liguria. Una serie di importanti operazioni sviluppate negli ultimi tre anni ha dimostrato l'esistenza di una stabile configurazione organizzativa. Locali della ’ndrangheta sono stati individuati a Genova e nelle province di Imperia e La Spezia. Secondo il complesso modello organizzativo ricostruito dalle indagini risulta che le rispettive attività criminali riguardanti gli ambiti di tradizionale ingerenza della mafia calabrese vengano coordinate da una camera di controllo, la quale estende la propria influenza anche nel basso Piemonte.
  Nella regione si segnalano presenze operative anche di cosa nostra e della camorra. Per quanto riguarda l'organizzazione siciliana, la pericolosità e capacità criminale della propaggine ligure, attiva soprattutto a Genova, è dimostrata dalla sua ritenuta riconducibilità a una delle figure di vertice della mafia corleonese, Giuseppe Madonia, implicato nelle stragi mafiose degli anni Novanta.
  Una recente inchiesta giudiziaria ha evidenziato nella provincia di Imperia la sussistenza di ramificazioni siciliane. Le indagini che hanno portato all'esecuzione di misure custodiali per un gruppo di operatori del settore edile inquisiti per reati societari e turbativa d'asta hanno disvelato collegamenti con esponenti di spicco di cosa nostra già venuti in evidenza nell'ambito di un'indagine della direzione distrettuale di Palermo. Essi sono indiziati di associazione di stampo mafioso e di favoreggiamento personale alla latitanza del noto boss Matteo Messina Denaro.
  Coerentemente alla sua natura meno strutturata e tendenzialmente pulviscolare, la camorra viene segnalata nell'area dell'estremo Ponente ligure per l'operativa presenza di gruppi variamente collegati a Pag. 55cosche del napoletano. Le indagini, in particolare quella condotta dall'Arma dei carabinieri nel 2012, che ha riguardato l'area di Imperia, riferiscono di una particolare aggressività di questi sodalizi, che si manifesta attraverso attentati incendiari ai danni di imprese che operano prevalentemente nel settore edile.
  Questo dato conferma indirettamente la propensione della mafia campana verso le attività di costruzione, con l'evidente scopo di ingerirsi nell'indotto e, quindi, di guadagnare un più facile varco di accesso agli appalti di opere pubbliche.
  Nei territori del Nord-Est le mafie tradizionali non hanno un vero e proprio radicamento, anche se particolarmente nel Veneto danno segni di una qualche vitalità, che si esprime in rapporto alle attività edilizie e al traffico di stupefacenti.
  Nella stessa regione accertamenti svolti a seguito della richiesta di documentazione antimafia hanno evidenziato che elementi della criminalità organizzata di origine siciliana potrebbero tentare di riciclare denaro sporco nel settore delle energie rinnovabili, particolarmente appetito, e nella cantieristica navale.
  L'espansione delle mafie nelle regioni centrali e settentrionali trova tangibile riscontro nelle consistenze patrimoniali oggetto di aggressione sia con l'incisivo istituto della confisca allargata (articolo 12-sexies del decreto legge n. 306 del 1992), sia con gli strumenti del processo di prevenzione. Limitatamente a questi ultimi i dati aggiornati al 30 novembre del 2013 evidenziano che nella sola Lombardia sono stati confiscati 1.187 beni, la maggior parte costituita da valori mobiliari, che rappresentano il 26 per cento del totale nazionale.
  Sempre rimanendo nello stesso ambito delle misure di prevenzione patrimoniali, per dare soltanto un'idea della straordinaria entità economico-finanziaria che le mafie rappresentano, il controvalore dei beni confiscati nel 2013 sfiora i 3 miliardi di euro, un patrimonio enorme, che è eticamente giusto ricondurre alle collettività e allo Stato, destinando una consistente quota del ricavato delle vendite del denaro confiscato al Fondo unico giustizia.
  Questa specifica assegnazione va ad alimentare nella misura del 50 per cento il sistema di sicurezza, concorrendo al potenziamento dei mezzi in dotazione alle forze dell'ordine. Si costituiscono così le premesse per rafforzare le potenzialità di contrasto delle mafie, dando vita a un circuito virtuoso capace di fare affluire allo Stato nuove e ulteriori risorse.
  L’excursus sul fenomeno delle proiezioni mafiose al Nord testimonia che le mafie rappresentano una grande questione nazionale che non può essere confinata alle zone del Sud dell'Italia. Non esistono ricette miracolistiche per debellare la minaccia mafiosa. Serve piuttosto un impegno tenace e continuo, che non affidi la risposta solo agli apparati repressivi dello Stato, ma sappia stimolare e coinvolgere la società civile in ogni sua espressione.
  L'esperienza anche di ministro della giustizia, durante la quale mi sono adoperato perché potesse finalmente essere varato un Codice della legislazione antimafia, mi fa dire che occorre agire principalmente sul versante dell'accumulazione della ricchezza criminale.
  Nella legge antimafia n. 136 del 2010 è stata introdotta la tracciabilità dei pagamenti dei contratti pubblici e dei flussi finanziari. Nel dettare i criteri e i princìpi di delega del Codice è stato valorizzato il sistema della prevenzione e mantenuto fermo il principio, introdotto appena un anno prima, cioè nel 2010, del doppio binario, ovverossia della possibilità di applicare le misure di prevenzione patrimoniali a prescindere dalla pericolosità sociale del destinatario.
  In quest'ottica che predilige l'aggressione ai patrimoni illeciti una particolare attenzione va riservata al funzionamento dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata cui pure il Codice ha riservato una specifica partizione. Nella strategia di attacco alla ricchezza mafiosa diventa centrale il ruolo dell'Agenzia, chiamata ad amministrare, secondo criteri dinamici e di redditività, i patrimoni sottratti alle organizzazioni delinquenziali Pag. 56in vista del loro definitivo riutilizzo per scopi istituzionali o in progetti sociali sviluppati da enti locali e regioni.
  La complessità di questa missione non sfugge ove si considerino le ingenti dimensioni dei patrimoni acquisiti. Solo nei primi dieci mesi di quest'anno i beni confiscati sono stati 4.277, dei quali 213 sono aziende, per un controvalore stimato in oltre 2.877 milioni di euro.
  Per mettere in condizioni l'Agenzia di fare fronte più efficacemente a questi difficili compiti la legge di stabilità finanziaria per il 2013 ha già operato una serie di interventi piuttosto importanti. Sono state semplificate le procedure amministrative per evitare diseconomie e per liberare i beni immobili gravati da ipoteche, accelerando il processo di destinazione agli scopi sociali e istituzionali; è stata prevista l'assegnazione all'Agenzia di un contingente di 100 unità di personale distaccato da altre amministrazioni, nell'intento di compensare, quanto meno in parte, le dimensioni oggettivamente troppo contenute del suo organico, che è di sole 30 unità; è stata rivista la composizione del Consiglio direttivo, con l'inserimento tra i suoi componenti di esperti in gestioni aziendali. Queste misure vanno completate per arrivare a risolvere tutti i nodi che condizionano negativamente il processo di gestione dei beni e, in particolare, degli immobili e delle aziende, che sono spesso di natura oggettiva e indipendenti dall'Agenzia.
  Rimangono, tuttavia, ancora valide e attuali le ragioni originarie che hanno portato alla costruzione dell'organismo, ragioni riconosciute anche dalle voci più critiche. In primo luogo, la concentrazione di competenze in capo all'Agenzia permette lo sviluppo di strategie globali per la destinazione dei beni sulla base di un patrimonio informativo centralizzato di dati relativi alla loro consistenza e collocazione, che prima erano in modo pulviscolare e frammentario dispersi tra più soggetti.
  Inoltre, la creazione dell'Agenzia ha avuto effetti positivi sui tempi di destinazione dei beni, riducendone la durata. Le difficoltà di assegnare gli immobili dipendono in misura considerevole dall'impossibilità strutturale di una loro utilizzazione per i fini previsti dalla legge oppure dal fatto che gli enti territoriali potenzialmente interessati non sono spesso in grado di sopportare i costi necessari al loro adeguamento alle finalità sociali o istituzionali cui potrebbero essere destinati.
  Più complessa ancora si rivela poi la ricollocazione sul mercato delle imprese, le quali subiscono una perdita di valore già nella fase del sequestro giudiziario antecedente alla confisca a causa del venire meno della protezione mafiosa garante di vantaggi competitivi illeciti. La risposta a queste difficoltà non è semplice e non può essere identificata con il trasferimento dell'Agenzia da un comparto all'altro dell'amministrazione.
  Aggiungo, inoltre, che il mantenimento sul mercato delle aziende confiscate è un punto strategico dell'azione dello Stato al fine di dimostrare che è profondamente falsa l'idea che la mafia dia lavoro e che all'atto della confisca lo Stato lo sottragga. Il mantenimento sul mercato di quelle aziende corrisponde a un doppio successo dello Stato. Ecco perché occorre impegnarsi per far sì che le aziende confiscate e sequestrate restino sul mercato.
  Vanno per questo affrontati alcuni snodi fondamentali che, nonostante gli interventi del 2012, sono rimasti ancora irrisolti. Sicuramente vi è l'esigenza di dotare l'Agenzia di professionalità qualificate nell'amministrazione e gestione delle imprese, che è più difficile reperire all'interno del comparto pubblico. Una soluzione pure possibile è quella di mettere a sistema forme di collaborazione con associazioni del mondo dell'imprenditoria, peraltro già sperimentate, per valorizzare le specifiche competenze dei manager industriali nella gestione delle imprese confiscate.
  Nel contempo, è forse giusto interrogarsi se non occorra intervenire sulla possibilità di vendita dei beni, ampliando limitatamente il campo delle ipotesi, senza con questo rinnegare l'impostazione rigorosa Pag. 57del Codice antimafia. Non si tratta di mettere in discussione l'impostazione di fondo del sistema, che giustamente privilegia l'assegnazione alle finalità pubbliche o sociali, ma di attenuarne effetti che oggettivamente appaiono contrari talora anche al buonsenso e che riducono la capacità dell'Agenzia di generare redditività e di autofinanziarsi.
  Naturalmente, ogni modifica che si dovesse disporre in questo senso andrebbe circondata, come ha giustamente raccomandato l'attuale direttore dell'Agenzia, da adeguate garanzie volte a evitare il rischio di un ritorno dei beni in mani mafiose e sempre ricordando comunque che i beni si possono risequestrare.
  Il tema suscita diffidenze anche comprensibili ed è per questo che io auspico che possa aprirsi un confronto sereno e scevro da pregiudizi che coinvolga i diversi stakeholder, tra i quali vanno necessariamente ricomprese le associazioni del volontariato sociale. Mi permetto di suggerire, se il Presidente Bindi me lo permette, che il luogo di questo confronto potrebbe essere esattamente la Commissione bicamerale antimafia.
  È un dato di fatto che l'implementazione dei dispositivi di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario per finalità di riciclaggio pone l'Italia nel novero dei Paesi a legislazione più avanzata. La tracciabilità finanziaria dei pagamenti dei contratti pubblici va appunto nella direzione di rendere trasparenti tutte le movimentazioni di denaro disposte in esecuzione di appalti, consentendo di conoscere i beneficiari dei flussi e di intercettare eventuali rimesse che vengano a riguardare transazioni illecite. Viene così ulteriormente ostacolata la costituzione di fondi neri o di disponibilità off-shore destinate a finalità illegali anche di tipo corruttivo.
  È affermazione ricorrente che le mafie autoctone e anche straniere sono naturalmente provviste di una capacità di rinnovamento, capacità che si manifesta sia nell'individuare nuovi filoni di attività e opportunità di ingerenza, sia nell'attitudine ad assumere comportamenti mimetici, specie per finalità autoconservative, come è avvenuto per cosa nostra con la scelta di inabissamento e di ricerca di basso profilo.
  È perciò necessario comprendere in anticipo, anche per orientare la controffensiva dello Stato, le tendenze evolutive seguite dalle diverse organizzazioni criminali. Si sono evidenziate, per esempio, situazioni di inedito interesse delle mafie in settori innovativi come quello delle energie rinnovabili e della cosiddetta green economy, particolarmente appetibili, come dimostra anche l'operazione della DIA che ha portato alla confisca di beni in Sicilia per 1,3 miliardi di euro.
  Altro segmento verso cui sembra indirizzarsi l'interesse delle mafie è quello delle sofisticazioni alimentari, meglio conosciuto come Italian sounding, consistente nella contraffazione di prodotti di eccellenza che si perfeziona attraverso l'utilizzazione di marchi, slogan, denominazioni geografiche e quant'altro sia capace di richiamare ingannevolmente nell'immaginario collettivo l'Italia per commercializzare beni che, invece, nulla hanno a che vedere con il nostro Paese. È un fenomeno da non sottovalutare, perché produce danni al made in Italy, generando profitti altissimi per le organizzazioni criminali.
  Il recente intervento del Ministro delle politiche agricole Nunzia De Girolamo ha fortemente richiamato l'attenzione sul problema. In generale quello agricolo continua a essere uno dei settori più remunerativi per le mafie. Secondo alcune stime – mi riferisco a Eurispes e a Coldiretti – il volume di affari dell'agrocrimine sarebbe quantificabile in 14 miliardi di euro. I danni all'economia sono subìti sia dagli imprenditori, sia dagli stessi consumatori, che, a causa degli effetti distorsivi sul mercato e del mercato, vedono lievitare i prezzi di alcuni generi anche del 300 per cento.
  La crisi congiunturale ha finito col concorrere alla proliferazione degli esercizi commerciali comunemente definiti «compro oro». Il settore ha conosciuto un ulteriore incremento nel corso del 2013, Pag. 58tanto che alcune ricerche accreditano il dato secondo il quale durante l'anno quasi un italiano su tre si sarebbe rivolto ai compro oro.
  Non sono emerse sistematiche connessioni tra questo segmento di mercato e la criminalità mafiosa. Tuttavia, a parte le tradizionali attività di ricettazione e riciclaggio che frequentemente si accompagnano alla compravendita dei preziosi usati, sono state accertate operazioni di falsa esportazione verso imprese estere inesistenti di quantitativi di oro allo scopo di occultarne la vendita in nero sul mercato interno.
  La sola Guardia di finanza nel corso del 2013 ha sequestrato più di 179 chilogrammi di oro e d'argento, con un incremento dell'86 per cento rispetto al 2012. Sempre in quest'anno il numero delle persone denunciate o arrestate per traffico illegale di metalli preziosi, sebbene modesto in termini assoluti, è comunque aumentato del 200 per cento.
  Signor presidente e cari colleghi, la strategia di sommersione che ha scelto di seguire già da tempo cosa nostra non ha portato di certo alla dismissione dell'apparato militare delle cosche, né alla rinuncia a esercitare forme di pressione sul territorio e le più tradizionali attività criminali che implicano l'uso dell'intimidazione e della violenza. Recenti analisi investigative documentano che la mafia siciliana è tornata a essere più attiva nel traffico degli stupefacenti allo scopo di recuperare risorse economiche che non vengono più assicurate dal racket e dall'usura nella stessa misura del passato.
  Vi è stata, infatti, una certa contrazione dei flussi di denaro dovuta all'impossibilità per le vittime, anche a causa della sfavorevole congiuntura, di far fronte alle precedenti e più onerose richieste, situazione alla quale ha corrisposto un abbassamento della pretesa estorsiva e addirittura la dilazione nel pagamento del pizzo. Non sembrano estranee a questo nuovo fenomeno le resistenze opposte da quella fascia di professionisti e commercianti che è apparsa più reattiva e si è dimostrata più sensibile al tema della legalità, a cominciare da Confindustria Sicilia.
  Cosa nostra è da tempo in difficoltà anche per i risultati repressivi conseguiti dallo Stato, che ne hanno indebolito la struttura. È considerato in qualche modo un sintomo di questo indebolimento il malcontento manifestato dalle famiglie degli affiliati mafiosi in carcere per le difficoltà che l'organizzazione criminale siciliana starebbe incontrando nell'assicurare le tradizionali forme di mantenimento e di assistenza, vicenda ovviamente peggiorata, dal loro punto di vista, e aggravata all'inverosimile da un efficace uso dello strumento del 41-bis, ossia del carcere duro.
  In questa situazione di affanno, contrassegnata anche da processi interni che evidenziano il tentativo di ascesa a opera di nuove leve, si sono venuti a registrare con una certa frequenza nel corso di quest'anno, e particolarmente nell'ultimo semestre, episodi di intimidazione nei confronti dei magistrati delle procure siciliane, in particolare di Palermo e Caltanissetta, titolari di importante inchieste di mafia. La decisione di tenere a Palermo il 3 dicembre scorso una riunione del Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica, oltre a rappresentare un segno di tangibile solidarietà e vicinanza ai magistrati maggiormente impegnati nella lotta alla criminalità, si inquadra in un contesto di crescente attenzione verso i possibili sviluppi operativi di cosa nostra.
  Un contesto di così acuto cambiamento, in cui viene notato anche il tentativo di vecchi esponenti di rientrare in campo per occupare posizioni di maggiore rilievo criminale, può sollecitare iniziative che abbiano lo scopo di rovesciare la tendenza di apparente declino per dare il segno all'esterno di una rivincita mafiosa. L'ipotesi di azioni eclatanti, più frequenti nelle fasi fibrillanti e di crisi, deve leggersi, dunque, alla luce di questa analisi di scenario e della conseguente necessità di non trascurare alcun fattore di rischio.
  Nei confronti di quattro magistrati interessati dagli episodi minatori sono stati attivati dispositivi di protezione ravvicinata Pag. 59tutti corrispondenti al massimo livello. Ai magistrati assicuriamo che nessun dettaglio sarà trascurato e che il livello di attenzione alla loro protezione sarà mantenuto altissimo.
  Signor presidente e onorevoli colleghi, il Governo ha varato il 3 dicembre scorso, come è noto, un provvedimento d'urgenza per affrontare risolutivamente l'annoso problema della terra dei fuochi, consistente nello sversamento incontrollato in vaste aree del napoletano e del casertano di rifiuti tossici o nocivi delle più disparate tipologie e nel connesso fenomeno della loro illecita combustione, con danni gravissimi alla salute pubblica. Sul fenomeno grava l'ombra della camorra casalese, che negli anni Novanta, interponendosi con propri emissari nelle attività di smaltimento delle scorie industriali, ha organizzato un lucroso traffico illecito, offrendo i propri servizi anche a imprese del Nord.
  In ordine a tale aspetto sono intervenute le dichiarazioni rese all'emittente televisiva Sky di un collaboratore di giustizia, Carmine Schiavone, figura di spicco del clan dei casalesi, alle quali hanno fatto seguito polemiche riguardanti anche l'attendibilità delle rivelazioni. Sta di fatto, tuttavia, che nell'ambito dell'operazione seguita dalla DIA lo scorso 10 dicembre, un'operazione che ha portato all'arresto di Cipriano Chianese, accusato di aver organizzato operazioni di traffico di rifiuti anche nella terra dei fuochi, si è evidenziato un quadro investigativo che conferma l'esistenza di oggettivi elementi di allarme.
  In questi ultimi mesi, che hanno visto un crescendo di attenzione dovuto anche alle manifestazioni di protesta delle popolazioni colpite dal fenomeno, comprensibilmente peraltro esasperate, si sono susseguite da parte del Governo iniziative di vario tipo. Io stesso ho avviato nell'ottobre scorso una task force interministeriale convocando al Viminale una riunione a cui hanno partecipato tutti i colleghi della compagine governativa interessati al problema, cioè salute, politiche agricole e ambiente, i vertici della regione Campania e i prefetti di Napoli e Caserta.
  La necessità di mettere in campo efficaci sinergie istituzionali che affrontino il complesso fenomeno nei suoi variegati aspetti, promuovendo interventi non solo repressivi, ma anche di bonifica e recupero dei territori inquinati è stato poi alla base della scelta del Consiglio dei ministri di istituire un'ulteriore task force permanente incaricata di definire un Piano di azione sulla base degli indirizzi politici e programmatici dettati da un apposito Comitato di ministri. Il rilievo di tale organismo, che manifesta la determinazione e l'impegno del Governo ai massimi livelli, è dimostrato dalla decisione di affidarne la guida allo stesso Presidente del Consiglio dei ministri.
  Il decreto legge n. 136, a cui prima mi riferivo, contiene disposizioni penali che introducono la fattispecie delittuosa di combustione illecita di rifiuti. Il nuovo reato contempla pene anche per i casi più gravi, consistenti nei roghi di rifiuti pericolosi, l'arresto in flagranza e il ricorso allo strumento delle intercettazioni. Aggravamenti di pena sono, inoltre, previsti se l'appiccamento dei roghi è commesso in territori interessati nei cinque anni precedenti, come la Campania, e da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti.
  Ai prefetti della regione viene assicurato il supporto di aliquote delle forze armate che potranno fornire il loro concorso in operazioni di sicurezza e nel controllo del territorio. L'impegno delle Istituzioni è stato autorevolmente testimoniato dalla visita che proprio questa Commissione ha effettuato a Caserta per una serie di audizioni dei prefetti interessati e dei rappresentanti della magistratura sia della procura di Santa Maria Capua Vetere, sia della Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
  Segnali in qualche modo incoraggianti cominciano ad arrivare, ed è bene sottolinearlo. Lo è, per esempio, la diminuzione della percentuale dei roghi che si registra da quando sono state attivate misure di contenimento del fenomeno coordinate da Pag. 60un'apposita figura commissariale, il cui incarico ha rappresentato una prima risposta al problema.
  Il dato centrale della vicenda campana mette in rilievo la necessità che lo Stato, insieme alle istituzioni locali, prime custodi della collettività, si riapproprino del territorio, vigilando sulla conservazione e sul suo corretto utilizzo. Il territorio è una risorsa che non possiamo considerare, alla stregua di un qualsiasi bene di consumo, in un'ottica di puro sfruttamento. La sua salvaguardia è un dovere che dobbiamo assolvere anche verso le generazioni future, contrastandone ogni forma di aggressione a cui è sottoposto anche per mano delle organizzazioni mafiose, le quali non hanno rispetto né per l'ambiente, né per le condizioni di vita e di lavoro dell'uomo.
  È, dunque, nello stesso segno di attenzione al territorio, di vigilanza e di allerta che si indirizzano le iniziative assunte a seguito dell'incendio dello scorso 1 dicembre che ha interessato nella città di Prato una fabbrica tessile e ha visto soccombere sette operai di nazionalità cinese. Il tragico evento ha riportato all'attenzione le condizioni disumane in cui svolgono la loro attività migliaia di immigrati che formano nel centro toscano una delle più grandi comunità cinesi d'Europa. Ha colpito il degrado delle condizioni esistenziali in cui versavano le vittime e nelle quali molto probabilmente continuano a trovarsi molti loro connazionali. Sono 4.000 le imprese illecitamente insediate sul territorio e clandestine, secondo i dati che recentemente mi hanno fornito il sindaco di Prato e il presidente della regione Toscana.
  In queste condizioni, in cui non sembra sussistere una linea di distinzione tra il lavoro e la vita privata e la persona umana che, appare reificata in nome di una spregiudicata e amorale concezione del profitto, operano queste imprese.
  Anche nel caso dell'evento di Prato la risposta è consistita nell'attivazione di sinergie istituzionali per la predisposizione rapida di un Piano di lavoro che unisca tutti e che sarà alla base di un programma specifico su Prato con i rappresentanti dei livelli di governo regionali e locali. Non è escluso che dalle attività che verranno sviluppate, in particolare dall'intensificazione dei controlli di prevenzione e dalle misure di contrasto delle illegalità connesse all'imprenditoria straniera, si possa trarre il convincimento della necessità di interventi anche normativi che il Governo si farà carico di adottare.
  Mi avvio alla conclusione di questo mio intervento tratteggiando gli istituti e gli strumenti di maggiore rilievo che si sono affermati nel campo della prevenzione in quest'ultimo scorcio di tempo e che hanno accompagnato l'entrata in vigore del Codice antimafia.
  In quest'ambito la novità che ha destato più interesse sembra quella dell'istituzione delle white list, cioè degli elenchi di imprenditori ritenuti non soggetti al rischio di infiltrazioni mafiose, attivate presso tutte le prefetture d'Italia con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 aprile 2013 in attuazione della legge anticorruzione. L'elemento che contraddistingue le white list è quello della volontarietà, il che implica una forte spinta motivazionale legata ai vantaggi competitivi che possono essere conseguenti e conseguiti attraverso l'iscrizione.
  Il non rilevante numero di iscrizioni che si è finora registrato – ripeto, il non rilevante numero – lascia presumere che questo segmento del mercato non abbia ancora valutato bene come adeguatamente remunerative le premialità assicurate dall'ingresso nelle white list. I vantaggi materiali consistono nell'equipollenza dell'iscrizione alla documentazione antimafia liberatoria e nell'acquisizione di un punteggio aggiuntivo ai fini dell'attribuzione del cosiddetto rating di legalità, da cui a sua volta derivano benefici in termini di accesso al credito e ai finanziamenti pubblici.
  Vi è, inoltre, un vantaggio immateriale legato all'immagine positiva dell'impresa, che si traduce in una sorta di marchio di qualità conseguente alla decisione di aderire a una forma di controllo fortemente connotato da elementi etici. La reputazione dell'operatore economico, in effetti, Pag. 61può considerarsi un asset del patrimonio aziendale, a cui oggi più che in passato molte imprese si dimostrano attente, per esempio nella scelta dei fornitori e nella predisposizione e attuazione di modelli di organizzazione interna fondati sulla trasparenza.
  Tuttavia, il dato assai modesto delle iscrizioni rende necessaria una riflessione più approfondita. È probabile che lo strumento delle white list verrà a soffrire la concorrenza della Banca dati unica nazionale della documentazione antimafia, che consentirà il rilascio immediato delle comunicazioni e informazioni liberatorie. Non potrà più, quindi, essere considerato come l'unica forma di pass veloce per accedere al mondo degli appalti pubblici. Questo potrebbe ulteriormente disincentivare le iscrizioni. Ovviamente stiamo parlando di una concorrenza «virtuosa».
  Sarebbe allora opportuno valutare che nei settori già individuati e in altri che potrebbero esserlo per le stesse ragioni di permeabilità l'accertamento antimafia venga a essere unicamente soddisfatto attraverso l'iscrizione nelle white list, realizzando in tal modo il passaggio da un regime volontaristico a uno obbligatorio. Una scelta di questo tipo verrebbe incontro anche agli auspici di una parte significativa dell'imprenditoria italiana stessa.
In fieri uno strumento, peraltro molto atteso, è senz'altro la Banca dati della documentazione antimafia. Lo schema del Regolamento di funzionamento concordato con le amministrazioni interessate è al vaglio del Garante della privacy, che verosimilmente si esprimerà entro la prima metà di gennaio 2014. L'operatività della nuova piattaforma informatica cambierà il volto degli accertamenti antimafia. Il suo funzionamento, infatti, consentirà al sistema di prevenzione di acquisire un dinamismo finora mai posseduto, in quanto gli accertamenti erano e sono ancora sviluppati secondo metodiche tradizionali.
  Le modifiche a cui è stato sottoposto il sistema della prevenzione antimafia si ispirano al principio di rafforzare il rapporto fiduciario con le imprese sane – le white list sono l'espressione più genuina e diretta di questa linea di indirizzo – e di rendere appetibile e conveniente la scelta di legalità. Tale obiettivo, che sollecita il mondo delle imprese a recuperare capacità competitiva secondo regole di sana concorrenza, è da considerare complementare all'altrettanto ambizioso obiettivo di disincentivare, rendendola sconveniente, l'accettazione della negoziazione mafiosa.
  Ulteriori interventi di semplificazione nelle procedure di accertamento antimafia vengono sollecitate da vari settori della produzione e del commercio. Anticipo che l'attenzione verso queste stanze ha portato gli uffici del Ministero dell'interno e quelli del Ministro Gianpiero D'Alia alla messa a punto di un pacchetto di ulteriori misure di intervento sul libro II del Codice antimafia che saranno sottoposte a breve all'attenzione del Consiglio dei ministri.
  In conclusione, le organizzazioni criminali restano uno dei principali fattori di sottosviluppo del Mezzogiorno e la più grave minaccia alla libertà economica che sia rivolta alle aree produttive del Paese.
  Nonostante il progressivo affinamento delle loro attività abbia consentito alle mafie di proiettarsi con successo nello spazio immateriale degli scambi finanziari e delle relazioni di affari, il tratto che le contraddistingue da ogni altro sodalizio criminale resta tuttora legato al controllo fisico del territorio, da cui derivano potere e prestigio. Ne sono testimonianza le più recenti evidenze che documentano come figure considerate carismatiche e quasi oracolari anche dalla latitanza riescano a impartire disposizioni precise che riguardano perfino le relazioni interpersonali degli affiliati.
  Come ho ricordato, lo sforzo degli apparati repressivi dello Stato ha prodotto finora risultati eccellenti in termini di aggressione ai capitali e anche nella disarticolazione dei vari gruppi criminali. L'attività di contrasto spesso si traduce in operazioni che portano a un considerevole numero di arresti. Una brillante operazione, di cui sottolineo come l'esecuzione sia avvenuta con il contributo di tutte e tre le principali forze di polizia e della DIA, Pag. 62ha fatto sì che lo scorso 13 dicembre a Palermo e a Trapani siano state arrestate 30 persone, accusate, tra l'altro, di associazione a delinquere di stampo mafioso, di intestazione fittizia di beni e aziende commessa con l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, nonché di altri reati contro la pubblica amministrazione.
  L'importanza delle misure restrittive è legata anche alla circostanza che esse hanno colpito figure vicinissime al boss Matteo Messina Denaro, tra le quali la sorella e un cugino, figure ritenute capaci di agevolarne il ruolo di comando di cosa nostra anche dalla latitanza. Il vero nodo, infatti, è decapitare i vertici, che, anche nello stato di latitanza, talora protratto per anni, godendo di appoggi logistici e di copertura, riescono a muovere le fila delle organizzazioni criminali e a esercitare ancora con vigore la loro leadership.
  Il dato relativo alla cattura dei latitanti anche per il 2013 conferma sostanzialmente il trend dell'anno precedente. Sono, infatti, 74 quelli assicurati quest'anno alla giustizia. Camorra e ’ndrangheta risultano le organizzazioni più colpite, con l'arresto rispettivamente di 28 e 20 affiliati.
  L'operazione di maggiore rilievo è del 20 settembre scorso. Nel corso di quell'operazione la polizia di Stato, in collaborazione con quella olandese, ha arrestato un elemento apicale della ’ndrangheta, cioè Francesco Nirta, che si era rifugiato nei Paesi Bassi ed era inserito nell'elenco dei latitanti di massima pericolosità.
  L'impegno delle forze dell'ordine e della magistratura prosegue senza tregua e l'intervento presso questa Commissione mi offre l'opportunità di esprimere gratitudine e apprezzamento per il loro operato, condotto anche in condizioni disagiate o difficili, condizioni che è intenzione del Governo affrontare risolutamente anche con l'appoggio e la condivisione del Parlamento.
  Nel chiedervi scusa se mi sono dilungato, vi confesso di avere preferito alla sintesi il tentativo di esaustività. Sono pronto a sottopormi, dunque, alle vostre domande, ribadendo fin d'ora la mia disponibilità a tornare presso questa Commissione in ogni circostanza in cui la Commissione stessa lo ritenesse necessario.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per aver scelto la strada dell'esaustività. Le vostre domande lo aiuteranno a essere anche più esaustivo. Grazie per aver scelto anche di prestare una particolare attenzione, soprattutto nella prima parte del suo intervento, alla presenza delle mafie al Nord. Era, peraltro, questo il significato della nostra presenza oggi qui a Milano.
  Darò prima la parola a un commissario per Gruppo, in base all'ordine con il quale è stato richiesto di intervenire. Poi passeremo agli altri componenti della Commissione che hanno chiesto la parola.

  FRANCESCO D'UVA. Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori. Io suggerirei, se posso permettermi, di raccogliere le domande prima, perché c’è il rischio che per chi vuole fare le domande dopo non ci sia il tempo necessario per la risposta.
  A tal proposito vorrei far notare che questo modus operandi di far parlare uno per Gruppo potrebbe svilire il ruolo degli altri commissari, i quali vorrebbero avere pari opportunità di porre le domande. Le chiedo se sia possibile vagliare quest'altro modus operandi.

  PRESIDENTE. Onorevole D'Uva, se il ministro concorda, anch'io preferirei che fossero formulate all'inizio tutte le domande.
  Sull'ordine degli interventi, invece, è una prassi dell'Aula e anche delle Commissioni, onde evitare che possa parlare un numero maggiore di esponenti di un Gruppo, sacrificando gli altri, fare prima un giro di ciascun Gruppo e poi dare la possibilità di esprimersi a tutti.
  L'esperienza di Reggio Calabria ci insegna che l'audizione del ministro è sempre la parte più importante e che, quindi, si finisce per prolungare i lavori. Visto che il ministro si è reso disponibile a tornare in sede nazionale, naturalmente, io vi prego di usare al massimo la sintesi.Pag. 63
  Prima di dare la parola all'onorevole Giarrusso per il Movimento 5 Stelle, voglio assicurare il ministro che la Commissione antimafia intende dedicare al tema dei beni confiscati una parte importante del proprio lavoro e che, quindi, si sente onorata di poter rappresentare un momento di incontro tra le istituzioni, le associazioni, gli imprenditori e tutti i possibili soggetti che possono aiutarci a fare prima di tutto una valutazione dell'applicazione di una legislazione che il mondo ci invidia, ma che, come emerge anche dalla sua relazione, alla prova dei fatti ha dimostrato anche qualche problema. Essa chiede di essere rivista, anche per valutare l'impatto delle politiche e, quindi, gli interventi che possono essere introdotti anche a legislazione vigente.
  La Commissione antimafia sarà, dunque, ben lieta di rappresentare questo luogo di incontro, di sintesi e di proposta sia al Parlamento, sia al Governo. Di questo la ringraziamo.
  Mi riservo di porre alcune domande anch'io alla fine dei vostri interventi. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Signor ministro, lei certamente sa che la DIA è un ufficio che per il raggiungimento dei propri obiettivi è stato dotato di attribuzioni peculiari e specifiche, che non sono proprie di nessun'altra forza di polizia del nostro Paese. In particolare, la DIA, con la legge istitutiva, che ricordiamo essere nata su impulso di Giovanni Falcone, aveva obiettivi di indagine preventiva e di analisi del fenomeno mafioso che si svolgevano appunto attraverso indagini preventive e intercettazioni preventive.
  A noi risulta, e vorremmo avere lumi su questo punto, che in questo momento le indagini preventive e gli uffici di analisi della DIA siano stati svuotati e siano fermi. Non sono in corso analisi preventive proprio in questo periodo storico così difficile per il nostro Paese. Ne vorremmo sapere le motivazioni e le ragioni.
  Per quanto riguarda la situazione milanese, ben 8 diverse interrogazioni hanno evidenziato un fatto secondo noi estremamente grave, che riguardava la chiusura degli uffici della DIA di Malpensa. Le risposte che sono state fornite dal Governo alle interrogazioni sono state parziali, insufficienti o non rispondenti al vero, purtroppo.
  Vorremmo da lei avere risposte su questo punto, in particolare per quanto riguarda come sia possibile che un membro del Governo – non lei, ma il Sottosegretario Bubbico – possa affermare in Aula e, quindi, al Parlamento che le attività erano limitate al solo scalo interno, quando le attività di questo nucleo della DIA di Malpensa hanno contribuito in maniera importantissima – per citare soltanto alcune operazioni – all'operazione La Cueva e all'operazione Breakfast, che riguarda la ’ndrangheta e ha portato all'identificazione nello scalo di Malpensa di un importantissimo esponente delle cosche.
  L'apporto di questi uffici è stato, altresì, importantissimo per le indagini sulle stragi di Roma, Milano e Firenze. Eppure si viene a dire che essi avevano un ambito operativo locale e che addirittura erano poco operativi.
  La seconda notizia che ci è stata riferita in Parlamento, signor ministro, è che c'erano ragioni economiche per la chiusura di un ufficio che costava 3.500 euro all'anno e che adesso è occupato dall'AISI e costa 4.000 euro l'anno soltanto per le utenze.
  Signor ministro, noi vogliamo sapere – secondo me, sarebbe necessario avviare un'indagine ministeriale in questo senso – chi e perché ha deciso che il capocentro della DIA di Milano, come primo atto del suo insediamento, attuasse la chiusura di questo importantissimo e straordinario ufficio. Inoltre, vogliamo sapere, in particolare, come possa accadere che le relazioni di questo ufficio, secondo notizie date alla stampa dai sindacati, non siano state immesse nel circuito informativo, come previsto dalle disposizioni della DIA stessa e ministeriali. Tali relazioni non sono mai Pag. 64arrivate agli organi giurisdizionali e giacciono negli uffici della DIA di Milano.
  La invitiamo in questo senso a indagare. Presenteremo poi richiesta alla Commissione antimafia di acquisire questi importantissimi documenti. Grazie, signor ministro.

  FRANCO MIRABELLI. Grazie, ministro, per la relazione. Ci ha riferito molte cose che le avremmo chiesto. Faccio tre riflessioni velocissime.
  Io credo che quello economico – l'ha detto anche lei, ministro – rispetto al radicamento della ’ndrangheta e della criminalità organizzata al Nord sia un tema importante. Credo, inoltre, e poi lo verificheremo anche con i magistrati che hanno fatto le inchieste, che in alcune aree, soprattutto in Lombardia e a Milano, ci sia un problema di controllo del territorio e di radicamento in alcuni quartieri, che non va trascurato.
  Al ministro volevo chiedere un punto sul tema dell'economia. Il ministro ha elencato una serie di provvedimenti giusti e di misure che si stanno prendendo per tutelare gli appalti pubblici e il fatto che i soldi pubblici non possano cadere nelle mani di aziende.
  C’è un problema, però, molto grande ormai, di invasività della criminalità organizzata nell'economia privata. Oggi la criminalità organizzata dispone di liquidità in una fase di crisi in cui nessun altro ne dispone. Qui la mafia, la criminalità organizzata e la ’ndrangheta sono invisibili. Si pone un problema di tutela delle aziende, che, come lei stesso diceva prima, rischiano di venire coinvolte e di ritrovarsi con capitali privati e pubblici nello stesso tempo, tanto più che c’è un coinvolgimento di professionisti e colletti bianchi.
  Dal punto di vista normativo volevo capire dal ministro dell'interno se ci possono essere misure da mettere in campo a tutela anche del commercio. Non c’è solo l'edilizia. Ci sono molte aziende che rischiano di essere inquinate dai soldi della criminalità organizzata.
  Passo alla seconda questione, il tema dei rifiuti. Si parla molto della terra dei fuochi, ma io volevo capire dal ministro se c’è un'attenzione rispetto all'utilizzo anche al Nord di molte cave per discariche di rifiuti abusivi. Mi risulta che ci sia stata qualche inchiesta, per esempio a Novara, e che ci siano presenze serie di famiglie legate alla ’ndrangheta o in odore di criminalità che hanno acquisito società che hanno il possesso delle cave e che sono state più volte denunciate. Io credo che questo sia un tema da attenzionare. Ci sono anche molte cave autorizzate che possono essere utilizzate da questi soggetti.
  Affronto la terza questione in modo velocissimo. So che poi altri la riprenderanno. Ministro, lei ci ha detto e noi abbiamo capito che si prendono molto sul serio le minacce che sono state rivolte ai magistrati di Palermo. Alla luce di quello che è successo, e poi ci spiegherà il perché, ci piacerebbe capire se c’è qualcosa che non va nella gestione del 41-bis. Se è possibile fare arrivare dal carcere minacce di questo tenore, è evidente che forse c’è qualcosa che non va. Mi domando anche in questo caso se dal punto di vista normativo non sia possibile intervenire.
  L'ultima questione era l'unica tematica che mancava. Immagino che non potesse esserci tutto nella relazione. Poiché c’è il semestre europeo, che comincia a luglio, e in Commissione ci siamo più volte detti che l'Italia può portare un contributo importante a organizzare e sostenere il contrasto delle mafie, che hanno una dimensione sovranazionale, le chiedo che cosa, dal punto di vista del Ministero dell'interno, al di là di ciò che si sta facendo per Expo, si fa più in generale per costruire misure che consentano di intervenire a livello sovranazionale, almeno in Europa, per contrastare le mafie.

  CLAUDIO FAVA. Grazie, signor ministro. Lei ha detto una cosa che io condivido molto sulla necessità di rendere fruibili e utilizzabili i beni confiscati e fare in modo che l'attività di confisca sia anche il segno di una convenienza alla lotta contro la mafia. Le chiedo se sia possibile modificare la posizione del Governo su un Pag. 65emendamento che abbiamo presentato alla Finanziaria. È una questione di dettaglio, ma a volte anche i dettagli servono a costruire un sentimento condiviso tra Parlamento e Governo su questo versante.
  Noi abbiamo presentato un emendamento che prevede che i veicoli confiscati possano essere attribuiti alle forze di polizia o alle associazioni che lo richiedono senza aspettare i due anni previsti dalla legge. È un emendamento a costo zero, che il Sottosegretario Legnini ha ritenuto, però, di dover rigettare. Noi lo riproporremo in Aula. Sarebbe utile che il Governo, visto che è a costo zero, potesse modificare la propria posizione sull'emendamento 1.34.
  Venendo al tema che adesso ricordava il collega Mirabelli, io ho molto apprezzato la prontezza e la sollecitudine con cui lei ha scelto di essere presente a Palermo in modo non formale, ma sostanziale, dopo le minacce ricevute dai magistrati palermitani. Con la presidente e con altri colleghi, andando a parlare con loro e andando a incontrare, qualche giorno dopo, il procuratore della Repubblica di Trapani e altri magistrati locali, noi abbiamo avuto la sensazione che la loro preoccupazione non riguardasse soltanto cosa nostra. Essi hanno la consapevolezza e la sostanziale certezza che alcune minacce che sono arrivate – non quelle riferibili a Totò Rina, naturalmente – per modalità e contenuto non possano essere riferite direttamente soltanto a cosa nostra, ma facciano pensare che siano accompagnate da una presenza di figure diverse e forse anche riconducibili ad apparati dello Stato.
  Mi chiedo, poiché questo passaggio nella sua relazione non c'era, se, accanto a Totò Riina, a Matteo Messina Denaro e a una presenza più prevedibile e tradizionale di cosa nostra, in questo rilancio di un'offensiva nei confronti degli uffici giudiziari siciliani più esposti, anche il ministro non senta che c’è la preoccupazione di altre presenze.
  Passo alla terza e ultima domanda, molto essenziale, proprio alla luce di quello che lei diceva sulla necessità di utilizzare tutti gli strumenti, tra i quali anche una memoria storica e operativa per la lotta alla mafia su questi territori.
  Matteo Messina Denaro si nasconde quasi certamente nella provincia di Trapani da più di due decenni senza essere catturato. Un funzionario di polizia che ha rappresentato su quel territorio un punto di riferimento investigativo straordinario è il primo dirigente Giuseppe Linares. Linares è stato trasferito a Napoli, ad altro più prestigioso incarico, contro la sua volontà e contro l'opinione del procuratore della Repubblica, del prefetto e di quanti anche alla DDA di Palermo vedevano in lui la punta più avanzata dello Stato nella capacità di catturare Matteo Messina Denaro, anche per l'esperienza e la memoria operativa acquisita.
  Le chiedo se ci può spiegare quale sia la ragione per cui sia stato disposto questo trasferimento. Purtroppo, questo era anche un auspicio nelle intercettazioni che sono state raccolte dagli uffici giudiziari di molti uomini e di molti amici di cosa nostra. In passato, come lei sa, spesso, a proposito del trasferimento auspicato di prefetti, questori e magistrati, tali soggetti mettevano tra i primi che dovessero essere allontanati da Trapani proprio Giuseppe Linares.

  ENRICO BUEMI. Signor ministro, ringraziandola per la sua relazione, pongo alcune domande molto veloci.
  Una mia vecchia suggestione è quella di ritenere che all'interno delle contestazioni No TAV ci siano interessi anche delle organizzazioni mafiose e criminali, in particolare della ’ndrangheta, Avendo io i capelli bianchi, ricordo tutto l’excursus storico della presenza di questa organizzazione fin dalle origini in quella valle. Mi riferisco in particolare alla Val di Susa. Questa questione continua a non emergere. Io ritengo, invece, che ci possano essere influenze forti nella situazione di contestazione all'attività di costruzione dell'alta velocità.
  Passo al secondo tema. Lei ha trattato la questione dei compro oro, ma non quella dei giochi d'azzardo, o forse mi è Pag. 66sfuggito questo aspetto. Mi riferisco alla eventuali infiltrazioni mafiose nelle presenze del gioco d'azzardo legale.
  La terza questione: non ritiene che all'interno delle iniziative di contestazione di queste settimane non ci siano presenze organizzate, dirette o indirette, da parte delle organizzazioni mafiose, le quali, in particolare nel territorio torinese, si sono manifestate anche con atteggiamenti intimidatori caratteristici delle organizzazioni mafiose.
  Da questo punto di vista, è notizia di queste ore che nel comune di Settimo è stata collocata e fatta esplodere una bomba carta nei pressi delle sezioni PD, PSI e Camera del lavoro, in particolare del mio ufficio parlamentare nel territorio di Settimo. Vorrei sapere se ha qualche notizia più precisa sull'argomento, considerato che Settimo è una delle propaggini del triangolo che ha caratterizzato l'azione di contrasto denominata Minotauro e che ha portato allo scioglimento del comune di Leinì e all'arresto anche di protagonisti politici e imprenditoriali della zona.
  Aggiungo una considerazione finale rispetto al mantenimento del valore delle aziende confiscate e all'esigenza che lei ha manifestato, condivisibile sicuramente, di assicurare che il valore imprenditoriale di questa azienda possa essere garantito nel tempo. Mi permetta soltanto di aggiungere una considerazione che deve forse contribuire a un'ulteriore riflessione da parte di tutti noi: non sempre le aziende mafiose confiscate sono in condizione di rimanere in una situazione di mercato non drogato da presenze di denaro liquido e da situazioni di particolare protezione. Grazie.

  DORINA BIANCHI. Signor ministro, la ringrazio per l'esaustiva relazione e anche per la disponibilità di essere insieme alla Commissione antimafia anche dopo quest'audizione.
  Lei ha detto una cosa molto importante parlando della capacità di rendere appetibili comportamenti etici rispetto a comportamenti illegali. Ha detto anche un'altra cosa importante, quella di passare da accertamenti con metodi tradizionali ad accertamenti di tipo informatico.
  Anche a Reggio Calabria noi abbiamo parlato molto delle white list. Molti hanno espresso un giudizio positivo, ma io le pongo una domanda sull'aggiornamento di queste white list e sulla possibilità che ci siano da parte delle aziende cambiamenti societari al loro interno, una volta ottenuto il bollino della white list. Le chiedo anche come rendere obbligatoria l'iscrizione. Come al solito, questa presenza a macchia di leopardo nei vari territori italiani, secondo me, potrebbe essere un problema.
  Non c’è dubbio che soprattutto la ’ndrangheta abbia compiuto un salto nel momento in cui ha iniziato a prendere il mercato degli stupefacenti, avendo una quantità di denaro contante enorme. Soprattutto nel Nord ha adottato una strategia di sostituzione. Si sostituisce, cioè, a imprese sane, cui subentra non più con le estorsioni, ma con l'appropriarsi di aziende commerciali e turistiche sane sul territorio.
  In questo senso essa è venuta sempre più a contatto con la politica. Rifacendomi anche alla domanda del collega, quanto la ’ndrangheta oggi, secondo lei, è presente nel tessuto politico in Lombardia, dove sono stati sciolti i primi comuni per infiltrazioni mafiose ? Quanto è presente nelle amministrazioni pubbliche in questa regione ?

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. Signor ministro, grazie innanzitutto per la relazione veramente esaustiva, della quale credo che noi acquisiremo poi la copia integrale.
  A Milano dovremmo vedere di sfuggire all'adagio secondo il quale pecunia non olet. Rispetto a questo io vorrei chiedere al signor ministro che cosa intende mettere in atto in termini di iniziative e controlli al fine della prevenzione su tutto quello che possa riguardare il sistema bancario e l'intermediazione finanziaria.
  Un altro argomento sul quale la Commissione antimafia vuole spendere molto Pag. 67del suo tempo è l'intensificazione dei controlli sugli ordini professionali, che a Milano credo abbiano una particolare rilevanza.
  Come secondo punto, in relazione alla questione inerente le rivelazioni di Totò Riina noi abbiamo già ascoltato il ministro della giustizia e il procuratore nazionale antimafia. Il ministro dell'interno ci può dire qualcosa di più sul metodo che viene utilizzato per l'acquisizione delle informazioni che derivano da persone sottoposte al 41-bis ?

  GIUSEPPE LUMIA. Ministro, nelle passate audizioni qui sulla presenza delle mafie in Lombardia, il che un po’ vale per tutto il Nord, ci sono state dette da parte della procura di Milano due cose chiare.
  La prima cosa chiara è che le vittime non hanno collaborato. Citando testualmente, la loro collaborazione è stata «pressoché inesistente». Ci troviamo, quindi, nella paradossale situazione per cui due soggetti oggi collaboratori dicono di aver ricevuto cospicue somme di denaro da determinati imprenditori, che continuano pervicacemente a negare di aver mai pagato mazzette. I magistrati hanno dovuto inquisire per favoreggiamento per ottenere testimonianze in tal senso.
  Ci hanno riferito poi un'altra cosa, forse ancora più grave. Anche in questo caso cito il contributo che la Commissione ha potuto acquisire con l'operazione Crimine infinito. Ci sono casi in cui esponenti delle istituzioni, della società civile, delle professioni e delle imprese ricercano il rapporto con le mafie. Non sono costretti, cioè, a pagare il pizzo, bensì c’è una loro richiesta verso le mafie di entrare in relazione.
  Sollevo questi due casi per porle la domanda se non sia il tempo dell'istituzione per legge della denuncia obbligatoria delle richieste estorsive, per evitare che questo processo sia affidato alla libera volontà, alla luce dell'esperienza che hanno fatto le associazioni antiracket e la stessa Confindustria.
  La seconda domanda che le volevo fare è se lei intende finalmente attuare la legge n. 310 del 12 agosto del 1993 che rende obbligatorio per i notai e i segretari comunali comunicare tutti i trasferimenti di proprietà. Le è accanto un prefetto di prim'ordine. Io penso che sarebbe il caso di applicare questa legge, perché ci darebbe, soprattutto al Nord, quando arrivano imprese e professionisti che vengono per riciclare, informazioni sul vero andamento, soprattutto nel settore privato, come prima veniva richiesto, in modo tale da fare una vera prevenzione.
  Infine, le è stato chiesto della minaccia ai magistrati. Io le volevo chiedere, ministro, se è in condizioni di offrire alla Commissione una sua valutazione, magari dietro l'inchiesta, sulla presenza degli apparati nei rapporti con cosa nostra. Noi abbiamo una continua presenza di massoneria e di apparati. Chiedo se sia possibile, attraverso una lettura interna che poi potrà fornire alla Commissione, smontare questa presenza.
  Su Matteo Messina Denaro, su Riina, su tanti fatti anche qui al Nord questa doppia presenza fa sempre capolino. Anch'io ho apprezzato l'attenzione che lei ha avuto nei confronti di questa nuova minaccia e le chiedo se sia in condizione di arrivare a intervenire prima, e non dopo, come storicamente, ahimè, abbiamo sempre fatto nel nostro Stato.

  FRANCESCO D'UVA. Molto brevemente, signor ministro, noi siamo tornati dalla missione a Reggio Calabria un po’ turbati riguardo al commissariamento del comune. Lei ha citato anche lo scioglimento dei comuni. I commissari non ci sono sembrati particolarmente esaustivi quando abbiamo chiesto loro che cosa avessero fatto riguardo ai dirigenti e ai dipendenti del comune. Sono stati molto efficaci riguardo alla classe politica – non ci sono dubbi, non è molto difficile – ma non sono andati particolarmente a fondo riguardo ai dipendenti. Volevo sapere che cosa si può fare al riguardo.
  Lo dico senza alcuna polemica. Effettivamente lei stesso ha affermato che dobbiamo andare a tagliare i vertici, così come ha sostenuto poco fa che tutto parte da Pag. 68Reggio Calabria. Riuscire perlomeno a fare pulizia nel comune di Reggio Calabria potrebbe essere particolarmente importante.
  Pongo una seconda domanda molto veloce. La mafia si infiltra ovunque. In una relazione, per quanto esplicativa, non pretendevo che se ne parlasse. Chiedo, però, se avete fatto uno studio o se avete affrontato la questione della criminalità organizzata infiltrata nello sport, nel mondo del calcio in particolare, perché il tema è collegato anche al gioco d'azzardo.

  MARCO DI LELLO. Pongo due domande secche. Lei ha convenuto sulle criticità dell'Agenzia dei beni confiscati. In che tempi immagina il ministro di intervenire ?
  Venerdì scorso il procuratore aggiunto di Napoli ci ha un po’ messo in guardia contro il rischio che si possano cementare sotto un'unica voce di protesta, un fiume in piena, camorra e dipendenti delle società miste. Ho visto che c’è anche una bocciatura sugli emendamenti degli LSU che riguardano Napoli e Palermo. Chiedo se non ci sia una preoccupazione di ordine pubblico in questa direzione.

  GIULIA SARTI. Ministro, tutti conveniamo sul fatto che la ’ndrangheta ha ormai assunto dimensioni sovranazionali, che vanno ben oltre i confini italiani. Sappiamo che ci sono insediamenti di locali in Germania, in Svizzera, in Canada. Lei citava prima il coordinamento che c’è stato tra le nostre forze di polizia e quelle olandesi. Io le chiedo anche che tipo di coordinamento c’è tra i nostri reparti investigativi e quelli degli Stati che ho citato.
  Inoltre, le chiedo se lei ritiene adeguata la disciplina che abbiamo attualmente riguardo alle rogatorie internazionali o se, a suo parere, sia necessaria una revisione per facilitare maggiormente il lavoro dei nostri magistrati.
  Io penso che la scorsa settimana sia successo un fatto gravissimo: il fatto che un magistrato non possa presenziare all'udienza del processo in cui sta svolgendo la pubblica accusa, come è successo a Nino Di Matteo con l'udienza che si è svolta proprio qui a Milano, è gravissimo. Non si è riusciti ad assicurare in quel caso la giusta e dovuta protezione, che non può essere fornita attraverso la disposizione e l'utilizzo di simil-carrarmati, ma attraverso altre misure.
  Lei ha parlato di un livello massimo di protezione che è stato assicurato a lui e ad altri magistrati. Io, però, le chiedo se attualmente la scorta di Nino Di Matteo sia dotata del dispositivo jammer e, se non è stata ancora dotata di questo dispositivo, se ci può indicare una data certa per capire quando potrà essa disposto il suo utilizzo.
  Chiedo, inoltre, se questo dispositivo jammer, tanto citato in questo periodo, sia utilizzato anche per la protezione di altre personalità pubbliche nel nostro Paese o se sia mai stato utilizzato per la protezione di altre personalità pubbliche.
  Infine, sappiamo, e lo dicevamo prima, di informazioni che girano all'interno delle carceri, soprattutto per i detenuti in regime di 41-bis. Questa domanda è stata posta anche la scorsa settimana al Ministro Cancellieri. Lei è stato ministro della giustizia e, quindi, probabilmente ci sa fornire qualche informazione in più.
  Noi sappiamo esistere un protocollo, che in passato si chiamava protocollo Farfalla – in realtà, ne è stato stipulato un altro proprio quando lei era ministro della giustizia – che fa in modo che le informazioni che passano all'interno delle carceri per i detenuti a regime di 41-bis vengano fatte pervenire dal DAP direttamente ai servizi, su loro richiesta, senza il passaggio obbligato all'autorità giudiziaria. Io le chiedo se lei ha conoscenza di questo protocollo e dei legami che ci sono tra DAP e servizi, se questo protocollo è stato applicato e, se sì, a chi è stato applicato in tutti questi anni.
  Infine, aggiungo una curiosità personale. Quattro anni fa – le chiedo scusa, presidente, ma ci tenevo veramente a fare quest'ultima domanda – noi ci siamo incontrati per la prima volta. Lei non si ricorderà, ma io sono stata portata via di Pag. 69peso dagli agenti della DIGOS perché tentavo di porle una semplice domanda: che cosa ci faceva lei nel 1996 al matrimonio della figlia di Croce Napoli, boss mafioso di Palma di Montichiari. Lei ha chiarito in passato che era a quel matrimonio senza conoscere l'identità di questo boss. Conosceva semplicemente lo sposo, a cui aveva perfino fatto un regalo di nozze.
  Mi era venuta questa curiosità: quando si va al matrimonio di uno sposo, di solito ci si informa anche su chi è la sposa, soprattutto quando si tratta di un amico. Vorrei sapere oggi lei in che rapporti è con Gabriella Napoli e con il marito Francesco Provenzani.

  LUCREZIA RICCHIUTI. Per quanto riguarda il traffico illecito di rifiuti, dai dati del NOE, dovrebbero esserci 430 carabinieri al NOE. Sono 400 in tutto e 80 sono negli uffici di Roma. Abbiamo una media di 11 militari a nucleo e i nuclei sono 29 su tutto il territorio. Ci sono regioni come il Lazio, l'Emilia-Romagna, l'Abruzzo, la Liguria, la Basilicata, le Marche, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia che hanno un nucleo per regione. Mi sembrano numeri veramente insufficienti per fare una seria lotta contro i crimini ambientali. Le domando se non pensa che andrebbero rafforzati. Questi erano probabilmente numeri che andavano bene anni fa. Oggi, con quello che sta succedendo a livello ambientale, io credo che vadano incrementati.
  Mi riallaccio ora alla domanda che aveva fatto anche il mio collega Mirabelli sul controllo delle cave. C’è una direttiva proprio del suo ministero che chiedeva alla DIA di fare alcuni controlli sulle cave. Io ho visto nella relazione della DIA, nell'ultima, che praticamente al Nord in un anno sono state fatte due verifiche su due cave in Liguria. Nelle altre regioni del Nord non ne è stata fatta nessuna. In totale sono state fatte 30 verifiche in un anno. Credo che anche queste siano insufficienti rispetto al problema che è stato sollevato sempre sui rifiuti.
  Un'altra domanda che le volevo porre riguarda la prevenzione e il contrasto del riciclaggio di denaro e di altri beni frutto del crimine. L'Unità di informazione finanziaria presso la Banca d'Italia ci segnala che non ha accesso a tutte le banche dati e che andrebbe prevista la possibilità di accedere a tutte le informazioni utili per le esigenze dell'analisi, come previsto, d'altronde, dalla raccomandazione del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI) istituito presso l'OSCE. Anche qui noi siamo carenti. In sostanza non abbiamo accesso a tutte le banche dati per fare un serio controllo sul riciclaggio di denaro e di altri beni frutto del crimine.
  Rispetto al Nord e alle mafie al Nord, c’è comunque un'incapacità da parte della magistratura e anche delle forze dell'ordine di riconoscere il fenomeno mafioso in Lombardia, per ragioni sicuramente culturali, ma anche perché le mafie si sono talmente radicate nel territorio e hanno costruito relazioni sociali tali, inserendosi anche nel tessuto economico, che, se non si hanno una base culturale e una conoscenza del fenomeno, difficilmente si riesce, anche da parte della magistratura e delle forze dell'ordine, a riconoscere questa pervasività delle mafie.
  D'altronde, abbiamo visto anche alcune sentenze della Cassazione che ci dicevano che in sostanza i magistrati, nel fare i processi, non erano stati capaci di riconoscere il 416-bis. Anche su questo credo che bisognerebbe fare un'azione forte rispetto alla carenza che esiste.
  L'ultima cosa che volevo dire riguarda le white list e gli appalti pubblici. Io credo che ci sia un grosso problema anche nei Piani attuativi. Quando un comune fa un Piano attuativo, poiché vengono costruite opere di urbanizzazione che comunque riguardano il pubblico, spesso e volentieri si trova di fronte persone che non conosce. Ci sono alcuni comuni che hanno chiesto alla prefettura di avere i certificati antimafia anche di coloro che realizzano queste opere di urbanizzazione, ma i prefetti non le rilasciano perché non sono obbligati a farlo e, quindi, non offrono ai comuni la possibilità di fare questi controlli.Pag. 70
  Non so se si possa rendere questo obbligatorio, ma sarebbe utile che lei intervenisse sui prefetti perché i quei comuni che chiedono queste certificazioni antimafia riescano ad averle. È a loro tutela. Sappiamo che in questi territori le mafie non operano solo negli appalti pubblici, ma anche nel privato.

  PRESIDENTE. Colleghi, anch'io avrei da aggiungere un paio di domande al ministro. In particolare, oltre all'emendamento sulle auto confiscate, abbiamo presentato anche altri due emendamenti sull'estensione dei benefici per le vittime di mafia ad altre categorie di vittime, nonché sul finanziamento per la possibilità di svolgere da parte delle vittime di mafia le 150 ore nelle scuole dove vanno a spiegare ai giovani, e non solo, che cos’è la mafia e come la si combatte. Poiché le loro testimonianze sono più efficaci forse di qualche lezione, io chiederei al ministro di prestare una particolare attenzione al tema. Questi emendamenti non sono costosi, ma sono molto richiesti dalle associazioni e accoglierli sarebbe un bel segnale.
  So di aggiungere anch'io tempo al tempo, ma nel movimento dei forconi c’è il rischio di infiltrazioni di tipo mafioso ?
  Come ultima questione, chiedo se il ministro se pensa che possiamo lavorare all'inserimento del reato di autoriciclaggio. Il primo scambio che abbiamo avuto in questa Commissione illustrando il programma ha trovato un consenso piuttosto diffuso all'interno della Commissione stessa.
  Le domande sono molte. Il ministro avrà sicuramente questa capacità di sintesi. Se nelle risposte c’è bisogno di ricorrere alla secretazione, ovviamente ce lo dirà e noi procederemo.
  Io credo che, vista la vastità dei temi che abbiamo toccato e anche la particolarità di alcune domande che avete rivolto al ministro, già da adesso possiamo autorizzare un'ulteriore audizione in Commissione, in modo che, se il ministro dovesse avere la necessità di approfondimento e di conoscenza di dati, possa offrirci le risposte in altra sede.
  Do la parola al Ministro Alfano per la replica.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Vi sono numerose domande che potremmo definire de iure condendo e, quindi, in prospettiva, legate a un'iniziativa legislativa del Governo e/o del Parlamento. Su questo secondo ambito io chiederei uno specifico approfondimento in un'apposita seduta, perché su tutto il corpus del possibile intervento normativo vi sarebbe da sviluppare un dibattito non per slogan, ma entrando nel merito. Faccio riferimento a interventi che rendano più efficace la funzionalità dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati e a proposte riguardo ulteriori normative da mettere in campo, tra cui quella che citava Mirabelli a favore del commercio. Faccio riferimento anche a quanto diceva il Presidente Bindi sull'autoriciclaggio, così come a valutazioni sull'efficacia ultima del 41-bis e ad altre proposte di natura normativa. Per esempio, mi chiedeva la collega Sarti delle rogatorie internazionali e dell'efficacia di natura legislativa.
  Io me ne occuperò con mezzi miei, avendo preso appunti e avendo a disposizione poi lo stenografico e tutta l'assistenza del caso. Mi occorre, però, un indice delle questioni normative che sono state aperte. Mi sembra un ragionamento che, se costruito bene, può portare, come accaduto nel corso della legislatura precedente, a una serie di interventi anche piuttosto organici.
  Del resto, la scelta che fu compiuta di procedere a una sorta di summa che fosse travasata nel Codice antimafia ebbe come ratio proprio quella di avere un testo sul quale intervenire direttamente, al fine di rendere più efficace, a mano a mano che le esigenze storiche, col passare degli anni, lo avessero suggerito, la legislazione antimafia.
  Credo sia giovamento sia del Governo, sia della Commissione prendere un indice delle questioni aperte di natura legislativa Pag. 71e avviare un confronto con il Governo. Per la parte di mia competenza c’è certamente, ma non dubito che anche per la parte di competenza del ministro della giustizia tale disponibilità sia assolutamente evidente. Su ciascuna delle questioni aperte ci sarebbe a lungo da discutere. Non mi pare corretto, rispetto alla serietà di questi lavori e a come si è sviluppata fin qui, di procedere per spot. Fermo rimanendo che su ciascuna di queste tematiche avrei una frase spot da utilizzare, non mi sembra il caso.

  PRESIDENTE. Nella prossima audizione faremo precedere le domande. Faremo la sintesi delle richieste di questa e, quindi, avremo una possibilità di un confronto maggiore.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Mi riferisco alla materia che implica una valutazione normativa più che fattuale.

  PRESIDENTE. Ne approfitto subito per interloquire. Io credo che, se tra la Commissione antimafia e il Governo si apre un confronto sulle modifiche legislative che riguardano tutto il tema della lotta alla mafia, facciamo insieme un ottimo lavoro. Se dovessimo procedere separatamente o a pezzi separati dagli altri, credo che non porteremmo a casa il risultato che, invece, io ritengo che in questa legislatura possiamo raggiungere insieme.
  Siamo, dunque, molto lieti di questa sua disponibilità.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Grazie. Passo dall'ipotesi di diritto al fatto.
  Onorevole Giarrusso, per quanto riguarda la vicenda della DIA farò una ricognizione molto puntuale e specifica e le farò avere nel corso della prossima audizione una risposta precisa.
  Mi gioverò poi dei canali di cui si può giovare il ministro dell'interno, nel rispetto del segreto istruttorio, per rispondere al collega Mirabelli e alla collega Ricchiuti relativamente al tema cave in Lombardia, uso del suolo in Lombardia e possibili penetrazioni di organizzazioni criminali in questo ambito. In ogni circostanza in cui abbia modo di riscontrare ciò vi riferirà. Se avrò modo di riscontrare queste situazioni, lo dirò, ma debbo lavorarci su e conoscere bene le evidenze e le risultanze.
  Sugli emendamenti governativi, che riguardano l'aspetto normativo, ma sono urgenti e, che quindi, non possono attendere la prossima seduta, andando via di qui me ne occuperò immediatamente.
  Entrerò anche, per quanto riguarda il mio possibile parere o la mia possibile opinione, nel merito delle tre proposte che sono state sottolineate dal Vicepresidente Fava e dal Presidente Bindi. Uscendo da qui me ne occuperò immediatamente e a nome del Governo certamente porterò in sede di pareri la particolare attenzione di una Commissione che mi sembra unanime, dalle annuizioni che vedo, nel sostenere questi emendamenti.
  All'onorevole Fava, relativamente alla risposta sulla destinazione ad altro e più prestigioso incarico del dottor Linares, mi permetterò di rispondere nella seduta successiva.
  Per quanto riguarda tutta la questione che investe la vicenda dei magistrati di Palermo, quello che mi sento di rispondere a tutti coloro i quali me l'hanno chiesto è che noi abbiamo attivato un metodo – me l'hanno chiesto numerosi colleghi – e una procedura (non c’è bisogno di segretazione perché io dica questo) che parte da un duplice presupposto.
  Uno è il controllo del territorio, il controllo degli spostamenti e il controllo efficace, anche attraverso una modalità di intervento sulla fisicità della regione siciliana, relativo alle strade e a tutte le linee di comunicazione interna. Si tratta di una procedura che il Dipartimento di pubblica sicurezza ha predisposto in primo luogo per mano del Vicecapo della polizia, il prefetto Cirillo, e che è stata sottoposta all'attenzione dei magistrati di Palermo. Non la illustro perché è molto dettagliata e logistica, ma in altra circostanza e in altra sede, con modalità più riservate o segretate, sarebbe ben illustrabile e non ci Pag. 72sarebbero problemi. Di certo c’è che mi pare abbia ricevuto una forma di apprezzamento durante il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica che si è svolto a Palermo. Questo è un elemento.
  L'altro elemento è un rapporto bilaterale con i singoli magistrati, oltre che con gli uffici giudiziari, per entrare molto nel merito delle esigenze, che devono essere – permettetemi l'inglesismo – tailor-made, cioè molto ritagliate al profilo, alla personalità e allo stile di vita del singolo magistrato.
  Senza entrare in ulteriori dettagli, il punto è stato il seguente: non poniamo assolutamente limiti all'uso dei mezzi dello Stato per la protezione dei magistrati. Ogni mezzo a disposizione dello Stato deve essere utilizzato per proteggere i magistrati.
  Riguardo al mezzo elettronico cui faceva riferimento l'onorevole Sarti noi l'abbiamo già reso disponibile, salva un'accurata verifica tecnica. Essendo dotato di una forte potenza elettromagnetica, può produrre effetti collaterali molto significativi alla salute e, quindi, è assolutamente da studiare. Secondo le informazioni in mio possesso in un ristrettissimo lasso di tempo saremo in grado di fornire una risposta.
  Per non sottrarmi a nessuna delle domande che erano sono state sottoposte dall'onorevole Sarti preciso che questa è un'apparecchiatura certamente utilizzata nei teatri di guerra, dove le zone frequentemente desertiche consentono di limitare al minimo i danni degli effetti collaterali. È altrettanto certo che un uso di questi dispositivi è stato già fatto anche in zone civili, ma il tema che si pone in riferimento alla protezione dei magistrati è che questo diventa un uso continuativo e durevole, non per un'azione, ma durevole e permanente. È questo lo studio che si sta effettuando e che credo si concluderà presto. Non posso dire l'ora o il giorno, ma mi sento di dire che si concluderà in un ristrettissimo lasso di tempo, certamente nei prossimi giorni.
  Vado avanti nel tentare di rispondere a tutte le domande e completo con l'onorevole Sarti. Sulla domanda gentile di natura personale che mi ha rivolto non ho nulla da aggiungere oltre a ciò che ho detto e anche scritto in forma, peraltro, non sintetica e, quindi, piuttosto diffusa.
  Sul punto del movimento dei forconi che mi poneva l'onorevole Bindi noi non abbiamo «ancora» – vorrei dirlo due o tre volte; considerate questo «ancora» ripetuto – evidenze di infiltrazioni chiare. Non abbiamo evidenze, ma siamo ovviamente attentissimi a ogni elemento e a ogni sfumatura di comportamento, di relazioni e di sistemi di relazioni che ci possano segnalare eventuali infiltrazioni.
  L'onorevole Buemi mi aveva posto alcune domande molto di dettaglio. Mi riferisco a Settimo Torinese e anche ai pericoli di infiltrazioni relative ad alcuni luoghi. Mi premurerò di far avere una risposta precisa nel corso della successiva audizione.
  Il tema delle white list che mi è stato posto dall'onorevole Bianchi investe a sua volta un aspetto normativo che io inserirei nella discussione che ci sarà all'interno della Commissione.
  L'onorevole Bianchi poneva una domanda circa l'infiltrazione della ’ndrangheta nelle zone della Lombardia. Su alcuni aspetti ho già risposto, su altri ci sono inchieste in corso, ma dalle evidenze di alcune inchieste che io ho citato, facendo anche il nome che a tali inchieste è stato attribuito dalla magistratura, nel corso della mia relazione è emerso che si sono avute tracce non solo in Lombardia.
  Passo al tema dei giochi d'azzardo. Quella del gioco d'azzardo è una questione che investe la circolazione del denaro liquido. Questo mi porta a sfiorare il tema del riciclaggio. Noi siamo intervenuti anche in concerto con la magistratura antimafia nel corso della scorsa legislatura, come Governo e come Parlamento, relativamente al money transfer, che non c'entra col gioco d'azzardo, ma rientra nell'ambito più generale dell'uso del denaro liquido.
  Per quanto riguarda il gioco d'azzardo, farò avere una relazione più precisa relativa Pag. 73all'incidenza o alla possibile penetrazione nell'ambito del gioco d'azzardo da parte di organizzazioni criminali.
  Mi è stata posta anche la domanda sulle professioni. Per quanto riguarda le professioni, io personalmente, essendo di cultura fortemente sussidiaria e credendo molto nella sussidiarietà, ritengo che un elemento fondamentale sia, soprattutto per quanto riguarda quelle ordinistiche prevista dalla Costituzione, un'elevazione dei controlli interni. Mi risulta, però, che la grande parte degli ordini professionali sia molto attenta a questo tema e sia già dotata, o in fase di dotazione, di severe norme autodisciplinari o di predisposizione di codici etici.
  Questo, però, non toglie la migliorabilità del sistema. Ringrazio la Commissione attraverso il commissario che mi ha fornito lo spunto. Questa potrebbe essere l'occasione per un incontro con le professioni o con Confprofessioni relativamente alla possibile – ripeto, io sono uno che crede molto nell'autonomia degli ordini – linea di condotta unitaria, o comunque a uno standard omogeneo relativo ai livelli di autodisciplina interna e di autoregolamentazione sulle questioni che attengano alla trasparenza dei singoli iscritti alle professioni ordinistiche.
  Con un meccanismo che credo non verrà difficile applicare agli uffici della Commissione per aiutare me e per far sì che nulla venga sottratto alla mia risposta chiederei poi agli uffici della Commissione se, trascrivendo quello che ho detto e facendo il paragone con le domande che mi sono state fatte, posso ricevere l'elenco dei quesiti inevasi, in modo tale che possa rispondere a tutto.
  Su Reggio Calabria e i funzionari, per essere chiaro con l'onorevole D'Uva, io non ho letto i resoconti della Commissione antimafia a Reggio Calabria. Mi mancano proprio gli elementi presupposti per potere rispondere. Quando gli uffici mi faranno avere...

  PRESIDENTE. Abbiamo già chiesto una relazione ai commissari sul personale.

  CLAUDIO FAVA. Signor ministro, mi perdoni, ma c'era una domanda sugli apparati. Parlo della preoccupazione dei magistrati che dietro le minacce non ci sia solo cosa nostra, sia a Trapani, sia a Palermo.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Io mi ero riservato di rispondere in seguito su questa domanda, non per dimenticanza, ma per un atto di riguardo nei confronti della Commissione. Anche il senatore Lumia e altri me l'avevano posta. Per essere molto concreti, il ministro dell'interno non deve e non può conoscere le risultanze di indagine coperte da segreto istruttorio. Tutto ciò che è oltre il segreto istruttorio attiene a un'analisi eminentemente politica, certamente informata, come sono informati i membri della Commissione e come può essere informato il ministro di ciò di cui in linea di massima è informata l'opinione pubblica.
  Credo sia a quel livello che va spostata la discussione, ossia a una discussione che investe un dibattito politico. Non ho elementi concreti che mi derivino da un flusso di informazioni pubbliche e pubblicizzabili, né ovviamente private, in quanto sono coperte da segreto istruttorio, che mi possano consentire di fornire una risposta istituzionalmente corretta e concreta a questa Commissione.
  Da ministro non sento di potere riferire notizie che abbiano un loro aggancio con una solida, concreta e verificata realtà.

  CLAUDIO FAVA. Su questo siamo d'accordo. Infatti, nessuno proponeva un dibattito. Noi riportavamo preoccupazioni che ci hanno espresso i magistrati. I magistrati per primi sono convinti che non ci sia solo cosa nostra.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Secondo me, su questi temi occorrerà anche confrontarsi con la magistratura per capire in concreto quali siano gli elementi presupposti dell'analisi.

  PRESIDENTE. Senatore Di Maggio, se non è proprio essenziale...

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  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. A Di Maggio ho risposto sugli ordini professionali. Mi chiedeva anche dei controlli sul sistema bancario.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. Al di là di quelle che possono essere questioni normative, su questioni fattuali, sulle quali lei, invece, ci ha richiamato, vista l'attinenza e la drammaticità dei fatti, io le ho chiesto se fosse possibile sapere quali sono i metodi attraverso i quali noi abbiamo le notizie che abbiamo. Oggi siamo a disposizione di una serie di notizie. Peraltro, la stampa ci ha altrettanto informato che i procuratori della Repubblica, apprese queste notizie, si sono recati dal ministro dell'interno per relazionare. La mia domanda è esattamente questa.
  Ci sono una serie di contraddizioni, signor ministro. Io vorrei capire chi e come acquisisce le dichiarazioni di Riina.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Questo è un aspetto connesso ad alcune domande a cui fornirò in seguito una risposta, che vi assicuro sarà molto precisa e puntuale. La sua domanda si connette con quella dell'onorevole Sarti e con quella del senatore Lumia, ma fa parte di un ragionamento e di un discorso concreto e organico che farò la prossima volta. Per essere precisi, mi riferisco al protocollo Farfalla e alla tracciabilità pubblica delle informazioni che dal carcere arrivano all'opinione pubblica transitando per i brogliacci dei magistrati e delle intercettazioni.
  Io credo che questo sia un punto davvero molto importante, sul quale alla mia prossima audizione fornirò una risposta puntuale e precisa, perché va trattato con grande precisione.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Presidente, un minuto solo su Malpensa, di cui il ministro non ha parlato. In via collaborativa...

  PRESIDENTE. Ha detto che riferirà.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Solo in via collaborativa, vorrei evidenziare ulteriormente la gravità della situazione. I sindacati hanno evidenziato un fatto enorme. Avendo la competenza trasferita a Fiumicino, le richieste che arrivano dalla magistratura vengono inoltrate agli uffici di polizia di Malpensa per iscritto e lì sono affisse nelle bacheche, a vista.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Questo è un fatto nuovo.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Lo riferisco in via collaborativa. Possiamo anche evitare, però, di divulgare ulteriormente questo dettaglio.

  PRESIDENTE. C'era un unico modo per evitare di divulgarlo, senatore Giarrusso, se mi consente. Va bene, grazie. Quando il presidente non ridà la parola, forse bisognerebbe anche capire l'opportunità.
  Io vi propongo un percorso. Chiederei al Vicepresidente Fava di iniziare l'audizione del prefetto. Accompagnerei, invece, il ministro per un punto stampa.
  Ci tengo a dire, però, qui in Commissione e alla presenza del ministro, che domani mattina proporrei alla Commissione di recarci insieme al Cimitero monumentale di Milano per rendere omaggio alla tomba di Lea Garofalo. Uno dei motivi per i quali abbiamo scelto prima Reggio Calabria e poi Milano era quello di seguire il percorso di una donna che è stata vittima per aver rotto la complicità e l'omertà mafiosa. Domani mattina, quindi, ci recheremo al Cimitero monumentale per portare tutti insieme un omaggio alla memoria di questa donna straordinaria.
  Grazie, ministro. A gennaio ci rivedremo e in quell'occasione completeremo il lavoro che credo da questa mattina possiamo affermare essere molto proficuo e importante. Grazie a tutti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.15.