XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 19 novembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

Audizione del Capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Angela Pria:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 2 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 7 
Ravetto Laura , Presidente ... 9 
Mazzoni Riccardo  ... 9 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 9 
Frusone Luca (M5S)  ... 10 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 11 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 11 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 11 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 11 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 12 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 12 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 12 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 12 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 12 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Arrigoni Paolo  ... 13 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 14 
Arrigoni Paolo  ... 14 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 14 
Arrigoni Paolo  ... 14 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 14 
Fauttilli Federico (SCpI)  ... 14 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 15 
Mazzoni Riccardo  ... 16 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 16 
Mazzoni Riccardo  ... 16 
Pria Angela , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 16 
Ravetto Laura , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 11.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Angela Pria.

  PRESIDENTE. Oggi il Comitato è convocato per l'audizione del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, presso il Ministero dell'interno, prefetto Angela Pria.
  Ringrazio i colleghi del Comitato, presenti in buon numero.
  Abbiamo chiamato il prefetto perché per noi è un’opinion leader di grande rilevanza. Sappiamo che da anni si occupa della materia. Naturalmente, dovremo avviare un'apposita indagine conoscitiva, che si concluderà con un documento. Vogliamo, quindi, prima sentire gli interlocutori istituzionali di riferimento, come sempre avvenuto all'avvio dei lavori del Comitato. Inoltre, è necessario non soltanto conoscervi, ma anche avere dati aggiornati. Il prefetto ci ha reso disponibile un dossier, che non ho ancora avuto modo di leggere, relativo alla questione del diritto d'asilo. La segreteria del nostro Comitato ha elaborato un proprio dossier, che è stato distribuito ai colleghi, relativo alle competenze e ai temi d'interesse del Comitato.
  Da lei, però, prefetto, vorremmo avere anche dati aggiornati. Abbiamo già avuto incontri in cui ci sono state poste delle domande, come ha fatto una delegazione parlamentare russa, e a noi mancavano dati aggiornati sulla gestione dei flussi, sulle presenze sul nostro territorio, sulla situazione dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei. Vorremmo che ci spiegasse come funzionano i dispositivi non solo di gestione, ma anche di controllo. Ci siamo già interrogati sulle tempistiche e le modalità. Non voglio citare esempi troppo specifici, ma vorrei domandare: come funzionano i tempi relativi alle domande d'asilo ? Quando si pongono, invece, le condizioni per un rimpatrio ? Cosa succede in quella fase di attività ?
  Gradiremmo anche avere indicazioni sulla distribuzione territoriale nei vari centri di accoglienza e su come essi sono gestiti. Peraltro, probabilmente questo Comitato avrà anche un compito di indagine e di presa di posizione sull'evoluzione normativa, quindi, oltre ai dati relativi al diritto d'asilo e al flusso di immigrazione, le chiederei qual è la riflessione che si sta conducendo, quali le sue osservazioni in base alla sua esperienza, quali gli elementi critici.
  Prima di dare la parola al prefetto Pria per la sua relazione, voglio salutare la dottoressa Carmelita Ammendola, capo dell'ufficio relazioni esterne del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Non è la prima interlocuzione Pag. 3con questo Comitato. Nella scorsa legislatura, il Comitato Schengen ci ha audito tante volte, credo anche con soddisfazione da parte del Comitato stesso. Abbiamo sempre fatto avere, dopo ogni audizione, un documento riepilogativo delle indicazioni esposte a voce.
  Cominciando proprio dal diritto d'asilo e dallo stato della normativa, oggi abbiamo in vigore una serie di disposizioni, a partire dal decreto-legge n. 416 del 1989 convertito in legge nel 1990 (legge n. 39), sulla previsione del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), con l'istituzione del cosiddetto Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo.
  Vi è, inoltre, il Testo unico (decreto legislativo n. 286 del 1998), che all'articolo 19 contiene il principio di non-refoulement, enunciato all'articolo 33 della convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati; il regolamento Dublino II, che determina la competenza dello Stato membro ai fini della presentazione della domanda d'asilo; il confronto delle impronte digitali tramite Eurodac, altro regolamento importante per l'efficace applicazione della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello stato competente per l'esame di una domanda di asilo; il decreto legislativo n. 140 del 2005, di attuazione della cosiddetta direttiva «accoglienza», che definisce le norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo; la direttiva «qualifiche» del 2004, che stabilisce le norme minime ai fini dell'attribuzione della qualifica di rifugiato ai cittadini di Paesi terzi; da ultimo, la direttiva «procedure» n. 25 del 2008, che si occupa del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
  Completa il quadro la protezione temporanea, misura esclusivamente italiana prevista dall'articolo 20 del Testo unico sull'immigrazione, che ha trovato un'applicazione in alcuni casi, dal Kosovo all'emergenza Nord Africa, ma anche quando ci fu lo tsunami in Thailandia e che è la versione nazionale della procedura prevista dalla direttiva n. 55 del 2001 sulle misure minime di protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati, e quindi anche ai fini dell'equilibrio nella presenza per quanto riguarda tutti gli Stati membri. Quella direttiva non ha mai trovato applicazione, anche se nel 2011 provammo a chiedere, durante l'emergenza Nord Africa, che venisse applicata.
  Nell'ambito del Sistema europeo comune di asilo (CEAS) previsto dal programma di Stoccolma, sono stati introdotti anche nuovi strumenti legislativi. Di questi, ricordiamo il regolamento del 2013 che istituisce Eurodac per il confronto delle impronte digitali, entrato in vigore il 19 luglio scorso, ma che si applicherà a decorrere dal 20 luglio 2015; il regolamento n. 604, cosiddetto «Dublino III», che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro responsabile dell'esame della domanda d'asilo, che entrerà in vigore il 1 gennaio 2014; la direttiva n. 95, che reca norme sull'attribuzione ai cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, il cui termine per il recepimento scadrà il 21 dicembre 2013; la direttiva n. 32 del 2013, sulla revoca dello status di protezione internazionale, il cui termine per il recepimento scadrà il 20 luglio 2015; da ultimo, ancora una direttiva «accoglienza», il cui termine per il recepimento scadrà il 20 luglio 2015.
  Nel frattempo, con la legge di delegazione europea n. 96 del 2013 è stata già data attuazione ad alcune direttive a cui mi riferivo, in particolare riguardo all'applicazione del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ai titolari di protezione internazionale. La bozza di decreto è stata approvata in via preliminare il 9 ottobre scorso dal Consiglio dei ministri ed è attualmente all'esame delle competenti Commissioni parlamentari.
  Quanto alla nuova direttiva «qualifiche», è in via di definizione lo schema di decreto legislativo. Il termine scade il 4 dicembre 2013. La bozza di decreto legislativo recepisce alcune modifiche al decreto «qualifiche», peraltro già sostanzialmente in linea con le norme dell'Unione europea. Infine, è in via di definizione anche la bozza di decreto legislativo di Pag. 4recepimento della direttiva n. 36 del 2011, che riguarda la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime.
  Nella seduta dell'8 novembre 2013 del Consiglio dei ministri, sono stati approvati in via definitiva il nuovo disegno di legge europea 2013 e il disegno di legge di delegazione europea del secondo semestre 2013. In quest'ultimo, sono state inserite le norme per la revoca e il riconoscimento dello status di protezione ed è stata conferita al Governo la delega per l'emanazione di un decreto legislativo contenente il testo unico delle disposizioni in materia di asilo. La delega dovrà essere esercitata entro 12 mesi dall'entrata in vigore degli altri decreti legislativi.
  Inoltre, con la legge europea n. 97 del 2013, a seguito di due UE pilot – le procedure attraverso cui l'Unione europea avvia l'infrazione nei confronti di uno stato membro – è stata prevista anche l'estensione ai titolari di protezione sussidiaria della possibilità dell'accesso al pubblico impiego al pari dei cittadini dell'Unione, così come era già previsto per i titolari dello status di rifugiato. In relazione a un'altra infrazione del 2012, n. 2189, è stata prevista l'istituzione a regime delle sezioni delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.
  Ci siamo sempre trovati, dal 2002 in poi, in condizioni di emergenza e, pertanto, le dieci commissioni territoriali previste espressamente dalla normativa sono state affiancate da altre dieci sezioni. Al termine dello stato di emergenza, il 31 dicembre 2012, avevamo previsto la proroga di cinque per ulteriori sei mesi, ma al 30 giugno 2013 le sezioni sono decadute. Tuttavia, abbiamo ottenuto, nella legge europea del 2013, la possibilità per il Ministro dell'interno di istituire dieci sezioni nell'ambito delle commissioni territoriali per accelerare l'esame delle procedure di asilo di cui dirò più avanti.
  Per quanto riguarda le criticità che il nostro sistema rileva in materia di asilo, innanzitutto direi che l'aver sempre operato in un sistema di emergenza ha fatto un po’ perdere di vista il dato che, invece l'immigrazione è ormai un fenomeno strutturale, maturato nel corso degli anni.
  Soprattutto, il modificarsi di scenari politici dei Paesi del Nord Africa, come pure le condizioni climatiche, hanno sempre più causato l'arrivo sulle nostre coste di flussi provenienti dai Paesi del Sud dell'Europa e da alcuni Paesi dell'Est. L'immigrazione vera resta comunque un'immigrazione dal Sud.
  Da un punto di vista numerico, la Germania o la Svezia presentano un maggior numero di richieste d'asilo, ma le richieste, o meglio gli arrivi che avvengono sul nostro territorio, presentano una modalità drammatica – l'esperienza degli ultimi due naufragi lo dimostra – e sono frutto della nostra maggiore vicinanza ai Paesi di provenienza.
  Del resto, le persone genericamente ritenute provenienti dalla Libia in realtà non sono libiche, ma appartengono a popolazioni più a Sud della Libia, dai Paesi sub sahariani, in molti dei quali le condizioni di instabilità sono così forti che diventa preferibile passare attraverso i territori libici più che attraverso quelli egiziani, dove oggi sembra esserci una stabilità maggiore, per raggiungere le nostre coste. Questo è stato, a mio avviso, uno dei primi momenti di criticità. Proprio perché lo abbiamo gestito sempre in condizioni di emergenza, quindi anche con l'abbondanza di risorse che ci sono sempre state concesse, probabilmente non ci siamo mai preoccupati di un sistema più strutturato, come abbiamo iniziato invece a fare con l'esperienza dell'emergenza Nord Africa. In quest'ultimo caso le criticità sono state serie, alcune anche molto serie, ma ciò ha fatto sì che probabilmente si comprendesse il diverso scenario che si andava prefigurando e ha reso possibile l'ulteriore risultato di aver messo insieme molte forze a lavorare sulla materia dell'immigrazione.
  Credo che in Italia i soggetti competenti in materia di immigrazione sono così numerosi – ben più che in altri Paesi dell'Unione europea – che è difficile ricondurre tutto a unità. Si è lavorato col Pag. 5Ministero dell'interno, nella duplice articolazione di polizia delle frontiere e del dipartimento che dirigo, col Ministero del lavoro, che riveste una competenza importante in questo settore, perché è competente per il successivo percorso. Al termine di tutte le procedure, infatti, bisogna passare a quella che definirei inclusione più che integrazione, alle regioni, alle province, ai comuni e anche alle organizzazioni internazionali, come UNHCR, OIM, Croce Rossa e Save the Children.
  La nuova modalità ha fatto sì che, attraverso l'adozione di tre documenti successivi, tutti in Conferenza unificata per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, siamo riusciti a stabilire regole e modalità per affrontare insieme gli arrivi dai Paesi del Nord Africa.
  Quanto alle modalità con cui siamo riusciti a darci un sistema più strutturato, sapete che abbiamo un sistema di accoglienza molto variegato – perlomeno così lo definiscono tutti – costituito dai centri di accoglienza presenti nella stragrande maggioranza nell'Italia meridionale, soprattutto in Sicilia, che hanno una capienza effettiva di 7.516 posti e, a oggi, accolgono 10.328 persone.
  Abbiamo anche il sistema dello SPRAR per richiedenti asilo e rifugiati, che è stato messo a regime con la legge n. 39 del 1990 e attraverso il quale, con risorse stanziate sul bilancio del Ministero dell'interno, ogni tre anni viene fatto un fondo in modo che comuni, unioni di comuni e consorzi vi partecipino per ricevere coloro che hanno ottenuto il riconoscimento di uno status di protezione internazionale. Il meccanismo, il cui triennio scadrà il 31 dicembre 2013, prevedeva la presenza soltanto di 3.000 posti. Già questo, di per sé, era un elemento di criticità, poiché soltanto in prima accoglienza, cioè al momento degli arrivi, erano 7.516 persone: come si poteva immaginare che l'accoglienza proseguisse in via continuativa con la disponibilità di soli 3.000 posti ?
  Durante l'emergenza nord Africa, abbiamo iniziato a decidere insieme e a chiedere ai comuni di offrire ulteriore disponibilità, che ci porta oggi ad avere 9.500 presenze, con un sistema che ripete le stesse regole proprie del bando SPRAR 2011-2013 a un costo di 35 euro pro die pro capite.
  L'attività è stata completata e continua insieme al Ministero del lavoro, che, con le regioni, si occupa di utilizzare le risorse del Fondo sociale europeo. In questa maniera, ci si preoccupa di tutta l'attività di formazione e inserimento socio-lavorativo sui diversi territori.
  Dal nostro punto di vista, la sinergia tra comuni e Ministero dell'interno è stata la soluzione vincente. Sappiamo bene, infatti, che le persone rifugiate si rivolgono ai servizi sociali del comune. Se esiste un sistema condiviso e attuato con i comuni, è molto più semplice riuscire ad accoglierle e a mantenerle sul nostro territorio per un percorso più articolato e più in linea con gli standard europei.
  Abbiamo mantenuto, anche stretti rapporti con Paesi quali la Germania e la Svezia, che abbiamo visitato e i cui rappresentanti sono venuti in visita da noi. Fa riflettere l'attenzione che i Paesi dell'Unione europea hanno riservato alla questione dell'asilo e con quali modalità si siano attrezzati per fronteggiarla. La Svezia, ultimo Paese che abbiamo visitato in ordine di tempo, impiega personale dedicato espressamente all'asilo, alle dipendenze del Ministero della giustizia, e ha un sistema tale, per cui, appena aumenta la pressione migratoria, aumenta di pari passo la possibilità di accoglienza con risorse interamente nazionali. Si può obiettare che il sistema di welfare svedese non è quello italiano. È verissimo, infatti alla nostra domanda su quanti non avessero casa o lavoro, la risposta è stata: «Zero». È indubbio che per noi la difficoltà è aumentata anche dal momento particolare di crisi economica.
  Lo stesso sistema funziona in Germania, dove i centri sicuramente non sono migliori dei nostri, ma dove, grazie al sistema federale, le regioni più ricche devono contribuire maggiormente al sistema dell'asilo, e quindi dell'accoglienza. Viceversa, noi siamo sempre in una lotta Pag. 6continua anche col Ministero dell'economia per reperire risorse. Il dato certo è che le persone mangiano almeno tre volte al giorno, quindi se anche non volessimo dar loro nulla più, abbiamo il dovere di accoglierli in centri appositi.
  Il sistema si sta evolvendo: sempre più sarà lo SPRAR a occupare uno spazio che fino a oggi nessuna altra realtà aveva. Nel nuovo bando 2014-2016 i posti sono stati portati a 16.000. Le offerte che ci vengono dai comuni su tutto il territorio nazionale sono ancora in via di acquisizione, perché il bando è scaduto da poco. I progetti sono 506, con una disponibilità di 13.893 posti, più 7.000 posti aggiuntivi. Ciò significa che avremo una disponibilità di circa 21.000 posti, necessari a fronteggiare la persistente pressione migratoria, che è un dato dal quale non si può prescindere. Non possiamo scegliere chi far arrivare.
  Il nuovo bando prevede inoltre che, in caso di pressione migratoria, il comune che si è impegnato con noi per un progetto SPRAR deve anche garantire un certo numero di posti in caso di emergenza, in modo che il sistema si completi e abbia una governance totale sul territorio nazionale.
  Un'accoglienza diffusa fa sì che non si verifichino più situazioni critiche in Sicilia, come ancora accade, perché prevede una capacità di essere presenti su tutto il territorio, quindi con benefici per gli uffici delle questure, i primi che entrano in contatto con le persone che arrivano, e per le commissioni territoriali, grazie alla cui diffusione i carichi di lavoro si bilanciano. Vi è, a mio avviso, soprattutto la possibilità, per molti di quelli che intendono rimanere sul nostro territorio nazionale, di procedere a un percorso effettivamente virtuoso ai fini dell'asilo.
  Abbiamo ricevuto uno stanziamento, con il decreto-legge n. 120 del 2013, di 190 milioni di euro finalizzati e destinati all'ampliamento dei posti SPRAR, un fondo distinto e che copre spese già sostenute dal Ministero dell'interno: 160 milioni dal Dipartimento della pubblica sicurezza e 30 milioni dal Dipartimento da me diretto.
  Un altro elemento cardine riguarda le commissioni territoriali. Le persone arrivano nei diversi punti di sbarco, sono identificate e fotosegnalate, vanno nei primi centri di accoglienza o altre strutture che abbiamo dovuto attivare in base alla «legge Puglia» per il massiccio arrivo, dopodiché la questura del luogo in cui si trovano riceve la domanda. Il processo è stato interamente informatizzato: non viaggia più nessuna carta e i fascicoli sono elettronici. Da quel momento, quando la persona ha formalizzato il cosiddetto modello C3 ed è convocata dalla commissione territoriale, si stabilisce la competenza per territorio.
  Se non ricordo male, dalla domanda per ottenere lo status di rifugiato trascorrono in media sei mesi, quindi si entra nel percorso dello SPRAR, dove è prevista una permanenza di ulteriori sei mesi, prorogabili in caso si stiano frequentando corsi di inserimento, affinché ciascun protetto o richiedente asilo prenda la vita nelle sue mani e prosegua da solo. È un insegnamento dell'UNHCR che a me è piaciuto molto: il rifugiato non deve essere assistito, ma deve iniziare un percorso nuovo, avendone le opportunità e gli strumenti, perché ha deciso di vivere in un altro Paese non potendo più stare nel suo. Come ho esposto, adesso abbiamo dieci commissioni più sei sezioni e ne stiamo attivando altre due. Questo ci consentirà di accelerare i tempi di esame delle domande.
  Sono arrivate, dal 1 gennaio a oggi, 39.798, persone: raffrontate a quelle del 2011, sono decisamente di più. È vero, infatti, che nel 2011 giunsero 62.692 persone, ma di queste ben 28.000 erano tunisine, che ricevettero un trattamento diverso, poiché fu loro riconosciuta la protezione umanitaria. In realtà, quindi, il dato dei richiedenti asilo che arrivarono nel 2011 è pari a 34.645, che abbiamo abbondantemente superato.
  Aver ragionato in maniera diversa ci ha consentito di gestire in ordinario gli arrivi con la partecipazione di tutti, ma soprattutto con le risorse da poter destinare a questo tipo di attività.

Pag. 7

  PRESIDENTE. Forse rivolgo domande ovvie per alcuni più esperti di me. Lei ci ha spiegato cosa succede, anche nella tempistica, nel momento in cui è accolta la domanda e si ottiene lo status di rifugiato. Cosa succede nei casi in cui invece non sia accolta ? Come si procede ?

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Anzitutto, anche quando la domanda è accolta, ma viene concessa una protezione diversa dall'aspettativa del richiedente asilo, è possibile proporre ricorso. Fin tanto che l’iter del ricorso non si è esaurito, le persone restano in accoglienza presso i centri. Il ricorso è presentato davanti al giudice ordinario e i tempi sono piuttosto lunghi. Le persone che trovano soluzioni diverse possono anche lasciare i centri.
  Sia quando è riconosciuta una forma di protezione diversa da quella di rifugiato, come una protezione sussidiaria, sia nel caso in cui vi sia un diniego, attraverso la presentazione del ricorso si continua a rimanere sul territorio nazionale sino al completamento di tutti i gradi di giudizio, quindi fino alla Cassazione. Comprendete bene che questo è un aggravamento di tutto il sistema. Se, infatti, i dinieghi sono molti, è chiaro che i nostri centri non si liberano né si liberano posti nello SPRAR.
  A chi non riesce a ottenere una forma di protezione è offerta anche un'altra possibilità. Non mi riferisco a coloro che stanno arrivando dalla Libia, ma ai cosiddetti migranti economici, che vengono solo per trovare un lavoro, caso non riconosciuto nell'ambito della protezione internazionale perché significherebbe falsare tutto lo spirito e le linee che governano il sistema dell'asilo. È offerta ad alcuni di loro la possibilità di un rimpatrio volontario assistito, finanziato dai fondi dell'Unione europea. Nel nostro sistema, i rimpatri volontari assistiti non hanno mai avuto un grande successo, e neanche in altri Paesi dell'Unione europea. In altri Paesi funzionano molto di più, in alcuni casi, i rimpatri forzosi. La Svezia espelle anche i minori, mentre nel territorio italiano ciò non è possibile, perché la tutela dei minori è massima e per noi sono inespellibili.
  Il rimpatrio volontario assistito sta funzionando con cittadini regolarmente presenti sul territorio nazionale appartenenti a Paesi del Centro America. Quei Paesi sono in via di ripresa, e quindi i loro cittadini chiedono la possibilità di tornare per ristabilire lì delle condizioni di vita. Sono persone che magari sono entrate qui con un regolare visto, hanno seguito una procedura, ma vogliono tornare in patria.
  Abbiamo immaginato di utilizzare il sistema dei rimpatri volontari assistiti anche per coloro che hanno ricevuto un ordine a lasciare il territorio nazionale perché non regolarmente presenti. Ovviamente, non siamo più nell'ambito dell'asilo. Questo sistema sta funzionando grazie ai programmi dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).
  Abbiamo attivato un sistema nazionale che funziona da contatore: il fondo rimpatri ogni anno avrà una disponibilità di risorse; quantificando il numero di posti da utilizzare, ciascuna prefettura o questura che partecipa al processo potrà condurre la procedura di rimpatrio assistito fino all'esaurimento delle risorse, in modo da facilitare il processo.
  Abbiamo migliorato le performance, ma oggettivamente i dati sui rimpatri sono sempre molto bassi. Spesso, il nostro Paese è più utilizzato per il transito che come Paese di destinazione finale e questo fa sì che nel corso del tempo le persone lascino il territorio nazionale.
  Abbiamo elaborato e reso disponibile un dossier sulle domande di asilo dal 1990 al 2012 e vi farò avere i dati aggiornati di tutto il 2013; finora 24.020 persone hanno richiesto asilo. Le nazioni di provenienza sono in primo luogo la Nigeria, il Pakistan e la Somalia. Segue l'Eritrea, i cui cittadini non hanno alcuna intenzione di rimanere sul nostro territorio nazionale, a causa della presenza di comunità di riferimento insediate in altri Paesi, come la Svezia, la Germania o i Paesi Bassi.
  Vorrei aggiungere, a proposito del sistema di accoglienza, che, oltre allo Pag. 8SPRAR incrementato, con l'ultimo documento approvato in Conferenza unificata stiamo cercando di uniformare ancora di più il sistema dell'accoglienza attraverso la realizzazione di strutture, che abbiamo chiamato hub, una per ogni regione, in cui trasferire le persone dai luoghi di sbarco. La permanenza non può essere ivi superiore a trenta giorni e si possono svolgere subito tutte le formalità che le riguardano, dall'assistenza sanitaria alla formalizzazione della domanda d'asilo, senza fare incardinare la competenza presso quel territorio e poi trasferirli.
  Questa prima sperimentazione partirà a San Giuliano di Puglia (CB) utilizzando un villaggio temporaneo a suo tempo costruito dalla Protezione civile, una bella struttura realizzata con soldi pubblici. Il comune, dove ci siamo recati più volte, incontrando gli esponenti regionali e le autorità locali, ha offerto la sua disponibilità. Ci chiedono, a fronte della realizzazione di un hub, attività aggiuntive che porteremo poi all'attenzione degli altri ministeri. Non è, infatti, coinvolto solo il Ministero dell'interno. Questo sarà la nostra prima sperimentazione, con una permanenza di un mese e il trasferimento nei posti SPRAR di cui disporremo dal prossimo anno.
  La Protezione civile ci ha offerto stoccaggi di materiali, che cerchiamo di utilizzare in un momento di grandi difficoltà economiche, nel quale credo che ognuno di noi abbia il compito di mettere a frutto e ottimizzare le risorse di cui dispone.
  Tutto ciò è stato portato anche all'attenzione dell'Unione europea proprio in ragione di quei famosi EU pilot, procedure di infrazione, di cui parlavo all'inizio. Hanno molto apprezzato tutti questi sforzi e ancor di più la sinergia con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la cui direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione ha proprio bisogno di lavorare con noi riguardo ai fondi che gestisce.
  Per il prossimo anno è prevista l'unificazione dei fondi assegnati dall'Unione europea. Oggi, esistono infatti un fondo per l'integrazione, uno per i rifugiati, uno per i rimpatri e poi il fondo frontiere. Dal prossimo anno, ci saranno invece solo due fondi, uno per asilo e immigrazione e l'altro per la sicurezza. L'Italia è il secondo dei Paesi dell'Unione europea ad avere lo stanziamento più alto: sarà destinataria di 310 milioni di euro, seconda soltanto al Regno Unito.
  Anche in riferimento alle querelles che ogni tanto si verificano sulla stampa in relazione all'entità dell'aiuto da parte dell'Unione europea, a mio avviso il punto non riguarda tanto le risorse, che ci sono sempre arrivate, anche con stanziamenti aggiuntivi durante l'emergenza Nord Africa, perché alcuni fondi prevedono le misure straordinarie. Secondo me, è soprattutto una questione di condivisione delle responsabilità. Non può essere soltanto l'Italia il Paese che si fa carico di accogliere tutti coloro che andranno in Europa. Ci è stato detto, nei vari incontri, che non avremmo dovuto più usare, da parte italiana, espressioni riferite alla circostanza di essere stati lasciati soli. In realtà, non lo abbiamo mai detto. Abbiamo provato a dare suggerimenti anche su come gestire questo momento. L'operazione «Mare Nostrum» sta impiegando la Marina militare, la Guardia di finanza e la Guardia costiera.
  I 27 Paesi dell'Unione affermano che forse così si sta snaturando la funzione di Frontex, ma questo non è proprio corretto. Se è vero che Frontex nasce per il controllo delle frontiere, è altrettanto vero che anche le sue operazioni sono soggette alla legge del mare e quindi al soccorso delle persone che vengono nel Canale di Sicilia o che sono trovate altrove.
  Avremo un incontro domani a Bruxelles per la neoistituita task force immigrazione. Abbiamo suggerito e richiesto una serie di interventi da poter realizzare con i trenta milioni che l'Unione europea ha stanziato, pari a dieci milioni per il Fondo rifugiati, sette per il Fondo frontiere, cinque per il Fondo rimpatri e otto per Frontex. Abbiamo chiesto di poter realizzare un'attività che, durante l'emergenza, era interamente a carico del Ministero e della Protezione civile, ossia la presenza Pag. 9nel Corpo italiano di soccorso del Sovrano militare Ordine di Malta (CISOM) a bordo delle navi della Guardia costiera e delle Capitanerie di porto. È un modo per prestare il primo soccorso durante gli eventi SAR (search and rescue). Lo finanzieremo, così come i voli per i trasferimenti interni dai luoghi di sbarco alle strutture che abbiamo realizzato. Finanzieremo l'ampliamento di tali strutture e di alcuni centri esistenti. Lo stesso farà, nel settore di competenza, la Direzione centrale per l'immigrazione e polizia delle frontiere del Dipartimento di pubblica sicurezza.
  Troverete tutte queste notizie anche nel documento consegnato e vi manderemo anche una relazione più approfondita con dei dati.

  PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Pria. Le confermo, anche a nome dei colleghi, la piena soddisfazione di questo Comitato per la sua risposta tempestiva – l'abbiamo cercata e lei è immediatamente venuta in audizione – e per i dati che ci ha fornito.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO MAZZONI. Ringrazio il prefetto Pria per la sua illustrazione molto dettagliata.
  Condivido, anzitutto, il potenziamento del percorso SPRAR. Si è sempre detto, e le organizzazioni umanitarie lo hanno sottolineato, che il sistema dei Centri accoglienza per richiedenti asilo (CARA), tutto sommato funziona e che la prima accoglienza funziona, mentre poi i rifugiati e i richiedenti asilo sono un po’ abbandonati al loro destino perché i comuni, con le loro difficoltà economiche, non sono più in grado di reggere l'urto. Inoltre, dopo le «Primavere arabe», la gran parte di coloro che arrivano ha diritto alla protezione umanitaria internazionale perché viene da zone di guerra o da zone in cui la libertà è seriamente minacciata, quindi il percorso è giusto.
  Credo che l'Italia sia penalizzata in maniera pesante dal regolamento Dublino, che sovrintende ai meccanismi per la determinazione dello Stato competente per la richiesta di protezione. Giustamente, lei ha sottolineato che gran parte di coloro che arrivano da noi transita in Italia, ma vuole andare nell'Europa del Nord. Siccome dal 2014 entrerà in vigore il regolamento Dublino III, c’è qualche miglioramento per la situazione dell'Italia o questo punto resta inalterato ? Nonostante le belle parole dell'Europa, mai seguite dai fatti, l'Italia resterà il Paese di frontiera che dovrà farsi carico della protezione umanitaria di tutti coloro che arrivano da Paesi del Nord Africa ?

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Su Dublino non mi sono molto soffermata. In realtà, è vero che oggi questo handicap è dovuto all'obbligo del Paese di primo arrivo. Abbiamo avviato con i Paesi dell'Unione coi quali abbiamo maggiori rapporti, tra cui la Francia, la Svizzera, la Germania e la Svezia, rapporti bilaterali. Esistono protocolli di cooperazione pratica, secondo il linguaggio dell'Unione europea, che funzionano molto bene, ultimamente proprio con la Svezia, Paese molto attrattivo per i migranti. Gli svedesi sono venuti in visita, li ho accompagnati nei centri, a Siracusa, ho mostrato loro proprio l'intero percorso che i richiedenti asilo compiono. Indubbiamente, sono rimasti colpiti. In Svezia, nel centro di detenzione, come lo chiamano, il richiedente asilo arriva con il trolley, la giacca, possibilmente anche la cravatta. Il tipo di persone che giunge da loro è notevolmente diverso. Vi garantisco che i centri di detenzione svedesi sono migliori di molti nostri ospedali.
  Prima sottolineavo che non abbiamo mai voluto affrontare il problema in modo sistematico. È inutile dire che ci penseremo. Tutti gli anni ci troviamo nella stessa condizione e il fenomeno aumenterà sempre di più. Non credo assolutamente che i flussi si fermeranno. È necessaria la consapevolezza che è una questione che dobbiamo affrontare.Pag. 10
  L'Italia non avrebbe voluto il regolamento Dublino II, anzi aveva fortemente insistito per una diversa modalità di determinazione dello Stato competente. Si disse, però, che ricevere da colui che chiedeva asilo l'indicazione del Paese di destinazione e del modo in cui voleva raggiungerlo sarebbe stato fare asylum shopping, ma non è sempre così. Sul nostro territorio sono presenti comunità che in altri Paesi non ci sono, come quella marocchina o altre etnie radicate qui, che stanno bene in Italia e si sono organizzate. Probabilmente, la lingua è una difficoltà, la stessa religione può esserlo in alcuni casi. Abbiamo immaginato, con la Svezia, già adesso con Dublino II e prima che entri in vigore il regolamento Dublino III, di tentare dei ricongiungimenti familiari, ma solo dopo che abbiano comunque presentato domanda in Italia. Gli svedesi sono stati categorici con i siriani che hanno incontrato in Sicilia, dicendo loro che non sarebbero andati da nessuna parte in Europa se non avessero formalizzato la domanda d'asilo in Italia; peraltro è una forma di tutela per noi e per loro. È vero, infatti, che arrivano tante persone in cerca di asilo, ma non escludiamo che potrebbero arrivarne anche altre. Come abbiamo visto, sono arrivati i trafficanti o perché arrestati o perché inseriti all'interno dei gruppi. Credo allora sia un dovere non solo verso l'Unione, ma anzitutto verso il nostro Paese, per la nostra sicurezza.
  Avvieremo, quindi, adesso, anche con l'entrata in vigore del regolamento Dublino III, la possibilità di provare dei ricongiungimenti per persone che sono in Italia e che vogliono andare in Svezia, anche in virtù del fatto che il concetto di famiglia è modificato e si è allargato con Dublino III. Oggi, infatti, il ricongiungimento è possibile solo per determinate categorie di familiari, ad esempio tra padre e figlio o con il coniuge. In quest'attività è fondamentale il rapporto tra i diversi Paesi membri. Ai tavoli tecnici infatti, si dice una cosa, agli incontri in sede di Consiglio giustizia e affari interni (GAI) un'altra, ma in realtà la cooperazione avviene tra uffici e tra funzionari e a volte riesce molto più risolutiva.
  Nel mio intervento del 24 ottobre scorso a Bruxelles, durante la prima riunione della task force – quella di domani sarà la seconda – ho fatto presente che non risolveremo il problema se non capiremo che c’è un dispendio di risorse: non è possibile che le persone arrivino da noi, trovino prima accoglienza, poi vadano via, successivamente ce le rimandino, quindi dobbiamo riaccoglierli, e dopo vadano nuovamente via. Quanto alla circostanza che la Svezia ne ha trovati trecento e ci chiede che tornino tutti, dobbiamo dire di sì, anche se effettivamente, ne rimanderà forse cinquanta; gli altri, infatti, non li troveranno sul territorio. La dispersione sui territori è fortissima anche in Svezia e in Germania, dove il sistema è più strutturato. Tantissime persone vivono in una condizione di non regolarità non solo nel territorio italiano, ma anche in quello degli altri Stati membri.

  LUCA FRUSONE. Anzitutto, la ringrazio per essere qui oggi.
  La mia domanda verte su un momento particolare dell'accoglienza, l'identificazione. Ho parlato con alcune associazioni che si occupano dei diritti dei migranti che mi hanno esposto il problema. Posso immaginare quanto sia difficile identificare un soggetto che viene da territori di guerra, quindi arretrati, senza anagrafi, ma le associazioni sottolineavano che per le persone detenute, arrestate e portate nelle carceri italiane per il reato di clandestinità o per qualche altro reato, il periodo di detenzione non è adeguatamente sfruttato per la loro identificazione certa. Al momento della conclusione della loro permanenza in carcere, quindi, una volta espiata la pena, si trovano fuori del carcere ancora non in condizione di identificazione certa, ritransitano nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE) o eventualmente nei CARA, gravando su situazioni già difficili. C’è qualcosa che si sta Pag. 11predisponendo per migliorare questa situazione ? Si sta facendo qualcosa per sopperire a questa mancanza ?

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Il profilo dell'identificazione è duplice. Quello a cui lei si riferiva avviene dopo, ma abbiamo anche una fase precedente.
  Innanzitutto, i dati numerici che vi ho esposto, relativi agli sbarchi, non sono esaustivi delle persone che arrivano, che sono molte di più. Arrivano o rimangono sul nostro territorio allo scadere di un regolare titolo di soggiorno. Penso, tra gli altri, al visto di tre mesi. In questi casi, non c’è un'identificazione, perché si arriva con documenti validi. Si diventa clandestini dopo, perché si è sconosciuti al sistema italiano. Le persone possono, però, anche arrivare per via aerea. Abbiamo avuto un flusso di persone provenienti dall'Egitto che volevano andare in Russia. In realtà, la tratta era Cairo-Roma-Mosca, ma arrivavano a Roma, strappavano i documenti e chiedevano asilo a Roma. È evidente che, senza la possibilità di identificarli con un documento valido, quando vengono in contatto con le forze di polizia, sono presunti siriani, eritrei e così via, fintanto che non si riesce a ottenere il passaporto dal Paese di origine. Con alcuni Paesi, come l'Eritrea, diventa complicato chiedere il documento perché significa denunciare la presenza della persona al di fuori del rispettivo territorio nazionale, e quindi mettere a rischio le persone a lei collegate che sono rimaste in quel Paese. Può anche accadere che al momento dello sbarco, come capita, abbiano i documenti e li esibiscano.
  Il discorso delle impronte è fondamentale. In alcuni casi, la magistratura ha anche autorizzato l'acquisizione delle impronte in maniera forzata, ma la coazione deve essere sempre proporzionale. Una misura, comunque, è stata presa per tutti, anche coloro che non hanno voluto dare le impronte: una fotografia e, quanto meno, l'identificazione con un numero. L'abbiamo fatto per tutti.
  L'altra questione è quella, posta da lei, riguardante la permanenza in carcere. Sono stata anche direttore centrale per immigrazione e polizia delle frontiere e posso dirle, anche per i continui contatti con la magistratura, che in realtà è un po’ un cane che si morde la coda. Quando le persone subiscono processi, si sa chi sono, hanno i documenti. Poi sono condotte in carcere. Nelle more dell'invio al carcere e durante la permanenza, i loro documenti scadono e nessuno si preoccupa che siano rinnovati. Il problema si pone lì. Se, infatti, si entra in carcere con un passaporto valido, ma questo scade, è necessario il coinvolgimento dell'ambasciata. Oggi si sta studiando – i meccanismi della Polizia penitenziaria e della Polizia di Stato sono diversi – di trovare un momento comune per far sì che non scadano i passaporti né i titoli di soggiorno. Anche nel caso di coloro che, regolarmente presenti in Italia, hanno commesso un reato, non bisogna far scadere il permesso di soggiorno. A fine pena, così, se la misura stabilita è l'espulsione, si avrà bisogno solo di un mero lasciapassare, ma non si dovranno chiedere all'ambasciata i documenti e non sarà necessario verificare l'identità. Si tratta più di un profilo organizzativo che di una carenza normativa.

  GIORGIO BRANDOLIN. Anch'io ringrazio il prefetto Pria per le informazioni che ci sono state fornite questa mattina e che apprezzeremo meglio leggendo la sua relazione.
  Vorrei riallacciarmi all'argomento sollevato dal collega, il problema della gestione dei CIE, che credo sia di competenza della struttura da lei diretta.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Le spiegherò. Mi rivolga pure la domanda.

  GIORGIO BRANDOLIN. Lei parlava di persone con documenti che transitano in carcere perché arrestate per aver commesso un reato, ma ci sono anche persone che non hanno documenti: come vengono identificate ?Pag. 12
  Inoltre, nel momento in cui i documenti scadono o non sono presenti e le persone transitano nel CIE, mi pare che prima della legge Bossi-Fini fossero previsti forse 30 o 60 giorni di permanenza, non ricordo con esattezza, mentre adesso si tratta di 18 mesi. Ciò, ovviamente, crea le fibrillazioni che abbiamo riscontrato nei CIE. In particolare, conoscerà quello del mio territorio, Gradisca d'Isonzo.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Noto alle cronache.

  GIORGIO BRANDOLIN. Ricordo ai miei colleghi che lì, per sistemare la caserma e realizzare sia il CIE sia il CARA, il Ministero dell'interno ha già speso trenta milioni di euro dal 2001 a oggi. Ha informazioni su quel CIE ? Rimarrà chiuso dopo esserlo stato perché gli «ospiti» lo hanno distrutto diverse volte ? Vorrei capire se è nelle intenzioni del Ministero chiuderlo, visto che è una struttura veramente emarginata, molto più a Est rispetto alla struttura più vicina, che mi sembra sia Milano.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Stiamo chiudendo anche la struttura di Milano.

  GIORGIO BRANDOLIN. Vorrei capire quindi se l'esperienza di Gradisca è chiusa. Ricordo che è nata quando, nell'inverno tra il 1999 e il 2000, sulla frontiera di Gorizia ogni sera arrivavano duecentocinquanta clandestini via terra.
  Inoltre, vorrei che approfondisse in modo sintetico l'argomento degli hub, molto interessante. L'esperienza pilota di San Giuliano di Puglia durerà qualche anno prima di poterla realizzare in altre regioni o c’è già un'identificazione sui vari territori, regione per regione, di un hub ? Credo sia uno strumento interessante, del quale ho saputo questa mattina per la prima volta.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Inizio rispondendo sui CIE. In Italia li chiamiamo centri di identificazione ed espulsione, ma negli altri Paesi dell'Unione si chiamano centri di detenzione. Sono centri previsti dalla normativa europea e per i quali, anche secondo le risposte dei sottosegretari o dei viceministri alle varie interrogazioni parlamentari, non è prevista alcuna chiusura. Sono necessari per una serie di attività, quindi fino adesso nessuno ci ha detto di chiuderli.
  I centri sono gestiti dal dipartimento da me diretto, quanto al finanziamento. Le convenzioni sono siglate dalle prefetture sui territori attraverso una gara pubblica per l'individuazione del gestore. Noi forniamo le risorse che servono alle ristrutturazioni o alle ricostruzioni quando i centri vengono danneggiati. Una volta rimesso a posto, pensiamo di riaprire il centro di Gorizia; sarà aperto fintanto che ne sussiste la necessità.
  Il centro di Milano è stato distrutto e l'abbiamo rimesso a posto un'infinità di volte. Ripeto che i centri debbono esistere, altrimenti non sapremmo dove sistemare le persone.
  Quanto alla durata della permanenza nei centri, sono d'accordo con lei. Diciotto mesi sono un termine massimo previsto dalla direttiva «rimpatri», ma se non si è riusciti nell'identificazione – questi sono aspetti più di polizia che di mia competenza, ma ritengo di poterli affrontare – nell'arco di sessanta-novanta giorni, non si riuscirà più, per cui è inutile trattenere oltre le persone, che si esasperano.
  Peraltro, in alcune strutture – bisogna sottolinearlo – non c’è uniformità di trattamenti e di comportamenti. Il precedente Governo, con il Sottosegretario Ruperto, aveva predisposto un documento, che abbiamo trasmesso a chi lo ha chiesto, che prevedeva una riduzione dei termini e la standardizzazione dei servizi offerti.
  Insegnare alle persone nei centri l'italiano a me sembra una presa in giro. Bisogna offrire loro opportunità diverse di poter passare il tempo. Nel centro di detenzione svedese c’è una stanza dotata di computer con collegamenti a Internet, ci Pag. 13sono palestre, ma hanno la certezza che da lì torneranno a casa. Non hanno una possibilità ulteriore di passaggio. In Italia, se non riusciamo ad identificarli, viene emesso un ordine del questore e sono lasciati liberi nel territorio nazionale.
  Qualcosa, allora, a mio avviso, non funziona in questa realtà. Se è vero, infatti, che in Svezia è offerto tutto, i computer, le palestre e così via, però le persone che si trovano in quei centri hanno però la certezza che, allo scadere del termine, torneranno a casa. In Svezia hanno realizzato una parte del centro che ho visitato con risorse dell'Unione europea, precisamente del Fondo rimpatri, quindi nessuno sta negando i centri di detenzione, come forse a noi non piace chiamarli, ma all'estero funziona così.
  Per quanto riguarda Gradisca, completeremo la ricostruzione. Indubbiamente i CIE hanno una capienza effettiva, a seguito delle varie sistemazioni, di 899 posti; il numero di persone che vi si trovano attualmente è di 570. Non è vero, quindi, che i CIE raccolgano moltitudini di persone.
  Nella stampa, nonostante lo abbiamo ripetuto più volte, si usano indistintamente CIE e CARA, facendo confusione, ma le realtà sono completamente diverse. L'attenzione che poniamo è identica sia per gli uni che per gli altri, e anzi più per i CIE che per i CARA.
  San Giuliano di Puglia è in provincia di Campobasso, non è in Puglia. Nel documento dell'11 luglio, con cui è stata sancita l'intesa, si è immaginato di realizzare un hub per ogni regione. Partiamo con quello perché è pronto. Il documento è pubblico e ve lo trasmetterò.
  Non vogliamo eliminare tutti i CARA, non fosse altro perché ci abbiamo speso tante risorse. L'idea è di trasformarli in hub, uno per ogni regione. L'idea è stata accolta bene. Indubbiamente, la gestione e anche la messa a disposizione dei posti è fatta su indicazioni della regione, d'intesa con i suoi territori, non è una nostra imposizione.
  Abbiamo, inoltre, constatato che i grandi centri vanno bene per il primo arrivo. Abbiamo centri da 1.300, 1.400, 3.000 posti, come a Mineo, ma le persone non possono restarci per tanto tempo, nonostante i servizi e l'aiuto.
  Abbiamo messo in atto anche il progetto «Praesidium», un'altra iniziativa che finanziamo e che funziona da otto anni. Si tratta di una collaborazione tra UNHCR, OIM, Save the Children e Croce Rossa, che effettua da quest'anno anche le verifiche di audit, controlli e monitoraggio su tutti i centri, insieme alle prefetture e alle questure.
  È difficile, però, gestire il grande centro di per sé, perché non tutti vogliono fare le stesse cose. Possiamo offrire certi servizi e certe iniziative, ma gli altri le debbono anche voler fare. In realtà più piccole, invece, quali quelle dello SPRAR, dei comuni, dove si vive anche in appartamenti, con una dimensione diversa della vita delle persone, ritengo che funzionerà meglio. Gli hub serviranno a questo.

  GIORGIO BRANDOLIN. All'epoca a Gradisca, al CARA, abbiamo iniziato un'iniziativa sportiva, di calcio, ma dopo due mesi abbiamo dovuto sospendere le attività perché tra le etnie accadevano cose assurde. In questo caso, è difficile intervenire anche attraverso il territorio.

  PRESIDENTE. Le chiederei, prefetto, la cortesia di farci avere anche il documento del Sottosegretario Ruperto, che ha menzionato.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Certamente. L'ho già mandato anche ad altri parlamentari che me l'hanno chiesto.

  PRESIDENTE. Gradirei che anche il Comitato potesse acquisirlo.

  PAOLO ARRIGONI. La mia prima domanda verte sui CIE. Abbiamo appreso della devastazione e degli atti vandalici a Gradisca e a Milano. Sono stati spesi molti soldi nel passato e immagino se ne spenderanno anche nel futuro: si sono svolte Pag. 14indagini per identificare i responsabili di quegli atti vandalici ? Cosa subiranno i responsabili ?
  La seconda domanda riguarda i richiedenti asilo. Lei ha parlato prima di quasi 40.000 domande dall'inizio dell'anno a oggi.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. La cifra è 24.000.

  PAOLO ARRIGONI. Qual è la percentuale di accoglimento delle domande, e quindi quella dei respingimenti ? Per questi ultimi, quante persone in percentuale fanno ricorso ? Nel corso dei pronunciamenti dei vari gradi di giudizio, qual è la percentuale dei casi nei quali si riscontra un cambiamento del giudizio, dal respingimento all'accoglimento ? Per i soggetti che hanno fatto ricorso, qual è la permanenza media nei centri ?

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Per i dati dei ricorsi ci stiamo attrezzando con il sistema informatico; li farò avere, ma saranno approssimativi.
  I dati dal 2000 al 2012 sono tutti presenti nel documento. Vi manderemo anche i dati del 2013. Prima avevo menzionato le nazionalità di provenienza, ma ora vorrei soffermarmi sulle domande. La differenza è tra domande e persone. Su 22.872 persone, abbiamo 2.684 con status di rifugiato, 4.895 protezioni sussidiarie, 6.927 protezioni umanitarie, 5.959 – tanti – non riconosciuti, cioè denegati, 2.373 irreperibili. Per altri esiti il dato è 34, un numero molto basso.
  Le farò aver per iscritto il dato sulla permanenza nei centri. Il dato sui ricorsi è tra quelli per cui, essendo cambiata la competenza, abbiamo dovuto modificare il sistema informatico. I ricorsi, però, non arrivano sempre alla commissione ed è questa la difficoltà. Su questo abbiamo anche avviato una riflessione vedendo come funzionano gli altri sistemi dell'Unione europea. Noi abbiamo un sistema altamente garantista, con una commissione con componenti del Ministero dell'interno, rappresentanti dell'UNHCR e degli enti locali. In Svezia decide il singolo. Non hanno bisogno di troppa collegialità: cosa si dovrebbe chiedere a chi arriva dalla Siria o dall'Eritrea e sostiene di essere scappato a causa della guerra ? Serviranno dei discernimenti diversi.
  Proprio perché ci viene anche detto che non siamo molto bravi, molto preparati, anche a livello di commissione, lo scorso giugno abbiamo sottoscritto con l'Ufficio europeo di supporto all'asilo (EASO) un piano speciale per l'Italia, che è in corso e si concluderà nel 2014. Stiamo facendo tutti gli sforzi per raggiungere quanto meno gli stessi standard degli altri Paesi. Sarà difficile sostenere che ci stiamo muovendo se prima non ci adeguiamo. Perché, altrimenti, saremmo stati destinatari di tutte queste procedure di infrazione ? Obiettivamente alcune cose sono carenti.

  PAOLO ARRIGONI. Scusi, sui responsabili degli atti vandalici ?

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. I responsabili degli atti vandalici sono denunciati dalle forze di polizia. Alcuni hanno anche subito processi per direttissima, è un dato che possiamo farvi avere.
  Abbiamo anche delle telecamere all'interno del centro. Talora le persone, con grave rischio, si chiudono nelle stanze e danno fuoco a materassi con olio e zucchero. Se qualcuno muore lì dentro, il problema è serio. Si chiudono dall'interno delle stanze. All'estero, invece, li chiudono dall'esterno e li controllano.

  FEDERICO FAUTTILLI. Questa mattina, ascoltando l'intervento iniziale, sono rimasto colpito quando ha affermato che tutto quello che emerge dalla politica, ma anche dall'informazione, rispetto alle responsabilità dell'Unione europea è che dobbiamo essere, mi è sembrato di capire, abbastanza contenuti perché l'Europa fa quello che deve, soprattutto dal punto di Pag. 15vista degli aiuti economici. Lei sostiene che quel che forse manca è una condivisione delle responsabilità.
  Su questo aspetto, vorrei che precisasse ulteriormente quale potrebbe essere il ruolo dell'Europa nel condividere le responsabilità. In relazione all'operazione «Mare Nostrum», decisa dal Governo italiano, forse in quella fase era più opportuno da parte del nostro Governo far sì che un'operazione del genere fosse condivisa subito, e non successivamente, con l'Unione europea. Lei stessa affermava che quest'operazione rischia di snaturare la funzione di Frontex.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Mi sono espressa male, ma preciso. I principi che ispirano i trattati nel campo dell'immigrazione, ma anche in altri settori, si basano sulla solidarietà tra gli Stati, su una modalità di condividere certe azioni. Nel settore dell'immigrazione la solidarietà è zero.
  Durante gli incontri nell'ambito dell'Unione europea, dove tutti ci hanno espresso grande solidarietà perché siamo stati bravi, quando abbiamo chiesto di trovare un modo di condividere insieme l'azione che stiamo svolgendo in via bilaterale, nessuno ha risposto di volersene fare carico, secondo il famoso burden sharing. La misura c’è, ma nessuno ne vuole sapere.
  Esiste un motivo per non voler attivare la direttiva che ricordavo all'inizio, quella per il caso di massicci afflussi. Ogni Paese ha una forma di protezione al suo interno, negando le realtà dei fatti, da qui il nostro puntare i piedi. Diciamo loro: noi facciamo la nostra parte, voi dovete fare la vostra; ciò significa utilizzare gli strumenti che abbiamo, cioè la solidarietà.
  Addirittura, prima che si formalizzi Dublino III, abbiamo provato a sensibilizzare, quanto meno su casi eclatanti, di minori, giovanissimi che magari hanno uno zio, proponendo che si parta da subito con le nuove regole.
  L'operazione «Mare Nostrum» nasce da un preciso obbligo che a mio avviso abbiamo e a cui obbedivamo, ovviamente su un raggio più corto, prima ancora che entrassero in funzione le navi della Marina militare. Oggi, infatti, le navi sono molto avanti e funzionano da vasi comunicanti: la nave grande fa transitare le persone su un'altra, poi le fa ritransitare ancora. Per quest'attività di pattugliamento delle coste, però, l'Italia partecipa a un'infinità di programmi e progetti con Frontex, tramite la Guardia costiera e, soprattutto, la Guardia di Finanza.
  Ci obiettano che, avendo noi avviato l'operazione «Mare Nostrum», stiamo mettendo in campo un fattore di attrazione rispetto a queste persone, senza rendersi conto che stiamo cercando di evitare che si ripetano altri naufragi in mare, un concetto completamente diverso.
  Per noi Frontex deve partecipare insieme alle nostre navi. Frontex può controllare il Mediterraneo orientale, perché anche da lì riceviamo una forte pressione. Andrà bene finché reggerà la Turchia, ma se la Turchia non reggerà più, l'arrivo dalla zona orientale sarà inarrestabile. Abbiamo ancora persone che preferiscono rimanere lì nella speranza che si risolvano i conflitti nei loro Paesi, che non vogliono lasciare.
  Di tutti gli eritrei che sono arrivati, i primi dei quali avevano anche una discreta capacità economica e che sicuramente non sono più in Italia, le assicuro che nessuno ci ha chiesto di farli tornare indietro. Credo che dobbiamo domandarci perché.
  Passando a trattare del resettlement, che potrebbe essere legato alla situazione del Mediterraneo orientale, ricordo che il nostro Paese non è mai andato a «scegliere» chi portare in Italia. Fino a oggi sono tutti falliti i progetti di resettlement, ma il punto è che manca la definizione di cosa far fare alle persone dopo il resettlement. Non basta, infatti, andare a prenderli e dire che li si assisterà per due anni se non si garantisce una fase successiva.
  Gli altri Paesi compiono operazioni di resettlement selezionando chi portare nei loro Paesi. Credo che questo debba farci interrogare su come, negli anni, non ci Pag. 16siamo strutturati a pensare anche a una serie di altre misure che potevano essere, viceversa, messe in campo.

  RICCARDO MAZZONI. Vorrei chiedere rapidamente se i CIE, rispetto al costo che comporta mantenerli aperti, hanno avuto l'effetto sperato, tenuto conto che intere comunità, come quella cinese, non danno nessun tipo di ausilio all'identificazione dei loro cittadini, come so per esperienza.
  Vorrei sapere anche, in percentuale, quanti degli ospiti dei CIE sono trasferiti dalle carceri e se non sarebbe più opportuno identificarli nelle carceri anziché farli transitare in quei centri.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Era quello che stavo cercando di dire prima, quando ho distinto il problema dell'identificazione. È un'attività che sta svolgendo il Dipartimento della pubblica sicurezza, precisamente la Direzione centrale dell'immigrazione e polizia delle frontiere, insieme al Ministero della giustizia.

  RICCARDO MAZZONI. A me risulta il 70-80 per cento.

  ANGELA PRIA, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Questo è un dato che non conosco, ma possiamo acquisirlo. Suppongo che ascolterete anche il responsabile della Direzione centrale dell'immigrazione e potrete avere il dato anche da loro.

  PRESIDENTE. Ringrazio moltissimo il prefetto e tutti gli intervenuti. Aspettiamo i documenti. È stata veramente una seduta molto esaustiva e per noi fondamentale.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.40.