XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Lunedì 18 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 5 

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 5 ,
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 5 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 13 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 13 ,
Galli Giampaolo (PD)  ... 14 ,
Tonini Giorgio  ... 14 ,
D'Alì Antonio  ... 15 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 16 ,
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 16 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 17 ,
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 18 ,
Gaiotti Eugenio , capo del Dipartimento economia e statistica della Banca d'Italia ... 20 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 21 

Audizione di rappresentanti di «Sbilanciamoci!» (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 21 ,
Naletto Grazia , presidente di Lunaria-Associazione di promozione sociale e co-coordinatore della Campagna «Sbilanciamoci!» ... 21 ,
Marano Angelo , rappresentante della Campagna «Sbilanciamoci!» ... 21 ,
Naletto Grazia , presidente di Lunaria-Associazione di promozione sociale e co-coordinatore della Campagna «Sbilanciamoci!» ... 23 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 25 ,
Marchi Maino (PD)  ... 25 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 25 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 26 ,
Zanoni Magda Angela  ... 26 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 26 ,
Marano Angelo , rappresentante della Campagna «Sbilanciamoci!» ... 26 ,
Naletto Grazia , presidente di Lunaria-Associazione di promozione sociale e co-coordinatore della Campagna «Sbilanciamoci!» ... 27 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 27 

Audizione di rappresentanti di ANIA (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 27 ,
Focarelli Dario , direttore generale di ANIA ... 28 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 30 ,
Palese Rocco (Misto-CR)  ... 30 ,
Marchi Maino (PD)  ... 30 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 31 ,
Focarelli Dario , direttore generale di ANIA ... 31 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 32 

Audizione di rappresentanti di ANCE e Confedilizia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 32 ,
Gennari Antonio , vicedirettore generale di ANCE ... 32 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 34 ,
Spaziani Testa Giorgio , presidente di Confedilizia ... 34 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 37 ,
D'Alì Antonio  ... 37 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 38 ,
Spaziani Testa Giorgio , presidente di Confedilizia ... 38 ,
Gennari Antonio , vicedirettore generale di ANCE ... 39 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 39 

Audizione di rappresentanti di Confapi e Alleanza delle cooperative italiane (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 39 ,
Colombo Franco , vicepresidente nazionale di Confapi ... 40 ,
Altieri Rosario , presidente di Alleanza delle Cooperative italiane ... 42 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 45 ,
Cariello Francesco (M5S)  ... 45 ,
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 45 ,
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 46 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 46 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 47 ,
Colombo Franco , vicepresidente nazionale di Confapi ... 47 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 49 ,
Altieri Rosario , presidente di Alleanza delle cooperative italiane ... 49 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 50 ,
Venturelli Marco , vicesegretario generale Confcooperative ... 50 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 50 

Audizione di rappresentanti dell'ABI (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 50 ,
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 50 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 54 ,
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 55 ,
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 55 ,
D'Alì Antonio  ... 56 ,
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 56 ,
D'Alì Antonio  ... 56 ,
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 56 ,
D'Alì Antonio  ... 56 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 57 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 57 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 57 ,
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 57 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 60 

(La seduta, sospesa alle 18.20, riprende alle 18.30) ... 60 

Audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e Conferenza delle regioni e delle province autonome (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Tonini Giorgio , Presidente ... 60 ,
Castelli Guido , delegato per la finanza locale dell'ANCI e sindaco di Ascoli Piceno ... 60 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 63 ,
Rinaldi Giuseppe , presidente dell'UPI Lazio e presidente della provincia di Rieti ... 63 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 65 ,
Garavaglia Massimo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia ... 65 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 67 ,
Marchi Maino (PD)  ... 67 ,
Palese Rocco (Misto-CR)  ... 68 ,
Zanoni Magda Angela  ... 69 ,
D'Alì Antonio  ... 69 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 70 ,
Castelli Guido , delegato per la finanza locale dell'ANCI e sindaco di Ascoli Piceno ... 70 ,
Ferri Andrea , responsabile area finanza locale e catasto dell'ANCI ... 71 ,
Rinaldi Giuseppe , presidente dell'UPI Lazio e presidente della provincia di Rieti ... 72 ,
Garavaglia Massimo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia ... 73 ,
Marchi Maino (PD)  ... 73 ,
Garavaglia Massimo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia ... 73 ,
D'Alessio Lidia , assessore al bilancio della regione Campania ... 73 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 74 

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Tonini Giorgio , Presidente ... 74 ,
Barbi Danilo , segretario confederale CGIL ... 74 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 76 ,
Petriccioli Maurizio , segretario confederale CISL, responsabile dipartimento democrazia economica, fisco e previdenza ... 77 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 78 ,
Loy Guglielmo , segretario confederale UIL ... 78 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 80 ,
Capone Francesco Paolo , segretario generale UGL ... 80 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 82 ,
Santini Giorgio  ... 82 ,
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 83 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 84 ,
Barbi Danilo , segretario confederale CGIL ... 84 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 86 ,
Petriccioli Maurizio , segretario confederale CISL, responsabile dipartimento democrazia economica, fisco e previdenza ... 86 ,
Loy Guglielmo , segretario confederale UIL ... 87 ,
Capone Francesco Paolo , segretario generale UGL ... 88 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 89 

Audizione di rappresentanti di Confindustria e R.ETE. Imprese Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Tonini Giorgio , Presidente ... 89 ,
Paolazzi Luca , direttore Centro studi di Confindustria ... 89 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 95 ,
Bussoni Mauro , segretario generale di Confesercenti ... 95 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 98 ,
D'Alì Antonio  ... 98 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 98 ,
Mandelli Andrea  ... 99 ,
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 99 ,
Santini Giorgio  ... 100 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 100 ,
Paolazzi Luca , direttore Centro studi di Confindustria ... 100 ,
Mariotti Francesca , direttrice politiche fiscali di Confindustria ... 102 ,
Bussoni Mauro , segretario generale di Confesercenti ... 102 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 103

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 13.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti
della Banca d'Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Banca d'Italia.
  Ringrazio il presidente Tonini e i colleghi del Senato.
  Ringrazio il dottor Signorini, vicedirettore generale e componente del Direttorio della Banca d'Italia, e la delegazione che lo assiste e lo accompagna.
  Do la parola al dottor Signorini.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Grazie, presidente Boccia, grazie, presidente Tonini, per il consueto invito a rendere questa testimonianza di fronte alle Commissioni riunite. Come uso, comincerò con il quadro macroeconomico, poi passerò alle stime e ai programmi per i conti pubblici per quest'anno e per i successivi e, infine, farò qualche sintetica considerazione sul programma di riforme.
  Cominciando dal quadro macroeconomico, l'espansione dell'economia globale si sta rivelando più lenta di quanto atteso dalla maggior parte degli analisti. Le prospettive dei Paesi emergenti restano un elemento di rischio. Il ridimensionamento delle aspettative di crescita mondiale si è riflesso in una marcata volatilità dei corsi azionari. Nell'area dell'euro in particolare la ripresa prosegue, ma resta fragile. I prezzi continuano a ristagnare. A marzo l'inflazione misurata sui dodici mesi precedenti è stata pari a zero e anche la componente di fondo è rimasta debole (1 per cento).
  Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha adottato, come è noto, un cospicuo insieme di misure espansive, comprendenti un ampliamento del programma di acquisto dei titoli, nuove operazioni mirate di rifinanziamento a lungo termine e un'ulteriore riduzione dei tassi d'interesse ufficiali. Lo stimolo monetario contribuisce a sostenere l'attività economica e i prezzi, favorendo l'afflusso di credito all'economia, garantendo certezza sulla disponibilità e sul costo della raccolta bancaria, abbattendo il costo del capitale per le imprese, sostenendo il valore della ricchezza delle famiglie e stimolando il mercato immobiliare.
  In Italia la ripresa è proseguita nell'ultimo trimestre del 2015 a ritmi più contenuti del previsto. Essa è stata sostenuta da consumi e investimenti, ma rallentata da una battuta d'arresto nella ricostituzione delle scorte di magazzino. Pag. 6
  Nel primo trimestre di quest'anno il prodotto dovrebbe avere accelerato lievemente rispetto alla fine del 2015, stando all'insieme dei dati qualitativi e quantitativi che abbiamo potuto finora esaminare. Le prospettive della domanda interna restano favorevoli. Per il primo trimestre vi sono indicazioni positive tanto sulla spesa delle famiglie, quanto sull'attività delle imprese e anche attese favorevoli sull'andamento del mercato del lavoro.
  I miglioramenti dell'occupazione nel 2015, maggiori di quanto previsto un anno fa, hanno riflesso sia la ripresa dell'attività economica, sia i provvedimenti del Governo. Il lieve calo dell'occupazione nella media del mese di gennaio e di febbraio risente probabilmente della riduzione degli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato. Sulle prospettive dell'economia italiana pesano, però, le incertezze relative al commercio internazionale.
  Dopo la battuta d'arresto di fine anno, tenuto conto degli andamenti dei primi due mesi e utilizzando nostre stime per marzo, la produzione industriale dovrebbe essere tornata a espandersi nel primo trimestre 2016 poco meno dell'1 per cento, secondo quello che ci attendiamo, in confronto al periodo precedente. Nei tre mesi terminanti a febbraio i prestiti alle società non finanziarie sono aumentati dello 0,7 per cento al netto dei fattori stagionali in ragione d'anno, quelli alle famiglie hanno accelerato all'1,3 per cento.
  Il miglioramento del quadro congiunturale si è riflesso in un'ulteriore riduzione del flusso dei nuovi crediti deteriorati, sceso nel quarto trimestre, in rapporto al totale dei crediti, al 3,3 per cento, il valore più basso dal terzo trimestre del 2008, ossia da sette anni a questa parte. Inoltre, secondo dati preliminari, lo stock di crediti deteriorati è lievemente sceso in valore assoluto, segnando così, se i dati preliminari saranno confermati, un'inversione di tendenza.
  Nel Documento di economia e finanza (DEF) si stima che nel 2016 il PIL dell'Italia aumenti dell'1,2 per cento. La previsione è stata rivista al ribasso di 4 decimi di punto percentuale rispetto a quanto indicato in autunno. In particolare, viene meno l'impulso degli scambi con l'estero, in deciso rallentamento, ma accelera la domanda interna. I consumi beneficiano della ripresa del reddito disponibile e del miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro e gli investimenti tornano a crescere anche nel settore delle costruzioni, dopo nove anni consecutivi di calo.
  L'inflazione al consumo è solo marginalmente positiva (2 decimi di punto percentuale), data soprattutto la flessione dei prezzi dei beni energetici importati. I prezzi interni, misurati con il deflatore del PIL, aumentano dell'1 per cento, con una leggera accelerazione rispetto all'anno precedente.
  Per il triennio che comincia nel 2017 lo scenario tendenziale nel DEF valuta che la crescita del PIL prosegua in media allo stesso ritmo previsto per quest'anno (1,2 per cento). Lo scenario è stato rivisto al ribasso rispetto all'autunno di 4 decimi di punto nel 2017 e di 3 decimi nel 2018.
  L'inflazione al consumo tornerebbe vicino al 2 per cento a partire dall'anno prossimo e il deflatore del PIL salirebbe all'1,4 per cento nel 2017. Nel quadro a legislazione vigente l'accelerazione dei prezzi sarebbe in gran parte l'effetto del rialzo delle imposte indirette derivante dall'applicazione delle clausole di salvaguardia, delle quali tuttavia, come è noto e come tornerò ad accennare, si prevede l'abrogazione nello scenario programmatico.
  Le valutazioni del Governo sulle prospettive di crescita e inflazione per il 2016 si collocano all'interno dell'intervallo delle stime più recenti dei principali previsori internazionali ufficiali e privati, che sono state tutte negli ultimi mesi riviste al ribasso. Secondo le ultime proiezioni del Fondo monetario internazionale, il PIL dell'Italia crescerebbe dell'1 per cento nel 2016. Nelle valutazioni dei previsori censiti da Consensus Economics crescerebbe tra l'1 e l'1,2 per cento. Sono questi i valori che corrispondono al 25° e 75° percentile della distribuzione: metà dei previsori stanno in questo intervallo.
  Le previsioni tendenziali del DEF sulla crescita nel triennio 2017-2019 sono in linea con la media delle più recenti stime di Pag. 7Consensus Economics per lo stesso periodo. Lo scenario del DEF è basato sull'ipotesi che permangano condizioni finanziarie favorevoli, sostenute dalla politica monetaria espansiva, che l'economia mondiale si rafforzi e che questo rafforzamento non abbia significative ripercussioni sui prezzi delle materie prime.
  Le ipotesi su questi ultimi, ossia sui prezzi delle materie prime, sono coerenti con le attuali quotazioni dei contratti futures, sebbene naturalmente molto variabili di momento in momento anche in relazione ai numerosi eventi che le influenzano. I contratti futures comunque scontano prezzi del petrolio nel 2019 tuttora inferiori alla media del 2015. Queste osservazioni le abbiamo scritte prima della conclusione con un nulla di fatto, per quello che capisco, del vertice dei Paesi produttori. Pertanto, queste indicazioni dovrebbero essere senz'altro confermate, se non accentuate.
  Lo scenario del DEF non può dirsi implausibile sulla base dell'attuale situazione congiunturale. Resta il rischio di evoluzioni meno favorevoli. Le tensioni geopolitiche, in particolare, potrebbero ripercuotersi sulla fiducia di famiglie e imprese. I mercati finanziari restano soggetti a una forte volatilità.
  Per il prossimo triennio lo scenario programmatico del DEF prefigura una crescita media dell'1,4 per cento all'anno, più elevata di 2 decimi di punto di quella del quadro tendenziale. La maggiore crescita sarebbe dovuta soprattutto ai consumi privati, che alla fine del triennio sarebbero più elevati di un punto percentuale rispetto al tendenziale. L'inflazione sarebbe, invece, più contenuta, fermandosi all'1,3 nel 2017 e all'1,6 nel 2018, rispetto all'1,8 che il quadro tendenziale prevede per entrambi gli anni.
  La differenza tra i due scenari è dovuta essenzialmente alla manovra di bilancio programmata per il prossimo anno. Il Governo non prevede di dare seguito agli aumenti delle imposte indirette previsti dalla legislazione vigente, abrogando le clausole di salvaguardia a suo tempo stabilite. La perdita di gettito legata a questa decisione ammonterebbe a 15 miliardi circa nel 2017 e a ulteriori 4,5 miliardi a partire dal 2018, per un totale di 19,6 miliardi a regime, e verrebbe compensata solo in parte. Ne deriverebbe un profilo meno accentuato della correzione dei conti, con un'intonazione della politica di bilancio, valutata con la variazione del saldo primario corretto per il ciclo, che resterebbe espansiva anche nel 2017.
  Gli effetti espansivi della manovra prefigurata dal Governo presuppongono che gli interventi compensativi del mancato gettito dovuto all'eliminazione delle clausole di salvaguardia abbiano limitate ripercussioni negative sulle attività economiche. Il DEF non definisce il dettaglio dei provvedimenti; da questi dipende una più completa valutazione degli effetti degli interventi programmatici, in quanto le diverse componenti del bilancio pubblico hanno impatti differenziati sulle attività economiche. In particolare, gli effetti recessivi di misure correttive possono essere meno accentuati se effettuati mediante recuperi di efficienza, da conseguire anche con il riordino delle agevolazioni fiscali e attraverso il contenimento dei prezzi nell'acquisto dei beni e dei servizi.
  Passiamo a esaminare lo stato dei conti pubblici quale lo vediamo alla data di oggi. Nel 2015 l'indebitamento netto si è collocato al 2,6 per cento del prodotto, come previsto dal Governo nel DEF dello scorso anno.
  La riduzione rispetto al 2014, pari a 4 decimi di punto percentuale, è riconducibile essenzialmente al calo della spesa per interessi (4,2 per cento), mentre l'avanzo primario è rimasto stabile all'1,6 per cento del PIL. Sia le entrate complessive, sia le spese primarie si sono, infatti, ridotte di un identico valore di 0,3 punti percentuali di prodotto. Poiché la dimensione di questi aggregati è molto simile, questi 3 decimi di punto valgono più o meno altrettanto anche in termini di valori assoluti e, quindi, non si è modificato l'avanzo primario.
  Considerato il credito d'imposta riconosciuto ai lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi come una riduzione di entrata, la pressione fiscale è diminuita dal 43,2 per Pag. 8cento del 2014 al 42,9 del 2015. È tuttavia rimasta superiore per circa 2,5 punti percentuali alla media registrata nel decennio precedente la crisi dei debiti sovrani. In un'ottica di più lungo periodo la pressione fiscale in Italia, pari al 40,1 per cento nel 2000, aveva raggiunto un minimo del 2005 (39,1), per poi salire fino al 41,5 nel 2007 e al 43,6 nel biennio 2012-2013. Nel 2014, principalmente per effetto del credito d'imposta, essa ha iniziato a ridursi.
  Il calo dell'incidenza della spesa primaria sul PIL realizzato nel 2015 riflette una significativa riduzione della componente corrente (6 decimi di punto percentuale), mentre, al contrario, è lievemente cresciuta la componente in conto capitale, di 3 decimi di punto.
  Nel passato – sull'andamento della spesa corrente credo sia opportuno anche avere uno sguardo di medio periodo – la spesa primaria tendeva a crescere a tassi sostenuti. Tra il 2000 e il 2008 il tasso medio di incremento annuo è stato superiore al 4 per cento, circa mezzo punto percentuale in più della crescita nominale del prodotto. Correggendo per il credito d'imposta sopra menzionato, dal 2009 al 2014 le misure di contenimento definite nel tempo hanno contribuito a limitarne l'aumento all'1,4 per cento. Lo scorso anno le erogazioni primarie correnti si sono ridotte in termini nominali.
  Un contributo rilevante al contenimento della spesa primaria corrente tra il 2009 e il 2015 è venuto dalla spesa per i redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche, che è diminuita in media dello 0,7 per cento l'anno. Questa contrazione è il risultato di misure che hanno limitato il turnover dei dipendenti pubblici e hanno congelato per diversi anni le retribuzioni pubbliche. La contrattazione dovrebbe riprendere nell'anno in corso. Sempre tra il 2009 e il 2015 hanno, invece, continuato a crescere le prestazioni sociali, del 2,3 per cento in media annua. Tra queste ultime, ossia tra le spese per prestazioni sociali, la spesa pensionistica è cresciuta in media circa del 2 per cento l'anno, pressoché la metà del tasso registrato nel decennio precedente, come conseguenza delle riforme attuate a partire dagli anni Novanta.
  Gli oneri per interessi sono diminuiti nel 2015 per il terzo anno consecutivo (7,9 per cento è il tasso di diminuzione) essenzialmente grazie agli interventi eccezionali della politica monetaria e, in particolare, al programma di acquisto di titoli pubblici deciso dal Consiglio direttivo della BCE nel gennaio dell'anno scorso. Nel 2012, a seguito delle tensioni sul mercato dei titoli di Stato, in particolare dei titoli di Stato italiani, l'incidenza della spesa per interessi sul PIL aveva raggiunto il 5,2 per cento. Nel 2015 è risultata pari al 4,2 per cento, con un risparmio di oltre 15 miliardi rispetto al 2012. Nelle stime del Governo essa continuerebbe a ridursi.
  Nel 2015 l'incidenza del debito delle amministrazioni pubbliche sul prodotto è aumentata ancora, ma di soli 2 decimi di punto percentuale rispetto all'anno precedente, portandosi al 132,7 per cento. L'incremento è risultato inferiore a quanto previsto dal Governo nei documenti programmatici dello scorso anno, grazie anche alla marcata riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro (quasi 11 miliardi, cioè 7 decimi di punto percentuale di PIL).
  Quanto agli indicatori disponibili sull'andamento dei conti pubblici all'inizio di quest'anno, è ancora presto. Le informazioni sono troppo parziali per avere un quadro delle tendenze per l'intero 2016. In realtà, sebbene il fabbisogno del settore statale nel primo trimestre sia risultato superiore rispetto al corrispondente periodo del 2015, l'aumento è in larga parte riconducibile a operazioni finanziarie straordinarie e a disomogeneità temporali. Nel testo che vi è stato consegnato c'è qualche dettaglio in merito.
  Veniamo ora al quadro previsivo e all'andamento prospettico dei conti pubblici tra l'anno in corso e il 2019, analizzando, come di consueto, prima l'andamento previsto dal DEF a legislazione vigente, cioè le stime tendenziali, e poi l'effetto degli interventi che il Governo intende attuare.
  A legislazione vigente l'indebitamento netto scenderebbe dal 2,6 per cento del PIL dell'anno scorso al 2,3 di quest'anno, all'1,4 Pag. 9nel 2017 e allo 0,3 nel 2018, mentre nel 2019 si registrerebbe un avanzo dello 0,4 per cento del prodotto. Nel periodo 2016-2019 l'incidenza delle spese complessive sul PIL si ridurrebbe di 3,8 punti percentuali, dal 50,5 per cento del 2015 al 46,7 nel 2019. Più della metà della diminuzione sarebbe dovuta al calo delle spese primarie correnti, cioè delle spese al netto della spesa per interessi, che tra il 2015 al 2019 passerebbero da poco più del 42 per cento ad appena meno del 40 per cento del PIL, grazie soprattutto a una contrazione degli oneri per redditi da lavoro dipendente e per consumi intermedi.
  Le spese in conto capitale si ridurrebbero anch'esse di 8 decimi di punto – dal 4,1 al 3,3 per cento – quelle per interessi si ridurrebbero ancora, come ho già accennato, di 7 decimi di punto, dal 4,2 al 3,5 per cento. Nello stesso periodo l'incidenza delle entrate sul prodotto calerebbe più lentamente, di 8 decimi di punto percentuale di PIL, dal 47,9 al 47,1 per cento, e le imposte dirette diminuirebbero di 8 decimi di punto, al 14 per cento, anche per gli effetti della riduzione dell'aliquota dell'IRES. Al contrario, le imposte indirette, per le quali nello scenario tendenziale rilevano le clausole di salvaguardia, crescerebbero di 3 decimi di punto.
  Il peso dei contributi sociali sul prodotto si ridurrebbe temporaneamente nel biennio 2016-2017, risentendo degli effetti degli sgravi per i neoassunti introdotti con le leggi di stabilità di quest'anno e dell'anno precedente.
  Nello scenario tendenziale – ancora di questo stiamo parlando – il debito delle amministrazioni pubbliche in rapporto al prodotto diminuirebbe lievemente nell'anno in corso e più marcatamente nel triennio successivo. Complessivamente la riduzione nel periodo 2016-2019 sarebbe superiore a 9 punti percentuali di prodotto.
  Veniamo ora agli obiettivi e agli interventi del Governo. Nel programma per il prossimo anno si prevede una politica di bilancio più espansiva rispetto a quella decisa lo scorso autunno, soprattutto in considerazione di una ripresa economica ancora debole. Alla fine dell'orizzonte di programmazione l'orientamento sarebbe, invece, più restrittivo. Il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali, che rappresenta l'obiettivo di medio termine per il nostro Paese sulla base delle regole europee, è nuovamente posticipato. Nel 2019 il disavanzo strutturale si collocherebbe allo 0,2 per cento del PIL, contro lo 0,3 nel 2017 e il pareggio nel 2018 indicati in autunno.
  L'incidenza del debito pubblico sul prodotto si ridurrebbe lievemente nell'anno in corso e di quasi 9 punti nel periodo complessivo, cioè tra il 2016 e il 2019. La riduzione è pressoché uguale a quella prevista nello scenario tendenziale, grazie a una dinamica del prodotto lievemente superiore e a una più favorevole evoluzione dell'aggiustamento stock-flussi.
  Per l'anno in corso il Governo prevede di ridurre l'indebitamento netto di 3 decimi di punto rispetto al consuntivo del 2015 e al 2,3 per cento del PIL. Sarebbe il livello più basso dal 2007. L'obiettivo sarebbe raggiunto grazie sia a una riduzione della spesa per interessi (2 decimi di punto, al 4 per cento del PIL) sia a un leggero miglioramento dell'avanzo primario (un decimo di punto, all'1,7 per cento del PIL). Quest'ultimo è connesso anche con il controllo delle erogazioni, con un impegno amministrativo nell'attività di riscossione e con un moderato incremento nell'attività di dismissione immobiliare. Il disavanzo strutturale, ottenuto correggendo il saldo di bilancio per gli effetti del ciclo economico e delle misure temporanee, aumenterebbe nel 2016 di 7 decimi di punto percentuali del prodotto.
  Per l'anno prossimo, come ho già detto, il Governo programma di non applicare le clausole di salvaguardia introdotte con la legge di stabilità per il 2015, che prevederebbero un aumento delle aliquote dell'IVA tale da garantire nel 2017 un maggior gettito pari a 15,1 miliardi (19,6 a partire dall'anno successivo), includendo anche l'inasprimento delle accise sugli oli minerali. Tale misura verrebbe solo parzialmente compensata, per un importo valutabile in circa mezzo punto percentuale del PIL, con interventi di revisione della spesa, incluse le Pag. 10tax expenditures, e di rafforzamento del contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, i cui dettagli verranno definiti con il disegno di legge di stabilità per il 2017.
  Tanto l'intenzione del Governo di riordinare l'impianto complessivo delle agevolazioni fiscali (le tax expenditures) quanto il prosieguo dell'attività di spending review rappresentano obiettivi condivisibili, potendo accrescere l'efficienza sia del sistema fiscale sia della spesa pubblica. Anche il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale è importante. Le risorse attese dal provvedimento in materia andrebbero naturalmente valutate in modo prudenziale. Sarebbe utile in particolare che le commissioni interistituzionali dedicate a questi temi avviassero speditamente i propri lavori.
  Nel complesso, l'indebitamento netto si ridurrebbe dal 2,3 per cento del PIL nell'anno in corso all'1,8 nel 2017, contro l'1,4 previsto dal quadro tendenziale. Il disavanzo strutturale diminuirebbe di un decimo di punto percentuale del prodotto.
  Nel biennio successivo (2018-2019) il miglioramento dei conti sarebbe sensibilmente più rapido e consentirebbe di raggiungere un disavanzo dello 0,9 per cento del PIL nel 2018 e un avanzo dello 0,1 nel 2019, contro un disavanzo di 0,3 e un avanzo di 0,4 nei due anni nel quadro tendenziale. L'avanzo primario salirebbe progressivamente dal 2 per cento del PIL nel 2017 al 3,6 nel 2019. In termini strutturali, la correzione dei conti sarebbe pari a tre decimi di punto nel 2018 e a sei decimi nel 2019. Questa politica di bilancio consentirebbe al Paese di raggiungere un livello del saldo strutturale molto vicino al pareggio nel 2019, risultato che in autunno era sostanzialmente atteso per il 2017.
  Come si evidenzia nel DEF, il Governo programma per il 2017 un aggiustamento in termini strutturali inferiore a quello richiesto in linea di principio dalle regole di rientro verso il pareggio di bilancio, in quanto un'intonazione più restrittiva è ritenuta inopportuna e controproducente. La Commissione europea valuterà la posizione e i programmi del nostro Paese dopo l'aggiornamento delle sue previsioni, atteso per l'inizio di maggio.
  Quanto al debito, secondo i programmi del Governo, nell'anno in corso l'incidenza del debito pubblico sul PIL si ridurrebbe per la prima volta dal 2007. Il calo (circa tre decimi di punto percentuale) segnerebbe un importante punto di svolta simbolico per i conti pubblici, dopo il sia pur leggero aumento registrato ancora nel 2015. A questo risultato contribuirebbero l'aumento del prodotto nominale, il contenimento della spesa per interessi e un programma di privatizzazioni per mezzo punto percentuale di PIL.
  La discesa del rapporto tra debito e PIL sarebbe più marcata nel triennio 2017-2019. Al termine del 2019 l'incidenza del debito si collocherebbe al 123,8 per cento del prodotto. Questo livello è più alto di circa quattro punti rispetto a quanto atteso in autunno, rispecchiando le previsioni di una crescita più contenuta del prodotto nominale e disavanzi più elevati. Per l'anno in corso, l'incidenza del debito sul prodotto è circa un punto al di sopra di quanto indicato dal Governo in autunno, nonostante il disavanzo atteso non sia variato significativamente. La differenza deriva in parte dalla revisione al ribasso del tasso di crescita del prodotto nominale.
  Come sottolineato dal Governo, nel nuovo quadro programmatico il criterio numerico della regola del debito non sarebbe rispettato né nell'anno in corso né nel successivo. Il Governo considera importanti una serie di fattori, tra i quali i rischi di stagnazione, gli effetti negativi di eccessivi consolidamenti di bilancio, i costi delle riforme strutturali e per l'accoglienza dei migranti e la solidità complessiva dei conti, valutata sia in termini storici, in virtù dei buoni avanzi primari conseguiti negli ultimi anni, sia in termini prospettici, con riguardo all'indicatore di sostenibilità di lungo periodo (S2), uno degli indicatori di sostenibilità delle finanze pubbliche calcolati dalla Commissione europea. Nei prossimi mesi la Commissione e il Consiglio valuteranno anche il rispetto della regola del debito.
  Quanto al Programma nazionale di riforma, infine, la strategia di riforma delineata nel DEF si pone in continuità con l'azione in corso da anni e si concentra Pag. 11soprattutto sulla realizzazione dei programmi già avviati. Essa riguarda: il funzionamento dei mercati del lavoro e dei prodotti, la competitività del sistema produttivo, il funzionamento del sistema bancario, il finanziamento alle imprese e il contesto istituzionale in cui si svolge l'attività economica.
  Le priorità e gli ambiti di azione individuati appaiono largamente condivisibili e sono in linea con le raccomandazioni formulate dal Consiglio dell'Unione europea nell'ambito della procedura di sorveglianza degli squilibri macroeconomici.
  In alcune aree, in particolare in quella del mercato del lavoro, il processo di riforma è in una fase avanzata e ha generato effetti già visibili e quantificabili. In altre, soprattutto quelle attinenti al funzionamento della pubblica amministrazione, l'azione riformatrice è in corso e i risultati non potranno che essere graduali. Miglioramenti si registrano nella fase di adozione della regolamentazione attuativa. Rimangono meritevoli di attenzione l'attuazione pratica e il monitoraggio delle politiche. Si sono invece avuti limitati progressi nell'apertura dei mercati alla concorrenza, ad esempio nel comparto dei servizi pubblici locali e nelle professioni legali.
  Nel mercato del lavoro, la riforma avviata con la legge delega nota come Jobs Act è stata quasi interamente completata.
  Secondo nostre stime, la revisione della disciplina dei rapporti di lavoro ha contribuito, al pari della decontribuzione in vigore dal gennaio del 2015, a raddoppiare la probabilità che un contratto a tempo determinato venga convertito in uno a tempo indeterminato. La maggiore diffusione di rapporti di lavoro stabili potrà avere effetti benefici in termini di accumulazione di capitale umano da parte dei lavoratori, capacità innovativa e produttività delle imprese. La nuova disciplina ha dato anche un contributo non trascurabile all'espansione dell'occupazione, innestandosi sulla spinta attribuibile alla ripresa ciclica e al minor costo del lavoro derivante dagli sgravi contributivi. Andrà considerata con attenzione l'opportunità di prevedere riduzioni permanenti del cuneo fiscale, a beneficio della crescita e dell'occupazione.
  Gli altri provvedimenti previsti dal Jobs Act, in particolare la revisione della cassa integrazione guadagni e del sistema degli ammortizzatori sociali, contribuiscono a disegnare un assetto istituzionale più efficiente, integrando opportunamente la maggiore flessibilità nell'utilizzo del fattore lavoro insita nella nuova disciplina dei licenziamenti.
  Nel Programma nazionale di riforma si ricorda la reintroduzione della detassazione del salario di produttività, avvenuta con la legge di stabilità per il 2016. Si prefigura un intervento per ridefinire il rapporto tra il contratto aziendale, che prevarrebbe nella definizione degli aspetti relativi all'organizzazione del lavoro, e quello nazionale, chiarendo gli ambiti di applicazione di entrambi.
  Creare le condizioni di contesto più favorevoli all'attività economica è un obiettivo condivisibile e importante del piano di riforma. Le priorità del Governo sono: l'innalzamento dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione pubblica, il miglioramento del funzionamento della giustizia civile e la realizzazione di un adeguato sistema di prevenzione e repressione della corruzione. In tutti questi ambiti sono in corso azioni di riforma.
  Con l'approvazione della relativa legge delega, l'estate scorsa è stato avviato un ampio e ambizioso programma di riforma della pubblica amministrazione. È importante, non meno che rispettare i tempi previsti per l'adozione delle norme, prevedere strumenti di monitoraggio, per assicurare che il cambiamento normativo abbia in concreto gli effetti desiderati sul funzionamento delle amministrazioni pubbliche.
  Nel settore della giustizia civile si registrano segnali di miglioramento, soprattutto una sensibile riduzione del contenzioso e delle pendenze. Dalla fine del 2009 al 30 giugno 2015 il numero dei procedimenti pendenti negli uffici giudiziari si è ridotto di oltre il 20 per cento. Tale risultato riflette sia le misure adottate per ridurre il numero di ricorsi portati in giudizio Pag. 12 sia, almeno per alcune materie, gli effetti del prolungato periodo di crisi economica. Il permanere di significative differenze nella performance degli uffici giudiziari indica che vi sono spazi per aumenti di produttività, realizzabili con l'adozione di misure di natura organizzativa da incentivare opportunamente. Le semplificazioni del rito processuale previste nella legge delega in discussione in Parlamento potranno contribuire a favorire una più celere conclusione dei procedimenti.
  Nell'azione di contrasto alla corruzione, alle misure adottate negli anni scorsi si aggiungono i recenti provvedimenti normativi nel settore dei contratti pubblici, che introducono presìdi più stringenti in termini di trasparenza delle informazioni, gestione dei conflitti di interesse e funzioni di controllo in capo all'autorità di settore. È un ambito cruciale d'intervento, considerata la permeabilità del settore a fenomeni corruttivi. Le disposizioni della legge delega e del nuovo codice dei contratti pubblici, ove tempestivamente attuate, possono ripercuotersi positivamente anche sugli investimenti pubblici, assicurando un quadro di riferimento più chiaro e stabile per gli operatori e promuovendo la concorrenza nel settore.
  L'eredità della crisi per le finanze pubbliche è pesante. Dal 2007 a oggi il rapporto fra il debito pubblico e il PIL è aumentato di un terzo.
  L'incremento del debito ha riflesso soprattutto la stagnazione del prodotto nominale. Un semplice esercizio molto meccanico dice che, se dall'inizio della crisi il prodotto reale fosse cresciuto in linea con il decennio precedente e il deflatore in linea con l'obiettivo d'inflazione dell'area dell'euro, per un puro effetto meccanico, il peso del debito sarebbe oggi solamente di tre punti anziché di 33 punti più alto di quello del 2007.
  Questo conferma che l'azione sui conti pubblici è inscindibile da una politica economica orientata a creare le condizioni per una crescita robusta e duratura. Le misure strutturali già adottate dal Governo e dal Parlamento stanno cominciando a dare effetti, percepiti anche dall'opinione pubblica internazionale. Per consolidarli, sarà opportuno proseguire sulla strada intrapresa.
  La disattivazione delle clausole di salvaguardia a noi appare tutto sommato condivisibile, dato l'effetto recessivo che esse potrebbero avere in una fase di ripresa ancora debole. L'esperienza di questi anni, però, mi pare abbia mostrato che tali clausole, che non rappresentano un commitment assoluto, perché possono sempre essere revocate, non sono uno strumento efficace per rafforzare la credibilità del risanamento delle finanze pubbliche. Se ripetutamente disattese, come di fatto è avvenuto, possono in realtà accrescere l'incertezza. Non vi è alternativa, dunque, a interventi rigorosi ed efficaci sulle entrate e sulle spese.
  Gli effetti della crisi sulle finanze pubbliche ci insegnano anche che un Paese con un alto debito pubblico è esposto a rischi elevati in caso di shock avversi all'economia. La riduzione del debito rispetto ai livelli attuali – ho avuto modo di dirlo in questa sede anche nelle occasioni precedenti – è, dunque, un obiettivo strategico, da perseguire con costanza, per confermare e rafforzare la credibilità della politica di bilancio del Paese agli occhi degli investitori, delle istituzioni e dei nostri partner europei.
  Il DEF ha definito chiaramente l'inversione della dinamica del debito rispetto al prodotto come obiettivo strategico del Governo. È un fatto positivo e importante che, nonostante il peggioramento delle proiezioni di crescita, sia stato confermato l'obiettivo di avviare la riduzione del debito a partire da quest'anno.
  I margini non sono ampi. Nel quadro del DEF, che include un programma ambizioso (le privatizzazioni), il tasso minimo di crescita nominale del prodotto, che consente al rapporto tra debito e PIL di scendere nel 2016, ovvero di realizzare l'obiettivo di inversione di tendenza, è di circa il 2 per cento, non molto al di sotto del 2,2 incluso nello scenario programmatico. Per garantire il raggiungimento dell'obiettivo sarà dunque necessario mantenere durante l'anno uno stretto monitoraggio dei conti Pag. 13pubblici, anche in connessione con l'evoluzione del quadro macroeconomico.
  Se si vuole mantenere e consolidare la fiducia dei mercati, è importante conseguire nel corso del tempo una riduzione del debito chiara, visibile e progressiva, e allo stesso tempo completare il programma di riforme credibilmente avviato a sostegno delle prospettive di sviluppo dell'economia.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Signorini.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Vorrei porre due domande in relazione alla prima parte, laddove si esamina l'andamento tendenziale, quello effettivo, e il quadro programmatico rispetto a questo andamento.
  Sono emerse alcune analisi che hanno messo in risalto soprattutto un aspetto, che credo sia importante per le Commissioni come la nostra. Questa ripresa ormai si sta configurando da circa un paio di anni. È la ripresa più lenta che l'economia italiana abbia registrato negli ultimi 15-18 anni. Tra le quattro riprese cicliche che hanno seguito fasi di recessione, questa è la ripresa più lenta. Ciò significa che il tasso di crescita è sensibilmente inferiore, a livello trimestrale e cumulato, a quelli che si sono registrati in periodi precedenti.
  È estremamente importante capire perché. Qui non stiamo parlando di una domanda mondiale più lenta, ma di un'elasticità, di una capacità di reazione alla domanda mondiale da parte dell'economia italiana che si sta dimostrando molto più debole o più debole di quanto lo è stata in passato.
  Vorrei sapere se rispetto alle ipotesi che sono state avanzate sulle possibili cause – naturalmente stiamo parlando di un fenomeno in corso – la Banca d'Italia ha fatto o sta facendo delle considerazioni.
  Questo per le nostre Commissioni è estremamente importante. Perché, aldilà dell'intonazione della politica macroeconomica e della possibilità di sfruttare più o meno gli spazi disponibili, qui c'è un problema che si sta delineando in qualche maniera come il problema chiave. O noi riusciamo a individuare i motivi per cui l'economia italiana non riesce a rispondere come è avvenuto in passato, non solo rispetto a se stessa ma comparativamente rispetto ad altre economie europee, e dimostra una difficoltà nella capacità di agganciare a certi ritmi la ripresa, oppure il rischio è che ci si ritrovi tra un po’ di tempo a registrare le stesse cifre di cui stiamo discutendo.
  Ad esempio, una delle ipotesi che sono state avanzate è che c'è un cambiamento in corso del ruolo delle esportazioni italiane, ossia del commercio estero. Noi affermiamo che le esportazioni vanno bene, ed è vero che vanno bene rispetto al resto, ma non vanno bene rispetto alla performance del passato e soprattutto rispetto a quello che fanno i nostri concorrenti europei. Questa, per esempio, è un'ipotesi che secondo voi potremmo considerare?
  Naturalmente una diagnosi su questo tema è così importante perché ci permetterebbe di capire dove mirare sul piano degli interventi.
  In secondo luogo, io sono molto d'accordo con le valutazioni che voi fate e che lei, nella sua presentazione, ci ha esposto sul valore cruciale e simbolico, anche nei confronti degli organismi internazionali (della Commissione europea, ma non solo), della discesa, per la prima volta in nove anni, dello stock di debito sul PIL. Ciò rappresenta un'inversione di tendenza.
  Rispetto a questo, come valutate le analisi e i dati che il Fondo monetario ha presentato la scorsa settimana e che sono circolati molto anche a livello internazionale? Tali dati indicano che in realtà, non solo è difficile, ma è altamente improbabile che nel 2016 si riesca a realizzare una diminuzione dello stock di debito.
  Voi stimate intorno al 2 per cento il valore della crescita del PIL nominale necessario affinché si possa avere un'inversione di tendenza. Rispetto a questo valore-soglia, il timore non è tanto sul piano della crescita reale: è molto giusto dire «1 o 1,2», nessuno può saperlo a questo punto. Sull'andamento del deflatore, invece, le distanze sono molto più forti tra le previsioni Pag. 14contenute nel DEF e le previsioni – chiamiamole così – di Consensus.
  Voi ritenete che su queste previsioni del deflatore ci sia la possibilità – augurabile da parte nostra – di errori o di valutazioni ancora non aggiornate da parte di organismi internazionali? Che cosa si potrebbe fare per rafforzare quello che voi giustamente considerate un obiettivo strategico? Io credo che ciò sia condivisibile: non si può fallire nel 2016 sulla riduzione dello stock del debito.
  Come si potrebbe rafforzare questa possibilità, secondo voi, cautelandoci rispetto a questi andamenti più complessivi, che certamente non dipendono né dall'Italia né da altri attori?

  GIAMPAOLO GALLI. Condivido con voi che un primo segnale di riduzione del debito pubblico nel 2016 sia un obiettivo strategico importante, anche se piccolissimo. Non è solo un fatto simbolico, ma comincerebbe a convincere gli investitori e gli italiani stessi che c'è una via d'uscita dal problema del debito.
  Naturalmente ci dite che la crescita è inferiore a quella che ci si attendeva e a fronte di questo prendete atto del fatto che il Governo ha rivisto leggermente verso l'alto gli obiettivi per quanto riguarda il disavanzo, sostituendoli con obiettivi meno ambiziosi di quelli fissati precedentemente.
  La riduzione del disavanzo nominale non è piccolissima, perché dal 2012 siamo rimasti per molti anni al 3 per cento, scendiamo al 2,3 nel 2016 dal 2,6 del 2015.
  È vero che questo per lo 0,2 è dovuto alla spesa per interessi e per lo 0,1 alla spesa primaria, ma qui l'impressione è che il Governo stia cercando di realizzare una riduzione del disavanzo, in maniera che sia coerente con l'obiettivo di riduzione del debito, senza però annullare la debole ripresa che si rileva.
  Il problema è che, a fronte di questo, c'è un aumento del disavanzo strutturale di 0,7 punti del prodotto, che, come giustamente ricordate, sarà oggetto di valutazione da parte della Commissione europea.
  Qui arrivo al tema della famosa lettera inviata dall'Italia insieme a una serie di altri Paesi sul calcolo del disavanzo strutturale. Non voglio entrare o chiedervi di entrare nelle tecnicalità, però colpisce molto che una riduzione del disavanzo dal 2,6 al 2,3 o della spesa primaria di 0,3 si trasformi in un aumento strutturale, e al netto delle misure una tantum, dello 0,7, il che suggerisce (ora non ho i dati, che forse sono nel testo) che la crescita potenziale sia molto bassa o negativa e quindi quell'1,2 di crescita che avremmo sia non una fragile ripresa ma un boom economico rispetto a quel potenziale calcolato forse in maniera diversa, ma coerentemente al modo in cui lo calcola la Commissione europea, che è a sua volta coerente con un tasso di disoccupazione strutturale che sta attorno all'11 per cento.
  Qui c'è qualcosa di curioso e aggiungo anche che, se fosse vero che il PIL potenziale segue così da vicino il PIL effettivo, ci sarebbe una recessione, quindi il PIL potenziale, lungi dal continuare a salire all'1 o al 2 per cento, scenderebbe addirittura e a questo punto le misure di aggiustamento di bilancio richieste dalla stessa Commissione diventerebbero davvero self defeating, perché uccidono la crescita potenziale.
  Mi chiedo se abbiate una riflessione sul tema che il Governo italiano ha posto con molta forza assieme ad altri Governi europei e alla Commissione sul calcolo di questo potenziale, se siate coinvolti anche voi in questo esercizio, se ci siano delle risposte da parte della Commissione.

  GIORGIO TONINI. Pongo una domanda non ortodossa. La principale differenza tra lo scenario tendenziale e quello programmatico sembra essere la disattivazione delle clausole di salvaguardia, mi pare che voi la stimiate un punto di PIL e nel testo si nota (almeno questa è stata la mia impressione) una relativa freddezza da parte vostra su questo intervento.
  Si dice alla fine che «la disattivazione delle clausole di salvaguardia è tutto sommato condivisibile dato l'effetto recessivo», però nella prima parte emerge come la disattivazione delle clausole di salvaguardia, in particolare sull'IVA, porti a una riduzione delle attese di inflazione, paradossalmente allontanandoci dallo scenario ideale della BCE, perché, mentre con le Pag. 15clausole di salvaguardia arriveremmo all'1,8 di inflazione, quindi vicino al 2 per cento come auspica Draghi, disattivando le clausole di salvaguardia ci allontaniamo dall'1,8 e torniamo verso l'1,6-1,5.
  Voi dite giustamente che la disattivazione è tutto sommato condivisibile dato l'effetto recessivo che le clausole potrebbero avere in una fase di ripresa ancora debole, e questo è l'argomento sempre utilizzato per dire che l'aumento dell'IVA sarebbe una sciagura, però, se andiamo a vedere l'ultimo rapporto sulla finanza pubblica della Corte dei conti, vediamo che nella comparazione a livello europeo noi siamo i secondi nell'imposizione sul lavoro, i terzi d'Europa per l'imposizione sull'impresa, i quarti nell'imposizione sul patrimonio e i ventiduesimi nel gettito derivante da imposte sui consumi.
  Naturalmente una parte consistente di questa cattiva performance è l'evasione, quindi questa è la questione vera: l'aumento delle aliquote davvero si tradurrebbe in aumento di gettito? Altrimenti, invece di usare questo punto di PIL per ridurre le imposte dal lato IVA, perché non lo usiamo per ridurle dal lato IRPEF, cioè per restituire all'economia quel punto di PIL?
  Questo potrebbe avere effetti ugualmente positivi sulla crescita e magari mantenere invece gli effetti positivi dell'aumento dell'inflazione che la clausola di salvaguardia porta con sé nello scenario tendenziale. È una provocazione, ma siamo nella fase in cui dobbiamo ragionare di scenari e quindi una vostra opinione su questo sarebbe molto utile.

  ANTONIO D'ALÌ. Farò alcune brevi note riguardo ad alcuni passaggi della relazione. Voi ci dite che lo stock di crediti deteriorati è diminuito nell'ultimo trimestre del 2015 e forse anche nel primo trimestre di quest'anno, ma avete fatto una valutazione di come potrà evolversi a seguito dei provvedimenti di agevolazione sulla cessione delle sofferenze bancarie?
  Come pensate in futuro di contabilizzare dal punto di vista degli effetti sul mercato interno queste nuove dinamiche? I crediti scorporati e buttati nelle cosiddette «banche dei cattivi» saranno ancora contabilizzati come crediti in sofferenza o farete una pulizia nominale?
  In questi crediti deteriorati le banche tenderanno a inserire anche crediti problematici che normalmente non dovrebbero andare a sofferenza, pur di liberarsene? Avete attivato un sistema di controllo riguardo a quello che sarà inserito? Parlo anche in base all'esperienza di quanto accadde nel 1996 con il Banco di Napoli, dove nella cosiddetta bad bank del Banco di Napoli furono inseriti molti crediti che afferivano soprattutto a piccolissime e medie imprese sicuramente fuori dai parametri patrimoniali ai fini del merito creditizio, ma dentro i parametri patrimoniali di salvaguardia di garanzia personale rilasciata da imprenditori. Questo ci preoccupa molto, perché in quell'occasione si determinarono disagi non indifferenti, conseguenti alle escussioni di questi crediti da parte dei compratori dei pacchetti di crediti.
  Per quanto riguarda il Jobs Act continuo in tutte le rilevazioni, compresa la vostra, ad ascoltare una valutazione che non riesce (non so se non vuole) ad isolare dai dati occupazionali l'effetto della decontribuzione. Volete rinviare a tre anni data? Poiché i provvedimenti di legge non prevedono un obbligo per il beneficiario/impresa della decontribuzione di mantenimento al lavoro degli assunti con la decontribuzione, ritengo che fra tre anni avremo una bolla occupazionale che andrà a scoppiare e a trasformarsi in aumento della disoccupazione, perché nessuna norma prevede l'accompagnamento della decontribuzione con un obbligo di mantenimento nel rapporto di lavoro. Perché non riusciamo a prevedere dei correttivi a questo intervento, per evitare che accada ciò che io – forse pessimisticamente – intendo?
  Non ho mai visto neppure una valutazione sul fatto che questa decontribuzione, che vale sulla spesa corrente, sia stata effettuata con utilizzo di fondi riservati alle infrastrutture del Mezzogiorno. La legge di stabilità, che ha autorizzato questa decontribuzione, ha prelevato 4,5 miliardi di fondi destinati agli investimenti nel Mezzogiorno, quindi ha effettuato due gravi lesioni al Pag. 16buonsenso, senza parlare della legge di contabilità, laddove ha prelevato denari destinati alla spesa in conto capitale per destinarli alla spesa di parte corrente, e ha effettuato una variazione di destinazione territoriale da fondi destinati agli investimenti nelle infrastrutture del Mezzogiorno a fondi destinati alla decontribuzione per le nuove assunzioni su tutto il territorio nazionale.
  Da questo punto di vista, abbiamo chiesto al Ministro, ma non abbiamo ancora avuto risposta, di conoscere l'esatta distribuzione delle nuove assunzioni sul territorio nazionale, per verificare l'entità della trasmigrazione di risorse da un territorio all'altro del Paese.
  Approfitto per notare che nella vostra relazione manca qualsiasi accenno al divario economico tra Nord e Sud, quindi a questo divario non viene data una rilevanza particolare, né vi è l'invito ad assumere iniziative per ridurlo, così come manca qualsiasi nota riguardo il preoccupante aumento del numero delle famiglie sotto la soglia di povertà. Evidentemente anche questo non ha rilevanza sull'economia complessiva interna del Paese.
  Sulla riforma del quadro istituzionale nessun accenno al fatto che, al di là di una piccola riforma riguardante un'istituzione parlamentare, non si siano fatte riforme riguardanti l'assetto del Governo del territorio. Capisco che non competa a voi fare questo tipo di osservazioni, però è vero che il debito pubblico complessivo nel nostro Paese continua ad alimentarsi, la spesa pubblica principalmente, per l'eccessiva frantumazione dei centri di spesa soprattutto istituzionali – regioni, comuni e province, che, anche se abolite, sono rimaste lo stesso – e soprattutto del numero delle partecipate, ma non vi è neanche un accenno all'opportunità di queste riforme.
  Sulle clausole di salvaguardia ha già detto il presidente Tonini, mi limito solamente a chiedere se il 50 per cento della somma occorrente per neutralizzare le clausole di salvaguardia sarà ancora una volta a debito, dato che la relazione dice che è previsto che solo un 50 per cento sia coperto, come si suol dire in Commissione bilancio.

  GIULIO MARCON. Ho tre brevi domande, di cui una è già stata fatta dal senatore Guerrieri Paleotti.
  Le stime del Fondo monetario internazionale: quale giudizio date di queste e soprattutto della valutazione del Fondo secondo cui l'inversione di tendenza sulla riduzione dello stock di debito nel corso di quest'anno non ci sarebbe? Siccome in passato le stime del Fondo monetario internazionale sono state più prudenti e più vicine ai dati reali rispetto a quelle del DEF, vi chiederei una valutazione su questo e se questo non possa introdurre un elemento di prudenza rispetto a quanto contenuto nel DEF.
  Le altre due domande sono brevissime. Non ho trovato, se non un accenno, una vostra valutazione sul livello di investimenti pubblici previsti nel DEF. Ritenete che sia un livello adeguato, che sia corrispondente al fabbisogno del Paese? Ovviamente io sono convinto che avremmo bisogno di maggiori investimenti pubblici e magari meno sgravi alle imprese, perché gli investimenti pubblici hanno un effetto maggiore dal punto di vista dello stimolo alla crescita. Su questo non ho trovato un riferimento nella vostra analisi, quindi vi chiederei qualche breve cenno.
  Terzo elemento tecnico: quanto incidono i fattori esogeni nella crescita del PIL, ovvero quanto incidono la riduzione del prezzo del petrolio e gli interventi della BCE sulla crescita prevista per quest'anno e per gli anni successivi? Siamo infatti abituati ad avere nel DEF valutazioni molto precise sull'incidenza dei provvedimenti come il Jobs Act e le riforme istituzionali di 0,1 o 0,2 a seconda di quello che prendiamo in esame, ma sarebbe interessante scorporare dal dato della crescita generale prevista per il nostro Paese quanto sia dovuto a questi fattori esogeni e quanto invece alla naturale tendenza alla crescita nel nostro Paese.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Accolgo la provocazione del presidente Tonini, che mi convince in larga parte. Pag. 17
  Il collega D'Alì ha citato un tema di particolare rilevanza, che abbiamo sempre considerato uno dei fardelli dello Stato, cioè la sua presenza in molte partecipate pubbliche in importanti settori del mercato e dei prodotti. Con riferimento però al mercato del lavoro e alla sua condivisione e valutazione positiva del Jobs Act vorrei chiederle quanto questa si riferisca alla decontribuzione, che secondo noi ne ha determinato il successo per l'anno appena passato.
  Voi caldeggiate l'opportunità di prevedere riduzioni permanenti del cuneo fiscale a beneficio della crescita dell'occupazione, ma quanto vi preoccupa la previsione che già dall'anno in corso e soprattutto con il prossimo anno questa decontribuzione vada a sparire? Come c'è anche un altro décalage che lei non cita e che è stato appena ricordato dal collega Marcon, quello sulla spesa per gli investimenti che continua a diminuire fin quasi a sparire.
  Inoltre, in un contesto come questo, con i fattori esogeni che sono stati appena ricordati e che noi ci auguriamo possano durare in eterno, anche se – forse questa è la spiegazione alla parte della relazione dove lei dice che comunque il rischio di shock è dietro l'angolo – temiamo non sia così, vorrei chiederle, vista l'importanza della vostra audizione, quanto il funzionamento del sistema bancario e il finanziamento delle imprese possano rappresentare un fattore determinante in questa fase, per poter sospingere la vita delle imprese verso la possibile crescita, pur nelle ristrutturazioni e nei grandi ripensamenti che questa crisi pone a tutti.
  Crede che la soluzione trovata sui crediti deteriorati, come ha ricordato il collega D'Alì, contempli anche un'analisi appunto accurata e particolarmente vigilante sulla qualità di quei crediti deteriorati, se lo sono davvero, o che addirittura questo favorisca un ulteriore strozzamento dei percorsi delle imprese dentro il sistema bancario?
  In ultimo, ma non da ultimo: il fatto che a questa grande operazione di sollievo al sistema bancario italiano partecipi la Cassa depositi e prestiti, agendo, in questo caso come in altri, con il risparmio postale, non dello Stato, ma dei cittadini italiani, è contemplato a sufficienza nella vostra valutazione?

  PRESIDENTE. Aggiungo una domanda velocissima, ispirata sia dal presidente Tonini che dalla chiusura della senatrice Bonfrisco.
  Sulle clausole, dottor Signorini, le anticipo una riflessione che faremo nell'audizione che si svolgerà prossimamente con voi, quando discuteremo della riforma del bilancio dello Stato.
  Il Parlamento, all'unanimità, va verso la cancellazione delle clausole di salvaguardia sul futuro. Siamo alla vigilia del deposito del progetto di legge sulla riforma del bilancio e, se non cambiano idea i Gruppi parlamentari, la proposta che vedrà la luce tra qualche giorno non prevede la possibilità di attivazione di clausole. Non pensa che il problema non sia la disattivazione delle clausole, ma averle attivate in un certo momento storico?
  Lo chiedo perché, alla fine, le clausole sono diventate vincoli contabili, più che di sostanza. È evidente che dovremo fare i conti anche con questa volontà che il Parlamento ha rispetto al futuro.
  La senatrice Bonfrisco richiamava due aspetti non marginali e molto importanti. Riguardo alla funzione del sistema bancario, dal 2007, anno d'inizio della crisi cui lei molto opportunamente fa riferimento nelle conclusioni, sono diminuiti i 100 miliardi di prestiti alle imprese, per via della condizione effettiva della crisi, e le sofferenze sono passate da 40 miliardi del 2007-2008 a 210 miliardi, più 150 miliardi di prestiti incagliati.
  Certo, con quei vincoli di bilancio e senza la funzione di allargamento del credito alle imprese e di riduzione degli investimenti pubblici, condizionati dai vincoli europei, era difficile prevedere che negli stessi sette o otto anni potesse aumentare il PIL e, allo stesso tempo, diminuire il debito, nel senso che se, come ci siamo detti, negli ultimi otto anni siamo stati fermi, possiamo provocatoriamente dire «siamo stati fermi e il debito è aumentato di un Pag. 18terzo» e «siamo stati fermi, facendo i compiti a casa sempre».
  I quattro Governi che si sono succeduti, di colori diversi e di stagioni diverse, hanno un comune denominatore dal 2008 in poi, cioè hanno sempre fatto i compiti a casa che gli sono stati assegnati; tant'è che l'ultima procedura di infrazione fu completata dal Governo Prodi rispetto al Governo Berlusconi precedente perché si aprì quando finì la legislatura del 2001-2006 e si chiuse con la chiusura anticipata della legislatura del 2006-2008. Si tratta di una coincidenza storica, ma la storia è questa.
  Dal 2008 in poi, tutti i Governi che si sono succeduti hanno sempre fatto i compiti a casa, ma, stando fermi, il debito è aumentato. Il debito non poteva diminuire, con il PIL che non è cresciuto, e il PIL non è cresciuto per la progressiva riduzione degli investimenti pubblici graduali e perché le imprese non hanno potuto fare altro che sopravvivere.
  In questo scenario, si inseriscono le valutazioni che stiamo facendo ora, a margine di questo Documento di economia e finanza. Tale Documento evidentemente inciderà anche sulle scelte di policy che verranno prese nella prossima legge di bilancio, che a sua volta dovrà fare i conti anche con la riforma della contabilità, cui poi faremo riferimento in una prossima audizione.
  Vorrei chiederle una valutazione sia sull'epilogo dell'istituto delle clausole di salvaguardia sia sul tema cui lei ha fatto riferimento nelle conclusioni. Lei ha parlato dell'aumento di un terzo del debito e, allo stesso tempo, ha giustamente sottolineato che è necessario essere ancora rigorosi. In questi otto anni, siamo stati rigorosissimi, nel senso che i vincoli sono stati rispettati, altrimenti sarebbero state aperte procedure, cosa che non è accaduta evidentemente. Le chiedo una valutazione ulteriore su questi aspetti.
  Do la parola al nostro ospite per la replica.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Rispondere compiutamente alle numerosissime sollecitazioni richiederebbe un'enorme quantità di tempo. Sono state sollevate tante questioni, alcune anche sotto forma di «perché non parla di questo o perché non parla di quest'altro». Si tratta effettivamente di argomenti importanti, ma mi ero dato un minimo di limitazione sulla lunghezza del mio intervento per evitare di abusare del tempo delle Commissioni.
  Comunque, partendo subito dalle clausole di salvaguardia, io concorderei con lei, presidente, sul fatto che, se l'intenzione è quella di andare verso un superamento, nel lungo termine e in prospettiva, delle clausole di salvaguardia, non le rimpiangeremo. Tuttavia, il problema è che, quando furono istituite, furono fatte con l'intenzione di dare maggiore credibilità al processo di risanamento, tramite la possibilità che scattassero in maniera automatica delle clausole di salvaguardia che avrebbero comunque garantito il raggiungimento degli obiettivi.
  La riflessione che facevo nella mia testimonianza è che, se anche questa era l'intenzione, in realtà non ha funzionato così: si tratta di uno strumento appunto di impegno, di commitment, non irrevocabile perché le clausole possono sempre essere revocate dello stesso organo legislativo che le ha stabilite. Inoltre, nella misura in cui queste si stabiliscono e poi si disattendono, la credibilità non ne guadagna e forse, al contrario, ne soffre, quindi non posso che ribadire quello che ho detto, cioè che non vi è alternativa a interventi rigorosi ed efficaci sulle determinanti fondamentali della finanza pubblica.
  Gli argomenti sono effettivamente molti. Sul ruolo delle esportazioni, per rispondere al senatore Guerrieri Paleotti, vorrei dire che è vero che la ripresa italiana è stata tra le più lente, anche a livello internazionale. Certamente l'Italia si caratterizza per una reazione lenta, ma ricordiamoci che, quando siamo entrati nella crisi, ci siamo entrati dopo anni di discussione sul rallentamento strutturale della crescita in questo Paese e di discussioni sulle cause, sui motivi, sui rimedi e sulle cose da fare. Credo che la cosa fondamentale sia affrontare alcuni nodi che si conoscono da tempo. Questi nodi hanno, da un lato, rallentato la crescita Pag. 19 di questo Paese, anche prima della crisi, e, dall'altro, stanno rendendo anche un po’ più lenta l'uscita dalla crisi in questo periodo.
  In merito a un programma di riforma, veramente solleciterei il Parlamento a discuterne e a dare la massima attenzione perché sono state fatte cose nel campo del mercato del lavoro, ma ce ne sono sicuramente molte ancora da fare nel campo del mercato dei prodotti. Questo è stato ricordato facendo anche un accenno, per esempio, alle controllate delle amministrazioni locali – e non posso che essere d'accordo con le osservazioni che sono state fatte, perché è certamente un settore in cui si possono avere recuperi di efficienza importante. Inoltre si potrebbe fare riferimento alla riforma della pubblica amministrazione e allo sveltimento della giustizia, cioè a tutte quelle condizioni di contesto che effettivamente sono essenziali per lo sviluppo economico.
  Non metterei in particolare rilievo l'andamento delle esportazioni che, tutto sommato, non sono state, nel periodo di difficoltà che l'economia italiana ha passato in questi ultimi anni, l'elemento peggiore. Certo, le quote di mercato dell'Italia non sono più quelle di vent'anni fa e, nel frattempo, c'è stata l'emersione importante appunto delle emerging markets economy, della Cina in primis, ma anche dell'India, del Brasile e di tanti Paesi anche più piccoli, che hanno complessivamente contratto la quota dei Paesi di più antica industrializzazione.
  In questo contesto, se si guarda l'andamento degli ultimi anni, non sono state le esportazioni il fattore che più ha rallentato la crescita del Paese. Ci sono problemi un po’ più profondi per i quali naturalmente non esistono né formule né bacchette magiche, ma certamente si conoscono alcuni interventi che possono essere adottati. Alcuni si stanno adottando e alcuni sono stati compiuti. Inoltre, credo che appunto osservare e tenere sotto particolare attenzione il completamento di un progetto di riforme strutturali sia una cosa importante.
  Per riprendere quello che diceva il presidente Boccia alla fine, certamente, come mostriamo nella nostra testimonianza, la discesa del rapporto fra debito e PIL deriva da due aspetti: uno è l'andamento dei saldi di finanza pubblica e l'altro è l'andamento del PIL nominale. L'Italia ha passato un periodo di contrazione del PIL reale che è stato estremamente intenso, più intenso di quello delle altre maggiori economie avanzate. Questo certamente non poteva non avere, come mostriamo appunto con quel semplicissimo esercizio meccanico, gli effetti che ha avuto sulla finanza pubblica e sul sistema bancario.
  Ricordiamo ancora una volta che il sistema bancario italiano è stato in un certo senso protetto nelle prime fasi della crisi finanziaria internazionale, quando la crisi delle banche era una crisi essenzialmente dovuta a prodotti particolarmente sofisticati, particolarmente opachi e particolarmente complessi e ad avventure occorse nel campo della finanza. Nel complesso, il sistema bancario italiano era molto meno impegnato di altri sistemi in cui i Governi sono anche poi dovuti intervenire in modo massiccio per sostenere il sistema bancario stesso. Tuttavia, questo essere radicato nel tessuto economico che è, nel complesso, tipico del sistema bancario italiano certamente ha anche significato che gli effetti della lunga recessione sul sistema bancario sono stati più forti che in altri Paesi e che sono stati sicuramente molto forti.
  Sulle prospettive per lo smaltimento dello stock delle sofferenze, prima di tutto vi dico che, anche a prescindere da qualunque intervento, perfino lo stock delle sofferenze sta incominciando a diminuire. Questa è una cosa importante perché era un po’ che diminuiva il flusso delle nuove sofferenze, come sapevamo da qualche tempo, però è anche chiaro che, sullo stock, l'effetto di questa diminuzione è stato e sarà inevitabilmente lento nel corso del tempo.
  Ci sono due cose che si possono fare sullo stock. La prima è intervenire su un motivo strutturale per il quale lo stock delle sofferenze è comunque sempre stato più alto in Italia, anche indipendentemente dalla recente crisi. Si tratta delle procedure di recupero e anche di altri fattori contabili, fiscali eccetera. Pag. 20
  Le procedure di recupero sono più lunghe in Italia che in altri Paesi, quindi inevitabilmente queste sofferenze rimangono più a lungo. Per esempio, se uno confronta la permanenza tipica di un credito in sofferenza sul bilancio di una banca italiana con quello di una banca americana, non c'è paragone perché lì le procedure si concludono molto rapidamente. Questa cosa si può vedere da tanti punti di vista, ma certamente ha, come effetto, il gonfiare lo stock di sofferenze a parità di flusso. Su questo si sta cercando di intervenire molto opportunamente. Credo che bisognerà guardare se gli interventi hanno l'effetto che si prevedeva che avessero e continuare su quella strada, intervenendo ancora di più, se necessario.
  Inoltre, ci poteva essere l'ipotesi di un intervento sistematico, come in altri Paesi è stato fatto, per l'alleggerimento delle sofferenze. Questi interventi non sono stati possibili, per l'interpretazione particolarmente rigorosa che la Commissione europea ha dato della normativa sugli aiuti di Stato, quindi c'è un intervento più modesto che è inteso non tanto a costruire una misura che abbia una natura pubblica, ma a facilitare la collocazione di non performing loans, di sofferenze o di altri crediti deteriorati sul mercato.
  Si tratta di un intervento che io credo sia opportuno perché la questione dell'incidenza dei prestiti deteriorati sta diventando estremamente importante, dal punto di vista dei mercati finanziari, sullo stato di salute del sistema bancario italiano. A tale questione, secondo me viene data anche più importanza di quella che ha, perché è vero che le sofferenze ci sono, ma non potrebbero non esserci, date le condizioni strutturali che dicevo prima e data la congiuntura che c'è stata negli ultimi anni. Certo, vanno anche adeguati i livelli di provisioning, di svalutazioni, ma ricordiamo che le banche sono assistite da garanzie collaterali o da garanzie in misura superiore ad altri Paesi. Complessivamente non c'è un problema delle dimensioni che qualche volta vengono rappresentate. La possibilità di alleggerire i bilanci bancari di alcune di queste sofferenze non sarebbe un male.
  Io, qui, accolgo la sollecitazione del senatore D'Alì a vigilare e a stare attenti che le svalutazioni siano fatte nel modo più corretto. Devo anche dire che è più facile che una banca abbia la tentazione di non classificare come sofferenza quello che invece dovrebbe essere classificato come tale, però la corretta classificazione delle partite a sofferenza è una cosa che è assolutamente indispensabile dal punto di vista prudenziale e dal punto di vista della trasparenza, anche nell'attività bancaria.
  Su moltissimi altri aspetti che io ho qui segnati, forse avrei una sola cosa da dire perché, tra gli intervenuti, alcuni hanno fatto un accenno alla distinzione, effettivamente molto importante e interessante dal punto di vista della politica economica, tra l'effetto delle innovazioni normative (Jobs Act) e l'effetto della decontribuzione.
  Prima di tutto, in armonia con quello che è stato osservato, ribadisco che ho effettivamente detto che sarebbe importante che la riduzione del cuneo fiscale avesse natura permanente, però forse potrei chiedere al dottor Gaiotti di dare qualche informazione su quel minimo di stime quantitative che in proposito si hanno, visto che l'argomento è stato sollevato da un paio di membri delle Commissioni.

  EUGENIO GAIOTTI, capo del Dipartimento economia e statistica della Banca d'Italia. Molto telegraficamente aggiungo le informazioni richiesta dal mio collega. Fra l'altro, il lavoro cui faccio riferimento è citato in nota, per cui trovate i dettagli.
  La cosa importante è distinguere gli effetti sulla composizione dell'occupazione e gli effetti sulla dimensione dell'occupazione.
  Sulla composizione, la nostra valutazione, basata sui dati particolarmente dettagliati di una regione, è che il raddoppio delle trasformazioni da contratti a tempo determinato a contratti a tempo indeterminato può essere attribuito a entrambi i provvedimenti, metà e metà, ossia metà al Jobs Act e metà agli sgravi, quindi in ugual misura. Pag. 21
  Invece, sull'aumento dell'occupazione dipendente la valutazione che emerge da quel lavoro è che circa metà dell'aumento complessivo di occupazione dipendente nel 2015 sia attribuibile ai due provvedimenti insieme e di questo il 45 per cento, cioè la maggior parte, agli sgravi contributivi e il 5 per cento al Jobs Act. Quindi, la proporzione è molto diversa quando si parla di composizione o di volume complessivo.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Signorini e l'intera delegazione di Banca d'Italia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti
di «Sbilanciamoci!».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di «Sbilanciamoci!».
  Ringrazio la dottoressa Naletto, presidente di Lunaria, associazione di promozione sociale e co-coordinatore della Campagna «Sbilanciamoci!», e il dottor Angelo Marano, rappresentante della Campagna «Sbilanciamoci!», ai quali do la parola.

  GRAZIA NALETTO, presidente di Lunaria-Associazione di promozione sociale e co-coordinatore della Campagna «Sbilanciamoci!». Ringrazio per l'invito. Ricordo che la Campagna «Sbilanciamoci!» è promossa da 48 associazioni che annualmente analizzano le scelte economico-finanziarie del Governo, avanzando anche alcune proposte alternative.
  Con il mio collega ci suddivideremo l'intervento in questo modo: il collega analizzerà il quadro macroeconomico delineato nel DEF, mentre io mi concentrerò successivamente sulle proposte che la Campagna avanza in questa occasione.
  Do la parola ad Angelo Marano.

  ANGELO MARANO, rappresentante della Campagna «Sbilanciamoci!». Vorrei toccare tre punti. Il primo punto riguarda la natura del DEF, che mi sembra cambi di anno in anno, e la cosa non è banale. Dopodiché, vorrei valutare se dobbiamo considerare il quadro delineato dal DEF, come un quadro promettente, oppure se piuttosto – questa è la soluzione per la quale propendiamo – dobbiamo considerarlo come l'ennesimo anno di occasioni sprecate. Poi vorrei esaminare le politiche in generale per capire dove, secondo noi, ci sono problemi.
  Partiamo con il problema di un documento DEF a più facce. Di anno in anno diventa sempre più difficile capire esattamente il DEF. Perché? Perché è, in realtà, ormai un documento a più facce, che si rivolge a più uditori. In particolare, non sembra più un documento a valenza nazionale, ma è in primis un documento rivolto alla UE. Determinate questioni non le possiamo capire appieno perché non siamo dentro i tavoli UE. Sembra continuamente – ho anche avuto conferme da chi in parte l'ha scritto – che quella dimensione sia quella a cui pensa spesso il Governo.
  C'è anche, però, una dimensione di evidenziazione di priorità all'opinione pubblica italiana. Mi permetto di citare un passo, che ormai saprete a memoria, della premessa, che dice: «L'occupazione cresce, la disoccupazione cala, i conti migliorano, le tasse diminuiscono: il Governo mantiene una politica rigorosa ma, nello stesso tempo, ha avviato una stagione di misure espansive che permette finalmente di far ripartire il Paese». Sostanzialmente, siamo quasi nel migliore dei mondi possibili.
  Poi ci siete voi, terzo destinatario del documento e, in particolare, della relazione al Parlamento, in cui si nota un notevole cambio di enfasi. Cito: «La previsione di crescita continua perciò a basarsi su aspettative relativamente ottimistiche circa la domanda interna e la capacità delle imprese italiane di espandere le loro esportazioni in un quadro di accresciuta difficoltà, ed è pertanto soggetta anche a rischi di ribasso». Sostanzialmente, da una parte Pag. 22diciamo che è il migliore dei mondi possibili. Dall'altra parte, al Parlamento, che deve, a norma della legge sul pareggio di bilancio n. 243 del 2012, dare l'autorizzazione ad allontanarsi dall'obiettivo di medio termine, si rappresenta, invece, una situazione per nulla positiva.
  Ciò che si ricava da tutto questo è che il DEF diventa in qualche modo un espediente retorico, perché siamo di fronte a una serie di vincoli istituzionali a livello nazionale e a livello europeo – il Patto di stabilità e la regola del debito – che vengono percepiti dal Governo come inadeguati ed esiziali. Da qui l'esigenza, per riuscire a sfruttare le possibilità di uscirne, di appesantire il DEF con tutta una serie di argomentazioni retoriche che vengono destinate a vari attori per riuscire ad andare sull'eccezione. Ormai siamo, infatti, in una situazione nella quale sistematicamente, non riuscendo a rispettare tutti i vincoli, dobbiamo invocare l'eccezione. Invocare l'eccezione vuol dire, però, anche chiedere per favore, dietro promessa di fare i bravi su altri tavoli, di avere margini di libertà.
  Notate che anche un quarto elemento di retorica si aggiunge al DEF. È il fatto che, così come in passato, ma forse più che in passato, il DEF viene usato, rispetto al tono delle politiche e alle riforme strutturali, per dire: «Ce lo chiede l'Europa e, quindi, l'Italia, particolarmente per riuscire a sfruttare i margini di libertà che l'Europa potrebbe concedere, deve fare quel tipo di riforma».
  Passando al secondo punto, abbiamo detto che nelle premesse al DEF sembra di essere nel migliore dei mondi possibili. In realtà, se andiamo a vedere i dati, notiamo che cresciamo poco e meno del preventivato. È inutile che ve lo ripeta: la previsione per il 2016 è dell'1,2 invece che dell'1,6. Cresciamo meno dell'Europa. Se andate a vedere la produttività per ora lavorata, è ferma, non sta crescendo.
  Mi permetto di farvi notare – non so se l'avete già focalizzato – che c'è una tabella del DEF sulla dinamica degli investimenti, in cui (già si sapeva, ma il DEF lo mostra chiaramente) viene fuori come la ripresa nel 2015 e quella prevista per il 2016 si basino particolarmente su un determinato tipo di investimenti, gli investimenti in mezzi di trasporto, che sarebbero cresciuti nel 2015 del 19,7 per cento e nel 2016 del 14,3 per cento. Quello è il singolo elemento che traina la ripresa italiana. Negli anni dopo il 2017 tale dinamica particolarmente forte dovrebbe venir meno. A questo punto c'è da chiedersi se una ripresa tutta basata sui mezzi di trasporto, il che vuol dire sostituzione di camion e simili, possa essere quella a cui pensa in prospettiva il sistema italiano.
  Appena siamo riusciti a crescere un poco, cosa succede? Abbiamo subito avuto un problema dal lato dell'aumento delle importazioni, che ha superato l'aumento delle esportazioni. Ciò indica un Paese che, quando cresce, subito va in debito, perché sui mezzi di trasporto alla fine importiamo la gran parte, anche se, per fortuna, la componentistica italiana è ancora forte.
  A questo punto, quindi, la situazione non sembra particolarmente allegra. Tuttavia, abbiamo avuto l'anno scorso una congiuntura internazionale abbastanza favorevole (costo delle materie prime basso, andamento euro-dollaro stabile). C'è stato il rallentamento internazionale a fine anno, ma tutto sommato, la congiuntura è stata favorevole.
  I tassi di interesse sono stati bassissimi, negativi in termini sia nominali, sia, a maggior ragione, reali. Vi faccio notare che, se andate a vedere l'aggiornamento del DEF del 2012 (mi sembra Monti-Grilli), avevamo previsto per il 2015 una spesa per interessi sul debito pari a 102,5 miliardi. A consuntivo, secondo l'ultimo dato riportato nel DEF, siamo a 68,4 miliardi. Abbiamo, quindi, 34 miliardi di bonus rispetto a quattro anni fa. Sarebbe stato bello usare meglio questo bonus di risparmio sugli interessi.
  Rispetto all'aggiornamento del DEF 2015, a settembre dell'anno scorso, la spesa per interessi scende di 5 miliardi (0,3 per cento del PIL). Il problema è che le risorse che abbiamo avuto in dono grazie alla congiuntura internazionale e ai tassi d'interesse forse avremmo potuto utilizzarle meglio. Vi faccio solo due esempi, sui quali c'è stato Pag. 23ampio dibattito. L'IMU prima casa forse non era la priorità per un Paese nella situazione dell'Italia. Forse, rispetto a sgravi contributivi non selettivi e particolarmente costosi, che probabilmente vi troverete a dover rifinanziare, un po’ più di selettività avrebbe fatto bene alle casse pubbliche e avrebbe permesso una ripresa superiore.
  Inoltre, c'è uno scarso controllo, che lamentiamo, sulla spesa pubblica. È un altro problema che ci dice che forse le occasioni sono state sprecate. Avremmo dovuto riuscire a fare la spending review e a controllare la dinamica della spesa pubblica. In realtà, se vedete, l'avanzo primario peggiora rispetto al programmato in tutti i documenti. Nel 2015 da 1,7 arriviamo a 1,6, quindi riduciamo l'avanzo primario, mentre per il 2016 la previsione dal 2 passa all'1,7, quindi riduciamo di nuovo.
  Il miglioramento del saldo del deficit fra il 2015 e il 2014 è dovuto per 5,9 miliardi a minore spesa per interessi (il grande bonus) e solo per 650 milioni a minore spesa pubblica. In realtà poi, se andiamo a vedere dove siamo riusciti a realizzare risparmi nella spesa pubblica, notiamo che ciò non è avvenuto nel comparto dei consumi intermedi, ma quasi esclusivamente nel comparto dei redditi da lavoro, sostanzialmente attraverso il blocco delle assunzioni e il blocco della retribuzione del pubblico impiego. Ci siamo fermati lì.
  Infatti, se leggete il DEF, vedrete che la spending review a questo punto arriva ad avere una diversa definizione. Non si tratta più di una serie di tagli selettivi mirati, che non dovrebbero avere conseguenze sul sistema economico, ma di tutti i tagli che abbiamo fatto negli ultimi anni (tagli lineari, tagli ai trasferimenti agli enti locali), senza considerare le conseguenze che si sono avute.
  Passo al terzo punto: le politiche economiche. Da un lato, va dato atto che c'è un tentativo di forzare i parametri europei, che viene argomentato molto meglio che in passato.
  Cito solo un esempio, visto che, come al solito, il tempo è tiranno. È da apprezzare il fatto che il Paese va a dire esplicitamente all'Europa: «Non si può continuare con un saldo delle partite correnti della Germania dell'8 per cento. Io non posso rispettare i vincoli. Mi devi concedere la deroga, perché la Germania con l'8 per cento di saldo delle partite correnti non corregge il suo squilibrio». Sostanzialmente, stiamo dicendo: «Se non apri una procedura alla Germania, allora non puoi pretendere». Sono cose tecnicamente sofisticate.
  Vengono fatte delle dichiarazioni forti: «Il Governo ritiene inopportuno e controproducente adottare una intonazione più restrittiva di politica di bilancio». Mi sembra che questo tono fosse usato già nell'aggiornamento del DEF o nel DEF dell'anno scorso, ma è comunque una proposizione molto forte.
  Viene riconosciuto che non si può pensare, come si immaginava due o tre anni fa, di rilanciare il Paese attraverso le esportazioni, perché in realtà le altre aree sono tutte in sofferenza, ma bisogna rilanciare la domanda interna. Per un mondo come il nostro, che lo afferma da dieci anni, forse è un bel successo.
  Il problema è che non vengono poi tratte le logiche conseguenze di tutto ciò. Non vengono in nessun modo criticati apertamente il pareggio di bilancio e la regola del debito, pur facendo comprendere che non funzionano più. Si continua invece ad aderire all'impostazione comunitaria, che punta tutto su riforme liberiste, privatizzazione e downsizing del pubblico, come contropartita per avere una certa flessibilità sui saldi di bilancio.
  Vi faccio notare infine che si sostiene che l'impostazione di politica fiscale è espansiva, ma rispetto all'anno scorso il deficit si riduce dal 2,6 al 2,3 per cento del PIL, il che tecnicamente si chiama «politica fiscale restrittiva».
  Sui contenuti delle politiche lascio la parola alla mia collega.

  GRAZIA NALETTO, presidente di Lunaria-Associazione di promozione sociale e co-coordinatore della Campagna «Sbilanciamoci!». Tra le riforme che il Governo rivendica nel Programma nazionale di riforma – PNR ve ne sono due sulle quali riteniamo di dover concentrare l'attenzione. Pag. 24
  La prima è il Jobs Act, rispetto al quale le stime che il Governo propone per quanto riguarda l'evoluzione del tasso di disoccupazione sono relativamente contenute. Il Governo stima nel DEF una disoccupazione all'11,4 per cento nel 2016, al 10,8 nel 2017, al 10,4 nel 2018 e al 9,6 nel 2019. Nel 2019 siamo ancora a un tasso di disoccupazione di quasi tre punti superiore a quello registrato nel 2008, cioè nell'anno di inizio della crisi.
  Ancora più significative sono le stime sull'andamento del tasso di occupazione, che dovrebbe passare dal 57 per cento nel 2016 al 58,4 nel 2019. Se queste stime venissero confermate, ciò significherebbe che l'Italia vedrebbe aumentare la distanza rispetto alla media europea, che passerebbe da quattro punti nel 2016 a 8,5 nel 2019.
  Evidentemente le politiche che continuano a concentrare l'attenzione esclusivamente a supporto degli investimenti privati per il rilancio dell'occupazione non sono politiche che funzionano.
  La seconda riforma su cui pensiamo sia necessario concentrare la nostra attenzione è il Social Act, recentemente presentato dal Governo e al vaglio del Parlamento, che prevede una misura di sostegno alle famiglie in difficoltà, partendo in via prioritaria da quelle con minori a carico. A questo fine sono stati stanziati 600 milioni nel 2016 e un miliardo nel 2017. Si tratta di una misura tutto sommato a carattere contenuto, che riguarderà, secondo le stime effettuate, circa 280.000 famiglie, in una situazione in cui l'ultimo rapporto ISTAT ci dice che sono 4,5 milioni i cittadini che si trovano in condizioni di povertà assoluta e 9 milioni quelli che si trovano in condizioni di povertà relativa.
  Per quanto riguarda il complesso delle politiche sociali, ci troviamo ancora in una situazione in cui, nonostante siano stati effettuati investimenti consistenti tra il 2002 e il 2012, a oggi solo tredici bambini su cento accedono a un asilo pubblico.
  Il complesso della spesa per interventi sociali nel 2012 – ultimo dato disponibile – ha registrato un calo rispetto all'anno precedente. Si tratta di un ammontare di circa 7 miliardi di euro, di cui un miliardo è garantito dalla quota di compartecipazione degli utenti al costo delle prestazioni.
  Rispetto all'andamento dei fondi sociali nazionali, nel corso della crisi abbiamo registrato un ridimensionamento complessivo, che ha riguardato il Fondo nazionale per le politiche sociali, che è passato da 1,4 miliardi ai 312 milioni circa del 2016, e il Fondo per la non autosufficienza, che per fortuna quest'anno è stato rifinanziato con 400 milioni di euro, ma continua a non rispondere in modo adeguato alla domanda esistente.
  Infine, secondo gli ultimi dati recentemente pubblicati da Eurostat, l'Italia si distingue ancora per il contenimento degli investimenti pubblici sull'istruzione e sulla cultura.
  In questo contesto, noi pensiamo che sarebbe assolutamente opportuno rivedere l'approccio complessivo del DEF, individuando alcune priorità.
  Innanzitutto, occorrerebbe considerare la possibilità di rilanciare l'economia puntando direttamente sull'investimento pubblico mirato e capace di avviare una nuova politica industriale.
  La seconda priorità è la riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali. Lo si può fare innanzitutto intervenendo in materia fiscale, con una riforma improntata all'equità e alla progressività, e in secondo luogo introducendo uno strumento strutturale di sostegno al reddito.
  La terza è la spesa pubblica. Come è stato già detto, in realtà sembra ancora mancare la capacità effettiva di avere il controllo della spesa pubblica e soprattutto di riorientarla. Anche in quest'ambito noi pensiamo che sia possibile introdurre delle misure che possano sostenere il contrasto alla povertà e alle diseguaglianze e salvaguardare i diritti sociali.
  Il quarto ma non ultimo punto è l'idea che sia necessario intervenire direttamente con investimenti pubblici nell'economia, immaginando un modello economico che sia centrato sul benessere delle persone. In particolare, per quanto riguarda le misure in campo sociale, a partire dalla considerazione che lo stesso Governo riconosce Pag. 25che le politiche restrittive di bilancio imposte a livello comunitario non costituiscono la risposta efficace contro la crisi e che contemporaneamente il Presidente della Commissione europea Juncker si è dichiarato favorevole a escludere la spesa per la sicurezza dal Patto di stabilità e crescita, noi pensiamo che sia possibile in questa fase avanzare delle proposte che forse possono sembrare provocatorie, ma secondo noi non lo sono.
  Mi riferisco innanzitutto alla proposta di escludere dal Patto di stabilità la spesa sociale e di prevedere un aumento delle risorse per i fondi sociali nazionali – abbiamo calcolato che tornare al livello del 2008 corrisponderebbe più o meno a uno 0,1 per cento del PIL. Ulteriori proposte sono dismettere la politica dei tagli lineari agli enti locali e in ambito sanitario e investire su istruzione e cultura come volano di un possibile rilancio dello sviluppo della nostra economia. Infine, noi pensiamo che sia effettivamente possibile, come abbiamo dimostrato in occasione della discussione della legge di stabilità, introdurre una misura strutturale di sostegno al reddito di entità almeno pari al 60 per cento del reddito mediano pro capite, così come indicato dall'articolo 34 della Carta di Nizza.
  Più in generale, l'appello è a far sì che il Parlamento solleciti il Governo ad abbandonare le politiche di austerità, a vantaggio degli interventi a sostegno dei consumi, della domanda interna, della crescita, dell'occupazione e dell'inclusione sociale.

  PRESIDENTE. Grazie dottoressa Naletto. Ringrazio anche il dottor Marano per la relazione.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAINO MARCHI. Non mi soffermo sulle tante cose che non condivido, perché il tempo a mia disposizione non sarebbe sufficiente.
  In primo luogo, credo che questo sia il Governo che maggiormente insiste ogni giorno in Europa perché vengano cambiate le politiche economiche europee. Inoltre, già nel DEF dello scorso anno l'impostazione era volta a realizzare la crescita soprattutto attraverso la domanda interna e, quindi, le politiche nazionali erano orientate in quella direzione, vista anche l'incertezza sul piano internazionale, che non ci permetteva di contare più di tanto sulle esportazioni.
  Faccio solo un rilievo sui dati, perché ovviamente ci sono due modi di leggerli in certi casi. Nell'ambito delle politiche sociali, se io prendo il dato del 2008 e lo confronto con quello del 2016, è evidente che posso rilevare che c'è un calo. Se però non dico che dal 2008 al 2012 le politiche sociali si sono azzerate e che adesso si è invertita la tendenza e non inserisco in questi dati anche il Fondo per la povertà, non credo di fare una lettura di quello che è realmente successo in questi anni.
  In questi anni è successo che con l'ultima legge di stabilità per il 2012, fatta dal Governo Berlusconi, quella per il 2012, si è passati dai 2,5 miliardi del Governo Prodi a zero. In seguito, a partire dal Governo Monti, poco alla volta, si è cercato di rimettere risorse. È sempre più difficile rimetterle quando si è tagliato.
  Anche per la scuola ci sono stati 8 miliardi di tagli. Certamente 3 miliardi in più non recuperano tutto, ma l'inversione di tendenza è netta. Io credo che questo sia un elemento che va considerato.

  GIULIO MARCON. Ho due domande specifiche. Vedo che nella vostra relazione – forse ho letto frettolosamente – il punto delle politiche fiscali è ricompreso nell'arco delle altre proposte e non ha una sua individuazione specifica. Vorrei capire se tra le proposte che fate sul DEF ce ne sono alcune specifiche in questo senso.
  Anche per compiacere il mio presidente, vorrei capire qual è la vostra opinione sulla cosiddetta «digital tax», che Renzi ha annunciato in pompa magna pochi mesi fa. Di questa tassa non c'è traccia nel DEF, ovvero non è citata e non è considerata come una delle misure che verranno adottate nel 2017. Parliamo di quella che è stata definita «web tax» o «Google tax».
  Sulle politiche fiscali e in particolare sulla misura della digital tax vorrei capire Pag. 26qual è la vostra opinione e se ci sono delle proposte specifiche.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Ho due domande. La prima è una domanda che io ho già rivolto alla Banca d'Italia e continuerò a rivolgere a quelli che verranno.
  C'è un problema di fondo in questo momento che noi viviamo: ci troviamo in una fase di ripresa che non è solo difficile, modesta o fragile, ma che, comparativamente al passato della nostra economia e ad altre fasi di ripresa ciclica, si situa molto al di sotto. C'è qualcosa che ci rende più difficile agganciarci alla ripresa a livello internazionale. Si vede anche dal vostro grafico che c'è un gap che aumenta tra andamenti medi dell'Europa e degli altri Paesi europei e andamenti del PIL italiano.
  Al di là dei mali antichi e delle cause strutturali che conosciamo, che hanno determinato le difficoltà, fino alla grande crisi del 2008-2009, io vi chiedo quale riflessione voi abbiate fatto o stiate facendo per spiegare che cosa è intercorso di più e di nuovo, non in senso positivo, e che ci rende così difficile questo aggancio. Ci sono delle cause che si possono individuare? Naturalmente stiamo ragionando su misure di politica economica e una diagnosi di questo genere diventa fondamentale.
  Vengo alla seconda domanda. Voi riconoscete che l'azione del Governo nei confronti dell'Europa consiste, da un lato, nell'accettazione dei vincoli europei e, dall'altro, in una forte pressione affinché, in primo luogo, queste regole possano essere cambiate e, in secondo luogo, si possano guadagnare tutti gli spazi possibili perché i vincoli possano essere allentati. C'è qualcosa che si può fare oltre a quello che sta facendo questo Governo in termini di spazi aggiuntivi? Sì, violare queste regole.
  Voi vi sentireste di raccomandare oggi al Governo e alla politica economica italiana di andare contro queste regole europee e, quindi, di violare esplicitamente i parametri europei? Secondo voi, questo comportamento sarebbe «accettato» dal mercato internazionale? Con il 133 per cento circa di debito, noi possiamo permetterci, non solo di cercare di guadagnare lo spazio possibile, non solo di contestare, ma addirittura di dire: «Sapete cosa c'è? Noi facciamo il 3,5 o il 3,8»? Questo, secondo voi, potrebbe essere gestito a livello di mercato internazionale?

  MAGDA ANGELA ZANONI. Molto rapidamente, pongo due questioni. Cosa intendete per: escludere dal Patto di stabilità la spesa sociale? Il Patto di stabilità non esiste più, esiste il pareggio di bilancio in linea con la contabilità europea. Quindi, cosa intendete?
  Inoltre, cosa intendete per dismettere la politica dei tagli lineari agli enti locali? Già quest'anno il Fondo di solidarietà comunale è distribuito per il 30 per cento sui fabbisogni standard e i costi standard, per il 40 per cento nel 2017 e per il 55 per cento nel 2018. Anche qui cosa intendete per dismissione della politica dei tagli lineari?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica, raccomandando di essere sintetici..

  ANGELO MARANO, rappresentante della Campagna «Sbilanciamoci!». Metto insieme le domande dell'onorevole Marchi e del senatore Guerrieri Paleotti sull'Europa. Abbiamo riconosciuto che quest'anno l'argomentazione anche tecnica dentro il DEF è sempre più sofisticata, stiamo contestando l'applicazione di quelle regole.
  Quello che però purtroppo manca è la messa in discussione dei vincoli che – traspare evidentemente – vengono considerati irragionevoli. Si capisce che il Governo non considera il pareggio di bilancio una cosa che abbia senso, ma manca di trarre le debite conseguenze. Ricordiamo che siamo nell'anno successivo a quello in cui un Paese che ha provato a contestare questi vincoli è stato lasciato completamente solo, anche grazie all'Italia, e questo Paese sta andando sempre più nel baratro.
  Noi di «Sbilanciamoci!» abbiamo una tradizione di ormai sedici anni in cui prendiamo i saldi del Governo e proviamo a farci cose diverse. Il nostro rispetto dei saldi di bilancio è semplicemente dovuto al fatto che, se sfondiamo i saldi, ci possiamo Pag. 27divertire a fare delle cose molto carine, ma non riusciremo a far capire come si possa fare diversamente rispetto a come viene proposto.
  Il problema qual è? Un conto è dire che non vogliamo sfondare i saldi, non vogliamo violare le regole, un altro conto è il fatto che queste regole non vengono poste in discussione DEF; si argomenta per forzare in tutti i modi, ma non si dice chiaro e tondo: «signori, queste regole non hanno senso!». Tenete presente che non tutti i Paesi europei hanno messo in Costituzione il pareggio di bilancio, solo due o tre Paesi l'hanno fatto, fra i quali, prima in assoluto, l'Italia. La Germania non ha il pareggio di bilancio in Costituzione.
  Il senatore Guerrieri Paleotti ha chiesto se c'è qualcosa che rende la ripresa italiana particolarmente complicata. Faccio due esempi molto veloci. Il primo: per tamponare i conti del sistema pensionistico abbiamo costretto a rimanere al lavoro per 2-3 anni in più lavoratori anziani che avevano (scusate, taglio con l'accetta) tipicamente la quinta elementare, con l'effetto di lasciare fuori dal mercato del lavoro laureati che cercavano di entrarvi. Noi abbiamo un fortissimo gap nel livello di educazione degli ultrasessantacinquenni rispetto agli altri Paesi d'Europa, perché i nostri hanno la quinta elementare e negli altri Paesi hanno almeno il diploma. Hai coperto i conti del sistema pensionistico e hai provocato un effetto collaterale a livello di produttività, in quanto gente stanca di 62-63 anni può dare al Paese un contributo inferiore rispetto a quello che potrebbero dare giovani laureati dinamici.
  Chiudo con la risposta all'onorevole Marcon sulle politiche fiscali. Riteniamo necessaria non una riduzione del prelievo fiscale, ma una redistribuzione del carico fiscale e da anni stiamo lavorando in questo senso. Bisogna aumentare il carico fiscale sulla rendita e ridurlo sui ceti produttivi, in particolare sulle imprese e sui lavoratori, bisogna spostare il carico fiscale dagli individui e dai lavoratori poveri agli individui che hanno un reddito più alto in base al principio di progressività, che è proprio della nostra Costituzione. Purtroppo negli ultimi anni abbiamo fatto in parte l'opposto.
  Quanto alla digital tax, c'è, non solo nell'ambito digitale, una serie di società che pagano poco o niente e bisognerebbe intervenire.

  GRAZIA NALETTO, presidente di Lunaria-Associazione di promozione sociale e co-coordinatore della Campagna «Sbilanciamoci!». Prendiamo atto che c'è stata un'inversione di tendenza per quanto riguarda l'investimento in ambito sociale rispetto all'epoca del Governo Berlusconi, ovviamente considerazioni molto più dettagliate le abbiamo fornite sia in occasione della discussione della legge di stabilità, sia nel nostro rapporto annuale.
  Ci limitiamo a considerare che c'è sicuramente un problema rispetto al finanziamento del sistema dei servizi sociali territoriali, quindi la richiesta di aumentare le risorse per supportare l'ampliamento del sistema territoriale dei servizi sociali a nostro parere resta assolutamente fondata, come resta necessario prevedere una misura strutturale di sostegno al reddito non limitata come quella prevista come strumento di lotta alla povertà nell'ambito del Social Act.
  Per quanto riguarda il punto relativo alla dismissione dei tagli ai finanziamenti degli enti locali, anche in questo caso prendiamo atto che quest'anno la scelta è stata diversa, però non vorremmo che si trattasse di una scelta temporanea e non invece di una scelta che nel corso del tempo torni a considerare fondamentali i trasferimenti agli enti locali, i quali in questi anni sono stati costretti a tagliare servizi sul territorio proprio a causa anche del taglio ai trasferimenti statali.

  PRESIDENTE. Ringrazio la delegazione di «Sbilanciamoci!».
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di ANIA.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia Pag. 28e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di ANIA.
  Do la parola al dottor Focarelli, direttore generale di ANIA.

  DARIO FOCARELLI, direttore generale di ANIA. Signor presidente, innanzitutto vorrei fare un ringraziamento a lei e al presidente Tonini. Cercheremo di essere il più rapidi possibile nei nostri interventi.
  L'economia italiana ha ripreso a crescere nell'anno passato, ma purtroppo il tasso di crescita degli ultimi quindici anni è stato sensibilmente più basso di quello di tutti gli altri Paesi occidentali economicamente avanzati.
  Nel DEF ci sono molti cantieri di riforma aperti. Il mio intervento si concentrerà su quelli che, in qualche modo, riguardano il settore assicurativo, quindi evito considerazioni di carattere generale, per le quali, se possono essere di qualche interesse, su domanda sono disponibile a ragionare.
  Il primo tema fondamentale è quello del pacchetto «Finanza per la crescita». L'Italia è un Paese che ha bisogno di investimenti. Noi abbiamo dato una valutazione positiva, in generale, a «Finanza per la crescita» e all'idea che si andasse verso un sistema finanziario meno orientato sul credito bancario e più orientato sui finanziamenti di mercato.
  Gli assicuratori rappresentano il principale investitore istituzionale in Europa. In Italia abbiamo asset per 600 miliardi di euro, quindi siamo ovviamente molto interessati a tutti i progetti che riguardano l'investimento, soprattutto quello a lungo termine, perché per noi, che abbiamo un orizzonte temporale delle nostre passività a lungo termine, l'investimento tendenzialmente vuole essere a lungo termine.
  Noi identifichiamo due punti chiave nel DEF, in particolare su questo tema.
  Il primo tema è quello generale, cioè quello di favorire i risparmi a lungo termine delle famiglie. Noi riteniamo che questo sia una cosa giusta. La nostra idea è quella di avere un regime di tassazione agevolata, sugli interessi ovviamente, per investimenti a lungo termine finalizzati nell'economia reale. E il lungo termine potrebbe essere di durata superiore a cinque anni. In «Finanza per la crescita» questa porzione è sviluppata in parte. Noi andiamo più nel dettaglio e ci sentiamo di poter proporre questo.
  Per quanto riguarda gli investimenti in infrastrutture, il discorso è correlato col Piano Juncker. Da un lato, apprezziamo il fatto che si comincino a vedere dei sistemi organizzati, comprese le controgaranzie del Fondo europeo per gli investimenti strategici - FEIS e la presenza di Cassa depositi e prestiti in un ruolo importante, anche a livello internazionale, come banca di sviluppo, dall'altro segnaliamo che forse bisognerebbe fare ancora di più per riuscire ad attrarre capitali privati. Operativamente abbiamo visto pochissimi casi di progetti direttamente finanziabili, forse soltanto un paio.
  Per quanto riguarda «Finanza per la crescita», abbiamo quindi una valutazione tendenzialmente positiva su questa parte del DEF.
  Un'altra valutazione importante è ovviamente quella sul sistema di tassazione. Noi abbiamo già dato un parere entusiasticamente favorevole alla riduzione dell'IRES per le società, in particolare per le compagnie di assicurazione a partire dal 2017. È importante che questo obiettivo si realizzi.
  Abbiamo due punti che vogliamo sottolineare. Il primo è che, nel DEF, si fa riferimento al cosiddetto «gruppo IVA» che era un'opzione per gli Stati membri di concedere, all'interno di un gruppo identificato, la possibilità di avere l'IVA a livello di gruppo. La delega fiscale prevedeva questa possibilità e, al momento, il «gruppo IVA» è l'unica previsione della delega fiscale, insieme al rinnovo del catasto, che non è stata portata a termine. Noi riteniamo che sarebbe giusto avere un'accelerazione su questo punto.
  Un ultimo tema è quello delle riserve matematiche nel ramo vita. Noi abbiamo quello che potremmo chiamare «credito», ma in realtà è un anticipo di tassazione che Pag. 29abbiamo fatto per conto dei nostri assicurati di più di 6 miliardi. Riteniamo che sia importante, in qualche modo, modificare il sistema che tende a creare naturalmente un aumento progressivo di questo anticipo. Lo dico per quanto riguarda la tassazione.
  Veniamo alla questione del welfare. Il DEF prevede esplicitamente la flessibilità dei requisiti pensionistici. Vedremo come essa sarà attuata, se verrà attuata. Noi poniamo all'attenzione una questione che a noi sembra molto importante. Alcuni italiani – non tutti, ma una parte importante degli italiani – hanno finora risparmiato per la previdenza integrativa, ma ne possono godere, al momento, soltanto quando vanno in pensione. Noi pensiamo che possa essere importante aggiungere, a queste condizioni di flessibilità che sono già delineate nel DEF, anche se non c'è la soluzione operativa, una condizione di flessibilità ulteriore, cioè la possibilità di utilizzare la previdenza integrativa in un periodo precedente il raggiungimento dell'età pensionistica.
  Per quanto riguarda, più in generale, il tema della previdenza integrativa, siamo convinti che vada rafforzata l'adesione ai fondi di previdenza integrativa, anche per il motivo che vi ho appena delineato, e che, al tempo stesso, il trattamento fiscale possa essere più vantaggioso.
  È un'ottima cosa che ci sia maggiore informazione ai cittadini con la busta arancione, di cui sappiamo essere pronta l'attuazione. Forse va anche fatta una campagna di comunicazione sui benefici della previdenza integrativa che già esistono e magari anche su eventuali nuovi benefici.
  Infine, vorrei aggiungere un ultimissimo punto. Si fa riferimento, nel DEF, all'importante legge, peraltro prevista anche nella legge di stabilità, del «Dopo di noi». Noi siamo convinti che sia una cosa giusta e sacrosanta e, se possibile, vi inviteremmo a valutare una soluzione o inviteremmo il Governo a valutare addirittura un incremento delle risorse disponibili sul «Dopo di noi». Proteggere le persone è sempre importante e proteggere i disabili è ancora più importante.
  Vorrei aggiungere due flash per concludere. Uno di questi è sulla sanità. Nelle previsioni del DEF, l'incidenza della spesa sul PIL scenderà nei prossimi anni per effetto di un aumento in termini nominali della spesa pari all'1,5 per cento all'anno e di un aumento del PIL superiore, se non ricordo male, al 2,8 per cento all'anno. Noi ribadiamo quello che abbiamo già detto in molte occasioni: in merito alla sanità, è importante una riflessione, del Governo e del Parlamento in primo luogo, sulla capacità del nostro sistema di assorbire un aumento, che è stato costante negli ultimi anni, della domanda di servizi sanitari.
  Noi siamo convinti che serva un sistema un po’ diverso, nel quale, ferma l'universalità dell'accesso, i pagamenti, cioè quelli che vengono chiamati «ticket» e «copayment», siano in realtà graduati in funzione del reddito o dell'ISEE o di qualunque indicatore ritenuto opportuno. Questo permetterebbe di aumentare il finanziamento del sistema sanitario, che già è elevato perché si somma, alle risorse pubbliche, la spesa out of pocket che, come sapete, è enorme, quindi non si tratta di raccogliere nuove risorse, ma si tratta di organizzare meglio risorse che già il sistema sanitario in qualche modo assorbe.
  Noi, da questo punto di vista, siamo convinti che occorra uno sviluppo della sanità integrativa e che, per ottenere uno sviluppo della sanità integrativa, occorra fare una cosa simile a quella che è stata fatta con le pensioni integrative, cioè occorre avere un quadro di riferimento organico per tutti gli operatori della sanità integrativa, per i fondi, le casse e le compagnie di assicurazione, e naturalmente avere un sistema fiscale coerente con questo nuovo sistema di sanità integrativa. In altri Paesi, senza sanità integrativa, il sistema sanitario sarebbe in fortissimo affanno. In Francia, in Germania e in altri Paesi, c'è un ruolo importante per la sanità integrativa.
  Ultimo flash – e poi vi lascio alle altre considerazioni ed eventualmente alle domande – è sulla Long Term Care – LTC. Nel DEF, non si fa alcun riferimento alla LTC. A noi sembra, anche sulla base delle previsioni, Pag. 30 che sono sempre più chiare, che ci sarà un aumento importante della non autosufficienza, con l'invecchiamento della popolazione, e che questo tema debba essere portato all'ordine del giorno.
  Un altro tema che sentiamo di dover sottolineare e che non è, se non indirettamente, trattato nel DEF è quello delle catastrofi naturali e della gestione del territorio. Anche su questo tema, noi riteniamo che sarebbe importante avere, da parte del legislatore, una visione approfondita e nuova, avendo in mente che, come in tanti altri Paesi, avere un sistema di gestione delle catastrofi naturali, anche di tipo assicurativo o magari per una parte limitata del sistema, da un lato aumenti la prevenzione e dall'altro aumenti la possibilità di avere fondi da destinare alla difesa e alla messa in sicurezza del territorio.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Focarelli.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. La mia domanda è semplice e circoscritta al problema del Fondo sanitario nazionale, in riferimento al PIL.
  In proiezione ci viene evidenziata una diminuzione del rapporto tra il Fondo e il PIL, con la crescita di quest'ultimo. Certo, la cosa importante è che cresca l'Autorità nazionale anticorruzione, perché più cresce e più diminuisce la corruzione all'interno della sanità, più avremo possibilità di recupero. Io ne sono fortemente convinto: lo sono per situazioni dimostrative, per gli atti che arrivano in Parlamento, per i rapporti della Guardia di finanza, per le inchieste che ci sono e anche per una serie di situazioni all'interno delle varie regioni e delle varie ASL.
  Lei faceva riferimento a una parte importante della famosa riforma del decreto legislativo n. 502 del 1992, cioè alla parte integrativa, che mai è stata veramente realizzata. Al di là di quella obbligatoria, rispetto alla situazione volontaria, vorrei sapere se voi, anche ai fini di calibrare meglio la vostra attività e per la proiezione della realizzazione dei fondi integrativi, avete uno spaccato di sprechi e corruzione all'interno del sistema oppure se fate affidamento solo alla reale situazione che si deduce dai documenti ufficiali cui facevo riferimento prima.
  Dico questo perché, tanti anni fa, Mediobanca, al fine di fare un'analisi molto pertinente per calibrare meglio gli investimenti da questo punto di vista, fece uno studio indipendente e quantificò – parlo degli inizi degli anni Duemila – come sprechi e altro circa il 12 per cento del Fondo.
  Vorrei sapere se per caso ci sia qualche riflessione da parte vostra su questo flottante enorme esistente. Lei ha perfettamente ragione e io condivido quanto dice: le risorse sono tante perché ci sono 111 miliardi di risorse pubbliche, più una serie enorme di risorse che il cittadino è costretto a dare, al di là dei ticket e delle addizionali regionali, proprio dal punto di vista del pagamento privato. Basti pensare che a Roma ormai è diventata un'attività molto remunerativa e attenzionata quella di tutte le strutture che erogano prestazioni low cost.

  MAINO MARCHI. Lei ci ha parlato della opportunità di anticipare l'erogazione della pensione integrativa, rispetto all'andata in pensione. Io vorrei, invece, affrontare il tema della flessibilità in uscita.
  Credo che si possa costruire un sistema per cui, attraverso le penalizzazioni, almeno considerando la durata media della vita, la spesa previdenziale rimanga sostanzialmente inalterata. Tuttavia, resta il fatto che, almeno all'inizio del processo, c'è qualcuno che va in pensione e che altrimenti non ci andrebbe; e questo determina un aumento, nell'immediato, della spesa. Potrebbe esserci, secondo voi, una partecipazione a questo processo del sistema assicurativo che permetta di risolvere questo problema, attraverso forme di prestito o quant'altro? Lo chiedo perché temo che altrimenti, se rimane sempre e solo una questione affrontata come è stato fatto fin qui, non so se si troverà la soluzione a questo problema, soprattutto se non entrano in campo anche altri soggetti.

Pag. 31

  PRESIDENTE. Do la parola al direttore generale Focarelli per la replica.

  DARIO FOCARELLI, direttore generale di ANIA. Onorevole Palese, non abbiamo una stima. Anch'io ricordavo la stima di Mediobanca su sprechi e corruzione, però tenga conto che in generale, in economia, la distanza dalla frontiera efficiente qualche volta è anche superiore, cioè ci sono stime, in altri settori industriali, di distanza dalla frontiera efficiente che vanno intorno al 20 o al 25 o al 30 per cento. Certo, è importante e soprattutto è eticamente inaccettabile che esistano, nel sistema sanitario, la corruzione e gli sprechi, però la distanza dall'efficienza molto spesso può essere anche superiore. In tal senso, io le faccio un'altra contro-argomentazione dal punto di vista logico, fermo restando che ci sono gli sprechi e la corruzione e che vanno combattuti nella maniera più forte possibile e più decisa possibile. L'Italia spende meno della media dei Paesi europei e ha un sistema sanitario che è ragionevolmente migliore di quello della media degli altri Paesi. Non voglio dire più quello che si diceva una volta «siamo il primo o il secondo eccetera», ma diciamo soltanto che siamo migliori della media: se spendiamo meno della media e siamo migliori della media, l'inefficienza del sistema, che c'è sicuramente, non è più grave di quanto lo sia in altri sistemi.
  Certo, questo discorso andrebbe temperato in maniera molto importante e la storia sarebbe lunga. Io ho una figlia che studia medicina e una spiegazione razionale che mi è stata data è che i medici in Italia vengono pagati meno che in altri Paesi e questo contribuisce a far sembrare il nostro sistema relativamente più efficiente.
  La lotta agli sprechi va fatta comunque, però, se si pensa a una prospettiva lunga, si ha una popolazione che invecchia e che avrà sempre più bisogno di sanità, ma anche uno Stato che ha sempre meno possibilità di fare deficit o comunque di fare spesa; questo tema è ineliminabile perché la spesa sanitaria aumenta con l'età e con l'invecchiamento della popolazione.
  È questa parte che va affrontata in maniera sistematica, il che non vuol dire che non bisogna fare la lotta agli sprechi, ma questo aspetto va inevitabilmente risolto.
  Come è noto, certe medicine e i farmaci biologici hanno un costo enorme e anche una capacità enorme di risolvere il problema, ovviamente sono l'effetto delle nuove tecnologie. L'inflazione nella sanità è enormemente superiore all'inflazione dei beni comuni, quindi è inevitabile, secondo me, la riflessione che in qualche modo vi sollecitiamo, fermo restando che avete tutte le ragioni per dire che vanno combattuti in tutti i modi sprechi e corruzione.
  Per quanto riguarda l'onorevole Marchi, il tema è chiaro. Uno potrebbe andare in pensione un anno, due anni, tre anni prima – adesso non mettiamo limiti – e ripagare nel corso del resto della sua vita, o anche in un periodo limitato, quanto ha preso in anticipo nei tre anni.
  Dal punto di vista finanziario questa è sostanzialmente un'operazione di prestito. Qualcuno ti presta i soldi per pagarti la pensione anticipata e tu gli ripaghi il prestito. Tecnicamente non è un'operazione assicurativa. È più – se vogliamo – un'operazione bancaria.
  Naturalmente, poiché in finanza si possono fare le stesse cose in più maniere, esistono anche altre soluzioni. Per esempio, se ci fosse una società o un veicolo che in qualche modo raccogliesse sul mercato dei fondi e facesse poi la stessa operazione, questa operazione potrebbero non farla magari le banche, ma la potrebbe fare questa società. Concettualmente è sempre la stessa cosa: è un prestito per un determinato periodo.
  Lei ha ragione, però. Poiché sui conti dello Stato, da quello che capiamo, secondo le argomentazioni che abbiamo sentito, questo provocherebbe un disequilibrio all'inizio, questa sembrerebbe essere l'unica soluzione.
  È una soluzione che implica, ovviamente, una decurtazione della pensione in funzione del numero di anni di anticipo e del periodo in cui si ripaga il prestito. Finanziariamente è una soluzione possibile. Pag. 32 Ovviamente, cosa diversa sono sia i problemi contabili, sia – il che è ancor più importante – i problemi sociali legati alla questione pensione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la delegazione di ANIA.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti
di ANCE e Confedilizia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di ANCE e Confedilizia.
  Do la parola al dottor Gennari, vicedirettore generale di ANCE.

  ANTONIO GENNARI, vicedirettore generale di ANCE. Buonasera a tutti. Grazie dell'invito. Abbiamo portato un documento. Contiene una nota di sintesi e poi le analisi più dettagliate. Cercherò di esporlo rapidamente, perché so che il tempo a disposizione è ridotto.
  La prima valutazione è che sicuramente il DEF, a nostro giudizio, è positivo.
  La legge di stabilità 2016 era, a giudizio dell'ANCE, una legge molto positiva perché scommetteva, era espansiva sugli investimenti pubblici e imprimeva agli stessi una spinta forte – più 8 per cento di stanziamenti aggiuntivi, dopo quasi otto anni di tagli sulla spesa pubblica, – ma soprattutto perché ha soppresso e superato il Patto di stabilità interno per gli enti locali. Anche la clausola europea per gli investimenti ci vedeva e ci vede molto favorevoli. È una scelta giusta da parte del Governo.
  Nel DEF si conferma questa tendenza, anche se forse il dato ha carattere prudenziale, e rispetto alle stime di investimenti, che sono intorno al miliardo più la clausola di flessibilità, le nostre aspettative erano maggiori. Siamo convinti che, se gli enti locali faranno quello che devono fare il 30 aprile, approvando i bilanci di previsione nell'ambito della nuova regolazione, cioè del pareggio di bilancio con il superamento del Patto di stabilità interno, e faranno – perché è loro responsabilità – la scelta di dare risorse agli investimenti anziché a spese correnti, la spesa per gli investimenti anche già nel 2016 sarà per noi positiva. C'è una stima di 4 miliardi della Corte dei conti, mentre la stima del DEF è intorno al miliardo. Se riuscissimo a raggiungere l'obiettivo della metà, mi sembrerebbe un buon risultato.
  Il nostro sistema delle 102 associazioni sta sollecitando gli enti locali ad adempiere all'obbligo di approvazione dei bilanci di previsione, perché in quella sede devono decidere come attribuire le risorse. Voglio solo ricordare che dal 2008 – l'anno della crisi che riguarda il settore – al 2014 le spese correnti degli enti locali sono aumentate del 17 per cento e gli investimenti in conto capitale e le infrastrutture si sono ridotti del 47 per cento. Per la prima volta nel 2015 c'è stata un'inversione, un più 15 per cento, delle spese di conto capitale, soprattutto a Sud, perché c'era la questione dei fondi strutturali in scadenza. Vorremmo che anche nel 2016 ci fosse la volontà di attribuire risorse alle infrastrutture, dalla manutenzione delle strade a tutto quello che serve agli interventi degli enti locali.
  Esiste naturalmente il rischio di un forte rallentamento di tale spesa dovuto all'introduzione del Codice degli appalti, che sta per essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, e vedremo il testo finale, e certamente esiste il rischio di uno shock da innovazione, soprattutto per quelle parti che riguardano le procedure di messa in gara non soggette a periodo transitorio.
  Gli enti locali si troveranno con un nuovo Codice. Ci sono delle parti transitorie, ma, per esempio, la scelta se fare la gara al massimo ribasso o con l'offerta economicamente più vantaggiosa significa in qualche modo aggiustare il tiro, rimettere le mani sui bandi, magari già preparati, e scegliere le Commissioni di gara. Speriamo che questo effetto non sia troppo Pag. 33pesante. Certamente, però, ci sarà un effetto di questo genere.
  Ci sono le risorse: auspichiamo che le stazioni appaltanti utilizzino le risorse disponibili. Parliamo di edilizia scolastica e di rischio idrogeologico, di Rete ferroviaria italiana e di ANAS, che ha avuto un finanziamento nella legge di stabilità di quasi 6,8 miliardi. Spendiamo le risorse disponibili!
  Ci sono poi nel Piano nazionale di riforma interventi e prospettive di politica fiscale. Come ANCE, le condividiamo. La riduzione della pressione fiscale sui redditi delle famiglie e delle imprese è una strategia – credo – condivisibile sotto tutti i punti di vista. Lo è anche il processo di razionalizzazione degli incentivi: ricordo che gli incentivi che in questi anni sono stati messi in campo, come – voglio ricordare – il bonus sull'efficienza energetica e sulle ristrutturazioni, hanno prodotto effetti positivi. Anzi, l'unico settore che ha tenuto nella grande crisi del settore costruzioni è proprio quello delle ristrutturazioni. Facciamo attenzione, quindi: cerchiamo di fare questa rivisitazione tenendo conto di questo. Anche i dati del Ministero dell'economia e delle finanze dicono che produce gettito anziché ridurlo. C'è un effetto di stimolo al mercato. Noi proponiamo di confermare le detrazioni al 50 per cento per il recupero edilizio. Sulla riqualificazione per l'efficienza energetica al 65 per cento si può anche immaginare un'intensità di aiuti in funzione delle prestazioni energetiche degli edifici, in maniera da prevedere un décalage sugli incentivi in funzione dei risultati.
  Proseguo rapidamente. Alla revisione del catasto siamo assolutamente favorevoli, tenendo conto che il punto di equilibrio e di caduta è il non aumento del gettito, cioè una situazione tale per cui non ci sia ulteriore aumento di imposta, dopo lo shock degli ultimi anni. Auspichiamo che la revisione sia di maggiore equilibrio e che ci sia un'invarianza di gettito, altrimenti rischiamo di ritornare in una situazione molto pesante per il settore.
  Va bene la riforma della procedura di insolvenza e della crisi d'impresa. C'è un disegno di legge delega. È opportuno risolvere questo problema: abbiamo delle proposte. Si vada avanti in quella direzione.
  Ci sono poi anche alcune proposte che abbiamo fatto al Governo, e che riteniamo siano da prendere in considerazione, nelle politiche che riguardano la rigenerazione urbana. La scommessa nei prossimi anni sarà proprio quella di rilanciare l'intervento dentro le città, nella città costruita. Abbiamo fatto delle proposte di incentivi per la sostituzione edilizia. La vera frontiera per il rinnovo urbano è l'edilizia di sostituzione – ovvero demolizione e ricostruzione – come avviene in tutti i Paesi civilissimi del Nord Europa, ossia il rinnovo urbano dentro la città consolidata.
  Ci sono alcune volte dei paradossi. Se ristrutturo l'edificio, posso avvalermi degli incentivi al 50 per cento. Se demolisco e ricostruisco con un limite minimo di aumento di volumetria, non prendo niente. Queste sono cose che abbiamo proposto. Lo stesso vale per le permute. Spesso e volentieri chi compra un edificio di classe A o di classe B – come settore, ragioniamo solo laddove ci siano rinnovo urbano ed edifici qualificati – ha un vecchio edificio energivoro anni Settanta. Noi gli diciamo che, se compra un edificio di classe A o classe B, può effettuare una permuta, con imposte di registro e ipocatastali in misura fissa, a patto che l'imprenditore che prende in permuta il vecchio edificio entro cinque anni lo rimetta sul mercato, riqualificandolo. È un modo per innestare un meccanismo di riqualificazione complessiva del patrimonio urbano.
  Riteniamo utile una proroga per un triennio della detrazione IRPEF pari al 50 per cento dell'IVA corrisposta per l'acquisto di abitazioni in classe energetica A e B, prevista nell'ultima legge di stabilità. Riteniamo che si debba dare una prospettiva almeno triennale a questo provvedimento, perché – è questo poi l'obiettivo finale – chi ha intenzione di fare investimenti (quello che serve al Paese è rimettere in modo gli investimenti) abbia una prospettiva di medio termine. Attualmente l'agevolazione scade il 31 dicembre 2016. Poiché di questa detrazione si beneficia al momento del rogito, se non si riesce a rogitare entro la Pag. 34fine dell'anno, si toglie l'opportunità a chi sta decidendo di fare degli investimenti. Sapete, quando uno butta giù un palazzo e lo ricostruisce o lo ristruttura, quali sono i tempi fisici per fare questo intervento. Occorre fornire una prospettiva anche agli investitori di medio termine.
  Ci sono poi delle proposte, che c'erano state anche nel passato, nei processi più complessi di riqualificazione del territorio. Si prevede un regime fiscale agevolato nelle transazioni sempre che entro un dato periodo di tempo – diciamo cinque anni – si mettano sul mercato immobili di qualità.
  Voglio finire con la semplificazione e riduzione degli oneri amministrativi. Condividiamo tutto ciò che è stato messo in campo dal punto di vista della semplificazione. Vogliamo sottolineare, però, che le semplificazioni hanno bisogno non solo di buone regole, ma anche di un sostegno in termini di comunicazione e di monitoraggio su chi è chiamato ad applicarle. Spesso vediamo che alcune innovazioni, anche dei decreti sulla riforma della Pubblica amministrazione, non hanno riscontro. Vediamo talune resistenze delle stesse pubbliche amministrazioni ad attuarle. Questo rischia di vanificare anche l'innovazione nelle semplificazioni e nel procedimento amministrativo, come l'approvazione del Regolamento edilizio unico e altre questioni di questo genere, che facilitano il processo di innovazione e di semplificazione dell'intervento sulla città costruita.
  Voglio chiudere sulle politiche del territorio. C'è un cambiamento che deriva anche dalla riforma delle competenze tra Stato e regioni. Noi riteniamo sempre – e chiudo così – che servano delle regole a livello legislativo, anche nazionale, che definiscano i procedimenti e che diano una cornice regolatoria ai casi puntuali di demolizione e ricostruzione. C'è troppa possibilità di interpretazione a livello territoriale. Gli 8.000 comuni interpretano in maniera abbastanza disomogenea la normativa in materia. L'imprenditore che si vuole cimentare in una demolizione e ricostruzione secondo le regole vigenti va incontro a un processo molto lungo, ragion per cui ci sono anche soluzioni piuttosto paradossali. Se ristrutturo, non pago gli oneri di urbanizzazione. Se demolisco o ricostruisco in situ, pago tutti gli oneri di urbanizzazione. Vogliamo fare una regola che almeno, anche in questo caso, sia equiparata a tutti gli effetti?
  Voglio dire questo perché, se vogliamo intervenire – e come ANCE, crediamo che questa sia la strada – nella rigenerazione urbana, dobbiamo stabilire delle regole puntuali in modo che sia le amministrazioni, sia gli operatori abbiano le idee chiare su quale sia il procedimento e su quali siano le regole e anche gli incentivi, come dicevo prima, che favoriscono l'intervento di rinnovo urbano dentro la città consolidata.
  Questo è un po’ il quadro sul DEF. Concludo e sono a disposizione per qualunque chiarimento.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Gennari.
  Do la parola all'avvocato Spaziani Testa per Confedilizia.

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, presidente di Confedilizia. Grazie, presidente. Grazie a lei, al presidente della Commissione bilancio del Senato e alle due Commissioni riunite per aver voluto ascoltare anche quest'anno il parere della proprietà immobiliare sul documento che rappresenta la programmazione del Governo per il prossimo anno, ma anche per i successivi, con riguardo alle politiche economiche e fiscali.
  Con riguardo a queste rappresentiamo il nostro giudizio positivo in quanto il documento nella sua globalità specifica di voler incentrare su quella che chiama «politica di responsabilità fiscale» l'obiettivo delle politiche dei prossimi anni, individuando in una riduzione dell'imposizione per imprese e famiglie la modalità con la quale affiancare le riforme strutturali che questo stesso Governo ha varato.
  Naturalmente – lo dirò a breve – riteniamo che qualcosa di specifico debba poi essere previsto per quanto riguarda il settore immobiliare. Abbiamo trasmesso alle Commissioni un documento nel quale commentiamo brevemente in particolare alcuni dei punti sia del Programma nazionale di riforma sia del Programma di stabilità dell'Italia, Pag. 35 nell'ambito del DEF. All'interno di questo documento proponiamo alcune soluzioni, in particolare per quanto riguarda le misure fiscali, ma non solo.
  In dettaglio, anche sulla base dell'impostazione dei documenti del DEF che ho citato, inizio con la revisione della spesa, affermando che l'obiettivo del Governo di proseguire in una strategia di revisione e razionalizzazione della spesa pubblica ci vede naturalmente concordi. Riteniamo, però, che si debba agire con maggiore convinzione su tutti i comparti nei quali ciò è possibile, alcuni citati nello stesso Documento di economia e finanza, ma anche altri.
  Alcuni esempi sono il rafforzamento delle centrali di acquisto per quanto riguarda le spese, soprattutto quelle statali relative ai ministeri, e la riduzione dei trasferimenti e dei contributi alle imprese pubbliche e private. Secondo noi, però, una particolare cura dovrà essere rivolta all'attivazione di un virtuoso meccanismo di riduzione della spesa per quanto riguarda gli enti locali.
  Vediamo dal documento che il Governo punta in particolare sulla stabilizzazione della riforma contabile, che avverrà nel corso di quest'anno, e sul sistema, non ancora del tutto attivato – bisogna dirlo – dei costi standard e dei fabbisogni standard.
  Noi crediamo che su questi due punti, così come sull'intervento sulle società partecipate pubbliche, che formano oggetto di un altro recente provvedimento del Governo, ci debba essere una grande e maggiore convinzione da parte del Governo stesso, affinché, soprattutto nei grandi comuni, che sono dei forti centri di spesa in questo Paese, si possa ottenere il dovuto risparmio di spesa e in molti casi anche di sprechi.
  Con riferimento alla tassazione sugli immobili, che è un grande paragrafo di un più ampio capitolo del DEF che riguarda le politiche fiscali, noi, da un lato, ricordiamo qui quello che abbiamo detto nel corso di quest'anno: abbiamo apprezzato particolarmente le misure varate attraverso l'ultima legge di stabilità, proposte dal Governo e poi modificate, e in qualche caso migliorate, dal Parlamento.
  Mi riferisco ai primi interventi di inversione di tendenza nelle politiche fiscali sull'immobiliare, che hanno registrato quattro anni di tassazione esagerata, avviata con la manovra del novembre 2011 e consolidata nel corso degli anni successivi.
  Non faccio riferimento solo all'eliminazione della TASI sulla prima casa, sia pure con esclusione di alcune fattispecie, ma anche a qualche intervento sugli affitti e sulla riduzione dei contratti concordati e a ulteriori interventi sul leasing abitativo, sulle ristrutturazioni e sul risparmio energetico.
  Sulla TASI il Governo afferma nel DEF che gli effetti dell'abolizione sulle abitazioni principali confermano l'impatto positivo sui consumi dal 2016. Tenuto conto della crescita stimata dei consumi dello 0,25 per cento negli anni 2017-2018, si avrebbe un effetto costante sul PIL dello 0,1 per cento negli anni 2016-2019. Credo che ciò confermi che questa misura sulla TASI aveva come proposito da parte del Governo quello di stimolare i consumi e ha sortito questo effetto, sia pure probabilmente non nella misura che si riteneva auspicabile.
  Tuttavia, tenendo presente che, come sembra di comprendere dalla lettura del DEF, il rilancio dei consumi privati è un obiettivo fondamentale di questo Governo – ed è giusto che sia così, perché in Italia in particolare i consumi privati sono un formidabile acceleratore del prodotto interno lordo – noi riteniamo che si debba proseguire nell'opera di riduzione fiscale, ma agendo con forte convinzione soprattutto sul settore immobiliare.
  Quello che è stato fatto con le misure di questa legge di stabilità ha portato a qualche piccolo segnale di ripresa del mercato delle compravendite, che però è stato limitato alla compravendita e all'acquisto di quegli immobili che gli italiani sono per natura portati ad acquistare, ovvero la prima casa.
  Di questo è complice – naturalmente in senso positivo – il fatto che nel frattempo le condizioni per l'accesso al credito e le condizioni relative ai mutui in Italia sono Pag. 36da alcuni mesi, o forse da alcuni anni, particolarmente favorevoli.
  Noi crediamo che, per non perdere l'occasione fornita da queste condizioni, così come dalle politiche espansive della Banca centrale europea, e per far sì che non sia solo nei consumi l'effetto positivo che le politiche sull'immobiliare potrebbero avere, restando al tema fiscale, si debba intervenire con la prossima legge di stabilità per proseguire questa dinamica virtuosa.
  Individuiamo in una misura in particolare la priorità che, a nostro avviso, dovrebbe essere un punto della prossima legge di stabilità. Mi riferisco alla situazione particolarmente grave che stanno sopportando gli immobili destinati a uso non abitativo, soprattutto quelli utilizzati come negozi o uffici.
  In questo caso, l'imposizione erariale e locale, anche per via dell'assenza in questo comparto della cedolare secca sugli affitti, porta a una tassazione che, fra IMU, IRPEF, TASI, altre imposte, addizionali eccetera, arriva a erodere oltre l'80 per cento del reddito da locazione nominalmente riscosso. È una situazione talmente grave e talmente vera che, oltre a essere denunciata dalle associazioni della proprietà immobiliare, viene denunciata ormai ripetutamente dalle maggiori organizzazioni del commercio, che in questo caso, come è evidente, sono le controparti della proprietà immobiliare. Si stanno rendendo conto da alcuni mesi che la mancanza di redditività dell'investimento in immobili commerciali, negozi e uffici, che sono tradizionalmente e per definizione l'investimento dei piccoli proprietari, dei piccoli risparmiatori e delle persone fisiche, porta danni incalcolabili al commercio stesso, ai commercianti e agli aspiranti commercianti e artigiani. Persino da loro è giunta la richiesta, che noi avanzavamo da alcuni anni, di procedere a una detassazione di questo comparto.
  Tale detassazione potrebbe essere attivata, a nostro avviso, in particolare attraverso l'estensione anche a questo comparto della cedolare secca sugli affitti, naturalmente nella misura che i conti pubblici permetteranno di individuare.
  Gli ultimi dati diffusi dal Ministero dell'economia e delle finanze, relativi al 2015, dimostrano che la cedolare secca è stata una misura particolarmente virtuosa, non solo per l'obiettivo di emersione del nero e del sommerso, che era fra i maggiori dichiarati all'epoca, ma soprattutto per la dinamica virtuosa del mercato degli affitti che è stata attivata attraverso questa misura.
  Tutto ciò potrebbe essere previsto eventualmente anche nell'ambito di un sistema di contrattazione analogo a quello delineato dalla legge n. 431 del 1998 per le locazioni abitative.
  Per quanto riguarda il fisco, nel nostro documento esponiamo alcune misure che, secondo il nostro avviso, potrebbero essere utilmente attivate e che naturalmente torneremo a proporre in occasione della presentazione del disegno di legge di stabilità per il 2017. In questa sede mi limito a citarne una, relativa alla locazione abitativa appena citata, che è la stabilizzazione dell'aliquota del 10 per cento della cedolare secca sugli affitti a canone calmierato nei comuni ad alta densità abitativa, che avrà termine nel 2017. Anche questa misura sta producendo frutti positivi per questa tipologia di locazioni.
  Non mi soffermo sugli altri interventi. Vengo invece ad altri aspetti trattati nel DEF.
  Il primo è la revisione del catasto. Noi abbiamo colto con favore nel Documento di economia e finanza il fatto che il Governo, nel porsi il termine massimo del 2018 per la realizzazione della riforma, faccia un'affermazione che conferma quanto noi avevamo detto nel giugno scorso, quando questa riforma fu bloccata. Infatti, il documento afferma che c'è necessità di valutare in modo accurato gli effetti di gettito e distributivi sui contribuenti della riforma.
  Propria questa era la garanzia che non si aveva nel testo dello schema di decreto legislativo che stava per entrare in Consiglio dei ministri per l'approvazione definitiva nel giugno scorso e che fu bloccato dal Presidente del Consiglio, anche – lo devo dire – su richiesta di Confedilizia. Non si aveva quella garanzia di invarianza di gettito Pag. 37 che era il presupposto e il criterio cardine stabilito dalla legge delega ora scaduta.
  Cogliamo con favore il fatto che il Governo abbia voluto prudenzialmente ricordare che, se non verranno attivati tutti i complessi meccanismi di valutazione degli effetti di gettito di una riforma di questa importanza, questa riforma non può essere fatta, perché, soprattutto dopo le politiche errate degli scorsi anni sull'immobiliare, non deve assolutamente rappresentare un pretesto per l'aumento dell'imposizione fiscale.
  Un altro capitolo trattato nel DEF è quello relativo al riordino delle spese fiscali, quelle che abitualmente e giornalisticamente vengono definite «agevolazioni fiscali».
  Questo riordino, come sappiamo, è collegato anche alle clausole di salvaguardia, sulle quali giustamente il Governo si impegna a porre un freno. Il rischio – non crediamo che sarà così, ma lo poniamo come tema – di una valutazione non accurata di queste spese fiscali è che, come ci dimostra l'esperienza della Commissione Ceriani, della quale anche Confedilizia ha fatto parte qualche anno fa, in queste agevolazioni fiscali, in qualche caso presunte, finiscano delle misure che agevolazioni non sono. Faccio riferimento, puramente a titolo di esempio, alla deduzione che c'era e c'è forse tuttora in quell'elenco, ovvero la deduzione delle spese dai redditi da locazione, che è appunto una deduzione di spese di produzione del reddito e non un'agevolazione.
  Noi confidiamo che, oltre alle commissioni di tipo ministeriale che il Governo, nell'ambito del DEF, annuncia di voler attivare, si possa effettuare anche da parte delle categorie, come avvenne all'epoca della Commissione Ceriani, un controllo su questa attività importantissima e delicatissima di revisione delle cosiddette «spese fiscali».
  Accenno a una parte molto specifica della riforma degli appalti, varata, come sappiamo, qualche giorno fa dal Consiglio dei ministri in via definitiva. Nell'apprezzare tante misure nella stessa previste dal punto di vista di tutto ciò che riguarda il settore, facciamo un riferimento particolarmente positivo al rafforzamento, alla conferma e all'ampliamento di misure che vengono definite nel provvedimento «di partenariato pubblico-privato», ovvero di coinvolgimento dei privati nello svolgimento di alcune attività. In particolare, cogliamo con molto favore la conferma e l'ampliamento della misura che consente ai cittadini, singoli o gruppi, di effettuare interventi su loro proposta su aree del territorio, in cambio di agevolazioni fiscali.
  Faccio un ultimo riferimento all'efficienza energetica, obiettivo numero cinque del Documento di economia e finanza. Noi richiamiamo l'attenzione in questa sede – e lo stiamo facendo anche nei confronti del Governo – sui rischi che possono derivare dall'imminente scadenza, il 31 dicembre 2016, dell'obbligo per tutti i condomini italiani di attivarsi ai fini del rispetto della normativa sulla contabilizzazione e termoregolazione del calore.
  Poiché è in corso di emanazione un provvedimento, che ancora però non vediamo, correttivo del decreto legislativo del 2014 che regola questa misura, essendoci grande incertezza nel settore in tutti i condomini italiani, crediamo che il Governo potrebbe – e spero che il Parlamento si faccia latore di questa esigenza – sospendere questa normativa, per lo meno, per quel che è concesso dall'Europa, rinviando l'applicazione delle sanzioni.

  PRESIDENTE. Grazie, avvocato Spaziani Testa.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ANTONIO D'ALÌ. Cercherò di essere breve. Sappiamo che la questione immobiliare è sicuramente una delle questioni principali su cui in questo momento il Paese si deve misurare. Vorrei porre solamente delle domande, anche perché ho sentito dei giudizi positivi, soprattutto di auspicio più che di contenuto.
  Sul Piano casa sono assolutamente d'accordo. Noi abbiamo lanciato l'idea del Piano casa anni fa, che è stata poi vanificata in Pag. 38gran parte dalle regioni e anche da un'attività di contrasto.
  Sono d'accordo sulla possibilità di tracciare regole fondamentali a livello nazionale, da trasferire poi a livello locale. Tuttavia, a livello locale mi sembra che la richiesta di semplificazione sfugga a quello che secondo me è l'oggetto principale. Bisognerebbe chiedere, a mio giudizio, una revisione dell'assetto del governo del territorio dal punto di vista del numero delle amministrazioni e dal punto di vista dell'omogeneità dei regolamenti.
  Io credo che proprio gli operatori del settore immobiliare siano quelli che più soffrono dell'enorme numero di piani regolatori sul territorio e dell'enorme varietà delle norme regolamentari che sono in essi contenute. Credo che voi possiate condividere la necessità di una vera semplificazione, che è finalizzata anche alla diminuzione della spesa pubblica. Se non si procede a una vera limitazione del numero degli enti locali e alla fusione dei comuni e di tutte le funzioni che questi svolgono sul territorio, attraverso l'accorpamento di uffici e di interventi, credo che sia inutile parlare di possibilità di semplificazione.
  Vengo ora ad alcuni fatti specifici. Mi sarei atteso, per esempio, la richiesta di eliminazione della norma che consente di utilizzare come spesa corrente gli oneri di urbanizzazione, perché sono soldi destinati alle infrastrutture e, quindi, sicuramente di interesse della vostra categoria. Allo stesso modo, mi sarei atteso la richiesta di porre fine al carattere d'imposta patrimoniale della TARI. Infatti, la stragrande maggioranza dei comuni nel nostro Paese ancora applica la TARI sulla base di criteri patrimoniali e non sulla tariffazione del servizio. Credo che quella della tariffazione dei servizi sia una battaglia che voi dovreste sostenere su tutte le imposte locali, perché penso che in questo momento le imposte locali siano uno dei nervi scoperti del settore immobiliare.
  Inoltre, mi sarei aspettato un giudizio – il mio è negativo, ma penso lo sia anche il vostro – sulla tassazione fissa delle vendite nelle procedure immobiliari, che sul mercato immobiliare avrà secondo me un'incidenza non indifferente, perché è una norma che è a tutto vantaggio della conclusione delle esecuzioni. Vedremo cosa avverrà dal punto di vista del mercato. A mio giudizio ciò potrà portare a una veloce conclusione delle esecuzioni immobiliari, che naturalmente è una cosa importante per quel settore, ma anche a un abbassamento del valore degli immobili nel loro complesso.
  In definitiva, io penso che su alcuni aspetti bisognerebbe essere un po’ più incisivi e chiedere una revisione complessiva di tutta la normativa relativa alla tassazione sugli immobili.
  Mi permetto di dire che la revisione del catasto va sicuramente fatta, ma è illusorio pensare che venga fatta a costo zero per la proprietà immobiliare. L'esperienza del passato non presenta esempi in cui la revisione del Catasto abbia portato a un mantenimento dello stesso livello di pressione fiscale o addirittura, come voi dovreste auspicare, a una diminuzione complessiva dell'imposta sugli immobili, perché, se il livello attuale di imposta sugli immobili è di vostra soddisfazione, allora io forse non ho capito nulla.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, presidente di Confedilizia. Ringraziando il senatore D'Alì che ha trattato tanti punti, parto dall'ultimo, quello della revisione del catasto. La brevità dell'esposizione forse può portare a qualche sottovalutazione dell'attenzione che abbiamo per questo problema, ma non è assolutamente così: io ho sottolineato il fatto che il Governo, a nostro avviso opportunamente, pone delle condizioni ben precise alla possibile ripresa della riforma del catasto, che è stata dallo stesso Governo bloccata nel giugno scorso.
  Ritengo che sia molto delicato il tema dell'invarianza di gettito, che era il presupposto di quella riforma e che in una nuova riforma dovrebbe a nostro avviso essere di nuovo il presupposto, quindi gli occhi aperti sulla eventuale, futura, prossima riforma del catasto da parte di Confedilizia ci saranno sempre. Pag. 39
  Legherei gli obiettivi di riduzione della tassazione fiscale più a misure sulle imposte che alla riforma del catasto, e non ci stanchiamo di ripetere che il livello di tassazione sugli immobili è rimasto eccessivamente alto, nonostante le misure varate con l'ultima legge di stabilità, che costituiscono però un segnale di inversione di tendenza dopo anni in altra direzione.
  In questo ambito della tassazione sugli immobili – non l'ho detto nell'esposizione orale, ma c'è un riferimento nel documento – la tassa sui rifiuti, come giustamente rilevava il senatore D'Alì, costituisce un tema fondamentale in questo periodo, soprattutto per il fatto che si tratta dell'unico tributo locale di cui, per il 2016, a differenza di IMU e TASI, non è vietato l'aumento e è un tributo assolutamente poco trasparente, per il quale gli aumenti non si riscontrano ma sono continui, quindi abbiamo chiesto, e ci è stato preannunciato che sarà dato corso alla proposta, un confronto con il Governo per discutere la revisione della disciplina sulla TARI.
  Intendendo per Piano casa tutto ciò che riguarda la normativa urbanistico-edilizia di fonte anche regionale e locale, abbiamo più volte denunciato il fatto che il sistema costituzionale in essere non permette a cittadini e operatori di godere delle garanzie che dovrebbero avere per effettuare interventi, che non sono quelli denunciati come particolarmente distorsivi dell'ambiente delle città, ma sono a volte semplici interventi per rendere più vivibili le case. Mi riferisco al banalissimo frazionamento che in molte città è in discussione e a volte serve a venire incontro alle difficoltà economiche delle famiglie; quindi condivido l'appello a un intervento, che però ritengo essere difficile, di semplificazione del settore.

  ANTONIO GENNARI, vicedirettore generale di ANCE. Per rispondere rapidamente e non ripetere quanto ha detto il presidente di Confedilizia, sul catasto anche nel nostro documento c'è scritto che è giusto effettuare una revisione che corregga le sperequazioni che oggi ci sono sulle rendite tra il vecchio e il nuovo, laddove il nuovo viene accatastato in linea con i valori di mercato, mentre per le case costruite in passato c'è una valutazione più favorevole, quindi è giusto che ci sia un processo, tenendo conto dell'invarianza di gettito, nel senso di un riequilibrio. Questa può essere l'occasione per rivedere la tassazione e le rendite sulle seconde case, tra cui le case in affitto, che rappresentano una carenza della struttura della nostra distribuzione degli immobili.
  In relazione al discorso del 50 per cento degli oneri di urbanizzazione utilizzati per spesa corrente: da 8 anni viene data questa proroga, noi ci siamo sempre opposti per il motivo molto semplice che questi oneri hanno la finalità di attribuire risorse agli enti locali per attrezzare il territorio rispetto ai cambiamenti urbani.
  Come ho detto prima, vedremo cosa succede nelle scelte di investimento degli enti locali, nella destinazione delle risorse disponibili agli investimenti, perché l'alibi che fino adesso ha governato certe scelte degli enti locali, l'alibi del patto di stabilità interno che impediva l'utilizzo delle risorse per investimenti sul territorio, non c'è più, ognuno deve scegliere, a cominciare dalle amministrazioni.
  Per questo insistiamo perché non ci siano ulteriori proroghe, ma entro il 30 aprile le amministrazioni facciano il bilancio di previsione per il 2016 e allochino le risorse secondo criteri di responsabilità amministrativa. Pareggio di bilancio significa allocare le entrate e le uscite. Noi ci siamo mobilitati a livello territoriale per ricordare agli enti locali che oggi possono fare le scelte sotto tutti i profili e credo che l'opzione data dalla legge di stabilità riporti alla responsabilità dell'amministrazione se aumentare la spesa corrente o fare investimenti per la sicurezza e l'efficienza del territorio.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il dottor Gennari e l'avvocato Spaziani Testa, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Confapi e Alleanza delle Cooperative italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare Pag. 40 all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e ai sensi dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di Confapi e Alleanza delle Cooperative italiane.
  Do la parola al vicepresidente nazionale di Confapi, Franco Colombo.

  FRANCO COLOMBO, vicepresidente nazionale di Confapi. Innanzitutto ringraziamo i presidenti per la disponibilità ad ascoltare le considerazioni della Confapi, la Confederazione delle piccole e medie industrie private, che rappresenta circa 86.000 imprese per 870.000 collaboratori, e naturalmente il mondo della piccola e media industria, che è l'ossatura portante del sistema economico della nostra Italia.
  Noi abbiamo lasciato agli atti un documento, che contiene le nostre riflessioni e che sintetizzerò, visti i tempi di lavoro che oggi prevedono numerose audizioni.
  Ci sono degli aspetti che consideriamo particolarmente importanti e uno è legato allo sviluppo economico che la ripresa del mercato del lavoro può garantire. Valutiamo in modo estremamente positivo le azioni intraprese dal Governo e le attività che hanno coinvolto anche il Parlamento circa il mercato del lavoro, ma, nonostante una propensione all'assunzione del 75 per cento, evidenziata da un'indagine effettuata presso le aziende di tutto il panorama nazionale, il mercato del lavoro, pur avendo avuto riflessi positivi per la stabilizzazione prevista nella legge di stabilità e per la decontribuzione collegata alla stabilizzazione delle assunzioni, è ancora un mercato abbastanza congelato.
  Visto il costo della decontribuzione per le casse dell'Istituto nazionale di previdenza sociale-INPS, il lavoro che stiamo portando avanti in questo momento di rinnovi contrattuali con le organizzazioni sindacali è incentrato sull'esigenza di realizzare una delle proposte importanti per la Confapi, la decontribuzione degli aumenti contrattuali, non tanto di tutta la stabilizzazione. Questo perché ha un impatto minore sulla contribuzione dovuta all'INPS, perché parliamo di aumenti e quindi sul precedente livello di retribuzione continuano ad essere dovuti gli stessi contributi previdenziali, e questo verrebbe assorbito nei tre anni di vigenza del contratto e verrebbe stabilizzato nella normale tassazione e contribuzione in seguito a un ulteriore rinnovo contrattuale.
  Consideriamo molto importante il lavoro che si sta svolgendo per la cosiddetta «Agenda digitale», per la banda larga, l'informatica e il superamento del digital divide che comporta la possibilità del mondo dalla piccola e media impresa di essere all'avanguardia rispetto alle tecnologie dell'informazione, aspetto sicuramente importante e che riguarda molte delle nostre attività, che sono globali pur essendo realtà di piccole dimensioni.
  È quindi molto importante il supporto all'internazionalizzazione, con le collaborazioni che abbiamo attivato con il Ministero dello sviluppo economico per quanto riguarda le possibilità di accompagnare le nostre aziende nei mercati che si stanno aprendo, soprattutto in Iran e in altri sbocchi commerciali che possono vedere il nostro modello di impresa protagonista all'interno dello sviluppo economico.
  Come sapete, il livello della tassazione è particolarmente importante. Oggi sicuramente guardiamo in modo positivo ad aspetti come la Patent box, cioè la possibilità di avere una defiscalizzazione non solo per i brevetti, ma anche per le innovazioni industriali che possono riguardare le nostre aziende. Il mondo della piccola e media industria è infatti un mondo che innova, magari meno formalmente perché accede meno a un sistema di brevetti, ma ha tantissime innovazioni di prodotto e di processo create «in economia» all'interno dell'attività aziendale, e anche questo tipo di sostegno alla competitività porta risultati positivi, perché rende le imprese sempre più flessibili e in grado di affrontare un mercato complesso come quello globale.
  Sempre con riferimento al problema della tassazione e dei livelli di tassazione, abbiamo visto con assoluto favore l'esenzione dall'IMU per i cosiddetti «imbullonati», i macchinari e le attrezzature che Pag. 41fanno parte del patrimonio di un'azienda. C'è ancora l'aspetto annoso dei capannoni che sottolineiamo in maniera forte, perché abbiamo imprese molto dotate patrimonialmente che sono cresciute insieme alle loro realtà.
  Un aspetto molto importante è quello della detassazione, perché oggi purtroppo le aziende in difficoltà spesso vantano crediti nei confronti dell'erario: uno studio ha evidenziato che l'86 per cento dei pagamenti della pubblica amministrazione sono effettuati in ritardo rispetto ai termini previsti dalle direttive europee contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, e questo crea circoli viziosi e non virtuosi, per i quali spesso le aziende si trovano in difficoltà nell'onorare i propri impegni nei confronti del settore pubblico, dell'erario e degli istituti previdenziali.
  C'è anche un aspetto che farà parte di una delle nostre iniziative rispetto a una variazione del sistema di pagamento dell'IVA. Sapete meglio di me che, per problemi di finanza dello Stato, non si può realizzare un'IVA di cassa completa anche per quanto riguarda il mondo delle piccole e medie industrie. Di sicuro c'è un sistema distorto per il quale, se un'azienda non paga una fattura a un fornitore, comunque sconta l'IVA a credito, mentre il fornitore che non riceve il pagamento e ha l'IVA a debito deve versarla, e per assurdo gli manca la liquidità per versare l'IVA a debito e magari rischia di non essere a norma rispetto all'erario per il mancato pagamento e al debitore che non paga che invece si sconta l'IVA.
  Se ci fosse un sistema che a 30 giorni dal mancato pagamento neutralizzasse questo meccanismo, portando l'IVA a credito, a debito per chi non ha pagato e quella a debito, a credito per chi non riceve il pagamento, a parità di costi per la finanza dello Stato sarebbe un aspetto che darebbe ossigeno a chi purtroppo subisce il mancato pagamento. Ho cercato di sintetizzare al massimo, poi se ci sono domande o richieste di approfondimento, sono a disposizione.
  Il tema del credito è importante. Due direttrici: il Fondo centrale di garanzia rappresenta un aspetto estremamente rilevante che ha dato un sostegno alle aziende con la garanzia dello Stato per ottenere dei finanziamenti che potessero essere garantiti all'80 per cento anche grazie alla finanza pubblica. Questo è un sistema importante, in cui devono ritornare protagoniste con funzioni non dico di governance, ma quantomeno di indirizzo, anche le parti che rappresentiamo, come le parti datoriali, perché la riforma ha realizzato una semplificazione della governance, ma ha escluso dal processo decisionale la possibilità di apportare le esperienze di settore, merceologiche e di cultura aziendale delle associazioni che rappresentiamo, che prima erano presenti all'interno del Comitato di valutazione delle pratiche. Questa riforma era stata fatta per snellire e velocizzare le attività di valutazione.
  In secondo luogo il Fondo centrale di garanzia dovrà garantire sempre di più le imprese e non le banche, altrimenti c'è una distorsione in atto, considerando l'accesso diretto degli istituti di credito al Fondo centrale di garanzia, bypassando il sistema dei confidi, quindi dei Consorzi di garanzia fidi, che aiutano da sempre il credito delle aziende. Spesso questa era una forma per garantire le cosiddette aziende di «fascia 1 e 2», che sono quelle che hanno meno bisogno di garanzie da un certo punto di vista, perché hanno i bilanci migliori. Per regolamento, quelle dalla «fascia 3» in avanti vengono lasciate fuori dalla possibilità di accedere al Fondo centrale di garanzia. Certo, il Fondo è un ottimo strumento e assolutamente importante da mantenere, ma ha un costo perché ci sono poi anche delle insolvenze. Questo costo va valutato con attenzione per non trovarsi, da qui a tre, quattro o cinque anni, magari con una situazione difficile. Riguardo al credito è importante quello che si sta facendo per l'insolvenza dal punto di vista bancario, perché è un aspetto che naturalmente preoccupa. Noi abbiamo due considerazioni, che vi faccio anche in virtù del fatto di essere il presidente di un Fondo di previdenza complementare.
  La prima è che non esiste una sterilizzazione per le attività, come quelle della Pag. 42previdenza complementare, che devono per forza mantenere un certo numero di risorse in un conto corrente bancario, se non è una tesoreria unica, e che sarebbero anche loro soggette al bail-in. Lo dico perché gli istituti finanziari sono imprese e anche i fondi di previdenza, se raccolgono i contributi da parte degli associati per fare una mera tesoreria e poi versarli nelle gestioni, si possono trovare con diversi milioni di euro presenti, ma non è sterilizzato questo aspetto. Tra l'altro, sapete meglio di me che la norma sterilizza chi versa nelle società di gestione del risparmio e non chi versa sul conto corrente.
  C'è una seconda considerazione molto importante da fare, visto che il nostro sistema è un sistema bancario che potrei definire «sano» per la diversificazione del rischio. Pensate che ci sono 4 milioni 76 mila imprese in Italia, di cui 3 milioni 880 mila sotto i 10 dipendenti, quindi c'è un'estrema parcellizzazione e diversificazione. Questo è un bene da una parte e una difficoltà dall'altra, ma con un aspetto positivo, per quanto riguarda anche le attività che si sono poste in essere per dare sicurezza e stabilità, riportando le attività degli istituti di credito a vantaggio delle imprese. Lo dico perché non c'è mai stata così tanta liquidità e spesso non c'è mai stato così poco credito per rilanciare le attività in un momento così difficile. In merito, bisogna fare in modo che ci sia la possibilità di utilizzare quelle risorse ingenti che sono state messe, anche dalla Banca centrale europea, come liquidità nel sistema per aiutare a sostenere una ripresa, che è vero che è stata stimata più bassa e con dei numeri rivisti al ribasso, ma è anche un segnale che dobbiamo saper cogliere per portare le nostre aziende a essere più competitive e per ricominciare ad assumere e a dare sviluppo economico.

  ROSARIO ALTIERI, presidente di Alleanza delle Cooperative italiane. Grazie ai presidenti delle Commissioni bilancio della Camera e del Senato.
  Voglio subito dire che l'Alleanza delle cooperative italiane è il coordinamento organico costituito tra le tre principali e storiche centrali di rappresentanza del movimento cooperativo italiano e rappresenta oltre il 93 per cento del movimento cooperativo presente nel nostro Paese. Una realtà imprenditoriale che rappresenta a sua volta l'8 per cento del prodotto interno lordo e il 10 per cento se consideriamo anche il prodotto interno lordo consolidato, quindi un pezzo sufficientemente significativo del sistema imprenditoriale e produttivo del nostro Paese.
  Si tratta di una forma di impresa che, anche nei momenti di maggiore difficoltà dell'economia italiana, ha fatto segnare delle performance assolutamente positive, almeno fino al 2013, come ci dimostrano anche le ricerche, gli studi e gli approfondimenti fatti da istituti specializzati di ricerca nel campo economico e imprenditoriale, tra cui anche l'ISTAT. Tali studi ci raccontano di un progresso del PIL fatto segnare dalle imprese cooperative di circa il 2 per cento l'anno, anche dopo il 2008. Poi, se la crisi continua e se dovesse far segnare ancora il trend, che ci sembra, fortunatamente, forse alle nostre spalle, è certo che anche questa capacità anticiclica dimostrata dal sistema della cooperazione italiana potrebbe cominciare a subire qualche elemento di difficoltà.
  Le imprese cooperative sono passate, dal 2001 al 2015, da poco più di 70.000 a poco meno di 80.000. Ciò ha garantito alle due fasce più deboli della società italiana, i giovani e le donne, occupazioni anche buone. Nelle imprese cooperative, oltre il 52 per cento è rappresentato da giovani al di sotto dei trent'anni e altrettanto, circa il 51 per cento, è rappresentato dalle donne, quindi questa forma d'impresa ha una funzione, se volete, anche inclusiva che supera alcune difficoltà che in altre imprese probabilmente non vengono superate. Questa è la realtà nella quale si muove e opera il mondo della cooperazione.
  Per dare alcune nostre valutazioni generali sul DEF, noi diciamo subito che riteniamo l'approccio del Governo assolutamente condivisibile e che probabilmente ci sono le condizioni per performance nella nostra economia più significative rispetto al passato. Pag. 43
  Non dimentichiamo che ci sono due elementi fondamentali che esulano dall'intervento del Governo e che sono rappresentati dall'abbattimento del prezzo del petrolio, che rende meno oneroso l'approvvigionamento di energia da parte delle imprese, e il deprezzamento dell'euro rispetto al dollaro, che comporta sicuramente migliori condizioni per le esportazioni dell'area euro.
  Questi sono elementi sicuramente importanti, ma credo anche che il cambiamento di approccio delle nostre istituzioni rispetto alle politiche per lo sviluppo sia un fattore molto significativo, tenendo conto che è vero che le stime di crescita sono riviste al ribasso e che anche quelle che erano previste inizialmente non consentono certamente di poter dire che i problemi siano superati. Anzi credo che un aspetto sul quale bisognerà fare molta attenzione è quello di comprendere appunto le ragioni per cui l'economia del nostro Paese cresce ancora molto al di sotto di quello che è il tasso di crescita delle economie immediatamente competitive con la nostra.
  Il vero problema è il differenziale di crescita dell'economia italiana rispetto a quello dei Paesi dell'Europa e dell'Occidente. Occorre, da questo punto di vista, cercare di fare qualcosa in più e mettere in condizione il sistema imprenditoriale del nostro Paese di operare con performance assolutamente molto più consistenti.
  Esprimiamo un giudizio positivo sulla riforma del credito cooperativo. Pensiamo che probabilmente qualcosa di meglio si sarebbe potuto fare, ma, tenendo conto che il meglio è nemico del buono, credo che questa sia una riforma che aiuti ad affidare al credito cooperativo un ruolo importante, mantenendo l'insistenza sul territorio, ma affidando a un gruppo patrimonialmente consistente e in grado di reggere, anche nei momenti di difficoltà, l'esercizio di questo credito.
  Certo sappiamo che le questioni che sono state già esposte, e sulle quali non mi attardo, indicano la necessità di un dialogo diverso tra il mondo del credito e il mondo dell'impresa. Questo dialogo diverso, questo dialogo di maggiore conoscenza e di maggiore fiducia deve andare un po’ al di là dei rating, che vengono decisi altrove, senza conoscere le situazioni del territorio, e che credo non aiutino un sistema imprenditoriale come quello del nostro Paese, per oltre il 98 per cento costituito da piccole e medie imprese. Ora, se non ci rendiamo conto di questo, probabilmente non riusciremo mai, con tutti gli sforzi che si possono operare, a determinare le condizioni per cui, nel nostro Paese, si sviluppi la capacità produttiva e competitiva di un sistema, che viene definita, con quel brutto termine, «dinamismo».
  Tutto ciò non può essere superato con delle improbabili iniziative di fusione, perché non si tratta di mettere insieme il 20 o il 15 per cento dell'intero sistema imprenditoriale, ma si tratta di agire sulla quasi totalità del sistema imprenditoriale.
  Noi riteniamo che sia apprezzabile quello che è stato fatto per quanto riguarda il lavoro e soprattutto sia molto apprezzabile tutta la parte che noi definiamo «politiche passive del lavoro». Non è stato lasciato abbandonato nessuno di quelli che si sono trovati in grossa difficoltà, ma questo non è sufficiente. Occorre, secondo me, investire ancora e investire di più in politiche attive del lavoro che riescano effettivamente a determinare una maggiore possibilità di creare occupazione nel nostro Paese.
  Riteniamo anche che sia importante ciò che si sta facendo in materia di riforma degli appalti. Credo che questa sia una misura indispensabile per rimettere ordine in un settore nel quale l'ordine è indispensabile e nel quale la legalità deve essere perseguita a tutti i costi, magari poi pensando anche di riportare, entro i confini delle istituzioni regolari e previste dal nostro ordinamento istituzionale, le competenze.
  I momenti dell'emergenza devono essere affrontati e curati con misure che riguardano l'emergenza, ma l'obiettivo deve essere quello di perseguire la condizione per la quale l'emergenza venga superata. Inoltre, in una democrazia rappresentativa, occorre che vengano riconsegnati, alle istituzioni Pag. 44 preposte a ciò, i compiti per cui sono state costituite.
  Riteniamo che occorra, anche attraverso una politica di vera revisione della spesa, che vengano attuate politiche fiscali che alleggeriscano la pressione per le imprese e per le famiglie, perché questo significa anche mettere in circolazione risorse che possono far aumentare i consumi interni, senza i quali probabilmente anche la crescita della nostra economia ne risentirebbe in maniera molto forte.
  Noi chiediamo, per quanto riguarda le politiche di coesione, che vengano evitati interventi a pioggia e soprattutto interventi molto articolati e molto parcellizzati. Bisogna concentrare gli sforzi, gli interventi e i finanziamenti in progetti che siano rilevanti dal punto di vista della ricaduta e che non siano necessariamente tutti i progetti che vengono presentati.
  Occorre anche porsi la questione di uno sviluppo per il Mezzogiorno che possa godere di politiche infrastrutturali che adeguino le sue potenzialità a quelle che sono le esigenze.
  Con questo, probabilmente si riuscirebbero a raggiungere due obiettivi, quello di decongestionare aree, soprattutto quelle del Nord, molto congestionate e che sono prossime a una deflagrazione e quello di affrontare finalmente, con qualche possibilità di risultato positivo, il gap economico, infrastrutturale, produttivo e, se volete, anche sociale e di legalità che divide il Sud, nel nostro Paese, dal Nord.
  Sarebbe opportuno individuare, proseguendo nell'intento di affidare ad attività produttive sane i beni confiscati alla criminalità, dei criteri che siano quanto più possibile trasparenti, affinché questi beni non vengano in qualche modo surrettiziamente riconsegnati a quelli ai quali si confiscano, per la mancanza di queste norme e di chiarezza.
  Per quanto riguarda – sto soltanto individuando i problemi – lo stato sociale, noi riteniamo che occorra veramente spendere tutto quello che un Paese civile è in grado di spendere, abbinando, al tradizionale stato sociale che si è sempre, così come è stato fino a ora, individuato, anche quella parte di intervento sulla sanità che non è coperta dal Servizio sanitario nazionale.
  Noi crediamo che il mondo della cooperazione, in programmi di intervento socio-sanitari, sia la forma di intervento più opportuna e che ha dimostrato, negli anni in cui si è sviluppato, quale sia la sua capacità di essere sul territorio, di affrontare i bisogni del territorio e delle persone e di dare a quei bisogni una risposta concreta.
  Vorrei fare un appello che non riguarda direttamente il DEF, ma che per certi aspetti ne è forse il cuore. Noi abbiamo sperimentato e stavamo sperimentando – mi auguro che non debba essere utilizzato il passato per questa vicenda – l'attuazione del piano Calenda per l'internazionalizzazione. Il piano Calenda prevede l'internazionalizzazione di 20.000 fra le 60.000-70.000 imprese del nostro Paese che ancora sono considerate suscettibili di posizionarsi utilmente sui mercati internazionali. Questo piano, redatto da Calenda e portato avanti con un suo intervento e una sua presenza costante, prevede anche una disposizione finanziaria di circa 200 milioni di euro.
  Ora, non vorrei che si determinasse un rallentamento del predetto piano, in considerazione del fatto che l'Ambasciatore Calenda è stato mandato a rappresentare il nostro Paese presso l'Unione europea. Ecco, noi vorremmo che si continuasse su questa sperimentazione e che fosse riattivata quella cabina di regia che ormai da tempo non si riunisce perché si possano eventualmente accompagnare, con maggiore possibilità di successo, le imprese italiane sui mercati mondiali, utilizzando il fatto che il made in Italy ancora è in grado, non soltanto nel settore food ma in molti altri settori, di conquistarsi da solo fette di mercato molto significative.
  In ultimo, io ritengo di poter affermare che l'Alleanza delle cooperative italiane considera veramente molto importante e molto positivo l'impegno del Governo, e per esso del Ministero dello sviluppo economico, di pervenire a una riforma dell'ordinamento cooperativo. Noi stiamo assicurando, ai tavoli tecnici di discussione, tutta la nostra Pag. 45collaborazione perché questo mondo della cooperazione venga salvaguardato da presenze che certamente non onorano e non rendono giustizia al ruolo, non solo economico ma anche sociale, che questa forma di impresa è in grado di rappresentare.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO CARIELLO. La mia domanda, che è anche una considerazione relativa al rapporto che ci è stato fornito da Confapi, riguarda il fenomeno da loro sottolineato e che noi condividiamo ampiamente ovvero la crescente difficoltà delle piccole e medie imprese nell'accesso al credito.
  Viene dato ampio spazio alla valutazione della gestione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. In relazione a questo Fondo, come voi già penso sappiate, noi abbiamo contribuito alla creazione di una voce, all'interno del Fondo stesso, che si riferisce e mira all'accesso al credito per le microimprese. Abbiamo creato quello strumento che tutti stanno già utilizzando e che vedo che comunque sta funzionando all'interno delle microimprese. Mi chiedevo se dal vostro punto di vista questa possa essere una forma che magari noi, come forza politica di opposizione, potremmo suggerire al Governo di incentivare ancora di più. Oppure potremmo spingere affinché si aumenti una capillarità innanzitutto dell'informazione sullo strumento e anche del sostegno alle imprese al fine dell'utilizzo di questo Fondo.
  Da informazioni che rilevo direttamente anche nei territori, quello che mi preme sottolineare è che nelle associazioni, soprattutto di piccole e medie imprese, lo strumento non è stato opportunamente pubblicizzato, o comunque non è stato opportunamente diffuso all'interno delle imprese, o perlomeno è stato assimilato un po’ alle precedenti forme di finanziamento già esistenti. Esisteva un microcredito a livello regionale, ma con questa formulazione o con questa caratterizzazione anche a livello nazionale le stesse imprese non ne conoscevano l'esistenza, finché non siamo arrivati noi, con una campagna capillare molto spinta, a farlo conoscere.
  Poiché i dati in nostro possesso dimostrano finanziamenti già erogati pari a circa 29 milioni di euro, con quasi 1.500 imprese che hanno avuto accesso a questa forma di finanziamento, ci chiediamo se insistere sia considerato da parte vostra un modo per il rilancio soprattutto delle microimprese. In forma generale condivido anche il vostro passaggio sulla necessità di affiancare, all'interno del Comitato di gestione, figure che rappresentino le associazioni di imprese e soprattutto di microimprese.
  Vista la vostra trattazione molto approfondita di questo Fondo centrale, la domanda è quanto analogamente condividiate l'approccio anche in termini di microcredito e se abbiate in programma di diffonderlo un po’ più capillarmente all'interno delle vostre associazioni.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Grazie, presidente Altieri. Grazie per il suo bel contributo, che entra anche nello specifico di alcuni aspetti particolarmente interessanti. Vorrei raccogliere alcune delle sue riflessioni.
  La domanda che rivolgo a lei e al sistema della cooperazione è la seguente. Oltre all'importante riforma del credito cooperativo, che di recente è stata votata dal Parlamento, ce n'è una ancora più significativa, secondo me, che è quella del terzo settore. In quell'ambito qual è la vostra valutazione rispetto a quanto da subito il terzo settore e le sue moderne evoluzioni possono mettere in campo a sostegno di una crescita e di uno sviluppo che passino necessariamente da ciò che lei apprezza, ovviamente a nome della categoria che rappresenta, ma che anche noi apprezziamo, ossia quel capitale umano protagonista di un processo di crescita?
  La sua relazione mi consente di entrare anche nello specifico di un tema caro alla vita delle imprese, il tema delle tax expenditures. Nella relazione di Confapi non trovo un riferimento specifico a questo dal punto di vista dell'analisi di come in questo DEF si affronti il tema delle tax expenditures.Pag. 46
  Per il prossimo anno il Governo programma di non applicare le clausole di salvaguardia – è un tema noto a tutti – introdotte con la legge di stabilità 2015, che prevederebbero un aumento delle aliquote dell'IVA tale da garantire nel 2017 un maggiore gettito pari a 15,1 miliardi e a 19,6 miliardi a partire dall'anno successivo, includendo anche l'inasprimento delle accise sulla benzina e sul gasolio.
  Questa misura nell'indicazione che fornisce questo DEF, sul quale richiamo l'attenzione di tutti noi, è in parte già coperta con una revisione della spesa, di quella spending review che voi avete citato, compresa la parte delle tax expenditures. Qual è l'opinione di Confapi riguardo le tax expenditures del sistema delle imprese?

  CARLO DELL'ARINGA. Una delle variabili maggiormente in sofferenza che vengono continuamente richiamate nel Documento di economia e finanza è quella della produttività. Non si tratta tanto e solo del fatto che in questi anni non siano aumentati abbastanza gli impieghi dei fattori produttivi – l'occupazione e gli investimenti non sono aumentati abbastanza – ma anche del fatto che il loro rendimento in termini di valore aggiunto, ossia di PIL, in termini aggregati naturalmente, è stato basso, molto basso, più basso che non in tutti gli altri Paesi. Si dice che la produttività è al palo almeno da vent'anni, ma certamente negli ultimi sei o sette è addirittura diminuita.
  Certamente c'è una componente di domanda aggregata carente, ma c'è anche un problema di efficienza e di innovazione, da parte di tutti naturalmente. Per farla breve, da un lato, c'è il contributo che ciascuno può dare affinché la produttività aumenti e, dall'altro, c'è anche quello che si chiede al Governo di fare per facilitare questo passaggio a una produttività elevata, che risolverebbe molti dei problemi in termini di crescita e anche probabilmente di capacità di utilizzare la leva fiscale.
  Oltre alle cose che avete detto e fra quelle che avete detto nel commentare la politica economica del Governo vi sentireste di indicare una o poche variabili che assolutamente occorrerebbe smuovere affinché voi foste in grado di accelerare questo processo e anche di dire da parte vostra quello che forse non è stato fatto e che potrebbe essere fatto in futuro? Non voglio accennare all'argomento, troppo abusato, del fatto che essere piccoli significa non essere in grado di fare ricerca e innovazione sufficienti. Probabilmente non è questo o solo questo, ma certamente da parte vostra un aiuto a capire meglio come porsi su una china diversa rispetto a quella drammatica in cui ci siamo inviluppati in questi anni può essere utile.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Volevo fare due domande. Nel documento della Confapi leggo circa il Piano Juncker – tema molto importante – che auspicate la costituzione di un'apposita commissione di studio. Noi abbiamo saputo, sia dalla Commissione europea, sia da fonti governative, che siamo già in una fase operativa, in molti casi. Sono stati approvati progetti. È stato citato proprio il caso della piccola e media impresa come uno dei gruppi che saranno favoriti direttamente da questo. Le volevo chiedere, poiché la commissione di studio evoca una fase ancora di impostazioni e di discussione, se c'è uno iato tra queste informazioni e quello che vi risulta e in che maniera questa apparente contraddizione può essere, secondo lei, colmata.
  Il secondo dato si rifaceva alle cose che diceva l'onorevole Dell'Aringa. È assolutamente vero che la dimensione piccola o medio-piccola di per sé non necessariamente rappresenta un handicap. Non parliamo della microdimensione. Tuttavia, uno degli aspetti fondamentali perché questo non avvenga è proprio la possibilità che si sopperisca alla difficoltà su una determinata scala di fare talune cose con un input di ricerca che viene dall'esterno. Uno dei talloni d'Achille della piccola dimensione è questa difficoltà di sviluppare ricerca. Senza ricerca sappiamo che l'innovazione diventa difficile.
  In Germania tutto questo è stato in parte risolto con una rete di istituti che fungono da polmone di offerta al mondo delle piccole imprese. Mi interessava capire se ritenete che qualcosa di questo genere si Pag. 47possa organizzare. Se ne è parlato diverse volte, ma poi nei fatti non si è riusciti a farlo, a parte le iniziative che dite di aver apprezzato. Questo vale, naturalmente, anche per il mondo delle cooperative, che hanno in molti casi problemi su come attingere a queste fonti di potenziale ricerca per sviluppare l'innovazione.
  Per esempio, su un tema come la digitalizzazione che cosa servirebbe in concreto? Voi citate i voucher, una bella iniziativa, ma rimasta praticamente sulla carta. Certo, questo non si deve fare, quando le iniziative ci sono bisogna attuarle. A parte questo dei voucher, la digitalizzazione è un altro passaggio obbligato. Su questo piano c'è qualche cosa che suggerireste per quanto riguarda soprattutto il Programma nazionale di riforma, il PNR, a parte quelle iniziative che dimostrate di apprezzare? Questo è un dato fondamentale proprio per non ritornare sempre alle solite discussioni su piccolo, non piccolo, medio. Se non superiamo e non troviamo una formula di successo su questo nodo, allora il discorso delle dimensioni può tornare in qualche modo importante.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Colombo, vicepresidente nazionale di Confapi, per la replica.

  FRANCO COLOMBO, vicepresidente nazionale di Confapi. Sarò velocissimo. Sono spunti molto interessanti.
  Il microcredito è assolutamente un'attività valida e differente da regione a regione, perché in alcune il Fondo centrale di garanzia va direttamente tramite le banche e in altre passa per il sistema dei confidi. In Toscana e in altre regioni c'è il passaggio obbligato nel sistema dei confidi.
  Noi ne abbiamo parlato e ne abbiamo parlato anche quando siamo intervenuti, qualche tempo fa, presso gli studi della RAI, parlando delle attività a sostegno. Credo che ci sia bisogno di una collaborazione per aiutare soprattutto le start-up, perché parliamo di microcredito per la creazione di nuove imprese. Ci sono alcune regioni che hanno fatto questo, come la regione dalla quale provengo, la regione Lombardia, che ha realizzato un'attività che si chiama «Dote lavoro». Un inoccupato viene dotato della possibilità di essere seguito gratuitamente per la creazione dei business plan e di un progetto industriale che possa prevedere le formule di finanziamento migliori che in questo momento ci possono essere.
  Sicuramente la valutazione del Fondo centrale di garanzia, che valuta anche le start-up di impresa, soprattutto nel microcredito, ogni tanto è farraginosa. Ci sono dei tempi un po’ lunghi proprio perché valuta 1.000-1.200 pratiche per volta. È uno strumento che però io ritengo valido e che credo vada assolutamente implementato. Si sa che il microcredito crea aspetti positivi di ricaduta e che, secondo gli studi, è quello che presenta le minori insolvenze. Chi riceve il microcredito è qualcuno che alla fine ripaga il suo debito nei confronti di chi gliel'ha dato.
  Da sempre crediamo che questo sia un aspetto importante. Sapete che in Italia esiste anche un ente presieduto da Baccini sul microcredito, ma che, in realtà, non ha operato. Dicevo che è un aspetto, secondo noi, fondamentale, considerato che in Italia, come si diceva prima, c'è un dato di 3.880.000 imprese sotto i 10 addetti e che per l'Unione europea fino a 10 addetti siamo microimprese. Da questo punto di vista il discorso si lega molto.
  Quindi, assolutamente siamo aperti anche a formule di collaborazione che possano venire dall'esperienza. Io sono anche vicepresidente vicario di un confidi vigilato dalla Banca d'Italia. I confidi sono consorzi di garanzia o cooperative di garanzia che poi si iscrivono al sistema di Alleanza delle cooperative e che fanno proprio dell'aspetto mutualistico, cioè l'aspetto di valutazione anche qualitativa e non solo del famoso rating, aspetti importanti. Assolutamente c'è la possibilità di collaborare in questo senso.
  Sul discorso della revisione del sistema delle tax expenditures che ricordava la senatrice Bonfrisco siamo preoccupati che questo poi di fatto si risolva per le imprese non in un diverso sistema di tassazione, ma in un aumento di fatto della tassazione. Uno degli elementi che danneggiano questo Pag. 48Paese è la mancanza di chiarezza del sistema di tassazione. Si possono scegliere due sistemi di tassazione. Di solito le scuole di pensiero sono che si tassa il reddito o si tassa il consumo. Da noi si tassa il consumo e si tassa il reddito. Questo diventa poco compatibile rispetto alla scelta di uno dei due sistemi. L'aumento dell'IVA è un problema, nel senso che va scongiurato, ma logicamente lo è ancora di più nel momento in cui si arriva a una pressione fiscale già di per sé alta nella tassazione dei redditi.
  La preoccupazione è, come detto, che tutte queste forme di tassazione, non dico nascoste, ma non evidenti, alla fine creino un danno latente per il mondo delle imprese che non possono fare i Panama Papers o quant'altro, ma sono quelle che lavorano sul territorio e non delocalizzano. Siamo fieri di appartenere a quel mondo che internazionalizza e non delocalizza. Questo viene poi legato anche alle iniziative che l'Unione europea attua all'interno del nostro sistema.
  Tanto per dire cose che possono non piacere, sapete che in Europa c'è una bellissima direttiva, lo Small Business Act. In Italia avrebbe dovuto esserci Mister PMI, quello che lavorava per dare orientamenti sul lavoro, fare una relazione al Presidente del Consiglio e coinvolgere le associazioni più rappresentative del mondo della piccola e media impresa per fare strategia insieme. Questo è rimasto sulla carta, effettivamente non avviene.
  Per questo motivo ci limitiamo a fornire la nostra umile opinione, ma di esperienza. Io faccio l'imprenditore di mestiere. Posso citarvi molti dei casi e degli elementi che mettiamo in evidenza all'interno dalla Confapi. Credo che questo soprattutto aiuti nella conoscenza del nostro mondo, che ha un grande problema di produttività, è vero, perché su un'impresa di 10 persone una persona è impiegata 180 giorni all'anno a seguire pratiche burocratiche, che hanno valore aggiunto zero. In una realtà in cui si toglie il 10 per cento della forza del lavoro – l'esempio è fatto su un'impresa da 10, ossia ancora un'impresa micro – questo non permette sicuramente di fare grandi valutazioni circa la capacità di essere più produttivi.
  Stiamo cercando, insieme alle forze sindacali, di fare dei contratti che premiano e incentivano la produttività. Da sempre il nostro è un sistema non incentivante la produttività, ma che tende a normalizzare o a standardizzare i rapporti. Questo è sicuramente un problema. La competitività si ottiene anche con l'innovazione. Dicevamo della digitalizzazione in un altro intervento: ma certo, noi abbiamo ancora realtà – ve lo posso assicurare – nei posti più produttivi che non sono servite, non dico dalla banda ultralarga, ma neanche dall'ADSL e utilizzano i collegamenti con il cellulare, la cosiddetta UMTS o HSDPA, perché altrimenti non ce la fanno a comunicare con l'estero. Finché non risolviamo anche questa parte dei problemi non risolviamo il resto.
  Ci sono attività che innovano molto. In realtà, abbiamo alcune sedi dei JRC, i centri di ricerca dell'Unione europea. Per esempio, dove abito io, in provincia di Varese, c'è ISPRA, che è famoso da questo punto di vista. Sicuramente avevamo l'esperienza dei poli tecnologici, o comunque degli incubatori, o di realtà che potevano aiutare le imprese a fare innovazione. Purtroppo, però, la scarsa dialettica che c'è tra il mondo della ricerca e dell'università e il mondo dell'impresa rende il nostro essere piccoli, che è un vantaggio di flessibilità in taluni casi, una debolezza, perché, mancando grosse aziende che fanno ricerca e che ne fanno cadere poi i risultati anche sul mondo delle piccole e medie industrie, questo alla lunga porta a una sola conseguenza, ossia che si fermano gli investimenti.
  Non siamo produttivi anche perché da sempre inseguiamo una produttività di macchinario e non una produttività di mente. Da sempre abbiamo Piani che finanziano l'acquisto – penso alle leggi Sabatini – di macchinari, ma si occupano poco di incentivare la managerialità. Se riusciamo a cambiare anche questo aspetto, aiutando figure manageriali che servono alle aziende per essere più competitive, avremo un grandissimo imprenditore che magari è bravissimo dal punto di vista produttivo e meno bravo Pag. 49dal punto di vista commerciale e magari integreremo strategie che permettano di crescere in questi due ambiti.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Colombo. Chiudiamo con il presidente Altieri.

  ROSARIO ALTIERI, presidente di Alleanza delle cooperative italiane. Cercherò di essere veramente molto breve. Per quanto riguarda la valutazione che l'Alleanza delle cooperative esprime sul terzo settore, noi riteniamo che il terzo settore abbia svolto un ruolo molto importante nel nostro Paese, anche in regime di sussidiarietà rispetto ad altre realtà che avrebbero dovuto istituzionalmente rispondere a dei bisogni economici e sociali.
  Noi riteniamo che la cooperazione sia una parte rilevante del terzo settore, ma non sia l'unica. Mentre è individuabile quello che rappresenta il mondo della cooperazione quale impresa sociale, è certamente da definire meglio il perimetro entro il quale racchiudere tutta la parte che riguarda il volontariato, che rappresenta un elemento molto importante e anche molto positivo, ma anche il contrario di tutto questo. Occorre quindi un'attenzione particolare nella definizione della riforma del terzo settore, includendo tutto ciò che ci deve essere, ma escludendo quello che sarebbe meglio che non ci fosse.
  Procedo per flash rispetto a una serie di questioni. Per esempio, noi abbiamo apprezzato molto la volontà del Governo di non applicare le clausole di salvaguardia, che sarebbero dovute scattare, per impedire un ulteriore aggravamento della pressione fiscale.
  Tuttavia, bisogna tener conto che probabilmente non disegniamo un percorso di sviluppo economico nel nostro Paese, se non interveniamo con provvedimenti strutturali. Non abbiamo fatto altro che rinviare un appesantimento ad altra data. Occorre definire le condizioni per cui si cresca al punto tale che non ci sia bisogno di ricorrere all'applicazione delle clausole di salvaguardia, perché le condizioni per le quali queste clausole sono state previste non si sono determinate. Io credo che una delle condizioni sia appunto il recupero di una maggiore produttività.
  Nessuno nell'Alleanza delle cooperative pensa che noi abbiamo fatto tutto bene e abbiamo assolto tutti i nostri compiti nel modo migliore possibile e che a sbagliare siano sempre gli altri, ovvero le istituzioni, il Governo, il Parlamento e tutti gli altri soggetti, tranne noi, che abbiamo fatto il nostro dovere per intero. Riteniamo che qui ci siano responsabilità da parte di tutti. Occorre, però, individuare queste responsabilità e lavorare per evitare di proseguire sulla strada che ha condotto a questa situazione.
  Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, non ripeto alcune cose che sono state già dette. Noi avremmo bisogno di una Pubblica amministrazione che agevoli il lavoro dell'impresa, che metta in condizione l'impresa, così come avviene negli altri Paesi, di fare le cose che intende fare, se rispondono in maniera puntuale alle norme che sono stabilite in ciascun sistema produttivo. Nel momento in cui si rispettano queste leggi, la pubblica amministrazione deve essere un alleato dell'imprenditore, non può essere un interlocutore contro il quale l'imprenditore deve attrezzarsi, perché altrimenti si determinano condizioni in cui è difficile competere. Per esempio, molte cooperative, ma anche altre tipologie di imprese, che si trovano nella condizione di essere fornitrici di beni e servizi alla pubblica amministrazione, vedono i loro crediti non onorati, non per qualche mese, ma per anni, e a volte anche non onorati nella loro completezza. Io credo che questo non determini una condizione in cui l'impresa riceve un aiuto dagli atteggiamenti della pubblica amministrazione.
  C'è l'aspetto che riguarda la ricerca. Io ritengo che occorra che il sistema imprenditoriale del nostro Paese si attrezzi a fare ricerca privata, ma occorre farlo in un Paese in cui le istituzioni credono in questa ricerca e intervengono con degli stanziamenti che siano più adeguati alle esigenze.
  Infine – non so se ho trascurato qualche aspetto – voglio riferirmi alla questione delle dimensioni. Noi abbiamo affrontato Pag. 50 questo problema. Credo che la dimensione non faciliti la ricerca e un'utile competitività sul mercato. Tuttavia, ritengo che, attraverso le reti di imprese, attraverso i consorzi e attraverso l'ultimo istituto che ci è stato regalato dalla riforma del diritto societario per quanto riguarda la cooperazione, ovvero i gruppi paritetici cooperativi, anche le micro-realtà di imprese cooperative del nostro Paese possano riuscire a raggiungere quella massa critica che consenta loro di competere utilmente sui mercati.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Altieri.

  MARCO VENTURELLI, vicesegretario generale Confcooperative. Innanzitutto manifesto notevole soddisfazione sulla riforma delle banche di credito cooperative (BCC) rispetto al giudizio iniziale. È difficile fare meglio di quello che è riuscito a fare il Parlamento, in raccordo col Governo, rispetto a tutto quello che è stato messo sul piatto in termini di proposte. Siamo veramente soddisfatti per quell'esito. È positivo un percorso riformatore di questo tenore.
  Rispetto al tema posto dall'onorevole Cariello, anche nel nostro documento affrontiamo il tema del Fondo centrale di garanzia, innanzitutto raccordato al tema, altrettanto importante, della capitalizzazione delle imprese.
  Il Ministero dello sviluppo economico ha avviato un tavolo per mettere in campo strumenti che favoriscano la capitalizzazione e l'accesso al credito, due strumenti complementari. Va riequilibrato l'utilizzo del Fondo centrale di garanzia tra un uso diretto da parte delle banche e i consorzi fidi, non tanto perché i consorzi fidi devono acquisire di per sé spazio, ma perché sono come prima finalità dalla parte delle imprese e non dalla parte dei propri bilanci. Questo vale per tutte le banche.
  Infine, sottolineo che pensiamo che quella del terzo settore sia una buona riforma e, quindi, ci aspettiamo buoni frutti.
  Per quanto riguarda la questione posta dall'onorevole Dell'Aringa, visto che il Governo ha espresso nel DEF l'intenzione di entrare nel merito del tema della contrattazione, pensiamo che sia buona cosa salvaguardare i contenuti degli accordi interconfederali tra parti sociali e magari concentrarsi sulla regolamentazione dei contratti di secondo livello.
  Si potrebbe magari prevedere che i contratti di secondo livello non possano superare la regolamentazione legislativa, come è ora, e che lì dentro si pongano dei paletti perché sia imposta una premialità alla crescita di produttività. Si potrebbe imporla come un elemento molto importante, in modo che alla fine, se si realizzerà una crescita della produttività, si possa trovare soddisfazione sia da parte delle imprese che da parte dei lavoratori.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ABI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti dell'ABI.
  Do la parola al dottor Sabatini.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Grazie illustri presidenti, grazie onorevoli senatori e deputati per l'opportunità di esprimere il punto di vista dell'Associazione bancaria italiana sul Documento di economia e finanza per il quadriennio 2016-2019, anche a nome del presidente Patuelli.
  Cercherò di sintetizzare il nostro contributo e insieme ai miei colleghi rimarrò a disposizione per qualsiasi domanda riteniate utile alle vostre riflessioni.
  Due i temi trattati nel nostro documento, la prima parte dedicata alle considerazioni sull'impostazione generale della politica economica con notazioni sull'andamento del settore creditizio e una seconda parte contenente qualche riflessione Pag. 51più specifica sulle misure di maggiore interesse per il settore bancario.
  Il quadro macroeconomico proposto dal DEF, sintetizzato in una variazione positiva del PIL di 1,2 per cento per il 2016 e 1,4 nel 2017, e poi una crescita di circa 1,5 per il 2018 e per il 2019, è abbastanza in linea con le previsioni formulate dal nostro settore, che sono contenute nell'aggiornamento del nostro quadro previsionale di medio termine, il rapporto ABI Financial Outlook. Qui noi indicavamo una variazione del PIL di circa 1,1 per cento per il 2016 e 1,4 nel 2017, quindi non ci sono scostamenti apprezzabili rispetto al quadro rappresentato dal DEF.
  I principali saldi di finanza pubblica, quindi il rapporto deficit/PIL al 2,3 nel 2016 e la sua graduale riduzione fino all'avanzo pari allo 0,1 per cento nel 2019, l'avanzo primario sul PIL all'1,7 nel 2016 e poi una sua graduale crescita fino al 3,6 del 2019, la riduzione dell'incidenza della spesa per interessi e il rapporto debito/PIL al 132,4 per cento e poi un consolidamento del percorso discendente fino al 2019, sono l'evidenza degli ulteriori avanzamenti, in particolare rispetto al quadro dell'aggiornamento del DEF 2015, di una strategia di politica di bilancio che, fermo l'obiettivo di medio termine del pareggio di bilancio e quindi poi la significativa riduzione del rapporto debito/PIL, però tende a utilizzare tutti gli spazi di flessibilità consentiti dal Patto di stabilità e crescita europeo, avendo come obiettivo prioritario il rilancio della crescita.
  Credo che, alla luce del quadro globale che stiamo osservando, questo sia assolutamente condivisibile. L'impostazione della politica economica del Governo deve essere inquadrata nella valutazione delle politiche economiche oggi in atto in Europa, in particolare alla luce dell'aumento di rischi al ribasso derivanti dall'economia internazionale, quindi riduzione della crescita globale e suoi impatti sull'area dell'euro.
  In questo contesto anche per quanto riguarda il settore bancario si è sviluppato un dibattito circa una scarsa efficacia delle politiche monetarie non convenzionali. Su questo consentitemi una riflessione più ampia e di esprimere la valutazione dell'Associazione bancaria italiana rispetto all'insieme delle misure adottate dalla Banca centrale europea, in particolare il progressivo rafforzamento delle dosi di politica monetaria espansiva convenzionali e non convenzionali, che poi si sono concretizzate nell'allungamento, fino a marzo 2017, del periodo di tempo in cui è previsto l'acquisto di titoli e nella decisione di aumentare da 60 a 80 miliardi di euro la quantità di titoli pubblici mensilmente acquistati.
  Noi riteniamo che queste politiche siano particolarmente importanti e stiano producendo effetti positivi, che stanno mitigando gli effetti negativi derivanti dal peggioramento del quadro economico-finanziario proveniente in particolare dai Paesi emergenti.
  Abbiamo anche provato a fare delle simulazioni per vedere cosa sarebbe potuto accadere in uno scenario senza politiche monetarie espansive, quindi con politiche fiscali in linea con il tendenziale. Ne abbiamo concluso che questo avrebbe portato a una continuazione della fase recessiva della nostra economia, a maggiori difficoltà sul fronte della lotta alla deflazione e conseguentemente a dinamiche del credito più deboli.
  Riteniamo importante l'azione di politica monetaria della Banca centrale europea e quindi anche il rafforzamento delle misure convenzionali e non convenzionali, ma allo stesso tempo appare necessario che alla politica monetaria si affianchi una politica di bilancio che offra un sostegno alla politica monetaria.
  In questo contesto diventa fondamentale il rilancio degli investimenti e quindi in particolare il ruolo degli investimenti pubblici, che appare cruciale, come sottolineato anche dal Documento di economia e finanza. Da questo punto di vista considero importante l'esigenza di accelerare sul fronte della realizzazione del Piano Juncker, su cui ritornerò per commentare quanto di questo si sia sviluppato in Italia, ma anche considerare la possibilità di un ampliamento.
  Se vi fosse una politica di investimenti più espansiva, anche con minori dosi di Pag. 52quantitative easing si avrebbero degli effetti finali su crescita, occupazione e bilanci di tutti gli operatori anche superiori rispetto a quelli prodotti da questa politica monetaria, che al momento appare lasciata sola rispetto alle altre misure necessarie in Europa per rilanciare la crescita.
  Guardando all'attività bancaria in Italia, sono di nuovo evidenti gli effetti della politica monetaria della BCE. Per quanto riguarda gli impieghi, l'attività è in progressiva espansione e questo non soltanto se guardiamo i dati di flusso. Ricordo che nel 2015 avevamo assistito a una crescita considerevole, a un raddoppio, dei nuovi mutui alle famiglie su base annua, ma anche dei flussi di finanziamento alle imprese, che erano cresciuti dell'11,6 per cento sempre su base annua.
  Ora cominciamo a osservare gli effetti dei flussi anche in termini di consistenze e finalmente anche le consistenze hanno ricominciato a crescere. Se guardiamo il dato relativo ai prestiti complessivi al settore privato, questi hanno registrato a febbraio di quest'anno un tasso annuo di variazione positivo dello 0,6 per cento.
  Ovviamente, se guardiamo i dati relativi alla qualità degli impieghi, la situazione è più articolata, anche se su questo fronte cominciano ad arrivare segnali positivi. Osserviamo che la crescita delle sofferenze, quindi la parte più rischiosa dei crediti deteriorati, è andata riducendosi: a febbraio il tasso di variazione annuo sui dati lordi è stato pari al 4,7 per cento; ricordo che l'anno precedente la variazione era stata più 15 per cento.
  Ci sono segnali di miglioramento anche sui flussi di nuove sofferenze: l'indicatore è il cosiddetto «tasso di decadimento», che misura le nuove sofferenze rispetto agli impieghi vivi ed è andato riducendosi, passando al 2,7 per cento dal 3 per cento del 2013, e quindi anche il trend complessivo dei nuovi crediti deteriorati è positivo e dal 2014 alla fine del 2015 si è quasi dimezzato, portandosi al 3,8 per cento.
  Il tema dei crediti deteriorati comunque rimane un tema centrale, anche se su questo punto è opportuno, anche alla luce di quello che si legge sulla stampa internazionale, fare alcune precisazioni. Intanto la crescita dei crediti deteriorati è il risultato fisiologico di una crisi, 9 punti di PIL persi nel corso dei 3 anni di crisi sono paragonabili agli effetti di una guerra mondiale, e dalle nostre analisi si evidenzia che la crescita delle sofferenze nei bilanci delle banche italiane è per l'80 per cento spiegata da fattori macroeconomici, quali l'andamento del PIL, la durata delle procedure esecutive e il livello dei tassi sui titoli di Stato, mentre in altri Paesi, ancorché con dinamiche meno accentuate, i dati macro spiegano soltanto il 50 per cento delle variazioni dei crediti deteriorati.
  Se andiamo a guardare i confronti internazionali, occorre tener presente che la ripresa economica in Italia è avvenuta in ritardo rispetto ai principali Paesi europei, e inoltre in Italia non sono intervenuti aiuti di Stato delle dimensioni osservate anche in Paesi virtuosi come la Germania o aiuti di Stato volti a creare bad bank pubbliche come in altri Paesi, a cominciare dalla Spagna, e infine anche perché le regole di contabilizzazione, e in particolare le regole di rientro in possesso dei beni, sono differenti da Paese a Paese.
  Da ultimo, mi preme ribadire in questa sede che il dato rilevante a cui occorre guardare è il dato delle sofferenze nette, cioè le sofferenze al netto della quota già portata a conto economico attraverso gli accantonamenti e quindi attraverso le cosiddette «rettifiche». Il dato quindi da prendere in considerazione è di 83 miliardi di euro rispetto alle cifre che poi leggiamo sui giornali.
  Questo dimostra l'elevato livello di coperture e quindi di accantonamenti fatti dalle banche italiane, che risultano in media superiori a quelli di altri Paesi europei. Il dato inoltre non tiene conto dell'elevata qualità delle garanzie a fronte dei finanziamenti e dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche italiane.
  Ciò detto, non vogliamo sottostimare il tema della necessità di ridurre l'ammontare dei crediti deteriorati, anche se rispetto a questo, come evidenziato anche dal rappresentante di Banca d'Italia, il tema appare sovradimensionato per effetto dei Pag. 53tempi oggi prospettati dalle autorità di vigilanza europee e dalla Commissione europea per il ritorno a livelli fisiologici del rapporto crediti deteriorati/impieghi. Se questi sono i tempi imposti dal quadro normativo europeo, diventa assolutamente importante la possibilità di superare alcuni dei vincoli che hanno pesato sulla formazione dell'ammontare dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche italiane, in particolare la necessità di ulteriori interventi per accelerare il recupero dei crediti.
  Numerosi studi empirici evidenziano come la riduzione dei tempi di recupero dei crediti abbia effetti positivi importanti sulla valutazione dei portafogli dei crediti deteriorati e quindi anche sul mercato di questi portafogli. Le nostre stime evidenziano che una riduzione di un anno dei tempi di recupero delle garanzie ridurrebbe lo scarto tra prezzo di offerta e prezzo di domanda per un portafoglio di crediti deteriorati di circa il 10 per cento.
  Il Governo ha già affrontato questo tema, in particolare con il decreto-legge n. 83 del giugno 2015, avviando una serie di misure volte a efficientare le procedure di esecuzione, ma riteniamo che siano necessarie ulteriori misure e quindi continuare in questa azione, perché gli strumenti di soddisfacimento per i creditori – non soltanto creditori finanziari –, tanto in tema di esecuzioni individuali ed escussione delle garanzie, quanto in tema di procedure concorsuali, possono avere ampi margini di miglioramento. In questo senso sarebbe auspicabile un ulteriore intervento.
  Queste misure, insieme a quelle già adottate, insieme alle misure che hanno consentito di concedere ai veicoli per la cartolarizzazione di portafogli di crediti deteriorati le garanzie dello Stato sulle Tranche senior, rappresenterebbero un pacchetto di strumenti a disposizione, che sicuramente darebbe impulso al mercato secondario dei portafogli di crediti deteriorati, avrebbe un forte apprezzamento da parte degli investitori anche internazionali e contribuirebbe a una diversa valutazione del settore bancario italiano.
  Andando velocemente su altri temi affrontati nel DEF e quindi venendo a trattare le tematiche fiscali, occorre riconoscere che l'ordinamento tributario italiano nel corso dei mesi ha registrato importanti miglioramenti, che hanno accentuato i profili di competitività dell'Italia rispetto ai Paesi concorrenti, in primo luogo grazie all'adozione dei decreti di attuazione della legge delega fiscale.
  In questa logica sarebbe apprezzabile l'impegno a portare a termine quelle parti di progetto di riforma che non sono state realizzate nei tempi previsti dalla delega. Da questo punto di vista viene anche espressamente indicata tra gli obiettivi del 2016 l'introduzione in Italia del regime dell'IVA di gruppo, già previsto dalla normativa comunitaria. Questo renderebbe fiscalmente neutrale rispetto all'IVA l'organizzazione e la strutturazione dei gruppi.
  Sempre impattante sulle scelte di strutturazione in gruppo è la misura introdotta a partire dal 2008, che ha eliminato la possibilità di rettificare in diminuzione il reddito complessivo di gruppo in misura pari alla quota imponibile dei dividendi distribuiti tra consolidate. Il ritorno al regime ante 2008, che ripristinerebbe quindi l'impostazione diretta alla integrale detassazione dei dividendi distribuiti all'interno di un perimetro di consolidamento, appare necessario per riportare coerenza all'istituto del consolidato.
  Un'ultima osservazione sulla fiscalità immobiliare, anche rispetto all'importante ruolo che il settore immobiliare svolge nella crescita del Paese. Anche grazie a una ricerca portata avanti insieme con l'ANCE, abbiamo evidenziato che il trattamento riservato alle operazioni di investimento per le cosiddette seconde case, quando assistite da finanziamenti e quindi da un mutuo, ha un regime di tassazione, l'imposta sostitutiva, che appare molto più oneroso rispetto al caso di omologhe operazioni in altri Paesi europei. La maggiore onerosità è pari a circa una volta e mezzo, senza contare i Paesi che non prevedono prelievi gravanti sulle operazioni di finanziamento sulle seconde case. Probabilmente un ripensamento della fiscalità sulle operazioni di finanziamento, quindi sull'imposta sostitutiva sulle seconde case, potrebbe dare un Pag. 54ulteriore contributo al rilancio del settore immobiliare.
  Dicevo poi, sul fronte degli investimenti, dell'importanza del piano Juncker. Il DEF evidenzia l'importante contributo alla realizzazione di investimenti infrastrutturali grazie al piano Juncker: 29 iniziative, tra accordi di finanziamento e progetti infrastrutturali, per 1,7 miliardi di euro di risorse e altrettanto importanti sono stati i risultati conseguiti nell'ambito della cosiddetta «finestra PMI».
  In questo contesto, sono stati importanti gli accordi di finanziamento stipulati tra il Fondo europeo per gli investimenti e le banche. Alle imprese italiane, è andato il 38 per cento delle risorse assegnate con la copertura per il Fondo europeo per gli investimenti strategici – EFSI, quindi nuovamente viene evidenziato il ruolo fondamentale degli intermediari finanziari per un successo del Fondo. Da questo punto di vista, l'Associazione ha anche sviluppato un'attività specifica di comunicazione e promozione delle diverse opportunità che questo Fondo offre alle imprese.
  Sempre in quest'ambito, si può notare l'importanza, anche a fronte del primo anno di attività, di una cabina di regia a livello centrale, retta dall'Agenzia per la coesione territoriale, per la definizione e il monitoraggio delle politiche relative alla programmazione dei fondi strutturali e di investimento.
  Qui, di nuovo, per ottimizzare l'utilizzo di queste risorse, appare evidente l'importanza di un coordinamento delle attività condotte a livello regionale, al fine anche di realizzare una maggiore standardizzazione delle procedure e dell'operatività dei diversi strumenti agevolativi esistenti a livello locale, favorendo una più ampia interazione e sinergia con le politiche di incentivazione del Governo centrale.
  Anche in quest'area, l'Associazione si è attivata, avviando da tempo un progetto, denominato «Banche 2020», attraverso il quale l'Associazione vuole collaborare con le amministrazioni centrali e locali, al fine di dare una migliore definizione delle misure agevolative, una maggiore informazione e un supporto, soprattutto laddove queste misure richiedono un ruolo attivo da parte del settore bancario.
  Ancora il DEF evidenzia, nel ruolo di supporto alla crescita delle piccole e medie imprese, l'importanza del Fondo centrale di garanzia; quindi è sicuramente apprezzabile la previsione di rafforzare questo strumento con interventi correttivi, migliorativi e integrativi.
  Ricordo che in questo contesto, in cui la qualità del credito continua a essere debole, gli strumenti di garanzia facilitano l'offerta di credito alle piccole e medie imprese. Su questo tema abbiamo lavorato insieme alle altre associazioni di impresa, formulando anche proposte per il miglioramento di questo strumento, che comunque si è rivelato centrale in questi anni di crisi per non far ridurre il flusso di credito alle piccole e medie imprese.
  Tuttavia, al di là del credito, rimane anche un problema di patrimonializzazione delle imprese. Il capitolo dedicato alla finanza della crescita evidenzia l'azione volta a favorire anche la creazione di strumenti di investimento dedicati a far aumentare l'offerta di capitali, sotto forma di equity, verso le piccole e medie imprese. Ovviamente anche questa è una linea assolutamente condivisa dall'Associazione bancaria italiana, anche a fronte del nuovo contesto di regole, che – ahimè! – vede nella dimensione, nella sottocapitalizzazione e nell'elevata esposizione del debito, soprattutto a breve termine, elementi di fragilità e di rischio delle imprese, quindi, rispetto a questi elementi, chiede maggiori coefficienti di assorbimento delle esposizioni agli intermediari che forniscono crediti.
  Da questo punto di vista, il rafforzamento di un flusso consolidato di investimenti domestici di lungo termine, in particolare nella forma del capitale verso le imprese, quindi aiutando anche le imprese ad andare verso il mercato dei capitali, ci sembra una linea importante.
  Concludo qui, ovviamente rimanendo a disposizione per le domande.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Sabatini. Pag. 55
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare domande.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Grazie, direttore Sabatini. È stata sintetica, ma corposissima la sua relazione.
  C'è una parte, sulla quale lei si è giustamente a lungo soffermato, che mi colpisce particolarmente. Si tratta di un'analisi completa e ampia del tema cruciale di questi giorni, cioè quello della cartolarizzazione delle cosiddette sofferenze.
  Diceva stamattina giustamente il presidente Boccia che, in questi anni della crisi, dal 2008 a oggi, quelli che possiamo definire come mancati impieghi verso le imprese ammontano a circa 100 miliardi di euro, cioè quello che le imprese avrebbero potuto continuare a vedersi erogato, come finanza di sostegno agli investimenti e alla loro crescita, e che invece è mancato all'appello. Questo è molto interessante, quindi i nove punti di PIL che lei ci ricordava fanno poi il paio con i 100 miliardi in meno a disposizione delle imprese.
  L'analisi, invece, di ciò che è venuto meno per il sistema bancario, qual è esattamente? Il problema è solo riconducibile, oltre ai numeri che lei ha fornito con grande precisione, a una tendenza, incrociata tra le diverse vigilanze europee, non solo la BCE ma anche tutte le altre, a escludere in ogni modo e a qualsiasi costo, anche a prezzo di impedire alle banche di sostenere le imprese, il fattore rischio?
  Oggi, cioè non alla fine di quest'epoca che non penso sia conclusa, ma alla fine di questa analisi, cosa è intervenuto nel sistema della vigilanza e delle vigilanze rispetto all'impresa bancaria italiana, oltre che a quella europea in generale? Lei sa meglio di me quali sono le differenze. In merito alla soluzione che il Governo ha visto mettere in campo, dopo il tentativo fallito, per esempio, di andare in soccorso a quelle quattro banche col fondo interno di garanzia del sistema bancario, oggi questo modello vi convince, cioè credete che sarà davvero utile?
  Stamane, il collega D'Alì, per esempio, metteva in evidenza il fatto di come una cartolarizzazione semplice ci fa correre il rischio di trascinare in tale processo anche ciò che magari potrebbe tranquillamente restare in banca, quindi quali azioni pensate di mettere in atto per evitare tutto questo? Lo chiedo perché poi chi pagherebbe il prezzo più alto è senz'altro il sistema produttivo, il sistema delle imprese.
  La garanzia di ultima istanza dello Stato per la parte di contribuzione che, per esempio, compete a Cassa depositi e prestiti, che è fuori dal perimetro del debito pubblico, va a carico di quel risparmio postale che ha come protagonisti cittadini risparmiatori che versano i loro soldi e si attendono un rientro certo, partecipando in questa misura alla cartolarizzazione di sofferenze che vuol dire svuotare le banche dalle sofferenze, prendersi in carico tutte quelle sofferenze e speriamo smaltirle nel migliore dei modi.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA 5a COMMISSIONE
DEL SENATO DELLA REPUBBLICA GIORGIO TONINI

  CARLO DELL'ARINGA. Ho un paio di osservazioni. La prima è proprio su questo punto che è stato sollevato dalla collega. Ha parlato di un pacchetto costituito da interventi sul versante pubblico. Sono molto impressionato dal fatto che basta una riduzione di un anno dei tempi di recupero delle garanzie per aumentare del dieci per cento il valore di mercato dei crediti deteriorati. Con un anno, un anno e mezzo, praticamente si risolve quasi il problema tra il prezzo di mercato e il valore iscritto a bilancio. Siamo in quei paraggi. Rilevo la grande importanza di un intervento di questo tipo, come quella del fondo, naturalmente, che sta a dimostrare questa necessità di mutualità, sussidiarietà e solidarietà all'interno del settore bancario.
  Dal momento che avete i vostri modelli econometrici e ci avete riferito che le previsioni del DEF sono abbastanza coerenti con le vostre, vi chiedo una cosa. Con riferimento al fatto di sollevare il sistema bancario da queste sofferenze e da questi Pag. 56crediti deteriorati in misura sostanziale, quello 0,5 per cento di aumento degli impieghi che avete ricavato nell'ultimo anno – siamo allo zero virgola – potrebbe aumentare sensibilmente? Questo aumento degli impieghi in che misura è dovuto anche a un'offerta eccessivamente prudente, ma anche a questa situazione di grande sofferenza delle banche? Forse la domanda c'è. Questo potrebbe avere un effetto addirittura positivo sulle cifre che vediamo nel DEF. In termini macroeconomici potrebbe avere un effetto positivo di questo tipo.
  Passo alla seconda domanda. Le banche sono soggette a un processo di ristrutturazione e riorganizzazione offerto anche dalle nuove tecnologie. Nel momento in cui si tenta di aumentare l'occupazione, il sistema vostro in questo momento può calcolare – avete qualche idea – l'esubero di posti di lavoro che c'è attualmente nel sistema bancario? Non lo chiedo per buttare lì una cifra di carattere scandalistico, ma giusto per avere un'idea di quanto siate ancora in sofferenza da questo punto di vista. Probabilmente la soluzione di quelle sofferenze rende meno urgente il problema e permette di risolvere anche questo. Ovviamente, c'è una connessione.

  ANTONIO D'ALÌ. Velocemente chiederò sulle sofferenze e sulla cartolarizzazione. Lei ci ha detto che sono 83 miliardi le rettifiche già effettuate in bilancio, o sbaglio? Quello è il dato relativo alle rettifiche?

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. No, gli 83 miliardi sono le sofferenze al netto delle rettifiche. Le sofferenze lorde sono circa 200 miliardi. Al netto delle rettifiche sono 83 miliardi.

  ANTONIO D'ALÌ. Quindi, le rettifiche ammontano a circa 120 miliardi.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Perfetto.

  ANTONIO D'ALÌ. Era quello che volevo sapere. La ringrazio.
  Volevo chiederle, quindi, poiché è chiaro che le rettifiche sono fatte in base alle valutazioni che le banche internamente fanno della singola partita e questo è assolutamente legittimo, se il valore del credito che intendete mettere sul mercato sarà il valore del credito già rettificato, come risultante al netto della rettifica, o il valore del credito nel suo complesso, con la possibilità di attivare su questo valore anche interessi di mora? Questo è importante ai fini di quelli che saranno i riflessi sull'economia. È solo da questo punto di vista.
  Anche quel dieci per cento di scarto, a questo punto, bisogna capire su quale valore agisca, se sul valore netto o sul valore lordo prima della rettifica. Ciò potrebbe portare anche, in alcuni casi, a una cessione del credito, assistito pur sempre, come accade nel sistema bancario, da garanzie, che sia piuttosto svilente per quanto riguarda le garanzie di accompagno. Questo è un pericolo che, secondo me, insiste sul mercato. Voi avete fatto un'ottima nota sul mercato immobiliare. Forse dovreste trasmetterla a chi vi ha preceduto in quest'Aula.
  Questo è il punto che volevo capire. Il fatto che cediate a valore netto potrebbe anche nascondere, non da parte vostra ma degli acquirenti, effetti speculativi di una determinata consistenza e una pressione soprattutto sulle piccole e medie imprese e su quei settori che sono deboli dal punto di vista teorico del credito, cioè agricoltori e artigiani, e portare a un disagio non indifferente, come stamattina ho detto, e come si è verificato, a mio giudizio, vent'anni fa con il caso Banco di Napoli sui territori meridionali. Questo potrebbe essere oggetto di preoccupazione da parte nostra.
  Inoltre, vorrei capire se i crediti che andrete a cartolarizzare sono crediti già in sofferenza e come vi comporterete sulle future sofferenze. Vorrei sapere se avete anche un margine – non mi fraintenda: voglio capire l'operatività, non accusare nessuno di speculazione – per inserire adesso crediti, che magari fino ad ora non avete valutato come sofferenza, ma solamente di dubbio esito, in questi pacchetti, proprio per sollevarvi. Questo creerebbe un ulteriore Pag. 57 effetto di pressione sull'economia reale.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Ho due domande in realtà relativamente ampie e complesse. Non mi attendo, naturalmente, una risposta.
  Voi sottolineate, per quanto riguarda le politiche non convenzionali monetarie, ossia di quantitative easing, aspetti positivi: quello che hanno scongiurato e la necessità che continuino. Non ci sono accenni, o comunque non c'è una notazione, per quanto riguarda i potenziali rischi che politiche di questo genere stanno prospettando in particolare per il sistema bancario, tanto che in alcuni Paesi, come sappiamo – senza fare nomi, la Germania – si è assolutamente parlato del fatto che è ora di fermare tali politiche.
  La mia domanda è sul perché di questa apparente minore preoccupazione. Ci sono ragioni specifiche? Valutate in qualche modo un bilancio molto di più sul piano dei ritorni rispetto ai costi? Mi interesserebbe sapere quale valutazione esprimete sul rapporto.
  Passo alla seconda domanda. Come sa benissimo – se ne parla da tempo, ma ciclicamente torna con forza – è tornato da qualche giorno con forza il tema del completamento dell'unione bancaria europea, che noi sappiamo essere un passo fondamentale. Lasciare le cose a metà sarebbe deleterio per quanto ci riguarda, ma anche per quanto riguarda il sistema di Paesi.
  Da parte di alcuni Paesi – anche qui, per non fare nomi, soprattutto della Germania – si è posta con forza questa enfasi di ridurre i rischi che legano settore bancario e settore del debito sovrano e si è avanzata con forza la proposta che le banche debbano rinunciare e, quindi, porre un limite all'attività di titoli che hanno nei loro portafogli, oppure accettare una ponderazione dei costi specifici del rischio di questi titoli.
  Questa è una proposta che è stata avanzata con forza per arrivare a completare l'unione bancaria. Volevo sapere da parte del sistema bancario italiano e, quindi dell'ABI in quanto rappresentante, se una proposta di questo genere è totalmente da rigettare per quello che implica sul piano di eventuali contraccolpi, non solo al sistema bancario, ma anche al sistema economico, o se ci sono delle mediazioni e delle risposte possibili. Ciò, naturalmente, è fondamentale se viene posta questa come condizione determinante ai fini di proseguire la trattativa sul completamento dell'unione bancaria.
  Mi interesserebbe anche una risposta su questo. Naturalmente, sono domande molto complesse, ma volevo proprio una linea di tendenza, una vostra lettura complessiva.

  GIULIO MARCON. Pongo una domanda breve. Nel paragrafo sulle tematiche fiscali esprimete un giudizio su alcune delle misure presenti nel DEF e anche su misure che potrebbero essere introdotte in particolare relativamente al settore edilizio. Volevo fare una domanda su un aspetto della materia fiscale che vi riguarda direttamente e che è stato accantonato nel corso degli anni anche in attesa di una normativa e di un orientamento comunitario più pregnanti. Faccio riferimento alla tassazione sulle transazioni finanziarie introdotta da Monti e poi rimasta sospesa in attesa di una misura organicamente condivisa con gli altri Paesi dell'Unione europea.
  La mia domanda è la seguente: pensate che un'iniziativa italiana che ponesse due punti, in particolare la tassazione di tutte le operazioni – non solo quelle cosiddette del saldo a fine giornata – e di tutti i prodotti finanziari sarebbe da voi condivisa, o ci sono altre proposte che intendete fare sul tema, visto che è un tema che prima o poi dovrà essere ripreso e che dovrà essere trattato anche dal nostro Parlamento?

  PRESIDENTE. Do la parola per la replica al dottor Sabatini.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Comincio con l'intervento della senatrice Bonfrisco.
  Come dicevamo, nel corso della crisi la dinamica del credito ha avuto, ovviamente, un andamento in contrazione. Questo perché il credito è una variabile collegata a tutte le altre variabili economiche. Ho citato Pag. 58 il meno 9 per cento di PIL, ma potrei ricordare anche il meno 25 per cento della produzione industriale e un'analoga percentuale nella caduta degli investimenti.
  Sicuramente c'è stato un contesto rispetto al quale riteniamo che l'andamento della dinamica del credito sia stato meno allineato con l'effettivo andamento delle grandezze reali dell'economia. Peraltro, questo andamento è stato attenuato anche da una serie di misure. Ricordo, ma ne ho parlato più volte anche in queste Aule, le moratorie che hanno comunque portato altri 25 miliardi di liquidità nelle imprese.
  Ahimè, questo insieme di fattori, insieme anche alle debolezze strutturali del nostro sistema, ossia la normativa fiscale disallineata all'Europa per quello che riguarda la deducibilità degli accantonamenti sui crediti deteriorati, rimossa soltanto nel 2015, e il tema della lentezza del processo di recupero delle garanzie, spiega, come dicevo, l'andamento dei crediti deteriorati.
  Rispetto a questo sicuramente, però, ha giocato un ruolo anche il nuovo quadro di regole, a partire dalle nuove definizioni che sono state introdotte per la classificazione dei crediti deteriorati con categorie che non erano prima note. Per esempio, rispetto al tema delle moratorie, esse sono state costruite in modo che rispetto alla normativa nazionale non fossero considerate crediti deteriorati. Alla luce delle nuove regole dell'EBA, invece, sono finite nei crediti deteriorati.
  Purtroppo, il quadro regolamentare, con un necessario allineamento a una media europea, ha sicuramente contribuito a un aggravarsi del problema anche in termini quantitativi. Credo però che oggi il tema più rilevante sia, ancora una volta, un'asimmetria della vigilanza, che continua a vedere negli attivi creditizi la principale fonte di rischio sistemico e non va a guardare anche altre tipologie di attività, come gli attivi finanziari.
  Oggi le priorità del Single Supervisory Mechanism continuano a evidenziare il problema dei crediti e, quindi, poi dei crediti deteriorati, ma dimenticano la valorizzazione di quegli attivi finanziari che, non avendo un mercato liquido, vengono valutati sulla base dei modelli interni delle banche e rispetto ai quali l'effettiva valorizzazione rimane un punto interrogativo.
  C'è sicuramente anche un tema di regole e di prassi di vigilanza che si sono anche tradotte in una pressione e quindi su tempi ridotti che vengono imposti per la soluzione del problema dei crediti deteriorati. Ricordo, per esempio, la valorizzazione che è stata fatta in occasione del Piano di risoluzione delle sofferenze di quattro banche a un valore del 17 per cento rispetto al valore nominale, un valore di liquidazione. C'è un dato che emerge da uno studio di Banca d'Italia per cui il valore di recupero dei crediti deteriorati, a parità di regole, senza tener conto delle misure già introdotte per velocizzare i processi di recupero dei crediti, è una percentuale pari al 40 per cento. C'è, quindi, una discrasia.
  Rispetto a questo tema – mi sposto un attimo per rispondere a una delle domande dell'onorevole Dell'Aringa – oggi abbiamo un insieme di strumenti che singolarmente non sono la bacchetta magica che fa sparire da un giorno all'altro l'ammontare dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche italiane. Tutti questi strumenti insieme, però, rappresentano un pacchetto che effettivamente può portare un forte contributo a una velocizzazione della riduzione dell'ammontare di crediti deteriorati nei bilanci delle banche.
  Da un lato, c'è la misura fiscale che riporta l'integrale deducibilità degli accantonamenti e, quindi, riduce il costo degli accantonamenti per le banche a partire di fatto dal 2016. Dall'altro, ci sono le procedure di velocizzazione per il recupero dei crediti. Ancora, sicuramente, in questo contesto, la garanzia offerta sulle tranche senior di operazioni di cartolarizzazione è un ulteriore elemento. Si aggiunge poi il Fondo Atlante, che potrebbe anche acquisire le tranche junior di queste operazioni, completando anche il disegno delle cosiddette GACS – Garanzie per la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza. Auspicabilmente, ci sarà qualche ulteriore misura per completare il percorso di efficientamento delle Pag. 59procedure di esecuzione sulle garanzie. Tutto questo oggi ci sembra coerente e razionale e, quindi, è un insieme di misure che potrà produrre degli effetti positivi. Ci sembra anche che, al di là di qualche incertezza e di una volatilità di fondo del mercato, anche il mercato cominci a esprimere un apprezzamento per queste misure.
  Peraltro, rispetto all'intervento, per esempio, della Cassa depositi e prestiti nelle operazioni di cartolarizzazione, a noi sembra che, come dicevo, nel momento in cui ci si libera o si riduce la pressione a smobilizzare questi portafogli in tempi brevissimi, le possibilità per un investitore e, quindi, per un'operazione di mercato ci siano, visto questo divario tra quanto oggi viene offerto dagli investitori esteri e quante sono, invece, sulla base di analisi, le possibilità di recupero. Di fatto queste misure possono far rimanere anche nell'ambito di investitori nazionali – banche, assicurazioni e altri soggetti – questa opportunità di investimento.
  Per quello che riguarda la situazione delle banche, oggi il tema del recupero della redditività rimane l'elemento fondamentale, soprattutto per il modello di banca commerciale.
  Ci sono tre elementi – qui mi aggancio anche a una parte del quesito del professor Guerrieri Paleotti – che oggi convergono e comprimono la redditività delle banche: la regolamentazione, la rivoluzione tecnologica e, ovviamente, anche la situazione di tassi di interesse prossimi allo zero o addirittura negativi. È chiaro che, in questo contesto, si pone un problema di ripensare la sostenibilità del modello di banca commerciale come risultante dall'effetto di queste tre forze e, quindi, si pone anche un problema, rispetto al tema della tecnologia, di ripensare i modelli distributivi e la rete delle filiali.
  Rispetto a questo quadro generale credo che il tema degli esuberi vari nelle soluzioni, che vanno sempre più differenziandosi tra banca e banca e, quindi, nei modelli che saranno adottati da ciascuno per rispondere alle sfide che questo contesto comporta, quindi oggi non siamo in grado di rappresentare un dato aggregato.
  Tornando al tema dei tassi di interesse negativi, la nostra valutazione diverge, come abbiamo visto anche in sede di Federazione bancaria europea, ed è che oggi il problema sia l'assenza di politiche di bilancio che facciano da contrappeso alla politica monetaria. Occorre rilanciare gli investimenti, la politica monetaria sta comprando tempo, ci saranno delle ripercussioni per il settore finanziario in genere, quindi non soltanto per le banche, ma anche per assicurazioni, fondi pensioni e, nei Paesi con modelli più sensibili ai tassi di interesse negativi, ovviamente le reazioni saranno più forti.
  Per il modello di banca commerciale l'importante è far ripartire la crescita e quindi anche la quantità di credito che può fare premio sull'effetto prezzo, ma la politica monetaria non può essere lasciata sola, comprare il tempo non è sufficiente se non ci sono anche altri elementi.
  Ci metto anche la terza leva che sarebbe importante, cioè la regolamentazione che deve ritrovare un nuovo equilibrio tra stabilità micro e stabilità macro, cioè le misure regolamentari, volte a garantire la stabilità del singolo intermediario, devono tener conto anche degli impatti a livello macro e in termini di contrazione ed effetti di riduzione del credito e quindi di riduzione di supporto finanziario alla crescita.
  Fortunatamente comincia a emergere nelle sedi europee il dibattito tra vigilanza micro e vigilanza macro nella logica di una stabilità macro, che ha bisogno della crescita per essere raggiunta, laddove senza crescita non c'è nel medio periodo nemmeno stabilità.
  Tema Edis – Sistema europeo di assicurazione dei depositi, ponderazione dei titoli di Stato. Noi oggi rifiutiamo questo collegamento, l'unione bancaria era nata con tre gambe, la terza gamba era il sistema di garanzia dei depositi unico, ma qualcuno vuole cambiare le regole del gioco e una volta tanto non siamo noi.
  Il problema dei titoli di Stato è un problema diverso: noi contestiamo che per il modello di banca commerciale il problema dell'esposizione al rischio Paese derivi dall'esposizione in titoli di Stato, in quanto deriva anche dall'insieme degli impieghi Pag. 60 che le banche fanno all'economia. Peraltro questo tema non può essere affrontato a livello di Europa, perché ci svantaggerebbe, e fortunatamente la stessa Commissione ha riconosciuto che sarà trattato in sede di Comitato di Basilea dove ci sono posizioni differenziate. Sicuramente anche gli Stati Uniti e il Giappone hanno delle perplessità rispetto alle proposte sulla ponderazione, sulla concentrazione, sull'esposizione in titoli di Stato, quindi vedremo in quella sede quali saranno i risultati.
  Rispondo all'ultima domanda sul tema della tassa sulle transazioni finanziarie e chiedo scusa per essermi dilungato. Credo che la risposta sia ancora una volta: attenzione a non creare un regime europeo che provochi spostamenti di flussi di transazioni su altri Paesi. Noi oggi abbiamo trovato in Italia un equilibrio che si è dimostrato sostenibile; l'ampliamento a tutte le operazioni e a tutti i prodotti, a cominciare dal mercato dei titoli di Stato, credo che andrebbe ad aumentare i costi di transazione e che forse sarebbe anche in contraddizione rispetto alla creazione di una Capital markets union.
  Dovrebbe essere un tema da valutare rispetto alla posizione competitiva del settore finanziario europeo, sicuramente l'attuale situazione crea dei problemi perché c'è un terreno di gioco non livellato, la scelta delle operazioni e dei prodotti deve essere attentamente ponderata anche per evitare impatti su mercati, come quello dei titoli di Stato, che sono sicuramente sensibili ai costi di transazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio la delegazione dell'ABI.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 18.20, riprende alle 18.30.

Audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e Conferenza delle regioni e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di ANCI, UPI e Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Colleghi, riprendiamo questa nostra maratona chiedendo scusa alla delegazione delle autonomie regionali e locali, alla quale abbiamo inflitto quasi un'ora di ritardo. Succede così: nelle audizioni precedenti si accumula ritardo e, a mano a mano che si va avanti, il ritardo diventa sempre più imbarazzante.
  Chiedendovi ancora scusa, diamo la parola alla prima delegazione, quella dell'ANCI, con il sindaco Castelli, delegato per la finanza locale dell'ANCI.

  GUIDO CASTELLI, delegato per la finanza locale dell'ANCI e sindaco di Ascoli Piceno. Buonasera, presidente. Dalla lettura del DEF e da una sua analisi apprezziamo sicuramente il fatto che venga riconosciuto apertis verbis il contributo che gli enti locali, in particolare i comuni, hanno fornito al risanamento della finanza pubblica italiana.
  Questo è un aspetto che a noi sta particolarmente a cuore, visto che negli ultimi anni si sono concentrati attenzioni e sacrifici di non secondario rilievo a carico dei comuni – sono, infatti, di circa 9 miliardi di euro i minori trasferimenti dello Stato – nonché l'effetto indotto da una serie di riforme che il sistema dei comuni ha accettato di interiorizzare, producendo effetti amministrativi e finanziari molto rilevanti, come nel caso della nuova contabilità che dall'anno scorso opera nei comuni italiani. Tutto ciò è avvenuto in un contesto di trasparenza aumentata e rinnovata e di una gestione sicuramente più lineare del sistema dei residui nei conti dei comuni.
  Voglio dire che i comuni non si sono mai tirati indietro e non hanno arretrato rispetto a obiettivi che sono sotto gli occhi di tutti e che il DEF riconosce. L'ultimo scorcio di legislatura ha anche consentito che si registrasse un sostanziale accoglimento di alcuni temi cari al mondo dei comuni, soprattutto per quanto riguarda lo sblocco Pag. 61della spesa per investimenti, con il sostanziale abbandono del Patto di stabilità interno e l'introduzione di norme che possono consentire una ripresa cospicua della spesa per investimenti. Ciò avverrà soprattutto se si avrà la capacità di stabilizzare un sistema di norme e di regolazioni finanziarie che, in particolare su iniziativa dell'ANCI, si sono proposte e che speriamo possano trovare definitiva collocazione nella riforma della legge n. 243 del 2012, attuativa del pareggio di bilancio.
  Fatta questa premessa, confermiamo una serie di valutazioni rispetto al ciclo economico in essere, che coinvolge direttamente il sistema dei comuni. Citavo prima il regime della nuova contabilità. L'introduzione della nuova contabilità ha prodotto una compressione della spesa locale piuttosto cospicua, che percentualmente determiniamo nel 7,3 per cento delle spese per consumi intermedi, che si sono ridotte, e in una contrazione del 5,3 per cento della spesa per il personale. Questo per dire come ai tagli si siano aggiunte anche delle dinamiche di compressione della spesa che hanno arrecato un beneficio complessivo a tutto il sistema.
  Si tratta ora, tuttavia, di uscire in qualche misura dall'emergenza, perché è inevitabile che in questo momento il sistema delle autonomie e dei comuni risulti abbastanza stressato proprio dall'affastellarsi, dal concentrarsi e dal mantenersi di limitazioni alla spesa e, insieme, di vincoli ordinamentali che obiettivamente stanno creando non pochi problemi.
  Ripeto, ci mettiamo in gioco quotidianamente, ma quest'anno, per esempio, dopo tanto tempo – forse non era mai successo – i comuni d'Italia sono tenuti ad approvare il bilancio di previsione entro il 30 aprile, esattamente come per il consuntivo. Questa situazione, al di là delle rappresentazioni generali, ha comunque prodotto uno stress significativo a carico del nostro sistema interno, perché tutti i ragionieri di questa nostra Italia, proprio in queste ore e in questi giorni, sono affaccendati nel necessario rispetto dei limiti e dei vincoli anche temporali, non senza difficoltà.
  Il DEF enfatizza alcuni aspetti, tra cui anche quello del mantenimento di alcune linee di riforma della legge n. 243 del 2012, su cui si deve sicuramente concentrare l'attenzione. La citata legge n. 243 va riformata. È stato depositato un progetto di riforma. Non lo conosciamo esattamente, ma risulta assolutamente necessario che alcuni accorgimenti possano essere confermati, in particolare per quanto riguarda l'enfatizzazione del ruolo di alcuni elementi – in particolare il fondo pluriennale vincolato – che in questo modo consentono di legare la programmazione dei comuni negli anni in una maniera che necessariamente deve essere stabilizzata senza far ricorso a un riferimento alle leggi ordinarie statali.
  Abbiamo letto di questa possibilità, ovvero che l'operatività del fondo venga vincolata a decisioni che anno per anno vengono prese dalla legge ordinaria. Questa è un'operazione che fornirebbe ulteriore precarizzazione al sistema complessivo, proprio perché questa intuizione del fondo pluriennale vincolato costituisce esattamente lo strumento che, se stabilizzato, può consentire un legame fra esercizi finanziari virtuosi, in maniera tale da non compromettere la possibilità di riprendere gli investimenti, che dipende largamente proprio dal grado di certezza e di stabilità di questi istituti.
  Per iniziare un percorso di ripristino di quel binomio fatto di autonomia e responsabilità è necessario sicuramente rafforzare e stabilizzare questi sistemi nel corso dell'esame parlamentare della riforma di una legge che è pur sempre attuativa di una norma di rango costituzionale e rispetto alla quale abbiamo una grande attesa.
  Questo è il quadro complessivo. Ci sono alcuni temi di cui non abbiamo rinvenuto citazioni o tracce specifiche. Abbiamo apprezzato l'evocazione della riforma del catasto, un elemento su cui evidentemente i comuni richiedono la massima attenzione. Oggi un giornale specializzato ha pubblicato un lungo articolo evidenziando proprio lo scostamento che sussiste fra i valori di mercato e i valori catastali. Pag. 62
  Nel mio comune, Ascoli Piceno, c'è uno scostamento del 161 per cento. Niente di male, è una città medievale ed evidentemente il catasto non poteva essere troppo aggiornato, ma la riforma del catasto è uno di quei pavimenti su cui è necessario far correre la valutazione legislativa, con il coinvolgimento dei comuni ovviamente, per poter dare anche certezza al sistema di una fiscalità che, per effetto delle ultime recenti decisioni anche sulla TASI relativa alla prima abitazione, ha ripristinato in maniera forte un sistema di finanza derivata.
  Di fatto abbiamo 4,5 miliardi di finanza derivata. Questa è una situazione inevitabilmente da considerare transitoria. Ci aspettiamo che, nel rispetto dei cicli economici e delle turbative finanziarie che dominano il cielo della nostra Italia, e non solo, si possa prendere presto e bene il cammino di un ritorno alla fisiologia del rapporto fiscale sugli immobili fra comuni e cittadini.
  Un tema, invece, di cui non abbiamo trovato menzione è il riassetto della riscossione locale. È un altro tema fondamentale, tanto più alla luce della riforma della contabilità che valuta i comuni soprattutto in ragione della capacità di cassa. Vi è ormai una serie di diseconomie nella gestione della riscossione che richiede di riaprire questo dossier.
  Teniamo conto che da sempre la posizione dell'ANCI è quella di aumentare anche il grado di trasparenza per quanto riguarda il sistema della riscossione locale, facendo in modo che possano essere superate alcune antinomie che nel passato hanno creato problematiche di non secondario momento per quanto concerne il sistema della riscossione.
  Certo è che il sistema della riscossione esprime una fragilità che è sotto gli occhi di tutti. Vi sono comuni che, oggi come oggi, anche per la pezzatura della riscossione locale – noi abbiamo da riscuotere somme che sono generalmente piuttosto modeste e che non ricadono neanche tra quelle grandi somme che magari producono attenzione in termini di esazione da parte dei concessionari – scontano una fragilità marcata. Questo vuol dire che è necessaria una riscossione tarata e misurata sulle esigenze dei comuni, che hanno difficoltà di cassa e che si trovano spesso nella condizione di non poter onorare i tempi di pagamento. La situazione attuale produce, infatti, disallineamenti importanti per quanto riguarda anche la nostra possibilità di onorare i nostri debiti.
  Faccio un ultimo riferimento alla necessità di seguire con attenzione il disegno di legge di modifica della legge n. 243 del 2012, perché è decisivo, centrale e strategico che il ruolo e la funzione del fondo pluriennale vincolato, proprio come aggregato utile ai fini del saldo di finanza pubblica, possano essere costituzionalizzati, mantenuti nel tempo e resi stabile come elemento centrale.
  Vi sono alcuni elementi di raccordo che abbiamo inserito nella nostra memoria. Vi voglio solamente sottolineare, da ultimo, la situazione che si è prodotta a cavallo fra il 2015 e il 2016 proprio per effetto dell'abbandono del sistema del Patto di stabilità.
  È cresciuto in modo esponenziale, anche per ragioni quasi automatiche e fisiologiche, il numero dei comuni potenzialmente destinatari di infrazioni di Patto di stabilità, proprio perché sono cambiate essenzialmente le regole del gioco. In particolar modo per quanto riguarda le città metropolitane, ma anche per quanto riguarda normalmente gli enti, abbiamo proposto che vi sia una valutazione accurata di quelle che debbano essere le sanzioni di Patto, relative – ripeto – a una vicenda e a una dinamica che, al di là di volontà fraudolente, hanno prodotto delle difficoltà oggettive nel traslare voci, poste, risorse, capacità e disponibilità di spesa tra il 2015 e il 2016. Si tratta di una di quelle vicende su cui, insieme ad altre, abbiamo cercato di porre la nostra attenzione, facendo in modo che si possa assicurare stabilità al nostro sistema.
  In cauda venenum – ma non è poi così venenum – c'è la questione del personale, che è molto importante. Siamo chiamati ad atteggiamenti sempre più sfidanti e organizzati e a norme che non cessano di moltiplicarsi, ma abbiamo un problema: abbiamo il problema del personale. Le nostre amministrazioni stanno invecchiando. Pag. 63Il turn over al 25 per cento è una situazione che – vi assicuro – non ci consente di essere all'altezza di molti compiti, proprio perché siamo privati della possibilità di reclutare personale coerente con le richieste di sforzi che ci vengono rivolte.
  Se a questo aggiungiamo le problematiche connesse al salario accessorio e ai meccanismi incentivanti, capite bene che il quadro si rende tanto più complesso. Proprio oggi leggevo della volontà del Governo di promuovere un decreto sulla sicurezza urbana. Ovviamente, è un'iniziativa positiva e necessaria, ma non ha senso promuovere nuove norme se non si consente, anche attraverso meccanismi di salario accessorio, di utilizzare, almeno per quanto riguarda i comuni, la leva della polizia municipale. Noi spesso e volentieri siamo nella condizione di non poterla utilizzare al meglio proprio per le limitazioni e i vincoli che oggi esistono rispetto alle prestazioni di lavoro che ci vengono richieste.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sindaco. Propongo di svolgere tutte e tre le relazioni illustrative e poi di tenere un dibattito unico, per provare a economizzare sui tempi.
  Do la parola, per l'UPI, al presidente Rinaldi.

  GIUSEPPE RINALDI, presidente dell'UPI Lazio e presidente della provincia di Rieti. Ringrazio il presidente e le Commissioni per quest'audizione. Non possiamo non partire da questo momento, che ci vede nel pieno del percorso di attuazione della riforma delle province – oggi aree vaste – che si completerà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, quando anche le province elette in precedenza cambieranno la loro modalità di elezione e praticamente tutti i 76 enti di area vasta saranno regolati dalla legge n. 56 del 2014.
  Avremo un nuovo ente di area vasta in cui i comuni, ovviamente, saranno i protagonisti principali, perché l'Assemblea dei sindaci degli enti di area vasta li vede proprio come primi attori di questo delicatissimo processo che ci ha – passatemi il termine – «investito». Io faccio il presidente dal 2014, ma avevo già fatto il sindaco. Non auguro a nessuno quello che è capitato a noi, che ci siamo trovati ad amministrare i nuovi enti, denominati aree vaste.
  Abbiamo comunque cercato di fare la nostra parte, malgrado le difficoltà, e stiamo faticosamente portando avanti anche questo grande processo di trasformazione e di trasferimento del personale. Con l'ausilio delle regioni abbiamo messo in campo la più grande migrazione di personale della pubblica amministrazione italiana degli ultimi anni. Dai nostri 43.000 dipendenti siamo passati a 20.000. Ne rimangono da collocare circa 1.600. Cogliamo questa occasione per rimarcare anche l'attenzione sulla necessità che questo processo vada a compimento, perché l'impegno che tutti, regioni ed enti locali, ci siamo presi è che non ci siano esuberi in questa delicatissima fase.
  È stato, come dicevo prima, uno dei passaggi più difficili e critici della riforma, un passaggio – credo – completamente compreso e condiviso anche da queste Commissioni. Grazie anche al lavoro del Parlamento si è riusciti infatti a mettere a posto qualche distonia rispetto alle leggi di stabilità degli anni precedenti e all'effettiva possibilità di gestire non funzioni secondarie, ma le funzioni primarie che la citata legge n. 56 ha lasciato in capo alle province, oggi aree vaste.
  Mi riferisco – colgo nuovamente l'occasione per farlo qui – a quelle delicate questioni che riguardano le scuole, le manutenzioni delle scuole e la viabilità. Sono temi troppo delicati per non trovare una copertura anche nella questione che oggi in questa sede ci occupa.
  Noi abbiamo comunque fatto, volenti o nolenti, la nostra parte per la riduzione della spesa di questo comparto, una riduzione che effettivamente c'è stata, dal 2013 al 2015, per 1,515 miliardi. Come dicevo poco fa, però, il livello di riduzione delle nostre risorse, che deriva dalla manovra economica del 2015, è andato, purtroppo, ad intaccare i servizi essenziali nei territori – lo ribadisco, scuole superiori, strade e interventi per il dissesto idrogeologico. Si tratta di interventi che, invece, debbono Pag. 64essere garantiti, anche alla luce dell'articolo 40, comma 4, del progetto di legge di riforma costituzionale, il quale prevede che queste aree vaste dovranno essere regolate in parte dallo Stato e in parte dalle regioni con apposite leggi regionali, che tutte le regioni stanno mettendo in campo con autonomie e tagli diversi, perché questo sta succedendo.
  Non c'è dubbio che sia necessario che il Parlamento dopo la riforma costituzionale – vedremo poi l'esito del referendum confermativo – debba coniugare in modo coerente la legge n. 56 con le nuove disposizioni previste dalla riforma stessa. Purtroppo, il DEF 2016 non affronta ad oggi questo tema che ho cercato di portare alla vostra attenzione. Noi facciamo ancora i conti con i tagli del passato, che derivano dal decreto-legge n. 66 del 2014 concernente la famosa spending review, che sono rimasti immutati, e con i tagli della legge n. 190 del 2014, che invece, come sapete bene, ammontano a 640 milioni, 1,2 miliardi e 1,9 miliardi di euro, per il totale di una manovra che per noi non è sostenibile. Tant'è vero che già oggi abbiamo tre province in dissesto e dieci in procedura di riequilibrio finanziario. L'UPI ha più volte sottolineato questo aspetto.
  C'è anche il tema, che abbiamo portato all'attenzione del Governo, delle sanzioni. La maggior parte delle province, in relazione alla situazione che ho cercato sommariamente di descrivervi, non ha potuto rispettare il Patto di stabilità. Ci è stato più volte assicurato che il Governo, da questo punto di vista, avrebbe eliminato le sanzioni per il mancato rispetto nell'anno 2015. Se non avremo questo intervento normativo, ovviamente, non saremo in grado di approvare alcun bilancio. Nessuna provincia sarà in grado di approvare un bilancio.
  D'altronde, senza farla troppo lunga, questo è anche il richiamo alle risorse necessarie per gestire le funzioni fondamentali che la stessa Corte costituzionale ha evidenziato. Non si possono lasciare funzioni e servizi, se questi servizi e queste funzioni non sono coperte da un punto di vista economico.
  Credo che sia ormai arrivato il tempo per prevedere che la finanza derivata – che ovviamente avremo, perché con la riforma costituzionale non avremo più tributi propri – debba fare i conti con le reali necessità gestionali di questi servizi. D'altronde – l'ho detto prima – anche grazie al vostro lavoro nel corso dell'anno precedente siamo riusciti, prima col decreto-legge n. 78 del 2015 e poi con la legge di stabilità, a mettere un po’ a posto la situazione. Sono stati disposti, infatti, a parte i tecnicismi, che però sono serviti per vivere, l'approvazione solo annuale del bilancio, la possibilità di rinegoziare i mutui con la Cassa depositi e prestiti e il fondo di 30 milioni per le spese connesse ai disabili sensoriali.
  Questo è un altro aspetto su cui colgo l'occasione per richiamare la vostra attenzione. Anche su questo siamo stati in gravissima difficoltà e credo che non abbia fatto una bella figura neppure il sistema Paese nel suo complesso. Molti di noi non sono stati in grado di garantire quei servizi ai portatori di handicap gravi presenti nelle scuole. La situazione è stata messa a posto in parte grazie al combinato disposto del vostro lavoro e del lavoro delle regioni, che hanno stanziato le risorse, ma anche questo è un aspetto molto sensibile. La stessa cosa è accaduta con il contributo straordinario di 245 milioni per le scuole e le strade. Sottolineiamo, quindi, la necessità che la prossima legge di stabilità affronti una volta per tutte in maniera risolutiva questa criticità per garantire una prospettiva stabile su queste che sono le funzioni fondamentali che ci lascia la legge n. 56.
  Occorre anche – giova ricordarlo – un approfondimento riguardo alla sostenibilità del nuovo saldo di finanza pubblica, accanto alle misure straordinarie previste dalla legge di stabilità del 2016 per quanto riguarda l'utilizzo dell'avanzo in fase di approvazione del bilancio 2016.
  È chiaro che da questo punto di vista, dopo la fase di grandissima difficoltà che stiamo ancora vivendo, ci piacerebbe continuare a fornire il nostro contributo rispetto a ciò che leggiamo nel DEF, ossia alla necessità di far ripartire gli investimenti. Pensiamo anche a un ruolo di queste nuove Pag. 65case dei sindaci rispetto, per esempio, alle stazioni uniche appaltanti, ovviamente soprattutto per i comuni piccoli e medio-piccoli, non certo per le città capoluogo. Secondo una nostra indagine, in 47 province su 76 questa stazione unica appaltante funziona già e questo ruolo di supporto delle aree vaste ai comuni, soprattutto a quelli di minore dimensione demografica, rappresenta una realtà in molte parti del nostro territorio.
  Lo stesso ragionamento lo possiamo fare anche per altri servizi che possiamo contribuire a fornire, perché comunque le professionalità all'interno di quelle strutture ci sono e sarebbe un peccato non metterle a disposizione di altri comparti delle autonomie locali.
  Ricapitolando – e concludo velocemente – auspichiamo l'eliminazione delle sanzioni relative al Patto di stabilità, la revisione dell'ammontare del contributo, perché, così com'è, il taglio disposto dalla legge di stabilità per il 2015 è insostenibile per il comparto, e l'individuazione, una volta per tutte, del nuovo sistema di finanziamento delle funzioni fondamentali degli enti di area vasta che il Parlamento ha assegnato con la legge n. 56. Non è probabilmente questa la sede per farlo, ma ribadiamo la necessità che con chiarezza si stabilisca l'obbligo che le funzioni che ci vengono riassegnate dalle regioni debbano essere coperte anche da un punto di vista economico e finanziario
  Da questo punto di vista il tema non riguarda solo le regioni, ma più complessivamente anche altre riforme che sono in itinere. Penso al problema dei centri per l'impiego. Anche qui c'è la necessità di dire una parola risolutiva rispetto alle funzioni, non solo per pagare il personale, ma perché i centri per l'impiego, che oggi non sono più di competenza delle province, hanno dei costi di funzionamento.
  Da questo punto di vista – ribadisco – ci piacerebbe fare la nostra parte anche per quanto riguarda gli investimenti territoriali e locali, contribuendo a quello che è scritto nel DEF, ossia ad un rilancio dell'economia attraverso opere pubbliche e investimenti sui territori. Siamo in grado di poter supportare il lavoro dei comuni come già accaduto con le stazioni uniche appaltanti, come dicevo prima.
  Da ultimo, faccio un riferimento anche a un'indicazione che vogliamo fornire: le aree vaste possono essere gli ambiti naturali per l'organizzazione e la gestione dei servizi pubblici locali. Anche da questo punto di vista molte riforme sono in corso. Pensiamo al gas, ai servizi idrici, ai rifiuti e ai trasporti pubblici locali. Quella casa dei sindaci che oggi è l'area vasta può diventare il luogo in cui materie di questo tipo possono essere regolate e possono trovare anche delle forme di consultazione.
  Questo è quanto. Ovviamente, anche noi vi abbiamo consegnato un documento, che spero di aver riassunto. L'appello che voglio fare è proprio quello sulle funzioni fondamentali, presidente, perché non credo che questo Paese si possa permettere di lasciare soprattutto le sue scuole e le sue strade nella situazione in cui si trovano attualmente. C'è bisogno delle risorse e ci sono i costi standard. Conoscete tale problematica meglio di noi. Facciamo due conti e andiamo a vedere quello che veramente occorre per assicurare la gestione delle funzioni. Oppure, se vi sono idee diverse, ci piacerebbe essere parte di questo processo anche in vista di ulteriori cambiamenti e non subirlo.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente.
  Do ora la parola all'assessore Garavaglia.

  MASSIMO GARAVAGLIA, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia. Grazie dell'invito. Cercherò di essere sintetico, in modo da guadagnare un po’ di tempo. Svolgerò prima un'analisi della situazione delle regioni a legislazione vigente e poi avanzerò due proposte.
  Per quanto riguarda il DEF, prendiamo atto del quadro generale macroeconomico. Sappiamo che c'è la necessità di fare una manovra di 20 miliardi di euro, sostanzialmente per modificare le norme ed evitare Pag. 66l'aumento dell'IVA. Il grosso della copertura viene dall'aumento del deficit. Si chiama flessibilità, ma di fatto è un extra deficit. Questo è il quadro generale.
  Nell'ambito di questo quadro generale come sono messe le regioni? Abbiamo consegnato un documento, che è stato distribuito. Penso che sia abbastanza interessante. Le regioni sono già in pareggio dal 2015. Mentre lo Stato rinvia di un altro anno, al 2019, il pareggio di bilancio, le regioni sono già in pareggio dal 2015 e, quindi, di fatto non incidono sui parametri di Maastricht per quanto riguarda il nostro Paese.
  Quanti sono i tagli a legislazione vigente in capo alle regioni? Mi riferisco a tutte. Qui sono considerate indistintamente, ordinarie e speciali, perché nella legge di stabilità c'è una quota indistinta. I tagli sono di 4,058 miliardi di euro per il 2016, che diventano 7,213 miliardi per il 2017 e 8,354 per il 2018. Si tratta, quindi, di un contributo significativo del comparto delle regioni al risanamento dei conti pubblici.
  Questo contributo è stato ampliato in maniera abbastanza importante dalla legge di stabilità per il 2016, che ha previsto, rispetto all'ammontare già esistente, un contributo aggiuntivo che vale circa 2,1 miliardi di euro per l'anno in corso, che diventano circa 4 miliardi nel 2017 e circa 5,5 miliardi nel 2018. In una recente intesa raggiunta circa un mese fa, abbiamo sancito con il Governo anche le modalità per adempiere a questi tagli. Pertanto, la partita è chiusa sotto questo aspetto. Il Governo si è portato a casa questo ammontare nei saldi. Penso sia una cosa positiva per il Governo.
  Prima ho detto una cosa non corretta, in realtà. Abbiamo detto che le regioni sono in pareggio dal 2015. In realtà, non siamo in pareggio, ma in avanzo. Il meccanismo è tale per cui le regioni nell'anno in corso realizzano un avanzo di 2,2 miliardi.
  Esemplifico per capirci e faccio l'esempio della regione Lombardia. In teoria, noi avremmo l'entrata del bollo di un miliardo circa. In realtà, non è vero, perché 400 milioni se li porta via lo Stato. Quindi, non è vero che siamo in pareggio. Le regioni sono in avanzo per 2,2 miliardi.
  Si pone, quindi, un problema, che è quello della spesa per investimenti. È già stato accennato dai colleghi dei comuni e delle province. Sostanzialmente chi fa gli investimenti in questo benedetto Paese? Gli investimenti pubblici li fanno gli enti locali. Gli enti locali, però, non sono nella possibilità di fare investimenti, alla luce di questa situazione. È un dato di fatto oggettivo, che vale per i comuni, per quelle che erano prima le province – adesso enti di area vasta – e per le regioni.
  Come pensiamo di uscirne? Qui abbiamo un problema generale, che è quello del debito, e un altro problema, che è quello degli investimenti e della crescita. Sul debito, se andiamo a vedere il DEF è interessante capire anche qual è il contributo alla creazione del debito da parte degli enti locali e da parte dello Stato centrale.
  Mentre lo Stato centrale ha infatti un debito di circa 2.200 miliardi e come sempre vediamo che l'anno dopo il rapporto tra debito e PIL magicamente diminuisce – e tutti gli anni è l'anno dopo, quindi è una storia che si ripete –, andiamo a vedere cosa succede per il comparto degli enti locali.
  Gli enti locali hanno avuto una riduzione del debito effettiva, che è l'unica riduzione del debito che c'è in questo Paese. Abbiamo prodotto una simpatica tabellina, da cui emerge che il debito residuo di regioni ed enti locali, con 56,4 miliardi di euro, è tornato al dato del 2004. Sarebbe come se lo Stato, invece di avere 2.200 miliardi di euro di debito, ne avesse 1.445 miliardi, come nel 2004, e sarebbe bello!
  Sarebbe bello però se si lavorasse in squadra, perché mentre gli enti locali, le regioni, le province e i comuni hanno contribuito a ridurre il debito, lo Stato invece non solo non vi contribuisce, ma anzi lo aumenta e trasla il pareggio di anno in anno, e sempre un anno dopo. Sarebbe bello che questa flessibilità, termine che adesso va di moda, ossia che una quota di questo extra-deficit andasse anche agli enti locali, alle regioni, ai comuni e alle province Pag. 67 per fare spesa di investimento, che è la vera necessità per lo sviluppo del Paese.
  Una seconda questione riguarda la modifica della legge n. 243 del 2012. Per inciso, ho l'onore di non aver votato quella legge perché quando venne fatta avevamo visto subito che presentava un problema: eliminava, cioè, la possibilità di fare investimenti. Banalmente, non esiste un imprenditore che edifica un capannone con il cash flow, non è possibile; allo stesso modo una regione non può realizzare un ponte con il cash flow, il ponte si fa necessariamente facendo un po’ di debito, e se devi fare 20 milioni di investimento mi sembra difficile farlo con il cash flow.
  Questo è quello che sta succedendo: oggi, con la legge n. 243 la spesa di investimento è impossibile. Avendolo sperimentato sulla nostra pelle, perché dal 2015 abbiamo il pareggio di bilancio, possiamo dare un contributo molto importante al sistema per individuare le modifiche utili della legge n. 243, per rendere compatibile questa norma rafforzata di bilancio con la necessità oggettiva di fare un minimo di spesa di investimento. Questa è una cosa positiva.
  Abbiamo evidenziato, in particolare, due temi problematici: da un lato, quello concernente il Fondo pluriennale vincolato, sul quale occorre intervenire, dall'altro, quello relativo all'avanzo vincolato. Come si crea l'avanzo? Non si crea perché uno non ha voglia di spendere, ma per le regioni succede una cosa molto semplice: le erogazioni da parte dei ministeri arrivano a fine dicembre, matematicamente non c'è il tempo di spenderle, e tra l'altro il grosso della spesa di investimento delle regioni non è diretta da parte delle regioni ma è sotto forma di trasferimenti agli enti locali, quindi non servono risorse in capo alla regione in quanto ente, ma in quanto ente regolatore della spesa di investimenti nell'ambito del proprio territorio, per cui anche sull'avanzo sarebbe utile intervenire, perché altrimenti si ha il problema di risorse che arrivano a Natale.
  Ci siamo trovati l'anno scorso a dover chiamare la ragioneria e a riaprire gli uffici per consentire alle province di spendere le risorse, altrimenti sarebbero andate dirette in avanzo, uno spreco pazzesco, e non avrebbero neppure chiuso i bilanci!
  Su queste due questioni, Fondo pluriennale vincolato e avanzo, occorre dunque una modifica ragionata della legge n. 243. Oltretutto, pare che qualche settimana fa sia stato approvato in proposito un testo in Consiglio dei ministri, cercheremo quindi di capire bene cosa c'è scritto e quali siano le eventuali, possibili modifiche atte a renderlo compatibile con la spesa per investimenti. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, assessore Garavaglia. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAINO MARCHI. Vorrei esprimere alcune considerazioni e porre alcune domande. Parto dalle questioni sollevate dall'UPI e, come abbiamo fatto nella legge di stabilità per il 2016, penso che il Parlamento avrà attenzione alle questioni di finanziamento delle funzioni essenziali anche per quanto riguarda il prossimo anno, per il quale c'è comunque una previsione di taglio su cui bisognerà intervenire.
  Sul tema delle sanzioni relative al Patto di stabilità, vi era un impegno del Governo, assunto in sede di esame del decreto-legge cosiddetto «Milleproroghe», ad affrontare tale tema successivamente, quindi ormai giungiamo ai tempi in cui bisognerà affrontarlo. Sulla modifica della legge n. 243 del 2012 ritengo che sarà importante svolgere, quando disporremo del testo, un confronto molto stringente nel corso dell'esame parlamentare anche con le vostre associazioni.
  Si è parlato di finanza derivata, che in questa forma deve essere transitoria. Ci sono anche ipotesi e proposte da parte dell'ANCI su come, in un quadro che presumibilmente non vedrà tornare più la tassa sulla prima casa, accrescere l'autonomia finanziaria e tributaria, in particolar modo quella dei comuni? Credo che anche questo debba essere un tema sul quale porre la nostra attenzione fino in fondo.
  Come Commissioni bilancio abbiamo ricevuto il materiale sui criteri con cui si è Pag. 68andati a identificare il recupero, attraverso i trasferimenti, del mancato gettito per quanto riguarda l'IMU e le modalità con cui viene suddiviso il Fondo di solidarietà comunale. Rispetto a questo primo momento e ai primi dati a disposizione, qual è stata la reazione che avete registrato da parte dei comuni? Per quanto mi riguarda sono reazioni molto diversificate, da chi dice che va bene a chi evidenzia notevoli differenze in negativo rispetto a quanto previsto, ovvero, ad esempio, ai calcoli effettuati per quanto riguarda le agevolazioni, come la riduzione del 50 per cento per i comodati o le locazioni concordate.
  Si è detto, inoltre, che è stata raggiunta l'intesa per quanto riguarda il contributo che, in base alla legge di stabilità per il 2016, le regioni sono chiamate a dare per il 2017 e 2018. Io ho un testo di quell'accordo in cui viene affermato che si parte da una rideterminazione del Fondo sanitario nazionale in aumento come fabbisogno, non più pari a 111 miliardi di euro, ma 113 e poi quasi a 115 nel 2018.
  A partire da ciò, considerando diverse variabili, le regioni entro il mese di marzo avrebbero dovuto avanzare una proposta di riparto, fermo restando che, in assenza di tale proposta, comunque si deve ridurre di 3,5 miliardi – 480 milioni invece derivano da altre modalità – e di 5 miliardi, tenendo conto anche di come viene rideterminato il Fondo sanitario nazionale.
  Nelle parti del DEF relative alla spending review si fa un ragionamento simile, che tuttavia non mi pare uguale, nel senso che non trovo la rideterminazione in quei termini del Fondo sanitario nazionale, anzi da come è scritto sembrerebbe quasi che l'accordo sia che si tagli il Fondo sanitario nazionale, rispetto ai 111 miliardi di euro attuali, di 3,5 miliardi e poi di 5 miliardi.
  Qual è la vostra interpretazione, visto che l'accordo è stato fatto? Quanto è scritto qui corrisponde all'accordo fatto o ci sono dei problemi da affrontare anche con il Ministro Padoan nell'audizione prevista per domani?

  ROCCO PALESE. L'esposizione dei rappresentanti di ANCI, UPI e Conferenza delle regioni è stata sintetica, ma significativa. Mi soffermo in particolare sulla situazione dei comuni. Vorrei capire se l'ANCI, rispetto alla situazione degli investimenti, abbia effettuato un monitoraggio per valutare quante risorse siano bloccate e quanto di tutto questo, soprattutto in riferimento ai comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, costituisca un freno in rapporto alla scadenza dei bilanci.
  Non sono molto favorevole alle proroghe, però ogni giorno cresce questa esigenza, anche perché molti piccoli comuni non hanno il responsabile che se ne occupa. Avete conferma di questa richiesta?
  Quanto alla situazione delle province vado subito alla drammatica situazione in cui versano le scuole. Lei ha assolutamente ragione, andava ampiamente prevista una situazione del genere, però, al di là di questo, essa non viene affrontata. In questo contesto quante aree vaste sono state in grado di provvedere? A noi risulta che, secondo una relazione del Ministero dell'economia e delle finanze, sono 12 le ex province o attuali aree vaste che non sarebbero nelle condizioni finanziarie per poter fare fronte alle spese concernenti le scuole, da quelle per il riscaldamento a quelle per la loro manutenzione. Non abbiamo notizie precise sulle strade, però questo numero mi sembra esiguo, vorrei quindi capire se esso corrisponda o meno alla realtà.
  Sulla situazione delle regioni mi riferisco solo al problema che riguarda i fondi comunitari, in particolare per le regioni dell'Obiettivo 1, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. Da informazioni assunte a livello centrale, rispetto alle previsioni contenute nella legge di stabilità e alla necessità di fare un monitoraggio della disponibilità delle risorse da riprogrammare dei cicli 2007-2013 e 2014-2020, da utilizzare per la decontribuzione dei nuovi assunti a partire dal 2017, si assiste ad uno scaricabarile tra l'Agenzia per la coesione territoriale e le regioni.
  Al di là del fatto che sul ciclo 2014-2020 non c'è un euro speso e c'è lo step di fine anno, per cui rischiamo di nuovo il definanziamento come sul 2007-2013, si tratta di un problema risolto, considerato che nel Pag. 69DEF non abbiamo un'indicazione precisa da questo punto di vista? In riferimento al cofinanziamento nazionale rispetto alla parte che riguarda gli assessorati e le strutture amministrative di bilancio, nel contesto della clausola di flessibilità per gli investimenti, a voi risulta che abbiano inserito quella quota rispetto al Patto di stabilità?
  Il DEF ha cancellato il Mezzogiorno, che non esiste come problema, affronta sì il problema degli investimenti e dei fondi strutturali, che ormai, invece di essere aggiuntivi, sono totalmente sostitutivi, ma del resto non se ne parla. Noto anche un sostanziale silenzio da parte delle regioni, è così?

  MAGDA ANGELA ZANONI. Farò solo due battute, anche se gli stimoli alla discussione sono davvero tanti. Leggo testualmente: «l'ANCI giudica positivamente l'attenzione del Governo per il superamento del criterio della spesa storica in favore dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard di ciascun comune».
  In questi giorni ho elaborato i dati del Fondo di solidarietà comunale e mi chiedo se l'ANCI abbia tenuto presente che gli effetti del sistema concordato portano sostanzialmente al mantenimento fra quanto devoluto per la formazione del Fondo di solidarietà comunale e quanto invece torna indietro in termini di perequazione, il che porta a una sostanziale parità per le grandi città, almeno a campione, a un aumentato gettito di ritorno per i comuni piccoli, tranne quelli ad alta vocazione turistica, mentre tutti i comuni della fascia intermedia con 20-50.000 abitanti sono piuttosto massacrati, alcuni davvero massacrati in quanto la quota richiesta è rilevante.
  Credo che un ragionamento su questo vada fatto, tenendo presente anche l'altro aspetto che avete giustamente messo sul tappeto, ma che deve essere ripreso fortemente e in tempi rapidi, perché così questo criterio non può funzionare per la finanza derivata. E’ chiaro infatti che, se l'IMU sulla prima casa e la TASI non ritornano ad essere di competenza dei comuni e verranno cancellate per sempre come i cittadini sperano, il sistema non può più essere all'aliquota storica di quel comune, cioè il ristoro di quest'anno, che non solo copre, ma fa anche di più perché abbiamo messo anche gli 80 milioni in più, non potrà più essere distribuito nella stessa misura.
  L'ammontare potrà quindi essere lo stesso, ma non redistribuito fra i comuni nella stessa maniera. Ciò richiede un ripensamento della legge n. 42 del 2009, che non prevedeva questo sistema di perequazione, in cui il Fondo di solidarietà comunale è costituito dai comuni e la redistribuzione avviene fra i comuni. La citata legge n. 42 prevedeva un sistema in cui la perequazione era a carico dello Stato, quindi un sistema molto diverso che quest'anno dobbiamo assolutamente assumerci il compito di affrontare.
  Infine, solo una battuta brevissima sul tema della liquidità, che rappresenta sempre un problema. Credo che quest'anno per il Fondo di solidarietà comunale, definito a marzo con la distribuzione e con il versamento entro il 16 gennaio della prima tranche e ad ottobre della seconda, ci sia stato un grosso passo avanti, e ringrazio i comuni che hanno fatto i bilanci entro aprile, perché credo che sia un loro dovere, ma anche un loro diritto, non farli più avanti nel tempo, anzi l'obiettivo per il prossimo anno sarà quello di tornare a farli entro febbraio e qualcuno entro dicembre.

  ANTONIO D'ALÌ. Presidente, sia pure in maniera molto sintetica debbo anche in questa audizione notare come nessuno dei soggetti che vengono auditi discuta delle politiche del Mezzogiorno, e come ancora una volta si registri un'assenza assoluta da parte di tutti i rappresentanti istituzionali su questo tema. Come sappiamo, il divario tra il Nord e il Sud del Paese aumenta sempre, ma nessuno pone l'accento sulla questione che questo DEF tutto fa tranne che intervenire su queste politiche.
  Detto questo, mi riallaccio a quanto ha detto la senatrice Zanoni per quanto riguarda i comuni, i costi standard e i trasferimenti. Vorrei conoscere l'opinione dell'ANCI, anche se so che stenta ad accettare questo tipo di soluzione, e sapere perché non si valuti che in tutte le ristrutturazioni Pag. 70finanziare e di carattere industriale ci sono profonde modifiche degli assetti. Noi pensiamo di applicare il passaggio dalla spesa storica ai costi standard senza consentire ai territori di riorganizzarsi? Ancora pensiamo di fare questo lavoro su 8.200 comuni in 21 regioni, e lasciamo perdere per il momento le 103 province? Al rappresentante delle province dico solamente che, quando ne parla con i senatori, parla di corda in casa dell'impiccato, dal punto di vista dell'abolizione dell'istituzione.
  Pensiamo veramente che il nostro Paese possa affrontare tutte queste ristrutturazioni dell'impostazione finanziaria senza pensare all'infrastruttura di base? Diversamente credo che, come diceva la senatrice Zanoni, tali questioni recheranno un danno a una larghissima parte dei comuni, quindi vorrei che cominciassimo a pensare seriamente a una ristrutturazione del posizionamento delle amministrazioni sul territorio.
  L'area vasta di cui parlava il presidente Rinaldi è ormai il grande comune, dobbiamo andare in quella direzione. Non possiamo più pensare che ci siano comuni limitrofi che svolgono i loro servizi attraverso le unioni, però come lei sa, presidente, all'inizio quando furono immaginate le unioni dei comuni la norma era transitoria e prevedeva poi la fusione, ma in seguito la fusione fu eliminata perché i comuni facevano resistenza ad andare sulle unioni in ragione della cosiddetta identità culturale, che però è ben altra cosa rispetto all'efficienza amministrativa e la si può difendere molto meglio nell'ambito di una grande realtà finanziaria piuttosto che con le scarse risorse delle piccole realtà.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli auditi per delle rapide repliche, cominciando con il rappresentante dell'ANCI.

  GUIDO CASTELLI, delegato per la finanza locale dell'ANCI e sindaco di Ascoli Piceno. Il dottor Ferri, che è il nostro direttore scientifico, potrà rispondere sul piano dell'effettivo ristoro della TASI e per quanto riguarda gli effetti dello sblocco degli investimenti. Visto che si è parlato anche di questo ritorno della finanza derivata, vorrei evidenziare che i comuni sono usciti malconci da questi anni. Massimo Bordignon ha parlato di «leggi finanziarie di guerra», perché sappiamo qual è stato il contributo e lo stress indotto da queste normative.
  C'è un aspetto che la senatrice Zanoni ricordava, quello del ritorno alla finanza derivata secondo metodiche che sicuramente confliggono e disconoscono il principio dell'autonomia, perché io ad Ascoli Piceno ho ricevuto un ristoro molto minore del mio vicino di casa semplicemente perché mi era venuto in mente di tenere basse le tasse, non l'avessi mai fatto!
  È un tema che è assolutamente necessario superare, ma il punto è che lo Stato entra in termini di finanza derivata in questo tema del ristoro della TASI mentre ne fuoriesce con i meccanismi di perequazione.
  Da due anni la perequazione tra i comuni è totalmente orizzontale, più una quota regalata allo Stato, quindi dobbiamo avviare una serie di seminari tecnici per ridefinire un approccio sistemico ed organico al tema dell'autonomia, perché si crea una miscela velenosa in cui il pareggio di bilancio e la competenza esclusiva in materia di coordinamento della finanza pubblica alla luce della nuova riforma costituzionale segnano un ritorno così pressante al centralismo in tema di spesa pubblica locale da far ritenere che il nostro ordinamento, che era stato concepito in maniera policentrica e in cui l'organizzazione dello Stato era articolata su più livelli, sia stato completamente obliterato.
  Per uscirne è necessario fermare le bocce ed evitare che, sotto la contingenza e l'urto di singole vicende, si possa assistere, come è accaduto in quattro anni, a 43 modifiche della disciplina in materia di tassazione immobiliare. Questo è il tema, ovvero la grande questione nazionale del ritorno a una configurazione ordinata e tendenzialmente stabile del contributo delle autonomie al sistema Paese, ma sui due temi, che richiedono puntualità anche in termini numerici, vorrei che intervenisse ora il dottor Andrea Ferri.

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  ANDREA FERRI, responsabile area finanza locale e catasto dell'ANCI. Sulla questione del Fondo di solidarietà partiamo dall'aspetto più spinoso, quello della perequazione, perché la questione dei ristori si troverà invece un modo di risolverla.
  La senatrice Zanoni ha giustamente rimarcato la prima frase, secondo cui l'ANCI non è contraria, anzi sostiene la scelta di pervenire al superamento della spesa storica. Anche l'ultima frase è però importante e in mezzo c'è un piccolo ragionamento, che spero fortemente sia amplificato a livello parlamentare nelle prossime settimane e mesi, che è quello di pervenire a uno schema condiviso e stabile, che si possa sostenere a regime, in materia di perequazione delle risorse.
  Il tema importantissimo – né siamo certo noi a sminuirlo, anche se non lo abbiamo citato nella presente sede – è che effettivamente c'è stata una inversione rispetto alle previsioni della legge n. 42 del 2009, rispetto alla quale siamo a chiedere ulteriori risorse. Come diceva giustamente il sindaco Castelli, usciamo da un periodo di stravolgimenti della finanza locale in termini di sacri principi, di risorse disponibili e ci permettiamo di sottolineare una piccola soddisfazione, ovvero che si sia superato il Patto di stabilità e si siano arrestati i tagli.
  Forse questo non soddisfa tutti, in primo luogo nel nostro campo, ma certamente è un punto di riferimento, perché l'anno scorso c'era ancora incertezza sul DEF 2015 in relazione al triennio, su come funzionavano quei tagli che erano molto pesanti, ma a leggere bene a pagina 100 del DEF 2015 non erano poi effettivamente ripetuti.
  Ci permettiamo quindi di sottolineare questo. Sulla perequazione bisogna assolutamente arrivare a uno schema condiviso. Noi siamo parzialmente soddisfatti del fatto che quest'anno un pezzo di mitigazione della perequazione – che colpisce particolarmente, per motivi tecnici, i comuni piccoli e ricchi di base imponibile, a vocazione turistica, poiché questo è il target prediletto della penalizzazione della perequazione nell'attuale formula – pari a circa il 50 per cento di quel lavoro di mitigazione fatto con i 29 milioni aggiuntivi una tantum del decreto-legge n. 78 del 2015, sia incorporato strutturalmente nello schema perequativo.
  Sembrava di andare contro dei sacri dogmi a dire che la perequazione andava discussa negli effetti, non nella bellezza della formula, perché la perequazione è un fatto politico, non un fatto tecnico, e bisogna discutere se sia naturale che ci siano comuni che prendono più di 16 euro per abitante attraverso un 20 per cento di riequilibrio, come non succede più con questo piccolo correttivo che abbiamo introdotto in via strutturale, e se sia naturale che a regime l'anno scorso il 50 per cento delle risorse di base venisse decurtato a certi comuni piccoli e ricchi, fortemente dotati di base imponibile immobiliare.
  Forse il 50 per cento, anche per quel tipo di comuni, non è una cosa giusta. Una simile questione va posta all'attenzione degli scienziati, dei tecnici che oggi se ne occupano. L'abbiamo visto nell'accordo del 24 marzo e abbiamo la possibilità di discuterne nella Commissione tecnica per i fabbisogni standard, che qualcuno potrebbe sostenere sia poca cosa perché è sempre tra tecnici, mentre è un viatico per dargli una struttura che non è una dialettica tra ANCI e qualcun altro, ma un viatico per poterne discutere presso la competente Commissione bicamerale, che è la cosa giusta da fare, perché nessuno ha ancora fatto quel lavoro sullo schema perequativo.
  Per quel che concerne le reazioni sul Fondo di solidarietà comunale, intanto c'è da sottolineare che siamo arrivati in un tempo compatibile con i termini fissi della formazione dei bilanci. Il fatto che siano fissi è un problema ed è molto sentita la difficoltà di convergere su due documenti molto complessi, perché il consuntivo di quest'anno non è analogo a quello dell'anno scorso. È il primo consuntivo dell'armonizzazione dei bilanci, quindi abbiamo 16-20.000 persone che lavorano sul bilancio, non ci sono 30 o 100 uffici di ragioneria, ma c'è una moltitudine di persone che devono comprendere i criteri, Pag. 72nuovi e non semplici, da calare nella realtà, che ancora oggi, in fase di attuazione, creano la necessità di modifiche con la Commissione Arconet, strumenti giusti e faticosi che abbiamo adottato e hanno ancora necessità di messa a punto. Pertanto registriamo un'insofferenza notevole rispetto a questa convergenza di due scadenze, che non è mai avvenuta a mia memoria.
  Mi occupo da tanto tempo di finanza locale, e non ho controllato bene, ma lo stesso termine per il consuntivo precedente e per il preventivo non succedeva nemmeno negli anni Ottanta, a quanto riesco a ricordare. Questa è una realtà e noi non siamo nelle condizioni di chiedere un rinvio dei bilanci, né abbiamo il mandato politico per farlo, anzi ci siamo impegnati per rendere possibile questo termine.
  Tuttavia, è assolutamente augurabile – io spero che ci sia anche una sollecitazione parlamentare in questo senso – che il Ministero dell'interno abbia la contezza di una consapevolezza, anche politica, dei diversi soggetti impegnati nei territori e in Parlamento rispetto al fatto che bisogna dare un tempo di attuazione più «dolce» nel caso in cui non si concluda il processo, come accadrà per molti comuni, entro la mezzanotte del 30 aprile.
  È necessario che le ipotesi di diffida, scioglimento, intervento in surroga dei prefetti e via elencando avvengano con un tempo dilatato.
  Sulla questione dei ristori notiamo le situazioni più variegate. Tutti i ristori sono stime, perfino quello relativo all'abitazione principale, che appare quello più semplice, perché sembrerebbe che basta leggerlo sugli F24. Non è assolutamente così.
  Noi abbiamo, anzi, depositato una memoria il 24 marzo, dicendo che non siamo d'accordo sul modo con cui hanno definito il ristoro più semplice, che è quello dell'abitazione principale.
  Abbiamo dimostrato che per la TASI e per l'IMU nel 2014 e nel 2012, che sono i due anni osservabili, c'è almeno l'1 per cento su scala nazionale – il che vuol dire comuni con il 2 per cento e comuni con lo zero, perché i comuni sono tanti – di gettito dell'anno passato che si rivela senza accertamenti, solo per il tardivo e spontaneo adeguamento, ovvero il ravvedimento tardivo, oltre il mese di marzo dell'anno successivo, ossia nei dodici mesi successivi al marzo successivo all'anno di riferimento, vale a dire dal marzo 2016 al marzo 2017.
  Di questo andava tenuto conto già in quel momento e vogliamo che se ne tenga conto nel secondo riparto. Infatti, tutti i riparti saranno soggetti a vaglio, anche sulla base delle contestazioni dei comuni, perché sono stati trattenuti 75 milioni, che sono il 2 per cento di quello che è stato dato, una cifra congrua.
  Sarebbe stato meglio cercare di fare le cose al primo colpo, ma – lo ripeto – tutti questi riparti non possono che essere stime. Noi siamo dunque impegnati a concludere questo secondo giro di riparti entro il mese di luglio, che è ancora una situazione compatibile con lo svolgimento dei bilanci.

  GIUSEPPE RINALDI, presidente dell'UPI Lazio e presidente della provincia di Rieti. Sarò velocissimo. Per rispondere all'onorevole Palese, noi non abbiamo contezza precisa di questo dato sul taglio alle scuole, perché non abbiamo ricevuto né il dettaglio del taglio di 646 milioni di euro né quello del contributo di 245 milioni di euro.
  Le possiamo riportare un'esperienza di vita: le risorse destinate alla gestione ordinaria delle scuole e delle strade sono totalmente insufficienti. Credo che anche voi frequentiate i territori. Basta guardare la manutenzione delle strade che sono rimaste alle province, che versano in grandissime difficoltà.
  Chiudo con un appello accorato. Il deputato Marchi affermava che troveremo nella legge di stabilità, come è stato nel passato, le forme e i modi perché queste esigenze, che abbiamo già condiviso, ritrovino spazio. A noi piacerebbe che già nella risoluzione del Parlamento sul DEF 2016 trovassimo il modo di inserire un paio di righe su questo aspetto, cioè il finanziamento delle funzioni fondamentali che ci ha lasciato la legge Delrio.
  Come diceva il senatore D'Alì, rispetto alla questione delle gestioni associate, delle unioni e quant'altro, è chiaro che il ragionamento Pag. 73 va rimesso tutto in fila, anche con le aree vaste, insieme alle leggi di settore che le stesse regioni, in recepimento della legge n. 56 del 2014, stanno adottando.

  MASSIMO GARAVAGLIA, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia. Sarò telegrafico e poi lascerò la parola alla collega D'Alessio sulla questione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) e dei fondi comunitari.
  Per inciso, noi trattiamo la questione Nord-Sud nell'ambito delle regioni unitariamente, quindi non c'è una distinzione. Il nostro è un lavoro sempre e comunque unitario.
  L'onorevole Marchi poneva una domanda relativa all'esplosione dei tagli venturi sul Fondo sanitario. Come si coprono questi tagli? Di fatto si coprono, da un lato, con una minor crescita del Fondo sanitario rispetto alle previsioni a legislazione vigente. Questa è una quota.
  Per capirci, è un po’ come è avvenuto per le tasse da parte del Governo. Il Governo ha ridotto le tasse rispetto alla legislazione vigente, mentre in valore assoluto aumentano di 12,1 miliardi. In altre parole, aumentano le tasse in valore assoluto, ma meno di quello che era previsto a legislazione vigente.
  In questo contesto vale lo stesso ragionamento. Rispetto alla previsione, per il Fondo sanitario è prevista una crescita inferiore in relazione al PIL e a tutti i parametri.
  Ciò comporta che una quota di questi tagli è assorbita nell'ambito del bilancio sanitario. Cito l'esempio del 2016 nella regione Lombardia, che conosco bene. Il Fondo sanitario aumenta? In valore assoluto sì, in quanto ci sono 199 milioni di euro in più. Tuttavia, i costi aggiuntivi sono, allo stato delle cose, 310 milioni di euro: vaccini, nuovi LEA, mancato pay back, farmaci innovativi e via dicendo. Di conseguenza, dobbiamo trovare 110 milioni di euro nell'ambito del bilancio. Questa è una parte.
  L'altra parte è assorbita nell'ambito del bilancio normale ed è una parte considerevole. Ai 2,2 miliardi di avanzo – non di pareggio – di quest'anno si sommano, per esempio, i previsti risparmi delle centrali di acquisto, per un ammontare di 480 milioni di euro a regime. Ma i risparmi derivanti dal ricorso alle centrali di acquisto si avranno fra due o tre anni; non è vero che nell'immediato giri la chiave e risparmi. Quelli vengono assorbiti a bilancio. Anche i costi dell'accollo del personale e delle funzioni delle province vengono assorbiti a bilancio.
  Dunque, una quota parte viene assorbita da una crescita inferiore rispetto a quello che è previsto a legislazione vigente, una quota parte nell'ambito del bilancio sanitario e una quota parte, sebbene cospicua, nell'ambito del bilancio normale.
  Prima i rappresentanti dell'ANCI hanno citato il dato di 16 euro pro capite. Nel mio piccolo comune 16 euro pro capite è il totale di quanto arriva, quindi c'è qualche problema nella distribuzione.

  MAINO MARCHI. Quello che c'è nel DEF corrisponde con l'accordo?

  MASSIMO GARAVAGLIA, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia. Sì, corrisponde con l'accordo, perché prevede appunto questa esplosione: quota parte, quota parte, quota parte. Lascio la parola a Lidia D'Alessio.

  LIDIA D'ALESSIO, assessore al bilancio della regione Campania. Faccio due piccole considerazioni. Sicuramente manca una politica del Mezzogiorno. Per quanto, come diceva Garavaglia, le regioni sono considerate tutte alla pari all'interno della Commissione, la mancanza di una politica del Mezzogiorno comporta che, se un malato viene considerato sano, evidentemente è come se gli si togliesse anche la possibilità di sanarsi.
  Una politica del Mezzogiorno, se ci fosse – e dovrebbe esserci – dovrebbe essere tale per cui entro un termine definito si esce dalla situazione di patologia, il che significherebbe Pag. 74 evidentemente mettersi alla pari. Tutto ciò non è previsto.
  Tolto il problema della politica del Mezzogiorno, che sicuramente è fondamentale, per quanto riguarda i fondi europei, diciamoci la verità: poiché le regioni debbono mantenere un equilibrio continuo, cosa che non è definita soltanto a consuntivazione, ma continuamente nelle movimentazioni, e addirittura da quest'anno devono fare l'avanzo, perché evidentemente devono coprire certi saldi definiti che bisogna dare allo Stato, i fondi europei rappresentano l'unica risorsa per gli investimenti.
  Da questo punto di vista, a noi è molto chiaro che solo i fondi europei possono consentire alla regione di soddisfare forse – non è neppure detto – le funzioni fondamentali e istituzionali, perché non ci sono altri soldi.
  Nella mia regione, la Campania, che appartiene chiaramente al Mezzogiorno e inoltre non gode di ottima salute, stiamo investendo, stiamo lavorando e stiamo accelerando la spesa per sviluppare queste politiche e per riuscire a utilizzare i fondi.
  Tuttavia, da parte sua la regione, che in questo caso non ha potuto mettere in bilancio anche la quota di competenza per i fondi, perché non erano ancora definiti e non erano ancora stati pienamente accettati a livello europeo, accanto all'avanzo che deve ridare allo Stato deve mettere anche tale quota di competenza.
  Noi riusciamo a mantenere la quota di competenza e a mantenere sempre altri impegni e sacrifici che si fanno nei confronti dei servizi ai cittadini, ma chiaramente la patologia del malato diventa molto più grave rispetto a prima.
  Detto questo, c'è un punto fondamentale su cui bisogna riflettere e su cui chiediamo anche la vostra attenzione: vogliamo che il governo dei fondi strutturali europei, che sono l'unico ossigeno rimasto, resti alle regioni, perché noi abbiamo la capacità e la possibilità di vedere qual è il programma che riesce a proseguire meglio e quello che ci riesce meno, come muoverci per realizzarli e come assicurare, non dico lo sviluppo, ma perlomeno la possibilità di garantire i servizi.
  Se lo Stato volesse procedere nel centralizzare la gestione di questi fondi, sarebbe un colpo esiziale.
  Uno dei tentativi, di cui abbiamo discusso anche nelle commissioni della Conferenza delle regioni, è quello di darci dei tetti di utilizzazione dei fondi e di far sì che questi siano da noi rispettati, consentendo però che il governo di questi fondi sia mantenuto in capo alle regioni. Altrimenti, nemmeno questa sarebbe più una risorsa disponibile per qualcosa.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il loro contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  Chiediamo scusa del ritardo. Do subito la parola al segretario confederale della CGIL, Danilo Barbi.

  DANILO BARBI, segretario confederale CGIL. Ringrazio i componenti delle Commissioni presenti e i loro presidenti.
  Ovviamente abbiamo presentato dei documenti. Se dovessimo dare un titolo alla nostra valutazione sul piano generale, sarebbe il seguente: purtroppo l'Italia non è ripartita, però la politica economica proposta è rimasta la stessa. Questo è il nostro giudizio sommario.
  Non è ripartita nel senso che il Paese è ancora in una condizione sociale di profonda difficoltà, abbiamo ancora 1,6 milioni di posti di lavoro persi dall'inizio della crisi e nel Paese è raddoppiato il numero delle persone definite in stato di povertà.
  L'ISTAT ci comunica due dati molto particolari. Il 2015 è stato un anno nel quale – da decenni non succedeva – gli Pag. 75emigrati hanno superato gli immigrati, come flusso, non come stock. Inoltre, per la prima volta dal dopoguerra, nel 2015 la speranza di vita alla nascita è diminuita. Il divario tra il Mezzogiorno e il resto del Paese sta diventando cronico nei fattori strutturali di sviluppo.
  Questi sono i tratti di una crisi sociale profonda, eppure sostanzialmente la strategia economica del Governo è di continuità con le politiche di consolidamento fiscale, a scapito di ogni ipotesi di politica espansiva.
  Lo stesso Governo di fatto riconosce l'impossibilità di raggiungere i precedenti obiettivi di crescita.
  Per noi le previsioni rimangono, seppur ridimensionate, ancora troppo ottimistiche per questa politica economica. Invece, in termini generali, rimangono poco ambiziose rispetto ai problemi del Paese, che richiederebbero una svolta e una politica di discontinuità.
  Vorremmo, in particolare, citare un dato. Il Governo calcola che la spinta alle esportazioni su cui contava per il 2016, che era prevista al 3,9 per cento, è fortemente ridimensionata all'1,6 per cento.
  Vorrei ricordare a queste Commissioni che proprio nella discussione del DEF dell'anno precedente ponemmo questo tema, dicendo apertamente che il Governo sottostimava la deflazione nel Paese e sovradimensionava le esportazioni, che avrebbero patito nella seconda metà del 2015 una situazione anticiclica, dovuta anche alla stessa politica europea.
  Infatti, se non c'è sostegno alla domanda, le politiche della BCE svalutano l'euro. A questa svalutazione hanno reagito la Cina e da ultimo gli Stati Uniti, che hanno rallentato l'aumento dei tassi di sconto già indicati.
  Pertanto, era del tutto evidente che la situazione internazionale si sarebbe compromessa, anche per le scelte che sta compiendo l'Europa. Avemmo modo di dirlo un anno fa in questa sede. Sia da un lato che dall'altro, mi sembra che le cose purtroppo abbiano confermato le nostre preoccupazioni.
  Il Governo, quindi, programma il sostegno della crescita più sulla domanda interna, ma anche in quest'ambito, secondo noi, siamo in una situazione assolutamente non confortante.
  C'è stato un moderato aumento, pari allo 0,5 per cento, dei consumi interni, ma non è difficile prevedere che la spinta dei consumi si indebolirà durante il 2016, perché c'è una limitazione dei consumi, in termini sia di quantità sia di qualità.
  La limitazione in termini di quantità è dovuta al fatto che l'aumento deriva da alcune politiche. Sicuramente la questione degli 80 euro ha inciso. Peraltro, alcuni contratti si sono rinnovati.
  Tuttavia, non è un caso che il Governo non preveda una politica di sostegno alla definizione dei contratti, a partire da quelli del pubblico impiego, ma anche di altri contratti del privato. Non c'è una politica per fare i contratti e aumentare i salari.
  Questa limitazione quantitativa della ripresa dei consumi c'è tutta, ma anche quella qualitativa chiarisce le cose. L'attuale aumento dei consumi sta avvenendo sulla spinta della deflazione e, quindi, è selettivo, non è generalizzato e riguarda soprattutto beni di consumo strumentali e di sostituzione, a partire dalle aziende automobilistiche e dal consumo di automobili. Non ha comunque la caratteristica di una ripresa generalizzata dei consumi, non è strutturale e, per questo, non avrà evidenti effetti moltiplicativi. Questa è la nostra valutazione.
  Rispetto agli investimenti, il Governo afferma che dovrebbero aumentare improvvisamente del 2,2 per cento. A nostro avviso, non si capisce perché, considerato che nell'anno attuale l'aumento è stato solo dello 0,8 per cento a consuntivo.
  Come sapete, noi pensiamo che occorra invece una strada diversa per rilanciare gli investimenti di qualità e anche una politica di aumento dei diritti del lavoro, come noi proponiamo con la Carta dei diritti universali.
  Per concludere, senza un intervento pubblico diretto che aumenti strutturalmente la domanda, non cresceranno significativamente Pag. 76 gli investimenti privati. Questo per noi è il punto sostanziale della questione.
  Viceversa, la politica continua a programmare per i prossimi anni una riduzione della spesa pubblica, anche nella sanità, che verrà portata programmaticamente dal 50,5 al 46,7 per cento, con un tasso di disoccupazione che si considera stabile nel 2016 e con un obiettivo massimo del 10,8 per cento. Stiamo parlando di un tasso generale di disoccupazione che, con la legge Fornero e con il suo tasso di sostituzione, si tradurrà in un tasso di disoccupazione giovanile intorno al 40 per cento.
  Come voi sapete, CGIL, CISL e UIL chiedono di modificare la legge Fornero, a partire dalla flessibilità in uscita e dalle maggiori garanzie del rendimento futuro delle pensioni.
  Le attuali politiche per l'occupazione non stanno dando risultati adeguati. L'aumento reale sul 2015 è stato di 100.000 occupati aggiuntivi, fra dipendenti e indipendenti. Il costo per le entrate dello Stato è stato per noi molto significativo.
  I limiti della questione sono questi. Faccio le ultime due battute. Manca una politica fiscale diversa sulle entrate né si aggredisce la questione dell'evasione fiscale.
  C'è una proposta che ormai circola molto, che non è quella della fattura fiscale, bensì quella relativa alla comunicazione all'Agenzia delle entrate di tutto il traffico IVA da parte delle aziende, attraverso una semplice app che potrebbe essere scaricata sugli smartphone.
  Ciò potrebbe ridurre fortemente l'evasione, per esempio, di una tassa come l'IVA, che rimane molto esposta alla questione che riguarda le clausole di salvaguardia, rispetto alle quali nel DEF non è chiaro cosa si voglia fare. Infatti, c'è un riferimento generico alla possibilità di superarle con una riforma delle aliquote, cosa che per noi sarebbe davvero molto delicata.
  Nel testo consegnato vi sono altre osservazioni che riguardano il lavoro pubblico, la spesa sociale, le infrastrutture. Qui mi rimetto al giudizio generale e concludo con una questione – che riprendo di nuovo e che costituisce un patrimonio largamente unitario – che riguarda il fatto che nel DEF viene adombrato un intervento che sembra volere entrare nella definizione del rapporto tra contratti nazionali e contratti aziendali per legge.
  Se fosse così, questo non potrebbe che trovare la più netta opposizione da parte del sindacato confederale, anche perché pensiamo che un processo di questo tipo dentro la contrattazione si possa e si debba fare. Nel documento unitario di riforma delle relazioni industriali di CGIL, CISL e UIL, indichiamo anche la strada di un trasferimento al secondo livello delle parti normative dei contratti, ma altro è farlo all'interno di un rapporto tra le parti e dentro lo scambio con aumenti salariali, altro che lo faccia il Governo per tutti quanti in formula direttamente legislativa, che sarebbe per noi un'intromissione inaccettabile nelle politiche libere delle parti.
  Anch'essa, però, e ho veramente concluso, è organica, purtroppo, con una serie di orientamenti. Alla fine, anche dal punto di vista macroeconomico, il Governo prevede una riduzione dei salari reali nel medio periodo e non fa nessunissima discussione sul tema della produttività del capitale. In questo Paese, sembra che la produttività riguardi solo i lavoratori. Ed è abbastanza singolare, in un Paese normale, che non si parli mai della produttività del capitale, dell'investimento privato in tecnologia, bassissimo nel nostro Paese, polarizzato solo su una gamma di medie imprese e pochissimo distribuito, senza una politica pubblica, per la politica industriale, per la politica del settore, per il Mezzogiorno.
  In conclusione, il DEF è impostato ancora in questo modo, si rimette a una ripresa di mercato che ormai è del tutto evidente che non c'è. Rimettendosi in questo modo, si consegna sostanzialmente a una politica di stagnazione, ma se un Paese che per noi ha ancora una grande crisi sociale rimane in stagnazione, rimane messo male.

  PRESIDENTE. Ringraziamo Danilo Barbi.
  Do la parola a Maurizio Petriccioli, segretario confederale della CISL.

Pag. 77

  MAURIZIO PETRICCIOLI, segretario confederale CISL, responsabile dipartimento democrazia economica, fisco e previdenza. Grazie, presidente. Anch'io inizio dicendo che abbiamo consegnato una nota analitica completa con le nostre valutazioni sui contenuti proposti nel DEF e nel PNR. L'intervento, quindi, intende solamente dare conto di alcune indicazioni più generali.
  Lo faccio, prima di tutto, dicendo che, così come abbiamo già avuto modo di dire come impostazione generale sui documenti relativi al DEF del 2014 e del 2015, è evidente che continuiamo anche in questo ad apprezzare un'ispirazione espansiva che ha caratterizzato gli ultimi documenti e anche questo. Tale ispirazione espansiva trova, in realtà, i suoi limiti all'interno dei vincoli previsti a livello europeo. Non dire questo è, ovviamente, negare un'evidenza che compromette un po’ i margini di azione che il Governo del nostro Paese ha.
  È evidente che sosteniamo le richieste che il Governo farà a livello europeo per avere il massimo di flessibilità in questa direzione, ma diciamo anche e spingiamo avanti il Governo a mettere in campo una coraggiosa azione per arrivare davvero a rivedere le regole del Patto di stabilità a livello europeo. Da lì dobbiamo passare per poter dare una chance di crescita al nostro Paese.
  Insieme alla nota sul DEF, abbiamo presentato unitariamente con i colleghi anche la nota sugli interventi per la contrattazione, che vi prego di leggere con attenzione, mentre con un intervento di carattere più generale metterò a fuoco quattro punti. Il primo è sicuramente legato alle politiche fiscali. Noi immaginiamo che la lettura del DEF non determini complessivamente quelle che saranno le proposte che poi entreranno all'interno della legge di stabilità.
  Certamente ne fa il quadro, certamente fa il corollario delle politiche macroeconomiche, certamente vediamo anche noi i limiti di un deficit programmatico per il 2017 all'1,8 a fronte dell'1,1 per cento previsto, che potrebbe sviluppare dei margini davvero corti per poter fare delle politiche di crescita e di sviluppo. Forse non ci sarebbero nemmeno le risorse per sterilizzare le clausole di salvaguardia in quegli 11 miliardi, quindi è evidente che ci sono problemi. Intendiamo, però, comunque segnalare alle Commissioni e alla presidenza la necessità, come primo intervento, di agire sulle politiche fiscali per migliorare i consumi.
  Il DEF lo dice, questo. Forse lo diceva meno in passato. Il tema è di agire soprattutto con politiche di maggiore attenzione alla domanda aggregata, quindi ai consumi e agli investimenti. Sui consumi pensiamo che si possa e si debba agire sul versante fiscale. Questo è possibile. Ci sono varie ipotesi. Noi pensiamo che si possa completare il percorso di equiparazione della no tax area tra dipendenti e pensionati, che ci sia la possibilità di intervenire con una riforma strutturale, seppur gradualmente, sull'IRPEF anticipandola rispetto al 2018, che ci sia la possibilità di intervenire estendendo il bonus degli 80 euro, per esempio alla platea dei pensionati.
  Vengo a un'ultima riflessione sul tema fiscale. L'annunciata intenzione di accelerare il percorso di riorganizzazione delle tax expenditure è sicuramente positivo e lo chiediamo da tempo. Si tratta poi di capire, e qua non lo capiamo fino in fondo, se questo risultato determina un fattore positivo in termini di minore spesa o se, invece, si intende fare una politica per questa via per contribuire a realizzare una migliore qualità e specializzazione, per esempio del nostro sistema produttivo. Parlo, cioè, delle agevolazioni fiscali, di migliorarle, ma legandole a un'idea che possa incentivare la crescita.
  Quanto al secondo asse, concernente la questione dell'efficienza e della competitività, diamo atto che si è lavorato, anche nell'ultima legge di stabilità, e si è agito su fattori – ne parla anche il DEF – che intendono contribuire a migliorare la produttività. Il collega della CGIL diceva prima una cosa giusta. Purtroppo, l'analisi andrebbe ulteriormente sviluppata, ma qui non c'è il tempo. La produttività andrebbe vista in termini certamente di produttività ora-lavoro, ma andrebbe anche capito se in una situazione come quella attuale, con la Pag. 78finanziarizzazione dell'economia, nel nostro Paese c'è effettivamente un interesse a investire. Questo forse ci farebbe capire tante cose, se i margini di investimento sono più alti in questo Paese o in altri Paesi, allora forse si capirebbero molte cose di più.
  Come dicevo, diamo atto al Governo di avere fatto un'operazione importante, con il ripristino delle agevolazioni fiscali sui premi di risultato. Chiediamo che ci sia la possibilità di implementare i 2.000 euro oggi previsti come premio massimo che è possibile defiscalizzare, e magari – perché no? – di aumentare anche i settori per i quali è prevista quest'opportunità. Penso al pubblico impiego e a come, viste le riforme intervenute, finalmente dotarlo di strumenti come questo e aprire un percorso di contrattazione anche a livello aziendale e territoriale per permettere di dare un contributo per rendere più efficiente il sistema pubblico del nostro Paese.
  Il terzo asse è quello delle politiche a sostegno degli investimenti. In questo senso diciamo che il Governo parla, appunto, di risorse europee e – ahimè, chi l'ha visto – del Piano Juncker. Bene, andiamo in questa direzione. Segnaliamo che forse sarebbe opportuno – c'è un po’ di dibattito in questo senso – che vi fossero anche altre opportunità.
  Se, per esempio, si rimediasse a una tassazione iniqua, sbagliata, che è stata fatta nei confronti dei preesistenti fondi pensione negoziali aperti, risorse importanti potrebbero essere veicolate con una regia da parte pubblica su alcuni segmenti, che potrebbero essere le infrastrutture e tanti altri. È inutile qui dire quello che il Governo dovrebbe dire alle parti sociali e a chi determina la governance e gli investimenti dei fondi negoziali. Certo, dovrebbe esserci uno scambio come quello che ho cercato di dire.
  Il punto ulteriore che vorrei analizzare è quello delle privatizzazioni. Segnaliamo che si parla ancora una volta di privatizzazione di società partecipate, ma con l'obiettivo, più che di migliorare l'efficienza di quelle aziende e rilanciarle con una nuova strategia e una nuova visione, di utilizzare la vendita delle quote della privatizzazione di società partecipate per ridurre il debito. Ahimè, ciò è certamente necessario, ma allora, se questo è, su questo prendiamo posizione dicendo che precisiamo la nostra contrarietà alla cessione di ulteriori quote di aziende partecipate dallo Stato, come Poste Italiane, di cui in precedenza sono già state fatte privatizzazioni di quote molto importanti.
  In ultimo, il quarto asse è quello della previdenza. Noi rileviamo una frase che apre a uno scenario sulla previdenza. È molto criptica e bisogna essere attenti lettori per poterla trovare, ma c'è. Da questa frase capiamo che il Governo ha presente che le rigidità dei requisiti pensionistici hanno creato una serie di problemi ai lavoratori che fanno lavori pesanti e alle imprese che non possono nemmeno più procedere a fare il turn over.
  Quest'affermazione può e deve diventare per noi un'apertura ad una soluzione che vada nella direzione della flessibilità. Quest'affermazione può diventare un passo concreto per aprire un tavolo di confronto con il Governo, tavolo di confronto che purtroppo, ma è giusto segnalarlo, avviene con le Commissioni parlamentari sul DEF, ma continua nel nostro Paese – in altri Paesi, invece, questo avviene – a non avere nessuna implicazione di dialogo sociale.

  PRESIDENTE. Ringraziamo Maurizio Petruccioli.
  Do ora la parola a Guglielmo Loy, segretario confederale della UIL.

  GUGLIELMO LOY, segretario confederale UIL. Grazie presidente, cercherò di essere breve. Alcune considerazioni sono già state svolte. Anche noi abbiamo inviato un documento sintetico e nelle prossime ore ne invieremo uno un po’ più articolato, che speriamo possa essere utile alla vostra discussione e al dibattito su una questione ovviamente complessa quale è quella della costruzione del Documento di economia e finanza, che caratterizza le scelte politico-economiche di un Paese.
  Faccio una premessa di metodo. Noi crediamo ancora che sia possibile che la Pag. 79politica e le istituzioni possano ascoltare – come stanno facendo, e ciò è molto apprezzabile, le Commissioni oggi, e speriamo la stessa cosa faccia il Governo – ed accogliere i suggerimenti e la spinta che rappresenta un po’ anche le tensioni presenti nel Paese che esprimono le organizzazioni sindacali, come dall'altra parte le stesse organizzazioni dei datori di lavoro.
  La seconda questione di metodo è che, pur nelle questioni che tra poco descriverò, siamo convinti che non esista la bacchetta magica e che si debba invertire una rotta che non ci convince. Siamo assolutamente persuasi che ciò si possa fare con tenacia e con una gradualità che tenga conto delle compatibilità economiche e finanziarie del Paese.
  Nonostante queste due premesse, il giudizio che diamo, al momento attuale, del DEF non è positivo, in quanto non vediamo appunto quell'inversione di una rotta che sta portando il Paese a una crescita inferiore alle aspettative, come le stesse previsioni lasciano intendere. Ci preoccupa quello che avviene anche fuori dal Paese, che potrebbe rimettere in discussione le stesse stime. Pensiamo non solo alla questione del terrorismo, ma allo stesso mancato governo dei processi dei flussi migratori, così come alla questione inglese della Brexit, ed altrettanto possiamo essere preoccupati dalla questione che riguarda il sistema bancario.
  L'inversione di rotta non può non passare attraverso due grandi filoni, che ripeto debbono essere affrontati con coraggio, anche se con la necessaria gradualità, che riguardano la ripresa degli investimenti in generale e degli investimenti pubblici in particolare e la questione dei consumi, e quindi del sostegno al reddito, soprattutto per coloro che l'hanno visto rallentare in termini di potere d'acquisto nel corso di questi anni, quindi lavoratori e pensionati.
  Consideriamo strategiche queste due grandi leve e crediamo che anche la legittima battaglia che il Governo italiano vorrà fare, se potrà, nei confronti dell'Europa rispetto a un margine di flessibilità debba però contenere anche un'indicazione dell'esito eventualmente positivo, o parzialmente positivo, dei margini di flessibilità che il Governo italiano dovesse in qualche modo ottenere. Se dovesse ottenerli, avrebbe comunque il nostro assoluto apprezzamento.
  Andrò per titoli, perché ovviamente il tempo non consente di entrare nel merito di tutte le questioni. C'è un aspetto fiscale, che in parte è stato sottolineato già dai colleghi, tuttavia con un'avvertenza: quando sentiamo parlare di rivisitazione o revisione delle cosiddette agevolazioni, da una parte non può che convincerci che si evitino aiuti impropri, ma dall'altra sappiamo che è in automatico un aumento della pressione fiscale. Si tratta di capire come viene indirizzata questa politica di revisione delle detrazioni, tenendo conto che in gran parte oggi le persone ne sono destinatarie con riferimento a materie delicatissime, dalla salute alla scuola, alle assicurazioni, alla previdenza. Si tocca dunque la vita reale delle persone. Ben venga, quindi, un intervento, ma deve essere assolutamente chiaro che i benefìci devono rimanere nell'ambito di chi paga le tasse e ne riceve un beneficio.
  Quanto alla seconda questione, sempre velocemente, delle pensioni, il collega della CISL ha «scavato» un'interpretazione di speranza. Sapete che il dibattito è assolutamente trasparente. Noi non siamo così convinti che ci sia una scelta già precisa e tenace da parte del Governo. Noi rimandiamo al più volte pubblicizzato documento unitario di CGIL, CISL e UIL. Crediamo che, anche sulla citata questione, si debba intervenire. È possibile autorizzare una gradualità significativa nell'arrivare a ridurre un sistema di parametri che sta provocando quello che sappiamo in termini di disagio sulle persone, ma anche di blocco, in parte, del mercato del lavoro.
  Crediamo che il Governo possa anche utilizzare esperienze consolidate che ci sono state in molti settori in termini di accompagnamento, attraverso un combinato di interventi di natura mutualistico-assicurativa per facilitare un'uscita anticipata non troppo onerosa, anzi non onerosa, per i lavoratori.
  Quanto ai contratti del pubblico impiego – mi ricollego a quanto dirò dopo Pag. 80molto rapidamente – è scritto non solo nel DEF ma anche nel cronoprogramma relativo al PNR che il Governo intende intervenire per valorizzare la contrattazione decentrata. È veramente abbastanza strambo che nella stessa pubblica amministrazione ci sia il blocco dei contratti, ed è nota anche la nostra contrarietà. Anche sul tema così delicato della contrattazione decentrata, che potrebbe riaprire una discussione seria su un rinnovo dei contratti teso a valorizzare efficienza, efficacia e produttività nella stessa pubblica amministrazione, non se ne fa cenno rispetto alla pubblica amministrazione, mentre nel privato viene considerata una priorità. Ovviamente, noi pensiamo che si debba assolutamente sbloccare in generale la contrattazione, ed in particolare quella decentrata.
  Faccio dei brevissimi accenni sulle riforme di carattere generale. Anzitutto, deve esserci il completamento del percorso di riforma del mercato del lavoro, ma c'è un macigno che sta pesando fortemente, che riguarda la questione della decontribuzione, che secondo noi va rivisitata ulteriormente dopo la scelta compiuta con la legge di stabilità per il 2016. Il secondo cenno riguarda il completamento della riforma stessa con le politiche attive. La stessa Commissione europea nel Country Report ha segnalato in rosso i nostri ritardi.
  Ci sono, infine, i temi concernenti le politiche sociali, la sanità, la crescita, in particolare quella del Mezzogiorno, rispetto alla quale, al di là della velocizzazione della spesa più volte stimolata dal Governo, non c'è sostanzialmente nulla. Questo è un tema che riguarda la crescita del Paese, in particolare quella del Mezzogiorno.

  PRESIDENTE. Ringraziamo Gugliemo Loy.
  Do ora la parola a Francesco Paolo Capone, segretario generale della UGL.

  FRANCESCO PAOLO CAPONE, segretario generale UGL. Una prima valutazione molto rapida di merito ci induce a valutare il Documento di economia e finanza nello stesso solco dei due precedenti documenti varati dal Governo Renzi, vale a dire senza il benché minimo confronto con le organizzazioni sindacali e, più in generale, con i corpi intermedi, come è stato peraltro ricordato dai colleghi di CGIL, CISL e UIL.
  Nel merito, invece, il Documento di economia e finanza dell'Esecutivo non convince, come non hanno convinto i due documenti precedenti. Interi capitoli sono ancora da scrivere, dalla flessibilità nell'accesso alle pensioni, non essendo sufficiente il provvedimento contenuto nella legge n. 208 del 2015 sul part-time incentivato, al vero rinnovo dei contratti per la pubblica amministrazione, che rimane un problema particolarmente importante, atteso che i 300 milioni di euro stanziati sono un'offesa per gli oltre tre milioni di dipendenti pubblici, ed alla stessa infrastrutturazione del Paese, considerato che la sola digitalizzazione, tutta da realizzare peraltro, non è sufficiente se poi, per fare pochi chilometri, nel Mezzogiorno occorrono delle ore. Si arriva, infine, alle misure per garantire una maggiore equità fiscale che tengano conto anche dei carichi familiari e dei fattori di produzione.
  L'impressione è che si sia perso un anno inseguendo risultati fragili ed effimeri, giocati su valori da prefisso telefonico, a iniziare dal versante dell'occupazione, in un clima di conflitto permanente che ha effetti negativi sulla fiducia. È sufficiente, per dimostrare questo, guardare il Programma nazionale di riforma, che il Governo definisce ambizioso, ampio e profondo, ma che in realtà appare incompleto, contraddittorio e, soprattutto, con forti elementi critici. È incompleto perché poco o nulla prevede per il Mezzogiorno, ancora una volta relegato in questo DEF ai margini delle politiche governative, e su materie di fondamentale importanza, a iniziare dalle pensioni e dal rinnovo dei contratti collettivi del pubblico impiego, come abbiamo già detto.
  È contraddittorio perché, da una parte, collega la timida ripresa alle misure adottate, ma dall'altra evidenzia chiaramente come il risultato dipenda soprattutto da condizioni esterne che rimangono molto Pag. 81deboli e complesse, peraltro con forti elementi critici dati dal fatto che le priorità dell'Esecutivo non coincidono con quelle del Paese reale. È il caso di richiamare alla memoria l’iter con il quale si è riformato il mondo del lavoro: si è prima permesso di licenziare più facilmente, mentre è ancora in divenire la messa in efficienza dei servizi per il lavoro e dell'intero sistema delle politiche attive. Chi oggi purtroppo perde il lavoro, rimane disoccupato per lungo tempo.
  Le riforme tratteggiate nei vari titoli che compongono il Programma sono in molti casi appena abbozzate nonostante si sia davanti a un'esperienza di Governo ormai lunga più di ventiquattro mesi. Il primo step è rappresentato dalla riforma costituzionale. Se consideriamo anche la nuova legge elettorale, si osserva come ci sia una contrazione preoccupante degli spazi di partecipazione. La riforma della pubblica amministrazione, sulla quale il Governo pone grande enfasi, è ancora in gran parte soltanto scritta sulla carta e comunque legata a un rinnovo contrattuale di cui non vediamo ancora traccia. Gli stessi interventi sul sistema bancario non hanno ancora prodotto i risultati sperati, e anche qui è mancato il confronto sia con le istituzioni creditizie sia con i rappresentanti degli operatori.
  La legge annuale per il mercato e la concorrenza sta avendo un percorso parlamentare lento e contrastato. Nel complesso, le misure contenute nel disegno di legge non avranno impatti significativi sul prodotto interno lordo né sui cittadini. Nel corso del 2015, hanno visto la luce gli otto decreti attuativi della legge delega n. 183 del 2014 in materia di lavoro, il cosiddetto Jobs Act. In proposito, l'UGL conferma la propria critica sulla legge e su larghissima parte dei contenuti degli otto decreti attuativi. Di fatto, oggi il lavoro continua a essere precario alla luce dell'introduzione del contratto a tutele crescenti, che peraltro ha finito per fagocitare – altro elemento di rilevante preoccupazione – il contratto di apprendistato, con ricadute negative sui giovani, e dell'aumento delle soglie di utilizzo dei voucher.
  Oltre all'intervento normativo, l'Esecutivo ha messo in campo una forte dose di risorse sotto forma di decontribuzione generalizzata in caso di assunzione o trasformazione in contratto a tempo indeterminato, beninteso a tutele crescenti. Rispetto al 2014, però, l'occupazione cresce esclusivamente nella fascia compresa tra i 50 ei 64 anni, e in questo caso si tratta dell'effetto diretto dell'innalzamento dell'età pensionabile e del superamento del sistema delle quote derivanti dalla somma di età e anzianità contributiva.
  La riforma della scuola appare oggi, a un anno di distanza dalla sua approvazione, ancora un cantiere per molti versi aperto. Sempre a distanza di due anni, il capitolo ancora tutto da scrivere è quello della riduzione degli squilibri territoriali, sui quali il Governo Renzi non ha posto mai il Mezzogiorno come una sua priorità.
  Al Masterplan del Governo, raccolta di sedici patti per il Sud, quest'organizzazione sindacale contrappone il Sud Act, un progetto coerente di rilancio del Mezzogiorno già promosso tra settembre e novembre dello scorso anno e ora ripreso, con una mobilitazione iniziata nel mese di aprile e che terminerà a giugno, che mette insieme otto driver di sviluppo: ambiente, infrastrutture, fondi europei, turismo e beni culturali, energia, occupazione, welfare e tutela del patrimonio agroalimentare.
  La crescita del Mezzogiorno è, a nostro avviso, la condizione necessaria per avviare una vera azione di contrasto alla povertà. È di tutta evidenza che quanto stanziato non è sufficiente a raggiungere tale scopo. Servirebbero almeno 8 miliardi di euro come sostegno al reddito e altrettanti per favorire un percorso di politiche attive e di inclusione sociale.
  Il disegno di legge di contrasto alla povertà, il cosiddetto Social Act, collegato alla legge di stabilità e attualmente in discussione in Parlamento, presenta, oltre alla carenza di risorse, altri elementi di forte criticità, su due dei quali richiamiamo l'attenzione. Il primo riguarda il concetto di universalismo selettivo. Il secondo, ancora più preoccupante, concerne l'ipotesi di razionalizzazione delle prestazioni di natura Pag. 82assistenziale e delle altre prestazioni anche di natura previdenziale, sottoposte alla prova dei mezzi. Siamo davanti a un intollerabile attacco alle pensioni di reversibilità e a quelle indirette.
  Sul versante fiscale, la trasformazione del bonus di 80 euro in detrazione ha permesso all'Esecutivo di affermare che è in atto una riduzione della pressione fiscale, ma si è trattato di un artificio che non è riuscito a nascondere la realtà dei fatti. Ancora non siamo riusciti, in termini di fiscalità, ad arrivare alla valutazione del carico familiare come elemento fondamentale di valutazione.
  Infine, c'è la revisione della spesa pubblica, che si è per il momento giocata sulla pelle dei dipendenti pubblici, ma anche dei cittadini, sui quali ricadono pesantemente gli effetti dei minori trasferimenti verso le regioni e gli enti locali in termini di qualità e quantità dei servizi erogati. In fatto di revisione della spesa pubblica, sarebbe inaccettabile qualsiasi intervento unilaterale sulle cosiddette tax expenditure. La riduzione deve passare attraverso una revisione ragionata della spesa e non solo attraverso la cessione di quote rilevanti di società partecipate, altra rilevante preoccupazione.
  In conclusione, possiamo affermare che la nostra valutazione è complessivamente negativa, perché non si intravedono politiche di sviluppo, quanto mai necessarie al nostro Paese.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO SANTINI. Leggeremo con attenzione anche i documenti, perché chiaramente la velocità forse non ha permesso tutti gli approfondimenti necessari.
  A me interessano due cose, e mi rivolgo un po’ a tutti gli intervenuti. È chiaro che quello della previdenza è un tema che va affrontato. Cercheremo anche nel dibattito parlamentare di rafforzare un po’ l'impostazione del DEF, dove pure il tema viene posto. Credo, però, che si tratti, anche da parte delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, ovvero del mondo coinvolto, di provare a fare anche un approfondimento ed uno sforzo sulla sostenibilità della spesa previdenziale. Il nodo è lì, in rapporto alle esigenze appunto condivisibili di una maggiore flessibilità.
  Su questo pongo anche il tema se non possa aiutare una certa gradualizzazione. La flessibilità, come sappiamo, può avere in termini generali costi elevati. Può essere in parte attenuata con il meccanismo della cosiddetta penalizzazione. Probabilmente, partire da criteri di maggior gradualità, per esempio iniziando dalla disoccupazione involontaria invece che dalla scelta generalizzata, potrebbe costituire un elemento che aiuta a realizzare, in un arco di tempo anche non lungo, un intervento che si regga con la sostenibilità. Su questo mi piacerebbe conoscere anche l'opinione nel mondo sindacale, perché è un punto importante.
  Inoltre, sia pure sinteticamente, penso che sia un po’ giusta nell'insieme ma un po’ ingenerosa nella sostanza specifica la critica relativa alla mancanza di impostazione espansiva del DEF, così come dei provvedimenti dello scorso anno. In particolare, credo che ci siano due elementi che parlano abbastanza chiaro. Da un lato, c'è questa forte accentuazione in Europa per aumentare la flessibilità nelle clausole del bilancio e dedicarla tutta alla possibilità di spesa. Dall'altro, c'è una serie di interventi, e a me ne vengono in mente tre in questo momento: il maxiammortamento, il superamento del patto di stabilità dei comuni e la legge sugli appalti, che vanno nella direzione di sbloccare la propensione agli investimenti. Sarebbe molto importante, secondo me, valorizzare e sottolineare tale dato, anche alla luce dello sforzo, che apprezzo molto, in base al quale i fondi complementari possono essere un veicolo che si aggiunge al tema degli investimenti. Lo stesso discorso vale per l'intervento che si sta facendo per superare le insolvenze bancarie, elemento che frena tantissimo le politiche espansive, che pure il Governo ha messo in atto.
  Non va peraltro dimenticato che per quanto concerne il Mezzogiorno, oltre al Masterplan, insiste l'enorme tema di come Pag. 83velocizzare e ottimizzare la spesa dei fondi europei, tema che si ripropone sistematicamente per ciascuno dei periodi di programmazione e che purtroppo non ha ancora trovato una soluzione. A tale riguardo, le responsabilità sono ovviamente molto diffuse, ma è molto importante che anche le parti sociali spingano per razionalizzare e ottimizzare l'utilizzo di questi fondi comunitari allo scopo di incrementare il tasso di investimenti.

  CARLO DELL'ARINGA. Ho due osservazioni essenzialmente concernenti il metodo, più che i contenuti, e quindi forse anche più politiche.
  In questo Documento non dovevano essere precisate in modo circostanziato le cose da fare, cioè come concretizzare le minori spese, le maggiori spese, le minori entrate, le maggiori entrate, che entreranno poi nel bilancio. Questo è un discorso aperto su cui i sindacati, se vogliono, possono anche interloquire, ma innanzitutto ponendosi nella logica di un minimo grado di accettazione del quadro macroeconomico espresso nel DEF.
  Ferma senz'altra restando la necessità di combattere l'evasione e la corruzione, essa non può costituire l'alibi per non rientrare in un discorso di compatibilità, sia pure elastico. Se non si rientra in questo discorso, dopo come si può partecipare all'articolazione delle misure? Si rischia di fare un elenco della spesa, e io mi sono segnato dieci cose, una più costosa dell'altra. Se si vogliono tutte, a questo punto si rappresenta la protesta, ma non si può pensare di entrare in comunicazione con chi poi decide queste cose. C'è una repulsione reciproca, evidentemente.
  A me sembra, invece, che questa contenuta nel DEF – ripeto, al netto della lotta all'evasione e alla corruzione – rappresenti il massimo della politica espansiva consentita. Parlo dei grandi numeri macro. Non a caso questo Governo è preso di mira da tutte le parti, perché vuole troppa flessibilità. Più di così! Forse sono le condizioni migliori per un sindacato che voglia inserirsi in una manovra. Anche le richieste nei confronti dell'Europa sono molto forti da questo punto di vista.
  Dopodiché, come è stato detto, non avendo la bacchetta magica ci si accontenta della bacchetta che si ha, e allora si cerca di rientrare in un discorso che non vuole essere governativo, di rispetto delle compatibilità, ma nemmeno essere all'azimut, dall'altra parte, perché a quel punto è chiaro che non può esserci una comunicazione.
  Allo stesso modo, sull'altro versante c'è la riforma delle relazioni sindacali. Questo Governo nella legge delega voleva introdurre un salario minimo per legge, poi è stato modificato, è tornato indietro, tuttavia c'è una forte pressione da tutte le parti interne e internazionali a rivedere un po’ un modello contrattuale che è lì dal 1992-1993, e le cose sono un po’ cambiate da allora. Voi fate riferimento al vostro documento.
  Si può essere d'accordo o meno, il problema è che dovete mettervi d'accordo con i datori di lavoro, altrimenti che cosa può fare il Governo da questo punto di vista, costringere le parti a trovare un accordo? Avremmo la Confindustria col suo modello, voi col vostro: a questo punto il Governo non deve far nulla.
  Certamente, anch'io sarei molto guardingo sul fatto di interferire su rapporti molto delicati come sono quelli tra il contratto nazionale e il contratto decentrato, ma dal momento che tutti sono d'accordo nel decentrare maggiormente, cioè nell'espandere il ruolo della contrattazione aziendale, le parti sociali dovrebbero fare uno sforzo per mettersi d'accordo loro. Una volta d'accordo loro, probabilmente se l'accordo è veramente innovativo e non una minestra riscaldata, il Governo non ha nessun motivo né di entrare a gamba tesa con un salario minimo per legge né di intervenire con la misura ancora più pericolosa di fissare le norme che regolano i rapporti tra il contratto nazionale e il contratto decentrato.
  Guardate, però, che la pressione è molto forte su questo versante, quindi non è una pazzia del Governo. Il Governo risponde a situazioni, considerazioni ed esigenze molto fondate. La responsabilità è qualcosa a cui un po’ tutti siamo chiamati.

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  PRESIDENTE. Non essendovi ulteriori domande dei colleghi, diamo la parola agli ospiti per una rapida replica.
  Mi permetto di aggiungere una considerazione, proseguendo nel ragionamento di Dell'Aringa. Questo DEF, come in parte quello dell'anno scorso, utilizza al massimo tutti i margini consentiti dalle regole europee, al massimo e forse qualcosa di più. È sufficiente per una crescita solida e duratura? No. Come si esce da questa contraddizione? Se ne esce provando a modificare le regole a livello europeo, non per consentire ai singoli Paesi di fare ancora più deficit. Non dobbiamo dimenticare che si scrive flessibilità, come ha detto prima bene il rappresentante della Conferenza delle regioni, ma si legge deficit ed è deficit aggiuntivo, che naturalmente è ossigeno in questa fase, tuttavia è deficit aggiuntivo, che poi ci ritroviamo sul groppone, perché aumenta lo stock del debito.
  La vera strada che manca è quella di un intervento a livello europeo. Il problema vero è come passare da una situazione che, appunto, si basa solo su margini esigui, che non possono non essere esigui, di flessibilità dei singoli Paesi europei a una forte iniziativa a livello europeo. Su questo, naturalmente, ci sono delle resistenze fortissime.
  Oggi abbiamo visto come la Germania dica no agli Eurobond, cioè a una modesta mutualizzazione del debito finalizzata alla gestione della questione dei migranti, che pure vede il Governo tedesco attestato su una posizione responsabile, ragionevole. La Germania ha un'idiosincrasia assoluta per la mutualizzazione di qualunque forma del debito, non solo di quello pregresso – ovviamente, è sensato avere difficoltà e problemi a farsi carico gli uni dei debiti passati degli altri – ma anche del debito futuro, cioè di quello finalizzato a investimenti di carattere europeo, perlomeno a livello di Eurozona.
  Allora, mi viene da dire: può esserci un'iniziativa sindacale anche su questo, che potrebbe essere unitaria in Italia e che si può prendere a livello europeo per contribuire a questa modifica di segno delle politiche a livello comunitario? Per il momento, l'unica cosa che sta in piedi in questa direzione è il Piano Juncker, ma tutti abbiamo detto che è too little too late, ovvero troppo tardivo e troppo piccolo. C'è qualcosa di ben più consistente che andrebbe fatto: si chiama nel gergo europeo capacità fiscale, fiscal capacity, dell'Eurozona. È prevista in diversi documenti, ma si fa fatica a vederla attuata. Magari anche un'iniziativa delle parti sociali su questo potrebbe essere quanto mai utile per rilanciare, appunto, su di un terreno alla fine decisivo.
  Facciamo un rapido giro di repliche osservando l'ordine in precedenza seguito.

  DANILO BARBI, segretario confederale CGIL. Il punto che mi sembra sostanziale riguarda una lettura macro e di compatibilità. Siccome da tre anni diciamo le stesse cose, guardate che ci si stanca tutti. L'attuale politica economica, che ho sentito dire da qualcuno anche che è espansiva, lo è rispetto a cosa? Qui qualcuno pensa che la programmazione del Governo verrà centrata, cioè che ci sarà una crescita dell'1,2 per cento? Bene, sottoscrivo qua e lo dico ora per allora che non ci sarà, neanche quella.
  Non è questione di speranza. La politica economica non è una speranza, è una politica e la politica che sta facendo il Governo è una politica di stagnazione. Così si chiama in economia, non in modo diverso! È inutile che ci diciamo delle cose diverse. Al Parlamento va bene così com'è? Bene, se ne assuma le sue responsabilità. La politica di flessibilità che anche qui ho sentito decantare è rispetto all'agenda Monti, e il deficit annuale prossimo è all'1 per cento, vero? Voi pensate in questo modo di intercettare significativamente lo stato sociale che ho prima descritto? Se uno lo sostiene, per quanto mi riguarda, dice una cosa che non ha senso.
  Bisogna riaprire una discussione in Europa, altro che mandare dei documenti! Lo si fa anche con le politiche economiche. Che cosa rischiamo? Una procedura di infrazione? Benissimo, si discute su questo. Perché il Governo non deve a questo punto porre in campo una discussione limpida, cioè semplice? Con questo patto di Pag. 85stabilità l'Europa non si riprenderà mai, se non in alcune sue parti, Paesi fortemente esportatori che utilizzano l'euro come una moneta svalutata. Su questa strada l'Europa non starà insieme. Non starà insieme a breve. La crisi sociale diventerà rottura politica. Ormai in molti Paesi è così. Come si fa a non rendersene conto?
  Dopodiché, se il problema è che quest'anno lo 0,8 per cento va bene, 100.000 posti di lavoro, avendone persi 1 milione 700 mila, vanno bene, è semplice. Se va bene, si continui così. Per me è questo il punto. La discussione è uguale, è perenne, è sempre quella. La Confederazione europea dei sindacati (CES) ha avanzato una proposta nel corso della discussione presso il Parlamento europeo, ma ha proposto un piano di investimenti – non come quello di Juncker, che aveva una leva di quindici volte e ci metteva 8 miliardi di euro – di 260 miliardi di euro per dieci anni. Questa è la proposta ufficiale della CES, nel senso di risorse direttamente europee, recuperando i soldi non spesi, una tassazione patrimoniale europea e la parte dei fondi strutturali non spesi per Paese.
  Bisogna parlare di cose di questa natura come investimenti per rimettere in moto l'Europa, altrimenti starai al livello in cui la crisi ti ha portato. Cosa c'è di espansivo in questo DEF? Non lo capisco. Dov'è l'espansione? Spendere l'1 per cento sulla base dell'1 per cento, cioè andare il prossimo anno al 2 per cento di deficit, quando quest'anno ci siamo attestati al 2,4: è questo che si intende per espansivo? Suvvia.
  Per quanto ci riguarda, onestamente siamo abbastanza stanchi di fare questa discussione in modo paludato, sempre nello stesso modo. Sempre nello stesso modo si lascia il Paese così com'è. Il Paese così com'è non sta bene. Prima o poi succederà qualcosa di serio. Questo è quello che noi pensiamo. Si possono avere altre opinioni, ma il tono della voce onestamente mi si scalda. La responsabilità, le compatibilità: va bene, quindi il Paese sta qua. Ditelo così, perché quando ci saranno le rotture più serie, ognuno dovrà assumersi le sue responsabilità.
  In quest'aula noi lo abbiamo detto che la situazione è sempre più grave. Se si ha un'altra valutazione, si è liberissimi, ma per me va detto così. Allora la politica economica europea va bene. Non dite che non va bene e poi la seguite sempre. Che politica è? Molti Paesi vogliono mettere in discussione la politica europea e quel Patto di stabilità e non crescita che c'è.
  Si vuole fare quella battaglia, a questo punto, o aspettiamo altri cinque anni? È semplice il dibattito. L'Italia in questa discussione dove sta? Sta dov'è adesso? Se sta dov'è adesso, non sta opponendo alcun conflitto rispetto alla politica economica europea, dovete perdonarmi. Sono conflitti di carta. Quello che conta sono le politiche che fai qua. Se le politiche che fai qua sono queste, tu stai dentro l'austerità flessibile. Questa è la verità. Io penso questo.
  Quanto agli altri temi, si possono fare molte considerazioni. Per quanto riguarda la previdenza, siamo d'accordo, per esempio, sulla questione dell'utilizzo di investimenti e di fondi complementari. Non sopravvalutiamo la questione delle banche. Lo stesso Governo dice, nel piano di riforme, che l'impatto generale degli interventi sulle banche varrà lo 0,2 per cento del PIL nel 2020. Il Governo dice così. Sì, è una misura di riparo, ma che non rimette in moto gli investimenti.
  Non li rimette in moto perché le aziende non ne chiedono o li chiedono per continuare a produrre quello che producevano prima, perché sono sottocapitalizzate. Di investimenti aggiuntivi, però, la richiesta è bassissima, perché è bassa la domanda aggregata, e perché l'idea era quella di risolverla attraverso esportazioni che stanno crollando, è semplice. Relativamente al problema degli investimenti privati, come ho detto, non ci sarà quella previsione. Possiamo vederci tra un anno e vedremo chi avrà avuto ragione, ma non dite che non l'aveva detto nessuno. Questa è semplicemente la discussione che secondo me bisogna fare.
  Il Governo sugli investimenti, anche pubblici, dice che saranno ridotti anch'essi dello 0,1 per cento, dopo una riduzione che li ha quasi dimezzati negli ultimi sette anni. Pag. 86Una politica espansiva, dopo una crisi così, per potersi definire espansiva deve essere tale. Le risorse in Italia da recuperare da qualche parte ci sarebbero: c'è una politica economica europea da mettere in discussione. Se questa scelta non si fa, secondo noi non si può parlare di una impostazione espansiva, bensì di un orientamento che lascia la crisi là dove essa è arrivata, cioè con 1,5 milioni di posti di lavoro in meno ed una disoccupazione giovanile, con pochissimi giovani, al 40 per cento. Bisogna dire per noi una cosa semplice: va bene o no? Se non va bene, bisogna cambiarla con un po’ più d'energia. Se ci si accontenta di questo, non si cambierà.
  Della questione della previdenza ho già parlato troppo. Capisco il tema proposto, non mi sfugge, per quanto anche i calcoli della previdenza sono stati messi nell'accordo a suo tempo. Anche di questo forse, avendo noi un tasso di sostituzione che non ha nessuno altro al mondo tra i Paesi industrializzati, si potrebbe un po’ ridiscutere.
  Capisco la proposta di farlo solo sulla disoccupazione involontaria. Lo capisco, è un argomento, ma per quanto ci riguarda su questo come sapete c'è una piattaforma unitaria sulla previdenza. Se il Governo si degnasse, visto che abbiamo inviato due lettere, di dirci qualcosa, spiegheremmo meglio le nostre proposte e si aprirebbe una trattativa. Diversamente, ciò non accadrà.

  PRESIDENTE. Naturalmente, la discussione è aperta e continuerà nei prossimi mesi. Mi limito solo a un'osservazione. Il problema non è la procedura d'infrazione in sé, ma che in questo DEF è incorporato un risparmio spettacolare sulla spesa per interessi.
  La caduta del costo del debito in questi anni, in particolare grazie agli interventi della Banca centrale europea (BCE), è spettacolare. Oggi la Banca d'Italia ce l'ha fatto rilevare con cifre difficilmente raggiungibili attraverso qualunque altra misura di contenimento della spesa. Il problema è la tenuta sui mercati con un debito del genere.
  Il problema è, quindi, modificare il segno della politica europea, ma senza far venir meno la credibilità dell'Italia sui mercati nel sistema BCE. Questo è il vincolo. Se rimuoviamo questo vincolo, è evidente che tutto diventa facile, ma tutto non è facile. In ogni caso, la discussione continua.

  MAURIZIO PETRICCIOLI, segretario confederale CISL, responsabile dipartimento democrazia economica, fisco e previdenza. Non mi sogno neanche di inserirmi all'interno di questa discussione. Mi porterebbe troppo lontano.
  Mi interessa, invece, provare a fare un paio di considerazioni su un tema molto più concreto. Il senatore Santini, apprezzando il fatto che nel DEF c'è una frase che apre sulla questione della flessibilità pensionistica, parlava della necessità di tenere ben presente comunque il tema della sostenibilità della spesa previdenziale, tema assolutamente condiviso.
  Ci sono tre questioni, e le questioni sulla previdenza sono le seguenti, perlomeno secondo la nostra opinione. C'è una questione che poniamo insieme alle imprese, e cioè la necessità di creare un turn over dove c'è il bisogno di cambiare la base della forza lavoro, e quindi anche delle conoscenze della forza lavoro. C'è una seconda questione: ci sono persone ultracinquantenni che perdono il posto di lavoro e che non hanno la possibilità di traguardare un futuro previdenziale.
  Poi c'è una terza questione, e anche ad essa va data una risposta. È la questione che i lavori non sono tutti uguali e che, purtroppo, per la normativa che è passata, si dice che si rimane fino a 67 anni a prescindere da quello che si fa. È una cosa che mal si concilia con la realtà del lavoro. Queste sono le questioni. Quello che lei diceva, senatore, risponde in parte ma non a tutto. Come ha detto già il collega, è dunque necessario avere un confronto, un colloquio. Solamente partendo dalla conoscenza della realtà si possono tentare soluzioni possibili.
  Quanto alla questione della sostenibilità della spesa, parliamo anche di importanti personalità che hanno dato prova di essere riformiste e di avere concorso a fare riforme Pag. 87 previdenziali, come Gianni Geroldi, che con uno studio ha mostrato come in realtà sia possibile dare una risposta alla flessibilità. Evidentemente, c'è una spesa nei primi anni che certamente crea un problema con l'Europa, ma nel medio periodo, con soluzioni articolate a cui tutti noi abbiamo la possibilità di pensare, è possibile offrire, appunto, una serie di soluzioni alle persone e alle imprese che stanno vivendo questo problema.
  Sulla questione della previdenza complementare, prima ho potuto parlare troppo poco. Non semplifichiamo. All'interno del mondo della previdenza complementare ci sono circa 150 miliardi di risparmio previdenziale, che hanno la missione di garantire i futuri trattamenti pensionistici. Detto questo, una parte di questi risparmi può tranquillamente aiutare, e quindi ricambiare il fatto che nelle imprese e tra i lavoratori nasce questo risparmio e a loro può tornare, anzi deve tornare una quota degli stessi, anche per differenziare gli investimenti.
  C'è un tema, però, e dovete trattarlo: il tema degli strumenti finanziari che possono essere utilizzati. Che cosa abbiamo noi? Le offerte della Cassa depositi e prestiti e adesso del Fondo Atlante: grazie, bene, qualcuno ci investirà, ma non è esattamente quello a cui pensavamo per intervenire nell'economia reale. Strumenti come i minibond o altri, che in giro per l'Europa servono a portare risorse alla crescita dell'impresa e a creare lavoro, qui ancora non decollano. C'è bisogno di dare coraggio a chi deve fare queste cose.
  In ultimo, ma già il collega ha detto qualcosa in questo senso, ricordavo prima che noi appoggiamo l'azione del Governo nella direzione di cambiare le regole a livello europeo: la Confederazione europea dei sindacati su questo ha presentato una piattaforma e incalza la Commissione. Per me, che ho condiviso il Documento del Governo, anzi che ho visto per la prima volta un Documento che parla chiaro sulle questioni europee e che ho apprezzato, c'è un'opportunità straordinaria: il 2017 – di questo si discute anche alla CES – è l'anno in cui si deve ratificare il Fiscal Compact dal Parlamento europeo. È un'occasione straordinaria, perché questo non deve essere fatto.
  Ricordiamoci che il Fiscal Compact non è il frutto della democrazia partecipata e del Parlamento europeo, ma di una democrazia che si svolge all'interno di tavoli in cui i Capi di Stato ovviamente non pensano all'Europa, bensì agli interessi del proprio Stato, non certo a quelli dei cittadini e degli Stati Uniti d'Europa. Il Parlamento è chiamato a ratificarlo. Sarà un'opportunità straordinaria.
  Poiché parlo con persone che, ovviamente, ascolto sempre con grande attenzione, vi invito a leggere il documento di CGIL, CISL e UIL sulla contrattazione. Non mi pare che dica nulla di diverso da quello che ho ascoltato nell'intervento del professor Dell'Aringa. Dice che un intervento sulla contrattazione di secondo livello rischia di alterare l'equilibrio, come ho appena finito di dire, dice altresì che abbiamo apprezzato la direzione che ha preso, per esempio, il decreto sulla detassazione, perché va nella direzione prevista dal documento di CGIL, CISL e UIL.
  Dopodiché, siccome lì si fissano dei tempi o si immagina di fissare dei tempi, facciamo presente che non è nella nostra disponibilità far eleggere il presidente di Confindustria e che c'è un percorso già aperto di tavoli con tutte le altre associazioni datoriali. Lo finiamo domani? No. Dobbiamo per forza finirlo, altrimenti arriva una legge? Sono convinto di no.
  Se la volontà del Governo fosse stata questa, allora tanto valeva che avesse fatto il salario minimo legale. Non l'ha fatto. Crediamo e diciamo comunque al Parlamento di rafforzarci su questa posizione. L'autonomia delle parti sociali in questa direzione deve essere salvaguardata, con l'impegno, già scritto nel documento, che vogliamo certamente andare avanti per cambiare le cose che insieme possiamo e dobbiamo assolutamente cambiare, trovando un nuovo equilibrio.

  GUGLIELMO LOY, segretario confederale UIL. Sulla previdenza gran parte delle cose è stata detta dai colleghi, in particolare dal collega Petriccioli. Ci si richiama al Pag. 88dover essere non solo gradualisti, come tendenzialmente siamo, ma anche innovativi in termini di costruzione di un sistema che possa consentire certe cose, almeno nei casi disoccupazione involontaria. È bene ricordarsi che questo Governo, questa maggioranza, con gli interventi su IRAP, decontribuzione, non sospensione della fuoriuscita dall'indennità di mobilità – le imprese avranno lo sconto – e sconto sulla cassa integrazione, hanno di fatto tolto parte della disponibilità della contrattazione a costruire, per esempio, dei fondi integrativi o di accompagnamento alla fuoriuscita graduale sul modello fondo banche, assicurazioni, poste e così via.
  Oggi non si può venire a dire che andiamo dalle imprese a dire di costruire un sistema mutualistico, bilaterale. Quelli ci dicono che non ci sono più i soldi. Bisognerebbe anche riflettere sul percorso fatto. Rimaniamo, quindi, dell'idea, come diceva Petriccioli, che ci sono tre strumenti per accompagnare questo processo. Purtroppo, non è facilitato dalle scelte che il Governo ha compiuto.
  In secondo luogo, relativamente a flessibilità ed Europa, siamo in presenza di interventi importanti che questa maggioranza e questo Governo hanno fatto nel 2015 e nel 2016, con le ultime due leggi di stabilità, molto pesanti in termini di politica espansiva, opinabili in alcuni casi, che tuttavia hanno monopolizzato gran parte delle risorse derivanti dalla flessibilità disponibile: bonus degli 80 euro, decontribuzione generosa, IRAP, adesso soppressione della TASI. Non siamo sospettosi, ma in un modello relazionale un po’ complicato tra le parti sociali e il Governo, l'idea che dobbiamo andare in Europa a reclamare, poi si allenta il Patto di stabilità, quindi si adotta un intervento a prescindere dall'espressione delle parti sociali, è appunto veramente un po’ complicato chiedercelo.
  Abbiamo una serie di proposte, ma chi ci garantisce che poi l'operazione non viene fatta – uso termini impropri per un'aula parlamentare, di cui ho grande rispetto – sulla base di elargizioni indistinte? È il modello che ha caratterizzato gli interventi fiscali degli ultimi due anni: la TASI per tutti, la decontribuzione per tutti, molto efficaci, ma che secondo noi non rispondono al tema di un sostegno alla politica espansiva.
  La terza considerazione è sulla contrattazione. Come diceva Petriccioli, la lettera della BCE è famosa, testuale, quindi sappiamo quali e quante siano le pressioni, ma relativamente a un intervento parziale, volto a dirottare sulla contrattazione aziendale gran parte delle funzioni oggi attribuite al contratto nazionale in termini di organizzazione del lavoro, che pure conveniamo debba essere rafforzata, giova ribadire che un intervento normativo naturalmente non può produrre l'effetto di sopprimere, per legge, i contratti collettivi nazionali.
  Se, però, in gran parte dei sistemi produttivi, caratterizzati da aziende medie e medio-grandi, si prescinde dal ruolo importante assolto da queste imprese nella regolazione collettiva nazionale e si assorbono con la contrattazione aziendale alcune funzioni importanti, è evidente che di fatto si svuota il contratto collettivo nazionale. Bisogna essere conseguenti in questo. Capisco che sembra un dettaglio tecnico, ma ciò significa che avremo il 50 per cento dei lavoratori italiani, forse di più, a rischio di rinnovo dei contratti, non perché ci sia una legge, ma perché di fatto il potere contrattuale si è spostato da un'altra parte.
  La riflessione che attraverso il documento abbiamo voluto porre è di molta cautela, premesso che l'arbitro prima di decidere di cambiare le regole o interpretarle forse deve aspettare almeno che i giocatori entrino in campo: almeno dateci la possibilità di verificare se la partita può cominciare, altrimenti Confindustria non entra neanche in campo e ha già vinto la partita.

  FRANCESCO PAOLO CAPONE, segretario generale UGL. Sarò brevissimo. Ho soltanto due considerazioni a margine di quello che i colleghi hanno già espresso. Sulla riforma della contrattazione condividiamo il documento sottoscritto da CGIL, CISL e UIL, nel senso che è sicuramente un'ottima base di partenza, ferme restando le difficoltà che si riscontrano in questo particolare momento storico di Confindustria e, Pag. 89complessivamente, in questa fase di rinnovo di alcuni contratti, che si sta un po’ «incattivendo» in relazione a taluni aspetti.
  Resta comunque nostra opinione – e in parte il documento indica già una strada in questo senso – che c'è una legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese nell'ottica dell'articolo 46 della Costituzione, che sicuramente può costituire lo strumento che può consentire un allargamento della contrattazione di secondo livello, corroborata però da una partecipazione dei lavoratori, secondo le varie gradualità che si intendano dare, ai processi decisionali di controllo ed eventualmente al beneficio dei risultati economici dell'azienda stessa.
  L'ultimo riferimento richiamato concerne la sostenibilità della flessibilità in uscita. Secondo le nostre valutazioni, riteniamo che le proposte di legge a firma, rispettivamente, degli onorevoli Damiano e Polverini garantiscano una sostenibilità del sistema previdenziale e, contemporaneamente, anche del lavoratore in uscita pregressa come punto di mediazione assolutamente accettabile. Anche quella rappresenta pertanto una base di discussione che potrebbe essere presa in considerazione, perché secondo noi è assolutamente sostenibile.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti delle organizzazioni sindacali per il loro contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Confindustria e R.ETE. Imprese Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di Confindustria e R.ETE. Imprese Italia.
  Direi che possiamo procedere con le due illustrazioni, prima di Confindustria e poi di R.ETE. Imprese Italia, e poi svolgiamo un'unica discussione, se non avete nulla in contrario.
  Do subito la parola al dottor Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria.

  LUCA PAOLAZZI, direttore Centro studi di Confindustria. Signori presidenti, onorevoli senatori e deputati, vi ringrazio per l'invito a esporre le considerazioni di Confindustria sul Documento di economia e finanza 2016 e sulle principali sezioni in cui esso si articola, il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma.
  Il DEF si inquadra in uno scenario internazionale e interno che rimane molto complesso. La crescita dell'economia mondiale ha dato di recente segni di miglioramento, ma rimane contrassegnata anche nel medio termine da ritmi molto più lenti dell'atteso e di quanto sperimentato prima della crisi. La risalita italiana stenta a prendere velocità, sebbene è probabile che le statistiche siano riviste all'insù in futuro.
  Il tratto distintivo della fase storica, che è strutturale e non meramente congiunturale, è costituito dalle grandi incertezze e fragilità, dalla volatilità, che portano a navigare a vista. A cavallo tra il 2015 e il 2016, si è osservata una marcata frenata globale. Una dinamica più robusta è stata segnalata dagli ultimi dati sia nel manifatturiero sia nei servizi. Il miglioramento è diffuso alle principali economie avanzate, specie USA e Regno Unito, e a quelle emergenti, soprattutto India e Russia.
  Tuttavia, le prospettive rimangono instabili. L'anticipatore OCSE non lascia intravedere ulteriori progressi nei prossimi trimestri. Per il 2016, il Fondo monetario ha recentemente rivisto al ribasso le stime di crescita del PIL globale: 3,2 per cento dal 3,4 per cento di gennaio, ma era al 3,8 per cento un anno fa. Per il 2017, le ha leggermente alzate: 3,7 per cento rispetto al 3,6 per cento, ma era al 4 per cento dodici mesi or sono. Rivista al ribasso è anche la previsione sull'andamento del PIL degli USA, pari al 2,4 per cento quest'anno e 2,5 per cento il prossimo, di quello dell'Eurozona, pari rispettivamente all'1,5 e all'1,6 per cento, e dell'Italia, pari all'1 per cento rispetto all'1,3 per cento comunicato in gennaio e, per quanto riguarda il 2017, pari Pag. 90all'1,1 per cento rispetto all'1,2 per cento. Sono tutte dinamiche sostenute dai consumi, ma nel complesso modeste.
  La recente stabilizzazione del prezzo del petrolio potrebbe aiutare a migliorare le aspettative. Il mancato accordo a Doha apre, però, una nuova fase di volatilità, in presenza di un ampio eccesso di offerta. Rimane la minaccia della deflazione, che ha origini sia congiunturali sia strutturali. Tra le prime spiccano i prezzi energetici e gli output gap, ossia il divario tra il PIL effettivo e quello potenziale. Tra le seconde, ci sono le durature conseguenze della crisi in termini di eccesso di offerta globale in molti settori, di alta disoccupazione, di iper pressione concorrenziale, e le politiche perseguite nell'Eurozona, dove l'unica istituzione convintamente europeista rimane la Banca centrale europea. La Fiscal Union, aggiungerei, rimane molto lontana nel tempo.
  Terrorismo internazionale, migrazione e reazioni a essa, che minacciano il buon funzionamento del mercato interno europeo, Brexit, indecisionismo della politica monetaria americana, rallentamento dei Paesi emergenti: sono i fattori principali destabilizzanti. Nell'Eurozona il recente miglioramento è guidato dal manifatturiero ed è coerente con un'espansione del PIL nel primo trimestre analoga a quella registrata a fine 2015, per un valore pari allo 0,3 per cento secondo i dati di consenso.
  In Italia, gli indicatori congiunturali segnalano il proseguimento di una tendenza favorevole nell'industria e un rallentamento nei servizi. Nel primo trimestre 2016, il Centro studi stima un'accelerazione pari ad un +0,8 per cento per quanto concerne la produzione industriale, dopo la stagnazione a fine 2014, pari ad un +0,3 per quanto concerne il PIL, rispetto ad un +0,1 per cento registrato nel quarto trimestre del 2015. La crescita per il 2016 del PIL acquisita al primo trimestre sarebbe pari allo 0,6 per cento.
  La domanda interna rimane il principale driver della crescita del PIL italiano. Proseguirà anche all'inizio del 2016 la moderata dinamica dei consumi delle famiglie, anche in virtù dell'aumento del potere d'acquisto. Gli investimenti sono saliti, nel quarto trimestre del 2015, dello 0,8 per cento, e saranno sostenuti quest'anno dall'incremento degli investimenti pubblici connesso all'utilizzo della clausola di flessibilità e dai proventi previsti dall'ultima legge di stabilità per il rilancio di quelli privati. In particolare, gli investimenti in costruzioni, in ripresa già alla fine del 2015, continueranno a crescere anche nel 2016, spinti soprattutto dall'edilizia residenziale.
  Nel DEF, il Governo rivede al ribasso le prospettive di crescita del PIL per il 2016 e il 2017, mentre in rialzo sono quelle per il 2019: 1,2 per cento per quest'anno, mentre a settembre scorso era di 1,6 per cento; 1,4 per cento per il 2017, rispetto all'1,6 per cento; 1,5 per cento per il 2018, dato che rimane invariato; 1,4 per cento per il 2019, rispetto all'1,3 per cento.
  In termini nominali, quelli che contano per la finanza pubblica, le previsioni sono solo per il 2019 più elevate di quelle presentate a settembre scorso. Così abbiamo un 2,2 per cento per quest'anno, contro il 2,6 per cento di settembre; 2,5 per cento per il 2017 rispetto al 3,3 per cento; 3,1 per cento per il 2018 rispetto al 3,4 per cento; 3,2 per cento per il 2019 rispetto al 3,1 per cento.
  La crescita prevista dal Governo per quest'anno è nella fascia alta delle previsioni di consenso. Inevitabilmente incorpora il deludente andamento della seconda metà del 2015 e poggia sull'attesa che il profilo 2016 e 2017 rimanga positivo, un esito auspicabile ma con rischi al ribasso.
  Per quanto realistici, questi ritmi di crescita appaiono insoddisfacenti per ripristinare i livelli di occupazione e i redditi pre-crisi, sanare le ferite nel tessuto sociale, compreso l'ampliamento della povertà. È doveroso puntare su una crescita più elevata e fare ogni sforzo per raggiungerla.
  La politica di bilancio disegnata dal DEF è volta, al tempo stesso, a favorire la crescita e ad assicurare un graduale ma robusto consolidamento delle finanze pubbliche per far scendere il rapporto tra debito e PIL. Il nuovo scenario programmatico, rispetto a quello di settembre scorso, presenta Pag. 91 un allungamento del sentiero di rientro del deficit. In particolare, il pareggio strutturale viene spostato al 2019 dal 2018. Ciò concretizza la scelta condivisibile fatta dal Governo di ridurre l'ammontare della restrizione di bilancio nel 2017 e nel 2018 per rinviarla al 2019, una volta consolidata la crescita del PIL.
  Si tratta di una deroga ai vincoli previsti dal Patto di stabilità e crescita che avrebbe richiesto una correzione di 1,2 punti percentuali di PIL nel prossimo biennio, correzione che va sommata alle risorse richieste per annullare le clausole di salvaguardia, che ammontano a 1,1 punti percentuali di PIL nei due anni. Correttamente, il Governo ritiene inopportuno e controproducente operare una restrizione di bilancio così consistente e ha programmato un percorso di rientro meno restrittivo, pari a 0,4 punti percentuali di PIL nel prossimo biennio sul saldo strutturale.
  D'altra parte, il Governo ha indicato una serie di ragioni, più volte evidenziate da Confindustria, che giustificano tale deviazione: le pressioni deflazionistiche già citate, che limitano la dinamica del PIL nominale, e quindi la discesa del rapporto tra debito e PIL, e che verrebbero aggravate da una stretta più forte; la politica di bilancio, che a livello europeo rimane neutrale, perché i Paesi che hanno spazi di bilancio non li stanno utilizzando adeguatamente; gli effetti marcatamente recessivi che hanno le restrizioni di bilancio in un Paese come l'Italia, per effetto della lunga recessione da cui ha da poco cominciato a uscire; le molteplici riforme approvate negli ultimi anni, che hanno bisogno di politiche di bilancio accomodanti per produrre benefìci; la metodologia di stima dell’output gap adottata in ambito europeo, che è fonte di politiche di bilancio procicliche.
  Il deficit effettivo nel 2016 è programmato al 2,3 per cento, in linea con il livello tendenziale e dello 0,1 per cento inferiore a quello previsto con l'approvazione della legge di stabilità per il 2016 nel dicembre scorso. Nel 2017 il deficit è programmato scendere all'1,8 per cento del PIL, un valore di 0,4 punti percentuali più elevato del tendenziale. Ciò significa che il Governo intende utilizzare risorse a deficit per circa 6,9 miliardi.
  Poiché si è anche impegnato, positivamente, ad annullare le clausole di salvaguardia ancora attive, consistenti in un aumento delle aliquote IVA, che valgono 15,1 miliardi – annullamento da concretizzare attraverso tagli alla spesa pubblica, revisione delle tax expenditure, introduzione di strumenti per il contrasto all'evasione e l'aumento della fedeltà fiscale –, le risorse da recuperare in bilancio ammontano a 8,2 miliardi.
  A tal riguardo, come più volte Confindustria ha sottolineato, un buon monitoraggio dell'economia non osservata, che prenda le distanze da quanto fatto finora, risulta prioritario per individuare gli strumenti di contrasto all'evasione più efficaci. Auspichiamo, pertanto, che si dia presto corso alla nomina e ai lavori della Commissione che dovrebbe effettuare il monitoraggio dell'evasione fiscale, secondo quanto previsto in attuazione della legge delega.
  Nel 2018 il deficit è programmato scendere allo 0,9 per cento del PIL, superiore di 0,6 punti percentuali rispetto al livello tendenziale. Il Governo intende quindi utilizzare circa 3,5 miliardi a deficit. Tali risorse consentiranno di coprire parte delle clausole di salvaguardia previste per quell'anno, consistenti in aliquote IVA e accise sui carburanti, per un valore di ulteriori 4,4 miliardi rispetto al 2017. Parlo dunque di un'ulteriore restrizione di 4,4 miliardi. Nel 2019, oltre al pareggio strutturale, è programmato un surplus di bilancio effettivo dello 0,1 per cento del PIL, laddove 0,4 per cento è il valore tendenziale.
  Il saldo primario è programmato quest'anno all'1,7 per cento del PIL e raggiungerà il 3,6 per cento nel 2019. Il debito pubblico, includendo i sostegni erogati agli altri Paesi europei, è previsto scendere quest'anno al 132,4 per cento dal 132,7 per cento del 2015 e, progressivamente, fino a raggiungere il 123,8 per cento nel 2019.
  Per quanto riguarda le riforme, il Governo italiano negli ultimi anni ne ha pianificato, e in larga parte già realizzate, un numero consistente, che riguarda quasi tutti gli ambiti dell'azione pubblica: assetto istituzionale, Pag. 92 mercato del lavoro, fiscalità, pubblica amministrazione, giustizia, scuola, concorrenza, infrastrutture, sistema creditizio, ambiente. Si tratta di un processo che, oltre che dalle imprese, ha ricevuto importanti apprezzamenti da più parti. L'ultimo in ordine di tempo è quello dell'OCSE, che nel rapporto Going for Growth 2015, presentato nel febbraio scorso, ha segnalato Italia e Spagna come i Paesi che hanno implementato più riforme strutturali nel 2015. Anche la Commissione europea nel Country Report 2016 ha riconosciuto il grande impegno del Governo.
  Tale processo riformatore non può né fermarsi né rallentare ora. Tra i Paesi avanzati, l'Italia, in considerazione della più negativa performance durante la crisi e nel decennio precedente, più degli altri può beneficiarne in termini di aumento del PIL potenziale. Le riforme, però, non basta annunciarle e nemmeno approvarle in Parlamento: occorre attuarle.
  È il deficit di attuazione quello che maggiormente è mancato per troppi anni in Italia, un deficit che ora è ben chiaro alle istituzioni internazionali che periodicamente vengono in Italia a monitorare il quadro del Paese. Perciò occorre che il Governo metta nell'attuazione lo stesso impegno che pone nel varare riforme. Sotto questo profilo, il Piano nazionale di riforma va nella direzione auspicata, poiché si caratterizza per una particolare attenzione verso la fase di implementazione e attuazione delle leggi già approvate.
  Nel merito delle singole misure indicate nel DEF, il primo tema rilevante è quello degli investimenti fissi lordi. Il 2015 ha fatto segnare una crescita dello 0,8 per cento in termini reali, che proseguirà quest'anno, in termini pari al 2 per cento, ed è positivo che raggiungerà, secondo le previsioni del Governo, il 3 per cento nel 2018. Incide in modo rilevante in tali stime la spesa per cofinanziamenti nazionali dei progetti a fronte dei quali il Governo italiano ha chiesto la flessibilità di bilancio. Preoccupa che, al momento, la quota di progetti effettivamente in esecuzione sia ancora molto limitata. Una robusta accelerazione è assolutamente necessaria per completare l'utilizzo della clausola richiesta, ma soprattutto per accrescere la competitività italiana.
  Per quanto riguarda ricerca e innovazione, il Governo ha ribadito l'impegno a sostenere i maggiori investimenti, ma senza indicare interventi specifici di potenziamento. Condividendo la scelta di concentrare l'attenzione sulla fase attuativa e sulla verifica dell'efficacia delle misure adottate, è auspicabile un maggiore impegno a velocizzare l'adozione dei provvedimenti già previsti, in particolare il Programma nazionale della ricerca, e l'introduzione di interventi migliorativi per potenziarne l'efficacia.
  Per il credito di imposta in ricerca e innovazione, segnaliamo in particolare l'eliminazione o l'innalzamento del limite massimo di 5 milioni annui a impresa e la soluzione del caso di stabili organizzazioni di imprese estere che eseguono attività in Italia contabilmente su commessa della casa madre. In prospettiva, in ogni caso, va ripensato l'approccio incrementale.
  Ai fini della riduzione degli squilibri territoriali, è negativo che non si faccia cenno alla possibilità, contemplata dall'ultima legge di stabilità, di prorogare al 2017, per le sole regioni meridionali, lo sgravio contributivo per i nuovi assunti. Al di fuori di questa misura, non si prevedono ulteriori specifici strumenti per il Mezzogiorno.
  Sulle riforme istituzionali, la conclusione dell’iter del disegno di legge di riforma costituzionale è fonte di soddisfazione per Confindustria, che l'ha sostenuto in quanto funzionale a rendere più rapido e certo il processo decisionale, a migliorare la governance del Paese, puntando a una maggiore stabilità politica, e a normalizzare i rapporti fra Stato e regioni in una serie di materie di rilevanza strategica nazionale.
  Riveste importanza cruciale il proseguimento dell'attuazione della riforma della pubblica amministrazione – a gennaio sono stati approvati in via preliminare 11 decreti attuativi –, su cui occorre velocizzare, e l'ottimo risultato raggiunto nell'attuazione Pag. 93dell'Agenda per la semplificazione, con circa il 90 per cento delle scadenze previste.
  Riguardo alla giustizia civile, essa continua a essere gravemente lontana dagli standard europei, sebbene nell'ultimo anno si sia registrata una riduzione delle cause arretrate. Nei tribunali si sono ridotte del 14 per cento le cause ultra triennali rispetto al 2014. Nelle corti d'appello l'arretrato è sceso dell'8,2 per cento. La durata media nazionale dei processi è diminuita del 5 per cento.
  Il superamento dei colli di bottiglia del sistema giudiziario italiano rimane una priorità di cui il Governo è consapevole. A tal fine, è importante l'approvazione del disegno di legge di delega per la riforma del processo civile, presentato nel 2015.
  Auspichiamo che si concluda davvero entro ottobre l’iter parlamentare del disegno di legge di delega per la riforma organica della disciplina delle crisi di impresa e dell'insolvenza. È positiva l'approvazione definitiva della legge annuale per la concorrenza, programmata entro giugno 2016, ed è importante che il Governo abbia intenzione di proseguire il percorso varandone una seconda per il 2016, anche se ci auguriamo che non debba seguire lo stesso tortuoso e lento percorso parlamentare della legge in approvazione.
  Confindustria giudica molto positivo lo schema di decreto, approvato a gennaio, che prevede un'incisiva riduzione delle società partecipate esistenti, mentre valuta ancora troppo timido il programma di spending review, che è limitato a realizzare la riduzione del numero dei centri di spesa.
  In tema di consolidamento del sistema bancario, il DEF ribadisce positivamente, visto il livello ancora elevato dei crediti in sofferenza nei bilanci delle banche e dati i vincoli all'intervento pubblico derivanti dalla disciplina europea in materia di aiuti di Stato e bail-in, la necessità di ridurre la durata delle procedure concorsuali e dei tempi di recupero dei crediti, così da favorire la dismissione dei non performing loans da parte delle banche.
  Va considerata positiva l'intenzione del Governo di rafforzare il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (PMI) e varare un secondo pacchetto «Finanza per la crescita» che sviluppi ulteriormente le misure messe a punto di recente, introducendo nuovi strumenti e rafforzando quelli esistenti. L'auspicio è che tale azione comprenda misure per stimolare il mercato del venture capital, sostenere start-up e PMI innovative, favorire l'investimento di investitori istituzionali nel sistema produttivo, in particolare nelle piccole e medie imprese, e misure per sostenere la patrimonializzazione delle imprese stesse.
  Quanto al rafforzamento del Fondo di garanzia per le PMI, è importante che gli interventi del Governo seguano le linee proposte da Confindustria, ABI e Federazione banche assicurazioni e finanza (FeBAF) volte a estenderne il perimetro di attività e il ruolo a sostegno delle imprese maggiormente strutturate. Per quanto riguarda le PMI innovative, ancora non è stato varato il decreto che definisce le modalità semplificate di accesso al Fondo di garanzia.
  In materia di lavoro, l'intenzione del Governo è di rafforzare con legge il ruolo della contrattazione di secondo livello, garantendo – ed è condivisibile – l'esigibilità degli accordi. Negli ultimi anni, con gli accordi interconfederali del 2011 e del 2012 e con l'accordo sulla rappresentanza, le parti sociali hanno molto lavorato in questa direzione offrendo la possibilità di derogare, con il contratto aziendale, vari contenuti del contratto collettivo nazionale, nel solco di una derogabilità regolata dal contratto collettivo nazionale stesso.
  La legge è uno strumento potente, ma in questa materia va fatta molta attenzione all'eterogeneità di situazioni delle imprese. Per raggiungere l'obiettivo ora indicato dal Governo serve offrire uno strumento e rafforzarne la convenienza ad usarlo, più che cercare di imporre comportamenti uniformi.
  In materia fiscale, se la valutazione generale dell'attuazione della legge di delega è complessivamente positiva, vanno evidenziate alcune preoccupazioni relative al reverse charge e allo split payment, per i quali non si fa alcun riferimento ai lunghi tempi Pag. 94di attesa delle imprese per il recupero dei crediti IVA generati da tali meccanismi.
  Peraltro, va ricordato che l'Italia è sottoposta a una procedura di infrazione da parte della Commissione europea per i lunghi tempi di esecuzione dei rimborsi dei crediti IVA e che l'autorizzazione allo split payment, rilasciata dagli organi comunitari, è subordinata a una precisa verifica da parte della Commissione europea stessa dei tempi di liquidazione dei crediti IVA maturati dalle imprese soggette. Nella relazione che l'Italia deve trasmettere alla Commissione entro giugno ci aspettiamo che trovino riscontro le difficoltà finanziarie che quotidianamente affrontano le imprese a causa di questo meccanismo.
  Nell'ambito della revisione dei valori catastali, vanno scongiurati ulteriori aggravi impositivi sugli immobili utilizzati nell'attività di impresa che, nonostante gli opportuni interventi operati con l'ultima legge di stabilità – vedi il caso degli imbullonati –, subiscono un trattamento fiscale ingiustificato. Confindustria ha denunciato più volte l'anomalia di una tassazione patrimoniale che colpisce i beni strumentali impiegati nel processo produttivo e che, per giunta, non è pienamente deducibile dal reddito di impresa e dall'IRAP, con evidenti profili di dubbia costituzionalità.
  L'IMU e la TASI sui beni strumentali delle imprese e, a maggior ragione, la TASI sugli immobili-merce dovrebbero essere completamente eliminate. Quantomeno andrebbe sin da subito riconosciuta la piena deducibilità dell'IMU dal reddito d'impresa e dal valore della produzione.
  Nel Piano nazionale di riforma è apprezzabile che sia stata sottolineata l'importanza delle reti di impresa, anche se la formulazione del testo appare confusa e generica, mentre è opportuno semplicemente rifinanziare la sospensione di imposta per gli investimenti effettuati dalle imprese per la realizzazione del programma comune di rete.
  Nonostante le tematiche energetiche e ambientali stiano assumendo sempre maggiore rilevanza strategica alla luce degli sfidanti obiettivi di sostenibilità definiti o in corso di definizione a livello sia europeo sia globale, il DEF si limita a descrivere lo stato dell'arte, senza offrire gli orientamenti di policy che servono ad attivare gli investimenti di medio e lungo termine necessari a raggiungere gli obiettivi. In particolare, manca una chiara strategia nazionale in materia di approvvigionamenti energetici, contenimento dei consumi e riduzione delle emissioni.
  Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, come sostenuto in più occasioni da Confindustria, la lotta alle emissioni viene sostenuta prioritariamente dal settore industriale ed energetico, che conta per meno della metà delle emissioni complessive. In quest'ottica gli sforzi di riduzione al 2030, che prevedono un taglio delle emissioni del 40 per cento rispetto ai livelli del 1990, dovranno essere bilanciati con politiche industriali adeguate a sostenere la nostra manifattura.
  Contestualmente il Governo dovrebbe delineare una strategia organica per guidare la transizione verso la decarbonizzazione dell'economia nazionale, che non può prescindere da un più intenso sforzo di riduzione da parte di settori non ETS e da un bilanciamento degli oneri carbon tra comparti economici.
  In materia di energia sono apprezzabili: la conclusione nel 2018 del sistema di maggior tutela per la fornitura di energia elettrica e di gas naturale e la riforma dei servizi pubblici locali, limitando le gestioni in house o di affidamento diretto; la prossima pubblicazione del Piano nazionale di ricerca 2015-2020; l'integrazione della rete elettrica ferroviaria, che sarà in grado di aprire nuove opportunità.
  Al contrario, in tema di fonti energetiche non sono individuate azioni relative a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e le politiche che si intende promuovere nell'attuale fase di transizione verso un'economia maggiormente sostenibile.
  In tema di efficienza energetica, è importante nel breve termine sostenere le attuali policy di promozione, quali detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica e la ristrutturazione edilizia, ma è importante nel lungo termine evitare la sovrapposizione fra diversi meccanismi incentivanti. Pag. 95 In questo senso riteniamo più efficace un'impostazione basata su meccanismi di mercato che favorisca lo sviluppo di investimenti in tecnologie e settori maggiormente cost effective.
  Positivi sono gli obiettivi e le strategie indicati dal Governo nell'allegato al DEF sulle strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica. Rappresentano un primo passo del processo di pianificazione, programmazione e progettazione delle opere pubbliche, connotato da una forte carica innovativa rispetto all'ultimo quindicennio, in linea con le indicazioni contenute nel nuovo Codice dei contratti pubblici di prossima approvazione.
  In materia di sanità, le misure volte al raggiungimento dell'obiettivo di spesa sanitaria sul PIL al 6,5 per cento nel 2019 fissato dal DEF rappresentano, come negli ultimi anni, tagli alla spesa che inevitabilmente ricadranno sulle imprese della filiera della salute, ma anche misure strutturali volte all'eliminazione di inefficienza, inappropriatezza e sprechi del settore.
  La collega Francesca Mariotti e io restiamo a disposizione per rispondere alle vostre domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Luca Paolazzi.
  Do la parola al dottor Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti.

  MAURO BUSSONI, segretario generale di Confesercenti. Grazie, presidente. La tarda ora mal si concilia con il documento che abbiamo consegnato e che è composto da venti pagine. Farò del mio meglio per compiere un'operazione di sintesi.
  Nonostante l'economia italiana sia ritornata finalmente a crescere, dopo un triennio di variazioni negative, il trend del PIL ha chiuso l'anno con un marcato rallentamento ed è stato di un decimale al di sotto della previsione della Nota di aggiornamento di settembre. Sull'entità della ripresa pesa l'evoluzione dello scenario internazionale. Le economie emergenti rallentano e si assiste all'instabilità di alcuni mercati finanziari importanti.
  Un secondo elemento che gioca un ruolo basilare per la nostra economia e per quella dell'area dell'euro è costituito dalla possibilità di uso dei margini di bilancio, in particolare del deficit, allo scopo di poter realizzare, con diverso grado di libertà, misure di sostegno alla nostra economia.
  La terza questione, altrettanto importante ai fini della crescita dell'intera economia dell'area dell'euro e dell'Italia, è costituita dalla persistenza di condizioni di bassissima inflazione. A pesare è la caduta dei prezzi energetici, ma le condizioni della domanda stanno giocando ancora un ruolo centrale nel mantenere il tasso di variazione dei prezzi abbondantemente al di sotto del 2 per cento, target fissato dalla BCE. In termini di quadro programmatico e macroeconomico, viene ridotta la previsione di crescita del PIL all'1,2 per cento.
  Per ora sono stati i consumi a giocare un ruolo chiave nel guidare l'inversione di tendenza del ciclo. Il recupero dei consumi nel 2015 è stato guidato principalmente dalla ripresa del reddito disponibile, in parte usato per ricostruire risparmi, e del potere d'acquisto delle famiglie, pari ad un più 0,8 per cento, dal miglioramento graduale delle aspettative e della situazione del mercato del lavoro. Ciò nonostante, l'impatto sulle vendite del commercio al dettaglio è stato limitato: solo lo 0,3 per cento in termini di volume.
  Al recupero hanno contribuito anche alcuni elementi transitori, come la caduta dei prezzi energetici. L'altra componente che ha contribuito alla crescita sono state le esportazioni, pur in un quadro di rallentamento del commercio mondiale.
  Anche gli investimenti sono finalmente aumentati dello 0,8 per cento. Prosegue invece la diminuzione degli occupati indipendenti, meno 31.000 nel 2015, i quali dal 2007 ad oggi hanno registrato una riduzione di oltre 500.000 unità, quasi il 9 per cento.
  Nel DEF il Governo si impegna a raggiungere un deficit pari al 2,3 per cento del PIL per il 2016. La strategia del Governo è quella di proseguire come lo scorso anno, cercando di allentare di nuovo gli obiettivi troppo stringenti del Fiscal Compact e trovando risorse per neutralizzare l'altra questione aperta delle clausole di salvaguardia, Pag. 96che valgono circa 15 miliardi nel 2017, senza ricorrere a manovre restrittive.
  R.ETE. Imprese Italia valuta positivamente l'impegno del Governo per l'eliminazione delle clausole di salvaguardia già previste per il 2017 che, soprattutto attraverso gli incrementi dell'IVA, avrebbero finito per ridurre e allontanare i timidi segnali di ripresa che si stanno registrando, specie sul fronte dei consumi interni.
  Ci saremmo aspettati, però, una indicazione più precisa sulle modalità attuative e soprattutto sul loro eventuale carattere di natura strutturale. Una domanda interna più forte rappresenterebbe, infatti, l'unico fattore in grado di ridimensionare i rischi di un'economia troppo dipendente dalle dinamiche dell'esportazione e dai tassi di cambio.
  Il Programma nazionale di riforma, che è parte integrante del DEF, contiene indicazioni su come il Governo intenda procedere nei prossimi mesi. Il Programma riprende le linee guida di quello dello scorso anno ed è articolato in tre direttrici fondamentali, lungo le quali dovrebbe muoversi l'azione riformatrice: interventi per l'innalzamento della produttività e la valorizzazione del capitale umano; diminuzione dei costi indiretti per le imprese connessi agli adempimenti burocratici e alle attività della pubblica amministrazione; riduzione dei margini di incertezza dell'assetto giuridico per alcuni settori.
  Nel DEF è scarsamente individuata un'azione a favore delle micro e medie imprese, dei confidi e del credito. La sottovalutazione è particolarmente grave in virtù del peso che questa tipologia di imprese riveste nel contesto produttivo del nostro Paese. Infatti, il 98,3 per cento delle imprese è rappresentato proprio dalle micro, piccole e medie imprese, che rappresentano il 58 per cento del totale dell'occupazione del Paese.
  Questa percentuale viene contraddetta anche dalla bassa quota di prestiti bancari di cui sono destinatarie queste imprese. Prevedere uno speciale incentivo, tendente ad aumentare significativamente il volume del credito bancario a loro beneficio, costituirebbe in primo luogo un intervento di riequilibrio di natura macroeconomica.
  Sotto il profilo della dimensione di impresa, appare indubbio che, se si vuole conseguire l'obiettivo di aumentare la competitività e l'efficienza delle imprese di minore dimensione, occorre prevedere un set di misure, fra le quali cito solamente alcune delle più significative: un plafond Cassa depositi e prestiti per gli investimenti o per il capitale circolante; la rimodulazione dei debiti a breve e a medio termine con garanzie pubbliche; un piano per la finanza di impresa dimensionata per le piccole imprese; una sezione del Fondo Atlante destinata a interventi di sostegno al capitale e all'acquisto di credito per le condizioni non performanti dei confidi.
  Nel contesto generale, il sistema dei confidi ha confermato il suo ruolo storico di partner finanziario delle imprese durante tutto il periodo di svolgimento della crisi. Il perdurare delle crisi ha messo in evidenza come l'aumento di attività abbia comportato un importante incremento delle insolvenze che ha generato forti tensioni patrimoniali, determinando nell'ultimo biennio una contrazione degli affidamenti garantiti.
  Il provvedimento di legge di delega di riforma del sistema dei confidi, attualmente all'esame della Commissione finanze della Camera dei deputati, è finalizzato a favorire un migliore accesso al credito per le piccole e medie imprese. Al contempo, va data piena attuazione alle disposizioni della legge di stabilità 2014 su questa materia. Occorre interrompere il continuo rimpallo tra competenze dell'Unione europea e scelte del Governo.
  Lo strumento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese ha ormai perso la sua connotazione originaria di favorire le imprese minori con difficoltà di accesso al credito. È ormai diventato uno strumento per il rilascio della garanzia diretta alle banche in una dimensione di assoluta concorrenza con i confidi. Ciò pone il Fondo di garanzia in posizione antagonista e non più complementare rispetto al sistema dei confidi, laddove invece una maggiore sinergia con i confidi, a parità Pag. 97 di risorse pubbliche, incrementerebbe l'effetto moltiplicatore di tali risorse, permettendo di assistere un maggior numero di imprese.
  In materia di lavoro, i provvedimenti già adottati con il Jobs Act dovrebbero favorire ulteriormente il minor costo del lavoro stabile e incrementare l'occupazione. Occorre ricordare che, a fronte dell'introduzione dell'esonero contributivo, sono stati abrogati incentivi strutturali alle assunzioni. Pertanto, le risorse storicamente impegnate per favorire l'assunzione devono tornare a essere di natura strutturale.
  È necessario inoltre intervenire sugli incentivi in materia di apprendistato. In particolare è necessario prorogare lo sgravio contributivo totale nei primi tre anni di contratto per le assunzioni di apprendisti in aziende fino a nove dipendenti.
  Con la piena operatività dell'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) si auspica che possa finalmente essere avviata la connessione fra politiche attive e politiche passive, volta a favorire l'occupabilità nel nostro Paese. Riteniamo che anche il piano «Garanzia giovani» debba prevedere una continuità nelle misure di incentivazione a sostegno dell'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro.
  Allo stesso modo fornire piena attuazione all'alternanza scuola-lavoro, a nostro avviso, significa ridurre il gap fra mondo produttivo e sistema scolastico e favorire l'acquisizione di competenze on the job richieste da un mercato del lavoro in continua evoluzione. Tuttavia, sull'alternanza mancano ancora taluni elementi di certezza per le imprese, in particolare in merito allo status dello studente in azienda e alle normative applicabili in tema di formazione per rischio specifico o sorveglianza sanitaria.
  Quanto alla contrattazione, riteniamo che la materia sia propria dell'autonomia collettiva in capo alle parti sociali e come tale non dovrebbe essere oggetto di un intervento. Nel merito, infatti, le indicazioni contenute nel DEF sembrano caratterizzarsi per una spinta esclusiva alla contrattazione aziendale, senza tenere conto dei modelli contrattuali liberamente definiti fra le parti, i quali già individuano ampi spazi per la contrattazione di secondo livello, anche modificativi della contrattazione nazionale.
  Nell'ambito delle priorità del Governo l'attenzione al Mezzogiorno ha finito per scendere rapidamente di livello, tanto da far perdere di vista alcuni dei temi che pure erano stati individuati come centrali per la riduzione degli squilibri territoriali del Paese. Occorre, a nostro avviso, ricentrare l'attenzione sui punti di forza che comunque caratterizzano le aree meridionali, ai quali – lo ricordiamo – si fa correttamente riferimento nel Programma nazionale di riforma (PNR), a partire dalla valorizzazione del modello dell'impresa diffusa.
  L'economia del Sud continua a fare i conti con un contesto particolarmente ostico sul piano delle condizioni di mercato, in particolare per l'acuirsi delle problematiche legate alla difficoltà di accesso al credito e per le condizioni di sempre più pervasiva illegalità. Inoltre, ancora una volta viene definita nel PNR una politica industriale per il Mezzogiorno che non raccoglie le giuste misure per lo sviluppo del terziario, che rappresenta circa il 50 per cento del PIL totale dell'area.
  R.ETE. Imprese Italia ritiene che, accanto a una politica industriale, siano necessarie misure per ridurre il divario di competitività delle imprese dei servizi e innalzare la qualità dei servizi offerti, soprattutto nel comparto turistico-ricettivo e in tutta la filiera produttiva a esso collegata. Rimane centrale il tema del gap infrastrutturale del Mezzogiorno, ormai fatto non soltanto di infrastrutture materiali, ma sempre più dell'adeguata dotazione di infrastrutture immateriali.
  R.ETE. Imprese esprime apprezzamento per l'intendimento del Governo, nell'impostazione della prossima legge di stabilità, di sterilizzare, non solo per il 2017 ma anche per gli anni successivi, le clausole di salvaguardia. Tale obiettivo deve essere raggiunto attraverso una seria revisione della spesa pubblica improduttiva. Riteniamo che le risorse derivanti dal necessario riordino delle spese fiscali, unitamente a quelle derivanti Pag. 98 dalla necessaria riduzione della spesa pubblica, debbano essere destinate alla riduzione del prelievo fiscale su imprese e lavoro, come anche tutte le maggiori entrate derivanti dal contrasto all'evasione fiscale.
  R.ETE. Imprese Italia, pur apprezzando la riduzione della pressione fiscale sulle imprese con l'abbattimento di una parte dell'aliquota IRES, non può non evidenziare come manchino non solo precise indicazioni, ma anche semplici accenni a una serie di interventi più volte sollecitati nel corso degli ultimi anni. Ciò con riferimento, in particolare, alle misure di interesse per micro, piccole e medie imprese, i cui principi sono stati individuati nella legge di delega di riforma fiscale, e che sono state disattese.
  Nel PNR si entra nel dettaglio delle misure che dovranno essere contenute nell'annunciato Green Act. In proposito è bene evidenziare che tale provvedimento deve contenere misure concrete per perseguire e attuare un modello di economia strettamente circolare. Come R.ETE. condividiamo gli obiettivi che il Governo si pone: meno deficit, meno debito, ma senza austerità. Si tratta di un'impostazione attendista e forse non sarebbe possibile agire diversamente.
  Con la prossima legge di stabilità potranno essere varate scelte oggi non definibili, ma che auspichiamo possano finalmente far dispiegare le ali della ripresa.

  PRESIDENTE. Grazie per le vostre illustrazioni.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTONIO D'ALÌ. Voglio prendere spunto dall'ultima parte della relazione di R.ETE. Imprese Italia in ordine alle politiche del Mezzogiorno. Sottolineo che si tratta dell'unica rappresentanza che abbiamo audito ad aver posto l'accento su questo tema.
  Quando parliamo di risarcimento per quanto riguarda i fondi utilizzati in maniera anomala per altri scopi, dovremmo ricordarci che due anni fa sono stati prelevati 4,5 miliardi di fondi strutturali del Mezzogiorno e 500 milioni di cofinanziamento europeo per alimentare la decontribuzione sulle nuove assunzioni. Penso, quindi, che una delle prime attenzioni che dovrebbe essere richiesta è il risarcimento di questi fondi, che ormai sono scomparsi dall'agenda del Mezzogiorno. Apprezzo quanto ha detto R.ETE. Imprese Italia e suggerirei di riprendere l'argomento più volte e in diverse occasioni.
  Per quanto riguarda la tempestività del Green Act, non è che si attende. È che il Governo è stato impegnato a consolidare il Black Act.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Vorrei rivolgere alcune domande sia a Confindustria sia a R.ETE. Imprese Italia.
  Comincio dal dottor Paolazzi di Confindustria. Abbiamo discusso, soprattutto in occasione di alcune audizioni svolte nel pomeriggio odierno, su un aspetto particolarmente importante. Questa ripresa, di cui tutti naturalmente ci felicitiamo, è caratterizzata in realtà da una dinamica molto bassa e modesta, la più modesta comparativamente ad altre riprese, perlomeno dalla fine degli anni Novanta. La domanda che viene immediata è che cosa freni l'economia italiana nella sua capacità di agganciare, con intensità pari a quelle pur verificatesi nel passato, la dinamica internazionale che si è messa in moto. Al di là dei mali antichi e delle cause strutturali, cosa si è aggiunto? Che cosa ha penalizzato ancor di più, in questi ultimi anni, la nostra economia?
  Di questo si è già cominciato a discutere. Io vedo oggi un documento che il Centro studi di Confindustria ha pubblicato e divulgato e che pone l'accento su un obiettivo da perseguire, quello cioè di rilanciare la manifattura per far ripartire la crescita. Non si tratta naturalmente di una novità. Conosciamo i costi pesantissimi derivanti dalla perdita di imprese e di capacità industriale e manifatturiera che si è realizzata in questi anni.
  Le difficoltà e l'affanno che registriamo nell'agganciare il treno internazionale, lo ripeto, non costituiscono meramente una questione di dinamica più bassa, perché Pag. 99questo discorso vale per tutto. In realtà, la dinamica più bassa è relativa appunto alla capacità e all'opportunità di ripresa. Le chiedo, pertanto, se sia possibile identificare nella perdita di capacità manifatturiera un fattore, se non il fattore, che oggi più ci penalizza in questa nostra capacità di ripresa.
  Questa diagnosi diventa molto importante ai fini della terapia. Qui non si tratta semplicemente di voler rimettere in movimento un motore a livello macroeconomico. Si tratta di capire cosa si potrebbe fare perché questo pezzo perduto di capacità non sia considerato come definitivamente perduto. Io non ho potuto leggere il vostro documento, ma immagino che su un tema di questo genere ci siano riflessioni in corso. Per le nostre Commissioni sarebbero indicazioni importanti.
  Per quanto riguarda l'ampia relazione di R.ETE. Imprese Italia, un punto in particolare ha sollecitato il mio intervento. Avete scritto che ad aver contribuito alla crescita, soprattutto nel 2015, sono state in qualche modo le esportazioni. In realtà non è così, perché le esportazioni nel 2015 hanno rappresentato forse l'elemento più critico per quanto riguarda la capacità di sostenere la crescita. Ma fortunatamente ci sono stati i consumi e la domanda interna.
  Poiché queste non sono opinioni, ma numeri, vorrei chiederle, per quanto riguarda la vostra rete di associati, composta soprattutto di imprese piccole e medie, quale difficoltà avete individuato. Le esportazioni italiane sono andate bene se guardiamo al resto della dinamica, ma nel confronto con la Francia, la Germania e la Spagna non siamo andati bene per niente. Dobbiamo ancora recuperare i livelli del 2008. Dal vostro punto di osservazione, quali ostacoli o difficoltà potete individuare e quali misure e politiche potrebbero essere di aiuto?
  Il motore dell’export, insieme a quello degli investimenti, per la nostra economia è infatti fondamentale ed intervenire da subito potrebbe essere utile.

  ANDREA MANDELLI. Vorrei porre alcune sintetiche domande.
  A pagina 5 del documento di Confindustria vedo un accenno alla Commissione per il monitoraggio dell'evasione fiscale e alla necessità di individuare strumenti di contrasto all'evasione. È un auspicio o avete qualche idea specifica da condividere?
  In secondo luogo, c'è un paragrafo che riguarda la materia sanitaria. Io penso che questo sia uno dei grandi temi su cui dovremo valutare la nostra tenuta economica. L'Italia è il terzo Paese al mondo per numero di anziani dopo Giappone e Germania e la ricerca sanitaria di questi ultimi anni sta portando alla luce farmaci che saranno una svolta per la vita dei nostri cittadini. Sarà quindi difficile capire come introdurli nel nostro sistema sanitario nazionale, che vive una crisi sempre più evidente. Non parliamo più di farmaci che allungano di qualche giorno la vita; parliamo di farmaci che guariscono patologie. Non si tratta più dell'opportunità di fare una valutazione, ma di un tema importante. La domanda che pongo a entrambi gli auditi è come considerano l'introduzione nella sanità di un nuovo pilastro o se abbiano soluzioni diverse da proporre.
  Per quanto riguarda specificamente R.ETE. Imprese Italia, vorrei parlare invece delle deroghe per chi fa contratti di secondo livello. Come valutate l'orientamento del Governo di rendere obbligatoria, in alcune materie, la contrattazione decentrata?

  CARLO DELL'ARINGA. Ho due brevi domande tecniche.
  Per quanto riguarda il Mezzogiorno c'è un accenno anche nel documento di Confindustria, laddove si parla dell'intenzione del Governo, manifestata in occasione della legge di stabilità, di rafforzare e prolungare la decontribuzione per le assunzioni nel Mezzogiorno.
  È vero, infatti: quella questione è rimasta lì ferma. C'è anche un problema che il Governo avrebbe dovuto e dovrà affrontare: si tratta di accertare la compatibilità di questo intervento con le norme in tema di aiuti di Stato a livello comunitario. Non so se voi avete fatto qualche accertamento su questo, perché ci potrebbe essere utile Pag. 100sapere se questa fiscalità di vantaggio sia compatibile o meno.
  La seconda domanda è molto tecnica e riguarda il prezzo del petrolio. Siamo sempre stati abituati a considerare un vantaggio la riduzione del prezzo del petrolio, in termini di miglioramento delle ragioni di scambio e di aumento del potere d'acquisto e della domanda interna. Da un po’ di tempo a questa parte, però, assistiamo anche ai risvolti negativi della riduzione del prezzo del petrolio, ossia la deflazione e poi, in un mondo globalizzato, naturalmente, una possibile riduzione del commercio mondiale.
  Probabilmente il saldo rimane sempre positivo. Mi sembra di aver capito che anche questa ipotesi sia alla base delle previsioni del DEF. Sulla base dei vostri modelli espliciti e impliciti continua a essere vero che il saldo dal punto di vista del PIL è positivo?

  GIORGIO SANTINI. Anch'io pongo brevemente talune domande. Avete parlato entrambi, sia Confindustria, sia R.ETE. Imprese Italia, del tema del credito. La domanda, però, va al di là delle cose che avete detto. Poiché penso che questo sia uno dei punti che stanno rendendo più faticose le opportunità di crescita del sistema economico e produttivo, volevo conoscere una vostra opinione al riguardo.
  Mi chiedo se non pensiate – anche noi dobbiamo cercare di fornire delle indicazioni in sede di DEF – che questi settori, nelle varie articolazioni – penso ai confidi da una parte e ai fondi di garanzia dall'altra –, possano essere sviluppati e soprattutto che questa vicenda dei crediti incagliati abbia bisogno di ulteriori interventi, sapendo che il Governo si muove all'interno di vincoli europei non semplici.
  Vi chiedo poi due cose specifiche, se volete rispondere. Sulla previdenza c'è un'idea nel DEF di affrontare nel corso di quest'anno, con proiezione al 2017, il tema della flessibilità in uscita. Penso che questo sia uno dei temi, soprattutto per quanto riguarda quella parte di occupazione o di rischio di disoccupazione involontaria, che potrebbero essere attuati anche coinvolgendo fattivamente, nelle varie forme possibili, i sistemi delle imprese per agevolare questa possibile flessibilità, anche in termini di mettere in rapporto la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale.
  Passo alla terza e ultima questione. Tutti e due avete accennato al fatto che c'è una sperimentazione in atto sull'alternanza scuola-lavoro, che a me pare sia – tanto per il sistema dell'attività manifatturiera quanto per quello dei servizi – un elemento molto importante per qualificare dal punto di vista anche qualitativo il lavoro, la produttività e la professionalità. È bene che se ne parli. Anche a tale proposito chiedo una vostra valutazione sulle possibilità di farlo progressivamente diventare un sistema e non più una sperimentazione.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

  LUCA PAOLAZZI, direttore Centro studi di Confindustria. Grazie per le domande, formulate anche a quest'ora tarda. Vuol dire che il calo di zuccheri non ha colpito troppo e che l'attenzione e l'interesse restano alti.
  La parola «ripresa» l'abbiamo abolita. L'abbiamo abolita per due ragioni: una tecnica, perché, come sa bene il senatore Guerrieri Paleotti, è una fase molto corta nel tempo, durante la quale si recupera quello che si è perso nella recessione precedente, ed una politica, perché all'orecchio delle persone il termine riconduce immediatamente al ritorno alle condizioni precedenti. In realtà, purtroppo rivedremo quei livelli, se va bene, fra qualche anno, ragion per cui preferiamo usare altri termini. Non troverà più, quindi, riguardo all'economia italiana, nei rapporti del Centro studi di Confindustria o nei documenti di Confindustria la parola «ripresa», ma piuttosto «risalita», «ripartenza» o simili.
  Che cosa fa sì che l'economia italiana, nonostante peraltro condizioni internazionali potenzialmente molto favorevoli in termini di prezzo del petrolio, come ha detto anche l'onorevole Dell'Aringa, di cambio e di tassi di interesse, non riesca a ripartire? Questo è un puzzle su cui ci siamo interrogati. Crediamo che, partendo dall'ultimo Pag. 101aspetto citato, in realtà le condizioni monetarie dei tassi siano particolarmente favorevoli. Perché allora siamo in questa situazione di faticosa ripartenza in una serie di economie?
  Elenco una serie di possibili spiegazioni: il credito insufficiente, che rimane tale; la restrizione regolamentare, che continuerà a pesare; la bassa redditività degli investimenti in Italia, per cui il margine operativo lordo in percentuale raggiunto nel settore manifatturiero è ai minimi storici; le costruzioni, che sono normalmente un volano per la crescita, che rimangono invece fondamentalmente ferme su valori depressi, con un calo della produzione che, se non ricordo male, è stato di circa il 50 per cento rispetto ai livelli pre-crisi, con tutte le conseguenze sulla filiera, che comprende anche il settore manifatturiero; l'elevata disoccupazione, che genera incertezza nel reddito e nella fiducia delle famiglie; la distruzione di capacità produttiva molto elevata e l'abbassamento, quindi, del potenziale dell'economia; un dualismo crescente nel sistema delle imprese fra quelle che riescono a reggere – anzi, non solo reggono, ma cavalcano – le opportunità a livello globale e una schiera ampia di quelle che ancora non sono riuscite ad assestare le proprie strategie; le politiche di bilancio che, a parte gli ultimi due anni, sono state pervicacemente restrittive e anche all'interno dell'Eurozona, con moltiplicatori molto più elevati di quelli che eravamo abituati ad avere in passato, proprio per le condizioni di crisi e per la simultaneità. Peraltro, si tratta di una ricetta che predica la deflazione interna come veicolo al riguadagno della competitività.
  Sicuramente siamo dell'idea che sia essenziale concentrare risorse sulla manifattura per rilanciare la crescita. Nella nota che gentilmente ha citato e che abbiamo diffuso oggi spieghiamo – rispieghiamo, forse, e cercheremo di continuare a battere il chiodo su questo elemento – il fatto che è necessaria una politica industriale che delinei le grandi tendenze di evoluzione dell'attività economica e produttiva del Paese, che poi sia declinata in modo non dirigistico. Riteniamo che sia fondamentale ripartire da questo assunto per avere una maggiore crescita del Paese.
  Abbiamo fatto delle stime, come Centro studi di Confindustria, e abbiamo visto che al calo della quota del settore manifatturiero sul PIL corrisponde una diminuzione del tasso di crescita nel periodo successivo. È necessario, quindi, puntare su questo aspetto per aumentare la capacità di crescita del Paese e avere un risveglio maggiore. Forse è una spiegazione anche delle ragioni per cui il sistema Paese non riesce a ripartire.
  Sono convinto, osservando quello che è successo nei settori industriali di altri Paesi, che questa strada sia percorribile anche nel nostro. La riscoperta del manifatturiero in tante nazioni che, invece, ritenevano fosse sufficiente fare headquarters economy, cioè un'economia basata sulle case madri concentrandosi sui servizi e non sulla produzione, dovrebbe dirci qualche cosa al riguardo.
  In merito al monitoraggio fiscale vorrei far dire qualcosa alla collega Francesca Mariotti. Ricordo che abbiamo fatto un rapporto su questo a dicembre, che ha immeritatamente valso una citazione del Presidente della Repubblica. Pertanto, lascerei poi la parola a lei.
  Prima di questo, direi forse qualcosa riguardo al prezzo del petrolio. Noi continuiamo a ritenere che abbia un saldo positivo sul PIL. Abbiamo sottovalutato, però, due elementi, fondamentalmente. Il primo è che c'è un effetto evidentemente molto negativo sui Paesi esportatori di petrolio, che negli ultimi anni hanno fornito un contributo notevole alla domanda mondiale di beni manufatti. Qui mi riaggancio a quello che diceva il senatore Guerrieri Paleotti. A ciò ha contribuito la difficoltà del commercio internazionale, in cui c'è una differenza di tempistica fra il dispiegarsi degli effetti benefici del miglioramento delle ragioni di scambio e del miglioramento del potere d'acquisto nei Paesi consumatori di petrolio e la rapidità con cui devono essere tagliati il bilancio e la domanda interna dei Paesi esportatori di petrolio. Questa differenza di tempo ha fatto sì che abbiamo vissuto fortemente e Pag. 102immediatamente il taglio del commercio mondiale e solo successivamente il beneficio della domanda interna.
  Sulla previdenza – così concludo e mi taccio – come è sempre stato detto da Confindustria, siamo favorevoli a una flessibilità, purché ci sia corrispondenza attuariale, fondamentalmente, in modo da tenere stabili i conti previdenziali degli italiani.

  FRANCESCA MARIOTTI, direttrice politiche fiscali di Confindustria. Buonasera a tutti. Svolgo solo due battute, anche per non rubare troppo tempo ai colleghi di R.ETE. Imprese Italia, sul rapporto sull'evasione.
  Perché abbiamo sottolineato l'esigenza di avviare celermente i lavori di questa Commissione? Perché l'ultimo rapporto sull'evasione poco aiuta nel fare una vera e propria diagnosi del fenomeno, come prima veniva detto, mutuando un'espressione che in precedenza veniva impiegata. Esso utilizza dati del 2013. Gli unici dati annuali sono quelli riferiti all'IVA. Faccio un esempio per tutti: i dati sull'evasione IRPEF e IRES sono cumulati, non esiste un dato disaggregato, oppure, per quanto concerne il resto dei tributi, disponiamo di dati elaborati su medie di sei anni. Si prende cioè in considerazione, per l'evasione, una media di sei anni dal 2001 al 2006 e dal 2007 al 2013.
  Pertanto, avere un buon rapporto sull'evasione, che fornisca dati in maniera disaggregata per settori, territori, tributi locali, rispetto a tutte le tipologie dei tributi e su base annuale, rappresenta sicuramente la prima proposta, come veniva in precedenza evidenziato, per contrastare il fenomeno. Ripeto, come prima è stato detto in relazione ad altri aspetti, avere una buona diagnosi costituisce il primo passo per una buona ed efficiente cura.
  Come ricordava il dottor Paolazzi, a dicembre abbiamo elaborato insieme questo rapporto sull'evasione, che contiene una parte di stima, ma anche una nutrita sezione di proposte. Tra le proposte, ovviamente, si annovera l'esigenza di passare, come peraltro anche il DEF richiama fortemente, da un sistema di controllo ex post a sistemi di controllo ex ante nonché all'utilizzo massiccio, e migliore probabilmente, di tutte le banche dati esistenti, avvalendosi pertanto in maniera integrale degli strumenti telematici. Si propone anche il rafforzamento della telematica nell'IVA, perché certamente l'IVA è l'imposta – passatemi una battuta – che fa un po’ da pivot nel sistema di evasione. Poi, ovviamente, c'è tutto un sistema articolato per modernizzare il rapporto tra il fisco ed il contribuente.
  Le proposte sono contenute nel rapporto. Questo in estremissima sintesi, data anche l'ora, è quanto proponiamo.
  Per rispondere alla domanda del professor Dell'Aringa sugli aiuti di Stato, certamente questo è un tema che riguarda tutte le misure che differiscono e creano quindi, potenzialmente, una distorsione.
  Con riguardo alle misure previste a sostegno dell'occupazione nel Mezzogiorno, non solo abbiamo degli orientamenti comunitari ad hoc, ma ricordo a me stessa innanzitutto che, quando si trattò di varare delle detrazioni IRAP per il cuneo fiscale con soglie maggiori per gli occupati nel Sud, il sistema che venne utilizzato fu quello del de minimis. Sotto il sistema del de minimis il problema, pur esistente, della compatibilità di differenziazioni per impieghi nel Sud in qualche modo è stato allora risolto in quella maniera. Forse potrebbe essere utilizzato anche per la decontribuzione per il Sud, che è rimasta sospesa, come lei prima attentamente ricordava .

  MAURO BUSSONI, segretario generale di Confesercenti. Senatore D'Alì, grazie per l'evidenziazione del fatto che abbiamo affrontato, a suo avviso, in maniera appropriata la parte relativa ai problemi del Mezzogiorno. Mi auguro che, per quanto riguarda il Green Act, rimanga tale di colore e che non lo cambi. Speriamo dunque che la cosa vada avanti.
  Onorevole Guerrieri Paleotti, lei ci diceva che la ripresa, in realtà, per quanto riguarda il 2015 è stata trainata in modo particolare dai consumi interni, mentre le esportazioni hanno contribuito in modo marginale. Il primo semestre, per la verità, ha avuto un andamento fortemente condizionato Pag. 103 da una ripresa dell'attività di esportazione. Il secondo semestre del 2015 ha avuto invece una lieve ripresa per quanto riguarda i consumi interni.
  Oltretutto, rispetto alle esportazioni ci sono degli elementi, considerato il quadro internazionale, di preoccupazione per quanto concerne il 2016, tant'è che riteniamo che il mezzo principale per riuscire a garantire la ripresa economica del nostro Paese sia rappresentato proprio da una ripresa più consistente – ci auguriamo – dei consumi interni. Per fare questo è chiaro che occorre garantire delle politiche di riduzione della pressione fiscale e favorire una capacità di maggiore spesa da parte delle famiglie.
  Onorevole Mandelli, per quanto riguarda la questione che lei poneva sulla sanità, è vero che ormai la medicina fa passi da gigante e che probabilmente garantirà anche delle prospettive di maggiore longevità. Per quanto ci riguarda, ce lo auguriamo tutti. È altrettanto vero però che, per quanto riguarda i servizi sanitari, nel nostro mondo, rappresentato dalle associazioni raggruppate in R.ETE. Imprese Italia, esistono da anni delle positive esperienze rispetto ai fondi integrativi per quanto riguarda l'assistenza sanitaria dei dipendenti delle imprese che fanno riferimento ai nostri comparti.
  Tutto questo garantisce una forte integrazione con il servizio pubblico e ha garantito comunque uno sviluppo importante dell'assistenza sanitaria. Credo che da questo punto di vista ci siano ulteriori possibilità di accrescere e di migliorare i servizi che vengono garantiti proprio all'interno della contrattazione, che per quanto riguarda la nostra attività rappresenta un perno.
  Rispetto alle deroghe sul secondo livello di contrattazione ci chiede un'opinione. Credo che il nostro documento e quello che ho detto sia esplicito: non ci piacciono così come sono state poste all'interno del DEF. I nostri contratti già prevedono e offrono la possibilità di derogare, anche dal punto di vista retributivo, rispetto a quanto è previsto dal contratto nazionale. Pertanto, al nostro interno, con l'accordo delle parti, questa condizione l'abbiamo già costituita. Riteniamo, quindi, inutile un intervento dal punto di vista normativo.
  Quanto al credito, esso ha rappresentato per le imprese che fanno riferimento ai nostri mondi una piaga notevole negli ultimi anni. Le banche hanno adottato una politica di forte contenimento per quanto riguarda il credito nei confronti delle imprese meno strutturate, in generale di tutte, ma in particolare di quelle piccole. I confidi hanno fatto da supporto all'inattività della funzione specifica bancaria in questa fase.
  Al tempo stesso, i crediti dei confidi si sono deteriorati, ma i confidi hanno rappresentato una spalla, un supporto, una leva fondamentale per le imprese. Quello che è stato fatto in ambito bancario occorrerebbe cercare di farlo in modo equilibrato rispetto all'attività dei confidi. Riteniamo fondamentale per la ripresa garantire una maggiore capitalizzazione e agire anche per quanto riguarda le azioni di sostegno .
  Su previdenza e flessibilità in uscita siamo convinti che all'interno della contrattazione sia possibile trovare dei meccanismi, quali le staffette generazionali, utilizzando gli istituti e gli enti bilaterali già esistenti all'interno del nostro mondo, al fine di generare delle opportunità per creare nuova occupazione e favorire l'uscita delle persone più anziane.
  L'alternanza scuola-lavoro è il futuro per quanto riguarda lo sviluppo della società in modo equilibrato, nell'ottica di garantire l'acquisizione di nuove professionalità. Occorre chiarire tuttavia quali siano i termini attraverso cui l'impresa può agire senza preoccupazione all'interno di questo mondo. Oggi gli elementi di incertezza sono tali per cui diventa difficile adottarla in termini perfetti.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il loro contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 22.15.