XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Lunedì 13 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 11 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 11 
Causi Marco (PD)  ... 12 
Simonetti Roberto (LNA)  ... 13 
Misiani Antonio (PD)  ... 14 
D'Incà Federico (M5S)  ... 14 
Fassina Stefano (PD)  ... 14 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 15 
Boccia Francesco , Presidente ... 15 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 15 
Boccia Francesco , Presidente ... 18 
Siviero Stefano , capo del servizio congiuntura e politica monetaria della Banca d'Italia ... 18 
Momigliano Sandro , titolare della divisione finanza pubblica della Banca d'Italia ... 18 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 18 
Boccia Francesco , Presidente ... 19 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 19 
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 19 
Boccia Francesco , Presidente ... 26 
Marcon Giulio (SEL)  ... 26 
D'Incà Federico (M5S)  ... 26 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 26 
Cariello Francesco (M5S)  ... 27 
Marchi Maino (PD)  ... 27 
Boccia Francesco , Presidente ... 28 
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 28 
D'Incà Federico (M5S)  ... 29 
Boccia Francesco , Presidente ... 29 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 30 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 30 
Boccia Francesco , Presidente ... 38 
Galli Giampaolo (PD)  ... 38 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 38 
Cariello Francesco (M5S)  ... 39 
D'Incà Federico (M5S)  ... 39 
Marchi Maino (PD)  ... 39 
Boccia Francesco , Presidente ... 40 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 40 
Flaccadoro Enrico , consigliere della Corte dei conti ... 41 
Boccia Francesco , Presidente ... 42 

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 42 
Pisauro Giuseppe  ... 42 
Boccia Francesco , Presidente ... 49 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 49 
Boccia Francesco , Presidente ... 51 
Causi Marco (PD)  ... 51 
Galli Giampaolo (PD)  ... 52 
D'Incà Federico (M5S)  ... 53 
Marchi Maino (PD)  ... 53 
Lanzillotta Linda  ... 54 
Cariello Francesco (M5S)  ... 55 
Boccia Francesco , Presidente ... 56 
Misiani Antonio (PD)  ... 56 
Boccia Francesco , Presidente ... 56 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 57 
Boccia Francesco , Presidente ... 57 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 57 
Boccia Francesco , Presidente ... 58

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 15.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.
  Ringrazio il presidente Sangalli e i colleghi senatori per la loro presenza. Iniziamo la nostra attività conoscitiva con i rappresentanti dalla Banca d'Italia. Svolgerà la relazione Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale, accompagnato dalla delegazione composta da Paolo Sestito, capo del servizio di struttura economica, Stefano Siviero, capo del servizio congiuntura e politica monetaria, Sandro Momigliano, titolare della divisione finanza pubblica, e Antonella Dragotto, titolare della divisione stampa e relazioni esterne.
  Do la parola al dottor Signorini.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Grazie, presidente. Ringrazio le Commissioni per averci invitato, come è un po’ tradizione, a fare alcune considerazioni di carattere tecnico nell'ambito dell'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014. Nel corso di questo intervento, il cui testo credo vi sia stato distribuito, mi soffermerò sul quadro macroeconomico, sulle stime e sui programmi per i conti pubblici e sui programmi di riforma.
  Cominciando dal quadro macroeconomico, l'espansione dell'economia mondiale nel corso dell'anno si è rivelata più modesta delle attese, in particolare tra le economie emergenti. In tutta l'area dell'euro la ripresa ha perso vigore: al minor traino del commercio mondiale non è corrisposto un rafforzamento della domanda interna e l'inflazione è stata molto moderata ed è scesa in settembre allo 0,3 per cento.
  Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea, come è ben noto, ha introdotto numerose misure espansive e ha dichiarato di essere determinato a ricorrere a tutti gli strumenti non convenzionali a propria disposizione per contrastare i rischi di un periodo troppo prolungato di inflazione troppo bassa.
  Gli interventi fino a qui adottati si sono riflessi in una diminuzione dei rendimenti e in un significativo deprezzamento del cambio, che avranno effetti favorevoli sull'attività economica. Un ulteriore impulso espansivo potrà derivare dal progressivo ricorso delle banche alle nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine e dal programma di acquisto di prestiti cartolarizzati e di covered bond, che pure la BCE ha annunciato.Pag. 4
  Anche l'economia italiana si è indebolita, contrariamente a quanto prefigurato da tutti gli osservatori all'inizio dell'anno. Il deterioramento dell'attività produttiva nella prima metà del 2014 è dovuto sia al venir meno del contributo della domanda estera, perlomeno nella dimensione in cui era stato immaginato, sia al nuovo calo dell'accumulazione di capitale. Quest'ultimo risente di giudizi meno favorevoli delle imprese sulle condizioni per investire, che venivano, invece, valutate ancora in miglioramento nei sondaggi che risalgono all'inizio dell'anno.
  Solo i consumi alle famiglie, fortemente compressi negli anni della crisi, hanno mostrato i primi timidi segnali di ripresa. Nel trimestre appena concluso, secondo le indicazioni congiunturali finora disponibili, il PIL potrebbe aver segnato una lieve flessione. La protratta debolezza dell'attività economica si è riflessa sull'andamento dei prezzi: l'inflazione, appena negativa in agosto e settembre, è molto bassa anche al netto delle componenti energetica e alimentare. Al netto di queste componenti, essa si ragguaglia allo 0,3 per cento.
  La flessione dei prestiti alle imprese si è attenuata gradualmente nel corso dell'anno, ma non si è interrotta. Secondo le rilevazioni presso le imprese, le condizioni dell'offerta di finanziamenti sono migliorate per quelle più grandi e restano più difficili per quelle di minore dimensione.
  Il quadro macroeconomico della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza che oggi esaminiamo è stato rivisto per tenere conto degli sviluppi più recenti. Le previsioni tendenziali prefigurano una contrazione del PIL dello 0,3 per cento per quest'anno e una crescita, più modesta di quello che si era precedentemente immaginato, dello 0,5 per cento nel 2015.
  Gli investimenti tornerebbero a espandersi nel prossimo anno in misura più accentuata per la componente relativa a macchinari e attrezzature. Continuerebbe la ripresa dei consumi delle famiglie, che l'anno prossimo crescerebbero in linea con il prodotto. La dinamica del prodotto nel quadro programmatico è lievemente superiore a quella tendenziale di un decimo di punto percentuale nel 2015.
  Tra le componenti della domanda, quella che più beneficia degli interventi programmatici sono i consumi delle famiglie, più elevati di 0,5 punti percentuali rispetto al quadro tendenziale.
  Per il biennio 2014-2015 le valutazioni tendenziali contenute nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza appaiono nel complesso condivisibili. Lo scenario descritto nella Nota non si discosta significativamente da quelli formulati di recente dai principali previsori ed è stato validato dal neocostituito Ufficio parlamentare di bilancio. Lo scenario programmatico potrà essere valutato alla luce del disegno di legge di stabilità.
  Su questo quadro, tuttavia, gravano soprattutto rischi al ribasso. Il riavvio della ripresa presuppone un punto di svolta imminente nell'attività di investimento, il cui verificarsi appare soggetto a crescente incertezza, alla luce della persistente debolezza degli indicatori di fiducia delle imprese.
  L'eventualità di sviluppi internazionali meno favorevoli, una prosecuzione del peggioramento del clima di fiducia di famiglie e imprese, le condizioni ancora deboli dei mercati immobiliare e del lavoro potrebbero comportare una ripresa dell'attività economica più graduale di quanto prefigurato nella Nota.
  Il Governo prevede un'intensificazione del ritmo di crescita nel triennio 2016-2018. Il PIL si espanderebbe in media dell'1 per cento l'anno nel quadro tendenziale e dell'1,2 per cento in quello programmatico.
  Entrambi i profili possono essere considerati sostanzialmente in linea con le previsioni di consenso e delle principali istituzioni internazionali.
  Nell'analisi della Nota di aggiornamento la crescita trarrebbe sostegno da un profilo dei tassi di interesse sui titoli di Stato coerente con una riduzione a 100 punti base a partire dal 2016 dei differenziali Pag. 5di rendimento sulla scadenza decennale rispetto alla Germania e, con riferimento allo scenario programmatico, dal graduale manifestarsi degli effetti delle riforme strutturali già introdotte o in via di definizione.
  La discesa del differenziale di rendimento dei titoli di Stato decennali rispetto agli analoghi titoli tedeschi non trova al momento riscontro nelle aspettative implicite desumibili dagli andamenti di mercato, secondo le quali il differenziale risalirebbe lievemente nel 2015, intorno ai 170 punti base, per poi stabilizzarsi nell'anno successivo.
  L'evoluzione futura dei rendimenti, legata all'andamento dei mercati finanziari e dell'economia globale, presenta naturalmente ampi margini di incertezza. Essa dipenderà anche dalla credibilità dell'azione di risanamento e di riforma.
  Secondo la Nota, le riforme – in particolare quelle della pubblica amministrazione, del mercato del lavoro e della giustizia, nonché le misure di sostegno alla competitività – innalzerebbero il prodotto cumulativamente di quasi 3,5 punti entro il 2020.
  Oltre due terzi dell'impatto sono riconducibili a misure in corso di approvazione, alcune delle quali non ancora delineate con sufficiente grado di dettaglio. Sugli effetti di tali azioni grava, quindi, al momento un'incertezza non trascurabile, che potrà essere significativamente ridotta solo nella misura in cui il disegno degli interventi verrà pienamente definito in tempi rapidi e attuato senza esitazioni e ritardi.
  Venendo ai conti pubblici nel 2014, la Nota, prendendo atto del deterioramento dello scenario macroeconomico rispetto alle valutazioni effettuate ad aprile, aggiorna le previsioni di finanza pubblica. Il nuovo quadro dei conti pubblici tiene anche conto del passaggio alle regole statistiche del SEC 2010.
  Si stima che l'indebitamento netto nel 2014 cresca in rapporto al PIL di 0,2 punti percentuali, sino quindi al 3 per cento, mentre nel Documento di economia e finanza di aprile si prevedeva un calo di quattro decimi di punto che lo collocava al 2,6 per cento, secondo il precedente sistema di regole contabili.
  La revisione riflette la riduzione dell'avanzo primario dal 2 per cento del PIL del 2013 all'1,7, mentre nel Documento di economia e finanze era previsto un aumento di 0,4 punti percentuali. Essa è sostanzialmente ascrivibile al deterioramento del quadro macroeconomico: il prodotto si contrarrebbe dello 0,3 per cento quest'anno, a fronte di una crescita dello 0,8 per cento indicata in aprile.
  I provvedimenti approvati dal Governo negli ultimi cinque mesi sono stati definiti con l'obiettivo di non modificare il saldo di bilancio. Nel testo che vi è stato distribuito c’è qualche dettaglio su questi provvedimenti, che del resto le Camere conoscono bene.
  Il disavanzo strutturale, ossia al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure temporanee, si attesterebbe allo 0,9 per cento del prodotto nel quadro programmatico, quindi in peggioramento di 0,3 punti percentuali rispetto al 2013; nelle stime di aprile, invece, il saldo migliorava di 0,2 punti percentuali. La revisione è riconducibile in parte alle nuove valutazioni sulle misure temporanee, in parte al deterioramento delle stime del prodotto potenziale.
  La Nota stima per il 2014 un output gap – ossia la differenza tra il prodotto interno lordo effettivamente realizzato e il prodotto potenziale stimato – del 4,3 per cento. Questo output gap è in aumento, dato il deterioramento delle condizioni congiunturali rispetto alle previsioni del mese di aprile scorso, che indicavano un output gap al 3,7 per cento.
  Secondo la prassi attuativa delle regole europee, un valore così elevato, così come anche la diminuzione del prodotto prevista ancora per l'anno in corso, può costituire una circostanza eccezionale che esonera i Paesi che non hanno ancora raggiunto i loro obiettivi di medio termine – nel caso dell'Italia, il pareggio strutturale – dal realizzare l'aggiustamento strutturale minimo, pari allo 0,5 per cento del PIL.Pag. 6
  A maggio la Commissione europea stimava un output gap del 3,6 per cento, a fronte però di una crescita attesa per il prodotto dello 0,6 per cento, che certamente non si verificherà. Anche le nostre analisi indicano l'esistenza di un ampio scostamento del prodotto effettivo rispetto a quello potenziale.
  Gli andamenti fin qui osservati, riguardanti principalmente i dati di cassa, appaiono in linea con la stima indicata nella Nota per l'indebitamento netto, tenendo conto delle disomogeneità nei criteri di calcolo di quest'ultimo rispetto al fabbisogno.
  Come ricordate, l'indebitamento netto è un concetto di competenza, il fabbisogno è un concetto di cassa, ma vi sono altre differenze di cui occorre tenere conto nel confrontare i due dati.
  Nelle stime della Nota di aggiornamento la pressione fiscale, che non include gli effetti, contabilizzati nelle spese, della misura temporanea a favore dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi introdotta in primavera, si confermerebbe sostanzialmente ai livelli del 2013, ossia al 43,3 per cento del PIL. Ricordo che essa, nel 2011, era invece al 41,6 per cento.
  La spesa primaria aumenterebbe dell'1,3 per cento ma al netto delle prestazioni sociali, principalmente le pensioni, si contrarrebbe allo 0,7 per cento, dopo essere diminuita – è bene rammentarlo – di 5,6 punti percentuali tra il 2009 e il 2013.
  Come già accaduto in passato, la Nota ha rivisto al ribasso le stime del DEF per quanto attiene sia alla dinamica delle entrate sia a quella delle spese. Con riferimento alle entrate, si prospetta una crescita dello 0,5 cento a fronte del 2,1 per cento previsto in aprile e la revisione è soprattutto spiegata dall'aggiornamento del quadro macroeconomico, cioè dal deterioramento della congiuntura rispetto a quanto atteso.
  Riguardo alle spese primarie, escludendo gli interventi attuati in corso d'anno e gli effetti della modifica dei criteri di contabilizzazione di alcuni crediti d'imposta, la crescita attesa nella Nota è pari allo 0,6 per cento, circa la metà di quanto previsto in aprile.
  La Nota di aggiornamento stima infine l'aumento dell'incidenza del debito sul prodotto nell'anno in corso in 3,7 punti percentuali. L'indebitamento raggiungerebbe il 131,6 per cento del Prodotto interno lordo.
  Il DEF prevedeva un aumento più contenuto, pari a 2,3 punti percentuali, e il peggioramento è dovuto interamente al minore tasso di crescita nominale del PIL. Il tasso di crescita nominale è naturalmente dato dall'interazione fra il tasso di crescita reale e l'inflazione sotto forma di deflatore del PIL.
  Nel complesso del triennio 2012-2014, l'incremento del debito pubblico è pari a 15,2 punti percentuali del prodotto. Secondo la Nota, il debito pubblico aumenterebbe in valore assoluto di 70,7 miliardi di euro nel 2014. La variazione è lievemente inferiore a quella prefigurata ad aprile nonostante siano stati contestualmente rivisti a ribasso gli introiti attesi dalle privatizzazioni. Se si escludono il sostegno finanziario ai Paesi europei in difficoltà e gli effetti del pagamento dei debiti commerciali, l'aumento del rapporto tra debito e prodotto nel triennio 2012-2014 si riduce a 9,4 punti percentuali.
  Passo a commentare le previsioni e i programmi per i conti pubblici nel 2015-2018, cominciando dalle previsioni a legislazione vigente, che chiamerò forse in alcuni passaggi tendenziali, un termine questo che si presta naturalmente a qualche equivoco e che io userò nel senso di «a legislazione vigente».
  Rispetto alle stime del DEF di aprile, l'indebitamento netto tendenziale, appunto, nel quadriennio 2015-2018 è stato rivisto al rialzo in media di circa 0,3 punti percentuali del PIL l'anno. La revisione riflette soprattutto gli effetti di trascinamento del maggior disavanzo atteso per il 2014. Quelli della più bassa crescita del PIL negli anni successivi vengono compensati da minori spese tendenziali, in parte derivanti dal più favorevole andamento atteso dei tassi d'interesse.Pag. 7
  Il disavanzo scenderebbe gradualmente dal 3 per cento del prodotto di quest'anno al 2,2 nel 2015, allo 0,8 nel 2018, riflettendo la riduzione dell'incidenza sul prodotto delle spese primarie, nell'ordine di meno 1,8 punti percentuali nell'arco del quadriennio, e di quelle per interessi, pari a meno 0,5 punti percentuali a fronte di una sostanziale stabilità del peso delle entrate.
  Rispetto a questo quadro tendenziale, passando ad esaminare i programmi contenuti nella Nota di aggiornamento del DEF, per il 2015 il Governo programma interventi espansivi, senza ancora specificarne il dettaglio e la dimensione complessiva, finanziati con aumento del disavanzo pari a 0,7 punti percentuali del PIL e con risparmi di spesa. L'indebitamento netto si collocherebbe al 2,9 per cento del PIL, appena al di sotto della soglia prevista dal Trattato di Maastricht.
  L'indebitamento netto programmato coincide con il valore tendenziale nel 2016, collocandosi all'1,8 per cento del PIL, mentre nel biennio successivo è inferiore, rispettivamente, di 0,4 e 0,6 punti percentuali. In termini strutturali, l'indebitamento migliora di 0,1 punti percentuali nel 2015 e di circa mezzo punto percentuale all'anno nel biennio successivo, raggiungendo il pareggio nel 2017.
  Il rapporto tra il debito e il prodotto regista ancora nel 2015 un aumento di 1,8 punti percentuali anziché ridursi di 1,6 come previsto nel DEF di aprile, attestandosi al 133,4 per cento. Inizia a scendere nel 2016, per raggiungere il 124,6 nel 2018. Come nel DEF, le stime includono proventi da privatizzazioni pari a 0,7 punti percentuali di prodotto in ciascun anno del quadriennio 2015-2018. Ad aprile si programmava per le privatizzazioni un ammontare analogo anche per il 2014, ma nella Nota di aggiornamento del DEF l'obiettivo è stato ridotto a qualcosa meno dello 0,3 per cento del PIL.
  Il ricorso graduale a possibili privatizzazioni costituisce un elemento di rilievo della strategia di consolidamento della finanza pubblica. È importante procedere con decisione e speditamente, facendo anche tesoro dell'esperienza di altri Paesi affinché il piano sia rispettato e se ne valuti una possibile accelerazione.
  Le misure per il 2015 e per gli anni successivi saranno definite con la legge di stabilità. La Nota di aggiornamento ipotizza che la manovra includa, al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi programmatici, una clausola di salvaguardia basata su aumenti dell'IVA e di altre imposte indirette secondo importi prefigurati per ciascuno degli anni 2016-2018. Inoltre, secondo la Nota, la prossima legge di stabilità anticiperà dal 2016 al 2015 l'entrata in vigore delle regole sul pareggio di bilancio per gli enti territoriali decentrati.
  È possibile quantificare la distanza tra i conti consuntivi di regioni, province e comuni per l'ultimo anno disponibile, il 2012, e gli obiettivi delineati dalle nuove regole.
  Nel complesso, dall'analisi emerge che l'anticipazione delle regole sul pareggio di bilancio richiederebbe agli enti territoriali un impegno considerevole, che potrà essere mitigato attraverso un'efficace politica di intese territoriali. È importante, sotto quest'aspetto, che siano disciplinati sollecitamente i criteri e le modalità di attuazione di tali intese.
  Tralascio nella lettura alcuni dati più specifici e più puntuali che sono comunque contenuti nel testo della relazione che vi è stato distribuito.
  Vengo quindi alla questione delle regole di bilancio.
  Nei programmi del DEF aggiornato il percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine subisce un rallentamento. Come ho in precedenza ricordato, il miglioramento del saldo strutturale nel 2015 viene ridotto da 0,5 a 0,1 punti percentuali del PIL. Viene, inoltre, posticipato di un anno il rispetto della regola del debito.
  La temporanea deviazione dal sentiero di avvicinamento all'obiettivo di medio termine dovrà, come è a loro noto, essere approvata dal Parlamento con una procedura rafforzata anche sulla base delle analisi dell'Ufficio parlamentare di bilancio, nonché valutata dalla Commissione Pag. 8europea e dal Consiglio dell'Unione europea alla luce dei margini di flessibilità previsti dalle regole europee.
  Questi ultimi riguardano essenzialmente due casi, due tipi di fenomeni: eventi eccezionali con rilevanti ripercussioni negative sulle finanze pubbliche, inclusa una grave recessione economica; l'attuazione di importanti riforme strutturali che, pur comportando costi nel breve periodo, migliorino la sostenibilità dei conti pubblici.
  Con riferimento al primo aspetto, quello di eventi eccezionali ricondubili ad una situazione di grave recessione, la Nota sottolinea che, nell'attuale prassi applicativa, l'utilizzo della flessibilità risulta condizionato a una crescita negativa o a un output gap negativo superiore al 4 per cento del PIL potenziale.
  Anche se questi requisiti non sono strettamente rispettati per il 2015 nel quadro programmatico della Nota, il documento sottolinea che le condizioni dell'economia italiana vanno valutate anche tenendo conto di alcuni elementi, tra cui: in primo luogo, l'eccezionale periodo di recessione tuttora in corso, per cui, in particolare, l’output gap viene stimato aver superato la soglia del 4 per cento tanto nel 2013, quanto nel 2014; in secondo luogo, gli effetti delle eventuali misure correttive, poiché se si mirasse a conseguire un aggiustamento strutturale dello 0,5 per cento l'economia rischierebbe di rimanere in recessione anche l'anno prossimo; infine, il valore elevato della soglia utilizzata, nella prassi applicativa cui facevo prima riferimento, per l’output gap, ovvero il 4 per cento, per un Paese in cui il prodotto, come capita di solito in Paesi di dimensione rilevante come l'Italia, presenta una variabilità relativamente bassa.
  In merito alle riforme strutturali, ossia al secondo potenziale motivo di giustificazione di uno scostamento dagli obiettivi, il Governo si impegna ad accompagnare le misure di bilancio a sostegno della domanda con interventi sull'offerta relativi al mercato del lavoro, all'istruzione e alla ricerca.
  Va rilevato che la flessibilità a fronte di riforme strutturali, secondo le regole europee, può essere riconosciuta per i costi diretti di queste ultime e quando i benefici di lungo periodo per la sostenibilità dei conti pubblici possono essere effettivamente riscontrati e sono verificabili. Contestualmente alla definizione delle misure strutturali, pertanto, andrebbero quantificati i relativi costi diretti e, nella misura del possibile, i vantaggi e i benefici di lungo periodo.
  Il Patto di stabilità e crescita fa riferimento a riforme, tra l'altro, del sistema pensionistico, ma altre riforme sono citate dal Codice di condotta, per esempio la riforma del mercato del lavoro e la riforma della sanità. Sempre a titolo di esempio, la riforma del sistema pensionistico effettuata da quel Paese nel 2012 è stata riconosciuta utile ai fini della flessibilità nel caso della Lituania, relativamente al rispetto della soglia per il disavanzo.
  Quanto al debito, la relativa regola richiede, dopo un periodo transitorio durante il quale sono imposti alcuni vincoli e salvaguardie, che la differenza fra il peso del debito sul prodotto e la soglia di riferimento del 60 per cento si riduca in media di un ventesimo l'anno in un triennio. Per l'Italia il primo anno in cui verrà valutato il rispetto della regola è il 2016, considerando il triennio 2013-2015 oppure il triennio 2015-2017, rispettivamente con l'aspetto backward-looking e forward-looking della stessa regola.
  I programmi delineati nel DEF di aprile, pur non soddisfacendo i vincoli posti nel periodo transitorio, rispettavano la regola sul debito con riferimento al periodo 2015-2017. Nella Nota di aggiornamento, che pospone l'inizio della riduzione del debito, entrambi i requisiti non sono soddisfatti. Nelle valutazioni del Governo il rispetto del vincolo transitorio richiederebbe nel 2015 misure correttive strutturali per 2,2 punti percentuali del PIL.
  Nello scenario programmatico la regola sul debito risulta sostanzialmente soddisfatta con riferimento al triennio successivo 2016-2018.Pag. 9
  I programmi del Governo non determinano automaticamente l'avvio della procedura per i disavanzi eccessivi. La Commissione dovrà prendere in esame il ruolo dei cosiddetti fattori rilevanti – che includono le prospettive di medio termine della situazione economica, dei conti pubblici e del debito pubblico, nonché della dinamica e sostenibilità di quest'ultimo – nel valutare lo scostamento rispetto al benchmark.
  La Nota sottolinea l'importanza di molti dei fattori rilevanti, alcuni dei quali esplicitamente richiamati dalle regole europee.
  Oltre ad alcune consolidate caratteristiche dell'economia italiana, in particolare il basso livello del debito complessivo, ossia della somma del debito pubblico e di quello privato, e il livello contenuto delle passività implicite, la cui parte prevalente è rappresentata dal debito pensionistico, nell'attuale contesto si rilevano in particolare due fattori: da un lato, la dimensione e la durata dell'attuale contrazione dell'economia; dall'altro, il tasso di inflazione, notevolmente inferiore al livello di riferimento per la definizione della stabilità dei prezzi adottato dall'Eurosistema.
  Lo scostamento dell'inflazione dall'obiettivo della stabilità dei prezzi rende particolarmente gravoso ridurre il peso del debito sul prodotto.
  Facendo, a puro scopo esemplificativo, un esercizio di tipo meccanico, che si limita cioè a modificare il denominatore del rapporto tra il debito e il prodotto, basato sullo scenario della Nota di aggiornamento, emerge che, qualora si ipotizzi a partire dal 2015 un tasso di variazione del deflatore del PIL prossimo al 2 per cento, secondo la definizione della BCE, si ridurrebbe di circa un terzo la differenza fra il debito al 2017 e il livello richiesto per tale anno dalla regola sul debito.
  Se si tiene conto anche degli effetti della maggiore dinamica dei prezzi sulle entrate e si assume invece l'invarianza della spesa – va detto che questa, però, è un'ipotesi che può essere credibile per il primo anno ma che diventa fortemente restrittiva per gli anni successivi – la regola del debito risulterebbe sostanzialmente rispettata.
  Credo sia opportuno ricordare che nel lungo periodo la sostenibilità delle finanze pubbliche italiane appare assicurata da una dinamica contenuta delle principali voci di spesa, soprattutto grazie alle significative riforme del sistema previdenziale realizzate negli scorsi anni, che aumenteranno l'età effettiva di pensionamento e legheranno in modo attuarialmente equo i benefici erogati alle contribuzioni versate.
  I principali indicatori di sostenibilità, ad esempio quelli calcolati periodicamente dalla Commissione europea, riflettono tale solidità prospettica del nostro bilancio.
  La sostenibilità del debito, tuttavia, dipende in ultima analisi dalla crescita del prodotto e dalla capacità di generare nel tempo avanzi primari adeguati. È pertanto essenziale che le azioni di riforma siano idonee a rilanciare il potenziale di crescita dell'economia, ma anche che vengano rispettati nei prossimi anni i programmi che prevedono il mantenimento di un significativo avanzo primario, fino a toccare, alla fine dell'orizzonte di previsione della Nota di aggiornamento, valori prossimi al 4 per cento.
  Infine, parliamo delle riforme. Come già rilevato, nella Nota il rinvio del pareggio di bilancio in termini strutturali viene motivato anche in base alla necessità di attuare un programma coordinato di riforme.
  Rispetto al Programma nazionale di riforma della scorsa primavera, si dà conto degli interventi approvati e delle iniziative legislative avviate nel frattempo.
  La scansione temporale del processo di riforma, aggiornato e più attentamente definito, si estende su un orizzonte triennale e intende anche rispondere alle country-specific recommendations del Consiglio europeo. È cruciale che il percorso delineato sia portato a compimento rispettando la tempistica indicata.
  Gli ambiti di azione individuati dal Governo comprendono la pubblica amministrazione e la giustizia civile, l'istruzione e la ricerca, il mercato del lavoro.Pag. 10
  L'ampia portata dell'agenda è coerente con la necessità di interventi profondi e in grado di tenere conto delle complesse interazioni esistenti tra i vari fattori che influenzano l'attività d'impresa, l'accumulazione di capitale fisico e umano e l'attività innovativa.
  Con riguardo alla pubblica amministrazione e alla giustizia civile, negli scorsi mesi sono stati adottati decreti-legge che contengono prime misure. La realizzazione degli interventi di maggior rilievo è rinviata all'attuazione di una serie di deleghe legislative al Governo. I relativi disegni di legge sono in discussione in Parlamento.
  Il progetto di riforma della pubblica amministrazione è di ampio respiro. Sono previsti, tra l'altro, una nuova disciplina della dirigenza pubblica, la riorganizzazione delle strutture e la semplificazione dei procedimenti amministrativi.
  Nella definizione puntuale degli interventi sarà importante assicurare la coerenza complessiva del progetto.
  L'individuazione di indicatori quantitativi che forniscano informazioni sulle situazioni di partenza e sugli obiettivi da realizzare consentirebbe il monitoraggio dei processi avviati. Ne risulterebbe accresciuta la capacità del Governo di indirizzare l'azione di riforma, comunicarne gli esiti all'esterno, correggerla se fosse necessario.
  Dopo le misure di sostegno alla domanda di lavoro introdotte la scorsa primavera, la riforma che il Governo sta definendo nell'ambito del cosiddetto Jobs Act riguarda i principali istituti del mercato del lavoro: il riordino delle forme contrattuali e il ridisegno del sistema di ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro; la revisione della disciplina relativa all'interruzione del rapporto di lavoro e le modifiche nel sistema delle relazioni industriali; l'introduzione di un salario minimo e la revisione dell'imposizione fiscale sui redditi da lavoro per stimolare la partecipazione.
  Nel complesso, gli interventi mirano a facilitare la riallocazione dei lavoratori verso i settori e le imprese più efficienti, a creare le condizioni per un rafforzamento della produttività aziendale, sostenendo il reddito dei lavoratori nei casi di disoccupazione involontaria e accrescendone la capacità di ricollocazione.
  Sul fronte delle politiche passive, per le quali si prevede un'ulteriore razionalizzazione e un ampliamento delle platee interessate, andrà chiarita l'entità delle risorse necessarie, considerando che, nell'attuale fase congiunturale, avversa il sistema potrebbe non essere in grado di autofinanziarsi.
  Per quanto riguarda l'introduzione di un contratto a tutele crescenti, la definizione dell'entità, dell'eventuale articolazione e della progressione delle tutele non dovrà determinare un aumento dei costi di aggiustamento dei livelli occupazionali delle imprese.
  Il rafforzamento dell'attività innovativa delle imprese è una condizione necessaria per un rilancio duraturo della competitività del sistema produttivo italiano sui mercati nazionale e internazionali. I risultati delle analisi di valutazione di politiche, nazionali e regionali, di sostegno all'innovazione suggeriscono di ricorrere a strumenti automatici, come il credito d'imposta a favore delle imprese che investono in ricerca e sviluppo.
  Rafforzando quanto previsto dal decreto «Destinazione Italia» del 2013 e mai attuato, l'intervento dovrebbe prevedere modalità di assegnazione semplici, benefici non eccessivamente riferiti, stanziamenti stabili nel tempo. È altresì opportuno programmare, già nella fase iniziale di disegno, la raccolta dei dati necessari al monitoraggio e alla valutazione dell'intervento, da realizzarsi possibilmente con il coinvolgimento di autorità indipendenti.
  Sul tema dell'istruzione e della formazione, il documento riassume la riforma della scuola presentata dal Governo all'inizio di settembre. Si tratta di un piano straordinario di stabilizzazione degli insegnanti precari, da attuarsi in un'unica tornata nell'anno scolastico 2015-2016, e di un insieme di interventi strutturali di medio termine che toccano, con l'eccezione Pag. 11dell'organizzazione e della durata dei cicli didattici, pressoché tutti gli aspetti di funzionamento del sistema.
  Nonostante i progressi e le iniziative adottate per rafforzare il monitoraggio e il coordinamento del processo attuativo delle riforme, i tempi di definizione della normativa secondaria rimangono elevati. Benefici potrebbero derivare dalla semplificazione delle procedure e da interventi che riducessero l'elevata frammentazione delle competenze sia orizzontalmente, tra amministrazioni centrali, sia verticalmente, tra Stato e autonomie locali.
  È essenziale – mi permetto di tornare su un tema che ho toccato altre volte di fronte a queste Commissioni – che le leggi siano scritte riducendo al minimo la necessità di atti secondari a livello centrale o locale, che sono spesso fonte di ritardi e di incertezza.
  Mi avvio a concludere, onorevoli deputati e senatori, dicendo che le previsioni macroeconomiche incluse nella Nota, pur se nel complesso condivisibili, presentano rilevanti rischi al ribasso.
  Esse infatti presuppongono un punto di svolta imminente nell'attività di investimento, il cui verificarsi non appare scontato alla luce della persistente debolezza degli indicatori di fiducia delle imprese.
  Sono inoltre possibili sviluppi internazionali meno favorevoli e una maggiore persistenza della debolezza dei mercati immobiliare e del lavoro.
  Le previsioni di finanza pubblica sono in linea con le nostre analisi, dato il quadro macroeconomico. È da quest'ultimo che derivano per esse i principali rischi. Dal lato della spesa primaria, infatti, le previsioni hanno acquisito negli anni una solida credibilità, legata alla sostanziale assenza di debordi.
  Nella Nota di aggiornamento, anche nella consapevolezza di queste incertezze, il Governo ha cercato un punto di equilibrio tra le esigenze del sostegno alla crescita dell'economia e la disciplina di bilancio. Da un lato, viene confermato l'impegno a mantenere il disavanzo entro il 3 per cento del prodotto. Dall'altro, sia il percorso verso l'obiettivo di medio termine sia quello di riduzione del debito subiscono un rallentamento.
  I programmi mirano a utilizzare pienamente la flessibilità delle regole di bilancio; l'ammissibilità della deviazione dal sentiero di avvicinamento al pareggio strutturale non è scontata, ma rifletterà l'interpretazione delle regole da parte delle istituzioni coinvolte, prima fra tutte il Parlamento stesso, che terrà conto in particolare delle valutazioni dell'Ufficio parlamentare bilancio, quindi la Commissione europea e il Consiglio dell'Unione europea.
  Nell'ambito delle regole di bilancio, vi sono margini di flessibilità che possono essere con attenzione sfruttati. È necessario non fare passi indietro nei progressi fin qui raggiunti nell'aggiustamento dei conti pubblici, che deve proseguire.
  Il rallentamento nel processo di riequilibrio può aiutare a evitare una spirale recessiva della domanda; poiché porta nell'immediato a un maggiore accumulo di debito pubblico, si giustifica se i margini di manovra che consente sono utilizzati efficacemente per rilanciare la crescita e per innalzare il potenziale di sviluppo dell'economia nel medio e nel lungo termine.
  Per rafforzare la fiducia degli investitori, interni ed esteri, e indirizzare stabilmente in senso favorevole le aspettative di famiglie e imprese, è necessario ridurre la spesa pubblica e il peso della tassazione, attuare una significativa ricomposizione del bilancio pubblico, riducendo gli sprechi e privilegiando le spese che, come quelle per le infrastrutture, hanno un impatto maggiore sull'attività economica e sul suo potenziale di crescita. Occorre, altresì, accelerare la definizione del disegno complessivo della riforma e la realizzazione dei singoli interventi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Signorini.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Dottor Signorini, dalla sua relazione leggo che Pag. 12«nella Nota il rinvio del pareggio di bilancio in termini strutturali viene motivato anche in base alla necessità di attuare un programma coordinato di riforme». Nella descrizione di una delle più importanti di queste riforme viene specificato di cosa si tratta, ma prima lei stesso riferisce che «nella definizione puntuale degli interventi sarà importante assicurare la coerenza complessiva del progetto». Ed aggiunge che «sul tema dell'istruzione e della formazione, il documento riassume la riforma della scuola presentata dal Governo all'inizio di settembre. Si tratta di un piano straordinario di stabilizzazione degli insegnanti precari, da attuarsi in un'unica tornata nell'anno scolastico 2015-2016».
  Parto da questo, dottor Signorini, per chiederle quanta della coerenza che si richiede a questa Nota, nel solco di quel controllo della spesa pubblica e di quell'equilibrio dei conti pubblici che da anni, anche col vostro aiuto, ricerchiamo, ella può davvero rintracciare in questa Nota medesima.
  Se, ad esempio, è solo un problema di comunicazione, e cioè se, come leggiamo nella sua relazione, la chiamiamo stagnazione anziché recessione, come tecnicamente è riconosciuto sia, allora può darsi che sia giusto così, ma il peggioramento della sostanza di questa coerenza sta innanzitutto nel non dire la verità. Cito un ultimo esempio e concludo la mia domanda.
  La riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori – ricorderà bene gli 80 euro pensati dal Governo come un credito d'imposta, e perciò inseriti tra le minori entrate – è una scelta su cui, invece, dopo tutta la grancassa, la comunicazione e la propaganda utile a raccogliere qualche voto, oggi viene a galla la verità: noi lo avevamo già ben evidenziato, ma adesso certifichiamo che quell'operazione non fu fatta come minore entrata, bensì come maggiore spesa. Peraltro, lo avevano evidenziato benissimo i servizi bilancio di Camera e Senato, scatenando ulteriori polemiche.
  Le chiedo allora: in base alla sua valutazione ed al suo giudizio, la proroga di quel pareggio di bilancio e il non sforamento di quel limite del 3 per cento, che sappiamo essere la nostra spada di Damocle, sono realistici ? È veritiera, secondo lei, l'operazione di contenimento della spesa pubblica o, invece, stiamo nascondendo maggiore spesa pubblica, in termini di aumento della spesa primaria, che un giorno poi scopriremo e certificheremo che avrà ulteriormente dilatato il nostro equilibrio di finanza pubblica ?

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA GIAN CARLO SANGALLI

  MARCO CAUSI. Vorrei porre una domanda di tipo tecnico, che riguarda un punto, credo, molto rilevante della vicenda, concernente le modalità di calcolo dell’output gap. Noi abbiamo perso 10 punti in questi anni, ma ci viene riconosciuto un output gap di 3-4 punti. I modelli con cui si calcola l’output gap sono dunque molto insoddisfacenti, e su questo sicuramente il dottor Signorini sarà d'accordo con me.
  Cosa possiamo fare nelle sedi proprie e, quindi, anche in quelle del dibattito culturale, oltre che nelle sedi di tipo amministrativo e nel confronto con Bruxelles, per sollecitare una modifica di questi modelli ? Con i modelli inerziali che oggi vengono applicati si dà per scontato che una parte rilevante della capacità produttiva che abbiamo perduto in questi anni di crisi sia perduta per sempre e, invece, non è così.
  Io credo che su questo punto si debba intervenire. Quali iniziative, anche in termini di ricerca scientifica e culturale, nonché di lavoro da parte del servizio studi della Banca d'Italia in rapporto anche con i servizi studi delle altre banche del Sistema centrale europeo e con i Parlamenti, si possono attuare ? Vorrei Pag. 13qualche suggerimento su questa questione, che ritengo molto rilevante ai fini poi della definizione degli obiettivi di medio termine (OMT).

  ROBERTO SIMONETTI. Grazie, dottor Signorini, per l'esposizione chiara, dettagliata e certamente fedele di quello che noi ravvisiamo da anni. La situazione italiana, infatti, non è risolta e non ha un futuro roseo, perché ciò che appare dai dati e dalla relazione fa molto pensare.
  Noi ci troviamo in una situazione in cui le politiche economiche attuate nel corso degli ultimi anni hanno portato a una riduzione delle entrate dirette e a un aumento di quelle indirette. Di fatto, quindi, a parità di produzione c’è una maggiore tassazione per il cittadino, che deriva da un aumento dell'imposizione indiretta attraverso l'aumento dell'IVA, mentre la tassazione diretta non aumenta. Ciò significa che, poiché la produzione non aumenta, si fa pagare di più quello che si produceva anche precedentemente.
  Il dato che mi preoccupa, però, è che tutta la politica di rapporto tra deficit e PIL al 2,9 per cento si basi sulla riduzione a 100 punti base, a partire dal 2016, dei differenziali di rendimento dei titoli di Stato decennali rispetto agli analoghi titoli tedeschi, mentre lei giustamente ha evidenziato che nel triennio si arriverà forse a una media di 150 punti, se non addirittura di 170 punti base. La prima domanda è se questo inficia il non superamento del 3 per cento nel rapporto tra deficit e PIL. Questo è un dato sostanziale per tutta una serie di problematiche.
  Allo stesso modo sarebbe interessante capire se, in relazione alle regole di bilancio, la cui applicazione voi cercherete di differire ancora per un anno approvando una risoluzione con procedura rafforzata, verranno poi accolte le tesi che anche una risoluzione con procedura rafforzata potrà sottoporre all'attenzione della Commissione europea.
  Bisognerà vedere se loro valuteranno che esistono questi eventi eccezionali. Eventi eccezionali, a mio avviso, ci sono, come fattispecie, ma, in riferimento alle riforme strutturali, mi sembra che noi deficitiamo un po’ nella difesa di una politica di riforme strutturali attuate dagli ultimi Governi, soprattutto dall'ultimo Governo. Tant’è che anche lei nella relazione accenna – se non ricordo male – a riforme vaghe e indefinite. Più o meno, la relazione che lei ha scritto in riferimento alle riforme in essere raggiunge questa specificazione.
  Un altro punto sul quale è bene riflettere è il discorso della riduzione delle spese, che lei affronta nelle conclusioni. Se con il piano «Buona Scuola» il Governo intende stabilizzare precari per una spesa pari a 3 miliardi di euro, prevedendo nelle annualità successive un aumento delle spese pari all'1 per cento del PIL, non mi sembra che queste siano politiche tese alla riduzione del costo dello Stato. Mi sembra che siano spese più di tipo assistenzialistico e certamente non produttive, come sarebbero invece quelle che lei indica quali spese di investimento, che sarebbero le spese maggiormente perseguibili, comportando ovviamente anche un ritorno economico.
  Il dramma è che saranno gli enti locali e i cittadini a dover sopportare queste politiche. Dico gli enti locali perché per loro il pareggio di bilancio arriva subito, il che imporrà tagli drastici alle amministrazioni locali, che già non hanno più spazi di manovra per la riduzione della spesa corrente, se non un aumento della tassazione, già elevata a causa di altri minori trasferimenti.
  Quanto alla clausola di salvaguardia, dell'entità di 51,6 miliardi di euro nel triennio, come al solito essa diventa una forma di entrata diretta, primaria e risolutiva.
  Ricapitolando, vorrei sapere, quindi, se secondo lei la Commissione europea ci darà la possibilità di scavallare le regole di bilancio, se nella riduzione di spese queste assunzioni sono un buon viatico o meno, e se ci sono delle strade affinché le banche possano consentire di fare investimenti anche alle imprese di minori dimensioni. Lei nella relazione ha detto che queste ultime sono state escluse dal parco delle Pag. 14possibilità di credito, che ha favorito le imprese grandi piuttosto che le piccole. Che cosa si deve attuare, quindi, per fare in modo che anche le piccole imprese possano beneficiare di tali forme di credito ?

  ANTONIO MISIANI. L'audizione considera condivisibili le previsioni tendenziali macro per il biennio 2014-2015 ed è giustamente prudente, a mio parere, sull'impatto possibile di riforme importanti, molte delle quali in via di approvazione e con l'incognita della normativa secondaria da varare.
  Non ritenete che lo 0,1 di scarto tra PIL tendenziale e PIL programmatico nel 2015, a fronte di una manovra netta di 0,7 punti di PIL, e dunque significativamente espansiva, rappresenti una valutazione molto prudenziale ? Usando un moltiplicatore estremamente basso, dello 0,5 per cento, con una manovra di questo genere ci si potrebbe infatti attendere uno scarto tra PIL tendenziale e PIL programmatico più significativo.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  FEDERICO D'INCÀ. Innanzitutto vorrei ringraziare il dottor Signorini, perché a pagina 16 della sua relazione – quando afferma che «le previsioni macroeconomiche incluse nella Nota, pur se nel complesso condivisibili, presentano rilevanti rischi al ribasso» – ha tratto una conclusione che, a mio giudizio, è corretta.
  Penso che sia un'analisi corretta ed io condivido la sua visione. Finalmente così forse parliamo chiaro del Documento di economia e finanza e di quanto nel complesso, tra il Documento di economia e finanza 2014 e la successiva Nota di aggiornamento, in soli sei mesi si cambia completamente opinione su quello che può essere il futuro di un Paese.
  In questi termini, vorrei che lei fornisse una forchetta di quello che considera un possibile ribasso.
  A pagina 10 della sua relazione si accenna alle clausole di salvaguardia che sono riferite a un possibile aumento delle aliquote dell'IVA del 4 e del 10 per cento, relative cioè a beni di prima necessità. Se noi colpissimo questi beni secondo gli importi indicati – pari a 12,4, 17,8 e 21,4 miliardi di euro rispettivamente nel 2016, 2017 e 2018 – a nostro parere ciò comporterebbe sicuramente minori consumi e gravi ricadute economiche.
  Le domando, quindi, di conoscere la forchetta del ribasso secondo lei probabile e una sua valutazione sul contenuto delle pagine 140 e 141 della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, nelle quali sono riportate le previsioni e le analisi sui decreti attuativi e su quanto tempo un decreto attuativo impiega per essere adottato dopo l'approvazione delle leggi da parte del Parlamento. Tali dati non sono infatti disposti all'interno di una struttura grafica corretta e non si comprende bene il ritmo dello stato di attuazione.
  Vorrei un suo parere personale su questo punto specifico, anche perché rispetto ad uno dei decreti attuativi vi è la volontà del Movimento 5 Stelle di modificare il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, creando al suo interno una piccola sezione destinata alle microimprese, in cui noi verseremmo le risorse derivanti dal dimezzamento degli stipendi dei parlamentari del gruppo M5S e dai vari rimborsi, che già equivalgono ad oltre 8 milioni di euro.

  STEFANO FASSINA. Ringrazio il dottor Signorini, cui vorrei chiedere un commento sulla tavola R 2, a mio avviso molto significativa, contenuta a pagina 24 della Nota di aggiornamento e nella quale vengono riportati gli errori sistematici di previsione fatti, oltre che dalle principali istituzioni economiche e dal Governo, anche da previsori «privati».
  La Nota compie un'operazione di trasparenza molto apprezzabile, da cui però non emergono indicazioni o conclusioni di policy coerenti, perché si continua a utilizzare, in linea con il quadro e le indicazioni Pag. 15della Commissione europea, un moltiplicatore molto basso e si attribuisce alle riforme strutturali un effetto relativamente significativo nel breve periodo, con il rischio molto elevato che quello stesso errore di previsione così rilevante, che abbiamo registrato negli ultimi 7-8 anni, si venga a riprodurre anche negli anni successivi.
  A questo punto, non dovrebbe essere considerato un errore di previsione ma il difetto sistematico di un modello che si continua ostinatamente ad applicare nonostante abbia dimostrato sul campo la distanza dalla realtà.
  Non ho altresì sentito, nella sua relazione, alcun riferimento all'evasione fiscale, eppure, come lei sa, la spesa primaria corrente italiana si colloca al di sotto della media dell'Eurozona, mentre la nostra evasione fiscale è pari circa al doppio.
  Vorrei capire, inoltre, perché la Banca d'Italia non considera una variabile rilevante, ai fini dell'aggiustamento della finanza pubblica, anche l'evasione fiscale, dato che essa rappresenta la nostra più significativa anomalia rispetto alla media dell'Eurozona.

  ROCCO PALESE. Signor presidente, non ripeto quello che i colleghi hanno già esposto ma è fin troppo evidente che c’è una grandissima preoccupazione, almeno da parte nostra, sul problema della corrispondenza delle eventuali entrate per il 2015.
  Riteniamo che la preoccupazione possa derivare dal meccanismo innestato di nuovo a una previsione ottimistica della crescita, perché bisogna recuperare uno 0,3 per cento di previsione in riferimento al 2014 e uno 0,5-0,6 per cento per il 2015.
  In tale quadro, grande rilevanza si assegna al possibile effetto positivo delle riforme strutturali, che però ancora non si vedono minimamente, così come si continua a parlare di spending review senza che fino ad oggi ve ne sia traccia alcuna, se non in quanto evocata in relazione al disegno di legge di stabilità per il 2015, e ancora più preoccupante è la questione relativa alle clausole di salvaguardia.
  Tali preoccupazioni sono solo una nostra impressione oppure al riguardo c’è un riscontro anche da parte della Banca d'Italia ? Nella parte conclusiva della relazione si accenna infatti a una preoccupazione in riferimento alla realizzazione di quanto previsto sul fronte delle entrate. Vorremmo sapere qualche cosa di più da questo punto di vista.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Signorini per la replica.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Grazie, presidente. Forse può essere semplice cominciare da quest'ultima domanda, che mi consente anche di rispondere ad osservazioni fatte da altri.
  Come credo di avere detto, non sono tanto le previsioni sulle entrate in sé che ci preoccupano, nella misura in cui queste previsioni sono naturalmente condizionate a un quadro macroeconomico. A suscitare piuttosto qualche preoccupazione, nel senso dei rischi al ribasso che ho sottolineato nella mia presentazione, è precisamente quest'ultimo, ossia il quadro macroeconomico. Bisogna dire che in proposito, effettivamente, tutti i principali previsori dall'inizio dell'anno avevano sopravvalutato la performance specifica dell'Italia, ma direi anche, più in generale, dell'Eurozona.
  Nonostante il miglioramento molto evidente e significativo, a cavallo tra il 2013 e 2014, del clima di fiducia delle imprese, e quindi delle attese che se ne potevano ricavare per quanto riguarda l'attività di investimento – parlo di un miglioramento molto significativo partendo, naturalmente, da una situazione di partenza assai negativa, come sappiamo tutti –, l'attività di investimento è stata tuttavia meno dinamica di quanto si era potuto prevedere.
  Accanto a tale dato c’è stato un andamento meno favorevole del previsto della domanda internazionale, e quindi del contributo al PIL delle esportazioni nette, che Pag. 16nella prima parte di quest'anno si è attestato su valori pari allo zero, o forse anche leggermente negativi, tenuto conto di un minimo di ripresa delle importazioni legate, forse, ad un accumulo di scorte.
  Se dall'osservazione di quanto accaduto negli ultimi sei mesi o nell'ultimo anno, si passa ad esaminare le aspettative per il futuro, e quindi i rischi che possono verificarsi nel quadro macroeconomico, allora occorre tenere in considerazione una serie di fattori che riguardano prima di tutto il contesto internazionale e la possibilità che l'indebolimento della congiuntura nei Paesi emergenti, o almeno in alcuni di essi, si mantenga o addirittura si intensifichi.
  Non dimentichiamo inoltre un punto, che non ho menzionato, tra i tanti che pure avrei potuto citare nel corso dell'audizione, ma che è sicuramente presente, consistente nei rischi cosiddetti geopolitici, ossia nelle situazioni di tensione che non ho bisogno di ricordare a queste Commissioni, le quali per il momento non si sono ancora tradotte, né sui mercati finanziari né in termini di andamenti macroeconomici, in cambiamenti particolarmente evidenti, ma di cui non possiamo nasconderci che l'effetto sarebbe notevole qualora tali cambiamenti si verificassero o le suddette situazioni di tensione si intensificassero. Sono tutte incognite che gravano sull'andamento macroeconomico, che di conseguenza potrebbero gravare anche sulle previsioni relative alla spesa pubblica.
  Ho testé menzionato il quadro esterno, ma potrei parlare anche del quadro interno, benché l'abbia fatto, seppure per sommi capi, nel testo che vi è stato distribuito, e quindi richiamare le questioni relative al mercato del lavoro, al mercato immobiliare, alla fiducia delle imprese ed alle attività di investimento. Specialmente quest'ultimo aspetto, connesso alla necessità che il punto di svolta degli investimenti effettivamente si realizzi da qui a poco, rappresenta ancora un punto interrogativo che grava sulle previsioni.
  Non vorrei tuttavia neanche trasmettere un'impressione che non è quella che voglio: le previsioni macroeconomiche contenute nella Nota di aggiornamento sono più o meno in linea sia con quelle di consenso, elaborate cioè dai previsori privati, sia con quelle delle maggiori istituzioni internazionali. Le previsioni rilasciate recentemente da queste ultime, di cui voi avrete già preso visione, sono più o meno dello stesso ordine di grandezza, quindi non sto dicendo che queste previsioni siano irrealistiche ma che su di esse gravano dei rischi al ribasso, che possono essere elencati e che sono quelli che indicavo prima.
  Sulla questione del quadro macroeconomico, se il presidente me lo consente ed è interesse delle Commissioni, dopo potrei anche cedere la parola al collega Siviero, che potrà fornire qualche delucidazione tecnica ulteriore con riferimento, per esempio, alle domande poste dall'onorevole D'Incà, inclusa quella relativa alla forchetta sui rischi al ribasso.
  Passando alle riforme, mi viene chiesto un giudizio sulla riforma del settore dell'istruzione. Non me la sento di entrare sul tema, ma sui costi sono comunque già state fornite delle indicazioni.
  Vorrei tuttavia sottolineare – lasciando il giudizio su aspetti che non competono certamente alla Banca d'Italia, ma ad altri soggetti, in primo luogo al Parlamento – alcune considerazioni che ho svolto anche in quest'audizione ma che abbiamo rilevato già molte altre volte.
  Da un lato, è cruciale che il disegno complessivo sia percepito come tale. Il fatto di essere concepito e recepito come qualcosa di complessivo aiuta certamente il disegno delle riforme. La funzione fondamentale delle riforme è infatti creare le condizioni per attrarre allo stesso modo gli investimenti interni e quelli esteri, ragion per cui percepire un disegno complessivo, un momento di svolta costituisce un aspetto essenziale. Deve essere chiaro come i vari pezzi si incastrano in un disegno di questo genere.
  Dall'altro lato – ed è una considerazione che ho svolto alla fine della relazione – è importante attuare una significativa ricomposizione del bilancio pubblico Pag. 17privilegiando le spese, in particolare quelle per le infrastrutture, che sono più direttamente collegate alla creazione di un ambiente favorevole agli investimenti.
  Sulla questione del cuneo fiscale e dei motivi per cui tecnicamente rientri tra le minori entrate o le maggiori spese, lascerò tra un attimo la parola al mio collega Momigliano.
  Quanto alla maggiore spesa primaria prevista, questo è un punto piuttosto interessante in quanto illustra una questione cui pure ho accennato. Al riguardo, rinvio alla pagina 8 del testo che vi è stato distribuito, in cui si fa riferimento all'andamento della spesa primaria: la spesa primaria aumenterebbe dell'1,3 per cento ma, al netto delle prestazioni sociali, principalmente delle pensioni, si contrarrebbe dello 0,7 per cento.
  Questo passaggio illustra una delle questioni tecnicamente un po’ più delicate, ma anche cruciali e importanti. Le varie riforme previdenziali hanno fatto sì che nel medio e nel lungo periodo la sostenibilità dei bilanci pubblici italiani si sia notevolmente accresciuta. Questo, come ho già detto nel corso di quest'audizione, è un dato di fatto, oggettivo, riconosciuto dalle analisi della Commissione europea, naturalmente sempre ammettendo che ci sia nel lungo periodo una minima crescita reale del prodotto. Tuttavia, come spesso accade in questo genere di cose, gli effetti non sono immediati, anzi possono addirittura, in qualche caso, essere negativi in una prima fase e positivi solo successivamente.
  Nel caso delle riforme pensionistiche, sebbene non si arrivi a questo, è chiaro che nella fase iniziale il funzionamento, la meccanica, il trascinamento delle vecchie regole fa ancora sì che l'aumento delle spese pensionistiche continui a sopravanzare considerevolmente quello delle altre spese primarie, che, anzi, non sono in aumento ma in diminuzione.
  Traggo occasione da ciò per sottolineare il fatto che, come dicevo, due sono gli argomenti che possono essere utilizzati per argomentare l'ammissibilità di uno scostamento dal benchmark. Uno è quello della situazione congiunturale, che non ha forse bisogno di molte altre illustrazioni; l'altro è quello delle riforme, purché esse non si identifichino semplicemente con l'etichetta «riforme» in quanto tale.
  È necessario che, ai fini dell'utilizzo di questo motivo di potenziale scostamento dagli obiettivi e dal benchmark, si possano quantificare e verificare, da un lato, le maggiori spese che la riforma può comportare nel breve periodo e, dall'altro, l'impatto a regime di lungo termine che queste riforme possono recare, non solo in termini di miglioramento delle prospettive di crescita per l'economia ma anche, più specificamente, ed è questo l'aspetto che deve essere verifiable, in termini di sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica. A tale riguardo, credo che sia opportuno fare in modo che, nella misura in cui si vuole utilizzare questo argomento, esso sia ben quantificato e tecnicamente ben specificato.
  L'onorevole Causi domandava invece come viene calcolato l’output gap: si tratta di una questione cui è molto difficile rispondere in termini non solo, per così dire, amministrativi, ma anche analitici.
  L’output gap si riferisce al prodotto potenziale, che è un concetto non osservabile direttamente, con tutte le difficoltà e i problemi di misura che si possono riscontrare per variabili come la produzione industriale, il PIL o i prezzi. Si tratta pur sempre di situazioni che, una volta definite operativamente, si possono misurare. Si misurano con metodi statistici, che non saranno mai perfetti, con approssimazioni o con stime, ma c’è un benchmark preciso sia dal punto di vista concettuale che dal punto di vista metodologico, che consente di arrivare a delle definizioni molto precise.
  Il prodotto potenziale, anche dal punto di vista concettuale, è un po’ più sfuggente. Dal punto di vista delle metodologie statistiche ed econometriche utilizzate per definirlo, si presta effettivamente a valutazioni potenzialmente divergenti, soprattutto – questo è particolarmente rilevante Pag. 18nel campo che ci interessa – per i periodi più recenti e in vicinanza di un'inversione ciclica.
  Onestamente devo dire che non credo che tali aspetti abbiano una soluzione scientifica, econometrica e statistica univoca.
  D'altra parte, non è scritto nelle tavole della legge come si deve calcolare esattamente l’output gap. Ci sono prassi applicative e ci sono prassi di calcolo da parte della Commissione europea e delle altre autorità europee. Su queste prassi si può certamente argomentare. Il punto fondamentale è che l'eccezione nei confronti del rispetto del benchmark deve derivare da condizioni eccezionali che riguardino anche una recessione. Su questo ci sono sicuramente argomenti validi.
  Temo di aver tralasciato qualche domanda, ma rimango a disposizione delle Commissioni per eventuali successive richieste di chiarimenti.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare per la sua disponibilità il vicedirettore Signorini, invito il dottor Siviero e il dottor Momigliano a darci, sinteticamente, alcune risposte connesse ai quesiti che il dottor Signorini vi aveva chiesto di approfondire.

  STEFANO SIVIERO, capo del servizio congiuntura e politica monetaria della Banca d'Italia. Sulla questione dei rischi connessi alle previsioni della Nota di aggiornamento, come ha già sottolineato il dottor Signorini, esse in realtà non sono molto diverse né da quelle delle principali istituzioni internazionali né da quelle dei maggiori previsori privati.
  A titolo di esempio, guardando a due dei previsori più recenti, uno privato e uno internazionale, Confindustria è appena più cauta e stima la crescita del PIL per l'anno prossimo allo 0,5, mentre il Fondo monetario internazionale è lievemente più ottimista e la stima allo 0,8. Ovviamente ci sono differenze nella composizione, però non sono molte.
  Vorrei sottolineare che la previsione del deflatore del PIL nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 è più bassa di quella di entrambi i previsori che ho testé citato. Ciò ovviamente conta per il rapporto tra debito e PIL. In questo caso si potrebbe dire che è particolarmente cauto.
  Naturalmente non si possono escludere rischi, però al momento non mi pare che se ne configurino di superiori rispetto a quelli di tutti gli altri quadri.

  SANDRO MOMIGLIANO, titolare della divisione finanza pubblica della Banca d'Italia. Rispondo brevemente su come classificare il bonus di 80 euro. Vi do una spiegazione, ma tenete conto che è l'ISTAT a classificare un provvedimento tra le entrate o tra le spese. Noi abbiamo una competenza metodologica soprattutto sulle questioni che attengono al debito e non al conto economico della pubblica amministrazione.
  Comunque, occorre osservare che una piccola parte degli sgravi si caratterizzano come trasferimenti, perché si rivolgono a una platea di contribuenti che, in quel caso, sarebbero incapienti. È un piccolo pezzo dell'intero sgravio, ma questo basta nella prassi attuale – e nelle applicazioni statistiche vi sono altri esempi – a classificare l'intero sgravio tra le spese.
  Si dovrebbe comunque dare più rilevanza al merito del provvedimento piuttosto che a questo aspetto contabile, perché a volte una classificazione tra entrate o spese ha una ragione statistica più che economica.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Signor presidente, mi consenta una battuta solo per richiamare una cosa che non ho avuto il tempo di dire prima, in modo da dissipare un equivoco. Certamente non è che la Banca d'Italia non consideri rilevante il fenomeno dell'evasione fiscale, e il fatto di non averlo specificamente menzionato questa volta non vuol certo dire questo; anzi, al riguardo l'importanza morale, oltre che economica e finanziaria, dell'evasione fiscale è stata sottolineata tante volte.
  Da questo punto di vista, la nostra opinione è che, ad esempio, nell'attuazione Pag. 19della delega fiscale in particolare, ma comunque nel complesso dell'azione, questo grave problema debba essere senz'altro affrontato. Lo dico solo per dissipare un potenziale equivoco in proposito.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti della Banca d'Italia per l'esauriente contributo fornito ai lavori delle Commissioni e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
  Ringrazio il presidente Giorgio Alleva e l'intera delegazione ISTAT composta da Roberto Monducci, direttore del Dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche, Emanuele Baldacci, direttore del Dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e ricerca, Linda Laura Sabbadini, del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali, Giampaolo Oneto, direttore della Direzione della contabilità nazionale, Patrizia Cacioli, direttore della Direzione per la diffusione e la comunicazione dell'informazione statistica e Stefania Rossetti, della Segreteria per il coordinamento tecnico-scientifico e le relazioni istituzionali e internazionali.
  Do la parola al presidente Giorgio Alleva.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Grazie, presidente, buonasera a tutti. In questa audizione illustrerò alcuni elementi conoscitivi aggiornati sull'andamento dell'economia italiana, insieme a un'analisi dei rischi sulle previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF e di parte degli effetti della manovra di finanza pubblica.
  Queste valutazioni si basano su un quadro informativo ancora incompleto, che sarà ulteriormente delineato con il disegno di legge di stabilità, a seguito del quale l'Istituto potrà effettuare, ove necessario, alcune valutazione dell'impatto dei provvedimenti adottati nello scenario programmatico di finanza pubblica.
  È da ricordare che la Nota di aggiornamento è stata redatta prendendo come riferimento i nuovi conti nazionali, che sono coerenti con il Regolamento SEC 2010, la stima dei quali è stata anticipata dall'ISTAT rispetto alla prima calendarizzazione, proprio al fine di consentire l'esercizio di previsione.
  D'altro canto, la sovrapposizione delle scadenze normative con quelle programmate e concordate per la produzione delle statistiche di contabilità nazionale non ha consentito di incorporare il quadro dei conti aggiornato al secondo trimestre dell'anno, che verrà diffuso solo dopodomani, il 15 ottobre.
  Preliminarmente alla mia relazione, vorrei segnalare con soddisfazione due elementi di novità: la presenza, nella Nota di aggiornamento, degli scenari previsionali tendenziale e programmatico, che rende più trasparente la valutazione degli effetti degli interventi ipotizzati; la validazione indipendente delle previsioni macroeconomiche e la valutazione degli andamenti di finanza pubblica da parte dell'Ufficio parlamentare di bilancio, al quale l'ISTAT fornisce supporto metodologico in base a uno specifico accordo.
  Quanto alla congiuntura internazionale, l'andamento dell'economia internazionale, pure orientato a una crescita moderata dell'attività del commercio mondiale, si caratterizza per una forte crescente disomogeneità tra aree economiche. Nel secondo trimestre dell'anno, il PIL è cresciuto del 4,6 per cento in termini annualizzati negli Stati Uniti, mentre è rimasto stazionario nell'area dell'euro, riflettendo la debolezza degli investimenti e gli effetti delle misure di contenimento della spesa pubblica.
  In settembre, l'indice sintetico coincidente sull'attività dell'UEM Euro-coin, calcolato Pag. 20dalla Banca d'Italia, pur restando positivo, è sceso al livello più basso da un anno. Anche il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le stime di crescita per l'area euro per l'anno corrente e il 2015. I segnali più recenti, infatti, indicano un andamento modesto, o negativo, dell'attività nelle maggiori economie dell'Unione.
  In particolare, ad agosto la produzione industriale ha segnato un brusco calo congiunturale in Germania, -4 per cento, accompagnato da una discesa del 4,9 per cento degli ordinativi, mentre è rimasta stazionaria in Francia e leggermente aumentata in Italia, +0,3 per cento, dove però l'indice continua a stagnare intorno ai livelli minimi della primavera del 2013.
  D'altra parte, uno stimolo alla competitività di prezzo può avvenire dal deprezzamento del tasso di cambio dell'euro negli ultimi cinque mesi, pari a oltre il 7 per cento nei confronti del dollaro e a quasi il 9 per cento sullo yuan cinese, e ancora maggiore in termini reali se si considera la disinflazione in atto nell'UEM.
  Parallelamente, spinta dall'indebolimento delle prospettive di crescita globali e dagli aumenti produttivi, è proseguita la discesa del prezzo del petrolio. Le quotazioni del brent sono scese da circa 110 dollari al barile, nella prima parte dell'anno, fino a meno di 90 dollari, sui minimi dal 2010.
  Relativamente all'economia italiana, dopo un moderato recupero a fine 2013, nella prima parte dell'anno corrente essa è tornata a contrarsi, sia pure a ritmo ridotto. Nel secondo trimestre 2014, il livello del PIL è risultato inferiore del 4,8 per cento rispetto a quello registrato nello stesso periodo di tre anni prima, alla vigilia dell'avvio dell'attuale recessione. Nel corso del 2014, il deterioramento dei ritmi produttivi ha riflesso sia la carenza di domanda interna, aggravata dalla contrazione degli investimenti, sia il rallentamento delle esportazioni associato a quello del commercio mondiale.
  Dal lato dell'offerta, nel primo semestre del 2014 è tornato a contrarsi il valore aggiunto dell'industria in senso stretto, -0,4 per cento congiunturale nella media dei due trimestri, interrompendo il recupero della seconda parte del 2013, e si è accentuato il deterioramento delle attività nelle costruzioni, circa lo 0,9 per cento nel primo e nel secondo trimestre dell'anno in corso.
  Nel settore servizi prevale, invece, una sostanziale stazionarietà, dopo due incrementi consecutivi a cavallo del nuovo anno, con differenze modeste tra comparti. Le attività creditizie, immobiliari e dei servizi professionali sono l'unico comparto finora ad aver chiuso la fase recessiva.
  Le informazioni disponibili più recenti segnalano un andamento incerto dell'attività nei mesi estivi. Qualche segnale positivo viene dalla produzione industriale, che ad agosto ha registrato incrementi congiunturali significativi in tutti i principali settori, ad eccezione di quello energetico.
  D'altra parte, a settembre, l'indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane è ancora diminuito, portandosi sui livelli di fine 2013 e confermando l'incertezza del quadro congiunturale e delle prospettive.
  Con riferimento alle componenti di domanda, nella prima metà dell'anno è leggermente ripresa la crescita della spesa per consumi delle famiglie, +0,1 per cento il rialzo congiunturale nei due trimestri, con incrementi significativi della spesa per beni durevoli, rispettivamente +0,9 e +0,6 per cento, e un ritorno in positivo, per la prima volta dal secondo trimestre del 2011, della variazione tendenziale dell'indicatore.
  Il lieve recupero dei consumi è associabile soprattutto ai comportamenti dei consumatori. Nel primo trimestre, in presenza di una stasi del reddito disponibile e del potere d'acquisto, la spesa è stata finanziata attraverso l'uso del risparmio, la cui propensione è diminuita di circa due decimi.
  L'indice di fiducia dei consumatori, sceso rapidamente dopo il picco dello scorso maggio, è tornato a crescere leggermente Pag. 21a settembre, sintetizzando un progresso marcato nel Nord-Est e un peggioramento nel Mezzogiorno e nel Nord-Ovest, soprattutto delle attese sul clima futuro.
  Segnali che confermano un incremento della dinamica dal lato dei consumi provengono anche dall'aumento della percentuale di consumatori che dichiarano di aver fatto ricorso al credito al consumo e di quella di coloro che ritengono il ricorso a tale forma di finanziamento degli acquisti più conveniente che nei mesi precedenti.
  La domanda interna nella prima parte dell'anno è stata frenata da una marcata contrazione degli investimenti fissi lordi, pari a circa l'1 per cento sia nel primo sia nel secondo trimestre del 2014, la cui debolezza è estesa a tutte le componenti e riflette il perdurare dell'incertezza sulla domanda e i livelli ancora bassi di utilizzo della capacità produttiva.
  D'altra parte, a settembre 2014 si conferma l'attenuazione delle tensioni creditizie sulle imprese in atto dalla seconda metà del 2013, con una riduzione del razionamento del credito soprattutto per le imprese dei servizi, mentre permangono difficoltà di accesso al credito per le piccole imprese nella manifattura.
  Passiamo al mercato del lavoro. La contrazione dell'occupazione in atto dal secondo trimestre del 2012 si è arrestata nel corso del 2014, ma l'evoluzione congiunturale è caratterizzata da dinamiche ancora deboli ed eterogenee tra settori sul territorio e tra i diversi gruppi.
  Nei primi due trimestri del 2014 il numero di occupati rimane stabile in termini congiunturali e il tasso di occupazione si mantiene al 55,5 per cento dal terzo trimestre 2013. Nei mesi estivi l'andamento è stato altalenante e la disoccupazione permane su livelli elevati (12,3 per cento delle forze di lavoro), soprattutto per la componente giovanile (44,2 per cento). A settembre le previsioni formulate dagli imprenditori sulle tendenze dell'occupazione per i successivi tre mesi mostrano segnali di miglioramento solo nei servizi.
  L'occupazione nell'industria in senso stretto, nel secondo trimestre 2014, ha continuato il recupero (più 0,7 per cento congiunturale, concentrato nella componente maschile) osservato, a livelli più bassi, già nei tre trimestri precedenti, mentre si è accentuata la contrazione nelle costruzioni ed è diminuita anche l'occupazione nel terziario. A questi andamenti sono corrisposti una ripresa dell'occupazione maschile e un indebolimento relativo della componente femminile, meno toccata in precedenza dalla crisi.
  Sul territorio nel secondo trimestre si evidenzia la divaricazione tra l'andamento moderatamente positivo dell'occupazione nel Centro (più 0,8 per cento) e nel Nord (più 0,3 per cento) e la diminuzione, seppur più attenuata rispetto ai trimestri precedenti, nel Mezzogiorno (meno 1,5 per cento), dove il tasso di occupazione è intorno al 42 per cento, contro il 64 per cento del Nord.
  Le informazioni dall'indagine sulle ore lavorate nelle imprese con più di 10 dipendenti, nel secondo trimestre dell'anno, segnalano progressi modesti e incerti dell’input di lavoro, con un recupero delle ore lavorate nei servizi di mercato e un calo nell'industria. Analogamente, le ore lavorate per dipendente, dopo un recupero congiunturale dello 0,6 per cento nel primo trimestre del 2014, si sono leggermente ridotte, mentre il tasso di posti vacanti permane su livelli molto bassi.
  Considerando le variazioni tendenziali dei dati grezzi, nel primo semestre 2014 il ritmo di discesa degli occupati rallenta decisamente rispetto al primo semestre 2013. La riduzione dell'occupazione ha nuovamente riguardato i giovani 15-34enni e i 35-49enni, cui si contrappone la nuova crescita degli occupati ultracinquantenni.
  Continua a crescere l'occupazione part-time, la cui incidenza sugli occupati arriva al 18,4 per cento, ma non cresce il part-time finalizzato alla conciliazione dei tempi di vita, nonostante permangano i problemi di conciliazione, soprattutto per le lavoratrici madri.
  Passiamo alle condizioni economiche delle famiglie e alla povertà. L'intensità e Pag. 22la persistenza della crisi economica hanno ampliato la disuguaglianza dei redditi delle famiglie, l'area della povertà e della deprivazione materiale.
  Dopo la crescita già avvenuta nel 2012 il numero di persone in condizioni di povertà assoluta, che non sono in grado di acquistare il paniere di beni e servizi essenziali per una vita dignitosa, nel 2013 è cresciuto di un milione 206 mila unità, raggiungendo il numero di oltre 6 milioni di persone, pari a circa il 10 per cento della popolazione. La metà di queste risiede nel Mezzogiorno, dove, tra il 2012 e il 2013, l'incidenza della povertà è cresciuta dall'11,3 per cento al 14,8 per cento.
  Le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione sono il gruppo più vulnerabile, con un aumento di incidenza della povertà assoluta dal 23,6 al 28 per cento. Per ulteriori dettagli, si veda il dossier distribuito.
  Passiamo ora all'andamento dei prezzi. Nel corso del 2014 la dinamica dei prezzi al consumo ha continuato a rallentare, segnando una contrazione su base annua (- 0,1 per cento) nei mesi di agosto e di settembre.
  Come evidenziato nel documento di approfondimento sui prezzi, rispetto alla disinflazione occorsa a cavallo tra il 2008 e il 2009, favorita da una forte diminuzione dei costi dell'energia, l'evoluzione recente dei prezzi si qualifica per il quadro persistentemente sfavorevole della domanda. Questa è verosimilmente alla base dell'ampliarsi della diffusione di ribassi tendenziali nei listini al consumo, che a settembre ha toccato il 29,1 per cento dei prodotti nel paniere.
  L'andamento attuale riflette principalmente la flessione dei prezzi dei beni, cui contribuiscono le riduzioni dei prezzi all’import in atto dai primi mesi del 2013. Tuttavia a settembre anche l'inflazione nei servizi è rallentata fino allo 0,6 per cento annuo e l'inflazione di fondo, misurata al netto di alimentari non lavorati e prodotti energetici, fino allo 0,5 per cento.
  Per quanto il fenomeno sia esteso a tutti i Paesi dell'area euro, il processo di disinflazione si è manifestato con maggiore intensità nel nostro Paese. Il differenziale inflazionistico tra l'Italia e l'UEM, negativo dalla seconda metà del 2013, si è progressivamente ampliato, portandosi a – 0,6 punti percentuali ad agosto.
  I ribassi dei listini dei beni importati sono stati recepiti in misura maggiore nella prima fase di formazione dei prezzi dei prodotti industriali. I prezzi alla produzione dei prodotti venduti sul mercato interno, in flessione dell'1,3 per cento nel 2013, ad agosto hanno segnato una riduzione tendenziale del 2 per cento.
  Questi sviluppi, nonostante il recente deprezzamento dell'euro, rendono possibile il permanere nei prossimi mesi dell'inflazione italiana su livelli vicini allo zero, come indicato anche dal nostro modello di previsione economica a breve termine.
  In questo quadro, nel corso del 2014 è continuata ad aumentare la percentuale dei consumatori che si attendono per i prossimi dodici mesi una diminuzione o la stazionarietà dei prezzi.
  Passiamo al commercio con l'estero. Nei primi sette mesi del 2014 il valore dell'esportazione di beni è cresciuto dell'1,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013, mentre l’import è diminuito dell'1,7 per cento, anche grazie alla discesa dei prezzi dell'energia. Il saldo è stato pari a 24,2 miliardi di euro, in aumento di 6,5 miliardi rispetto al 2013.
  Questi risultati sono stati realizzati in un quadro di debolezza del commercio internazionale. La quota dell'Italia sull'esportazione dell'UE 28 ha segnato un leggero progresso dall'8,6 all'8,7 per cento e quella sulle esportazioni mondiali si è mantenuta poco sotto il 3 per cento.
  Le esportazioni italiane sono aumentate a ritmi meno elevati rispetto a quelle della Germania, cresciute del 3,4 per cento. All'opposto, l'andamento è stato migliore in confronto a quelle della Francia, diminuite dell'1,1 per cento, e a quelle della Spagna, rimaste stazionarie.
  Dal punto di vista delle destinazioni, la crescita dell’export è la risultante di un incremento del 3,9 per cento delle vendite dirette verso i Paesi dell'Unione europea e Pag. 23di una flessione dell'1,9 per cento di quelle extra UE. Quest'ultimo risultato risente della caduta degli acquisti da parte dei Paesi produttori di energia (Russia e OPEC) e dell'America Latina, mentre le esportazioni verso la Cina sono cresciute del 7,9 per cento e quelle verso gli Stati Uniti del 9,5 per cento, con una tendenza espansiva, diffusa a diversi prodotti, che si conferma anche nella prima parte del 2014.
  Dal punto di vista merceologico, merita di essere notato che nel corso della crisi si sono verificati un ulteriore sviluppo delle esportazioni agroalimentari, chimiche e soprattutto farmaceutiche, un recupero delle vendite di pelletteria e il contenimento della caduta nel tessile-abbigliamento, proseguiti anche nel corso del 2014. D'altro canto, va segnalata la caduta recente delle esportazioni metallurgiche e metalmeccaniche, dopo un periodo di sostanziale crescita.
  Il traino della domanda estera sull'attività non è stato uniforme sul territorio. Nelle regioni del Centro-Nord, tranne il Friuli Venezia Giulia e la Valle d'Aosta, le esportazioni hanno superato in valore i livelli pre-crisi, mentre nel Mezzogiorno solo in Puglia e Campania le esportazioni hanno recuperato pienamente i massimi.
  Veniamo ora ad alcune valutazioni sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza e gli obiettivi di finanza pubblica. Le previsioni tendenziali degli indicatori di finanza pubblica contenute nella Nota di aggiornamento al DEF sono state riviste rispetto allo scorso aprile per tenere conto del peggioramento del contesto macroeconomico nazionale e internazionale, della recente evoluzione dei mercati finanziari, delle leggi approvate nel corso dell'estate e delle modifiche introdotte dal nuovo sistema dei conti nazionali.
  Esse indicano una riduzione dell'indebitamento netto della PA dal 3 per cento del PIL nel 2014 allo 0,8 per cento del PIL nel 2018, e un saldo strutturale di bilancio che si mantiene negativo intorno a mezzo punto percentuale del PIL per l'intero orizzonte di previsione. Considerando la contrazione dell'attività economica nel 2014 e la crescita modesta prevista per il successivo biennio, il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio richiederebbe per il 2015 una manovra restrittiva, stimata dal Governo pari a 0,9 punti percentuali di PIL.
  Secondo le valutazioni espresse nella Nota di aggiornamento del DEF, tale manovra sarebbe di entità tale da compromettere l'avvio della ripresa e lo stesso raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. In tale contesto il Governo rimanda al 2017 il raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio strutturale, sfruttando i margini di flessibilità previsti in presenza di circostanze eccezionali e mantenendo l'indebitamento netto entro il limite del 3 per cento del PIL.
  Il quadro programmatico presentato nella Nota di aggiornamento incorpora l'impatto di misure che verranno indicate in dettaglio nella legge di stabilità e assume un ampliamento del disavanzo di bilancio nel 2015 rispetto al tendenziale, compensato dal successivo, graduale aggiustamento fiscale.
  Come già accennato, per la prima volta la Nota consente un'analisi macroeconomica comparativa delle dinamiche tendenziali e programmatiche. Rispetto al quadro tendenziale, per il 2015, la manovra programmata determina un ampliamento dell'indebitamento netto per 0,7 punti percentuali del PIL, dal 2,2 al 2,9 per cento.
  Negli anni successivi, invece, il quadro programmatico include l'impatto delle misure di bilancio previste dalla clausola di salvaguardia, che, in assenza di misure di riduzione di spesa, si concretizzerebbero in un significativo aumento delle imposte indirette, pari a 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018.
  Il quadro programmatico incorpora infine gli effetti di riforme strutturali non ancora attuate, che dovrebbero manifestarsi in modo contenuto nella seconda parte del periodo di previsione, e di un piano di privatizzazioni, che dovrebbe generare Pag. 24annualmente proventi pari a circa lo 0,7 per cento del PIL, analogamente a quanto annunciato già in aprile.
  I provvedimenti fiscali, l'attuazione delle riforme strutturali e il conseguente miglioramento della crescita economica rispetto allo scenario tendenziale determinerebbero una progressiva riduzione dell'indebitamento netto in rapporto al PIL, che raggiungerebbe lo 0,2 per cento nel 2018 – 6 decimi di punto al di sotto delle stime tendenziali – e il miglioramento del saldo strutturale già dal 2016, con il raggiungimento del pareggio nel 2017.
  Le previsioni a breve dell'Unione economica e monetaria. Secondo le previsioni di consenso elaborate congiuntamente a fine settembre da IFO, INSEE e ISTAT, nell'UEM l'attività economica registrerà una ripresa modesta nei prossimi mesi, frenata da tensioni geopolitiche che penalizzeranno il clima di fiducia degli investitori e, nonostante il deprezzamento del cambio, le esportazioni. In base a questo scenario, il PIL dell'area euro crescerebbe dello 0,2 per cento nel terzo e nel quarto trimestre, per poi accelerare lievemente nel primo trimestre del 2015, più 0,3 per cento.
  Il progressivo miglioramento della domanda interna costituirebbe il principale fattore trainante della ripresa, gli investimenti fissi lordi tornerebbero a crescere, stimolati dalle migliorate condizioni di liquidità, dal più basso costo del capitale e dalla necessità di ricostituire la capacità produttiva, persa a causa del lungo ciclo recessivo. Le prospettive per i consumi privati rimangono moderatamente positive e in linea con un graduale miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro.
  In Italia l'indicatore composito anticipatore, aggiornato tenendo conto delle informazioni più recenti, è tuttavia in rallentamento, suggerendo il proseguo dell'attuale fase di debolezza del ciclo economico nel terzo trimestre dell'anno.
  Secondo il modello di previsione di breve termine dell'ISTAT, l'andamento trimestrale del PIL italiano, corretto per gli effetti di calendario, dovrebbe segnare un lieve calo nel terzo trimestre del 2014, -0,1 per cento, seguìto da una debole variazione positiva nel quarto trimestre, +0,1 per cento. Per effetto di tale dinamica, per il 2014 si prevede una flessione annuale del PIL dello 0,3 per cento rispetto al 2013. Questi risultati sono in linea con la previsione contenuta nella Nota di aggiornamento del DEF 2014.
  L'evoluzione dell'economia italiana nel 2014 risentirebbe del contributo negativo delle componenti interne di domanda, solo in parte controbilanciato dall'apporto di quella estera netta. In particolare, la spesa finale nazionale sottrarrebbe circa 0,5 punti percentuali alla dinamica del PIL, con un apporto negativo degli investimenti lordi per circa 4 decimi e uno positivo dei consumi privati per circa 2 decimi. Le esportazioni nette offrirebbero un contributo positivo per 0,2 punti, molto inferiore rispetto al 2013, in cui avevano registrato +0,8 punti percentuali, mentre l'apporto delle scorte risulterebbe ancora negativo in media d'anno.
  Con riferimento al medio periodo e alla quantificazione dei rischi, nelle previsioni tendenziali per il periodo 2015-2018 contenute nella Nota, si ipotizza una dinamica modesta del PIL nel 2015, +0,5 per cento, e una lieve accelerazione della crescita negli anni successivi.
  Questo quadro è legato alle ipotesi tecniche sulle variabili esogene e internazionali – tasso di crescita del commercio internazionale, prezzo del petrolio e cambio dollaro-euro – disponibili al 17 settembre. In particolare, si ipotizza una crescita del commercio mondiale pari al 4 per cento nel 2014, al 5,1 per cento nel 2015 e lievemente superiore nel triennio 2016-2018.
  Si ipotizza che il prezzo del petrolio si stabilizzi a 104,7 dollari al barile nel 2014 e a 98,5 dollari al barile nel periodo successivo, mentre il cambio dollaro-euro è previsto a 1,34 nel 2014 e a 1,294 nel quadriennio successivo.
  Allo scopo di valutare la sensitività dei risultati del quadro definito dalla Nota al variare delle ipotesi sulle variabili esogene, sono stati misurati da parte dell'ISTAT gli effetti macroeconomici di un maggior deprezzamento Pag. 25dell'euro, di una crescita più contenuta del commercio internazionale e di una ripresa del prezzo del petrolio. Un ulteriore approfondimento ha riguardato la contrazione degli investimenti e gli effetti di un taglio del costo del lavoro a carico delle imprese. Le analisi descritte sono state realizzate utilizzando il modello macroeconomico sviluppato dall'ISTAT, modello MeMo-It.
  Relativamente ai risultati delle simulazioni sulle esogene per il 2015, l'ipotesi di un tasso di cambio dell'euro a un livello di 1,26 dollari nel 2015 avrebbe un effetto positivo sulle esportazioni e, di riflesso, sul PIL. Rispetto allo scenario presentato nella Nota, in media d'anno si avrebbe un aumento di 0,8 punti percentuali dell’export e, per conseguenza, un lieve aumento degli investimenti, +0,1 punti percentuali, una leggera riduzione della disoccupazione, -0,1 punti percentuali, e una maggiore crescita del PIL di 0,3 punti percentuali.
  D'altra parte, una crescita più modesta del commercio mondiale, pari al 4 per cento, unitamente a un prezzo medio del petrolio pari a 103 dollari al barile annullerebbero completamente l'impatto positivo sulla crescita derivante dal deprezzamento del cambio.
  Quanto alla contrazione degli investimenti, oltre alla riduzione delle prospettive di crescita mondiale che hanno condizionato l'esportazione, il nuovo quadro previsionale tendenziale contenuto nella Nota di aggiornamento rivede significativamente l'andamento degli investimenti rispetto al DEF. Mentre ad aprile gli investimenti erano previsti crescere del 2 per cento nel 2014, la stima attuale indica una contrazione del 2,1 per cento.
  La forte riduzione degli investimenti non trova un'immediata spiegazione negli attuali livelli di liquidità e di incertezza che avevano caratterizzato la riduzione del processo di accumulazione del capitale fino al 2013. Come segnalato nella Nota, l'intensità della crisi sembra effettivamente aver minato profondamente i comportamenti delle imprese, riducendone la propensione all'investimento.
  Accanto alle riforme strutturali, tra cui quella del mercato del lavoro, la Nota specifica il ruolo dell'Italia quale Paese sostenitore di una politica comune di investimenti in infrastrutture coordinata tra i partner europei e la necessità di introdurre misure per favorire un aumento della propensione a investire.
  Per quest'audizione l'ISTAT ha valutato l'impatto sulle previsioni tendenziali di una riduzione permanente dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro, corrispondente, nella simulazione esemplificativa, a una riduzione ex ante di gettito pari a un punto percentuale di PIL nel primo anno. Secondo i risultati delle simulazioni, l'effetto di questa misura sulla crescita del PIL sarebbe positivo, con un incremento aggiuntivo di 0,2 punti percentuali annui a partire dal secondo anno della simulazione.
  Più significativo è l'impatto previsto sull'occupazione – sia diretto, attraverso un aumento della domanda derivante dalla riduzione del costo del lavoro, sia attraverso l'aumento della crescita economica – fino all'1,6 per cento in più di occupati nel terzo anno. La manovra favorirebbe una ripresa progressiva dei consumi e soprattutto degli investimenti, che aumenterebbero di 0,9 punti percentuali aggiuntivi nel terzo anno, anche grazie alla componente residenziale.
  L'effetto di competitività sul canale estero, per l'aumento delle importazioni, nel periodo considerato è trascurabile. D'altro canto, anche tenendo conto degli effetti espansivi sull'economia, il provvedimento risulta avere un costo per la finanza pubblica, con un aggravio dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari allo 0,8 per cento del PIL nel primo anno e allo 0,6 per cento del PIL nei due anni successivi.
  Passiamo all'impatto della manovra e al bonus IRPEF.
  In base alle prime indicazioni contenute nello scenario programmatico presentato nella Nota di aggiornamento è possibile analizzare in via preliminare l'effetto distributivo del provvedimento di finanziamento del bonus IRPEF per il Pag. 262015. Le analisi condotte con il modello di microsimulazione «famiglie» dell'ISTAT, dettagliate nel dossier distribuito, mostrano che la misura porterebbe a una lieve riduzione della disuguaglianza economica e del numero di poveri: circa 97.000 famiglie povere in meno rispetto allo scenario base del 2015. La spesa complessiva annuale per il bonus IRPEF andrebbe a beneficiare individui per circa due terzi in famiglie con redditi medio-alti e avrebbe un'incidenza di beneficiari maggiore tra coppie con figli.
  Nei prossimi giorni, con la presentazione del disegno di legge di stabilità, saranno noti i dettagli della manovra e ciò consentirà all'ISTAT di fornire nuove simulazioni degli effetti, anche macroeconomici, dei provvedimenti del Governo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Alleva.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIULIO MARCON. Ringrazio il professor Alleva per questa relazione e per i materiali corposi che ci ha voluto consegnare. Molte delle considerazioni ci aiutano anche a comprendere meglio la portata e la dimensione della Nota di aggiornamento.
  Io vorrei soffermarmi solo su un punto, visto che siamo costretti alla brevità. Il punto è quello che lei ricordava alla fine e che riguarda gli effetti del bonus IRPEF.
  Nella consapevolezza di noi parlamentari c’è sempre stata una considerazione relativamente alle indicazioni e alle informazioni che il Governo ci forniva sugli effetti redistributivi di questa misura verso la parte più bisognosa e comunque verso le famiglie con maggiori difficoltà ad affrontare gli effetti della crisi. Nella sua considerazione e negli allegati che lei ci propone c’è, invece, una segnalazione sul fatto che per due terzi gli effetti di questo bonus vanno a individui che appartengono a famiglie con redditi medio-alti.
  Vorrei chiederle se può approfondire, anche con ulteriori informazioni, quest'affermazione, per fornirci anche maggiori strumenti nel ridiscutere eventualmente non solo gli effetti di questa misura, ma anche la correzione nella sua applicazione rispetto a eventuali modifiche che il decreto potrà avere nei prossimi mesi.

  FEDERICO D'INCÀ. Anch'io voglio collegarmi a quanto detto dall'onorevole Marcon sulla misura sul bonus IRPEF. In pratica, noi quest'anno mettiamo 6,7 miliardi di euro e il prossimo anno mettiamo nella legge di stabilità dai 9 ai 10 miliardi di euro per una misura che, come voi scrivete all'interno del vostro documento, porterebbe a una lieve riduzione della disuguaglianza economica e del numero di poveri. Quindi, non spendiamo 10 miliardi di euro per persone che non hanno la possibilità di rialzarsi da questo momento di gravissima difficoltà, e che voi portate come dati. A pagina 9, nel capitolo 2.4, voi dite che le persone con condizioni di povertà assoluta in questo Paese nel 2013 sono cresciute di un milione 206 mila unità, arrivando a oltre 6 milioni, in particolare nel Sud Italia, dove l'incidenza dall'11,3 per cento è salita al 14,8 per cento.
  Ci rendiamo conto della gravità della situazione ? Io mi auguro che il Governo e la maggioranza possano sentire le parole che voi avete detto, per verificare se la misura del bonus IRPEF va data a queste persone o se vogliamo gestire una situazione diversa.
  Da questo punto di vista, io voglio chiedervi di ripetermi ad alta voce, per cortesia, l'analisi che ho appena fatto e quella che voi avete scritto, dicendomi che secondo voi il bonus IRPEF non funziona per risolvere i problemi di questo Paese.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. La ringrazio anch'io per la completezza dei testi che ci fornisce, che ci sono preziosissimi.
  La domanda del collega che mi ha preceduto mette in evidenza che, come ho affermato in una mia precedente domanda ai rappresentanti della Banca d'Italia, questo è davvero uno dei punti cruciali.
  Io sostengo che quell'operazione, oltre a produrre gli effetti che il collega ha Pag. 27appena rappresentato, è una manovra che, in verità e nella trasparenza dei nostri conti, ha pesato e peserà sulla formazione di ulteriore debito, come lei peraltro riferisce nella sua relazione, e privilegia chi un lavoro già ce l'ha.
  Spesso la gran parte di questo lavoro dipendente è lavoro pubblico, quindi un lavoro già garantito e in alcuni casi oltremodo garantito, come nel caso della pubblica amministrazione. Si finisce quindi per produrre nuovi poveri tra quelle famiglie e tra quei lavoratori che invece garantiti non sono affatto, meno che meno dallo Stato, e che spesso con la loro partita IVA sono creditori dello Stato e nemmeno vengono pagati.
  Ho una domanda tecnica e statistica alla quale vorrei che rispondesse. Nell'equilibrio di finanza pubblica di questo anno e nel rispetto del vituperato vincolo del 3 per cento, noi quest'anno per la prima volta, anche in virtù dei vostri calcoli, abbiamo inserito, autorizzati dall'Unione europea – credo che ciò non riguardi solo il nostro Paese – la quota di sommerso derivante, ad esempio, da attività criminali come il traffico della droga o la prostituzione. Può essere più preciso sulla quantità e la percentuale che in linea generale l'Unione europea ci ha autorizzato a inserire e a conteggiare dentro questo equilibrio ?

  FRANCESCO CARIELLO. Sarò telegrafico. Visto che c’è l'ISTAT, che ringrazio per questa audizione, voglio semplicemente replicare in questa sede la stessa domanda posta qualche settimana fa all'Ufficio parlamentare di bilancio.
  La domanda riguarda la valutazione degli andamenti di finanza pubblica, laddove si fa riferimento a un supporto metodologico dato dall'ISTAT a questo Ufficio. La domanda è semplice: siccome l'Ufficio parlamentare di bilancio è un ente terzo, che deve supportare il Parlamento nel validare una manovra del Governo, e dato che l'ISTAT è alle dirette dipendenze del Ministero dell'economia e delle finanze, mi chiedo se la metodologia utilizzata per supportare l'Ufficio parlamentare di bilancio sia la stessa utilizzata per fornire supporto al Ministero dell'economia e delle finanze.
  Se questo è vero, dobbiamo intenderci un po’ su questi elementi, perché la validazione di un ufficio terzo alla fine viene fatta con gli stessi metodi o dalle stesse persone che ne costituiscono la fonte primaria. Vorrei approfondire questo aspetto.
  In secondo luogo, mi collego a quanto ha chiesto il collega Causi alla Banca d'Italia riguardo al calcolo dell’output gap e del PIL potenziale, vorrei sapere se l'ISTAT partecipi al gruppo di lavoro che in sede OCSE e anche di Commissione si sta occupando dell'approfondimento del calcolo e delle modalità di calcolo del PIL potenziale. Grazie.

  MAINO MARCHI. Presidente, riprendo anch'io un tema che è stato sollevato da diversi colleghi, sia in questa sia nella precedente audizione, ossia il cosiddetto bonus IRPEF, perché mi sembra che, almeno negli interventi, si stiano traendo alcune conclusioni che non mi pare siano le stesse emerse nel corso delle audizioni.
  Da una parte, la stessa Banca d'Italia ci ha invitato nell'ultimo intervento, al di là della contabilizzazione dell'intervento sul bonus IRPEF, a guardare alla sostanza, e la sostanza è che è prevista una riduzione fiscale per i lavoratori dipendenti che hanno una certa fascia di reddito. Credo, quindi, che a questo si debba guardare nella sostanza ed è la prima volta che ciò avviene da diverso tempo.
  Per quanto riguarda le questioni che sono state evidenziate nel corso di questa audizione, considero importante anche valutare il dossier distribuito, dal quale mi pare si evincano due cose: da una parte, che l'effetto redistributivo e di riduzione della povertà chiaramente non può che essere limitato, perché è il primo intervento che avviene nel corso di questi anni e non poteva essere miracoloso; dall'altra, che questo effetto non ricade sui redditi inferiori agli 8 mila euro, i cosiddetti incapienti.
  È necessario, però, mettersi d'accordo perché, se parliamo di riduzione del costo Pag. 28del lavoro e di riduzione delle tasse, ridurre le tasse a chi non le paga è un po’ difficile. Possono, quindi, essere importanti e opportuni altri interventi nei confronti degli incapienti, ma certamente non interventi di riduzione delle tasse, che da tante parti vengono ritenuti fondamentali, anche da coloro che criticano questo intervento sugli 80 euro.
  Con riguardo all'altra questione, secondo cui vi è una parte di beneficiari con redditi medio-alti, dobbiamo sempre considerare che, se facciamo la somma del massimo, 24.000 euro più 24.000 euro, sono 48.000 euro; questo deriva dal fatto che ci possono essere due lavoratori nella stessa famiglia che hanno questo beneficio. O noi ribaltiamo completamente il modello di imposizione fiscale del nostro Paese che è individuale e andiamo a determinarlo sulle famiglie o altrimenti è chiaro che qualunque intervento si faccia sull'IRPEF può produrre questo tipo di effetti.
  È indubbio che questo intervento deve essere accompagnato anche da altri sul versante della lotta alla povertà, ed è difficile che questo possa avvenire attraverso interventi di carattere fiscale come questo, che si è concentrato sul lavoro dipendente, ma è anche vero che il lavoro dipendente è quello che paga una parte consistente delle tasse nel nostro Paese, quindi credo che fosse giusto partire da qui.
  Se ci sono possibilità e se ci saranno, in base alla condizione della finanza pubblica, possibilità di ampliare questi interventi anche ad altri soggetti – si è parlato di pensionati e lavoratori autonomi, oltre che degli incapienti – ben venga, però è indubbio che ci dobbiamo muovere nell'ambito degli spazi di finanza pubblica possibili.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Alleva per la replica.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Grazie delle domande che mi permettono qualche approfondimento e chiarimento.
  Gli effetti del bonus IRPEF hanno raccolto diverse curiosità. Innanzitutto vorrei chiarire che l'ISTAT mette a disposizione del Paese e dei decisori pubblici elementi che possono essere utili per valutare gli effetti ex post di provvedimenti o anche per orientare le scelte, magari facendo questo esercizio a partire da diversi possibili interventi.
  Abbiamo, quindi, fatto questa valutazione avendo a disposizione il provvedimento e, soprattutto, avendo costruito una base informativa adatta per questa valutazione. Vorrei aggiungere, ad esempio, che questo esercizio è fondato sull'importante indagine europea EU-SILC sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie, che abbiamo integrato con dati di carattere fiscale. Questo ci ha permesso anche di stabilire in maniera accurata quali siano le detrazioni per queste famiglie, in modo da valutare meglio gli effetti di questi provvedimenti.
  Ciò premesso, con l'esercizio che offriamo abbiamo mostrato che la riduzione della concentrazione dei redditi è modesta, come anche la progressività e la capacità redistributiva di questa misura. Tuttavia, c’è quest'effetto, anche se non elevato, ma soprattutto c’è anche un effetto sulla componente povertà, con quasi 100.000 individui che passano da sotto a sopra la soglia della povertà assoluta, la quale, come precedentemente indicato è una componente molto rilevante, cresciuta moltissimo. In ogni caso, è stato individuato quest'effetto su 100.000 individui. Poi potete fare certamente voi il bilancio tra effetti e costi. Noi offriamo questi elementi.
  Vorrei aggiungere che qui, fondamentalmente, emerge che questa misura, che era destinata a una parte, e cioè i lavoratori dipendenti con reddito compreso tra 8 e 24 mila euro, più quella coda 24-26, naturalmente è stata effettuata selezionando quegli individui che, tuttavia, fanno parte di organizzazioni economiche, che sono le famiglie. La nostra lettura, quindi, mette in luce che, a fronte di quella selezione sui redditi degli individui, Pag. 29gli effetti sui «bilanci» familiari sono, invece, più distribuiti. Questo è il dato che vi offriamo.
  Vorrei ancora aggiungere che sull'indicato tema povertà abbiamo approfondito, non per la prima volta, la portata del fenomeno, il suo incremento, il suo carattere anche nuovo di colpire soprattutto il Mezzogiorno. I minori sono l'elemento nuovo che abbiamo aggiunto come chiave di lettura, che si associa anche a quanti cercano lavoro, quindi a una condizione di grande incertezza come quella di aver perso il lavoro o di non riuscire a trovarlo.
  Ancora, per rispondere sul tema dell'attività illegale, benché sia un po’ fuori da ciò di cui volevamo parlare, in occasione del passaggio al nuovo SEC, abbiamo rivalutato il PIL 2011 di 59 miliardi di euro, dei quali 14,5 derivano dalla contabilizzazione, per la prima volta, di queste attività illegali, che non fanno parte del passaggio al SEC, ma di un regolamento ben più antico e che riguarda solo alcune componenti dell'illegalità, che presentano certe caratteristiche di volontarietà e quindi non appartengono alla criminalità organizzata. È una componente specifica, valutata secondo le linee guida di Eurostat: non c'era alcun limite, per rispondere alla domanda, sulla dimensione di questo elemento. Abbiamo pubblicato anche dei confronti tra la nostra stima della dimensione di quest'economia illegale e quella di altri Paesi europei, disponibile da parte dell'Istituto.
  Per quanto riguarda la questione dell'UPB, abbiamo anche indicato nella relazione che abbiamo apprezzato l'esistenza di questa valutazione indipendente da parte di quest'organismo. Abbiamo anche specificato che, grazie a un accordo, noi supportiamo, da un punto di vista esclusivamente metodologico, quest'attività. Vuol dire che l'UPB ha chiesto all'Istituto di poter utilizzare i modelli econometrici per fare la sua valutazione. L'ISTAT, naturalmente, mantenendo totalmente distinto il ruolo che ha da quello dell'UPB, nella direzione di rispondere comunque a una domanda istituzionale, ha fornito questo supporto metodologico. Peraltro, ci fa piacere essere stati selezionati per questa questione, ma sia chiaro che noi non stiamo lavorando per il Ministero dell'economia e delle finanze. Siamo un Istituto autonomo e abbiamo l'autonomia nella scelta dei metodi scientifici e dei modelli. Quest'autonomia scientifica evidentemente è stata considerata una garanzia per un'altra Istituzione che deve fare questo lavoro.
  Ancora, per completare la risposta, l’output gap è un tema che stiamo studiando, ma non facciamo parte di quel gruppo. Questa è la risposta che vi posso dare.
  Mi sembra che non ci siano altri elementi. Naturalmente, restiamo disponibili.

  FEDERICO D'INCÀ. Per poter riuscire a tirare fuori dalla povertà, dalla famosa soglia, 100.000 persone con i 6,7 miliardi di euro di quest'anno, avremmo fatto prima a dare a queste persone 67.000 euro a testa, tanto per poterci capire. Se invece pensiamo alla quota delle persone, che sono sempre 6 milioni, e ai 6,7 miliardi di euro di investimento per il bonus IRPEF – questi sono, in questo momento, i poveri sotto la soglia della povertà – con i dati alla mano e, quindi, facendo 6,7 miliardi di euro diviso per 6 milioni di soggetti, potremmo dare a queste persone, che sono in stato di indigenza, 1.116 euro a testa.
  Rilevo questo per poter dire a lei quale misura abbiamo usato in questo momento e per dire all'onorevole Marchi che questa è una soluzione che non rispecchia le esigenze vere di questo Paese.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole D'Incà.
  All'ISTAT noi chiediamo le valutazioni empiriche, non quelle politiche, come è evidente. La sua valutazione sarà certamente oggetto di confronto quando entreremo nel merito della discussione generale in Commissione, noi alla Camera e i senatori al Senato.
  Ringrazio il presidente dell'ISTAT per il contributo e la delegazione che lo accompagna.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Pag. 30

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
  Sono presenti: Raffaele Squitieri, presidente; Angelo Buscema, presidente di sezione; Enrico Flaccadoro, consigliere; Salvatore Tutino, consigliere; Maurizio Pala, consigliere; Paolo Peluffo, consigliere; Roberto Marletta e Clemente Forte, dell'ufficio stampa.
  Do la parola al presidente Squitieri per lo svolgimento della sua relazione.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente. Il lavoro che mi accingo ad illustrare è stato realizzato in sezioni riunite. Tutti i colleghi che lei ha citato sono coloro che materialmente hanno contribuito alla stesura e all'approfondimento delle varie tematiche.
  La Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 all'esame del Parlamento presenta elementi di particolare novità per la gestione della politica economica del nostro Paese.
  Una valutazione complessiva delle implicazioni delle scelte che vi vengono assunte sarà possibile solo una volta che, con la presentazione del progetto di legge di stabilità, sarà completato il quadro informativo. Per il momento la Corte offre al Parlamento prime riflessioni sull'impianto generale della strategia proposta, sottoponendo a verifica, in particolare, le ipotesi assunte con il quadro macroeconomico e di finanza pubblica e i vincoli posti dall'appartenenza all'Unione europea.
  Il consistente ribasso delle stime di crescita e la preoccupazione per il protrarsi della recessione in cui versa l'economia italiana hanno spinto il Governo a una radicale revisione della strategia di fiscal policy.
  Con la Relazione al Parlamento 2014, cui è collegata la Nota di aggiornamento, il Governo estende, infatti, il concetto di eventi eccezionali – la condizione che consente temporanee deviazioni dal percorso di riequilibrio strutturale del bilancio pubblico – ricomprendendo in esso, accanto alle dimensioni del vuoto di prodotto, il rischio di deflazione che, per la prima volta dalla grande crisi degli anni Trenta, torna ad occupare una posizione preminente nel dibattito europeo.
  Ne consegue che, nella valutazione del Governo, i rischi deflattivi e le relative implicazioni per la sostenibilità del debito dovrebbero suggerire, nella definizione delle misure di bilancio, di adottare una manovra espansiva a sostegno della crescita economica.
  A tal fine, poiché l'Italia, al pari dell'area euro, risente di problemi sia di offerta che di domanda, si ritiene necessario fare ricorso a tutte le leve di politica economica: monetaria, strutturale e di bilancio.
  Una distinzione esplicita viene a tal riguardo proposta tra il breve termine, nel quale ci si propone di agire attraverso il sostegno della domanda aggregata, e il lungo termine, l'orizzonte nel quale indirizzare politiche strutturali in grado di innalzare permanentemente il potenziale produttivo.
  Si propone, in tal modo, un nuovo policy-mix: l'adozione di una manovra di segno espansivo per il 2015 e la scelta di non operare correzioni sulle dinamiche tendenziali dei saldi per tutto il 2016. Solo nel 2017 la manovra di finanza pubblica tornerebbe a incidere nel senso di una riduzione dell'indebitamento, assicurando, in tal modo, il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio.
  Per il 2015, la modifica di impostazione si accompagna alla scelta di operare in disavanzo con misure di sostegno dell'economia; una scelta da valutare con attenzione, in rapporto sia alle regole poste dal sistema di sorveglianza europeo con il Fiscal compact sia a quelle, non perfettamente Pag. 31sovrapponibili alle prime, derivanti dal recepimento in Costituzione del cosiddetto pareggio di bilancio.
  Passiamo ora al nuovo quadro macroeconomico. Nello scorso aprile, con il Documento di economia e finanza 2014, il Governo decideva di derogare temporaneamente dal percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine (OMT). La scelta era appunto motivata dalla presenza di eventi eccezionali, identificati con una distanza dal prodotto potenziale (-3,7 per cento) molto superiore a quella soglia (-2,7 per cento) che la Commissione europea considera come ancora rappresentativa di normali condizioni recessive.
  Ferma restava, al contempo, l'intenzione del Governo di non oltrepassare il limite di disavanzo nominale del 3 per cento sul PIL, la soglia originaria del Trattato di Maastricht. Si sceglieva anzi di confermare per il 2014 la riduzione dell'indebitamento al 2,6 per cento, già risultante dai quadri tendenziali, mentre si annunciava l'adozione di misure correttive pari allo 0,3 per cento del PIL nel 2015 e a un ulteriore 0,3 per cento nel 2016. L'annullamento del deficit strutturale veniva posposto al 2016.
  Gli obiettivi programmatici del DEF 2014 erano iscritti all'interno di un percorso di crescita dell'economia che prevedeva un incremento del prodotto dello 0,8 per cento nell'anno in corso, dell'1,3 per cento nel 2015 e dell'1,8 per cento nella media del periodo 2016-2018.
  Queste stime, pur ritoccate verso il basso nel confronto con la Nota di aggiornamento del 2013, hanno però mancato di realizzarsi. I segnali di rafforzamento della congiuntura, evidenziati dalle indagini qualitative tra la fine dello scorso anno e l'inizio del 2014, non si sono infatti trasmessi ai dati reali e nel primo semestre il PIL si è contratto dello 0,3 per cento; gli andamenti correnti della produzione industriale segnalano la probabilità di una flessione anche nel terzo trimestre. Un ripiegamento osservato anche nella media dell'Eurozona, dove i saggi di attività risultano oggi fortemente ridimensionati rispetto all'inizio dell'anno.
  Nella Nota di aggiornamento 2014 si prende atto del mancato avvio della ripresa, incorporando nel quadro tendenziale un sensibile ribasso delle previsioni di crescita.
  Il PIL è ora atteso ridursi dello 0,3 per cento nel corrente anno, la terza flessione consecutiva, e il vuoto di prodotto supererebbe il 4 per cento, un valore molto più elevato della soglia rappresentativa di normali condizioni cicliche, che segnala la condizione di grave recessione.
  Il deterioramento delle condizioni macroeconomiche riguarda anche l'andamento dei prezzi, le cui dinamiche sono scese molto al di sotto del valore obiettivo del 2 per cento assunto dalla Banca centrale europea.
  All'interno del nuovo quadro tendenziale, contrazione dell'attività reale e calo dell'inflazione si combinano nel determinare una crescita del PIL nominale – la grandezza rilevante a cui rapportare i saldi di finanza pubblica – molto al di sotto delle precedenti aspettative. Il prodotto nominale è ora stimato aumentare appena dello 0,5 per cento nel 2014 e dell'1 per cento nel 2015.
  Secondo le valutazioni del Governo, il ribasso della previsione per il prossimo anno, nell'ordine di un 1,5 per cento, è attribuibile in parti uguali a una minore crescita reale e a un calo dell'inflazione, come misurata dal deflattore del prodotto, per i cui dati rinvio alla mia relazione.
  Modifiche significative interessano sia i consumi che gli investimenti: si accentua la flessione dei consumi delle famiglie, mentre registra un crollo quella per gli investimenti, che nel 2014 passa dal più 2 per cento atteso secondo le previsioni di primavera al meno 2 per cento di preconsuntivo e si dimezza negli anni successivi. A questo si accompagna una flessione delle esportazioni, dato quest'ultimo peraltro in calo da tempo.
  Con riferimento al paragrafo n. 3 della mia relazione, intitolato «Un quadro macroeconomico tra rischi e opportunità», faccio presente che le soluzioni adottate nella Nota appaiono prudenti, almeno nel brevissimo periodo, come valutato dallo Pag. 32stesso Ufficio parlamentare di bilancio. Alcune evoluzioni meno favorevoli potrebbero tuttavia manifestarsi nel medio termine, sia in relazione all'orientamento delle politiche monetarie e all'andamento dei tassi d'interesse, sia in rapporto all'andamento dell'economia internazionale.
  La presentazione al Parlamento della Nota di aggiornamento del DEF 2014 interviene in una fase interna e internazionale, e soprattutto europea, di forte incertezza. Il contesto economico internazionale è in rapida evoluzione e, di conseguenza, costituisce in questa fase il principale fattore di condizionamento delle prospettive della nostra economia, un condizionamento che, più ora che prima, si estende all'intera area europea.
  Le tendenze emerse nel corso degli ultimi mesi hanno evidenziato un insieme di cambiamenti, orientati per lo più in direzioni sfavorevoli. Il quadro congiunturale dell'Eurozona da alcuni mesi è peggiorato. Tutti i principali indicatori dell'area, compresi quelli relativi all'economia tedesca, hanno mostrato un ripiegamento nel corso dei mesi estivi.
  Il principale fattore di rallentamento pare rappresentato da un andamento cedente delle esportazioni. Tale andamento è legato in parte al rallentamento della domanda da parte delle economie emergenti, interessate dalla fuga di capitali dal 2013, e in parte alla flessione delle importazioni nelle aree a maggiore instabilità politica.
  Un impatto significativo deriva dalla caduta delle importazioni da parte della Russia. Le vicende politiche internazionali condizionano anche le aspettative delle imprese, soprattutto per l'industria tedesca, che presenta un grado elevato di integrazione con i Paesi dell'Europa dell'Est, in considerazione della crisi attuale in Ucraina.
  Un altro motivo di attenzione è rappresentato dall'emergere di rischi di deflazione nell'Eurozona. Se si risolve in un fattore favorevole per la congiuntura europea – nella misura in cui riflette la riduzione dei prezzi delle materie prime internazionali – la deflazione rappresenta invece una condizione negativa ove derivi dalla decelerazione dei salari dovuta all'elevata disoccupazione, dal basso potere di mercato delle imprese e dalle svalutazioni dei diversi Paesi emergenti, tutti fattori che hanno inasprito lo scenario concorrenziale internazionale.
  La recente caduta dell'inflazione nell'area dell'euro, accompagnata anche da una riduzione delle aspettative di inflazione, rende più difficile la gestione della politica monetaria in un contesto di tassi d'interesse su livelli molto bassi. Tali elementi di rischio sono parzialmente mitigati da altri aspetti dello scenario che puntano in una direzione più favorevole.
  Innanzitutto, i prezzi delle materie prime, anche energetiche, hanno registrato negli ultimi mesi una significativa contrazione, rafforzatasi nelle ultime settimane. Parte della riduzione dell'inflazione sarebbe quindi da ricondurre a uno shock favorevole dal lato dell'offerta. Anche se la Banca centrale europea non appare ancora nelle condizioni di replicare l'impostazione del quantitative easing della Federal Reserve, la bassa inflazione ha indotto la BCE a programmare anche politiche monetarie non convenzionali basate sull'acquisto di titoli cartolarizzati (ABS, asset backed security) e di obbligazioni garantite (covered bond).
  D'altra parte, nel corso degli ultimi mesi si sono consolidate aspettative di tassi d'interesse stabilmente vicini allo zero e questo ha provocato una riduzione del livello dei tassi a lungo termine non solo tedeschi, ma anche dei Paesi della periferia europea. Si è quindi determinato uno sfasamento nelle attese relative alle prospettive della politica unitaria europea rispetto a quella americana. Ne deriva un indebolimento del tasso di cambio dell'euro, che nel corso delle ultime settimane si è decisamente accentuato, un fattore anch'esso positivo per la ripresa economica.
  La Nota di aggiornamento del DEF recepisce in misura parziale le indicazioni che provengono da tali contrastanti fattori. Lo scenario proposto evidenzia un andamento della crescita internazionale e del commercio mondiale ancora relativamente Pag. 33robusto, sulla base di ipotesi di incerta realizzabilità nelle fasi, come quella presente, di rapido cambiamento dello scenario. Il rischio principale è di incorporare ipotesi di cambio debole e tassi d'interesse bassi, senza considerare nello scenario i timori di rallentamento della congiuntura internazionale da cui scaturiscono tali andamenti.
  Venendo al preconsuntivo 2014, le scelte proposte per il prossimo triennio sono radicate nella Nota di aggiornamento a un quadro di finanza pubblica aggiornato sulla base della revisione delle stime macroeconomiche, dell'attività di monitoraggio su spese ed entrate e dell'impatto dei provvedimenti introdotti successivamente all'approvazione del DEF.
  Tale quadro risente, tuttavia, anche delle modifiche introdotte per tener conto del passaggio al nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali SEC2010, modifiche che rendono difficile il confronto con l'andamento delle spese e delle entrate previsto nel DEF. Ove si guardi ai saldi, i dati del preconsuntivo per l'anno in corso segnalano scostamenti significativi rispetto al Documento di economia e finanza.
  In particolare, l'indebitamento netto della pubblica amministrazione è stimato per il 2014 in oltre 49 miliardi di euro (-3,0 per cento del PIL), con un aumento di 7,4 miliardi rispetto al DEF (-2,6 per cento del PIL), nonostante la stima relativa alla spesa per interessi risulti rivista in flessione per poco meno di 6 miliardi, anche in ragione dell'esclusione degli interessi sugli swap. Al riguardo, rinvio all'appendice 1, relativa alla spesa per interessi, allegata alla presente relazione.
  Tali variazioni riflettono una forte riduzione dell'avanzo primario, che scenderebbe dagli oltre 40 miliardi di euro previsti nel DEF a poco più di 27 miliardi. Ma se i dati esposti nella Nota saranno confermati, il 2014 non appare segnare un allentamento nell'impegno al contenimento della spesa.
  L'aumento dell'1 per cento della spesa complessiva è da ricondurre alle misure di sostegno disposte dal decreto-legge n. 66 del 2014 e a un limitato aumento della spesa in conto capitale. Continua invece a ridursi, di un ulteriore 1 per cento rispetto al 2013, la spesa per redditi di lavoro mentre torna a calare la spesa per consumi intermedi, che dunque ha registrato un'inversione di tendenza nel solo 2013, all'interno di un periodo non breve di continua riduzione.
  Il peggioramento dei saldi risulta imputabile alla flessione delle entrate, soprattutto di quelle dirette, in riduzione dell'1,5 per cento rispetto all'aumento inizialmente previsto dell'1,7 per cento, e al rallentamento di quelle indirette, registrandosi nell'insieme un cedimento delle entrate da riferire soprattutto, ma non soltanto, al passaggio dalla crescita del PIL nominale dell'1,7 per cento prevista nel DEF al solo 0,5 per cento.
  Guardando, quindi, ai dati complessivi per il 2014, il saldo strutturale evidenzierebbe un peggioramento dello 0,3 per cento del PIL rispetto all'anno precedente: in presenza di una crescita negativa e di output gap pari al 4,3 per cento, nelle stime del Governo il peggioramento non configurerebbe una deviazione eccessiva.
  Per quanto riguarda l'avvicinamento all'obiettivo di medio termine (OMT), ove le stime della Commissione europea confermassero i valori di output gap assunti dal Governo, lo scostamento dal percorso sarebbe consentito.
  È da rilevare, tuttavia, che il progresso verso l'obiettivo di medio termine viene valutato globalmente, tenendo conto, cioè, non solo dell'andamento del saldo di bilancio, ma anche del rispetto della regola della spesa. Sul punto va osservato che la Nota non contiene gli elementi necessari a verificare quanto affermato dal Governo, ma rinvia al Documento programmatico di bilancio che sarà presentato il prossimo 15 ottobre, in concomitanza al disegno di legge di stabilità.
  Passando al quadro di finanza pubblica, nel quadriennio 2015-2018, il peggioramento delle stime dell'indebitamento netto riguarda tutto il periodo di previsione. Tali andamenti risentono non solo dei risultati di finanza pubblica per il 2014, ma anche delle mutate prospettive Pag. 34macroeconomiche: la contrazione dell'economia – meno 0,3 per cento nell'anno in corso, a fronte del più 0,8 per cento stimato ad aprile – è seguita da una crescita di appena lo 0,5 per cento nel 2015, rispetto ad un più 1,3 per cento previsto nel DEF, che arriva a situarsi poco sopra l'1 per cento a fine periodo, rispetto al più 1,9 per cento del DEF.
  Per il quadriennio 2015-2018 le modifiche previste rispetto al DEF sono di maggior rilievo. Ad aprile scorso il profilo programmatico si sovrapponeva al quadro tendenziale nel 2014 per poi fissare valori obiettivo che da un disavanzo dell'1,8 del 2015 prevedevano il graduale passaggio a una situazione di attivo nel 2018.
  In termini di saldo strutturale, si indicava la possibilità di conseguire il pareggio a partire dal 2016, con una riduzione dallo 0,6 allo 0,1 per cento del prodotto già nel passaggio fra il 2014 e il 2015, come indicato nella tavola n. 2 a pagina 10.
  Il programma di consolidamento tracciato dal DEF 2014, pur mancando di soddisfare temporaneamente i rafforzati criteri della sorveglianza europea, restava improntato a un'evidente severità, sia se riferito al parametro del 3 per cento, sia se rapportato agli andamenti storici della finanza pubblica italiana.
  A seguito del profondo ripensamento di impostazione, la politica di bilancio è ora orientata a produrre effetti di segno espansivo per il 2015 e a non operare correzioni sulle dinamiche tendenziali dei saldi per tutto il 2016. Solo nel 2017 la manovra di finanza pubblica tornerebbe a incidere nel senso di una riduzione dell'indebitamento, assicurando in tal modo il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio.
  Il nuovo quadro programmatico sconta, tuttavia, la previsione nella legge di stabilità di una clausola sulle aliquote IVA e sulle altre imposte indirette di 0,7 punti di PIL nel 2016, di un punto nel 2017 e di 1,2 punti nel 2018, a salvaguardia del recupero del percorso di convergenza all'obiettivo di medio termine.
  A sostegno della scelta di assegnare lo strumento della politica di bilancio all'obiettivo di rilancio della crescita depongono la rinnovata attenzione ai moltiplicatori fiscali, tema trascurato nel corso dell'avvitamento recessivo connesso alle politiche di austerità, e la conseguente stima, inserita dal Governo nella relazione al Parlamento, dei consistenti impulsi recessivi che verrebbero trasmessi all'economia da una manovra che portasse al pareggio di bilancio nel 2015. È da rilevare in proposito che la correzione fa riferimento al disavanzo programmatico, pari a meno 0,9 per cento in termini strutturali, e non a quello tendenziale.
  Il maggiore indebitamento programmato per il 2015, pari a 0,7 punti di PIL, ha dunque dimensioni importanti. La composizione della manovra espansiva sarà messa a punto nel dettaglio con il disegno di legge di stabilità, ma le indicazioni contenute nella Nota di aggiornamento già anticipano la strategia che si intende perseguire: dal lato espansivo, una riduzione delle imposte che gravano sul lavoro e sulle imprese e un rilancio degli investimenti pubblici; dal lato delle coperture, una compressione dinamica della spesa corrente.
  I rischi che gravano sulla congiuntura dell'economia italiana – ma anche la difficoltà di individuare tagli di spesa effettivamente operabili a breve periodo e/o riconducibili, come spesso ritenuto anche nel recente passato, a inefficienze con limitati impatti negativi – sembrano guidare la scelta del Governo che, con il quadro programmatico, va a correggere la restrizione implicita nello scenario tendenziale.
  Prudente è la valutazione del Governo che associa alla manovra 2015 effetti espansivi contenuti, misurando un impulso di appena un decimo di punto sul PIL, impatto più che compensato dalla revisione degli effetti delle riforme adottate nel 2012-2014, che per l'anno in corso sono stati ribassati di tre decimi di punto.
  A fronte del limitato effetto in termini di prodotto rispetto al quadro tendenziale, l'obiettivo prioritario sembra essere quello di rendere possibile l'adozione di riforme che incidano sul potenziale di crescita. Con ciò, oltre a procrastinare di un ulteriore Pag. 35anno l'adozione di misure di aggiustamento, si punta a renderne più tollerabile l'impatto con il maturare degli effetti delle riforme strutturali.
  Coerentemente con la distinzione tra breve e lungo termine, l'espansione del bilancio pubblico contemplata nella Nota di aggiornamento è dunque finalizzata ad accompagnare il dispiegarsi dei futuri effetti delle riforme strutturali sul prodotto nazionale.
  In termini strutturali, con il ricorso a una manovra espansiva e l'implementazione delle riforme scontate nel nuovo quadro programmatico, si determina un'invarianza del saldo strutturale nel 2015 rispetto al 2014, con uno sconfinamento di circa un punto di prodotto dagli obiettivi fissati in precedenza, pari a meno 0,1 nel Documento di economia e finanza 2014 ed aggiornati nella Nota a meno 0,9.
  Con riferimento all'andamento del debito, l'aggiornamento del piano di rientro e i nuovi obiettivi di saldo proposti dal Governo incidono sul percorso di riduzione del debito, non consentendo di rispettare l'aggiustamento lineare minimo richiesto (MLSA) dalle regole comunitarie, vale a dire quel miglioramento annuo del saldo strutturale che dovrebbe garantire il rispetto della regola del debito alla fine del periodo di transizione.
  Secondo quanto affermato nella Nota, dato il quadro programmatico, che prevede un indebitamento in termini strutturali pari a meno 0,9 per cento del PIL nel 2014 e nel 2015, il MLSA comporterebbe una correzione del 2,2 per cento per il prossimo esercizio, correzione che viene giudicata né fattibile né auspicabile per gli effetti recessivi che si verrebbero a determinare sull'economia.
  Tale aggiustamento si collocherebbe comunque al di sotto di quello risultante dal quadro tendenziale (correzione richiesta pari al 3 per cento), proprio per gli effetti positivi sulla crescita, e quindi sul rapporto debito/PIL, conseguenti alle misure espansive e alle riforme che il Governo intende adottare.
  Nel caso in cui il debito si discostasse significativamente dal proprio benchmark, come calcolato dalla Commissione europea, quest'ultima procederebbe alla stesura di una relazione ai sensi dell'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nella quale al benchmark numerico si affiancherebbero valutazioni qualitative relative a un certo insieme di altri fattori rilevanti.
  La flessibilità interpretativa che la Commissione si riserva è un elemento di grande importanza, soprattutto in presenza di parametri numerici avversi. Basti in proposito richiamare che, per quanto elevato, il valore dell’output gap indicato per il 2015, pari al 3,5 per cento, si collocherebbe, dunque, al di sotto della soglia del 4 per cento oltre la quale non sarebbero richiesti aggiustamenti del saldo.
  Tra questi, e più in particolare nell'ambito di quelli relativi all'evoluzione della situazione economica, nella Nota si sottolinea la severità del ciclo economico degli ultimi anni, che ha portato a una perdita di PIL di oltre 9 punti dal 2007 a oggi, in parte a sua volta imputabile agli sforzi di aggiustamento fiscale intrapresi tra il 2011 e il 2013.
  In una situazione, come quella attuale, caratterizzata da un consistente vuoto di prodotto, una manovra correttiva di entità come quella prefigurata dal MLSA comporterebbe il prolungamento della recessione ancora in atto.
  Tali aspetti saranno oggetto della più complessiva valutazione da parte della Commissione, in cui si terrà inoltre conto, tra l'altro, degli effetti riduttivi del debito del programma di privatizzazioni, pari, nelle stime del Governo, a circa 0,7 punti di PIL all'anno a decorrere dal 2015, a fronte di un ridimensionamento allo 0,28 per cento degli introiti previsti per l'anno in corso.
  Guardando poi al profilo del rapporto debito/PIL nel medio periodo, non può non osservarsi che lo scenario di base, che fino al 2018 coincide con il quadro programmatico, incorpora delle ipotesi relative agli andamenti macroeconomici e finanziari non esenti da rischiosità. Anche in presenza di una tenuta della finanza pubblica, una minore Pag. 36crescita, effettiva e potenziale, non potrebbe non ripercuotersi negativamente sulla dinamica del rapporto.
  Per quanto riguarda il costo medio del debito, lo scenario base sconta dei tassi di interesse impliciti poco superiori al 3 per cento.
  Quanto al saldo primario, si prevede il mantenimento di un avanzo elevato, superiore al 4 per cento in termini sia nominali che strutturali nello scenario base, ben superiore a quello ottenuto negli anni passati. Ad esso, tuttavia, è affidata la sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo periodo.
  Come è evidente dalla Nota, valori dell'avanzo primario strutturale inferiori al 3 per cento del PIL non sarebbero sufficienti a ricondurre il rapporto debito/PIL al di sotto della soglia del 60 per cento. Avanzi primari intorno al 2 per cento del prodotto stabilizzerebbero, ferme restando le altre ipotesi macroeconomiche, il rapporto intorno a valori superiori al 120 per cento.
  Con riferimento al paragrafo n. 7 della mia relazione, intitolato «Tra regole europee e costituzionali», faccio presente che l'interruzione del percorso di rientro verso l'obiettivo di medio periodo, che nelle intenzioni del Governo ha una natura temporanea, costituisce una novità nell'impostazione recente della politica di bilancio italiana.
  Gli interventi varati con le leggi di stabilità 2013 e 2014 e con il decreto-legge n. 35 del 2013, che pure hanno avuto natura espansiva, non avevano infatti pregiudicato la diminuzione dell'indebitamento strutturale, che nel biennio 2014-2015 è invece ora stimato attestarsi su un livello superiore a quello del 2013.
  Invero, questo incremento è di non immediata valutazione, dal momento che il dato 2013 deriva anche da una revisione dei dati di contabilità nazionale e che ciò può determinare una discontinuità nel raffronto con gli scenari di previsione.
  Cionondimeno, la Nota di aggiornamento sembra evidenziare come, nella valutazione del Governo, il grado di cogenza dell'obiettivo di medio termine risulti indebolito dalla fragilità dell'impianto analitico che presiede alla sua definizione.
  Appare piuttosto esplicita, da questo punto di vista, l'affermazione per cui l'utilizzo del prodotto potenziale e dell’output gap nel contesto di regole fiscali, legate anche all'applicazione di verifiche e sanzioni, va improntato a grande cautela, anche per evitare rischi di politiche procicliche. Una conclusione che dovrebbe richiamare l'attenzione europea sulla necessità di rivedere e semplificare gli attuali criteri di sorveglianza rafforzata, con l'intento di accrescerne il grado di intelligibilità per l'opinione pubblica e per il policy maker.
  Nell'incertezza generata dalle metodologie di calcolo al momento adottate, il Governo sembra voler ancorare la propria strategia a un obiettivo più facilmente riconoscibile, e per questo più credibile, come la soglia di massimo indebitamento nominale del 3 per cento.
  Anche se la motivazione addotta dal Governo a sostegno dell'allontanamento temporaneo dall'obiettivo di medio termine è chiara, non sono del tutto dissipati i dubbi sul livello del saldo programmatico 2015, indicato al meno 0,9 per cento del PIL in termini strutturali, con un aggiustamento di 0,1 punti e quindi inferiore a quanto richiesto dalle regole comunitarie.
  Se comprensibile è la volontà di non operare manovre restrittive che potrebbero mettere a rischio la ripresa dell'economia e determinare il prolungarsi della recessione, è da osservare che una crescita lieve ma pur sempre positiva del PIL, nella misura di un più 0,6 per cento, e un output gap pari a meno 3,5 per cento, e dunque inferiore alla soglia 4 per cento, quali risultanti dal quadro programmatico della Nota, non sembrerebbero configurare le circostanze eccezionali come definite dall'articolo 5 del Regolamento CE n. 1466 del 1997.
  Quanto alla flessibilità prevista dal medesimo articolo 5, essa può essere invocata a fronte «dell'attuazione di importanti riforme strutturali idonee a generare benefici finanziari diretti a lungo termine, compreso il rafforzamento del potenziale Pag. 37di crescita sostenibile, e che pertanto abbiano un impianto quantificabile sulla sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche».
  Ai fini di una valutazione favorevole da parte del Consiglio dell'Unione europea, oltre al mantenimento del deficit nominale al di sotto del 3 per cento e al raggiungimento del pareggio entro il periodo di previsione, sarà pertanto cruciale la piena e rapida attuazione delle misure annunciate e l'attendibilità/verificabilità degli effetti sulla crescita e sulla finanza pubblica.
  Va poi considerata la coerenza di tale scelta con il dettato costituzionale e in particolare con il nuovo articolo 81. La questione verte essenzialmente sulla possibilità di riferire al 2015 condizioni di grave recessione, in presenza delle quali sarebbe possibile un ricorso all'indebitamento non limitato dagli effetti del ciclo economico.
  Nella Nota di aggiornamento al DEF, «evento eccezionale» è qualificato come «l'ulteriore e inusuale inasprimento delle condizioni dell'economia sperimentato nell'anno in corso». In senso favorevole, come argomentato dalla Nota di aggiornamento, milita un livello previsto dell’output gap, la differenza tra prodotto effettivo e prodotto potenziale, che rimarrà anche nel prossimo anno, seppur in riduzione rispetto al 2014, ancora molto elevato.
  In senso contrario opera il fatto che, nelle medesime previsioni tendenziali formulate dal Governo, il prossimo anno dovrebbe registrare una variazione positiva del PIL e quindi una seppur lenta uscita dalla condizione di recessione, che la stessa Nota di aggiornamento definisce più propriamente come «un periodo di stagnazione».
  Venendo alle osservazioni conclusive, il documento presentato dal Governo, che conferma anche quest'anno il non puntuale rispetto dei requisiti previsti dalle nome di contabilità, prefigura un cambiamento nell'impostazione della politica economica del Paese, che appare sorretto tanto dalla gravità della condizione recessiva dell'economia italiana quanto dalle più recenti acquisizioni analitiche.
  Un giudizio più meditato richiede di conoscere entità e composizione della manovra e dunque di attendere la presentazione del disegno di legge di stabilità.
  Ma restando per ora alla dimensione dei saldi, il peggioramento programmato, per quanto importante, non appare tale da imprimere, di per sé, un impulso risolutivo per il riavvio della crescita. Più che la dimensione dell'impulso, ciò che sembra effettivamente caratterizzare il percorso programmatico è la presa d'atto della necessità di prevedere un più realistico quadro dei risparmi di spesa conseguibili e degli effetti attesi dalle riforme avviate.
  Sotto questo profilo, la Nota non elimina la preoccupazione per il crescente peso che si trasferirebbe sugli anni a venire in termini di revisione della spesa, assistita o meno dalle clausole di salvaguardia, siano esse relative all'IVA o ai sistemi di agevolazione fiscale.
  Riprendere il processo di convergenza all'obiettivo di medio termine è cosa non facile, anche contando su tassi di crescita medi nel quadriennio 2015-2018 ben superiori a quelli del decennio passato.
  La chiave di volta rimane quindi la capacità effettiva delle riforme avviate di rileggere l'intervento pubblico alla luce della caduta di prodotto conosciuta negli anni della crisi e della necessità di rimuovere squilibri antichi per garantire la ripartenza dell'economia.
  Anche da questo punto di vista mancano ancora elementi importanti per poter valutare la realizzabilità e la sostenibilità dell'impianto programmatico, elementi propri della legge di stabilità e delle misure di riforma. La criticità della situazione attuale sul fronte dell'occupazione e della stessa tenuta del disegno europeo richiede un impegno straordinario. Non si tratta di cercare una deroga generica agli obiettivi, ma di proporre azioni mirate ad accrescere il potenziale produttivo del Paese.
  Su tutti questi aspetti il Governo ha previsto interventi che vengono riconfermati Pag. 38nel documento programmatico in risposta alle raccomandazioni della Commissione europea. Perché tale nuova impostazione risulti persuasiva e non sia esposta al rischio di reazioni sfavorevoli è necessario, ad avviso della Corte, che il Paese proceda senza incertezze nel percorso di attuazione delle riforme.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Squitieri per l'esaustiva relazione.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio il presidente della Corte dei conti per questa relazione che, anche rispetto a quelle che abbiamo ascoltato prima, è particolarmente attenta al tema della compatibilità del nuovo quadro di finanza pubblica disegnato dalla Nota di aggiornamento rispetto alle regole europee.
  Mi pare, innanzitutto, che quest'analisi molto approfondita ci confermi ciò che forse sapevamo, cioè che le regole europee sono notevolmente complesse, non di facile interpretazione, e quindi non è ovvio quale possa essere il giudizio della Commissione europea, tenuto conto che poi c’è la vecchia Commissione uscente e la nuova Commissione in via di insediamento, e forse le valutazioni possono un po’ cambiare.
  Mi pare, però, se non interpreto male, che alla fine si dica che alcuni elementi giocano a favore e altri contro, ma che complessivamente il giudizio è che la Commissione europea dovrebbe proporre al Consiglio dell'Unione europea un giudizio favorevole qualora questa legge di stabilità contenga anche – o qualora contemporaneamente ad essa si formulino anche – azioni di riforma e che quindi ci sia una nuova impostazione persuasiva. Di qui deriva la necessità di procedere – sono proprio le ultime parole della relazione testé illustrata – «senza incertezza nel percorso di attuazione delle riforme», quindi in qualche modo con una flessibilità, come tante volte ci siamo detti, in cambio di riforme.
  Ciò che emerge è dunque un impegno forte a realizzare le riforme necessarie. Voglio anche sottolineare con forza che, come emerge dalla vostra audizione, qui c’è un problema chiarissimo con l’output gap, peraltro già evidenziato da altri colleghi. Sembra davvero molto difficile immaginare che, dopo una caduta del 9 per cento del PIL, la differenza che abbiamo adesso tra il livello attuale e il potenziale, che verosimilmente dovrebbe essere salito – se quindi meno 9 per cento è il valore effettivo, considerando uno, due, tre o quattro punti percentuali, la somma dei due dovrebbe dare l’output gap –, sia, invece, addirittura inferiore al 4 per cento.
  In ogni caso, bene fa il Governo a utilizzare per ora la metodologia della Commissione europea e credo che bene faremmo noi a sottolineare che questo deve essere un elemento di riflessione in sede tecnica e politica a livello europeo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA GIAN CARLO SANGALLI

  ROCCO PALESE. Ringrazio il presidente della Corte dei conti per aver svolto, come al solito, un'analisi assai puntuale rispetto al giudizio sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014.
  Vorrei conoscere il giudizio del presidente della Corte dei conti. In termini di spending review, è tutto annunciato dal punto di vista quantitativo. L'anno scorso, sia nella presentazione del DEF, sia nella legge di stabilità, dal punto di vista tanto quantitativo quanto politico, si è data grande importanza al sostenere la finanza pubblica con una grande operazione di spending review, che è rimasta solamente sulla carta.
  Quest'anno è il turno delle riforme strutturali. Volevamo sapere, in merito a tutto quanto è stato disatteso in termini di spending review per l'esercizio finanziario in corso e, a seguire, in ordine alle riforme strutturali, che, a mio avviso, avranno la Pag. 39stessa fine, se non peggiore, a seconda dell'andamento politico della maggioranza e del Governo, qual è il giudizio in questo senso da parte del presidente della Corte dei conti.

  FRANCESCO CARIELLO. Signor presidente, svolgo una considerazione riguardo all'invocata flessibilità. Nella relazione illustrata dal presidente della Corte dei conti si fa riferimento all'articolo 5 del Regolamento CE n. 1466/1997, del quale viene citato letteralmente il testo quando si afferma che la flessibilità può essere richiesta in base all’«attuazione di importanti riforme strutturali idonee a generare benefici finanziari diretti a lungo termine».
  Io vorrei concentrare l'attenzione sulla nozione di «benefici finanziari diretti a lungo termine». Nella stessa valutazione della Corte dei conti si fa riferimento, a un certo punto, al fatto che la Nota di aggiornamento non contiene gli elementi necessari a verificare quanto affermato dal Governo, mentre si rimanda il tutto alla legge di stabilità, che tra due giorni dovrebbe essere già pronta.
  Pertanto io ritengo che, a questo punto, ci sia una pre-valutazione del fatto che nella legge di stabilità potrebbero non esserci elementi certi od oggettivi. Mi collego anche a quanto detto dal collega Giampaolo Galli, che faceva riferimento a una soggettività nell'interpretazione di queste norme.
  A mio avviso, questa è un'assurdità. Se dobbiamo avere delle regole e abbiamo deciso di rispettarle – questo almeno è quello che si dice, per quanto io sarei sempre per mettere in discussione le regole – non riesco a capire, mancando gli elementi oggettivi per poter valutare come, in senso programmatico e a lungo termine, queste riforme strutturali determineranno un percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine, sulla base di quali elementi noi stiamo andando ad approvare la Nota di aggiornamento del DEF 2014.
  Soprattutto, se questi stessi elementi non saranno dettagliatamente indicati nella legge di stabilità, ci predisponiamo praticamente, e lo stiamo già annunciando oggi, grazie alla valutazione della Corte dei conti, a un'eventuale politica di ripercussioni da parte della Commissione europea. Stiamo quindi andando incontro a un periodo in cui la stessa flessibilità causerà un ritorno, quasi fosse un boomerang, di ulteriore austerità, che ci condizionerà di nuovo a mettere le mani nelle tasche degli italiani.

  FEDERICO D'INCÀ. Porto solo un contributo. In pratica lei ha detto che, avendo noi in questi termini una crescita lieve del PIL intorno allo 0,6 per cento, altri dicono allo 0,5, e un output gap pari a meno 3,5 punti percentuali e, quindi, inferiore alla soglia del 4 per cento, tutto dipende dal tipo di riforme che noi faremo e che devono essere accettate dall'Europa. In pratica, noi dovremo fare quello che l'Europa ci dice, privandoci della parte più importante che spetti a un popolo, ossia la propria sovranità nazionale.
  Il mio contributo in questa discussione è semplicemente questo: forse il Parlamento dovrebbe procedere ad una modifica, attraverso una legge costituzionale, di quanto è stato introdotto all'interno della Costituzione dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, che prevede, al novellato articolo 81, il pareggio di bilancio.
  Forse la riflessione importante che questo Parlamento e le Commissioni bilancio di Camera e Senato – un po’ distratte, da quello che vedo, ma noto che lei invece mi ascolta – dovrebbero svolgere è che occorre procedere alla modifica dell'articolo 81 della Costituzione per restituire all'Italia la sovranità nazionale che ci è stata tolta e che ci impedisce di poter fare quelle riforme di cui il Paese realmente necessita e non quelle che vuole l'Europa, o meglio la Germania, con la sua austerity.

  MAINO MARCHI. Vorrei solo precisare, rispetto all'ultimo intervento, che forse non si è letto attentamente l'articolo 81 della Costituzione. Se nell'arco di un anno deliberiamo per due volte di spostare in avanti il raggiungimento del pareggio Pag. 40strutturale di bilancio, ciò vuol dire che forse l'articolo 81 è stato fatto in un modo per cui il pareggio di bilancio non è prescritto in termini assoluti, ma, come è scritto nell'articolo stesso, è l'equilibrio tra le entrate e le uscite, anche in base all'andamento del ciclo economico, quindi potendo fare politiche anticicliche.
  Certamente continueremo a fare una discussione su questo punto, ma l'articolo 81 della Costituzione è stato scritto così; e lo dico anche perché l'ha voluto così soprattutto il Partito Democratico.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  PRESIDENTE. Vorrei completare i quesiti da sottoporre alla Corte dei conti utilizzando le valutazioni empiriche elaborate dalla Corte dei conti stessa, come sempre con molta puntualità, e chiedere un vostro giudizio sull'opportuno spostamento chiesto dal Governo, che condivido molto, del pareggio di bilancio al 2017.
  Vorrei inoltre la vostra valutazione sulla richiesta di anticipo al 2015 del pareggio di bilancio per gli enti locali. Questo, a mio avviso, potrebbe causare problemi sui bilanci di alcuni enti locali con certe caratteristiche, fino a provocare, in alcuni casi, possibili dissesti.
  Vorrei sapere se, secondo la Corte dei conti, non sia più opportuno allineare lo slittamento del pareggio di bilancio sia per il Governo centrale che per gli enti locali. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Darò delle risposte ai quesiti che sono stati posti e poi chiederò ai colleghi se vogliono integrare con le loro valutazioni.
  L'onorevole Giampaolo Galli praticamente ha preso atto delle nostre conclusioni e, da quanto mi è parso di capire, le condivide. Ovviamente siamo d'accordo sul fatto che le regole europee sono complesse e non facilmente gestibili. Pertanto, non credo che noi siamo in grado di prevedere quali saranno le valutazioni della Commissione europea; sarà la Commissione medesima a valutare le variazioni contenute nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014.
  Più di un deputato, compreso l'onorevole Galli, ha fatto riferimento alla tematica delle riforme, che è la condizione che serve a dare credibilità a questo documento.
  Colgo l'occasione per rispondere anche all'onorevole Palese. Quelle sulla necessità di fare le riforme sono valutazioni oggettive. Quali siano queste riforme, quale sia la loro gestibilità e quale sia la possibilità effettiva di realizzarle, sono valutazioni che noi potremo fare a valle. Non possiamo farle adesso, perché sono valutazioni di carattere politico che non competono all'Istituto che io presiedo.
  Per quanto riguarda in particolare le questioni poste dall'onorevole Palese, l'osservazione che la spending review non è stata attuata è collegata al fatto che la Corte ha spesso rilevato che la materia è complessa. I processi di spending review spesso incidono su situazioni che sono regolate con legge. Pertanto, un intervento di riduzione della spesa sul piano amministrativo che non sia accompagnato da una forte e specifica previsione legislativa è destinato a naufragare.
  Si tratta di un lavoro abbastanza complesso, quindi non si può responsabilizzare né criminalizzare nessuno, né il Commissario né tantomeno il Governo. Forse è proprio la materia ad essere complessa.
  Fare una politica di spending review senza avere contemporaneamente la possibilità di intervenire con legge su alcune disfunzioni sicuramente non agevola il lavoro e comunque non lo rende sollecito.
  Per quanto riguarda il quesito posto dagli onorevoli Cariello e D'Incà, posso rispondere che in questa sede noi stiamo valutando una nota di variazione a un documento programmatico, che per definizione è un documento che contiene previsioni.
  Potremo considerare le ricadute concrete solo tra alcuni giorni, con la presentazione Pag. 41del disegno di legge di stabilità, per adesso abbiamo fatto solo una valutazione, sulla base dei nostri elementi e dei nostri sistemi di verifica, circa la credibilità di queste previsioni. Potremo effettuare una valutazione più concreta – ripeto – solamente in presenza del disegno di legge di stabilità che verrà varato nei prossimi giorni.
  Per quanto riguarda invece il discorso delle riforme, come evidenziato dall'onorevole D'Incà tutto dipende dalle riforme che saranno realizzate, punto sul quale siamo d'accordo tutti, ma non compete certo alla Corte dei conti una valutazione in ordine a quali debbano essere le innovazioni e le riforme da adottare.
  Quello delle riforme è un leitmotiv del Governo, sul quale la Corte dei conti, in qualità di osservatore della situazione reale del Paese, non può che essere d'accordo. Il sistema attuale è inceppato e riforme coraggiose avrebbero sicuramente effetti positivi, ma precisare quali siano le riforme e la loro cronologia non compete certo alla Corte dei conti.
  L'articolo 81 della Costituzione, onorevole Marchi, è stato voluto dal Parlamento e noi rispettiamo l'articolo 81 di cui siamo chiamati a verificare l'applicazione. Esso opportunamente non ha previsto un'ipotesi rigida: ha bensì previsto delle valvole che possono essere poi azionate a fronte di situazioni di particolare difficoltà, quindi a mio giudizio la previsione contenuta nel citato articolo è equilibrata e il fatto di averlo inserito in Costituzione rappresenta una valutazione politica nel merito della quale la Corte dei conti non entra, ma tale valutazione politica appare doverosa se si vuol dare contenuto a una previsione di questo genere, dal momento che in tal modo si rafforza l'esigenza di pervenire all'equilibrio della finanza pubblica.
  Per quanto riguarda la domanda, in qualche modo collegata, posta dal presidente Boccia, cioè se questo scivolamento del pareggio di bilancio si possa applicare anche agli enti locali, cedo la parola al mio collega Flaccadoro, ma vorrei dirle, signor presidente, che, al di là di quelle che possono essere le valutazioni specifiche, la situazione degli enti locali, che noi monitoriamo costantemente, anche grazie ai dati del nostro sistema informativo, è molto delicata.
  Gli enti locali sono in sofferenza, molti di essi versano in condizioni di assoluta difficoltà, quindi quella della gestione della finanza locale è una questione che andrà considerata con moltissima attenzione.

  ENRICO FLACCADORO, consigliere della Corte dei conti. Noi stiamo ovviamente seguendo e predisponendo, in vista anche della prossima audizione sul disegno di legge di stabilità, delle valutazioni quantitative, anche per cercare di capire come impatteranno sul mondo degli enti locali sia l'accelerazione del passaggio agli equilibri di bilancio, sia l'applicazione del fondo crediti di dubbia esigibilità, due componenti che sembrerebbero – uso il condizionale perché non conosco l'intendimento del Governo, lo vedremo fra pochi giorni – anticipare al 2015 due fenomeni di notevole rilevanza e impatto sul bilancio degli enti locali.
  Per quanto riguarda il fondo crediti di dubbia esigibilità, il provvedimento di cui si legge in questi giorni concernente accantonamenti relativi a entrate, in base alle difficoltà di riscossione verificate nell'ultimo quinquennio, la Corte ha sempre sottolineato il problema di quei bilanci che venivano a contenere entrate provenienti da esercizi molto lontani, che andavano poi a garantire la copertura di spese effettive.
  Come Corte, quindi, non possiamo che vedere bene il passaggio e l'introduzione di questo tipo di cautela. Basta vedere le quote percentuali della media di riscossione, anche solo per area territoriale, per capire come il problema sia molto consistente. In alcune aree del Paese, le quote percentuali di mancata riscossione sono superiori al 60 per cento, per cui ovviamente l'accantonamento genererebbe una forte restrizione delle somme disponibili per la spesa. Naturalmente, occorre valutare come tutto ciò sarà concretamente applicato.Pag. 42
  Il passaggio agli equilibri di bilancio, invece, se da un lato può creare notevoli problemi per una parte degli enti, dall'altra va nella direzione – anche in questo caso bisognerà vedere secondo quali modalità – di liberare risorse per gli enti che hanno una situazione vincolata dal patto di stabilità interno, perché immagino che tale misura si accompagnerà a una revisione dei vincoli del patto stesso.
  So che è una risposta interlocutoria. Mi auguro tuttavia che in occasione dell'audizione della Corte dei conti sul disegno di legge di stabilità, qualora avrà luogo, saremo in grado di fornire elementi quantitativi più mirati sul combinato disposto di questi tre fenomeni: riduzione del patto, passaggio agli equilibri e fondo per la copertura delle entrate inesigibili.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Squitieri, il consigliere Flaccadoro e l'intera delegazione delle Corte dei conti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.
  Do la parola al presidente Giuseppe Pisauro per lo svolgimento della relazione.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Grazie, presidente. Onorevoli senatori e onorevoli deputati, con questa relazione è la prima volta che l'Ufficio parlamentare di bilancio esprime le proprie valutazioni su un documento di finanza pubblica, in questo caso la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (DEF) 2014.
  Il documento che abbiamo distribuito costituirà l'ossatura del Rapporto sulla finanza pubblica che verrà completato entro l'inizio di novembre, naturalmente sarà integrato alla luce del contenuto del disegno di legge di stabilità.
  La relazione è articolata in tre sezioni: la prima è dedicata all'analisi del quadro macroeconomico tendenziale e programmatico; la seconda riguarda gli andamenti tendenziali di finanza pubblica; la sezione finale è dedicata alla discussione, forse l'aspetto più rilevante, della sussistenza delle circostanze che consentano un allontanamento dagli obiettivi di finanza pubblica come definiti dall'ordinamento europeo e da quello nazionale. Si tratta, quindi, di una discussione del rispetto della regola di bilancio.
  Cominciamo dal quadro macroeconomico: già nell'audizione che avemmo di presentazione dell'UPB lo scorso mese noi avevamo dato conto di come si sarebbe svolto il processo di validazione. Ricordo che nella Nota vi sono due quadri di previsioni macroeconomiche: un quadro tendenziale e un quadro programmatico. La Nota è nata con un quadro tendenziale già validato dall'Ufficio, mentre il quadro programmatico che l'Ufficio ha conosciuto, come tutti, solo all'atto della pubblicazione della Nota, è stato validato con lettera di venerdì scorso che abbiamo inviato, nella stessa versione, al Ministro dell'economia e delle finanze e ai Presidenti di Camera e Senato. Parlo di venerdì scorso.
  Come abbiamo proceduto nella validazione ? Adesso è il caso di raccontare con un po’ più di dettaglio quello che abbiamo fatto.
  L'esercizio, come avevamo già illustrato, è stato condotto ricorrendo alle stime elaborate indipendentemente da una serie di previsori pubblici e privati (ISTAT, CER, Prometeia e REF Ricerche). D'ora innanzi indicherò questo gruppo come «panel UPB», ossia il gruppo dei previsori utilizzati dall'UPB.
  Questa scelta dipende dal fatto che, non avendo un nostro modello, essendoci appena costituiti – lo ricordo – lo scorso maggio, dovevamo necessariamente appoggiarci Pag. 43a previsori esterni e anche perché è utile, naturalmente, avere uno spettro più ampio possibile di previsioni per poter valutare un singolo set di previsioni come quello elaborato dal Governo.
  Per garantire la piena confrontabilità tra le previsioni del nostro panel e le previsioni del Governo, abbiamo chiesto ai previsori di condurre le stime sulla base dello stesso set di variabili esogene internazionali utilizzato dal Governo: in particolare, tasso di cambio, prezzo del petrolio e andamento del commercio internazionale.
  Questo set è vincolato dalla Commissione europea. Tutti i Paesi conducono il loro esercizio di previsione con lo stesso set di variabili esogene internazionali. È, quindi, naturale che, dovendo validare quelle del Governo, dovessimo utilizzare lo stesso punto di riferimento, nonché le medesime ipotesi di finanza pubblica a legislazione vigente. Passiamo ai risultati delle analisi. Cominciamo dal 2015 e poi guardiamo il 2016, il 2017 e il 2018.
  Ci sono due grafici, che trovate alle pagine 21 e 22 del testo che depositerò, che possono essere utili per sintetizzare quello che abbiamo fatto e come abbiamo condotto l'esercizio. I grafici sono molto semplici. Per ogni variabile i pallini indicano le previsioni ottenute dai previsori indipendenti. La bandierina, il segnale – non so come vogliate chiamarlo – è la previsione del Governo.
  La previsione tendenziale del Governo e anche quella programmatica sono il risultato di un'interazione che c’è stata con noi. Come sapete, su quella tendenziale noi abbiamo prodotto una serie di rilievi, e questo è il risultato dopo i nostri rilievi.
  Vedete che sul 2015 tendenziale (figura 1) la previsione del Governo è sempre ben all'interno delle previsioni effettuate dal «panel UPB», anzi il più delle volte è verso l'estremo inferiore. Prendete, ad esempio, la previsione di PIL tendenziale 2015 (pari a 0,5 per il Governo), rispetto a tale dato solo uno dei previsori del suddetto panel mostra un dato peggiore. Come potete vedere, infatti, c’è solo un pallino alla sinistra del dato evidenziato e proprio del Governo. Gli altri tre previsori sarebbero stati più ottimisti.
  Per i consumi questo discorso non vale dal momento che rispetto ai valori del Governo vi è stato solo un previsore più ottimista. Ancora, nel caso delle importazioni – dato che va letto al contrario, cioè sei più ottimista se hai una previsione bassa di crescita delle importazioni – la previsione finale del Governo è particolarmente prudente.
  Considerazioni tutto sommato analoghe si possono fare per il quadro programmatico 2015. Concentrandoci sul PIL, vedete che di nuovo la previsione del Governo è più ottimista di uno dei quattro, ma è più pessimista di altri tre previsori.
  C’è un punto cruciale che pone un po’ di dubbi sull'esercizio fatto – devo essere onesto – e che apre una riflessione sui prossimi anni. Ne avevamo già parlato nella scorsa audizione. Il passaggio dal tendenziale al programmatico richiede informazioni sulla composizione della manovra. Noi abbiamo desunto queste informazioni dalla lettura della Nota, utilizzando un metodo che definirei «un po’ barocco» però nel futuro non dovrebbe essere così.
  Sulla base di tutto ciò, noi abbiamo costruito una nostra idea, l'abbiamo comunicata al Ministero dell'economia e delle finanze, a cui abbiamo chiesto se il nostro ragionamento era coerente con quello usato da loro per costruire il quadro programmatico. Il Ministero ci ha risposto, dicendoci in cosa era coerente e in cosa non lo era. Non ci ha dato una risposta puntuale, perché non poteva darcela. Questo metodo non può funzionare in linea generale, quindi in un futuro dovremo trovare un modo di procedere diverso.
  Sulla base delle informazioni che vedete qui sintetizzate, noi abbiamo validato anche il quadro programmatico, sapendo che è una validazione sulla base delle informazioni di cui disponiamo oggi e naturalmente a esse condizionata. Quando avremo il disegno di legge di stabilità si potrà, ad esempio, valutare la credibilità Pag. 44delle cifre che sono associate alle singole misure in esso contenute. Oggi naturalmente nessuno sarebbe in grado di fare simili valutazioni.
  In ciò ha consistito il procedimento di validazione. Noi, sulla base della normativa europea, non dobbiamo validare null'altro che il 2014 e il 2015. Vi ho risparmiato il 2014, ma i risultati sono analoghi a quelli del 2015. Naturalmente, se volete, sono disponibile a fornire precisazioni in merito.
  Abbiamo dato una valutazione anche degli anni successivi (dal 2016 al 2018). Per tali anni c’è da fare un ragionamento: a pagina 22 vedete che per quanto riguarda il quadro tendenziale, nel 2016, 2017 e 2018 saremo ancora in una situazione analoga a quella che abbiamo visto prima per il 2015. Sul 2016 il Governo è addirittura il più pessimista. Sul 2017 e sul 2018 è all'interno dell'intervallo di previsione.
  Per quanto riguarda il quadro programmatico, invece, vedete che le previsioni del Governo sarebbero al di fuori dell'intervallo di previsione dei previsori indipendenti, cioè sono più ottimistiche.
  C’è anche una losanga che evidenzia la crescita programmatica meno quello che è stato dichiarato essere l'impatto delle riforme strutturali. Teniamolo per un attimo a mente. Se noi considerassimo la crescita nel quadro 2016-2018 senza l'impatto delle riforme strutturali dichiarato nel quadro programmatico, saremmo ampiamente all'interno degli intervalli dei previsori indipendenti.
  Cosa possiamo dire a proposito di questo ? Chiaramente i previsori indipendenti non tengono conto delle riforme strutturali, perché a questo stadio, trattandosi di riforme in parte in via di definizione, non si hanno informazioni sufficienti per inserire le riforme all'interno di una previsione macroeconomica.
  Le riforme strutturali di nuova attuazione nei quattro settori che il Governo indica nella Nota: quindi giustizia, pubblica amministrazione, competitività e mercato del lavoro, dovrebbero produrre effetti positivi sulla crescita del PIL, pari a 0,2 punti percentuali nel 2016 e 0,4 nel 2017 e 2018.
  C’è da fare una riflessione in merito. Innanzitutto ci sono almeno tre ordini di questioni da considerare. La prima è che le riforme sono ancora in via di definizione, la seconda, che spinge alla prudenza, è che nella nostra storia riforme di questo tipo hanno sempre sofferto di pesanti ritardi nella fase di implementazione e di realizzazione (peraltro questo viene analizzato nella Nota anche riguardo agli effetti che le riforme del recente passato avrebbero avuto sul 2012 e sul 2014).
  La terza questione, che dal punto di vista tecnico rende molto difficile una valutazione, sono gli elementi di discrezionalità soggettiva che bisogna introdurre per passare da una riforma scritta agli effetti di questa riforma da mettere all'interno di un modello di equilibrio generale, che poi dà un risultato in termini di crescita da inserire nel modello utilizzato per fare le stime.
  In conclusione, noi non diamo nessuna valutazione della capacità delle riforme di ottenere i risultati dichiarati, però dal punto di vista dell'Ufficio parlamentare di bilancio riteniamo che sarebbe più prudente analizzare le riforme separatamente dal quadro macroeconomico programmatico, quindi sarebbe più prudente non inserire l'effetto di riforme che produrranno i loro effetti tra 3-4 anni, ex ante, all'interno del quadro macro programmatico.
  C’è anche un aspetto tecnico che credo verrebbe considerato dalla Commissione europea, la questione dell’output gap, su cui abbiamo fatto anche esercizi alternativi, però il Governo deve usare la metodologia prevista a livello europeo.
  Il calcolo risente degli anni finali, se io inserisco dentro il quadro macro una previsione non prudente dell'effetto di queste riforme, che magari sarà anche più alto, però oggi non sono in grado di fare una valutazione fondata, ottengo l'effetto di tirare su il PIL potenziale e quindi di ampliare l’output gap in parte anche oggi.Pag. 45
  Questo potrebbe significare che, se la Commissione nel rifare i calcoli non dovesse tener di queste riforme, potrebbe riabbassare il calcolo dell’output gap rispetto a quello fatto dal Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) del nostro Paese, con conseguenze su tutti i discorsi che mi accingo a fare sui saldi strutturali.
  Il nostro suggerimento, quindi, sarebbe non di non considerarle in senso assoluto, ma di farne un'analisi separata, per giudicare se queste siano sufficienti a costituire un elemento di flessibilità, piuttosto che scontarne subito gli effetti nel quadro macro programmatico.
  Al di là di questo, vi sono altri fattori di rischio nel quadro programmatico che abbiamo validato, e il fatto che l'abbiamo validato non significa che siamo disposti a giocarci la vita su quel risultato. I fattori di rischio possono essere ricondotti sia a variabili esterne che interne.
  Dal punto di vista delle variabili esterne, le ipotesi richiamate erano a monte sulla crescita del commercio internazionale, sull'andamento del prezzo del petrolio, sulla politica monetaria americana. Sono tutti fattori che qui trovate nel testo depositato. Dal punto di vista delle variabili interne, forse qualcuno si è accorto che c’è una certa previsione di crescita dei consumi e degli investimenti: che dipendono dal clima di fiducia. Gli ultimi indicatori disponibili non sembrano far segnare una ripresa in questo senso. Devo dire, però, che tutti i previsori indipendenti, tranne uno, sarebbero disposti a scommettere su una ripresa degli investimenti, e, come avete visto, anche più del MEF. Spero di essere stato abbastanza esauriente sul quadro macro, i cui fattori di rischio poi costituiscono, naturalmente, fattori di rischio per la finanza pubblica.
  Sul quadro tendenziale di finanza pubblica, non avendo molto del quadro programmatico, rinvierei al testo che ho depositato. In estrema sintesi, posso dire che valutiamo come realistico questo quadro tendenziale di finanza pubblica. Gli elementi di rischio che troviamo nel quadro tendenziale sono essenzialmente due: uno riguarda quello che ho appena detto, il quadro sottostante, per cui possono esserci elementi di rischio sulle entrate; quanto alla tenuta della spesa, ormai abbiamo una tradizione da alcuni anni in cui le previsioni di spesa, checché se ne dica, in Italia più o meno sono rispettate, a differenza di quelle sulle entrate.
  L'altro elemento che riguarda la spesa, se volete quasi un dettaglio, è che non dovete dimenticare che questi quadri tendenziali sono a legislazione vigente. Abbiamo una tradizione ormai pluriennale per cui ogni anno rifinanziamo una serie di interventi di cui un gruppo – sono sempre gli stessi – rimane costante nel tempo. Se facessimo una proiezione a politiche invariate, includendo quegli interventi, vedremmo un dato leggermente diverso da questo.
  Anche sul quadro programmatico non mi dilungherò di nuovo sul 2016-2018, ma spenderò solo poche parole. Come sappiamo tutti, il percorso di aggiustamento verso l'obiettivo a medio termine è stato interrotto nel 2014 e nel 2015 e sarà ripreso nel 2016. Chiaramente, dipende molto dal modo in cui si calcola l’output gap e così via.
  Avevamo promesso qualcosa di più corposo verso dicembre e come primo contributo abbiamo fatto un semplice esercizio che trovate nell'allegato 2: esso presenta una diversa stima dell’output gap, considerando un diverso tasso strutturale di disoccupazione. In pochissime parole, per chi si diverte con queste cose, il tasso di disoccupazione strutturale è a sua volta ciclico: noi abbiamo considerato un tasso di disoccupazione strutturale in cui abbiamo smussato la ciclicità. Dai grafici più o meno si capisce cosa abbiamo fatto.
  Con quest'accorgimento, quindi mantenendo al 2012 grossomodo il tasso di disoccupazione strutturale, smussandone la ciclicità successiva, ricalcolando l’output gap e applicandolo ai dati italiani, otterremmo che rispetto al 2013, quando eravamo già in pareggio strutturale, ci sarebbe stato un peggioramento lieve nel 2014 e nel 2015 e poi dal 2016 in poi saremmo in avanzo strutturale. Questo è Pag. 46soltanto per mostrare come sia sensibile quel calcolo alle ipotesi che facciamo e a come le costruiamo. Non c’è molto da aggiungere.
  Naturalmente, ci sono considerazioni da fare sulla politica del bilancio 2015, sui rischi connessi alla clausola di salvaguardia, sulla quale spenderò pochissime parole. La clausola di salvaguardia annunciata nella Nota e che riguarda l'IVA, perché sia considerata dalla Commissione, occorre che non sia generica – del tipo: poi faremo qualcosa sull'IVA – ma che indichi già con precisione la quantità e i termini dell'intervento. Deve essere qualcosa di automatico e che possa scattare immediatamente senza la necessità di adottare un nuovo provvedimento normativo. Questo elemento deve essere tenuto ben presente. Altri fattori di rischio sono quelli delle privatizzazioni sul debito e via elencando.
  Passiamo alla sezione relativa agli eventi eccezionali e alle regole di bilancio, che sono a mio avviso forse la parte più importante.
  Nella Nota di aggiornamento del DEF e nella relazione al Parlamento il Governo dichiara che la revisione degli obiettivi di bilancio e del percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine è motivata, tra l'altro, dalla necessità di far fronte al peggioramento delle condizioni dell'economia sperimentato nell'anno in corso, che si configura come un evento eccezionale ai sensi della normativa europea e nazionale.
  La prima questione, dunque, è la definizione di «evento eccezionale». Nella normativa italiana scostamenti temporanei del saldo strutturale dall'obiettivo programmatico sono consentiti esclusivamente nel caso di eventi eccezionali e tra questi vi sono periodi di grave recessione economica.
  Come interpretare queste disposizioni della normativa italiana per dare una valutazione di quest'affermazione ? Naturalmente, le disposizioni italiane vanno lette in coerenza con l'ordinamento europeo, che è quello del Patto di stabilità e crescita, ossia del suo braccio preventivo e del suo braccio correttivo.
  La parte correttiva fornisce una definizione di grave recessione e la definisce come «una situazione caratterizzata da un tasso di crescita negativo del PIL in termini reali o da una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa rispetto a quella potenziale».
  Nella parte preventiva si prevede per i paesi che non hanno ancora raggiunto il proprio obiettivo di medio termine, come è il caso dell'Italia, una dispensa totale dall'obbligo di migliorare il saldo strutturale in caso di grave recessione.
  Cos’è, quindi, una grave recessione ? Di grave recessione c’è una definizione nella parte correttiva. Inoltre, la parte preventiva dice che, se si è in grave recessione, non si deve fare niente per quest'anno.
  C’è, però, qualcosa in più, che rende la questione più complicata. Più in generale, il miglioramento del saldo strutturale, che deve essere, come sapete, dello 0,5 per cento, va inteso come termine di riferimento. L'aggiustamento dovrebbe essere superiore allo 0,5 per cento nelle fasi favorevoli, nei tempi buoni, e inferiore nelle fasi avverse, nei tempi cattivi.
  Cosa sappiamo della prassi interpretativa della Commissione ? Noi conosciamo, come Ufficio parlamentare di bilancio, una regola del pollice adottata dalla Commissione che serve a definire una situazione di grave recessione economica che implica una dispensa completa.
  La regola del pollice usata dalla Commissione dice che si deve realizzare una delle due condizioni: o un tasso di crescita negativo del PIL, oppure un output gap superiore al 4 per cento. Questa è la regola del pollice. Se una di queste due condizioni è realizzata, e nel 2014 sono realizzate entrambe, si può non fare nulla, in altri termini non procedere a nessun aggiustamento. Si ha un waiver, una deroga, una dispensa totale. D'accordo ?
  Quello che manca è una regola operativa che indichi che cosa si può fare nelle situazioni in cui c’è una recessione, ma l’output gap non è magari del 4 per cento, bensì, come nel caso nostro 2015, del 3,5. Pag. 47Questo è il punto che ci serve per definire la questione. Nel 2014, quindi, siamo a posto.
  Nel 2015 il saldo strutturale migliorerebbe, secondo i programmi del Governo, di 0,1, ossia meno dello 0,5 che sarebbe richiesto. Se adottassimo la regola del pollice della Commissione, dovremmo dire che non siamo nella condizione del waiver e che, quindi, dovremmo fare lo 0,5. Questa è una possibile interpretazione.
  Qual è la nostra valutazione ? Naturalmente, ci sembra che un criterio del genere manchi completamente di gradualità. Sarebbe ragionevole ritenere che una situazione come quella prevista dall'Italia nel 2015, ossia un output gap al 3,5, non sia trattata allo stesso modo di una situazione in cui l’output gap è zero. Quello che manca è una disciplina per le situazioni intermedie.
  C’è poi un'altra questione: abbiamo detto prima che uno dei criteri per definire la recessione grave è anche la storia. Il passo che vi ho letto relativo alla parte correttiva del patto parlava di una fase prolungata di perdita di produzione.
  Pertanto, ci sono due questioni che si possono porre: una è la gradualità – poiché una soglia secca che dice che sopra il 4 si è liberi e sotto il 4 si deve fare tutto non sembra molto ragionevole – l'altra questione è come ci si arriva. L'Italia come ci arriva ? Nel 2015 avremo una crescita modesta del prodotto, che interverrà dopo tre anni consecutivi di diminuzione. Negli anni 2013 e 2014 ci sarà un output gap superiore al 4 per cento.
  Il ragionamento che abbiamo fatto noi per concludere che questa situazione si può configurare come un evento eccezionale è utilizzare un indicatore diverso dal puro e semplice output gap, che è quello che si chiama «output gap rappresentativo», in inglese «representative output gap (ROG)». È una variabile che non abbiamo inventato, ma viene utilizzata nei regolamenti europei per la regola sul debito.
  L’output gap rappresentativo è quel valore dell’output gap che risulterebbe peggiore dei valori effettivamente riscontrati nel 95 per cento degli anni usati per stimarlo. Sintetizzando, su un arco di tempo di 25 anni, l’output gap rappresentativo è quel valore che è peggiore dei valori riscontrati nel 95 per cento di quei 25 anni. Pertanto, definisce qualcosa di eccezionale rispetto al periodo considerato.
  L’output gap rappresentativo per l'Italia ammonta al 2,7, quindi sarebbe superato dal 3,5. Per essere precisi, nel 2016 non sarebbe più superato, perché nel 2016, secondo la stima del Governo, l’output gap rappresentativo sarebbe 2,6. Non è, quindi, una licenza anche per il futuro, ma è qualcosa che si può applicare.
  Le valutazioni che vi ho fin qui enunciato ci porterebbero a dire che la situazione relativa all'anno 2015 potrebbe considerarsi ancora come eccezionale.
  Naturalmente c’è poi l'altro argomento che il Governo utilizza per rivedere gli obiettivi di bilancio: quello che si avrebbe un effetto molto pesante sulla situazione economica se l'intera correzione richiesta per ritornare all'obiettivo di medio termine (OMT) e al pareggio di bilancio, che è molto più pesante, fosse effettuata subito. Pertanto, il problema è valutare il pezzetto che ci manca. La valutazione dipende crucialmente dai moltiplicatori. Su questo c’è un altro allegato. Semmai ne parliamo.
  Tuttavia, ci sono due qualificazioni da fare rispetto a questo ragionamento. In primo luogo, tra i fattori che possono consentire deviazioni temporanee dal sentiero dell'aggiustamento, come sapete, c’è anche l'attuazione di importanti riforme strutturali.
  Che caratteristiche devono avere queste riforme strutturali ? Devono essere attuate e devono avere un effetto positivo sulla sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica. Non è importante che abbiano costi oggi e benefici in termini di bilancio domani. Possono essere costose o non costose oggi. L'importante è che abbiano benefici sulla crescita e, attraverso questi benefici, determinino una migliore sostenibilità della finanza pubblica. Questo è il punto. Questo è uno degli aspetti richiamati dal Governo.Pag. 48
  Prima ho fatto delle considerazioni per dire che dobbiamo essere prudenti (devono essere riforme già attuate eccetera). Possiamo dire che sono necessarie una verifica del grado di attuazione delle riforme e una valutazione dei loro effetti da svolgere sicuramente in sede di definizione del programma di stabilità. Questo è sicuramente un appuntamento che bisogna darsi per fare il punto.
  In questo momento onestamente non saremmo in grado di dare una valutazione quantitativa tale da essere utilizzata direttamente, come dicevo prima, ai fini della valutazione dello scostamento dal percorso di aggiustamento.
  C’è un'altra qualificazione importante che va nella direzione di una maggiore cautela. Tutte queste motivazioni di deroga, di scostamento – sia le riforme strutturali che la grave recessione – trovano un limite nei regolamenti europei, che è quello di non mettere in pericolo la sostenibilità di medio periodo della finanza pubblica.
  A tal fine, si deve comunque mantenere un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento per il rapporto tra disavanzo nominale e PIL. La previsione programmatica esposta nella Nota indica un rapporto disavanzo nominale – indebitamento netto/PIL pari al 2,9 per cento.
  Questo è un margine di sicurezza sufficiente ? C’è un elemento di rischio in questo ed è un elemento non valutabile oggi, perché il rischio si potrà valutare meglio solo dopo la presentazione del disegno di legge di stabilità, con cui potremo valutare anche la credibilità delle cifre associate ai vari interventi della politica di bilancio. Oggi non siamo in grado di farlo.
  Quali sono le nostre conclusioni ? Si ritiene che il quadro che si prospetta per l'economia italiana nel 2015 giustifichi una deviazione dal percorso di aggiustamento verso l'OMT sulla base della clausola degli eventi eccezionali. Occorre garantire tuttavia, anche sulla base di una più completa e affidabile valutazione degli effetti delle riforme strutturali, che l'ampiezza di tale deviazione sia tale da non mettere a rischio la sostenibilità di medio periodo della finanza pubblica.
  Credo che il messaggio sia chiaro. C’è poi una regola sulla crescita della spesa, sulla quale non mi dilungo perché non siamo in grado di dire nulla, richiede calcoli complicati sottraendo alcune voci di spesa che, finché non conosciamo il quadro programmatico, non siamo in grado di fare, e infine c’è la questione del debito.
  Come sapete, la regola del debito non è rispettata al pari di quella dell'OMT. Cosa possiamo aspettarci dalla Commissione rispetto alla regola del debito ? Possono valere le stesse considerazioni che abbiamo fatto per indicare questa situazione come ancora eccezionale ? Certamente sì, lo si può anche corredare con la possibilità che una manovra sul debito sia più forte, perché occorrerebbe come minimo una manovra di correzione di 2,2 punti del saldo strutturale.
  Nell'ultima pagina dell'allegato 5 sui moltiplicatori potete trovare una tabella, dove abbiamo fatto un esercizio – sono tutti esercizi eroici, fatti in pochi giorni per dare un ordine di grandezza – valutando con diversi valori del moltiplicatore quale tasso di crescita del PIL avremmo nel 2015 se rispettassimo la regola del debito.
  Con un moltiplicatore medio entrate/spese pari a 0,5 – che è quello che il MEF dice essere il moltiplicatore implicito nel suo modello – il tasso di crescita del PIL 2015 sarebbe pari a – 0,5. Il secondo è un moltiplicatore che prendiamo da una serie di studi OCSE, un po’ più alto, 0,65: il risultato sarebbe una diminuzione del PIL di 0,8. Il terzo – come sapete sull'entità del moltiplicatore ci sono molte discussioni – è uno studio del Fondo monetario e il moltiplicatore medio entrate/spese dello studio del Fondo monetario dello scorso anno indicherebbe che quella correzione provocherebbe una diminuzione del PIL di 1,5 punti.
  Questo è un elemento non irrilevante, soprattutto perché dimostra una condizione di oggettiva incertezza della professione Pag. 49degli economisti, perché su questo le opinioni sono obiettivamente molto divergenti, c’è una discussione iniziata autorevolmente nel 2013, che è ancora lontana dalla conclusione.
  È però importante sapere che tutti i modelli che abbiamo considerato (anche quelli dei nostri previsori indipendenti) sono modelli analoghi a quello del MEF, quindi non tengono conto del fatto che, in una fase di recessione e in presenza di altri aspetti su cui adesso non vi annoierò, i moltiplicatori potrebbero essere molto più alti dal normale. Questo è un caveat generale.
  Di altri due elementi dobbiamo tener conto nel valutare la situazione italiana rispetto alla regola del debito. Il primo è abbastanza semplice: l'accelerazione del pagamento dei debiti commerciali operata negli ultimi due esercizi. L'altro, più importante in realtà, è la questione della bassa inflazione. Essa, naturalmente, implica che il denominatore, cioè il PIL nominale nel rapporto debito/PIL, cresce molto meno di quello che crescerebbe se l'inflazione fosse al suo target del 2 per cento.
  Una valutazione precisa richiede un po’ di tempo. È chiaro, infatti, come si muoverebbe il PIL se l'inflazione fosse al 2 per cento; non è tanto chiaro come si muoverebbe il disavanzo se l'inflazione fosse più alta. Ovviamente, le entrate aumenterebbero, ma qualcosa succederebbe anche dal lato delle spese. Che ipotesi fate, ad esempio, sulla spesa per interessi ? L'interesse nominale si incorpora tutta l'inflazione aggiuntiva o no ? Lì bisogna fare un po’ di ragionamenti, che si possono fare, ma non in così pochi giorni.
  Vengo alle conclusioni: abbiamo validato il quadro macroeconomico programmatico e tendenziale degli anni 2014 e 2015 in quanto, allo stato delle informazioni disponibili, quelle previsioni si collocano nell'intervallo accettabile delle previsioni. Le previsioni macroeconomiche programmatiche per gli anni successivi appaiono ottimistiche, soprattutto per l'inclusione degli effetti delle riforme strutturali in corso di definizione. L'UPB ritiene preferibile che nei prossimi documenti di programmazione gli effetti delle riforme strutturali siano analizzati separatamente e non incorporati nel quadro macro.
  Alcuni elementi di rischio possono influire sulle prospettive di ripresa, quindi scenario internazionale e clima di fiducia di famiglie e imprese. Inoltre, le previsioni di finanza pubblica sono realistiche, ma ci sono anche qui elementi di rischio. Degli obiettivi programmatici di finanza pubblica e delle regole vi ho appena detto.
  Infine, pur ammettendo la liceità di una deviazione dal percorso, occorre garantire però che l'ampiezza di questa deviazione ci tenga al sicuro rispetto alla sostenibilità di medio periodo.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Pisauro per l'approfondita, lunga e dettagliata relazione.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Il mio gruppo evidenzia, come ha già fatto con alcune agenzie di stampa, che, chiaramente non per responsabilità dell'Ufficio di bilancio, questa relazione e questo quadro arrivano in «zona Cesarini», tanto per utilizzare un termine calcistico, che non consente neanche un approfondimento. Ringraziamo il professor Pisauro per aver portato e illustrato la relazione, ma ci riserviamo le valutazioni definitive domani in Commissione e domani pomeriggio nella discussione che ci sarà in Aula in riferimento a quanto è emerso.
  Siamo all'avvio dell'attività dell'Ufficio parlamentare di bilancio, per il proseguo è auspicabile, né potrebbe essere diversamente, che la valutazione sia data in tempi certi per garantire la possibilità al Parlamento di intervenire e valutare con il tempo normale che si utilizza anche per gli altri provvedimenti, non in assoluta emergenza.
  Vorrei che ci fosse una valutazione anche rispetto alla legge di stabilità. Un po’ tutti, compreso l'Ufficio parlamentare Pag. 50di bilancio, chiaramente ci hanno fatto un quadro grosso modo attuale della finanza pubblica, delle previsioni della Nota di aggiornamento del DEF e dell'impatto possibile, della correlazione con la situazione dei vincoli europei e così via, ma in assenza di una «gamba» importante, quella che dovrebbe far camminare tutto, ossia la legge di stabilità, che nessuno conosce.
  Riteniamo di esprimere una grande preoccupazione. Io non so quale sia il contesto con cui gli altri paesi, gli Stati membri dell'Unione europea, si rapportano con la Comunità europea. Se tutti gli altri paesi si comportano così come ci comportiamo noi, secondo me l'Europa non si costruirà mai. Io non vorrei che la reazione dell'Europa e di alcuni paesi fosse la risultante di una serie di considerazioni.
  A me fa piacere che quest'anno ci sia un'attenzione superiore, perlomeno rispetto all'anno precedente, al problema delle entrate. Se ne parla per mesi. Adesso che uscirà la legge di stabilità tutti andranno sull'articolato, sulle norme, sui 500.000 euro qui, sui 100.000 euro lì, sul milione là, ma poi nessuno parlerà più delle entrate.
  Io ritengo, invece, che tutti i nostri problemi nascano proprio da una sovrastima enorme che c’è stata negli ultimi anni sulle entrate. Ci sono stati poi gli aggiornamenti, ma soprattutto c’è il tema di come continuiamo a proporre all'Europa la sostenibilità delle spese. Il tema emerge oggi in tutte le audizioni, compresa quella dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Si dice che le spese riusciamo a controllarle, che riusciamo a dire quanto si spende e che poi, alla fine, si spende veramente quello.
  Io ho i miei dubbi anche in questo senso. Basta pensare a quello che fanno le ASL, le regioni, i comuni, a tutti i contenziosi in essere che ha lo Stato, a tutti i debiti fuori bilancio. Secondo me, non si riesce a controllare tutto. Ci sono alcuni punti deboli e alcuni oscuri.
  La storia è che le entrate vengono costruite negli anni Ottanta, con enormi partite di debito pubblico messe poi con i titoli di Stato sul mercato. Poi ci sono stati i Governi successivi, che hanno previsto in entrata grosse cifre derivanti dall'evasione che mai forse si sono realizzate. Sono seguiti, quindi, nuove spese e aumento del debito pubblico.
  Poi è arrivata la moda della spending review e anche un intreccio di clausole di salvaguardia, che ognuno immagina non esistano, mentre l'Europa e la Ragioneria generale dello Stato pretendono che almeno ci sia un vincolo in questo senso. Quest'anno mi sembra che la moda sia quella delle riforme strutturali. Aggiungiamo un altro tassello.
  Poi, chiaramente, non si fa nulla di tutto questo. Finora è così. Con 4,5 miliardi di euro di spending review previsti per quest'anno nella legge di stabilità, anche quella costruita, per quest'anno, a debito – l'esercizio finanziario è quasi alla fine – non solo non si è realizzato nulla, ma ulteriori nuove spese sono state finanziate con una spending review aggiuntiva, pari a 1,6 miliardi di euro.
  Sulle clausole di salvaguardia non so a quanto siamo arrivati, alla fine. Se non si realizzano, poi dovrebbero scattare in via automatica. Nel frattempo, se tutti gli sforzi e tutti i rischi annessi e connessi debbono essere finalizzati agli «80 euro» per sentire qui l'ISTAT che stasera viene a dire che praticamente non servono assolutamente a nulla in riferimento agli obiettivi che ha annunciato il Governo, o che il Governo pensa che possano essere raggiunti rispetto alla crescita e ai consumi, a me sembra che il quadro sia più che preoccupante da questo punto di vista.
  Non immagino che noi possiamo farcela, salvo che non ci sia a livello europeo una valutazione globale diversa. Se gli Stati membri si comportano tutti come ci comportiamo noi, è fin troppo evidente che sarebbe auspicabile un nuovo patto tra gli Stati membri, per ripartire tutti in maniera più etica e più decente rispetto a questo. Altrimenti l'Europa non la costruiremo mai.
  Per quanto riguarda le condizioni eccezionali, mi auguro le motivazioni siano Pag. 51sufficienti. Il fatto di spostare ogni anno il pareggio di bilancio non mi sembra sia previsto nel contesto dei vari trattati. Anche questo è un provvedimento che viene disatteso, seppure viene giustificato col fatto che la recessione sarebbe addirittura peggiorativa in riferimento a questo. Su questo chiaramente non ci sono dubbi.
  Abbiamo una sintesi parziale da parte dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Non potrebbe essere diversamente.
  Le previsioni macro programmatiche per gli anni 2016-2018 appaiono ottimistiche, soprattutto per l'inclusione degli effetti delle riforme strutturali. Non ripeto ciò che è già stato detto.
  In riferimento a questo, andrebbero valutate con più ponderazione rispetto ai rischi tutte le varie entrate in termini di veridicità fittizia. In questo caso si tratta del bilancio dello Stato, ma la stessa cosa si potrebbe dire per il libro degli enti locali, dove si scrivono delle entrate che mai si realizzano, a partire dalle tasse locali. C’è l'evasione di necessità, soprattutto nelle regioni del Sud e a seguire anche rispetto a tantissime altre situazioni che poi scopriremo.
  Il presidente Boccia poco fa, nella precedente audizione, esprimeva la preoccupazione che gli enti locali vanno in dissesto. Peggio per loro ! Hanno avuto amministratori dissennati ed è giusto che vadano in superdissesto ! È giusto che ci siano delle conseguenze. Probabilmente, per il bene e per il futuro di questo Paese, dovremmo passare anche a situazioni di carattere penale, se è necessario.
  Allo stesso modo, è fin troppo evidente che le entrate sono molto aleatorie, con riferimento ai consumi che potrebbero esserci all'interno del nostro Paese e che al momento non sembrano migliorare, alla situazione geopolitica e al problema dei mercati, che speriamo restino in sonno come sono adesso e non avviino speculazioni di ogni genere rispetto a questo tipo di situazione.
  In riferimento a tutto questo, l'auspicio è che la legge di stabilità presenti un quadro rispondente alle aspettative di finanza pubblica, ma anche alle aspettative di non esporsi a rischi, alla possibilità di aumenti di debito pubblico e a una nuova procedura di infrazione da parte dell'Unione europea.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Palese. Io non l'ho interrotta, anche se non avevamo previsto la sua audizione. Siamo tutti un po’ stanchi. Lo dico alla fine di una giornata importante e complessa.
  Mi rendo conto che questa è la prima audizione formale dell'Ufficio parlamentare di bilancio e anche del fatto che la mole di informazioni e l'evidenza empirica che il presidente Pisauro ci ha portato sono una positiva novità per queste due Commissioni e per il lavoro del Parlamento.
  Tuttavia, devo chiedere ai colleghi di concentrare l'intervento in una o più domande da porre al presidente Pisauro e ai colleghi dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Chiara Goretti e Alberto Zanardi, che colgo l'occasione per salutare.
  Io concentrerei le risposte in un unico intervento o in più interventi, presidente Pisauro, se ritenete di dover intervenire in più parti.

  MARCO CAUSI. Signor presidente, mi permetta di rilevare che l'esordio del professor Pisauro e dell'intero collegio che rappresenta l'Ufficio parlamentare di bilancio a me sembra eccellente, come era peraltro prevedibile da parte di chi ha seguito tutta la vicenda dell'istituzione di questo ufficio.
  È un esordio eccellente perché, a differenza dei documenti e degli approcci a cui siamo abituati da parte di chi segue queste cose dal proprio versante istituzionale (Banca d'Italia, ISTAT, Corte dei conti), questi sono documentazioni, studi e approcci fortemente coerenti e pregnanti rispetto ai temi che quotidianamente vedono il vostro affanno come decisori di finanza pubblica.
  Voglio quindi ringraziare l'Ufficio parlamentare di bilancio per questi lavori, e sicuramente, presidente Boccia, dovremo trovare il modo per avere una sede tecnica più di spessore, prendendoci più tempo Pag. 52per andare più a fondo e capire meglio alcuni dei contributi che oggi ci sono stati delineati.
  Ho due domande. Francamente nella situazione in cui siamo a me del 2016 o del 2017 non importa molto e, se riusciamo a capire qualcosa del 2015, mi sembra molto. Guardando la figura n. 1 che c’è stata prodotta, mi pare di capire – vorrei su questo una conferma – che le previsioni che il Governo fa sul 2015 sono sostanzialmente coerenti con il panel dei previsori con cui le avete confrontate.
  Mi pare di capire che l'unica cosa su cui il Governo è più ottimista degli altri è sui consumi finali nazionali, ma questo ottimismo non si riverbera in una stima del PIL particolarmente diversa. Vorrei che mi venisse confermato che le previsioni macroeconomiche del Governo sul 2015 sono coerenti con quelle dell'insieme degli altri previsori.
  Le considerazioni che il professor Pisauro ha fatto sul 2016 e il 2017 mi trovano sostanzialmente concorde sul piano metodologico, dobbiamo ragionarci meglio, ma dal punto di vista dell'emergenza politica mi sembrano meno importanti.
  Seconda questione. Voi ci avete proposto interessantissimi ragionamenti sia sulle regole europee che sull’output gap, su cui dovremo tornare (molti di noi avevano posto domande sull’output gap a precedenti auditi), ma il punto cruciale è che qui noi confrontiamo un profilo tendenziale con un nuovo profilo programmatico.
  Non potrebbe anche essere utile confrontare il vecchio profilo programmatico – quello di aprile – con l'attuale profilo programmatico ? Mentre noi eravamo su un sentiero MTO che ci portava nel 2015 a un saldo primario di 3,3, il Governo decide che il saldo primario nel 2015 è 1,6, quindi 1,7 in meno, del quale lo 0,6 dipende dalla spesa per interessi che scende da 5,1 a 4,5, quindi in sostanza il Governo sta prendendo uno spazio di manovra fiscale di 1 punto di PIL.
  Questo è l'impatto che vorrei vedere. Lo vediamo con la tabella finale che avete predisposto sui moltiplicatori ? Se avessimo mantenuto la previsione programmatica di aprile di portare il saldo primario al 3,3 e se il moltiplicatore medio fosse dello 0,5 saremmo cresciuti dello 0,2 ? Grazie a questo punto in più di deficit, invece, andiamo allo 0,6, quindi acquistiamo circa mezzo punto di PIL ? Questo «numeretto» potrebbe essere molto interessante per la nostra discussione.
  Qual è l'impatto della decisione del Governo, con questa Nota di aggiornamento che dà un punto in più di manovra fiscale, a seconda dei vari tipi di moltiplicatore che si possono ottenere ? Credo che il tableau de bord delle valutazioni che avete già messo in campo vi consenta di fornirci quest'elemento anche in tempi brevi.

  GIAMPAOLO GALLI. Anch'io mi complimento col presidente Pisauro e con gli altri membri dell'Ufficio per questo documento analitico estremamente ricco.
  Mi concentrerò sulla sostanza. Sono validate le previsioni macroeconomiche, si dice che vi sono le condizioni eccezionali per giustificare la deviazione. In questo mi sembra che rendete ancora più esplicito ciò che mi era sembrato di capire dall'audizione della Corte dei conti, posto tuttavia che si facciano le riforme e si possa di esse dare una valutazione positiva riguardo agli effetti di lungo termine.
  A me sembra che più di così, dal punto di vista del modo di procedere e al di là dei risultati che ho enunciato, non si potesse fare. Certo, si ha bisogno della legge di stabilità per valutare gli effetti del programmatico, ma non credo che in altri Paesi l'Ufficio parlamentare di bilancio abbia la legge di stabilità prima che questa sia approvata dal Consiglio dei ministri, quindi è difficile valutarla prima che essa esista.
  Qualora anche si immaginasse una procedura in cui l'Ufficio parlamentare di bilancio conoscesse la legge di stabilità prima che l'abbiano il Consiglio dei ministri o il Parlamento, questo porrebbe dei problemi istituzionali ancora più grossi di quelli che si porrebbero altrimenti, quindi francamente a me sembra che più di così Pag. 53non si possa fare, che ci siano tutte le condizioni per andare in Aula e decidere.
  Riguardo a un punto vorrei formulare una domanda e un'osservazione, ossia sul punto di eliminare le riforme dal programmatico. Il programmatico differisce dal tendenziale perché ci sono le riforme strutturali e perché c’è un diverso profilo del disavanzo, in particolare lo 0,7 per cento in più per il 2015. La vostra proposta, che immagino pro futuro, non per adesso, come proposta costruttiva per fare forse le cose meglio riguarda sia l'eliminazione delle riforme strutturali sia quella del maggiore disavanzo ? In gran parte, il PIL è indipendente sia dalle riforme strutturali sia dal disavanzo, che sarà sempre ovviamente diverso tra il tendenziale e il programmatico ?
  In particolare, osservo anche la differenza, alla luce di quei rombi, tra il PIL tendenziale e il PIL programmatico: nel 2015, è di +0,1, cioè minima. Stiamo parlando, quindi, di poca cosa. Nel 2016, sale a +0,2 il tasso di crescita del PIL tra tendenziale e programmatico. Mi sembra che il tema che avete posto sia più che legittimo, ma che in pratica per quest'esercizio abbia un impatto quantitativo limitato.

  FEDERICO D'INCÀ. Anch'io ringrazio per la relazione, che sicuramente leggerò questa notte. A mio avviso, forse doveva arrivare in tempi consoni. Io stesso ho chiamato l'Ufficio parlamentare di bilancio per capire se fosse una lettera, come avevate fatto, o se, diversamente, avremmo avuto una relazione. Anch'io, quindi, vi chiedo se sia possibile, in futuro, avere la vostra relazione con un certo anticipo.
  La seconda cosa che volevo dire è che la vostra validazione dei dati relativi al 2015, in relazione al quadro economico programmatico e tendenziale, a me pare strana, dal momento che non siete ancora a conoscenza del contenuto della legge di stabilità, nonché alla luce della mancanza degli effetti delle riforme strutturali. Il vostro è un parere validante positivo espresso, a mio parere, senza il dettaglio dei dati.
  C’è un'altra cosa che vorrei chiedere. Con riferimento agli anni 2016-2018, ci sono previsioni che voi definite «ottimistiche». Io non credo che questo sia il termine corretto da poter mettere all'interno di una relazione. Credo che il termine corretto sia «valide» o «non valide». Vorrei da voi semplicemente la vostra posizione. Se non è il tema di questo primo incontro, ritengo che questo non debba essere inserito nella relazione.
  Il terzo punto che vorrei mettere in risalto è che le considerazioni da voi svolte per inserire anche l’output gap rappresentativo con il 2,7 costituiscono una presa di posizione forte. Questa sembra una via di uscita al Governo nel momento in cui non dovesse avere né la diminuzione del PIL per il prossimo anno e, quindi, dovesse avere un più 0,5-0,6 e un output gap normale, almeno del 3,5, e non dovesse avere la possibilità di lavorare sulla mancanza del pareggio di bilancio. Sembra una via d'uscita offerta al Governo per poter andare in Europa e definire la questione in questa maniera.
  Mi domando: nel caso in cui, invece, questa via di uscita non ci fosse o non fosse possibile utilizzarla, cosa farà il Governo o cosa farà il nostro Paese ?

  MAINO MARCHI. Signor presidente, volevo cogliere l'occasione per ringraziare i componenti dell'Ufficio parlamentare di bilancio sia per la qualità e la quantità del materiale che ci hanno fornito in quest'audizione, sia perché hanno risolto un problema che era emerso nella precedente audizione. Lo dico perché questo può avere riflessi anche, mi immagino, nella giornata di domani, visto quello che è stato qui già detto, per esempio, dall'onorevole Palese.
  Noi abbiamo fatto una discussione nella precedente audizione a causa del fatto che, per la revisione statistica che ci portava ad avere i dati sul PIL dopo il 20 settembre, non fosse possibile avere la Nota di aggiornamento del DEF entro il 20 settembre, ma all'inizio di ottobre. I tempi si sarebbero, quindi, ristretti rispetto alla legge di stabilità. Ci era stato detto che Pag. 54sarebbero stati validati i dati relativi al tendenziale, ma che avremmo avuto poco tempo, invece, per quanto riguarda il programmatico. Sarebbe stato comunque pronto entro il 15, giorno in cui i dati devono essere mandati all'Unione europea.
  Noi abbiamo posto il problema che prima del 15 il Parlamento si dovesse esprimere. Oggi, che è il 13, e non il 15, noi abbiamo la documentazione da parte dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che ci permette domani, in Commissione e in Aula, di fare la discussione, avendo già gli elementi che ci doveva fornire l'Ufficio parlamentare di bilancio anche sul programmatico.
  Credo che intanto ci sia da prendere atto che c’è stato un lavoro che permette al Parlamento di affrontare nei tempi più ristretti che abbiamo quest'anno, ma con più elementi rispetto agli anni scorsi, anzi con molti più elementi rispetto agli anni scorsi, la discussione relativa alla Nota di aggiornamento del DEF.
  Tuttavia – lo dico anche per gli anni futuri – se, da una parte, potremo avere un po’ più di tempo, perché questa condizione eccezionale non tornerà ad esserci, dall'altra, è indubbio che continueremo ad avere la discussione sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza prima della legge di stabilità, perché il Parlamento si pronuncia prima del 15, anzi il disegno di legge viene proposto dal Governo una volta che il Parlamento si è espresso sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza.
  O rovesciamo tutti i termini che abbiamo già individuato nelle varie normative, oppure questa questione rimane così e ha una sua logica a mio avviso. Non è una domanda, però credo che sia un fatto da sottolineare rispetto alle questioni che sono state sollevate.

  LINDA LANZILLOTTA. Rivolgo un ringraziamento non formale al presidente Pisauro e al collegio dell'Ufficio parlamentare di bilancio che si mette alla prova per la prima volta. Credo che sia un esercizio molto importante, significativo e soprattutto molto utile per il Parlamento. Io mi auguro che lo sia anche per la gestione del processo di bilancio nell'Unione europea.
  Da questo punto di vista, io credo che una riflessione sul calendario del processo di bilancio vada fatta, perché è vero che arriviamo prima, ma il quadro macroeconomico su cui il Governo costruisce la legge di stabilità necessariamente è assunto «come se». È chiaro che se il disegno di legge di stabilità va approvato il 15, una variazione del quadro che derivasse dalla risoluzione parlamentare potrebbe significativamente incidere su scelte del Governo che ormai sono fatte. Ancorché oggi come oggi non si possa fare diversamente, domani il problema di un calendario che renda incisivo il ruolo del Parlamento e dell'Ufficio parlamentare di bilancio, a mio avviso, va posto.
  Io vorrei brevemente porre due domande. La prima riguarda la differenziazione del saldo strutturale nel 2015 dallo 0,5 allo 0,1 del PIL. Mi sembra di capire che questo sia l'elemento contestato in sede europea. Mi domando se c’è effettivamente un riscontro su questo punto e come si svolge adesso la procedura in sede europea.
  Se ci fosse un dissenso su questo dato su cui è costruita la legge di stabilità, cosa succederebbe nel rapporto tra Unione europea, Governo e Parlamento italiano ai fini della decisione ? Questo è un primo dato. Dovremmo modificare il quadro macroeconomico e quindi ridefinire le grandezze della legge di stabilità o sarebbe attivata una procedura successiva ?
  Credo che anche per questo motivo dovremmo modificare un po’ il calendario, affinché la decisione di consolidamento del quadro macroeconomico arrivi in tempo e la legge di stabilità sia solida e costruita su basi definite.
  In secondo luogo, l'onorevole Galli dice che non dobbiamo occuparcene, ma io mi domando se questa riduzione del saldo strutturale e lo scorporo dell'impatto sulle riforme non possano avere un riflesso sul quadro tendenziale degli anni successivi.
  Infine, vorrei sapere se e in che modo i 10 miliardi di bonus IRPEF, che sono stati dati nel 2014 sotto forma di 80 euro Pag. 55e che dovrebbero essere consolidati per gli anni successivi, sono stati valutati nel quadro macroeconomico ai fini del sostegno eventuale della domanda e, quindi, della ripresa del PIL.
  L'ISTAT afferma – ma non so quanto sia condivisibile questa affermazione – che questa misura non ha effetti redistributivi. Se non avesse davvero effetti redistributivi, questa funzione di sostegno alla domanda, al di là del suo carattere di equità, verrebbe meno.
  Mi chiedo come invece il modello che voi avete usato abbia valutato questo aspetto.

  FRANCESCO CARIELLO. Signor presidente, mi associo ai complimenti per la valutazione che questo ufficio ha portato finalmente in questa Commissione. Credo sia la prima volta da quando sono in Commissione bilancio che si fa programmazione a tutti gli effetti, con un orizzonte temporale anche un po’ più avanti.
  Mi associo anche all'aspetto della tempistica, auspicando che d'ora in poi queste valutazioni siano fatte per tempo, e chiudo su questi aspetti che credo siano condivisi da tutti.
  Per quanto riguarda invece l'analisi sul DEF, la parte che apprezzo maggiormente è l'allegato 1, dove è inserita la declinazione di evento eccezionale. In questo allegato emerge un dato chiaro, che con piacere trovo evidenziato dall'Ufficio parlamentare di bilancio: la duplice natura dell'ordinamento giuridico che sottende alla governance economica.
  Avete evidenziato benissimo come il Trattato di Maastricht e i conseguenti trattati sul funzionamento dell'Unione europea abbiano un'impostazione totalmente parallela (non dico diversa o sovrapponibile) a quella che ha dato il Patto di stabilità e crescita e quindi poi il Fiscal compact.
  Sono due ordinamenti giuridici che non si sono mai fusi, perché il Patto di stabilità e crescita non è stato ancora formalmente armonizzato nei trattati di funzionamento dell'Unione europea, punto da approfondire nei rapporti tra Ufficio parlamentare di bilancio e Commissioni competenti.
  Legandomi a questo aspetto, formulo una proposta a questa Commissione cogliendo l'occasione della discussione sulla Nota di aggiornamento del DEF: un'indagine conoscitiva sulla declinazione del Fiscal compact e in generale della governance economica in relazione all'originale impostazione del Trattato di Maastricht, perché ci sono diverse opinioni. Quindi perché non fare un piano di audizioni di esponenti in grado di esprimere una valutazione più approfondita sulla declinazione della dualità austerità/flessibilità, come è emerso anche nella Conferenza interparlamentare sul Fiscal compact ?
  Perché non farlo come Commissioni competenti con un Ufficio parlamentare di bilancio che è preposto anche alla valutazione tecnica, entrando nel dettaglio delle declinazioni tecniche di austerità e flessibilità ? Come Commissione possiamo quindi pensare di impegnarvi in una indagine conoscitiva mirata.
  Nel merito delle vostre valutazioni chiudo sull'analisi di sostenibilità del debito. Nella Nota di aggiornamento del DEF è incluso un grafico esaustivo, quello che al capitolo 4 mostra l'evoluzione nel tempo delle determinanti del debito.
  Devo leggere meglio la vostra relazione, ma credo ci sia da spendere qualche parola in più sulla costante che la determinante relativa agli interessi mantiene. Lo scenario internazionale dei tassi di interesse potrebbe variare dalle valutazioni della stessa Commissione, perché sappiamo che quando la Commissione europea valuterà il nostro documento programmatico si innescheranno una serie di eventi internazionali o valutazioni in grado di variare l’appeal sulla nostra sostenibilità di finanza pubblica. Queste valutazioni sul tasso di interesse nel tempo possono, quindi, anche subire brusche variazioni che non sono incluse nella Nota di aggiornamento del DEF. Vorrei la vostra valutazione in merito.
  Sempre dallo stesso grafico si evince quanto le determinanti negative, quindi in riduzione del debito, siano fondamentalmente Pag. 56basate sull'aumento dell'avanzo primario, che è consistente, ma non supportato da una componente del tasso di crescita valido. Mi spiego meglio. Se abbiamo già pensato che l'unico modo per sostenere questo debito sia utilizzare le clausole di salvaguardia, che il Governo lo dica chiaramente.
  Da questa valutazione non si evince nulla che sia a supporto dell'impatto delle riforme strutturali. Queste sono le valutazioni che vorrei l'Ufficio parlamentare di bilancio sottolineasse o esplicitasse in maniera migliore. Ripeto che devo comunque approfondire la vostra relazione. Quanto è stato detto è abbastanza corposo e ci darete il tempo anche di discuterla magari domani in Aula.

  PRESIDENTE. Do la parola, per l'ultimo intervento, al relatore del provvedimento per la Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera deputati, onorevole Misiani.

  ANTONIO MISIANI. Intervengo solo per associarmi ai ringraziamenti al presidente Pisauro e ai membri dell'Ufficio parlamentare di bilancio per gli elementi analitici e di validazione e valutazione veramente preziosi nel lavoro parlamentare di analisi della Nota di aggiornamento e, soprattutto, del quadro complessivo della manovra di bilancio pubblico di imminente varo.
  Trovo particolarmente significativa la validazione del tendenziale e programmatico che mette in sicurezza dal punto di vista di chi in Parlamento dovrà discutere i numeri per il 2015 alla base della manovra di bilancio. Condivido molte delle valutazioni che l'Ufficio parlamentare di bilancio fa, non da solo peraltro, sul tema oggettivamente delicato dell'impatto delle riforme strutturali sugli indicatori di contabilità nazionale, tema che sicuramente merita un approfondimento anche dal punto di vista metodologico.
  Credo che, dal punto di vista della strutturazione del calendario, qualche riflessione ulteriore comunque andrà fatta. Parliamo sempre di analisi compiute, per quanto riguarda il programmatico, su macronumeri della manovra di bilancio che non permettono, naturalmente, all'Ufficio parlamentare di bilancio di entrare nel merito di singole misure che hanno di per sé un impatto potenzialmente molto diverso sui numeri del quadro macroeconomico.
  Concludo continuando a sollevare un tema che avevo sollevato nel corso della prima audizione: ritengo, per esempio, che una manovra espansiva di 0,7 punti di PIL, a memoria la manovra di bilancio maggiormente espansiva che questo paese abbia sperimentato forse dal 2000-2001 in sede di legge finanziaria e legge di stabilità, potenzialmente abbia un impatto nettamente superiore allo 0,1 di discostamento tra PIL tendenziale e PIL programmatico anche solo per la sua entità, tenendo conto oltretutto di tutto il dibattito che si è sviluppato sui moltiplicatori delle politiche di bilancio, ma a questo punto credo che ne parleremo a consuntivo.

  PRESIDENTE. Porrò solo una riflessione sui tempi. Molti dei colleghi hanno giustamente lamentato la pressione che abbiamo subìto tutti in questi giorni per la valutazione connessa ai tempi molto stretti, pressione che si è scaricata anche sull'Ufficio parlamentare di bilancio e su tutte le istituzioni intervenute.
  Penso che sia stata un'annata eccezionale. Il passaggio dal SEC95 al SEC2010 ha portato l'ISTAT a trasmettere i dati al MEF intorno al 20-22 settembre e il MEF, di conseguenza, a elaborare la Nota di aggiornamento al DEF solo il 1o ottobre. Penso che a tutti siano mancati 15 giorni. Questa è la motivazione per cui ci ritroviamo qui con tempi così compressi. Succede una volta ogni 15 anni e speriamo che non ci sia alcun accadimento eccezionale l'anno prossimo. Lo dico perché anche la pressione che c’è stata sull'UPB è figlia di questa condizione.
  Ringrazio ancora il presidente Pisauro, Chiara Goretti e Alberto Zanardi per il lavoro fatto. Chiederei al presidente Pisauro di limitare la replica – e lo chiedo eventualmente anche per quella dei colleghi Pag. 57– semplicemente perché tra dieci giorni ci ritroveremo sulla legge di stabilità.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Anche quindici.

  PRESIDENTE. Direi dieci giorni al massimo a partire dal Consiglio dei ministri. I tempi sono quelli, perché poi l'Aula lavora e ci richiama ai nostri doveri.
  Do la parola al presidente Pisauro per la replica.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Devo innanzitutto ringraziare chi ci ha ringraziato. Siamo, ovviamente, lieti dell'accoglienza che ha ricevuto il nostro lavoro. Permettetemi, anche a nome dei miei due colleghi, di ringraziare il gruppo dello start-up dell'Ufficio, un gruppo, come sapete, molto piccolo, su cui, però, è ricaduto tutto questo lavoro. Senza la loro dedizione – devo davvero dirlo – questo non sarebbe stato possibile.
  Per quanto riguarda la storia del quadro che arriva in «zona Cesarini», come è stato un po’ richiamato da molti, vale quello che diceva il presidente Boccia: arriva in «zona Cesarini» perché, se noi il quadro lo vediamo insieme con tutti gli altri, quando viene pubblicato, dieci giorni per lavorarci servono. Questo è fuori discussione.
  Il fatto che noi abbiamo inviato la lettera di validazione venerdì e che questa relazione l'abbiamo presentata oggi, lunedì, non deriva da cattiva volontà. Diversamente non sarebbe stato possibile. Noi la relazione l'abbiamo finita di confezionare circa un'ora prima di venire qui. Probabilmente in futuro, quando avremo forze maggiori, riusciremo a farlo due ore prima, ma c’è una difficoltà oggettiva.
  Al limite, sarebbe da considerare o la possibilità che si crei un rapporto diverso, per cui il MEF ci fornisca indicazioni sul programmatico prima della pubblicazione per poterci cominciare a lavorare prima, oppure ancora – questa potrebbe essere una cosa su cui ragionare – che legge di stabilità e invio alla Commissione europea del Documento programmatico di bilancio non coincidano più come giorni.
  È un caso che il Semestre europeo si sia sovrapposto a una data del ciclo di bilancio previsto dalla legge di contabilità del Governo italiano, quella del 15 ottobre. Si potrebbe anche immaginare una legge di stabilità presentata una decina di giorni prima, ai primi di ottobre. Questa, naturalmente, è una cosa su cui riflettere.
  Sulle previsioni 2015 ci sono state varie domande di diverso segno. Ci tengo a chiarire una cosa: nelle previsioni 2015 non c’è alcun effetto delle riforme strutturali. Se leggete con attenzione, vedrete che l'effetto di riforme strutturali nuovo, aggiuntivo rispetto a quello che già c'era nei tendenziali passati, parte dal 2016.
  La differenza tra programmatico e tendenziale è unicamente dovuta alla manovra, che non conosciamo nei dettagli. Sappiamo, però, innanzitutto una cosa, ossia quella che diceva l'onorevole Misiani: la manovra è una manovra in disavanzo di sette decimi di punto. Essa ha chiaramente un effetto, sul PIL.
  Da quel punto di vista, sono d'accordo e penso anch'io che sia particolarmente prudente immaginare che sette decimi di punto di disavanzo abbiano come effetto solo una crescita di un decimo di punto del PIL. Infatti, per il 2015, come abbiamo visto, il Governo è ampiamente dentro tutti gli altri, anzi è un po’ sotto.
  Per il 2016-2018 il discorso è un po’ diverso. Infatti, a fine periodo, l'effetto delle riforme strutturali è dichiarato 0,4 punti di PIL. Tutto è possibile, però, senza conoscere esattamente i dettagli delle misure, è un po’ difficile da condividere.
  Noi su questo abbiamo valutato e non validato, perché non è nostro compito. Non ci è richiesto di valutare le previsioni oltre il primo anno. Qualcuno diceva che gli economisti devono star zitti. Già si sbagliano le previsioni a un anno, figuriamoci quelle su tre o quattro anni. Su questo mi sento tranquillo.
  Il ROG è una via d'uscita per il Governo ? Noi abbiamo ancora un atteggiamento Pag. 58da ricercatori. L'idea è questa: ci sembra che un ragionamento che non tenga conto della storia sia un po’ «rozzo». Abbiamo, quindi, cercato di vedere se all'interno della cassetta degli attrezzi della Commissione e delle regole europee ci fosse qualcosa che ci desse un'indicazione sulla storia. Come dicevo, l'anno prossimo questo criterio non ci salverebbe (anche se comunque 2,6 è meno di 2,7). È un qualcosa di molto stabile, che viene ricalcolato ogni tre anni in media.
  Non sono molto contento di averlo tirato fuori, a dir la verità, per un motivo: non mi piacciono gli indicatori secchi. Tuttavia, in questo quadro è comunque qualcosa di meno «rozzo» dell'altro.
  La senatrice Lanzillotta chiedeva che cosa farà la Commissione. Ovviamente non lo so. L'unica cosa che posso dire è quella che ho raccontato prima. Abbiamo scoperto che esiste una regola del pollice della Commissione che è scritta e che gli Stati conoscono: sei libero dall'obbligo di aggiustare se rispetti quelle due condizioni. In situazioni intermedie, non c’è nessuna regola, ne hardsoft.
  Pertanto, non sappiamo cosa accadrà. C’è una discussione in atto. Qualche eco ci è arrivata ed è stata pubblicata anche sui giornali. Qualcuno dice che se anziché fare 0,5 si fa 0,2 va bene lo stesso, altri dicono che bisogna fare comunque 0,5.
  Forse i miei colleghi vorranno intervenire su questo. Almeno una è molto più brava di me nell'interpretare le regole. Al limite la Commissione potrebbe rinviare al Paese che lo ha predisposto il Documento programmatico di bilancio invitandolo a modificarlo e per farlo ha tempo fino a fine ottobre (si tratterebbe, quindi, della vecchia Commissione, non della nuova). Questo è quello che può accadere. La procedura per i disavanzi eccessivi scatterebbe eventualmente solo dopo.
  Non so se ho tralasciato qualcosa di fondamentale.

  PRESIDENTE. Penso che sia stato esaustivo. Ci rivediamo al massimo tra un paio di settimane.
  Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 20.25.