XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 2 di Martedì 15 aprile 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Saltamartini Barbara , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti del CNEL (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Saltamartini Barbara , Presidente ... 3 
Jannotti Pecci Costanzo , consigliere CNEL e coordinatore della Commissione I ... 3 
Saltamartini Barbara , Presidente ... 3 
Marzano Antonio , presidente del CNEL ... 3 
Jannotti Pecci Costanzo , consigliere CNEL e coordinatore della Commissione I ... 8 
Saltamartini Barbara , Presidente ... 8 
Misiani Antonio (PD)  ... 8 
Jannotti Pecci Costanzo , consigliere CNEL e coordinatore della Commissione I ... 8 
Santini Giorgio  ... 8 
Marzano Antonio , presidente del CNEL ... 9 
Del Barba Mauro  ... 10 
Marzano Antonio , presidente del CNEL ... 11 
Jannotti Pecci Costanzo , consigliere CNEL e coordinatore della Commissione I ... 12 
Saltamartini Barbara , Presidente ... 12 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Saltamartini Barbara , Presidente ... 12 
Golini Antonio , presidente dell'ISTAT ... 12 
Saltamartini Barbara , Presidente ... 18 
Marcon Giulio (SEL)  ... 18 
Zanoni Magda Angela  ... 19 
Uras Luciano  ... 19 
Golini Antonio , presidente dell'ISTAT ... 20 
Monducci Roberto , capo dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche dell'ISTAT ... 20 
Baldacci Emanuele , capo dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT ... 20 
Sabbadini Linda Laura , capo dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'ISTAT ... 21 
Golini Antonio , presidente dell'ISTAT ... 21 
Saltamartini Barbara , Presidente ... 21 

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 22 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 22 
Boccia Francesco , Presidente ... 30 
Del Barba Mauro  ... 30 
Mazziotti Di Celso Andrea (SCpI)  ... 30 
Marcon Giulio (SEL)  ... 30 
Comaroli Silvana Andreina  ... 30 
Marchi Maino (PD)  ... 31 
Santini Giorgio  ... 31 
Boccia Francesco , Presidente ... 31 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 31 
Boccia Francesco , Presidente ... 31 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 32 
Boccia Francesco , Presidente ... 32 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 32 
Gaiotti Eugenio , direttore principale del servizio struttura economica della Banca d'Italia ... 36 
Boccia Francesco , Presidente ... 36 
Signorini Luigi Federico , vice direttore generale della Banca d'Italia ... 36 
Boccia Francesco , Presidente ... 36 
Signorini Luigi Federico , vice direttore generale della Banca d'Italia ... 36 
Boccia Francesco , Presidente ... 37 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 37 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 37 
Boccia Francesco , Presidente ... 45 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 46 
Comaroli Silvana Andreina  ... 46 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 46 
Santini Giorgio  ... 46 
Boccia Francesco , Presidente ... 46 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 47 
Flaccadoro Enrico , consigliere della Corte dei conti ... 47 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 48 
D'Amico Natale , consigliere della Corte dei conti ... 49 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 50 
Boccia Francesco , Presidente ... 50 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 50 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 50 
Boccia Francesco , Presidente ... 51

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI BARBARA SALTAMARTINI

  La seduta comincia alle 8.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del CNEL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti del CNEL.
  Saluto i rappresentanti del CNEL, il presidente professor Antonio Marzano, il consigliere del CNEL, coordinatore della Commissione I, dottor Costanzo Jannotti Pecci, il capo della segreteria tecnica del presidente, Stefano Bruni, il dirigente del CNEL Larissa Venturi e il portavoce Valerio Gironi.
  Do la parola al dottor Jannotti Pecci.

  COSTANZO JANNOTTI PECCI, consigliere CNEL e coordinatore della Commissione I. Come coordinatore della politica economica, vi ringrazio per l'opportunità, soprattutto in questo momento, che avete dato alla nostra istituzione di esprimere le proprie valutazioni sul documento di economia e finanza.
  Abbiamo lavorato su questo documento partendo, naturalmente, dai dati dei quali già disponevamo. I tempi di presentazione del Documento di economia e finanza 2014 sono stati, infatti, decisamente stretti e quindi ci riserviamo di ritornare come Commissione e, naturalmente, come organo collegiale, su tali argomenti una volta che avremo conosciuto anche i contenuti del decreto-legge, che credo dovrà essere emanato ormai in queste ore.
  Il documento che il presidente Marzano illustrerà ha ad oggetto una serie di considerazioni di carattere generale, rispetto alle quali, con il mio intervento, volevo limitarmi semplicemente a spiegare il metodo di lavoro. Ricordo, quindi, ancora una volta che abbiamo dovuto lavorare su questioni più di carattere generale che di natura puntuale.

  PRESIDENTE. La ringrazio e do la parola al professor Marzano.

  ANTONIO MARZANO, presidente del CNEL. Il quadro in cui si inserisce il Documento di economia e finanza (DEF) 2014 resta particolarmente difficile. La ripresa si presenta problematica, modesta e, a fronte di una caduta del reddito per abitante dei paesi periferici dell'eurozona peggiore di quella registrata in America durante la Grande depressione, non si profila ancora quella svolta nella politica economica dell'Unione europea indispensabile per uscire dalla crisi.
  Nello scorso mese di marzo, si è registrato un tasso di inflazione medio dell'eurozona Pag. 4pari allo 0,5 per cento, con quattro paesi che hanno già tassi negativi e altri quattro, tra cui l'Italia, che sono prossimi a un tasso zero. Il rischio di deflazione fa dichiarare alla Banca centrale europea (BCE) di essere pronta ad attivare misure non convenzionali di politica monetaria, ma pesa sull'effettiva possibilità di praticare il quantitative easing l'attesa della pronuncia della Corte di giustizia europea sugli interventi della BCE sul mercato dei titoli di Stato.
  Si profilano seri dubbi sull'efficacia delle stesse misure di quantitative easing nell'attuale situazione economica anche in rapporto agli ampi margini di incertezza sulle concrete linee di politica monetaria che la BCE intende mettere in atto: acquisto di titoli del debito pubblico; acquisto di titoli cartolarizzati di debiti privati.
  Il CNEL osserva, in proposito, che l'acquisto di titoli del debito pubblico contribuisce al contenimento dello spread, e quindi dello stesso livello del debito, e alleggerisce il portafoglio delle banche, ma non dà nessuna certezza che il conseguente flusso di liquidità sia effettivamente trasferito alle imprese.
  L'acquisto di titoli cartolarizzati dalle banche sul modello del funding for lending adottato dalla Bank of England, che offre tassi più bassi per le banche che erogano prestiti alle imprese, ha potenzialmente un effetto più diretto sull'economia reale. A restare, però, problematica è l'effettiva reazione delle imprese, che al momento non richiedono tanto un credito espansivo quanto ristrutturazioni e/o sostituzioni di mutui già contratti.
  A fronte di questo stato di sostanziale stagnazione, solo un deciso cambio di rotta della politica fiscale europea può ridare slancio all'economia. A tal fine, il CNEL ritiene essenziale che il Governo italiano ponga con decisione, come già ha iniziato a fare sul tavolo europeo, la necessità di una svolta nella politica economica finalizzata alla crescita e confermi nell'immediato la scelta già anticipata dal DEF di utilizzare, fermo restando il rispetto degli impegni assunti, tutte le clausole di flessibilità rese disponibili dallo stesso patto di stabilità e crescita, nel quadro degli accordi in essere, in particolare quelle finalizzate al rilancio degli investimenti pubblici. È una posizione reiterata del CNEL quella di considerare l'inclusione degli investimenti pubblici nei parametri di Maastricht alla stregua delle spese correnti.
  In assenza di ulteriori misure di rilancio della crescita, gli investimenti, pur previsti in aumento entro il 2018 di circa 16 punti percentuali, resteranno a quella data ben 10 punti percentuali in meno del livello raggiunto nel 2008.
  Sulla base di tali considerazioni, il CNEL condivide l'obiettivo del Governo di agire per il rilancio della crescita «riducendo le diseguaglianze e riportando in Europa lo spirito di solidarietà costitutivo» e di dare un deciso sostegno all’Industrial compact. Portare il PIL industriale al 20 per cento del totale dell'Unione europea darebbe, infatti, risultati rilevanti sulla crescita del PIL e dell'occupazione dell'Italia, che è il secondo Paese manifatturiero europeo.
  Il CNEL condivide le misure di politica economica indicate dal Governo e valuta molto positiva la scelta di integrare, nella valutazione dello stato di benessere della popolazione, le misure del PIL con quelle del benessere equo e sostenibile (BES), indicatori della qualità della vita per intenderci, introdotto in Italia dall'ISTAT e dal CNEL.
  Lo sgravio dell'IRPEF concentrato sui salari più bassi, che però deve affrontare anche la condizione degli incapienti e i trattamenti pensionistici più poveri, il pagamento dell'intero stock dei debiti della Pubblica amministrazione, la diminuzione dell'IRAP e dei contributi INAIL, l'abbattimento del costo dell'energia per le piccole e medie imprese, l'aumento del fondo di garanzia per queste imprese, l'aumento del fondo agevolato per le reti di imprese, il potenziamento del credito di imposta per la ricerca, per l'assunzione di ricercatori e per il rinnovo degli impianti – la nuova Sabatini – i fondi per le imprese sociali, il piano casa e la misura per l'edilizia scolastica configurerebbero un Pag. 5apprezzabile piano di stimolo all'economia. Vanno previsti gli stanziamenti per gli ammortizzatori sociali in deroga e per una soluzione strutturale del problema dei cosiddetti «esodati».
  In particolare, per quanto attiene ai previsti sgravi IRAP, si evidenzia l'opportunità di concentrare l'intervento sulla tassazione del costo del lavoro, prevedendo la deducibilità di una quota dello stesso dalla base imponibile IRAP. Si darebbe, inoltre, come complemento necessario a queste politiche, il cui effetto è quello di dare sostegno alla domanda, una ben strutturata politica di potenziamento e di miglioramento dell'offerta produttiva: una nuova legge finalizzata a incentivare il rinnovo degli impianti con prevalente attenzione alle tecnologie capaci di accrescere la produttività complessiva dei fattori; un piano casa basato anche su un adeguato recupero del patrimonio edilizio già esistente; un innovativo e robusto piano di infrastrutture a servizio dei principali aggregati di localizzazione produttiva, porti, interporti, poli industriali e così via. Sono quelle appena ricordate le linee di intervento che il CNEL propone e sostiene.
  Il sostegno dei redditi più bassi come strumento per accelerare l'uscita dalla crisi dovrebbe, comunque, essere concepito in vista di una radicale riforma degli ammortizzatori sociali in chiave universalistica.
  È importante che i tagli di spesa pubblica necessari per dare copertura a tali provvedimenti espansivi non producano effetti recessivi di pari importo. Vanno, quindi, selezionati tagli capaci di rendere più efficiente la spesa e a basso impatto negativo sulla crescita.
  Il quadro delle coperture, altro punto importante, necessita di una puntuale verifica negli esiti, essendo strettamente connesso all'incidenza della manovra sulla dinamica del PIL. È per questo che il CNEL ritiene necessario disporre di riferimenti più puntuali, attualmente non riscontrabili, sia per evitare l'introduzione di clausole di salvaguardia – mediante previsioni di tagli orizzontali delle detrazioni fiscali o aumento dell'IVA – con le conseguenti incertezze dei beneficiari circa la continuità nel tempo delle misure e il venir meno dell'ipotesi espansiva, sia per porsi nelle condizioni di proseguire nella riduzione del carico fiscale utilizzando le ulteriori risorse per interventi in direzione della detassazione dei pensionati e delle imprese.
  Non meno rilevante è che tali misure siano comprese e accettate dai cittadini. A tal fine, la Commissione europea continua a raccomandare che «i programmi nazionali di riforma e i programmi di stabilità e di convergenza siano dibattuti in ambito nazionale nel Parlamento e con tutti i portatori di interesse, in particolare le parti sociali e gli attori subnazionali».
  A tal fine, considerando che nella proposta del Governo un ruolo rilevante per l'accrescimento della competitività del Paese è assegnato a un articolato programma di riforme istituzionali, occorrerà verificare con attenzione che tali interventi, e in particolare quelli che riguardano il CNEL, non rendano più difficoltoso questo confronto.
  Il secondo paragrafo della relazione è dedicato a un piano urgente di valorizzazione e privatizzazione del patrimonio pubblico. Per mettere in sicurezza i conti nel medio periodo e aprire spazi a investimenti per la crescita, il CNEL ritiene possibile perseguire obiettivi di valorizzazione e privatizzazione del patrimonio pubblico ancora più ambiziosi di quelli contenuti nel DEF.
  Il CNEL propone, sulla base di quanto discusso del seminario del 5 giugno 2012 organizzato dalla propria Commissione I, la tempestiva messa a punto di un piano di valorizzazione e privatizzazione del patrimonio pubblico (immobili, partecipazioni, concessioni da realizzare mediante l'utilizzazione di società veicolo su un modello INVIMIT – Investimenti Immobiliari italiani, collocate fuori dal perimetro della finanza pubblica) in grado di riscattare gli asset pubblici finanziandosi con emissione obbligazionaria sul mercato.
  L'obiettivo è quello di anticipare il flusso delle risorse che deriveranno da Pag. 6processi di valorizzazione e privatizzazione del patrimonio per abbattere in modo consistente lo stock del debito pubblico, effettuare investimenti pubblici necessari per il rilancio dell'economia nazionale e per realizzare la strategia Europa 2020. Funzionale alla valorizzazione sarebbe, inoltre, l'adozione di un'organica normativa sui servizi integrati e di gestione degli immobili.
  Il terzo paragrafo riguarda la svolta nella politica economica dell'Unione europea. Il CNEL ritiene che il piano a cui si alludeva possa rafforzare le misure di politica economica già decise, dando più forza al Governo durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, e metterlo in condizione di proporre una svolta nelle politiche economiche dell'eurozona.
  Come ribadito dal Presidente Napolitano il 4 febbraio 2014 al Parlamento europeo: «Non regge più una politica di austerità a ogni costo dettata dagli umori dei mercati finanziari invece che da valutazioni razionali e che ha finito col produrre effetti opposti a quelli che si era prefissati, cioè un peggioramento del rapporto tra il debito e il PIL». Ricordo che l'aumento di questo rapporto, in parte, dipende dalla decelerazione il PIL. Il CNEL ritiene che, fermo restando il diritto dell'Italia di poter usare tutte le finestre di opportunità già previste delle regole europee, nell'immediato futuro la correzione dell'eccesso di austerità non possa realisticamente avvenire che vincendo i timori da parte dei Paesi più forti.
  Durante il semestre di presidenza italiana, dovrà essere chiarito con decisione che le scelte del Governo italiano mirate a una ripresa dei consumi e dello sviluppo degli investimenti non puntano a un allentamento del rigore, suscettibile di innescare gestioni della finanza pubblica dei Paesi periferici non compatibili con l'appartenenza alla comune area monetaria, ma rappresentano uno strumento più efficace di risanamento della finanza pubblica.
  A tal fine è necessario collegare tali interventi espansivi alla politica di revisione della spesa, che sarà tanto più efficace quanto più coinvolgerà in modo trasparente tutti i livelli istituzionali di Governo e i cittadini. A livello europeo, lo strumento idoneo per vincere tali timori è rappresentato, a giudizio del CNEL, dalle future intese contrattuali (contractual arrangements).
  Il CNEL è consapevole che queste intese sono state proposte dalla Germania con l'obiettivo di imporre nuovi vincoli esterni ai Paesi periferici con sanzioni sicure e risorse incerte in cambio di riforme che, pur necessarie, non si possono realizzare senza costi immediati per la finanza pubblica. È indispensabile, quindi, cambiare radicalmente la filosofia di quegli accordi.
  Il CNEL ritiene che, durante il semestre di presidenza italiana, in cui è previsto il varo dei contractual arrangements, si debba puntare a cambiare la sostanza e la stessa definizione di quest'istituto, puntando a veri e propri programmi concordati per le riforme e per lo sviluppo, che dovrebbero riguardare tutti i Paesi dell'eurozona, con l'obiettivo di affrontare tutti gli squilibri macroeconomici, compresi quelli della Germania, in materia di bilancia commerciale e di liberalizzazione dei servizi.
  In tale quadro, potrebbero essere concordati l'allungamento dei tempi di raggiungimento degli obiettivi di riduzione del debito e la piena operatività delle clausole di flessibilità rispetto al deficit, al fine di favorire nuovi investimenti validati a livello comunitario.
  Occorre, inoltre, agire sia sul lato della domanda sia su quello dell'offerta, uscire dal circolo vizioso – austerità, recessione, aumento del rapporto tra debito e PIL. Uscire da tale circolo è, infatti, condizione necessaria ma non sufficiente per rimettere il Paese su un sentiero di crescita.
  L'economia italiana, infatti, presenta da molto tempo gravi problemi sia sul lato della domanda, a causa della contrazione di consumi e investimenti e per la bassa dinamica dei salari e della spesa pubblica produttiva, sia su quello dell'offerta, a Pag. 7causa del peggioramento della nostra competitività dovuto a oltre 15 anni di bassa crescita della produttività.
  Una quota apprezzabile della nostra piccola e media impresa ha dimostrato, malgrado le pesanti carenze del settore pubblico, di saper competere anche con le imprese tedesche. Si tratta, però, di un numero troppo ristretto, essenzialmente le imprese del quarto capitalismo. La maggioranza delle imprese non riesce a imitarle, presenta insufficienti innovazioni organizzative ed è troppo dipendente dal finanziamento delle banche. Bisogna, perciò, mettere in campo con urgenza politiche idonee ad aggredire i nodi della produttività e del finanziamento non bancario.
  Aprirei una piccola parentesi. Ho già sostenuto in questa sede che in un'economia globalizzata, in cui c’è libertà di scambi e di movimenti di fattori e di capitali, la politica keynesiana, ossia quella di sostegno della domanda, presenta un limite: Keynes partiva dall'ipotesi che non ci fosse la globalizzazione e che, al contrario, il Paese fosse chiuso agli scambi con l'estero.
  Se, invece, il Paese è aperto agli scambi con l'estero, una politica di mero sostegno della domanda potrebbe risolversi in un aumento delle importazioni se il Paese non è competitivo: in quel caso, più domanda può significare, almeno in una parte notevole, aumento delle importazioni, per cui si comprano le merci estere se queste sono più competitive sotto il profilo del prezzo o della qualità del prodotto.
  Keynes presenta, dunque, un limite di fronte alla globalizzazione. La politica della domanda resta pur sempre necessaria, perché le imprese non producono per lasciare i beni nel magazzino, quindi la domanda resta importante, ma per vendere non può essere la sola ad essere posta in essere. Contemporaneamente, serve una politica di riforme per la competitività. Se crescono insieme domanda e competitività, allora abbiamo una crescita sostenuta. Chiudo qui la parentesi. Scusate per la digressione, ma è una tesi che ho esposto in questa sede più volte.
  Come indicato nell'ultimo paragrafo della relazione, bisogna rilanciare, dunque, la produttività, superare il credit crunch, ridurre la dipendenza dai prestiti bancari. Come avvenne negli anni Novanta per battere l'inflazione e creare le condizioni per l'ingresso nell'euro, anche oggi è necessario individuare un catalizzatore che permetta di concentrare gli sforzi di tutti gli attori economici e istituzionali attorno all'obiettivo della crescita e della produttività.
  Occorre un patto per la produttività che spinga il nostro apparato industriale e dei servizi a impegnarsi in innovazioni organizzative di processo e di prodotto mettendo in campo incentivi per elevare gli investimenti in tecnologie innovative, cambiamenti organizzativi e gestionali, miglioramenti della qualità del capitale umano. Gli incentivi vanno, perciò, rimodulati. Il CNEL è perplesso su una politica degli incentivi che li disperda in un numero elevato di casi di applicazione e vorrebbe la concentrazione degli incentivi in questa direzione.
  Gli incentivi vanno rimodulati a favore delle imprese che hanno la migliore produttività, che siano capaci di esportare su più mercati, che investono in ricerca e sviluppo nonché in capitale umano. Questa rimodulazione si dovrebbe accompagnare a progetti tecnologici capaci di valorizzare alcuni nostri vantaggi competitivi. Occorre, dunque, una politica industriale non dirigista, ma capace di far leva su potenzialità già espresse dal sistema produttivo del Paese.
  Le misure già adottate per superare il credit crunch vanno rafforzate con strumenti (bad bank, cartolarizzazioni e così via) capaci di farsi carico dei debiti «cattivi», che presentano difficoltà di gestione e di recupero, per permettere al sistema bancario italiano di tornare a svolgere pienamente la sua funzione. È anche essenziale il rapido lancio da parte della Banca centrale europea di un finanziamento a lungo termine per facilitare i flussi di credito dell'economia.
  L'obiettivo di superare il credit crunch deve accompagnarsi a quello di ridurre la Pag. 8forte dipendenza delle piccole e medie imprese dall'intermediazione bancaria del risparmio attraverso una diversificazione – so che è difficile, me ne sono occupato anche quando ero ministro – del sistema finanziario con una maggiore quota di finanziamento diretto dei mercati dei capitali. Lo sviluppo di mercati finanziari non bancari avrebbe effetti positivi anche sul sistema del credito bancario, perché libererebbe capitali per la concessione di nuovi crediti.

  COSTANZO JANNOTTI PECCI, consigliere CNEL e coordinatore della Commissione I. Nel nostro documento si fa riferimento all'intervento sull'IRAP. Naturalmente, sappiamo che le risorse sono limitate, ma vorremmo richiamare l'attenzione degli onorevoli parlamentari sulla nostra idea che l'intervento debba riguardare la base imponibile del costo del lavoro: piuttosto che intervenire con una riduzione dell'aliquota tout court, è preferibile individuare una quota del costo del lavoro deducibile ai fini IRAP. In questa maniera, la leva funziona. Diversamente, un minimale intervento sull'aliquota forse sarebbe sostanzialmente inutile.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTONIO MISIANI. Avrei solo una richiesta di maggiore specificazione relativamente al passaggio sui contractual arrangements e sulla necessità di rivederli come strumento per superare il circolo vizioso austerità-recessione-debito pubblico, ossia l'impostazione iper rigorista delle politiche comunitarie, con un'ottica contrattualistica che rassicuri, come mi pare di capire, le opinioni pubbliche dei paesi forti, Germania in testa, che invece hanno ragionato e agìto in modo diverso in questi anni.

  COSTANZO JANNOTTI PECCI, consigliere CNEL e coordinatore della Commissione I. La nostra idea è che lo strumento di per sé sia condivisibile, al di là delle riserve che credo tutti abbiamo sul ruolo della Germania rispetto alle politiche europee, e funzioni, ma che naturalmente vada ripensato per quanto riguarda la sua flessibilità e, soprattutto, la durata dei tempi di attuazione degli accordi. Il rischio è che i tempi oggi immaginati, che certamente per alcuni paesi, primo tra questi la Germania, sono verosimilmente compatibili con il loro quadro economico e soprattutto macroeconomico, per paesi che hanno una maggiore difficoltà e maggior terreno da recuperare, come il nostro, potrebbero invece rappresentare paradossalmente un ulteriore elemento di affanno.
  Nel momento in cui questa camicia diventa troppo stretta, corriamo il rischio di rimanerne stritolati, quindi quello che dovrebbe essere uno strumento per agevolare la ripresa finirebbe per essere per noi un ulteriore vincolo che non ci consentirebbe di intercettare la ripresa che tutti immaginiamo debba esserci.

  GIORGIO SANTINI. Un apprezzamento va al contributo del CNEL che presenta anche interessanti elementi di approfondimento.
  In primo luogo, mi interesserebbe un approfondimento sull'interessante esperienza, ricordata nella vostra relazione, della banca inglese relativa al funding for lending e questo legame tra i titoli a tassi più bassi e il sostegno delle imprese. Sappiamo che il credit crunch, come dite anche più avanti, è uno dei punti più critici in tutta la nostra vicenda e potrebbe anche non essere risolutivo l'intervento che la BCE ha individuato, avendo caratteristiche di altra natura. Visto che l'avete citato e anche in maniera molto netta, mi piacerebbe che potesse essere approfondito.
  In secondo luogo, c’è nella vostra relazione un riferimento importante al tema dei tagli di spesa pubblica. Giustamente, dite di fare attenzione agli effetti recessivi, nel senso che tutta la manovra che il DEF ipotizza è fondata su un intervento importante sulla domanda interna, sostenuto però, come è inevitabile, da coperture Pag. 9rinvenute attraverso tagli alla spesa. Sarebbe interessante, visto che fate anche un riferimento all'indice di misurazione del benessere equo e sostenibile, capire se queste due «politiche» possono essere comparate ai fini del loro impatto.
  Venendo alla terza questione, senza ovviamente entrare troppo nel particolare, qui fate un'osservazione critica non tanto e non credo di tipo solo soggettivo sul CNEL, ma in riferimento al fatto che il meccanismo delle riforme istituzionali in atto, che condividiamo dal punto di vista della necessità, possa però avere un effetto negativo soprattutto per i tassi di partecipazione delle articolazioni economiche e sociali e nella condivisione di quest'obiettivo: eventualmente, non sarebbe sbagliato se ci illustraste una vostra opinione sia sul CNEL sia sulle riforme.

  ANTONIO MARZANO, presidente del CNEL. La prima risposta riguarda l'effetto dei tagli della spesa pubblica, che naturalmente si basa su vari criteri. Il criterio principale è evitare gli sprechi e, dove ci sono, è chiaro che bisogna intervenire. Quello della spesa pubblica è uno spreco per la collettività nazionale, non un fatto che riguardi soltanto la pubblica amministrazione, come è abbastanza evidente.
  Tuttavia, ha anche degli effetti sulla domanda globale, per cui bisognerebbe procedere in quel campo tenendo conto non soltanto dall'importanza o meno, della priorità o meno che ogni tipo di spesa ha, ma anche dei moltiplicatori della spesa sul reddito, che possono essere diversi da spesa a spesa. È un invito a essere prudenti. I tagli sono necessari – per carità, non equivochiamo – ma la scelta di dove operare deve essere basata, secondo noi, anche sulla valutazione dei diversi impatti sulla domanda globale che un taglio di un certo tipo di spesa può avere rispetto a un altro.
  Inoltre, come giustamente ha richiamato, alcune cose impattano sulla qualità della vita, delle persone, dei cittadini. A questo riguardo, faccio un piccolo passo indietro. Uno dei criteri utili per il taglio razionale della spesa riguarda il criterio del confronto, per esempio per le spese locali, regionali, tra i diversi standard dei costi.
  A tale proposito, i costi standard sono un criterio utile, obiettivo, perché il loro utilizzo mostra dove ci sono, in sostanza, o possono esserci, delle inefficienze. Vanno, quindi, assolutamente bene i tagli della spesa, ma tenendo conto anche di parametri importanti per l'economia nazionale.
  L'ultimo punto riguarda, in qualche modo, il CNEL, sul quale, se il presidente mi consente, nell'occasione vorrei fare una brevissima riflessione. Non so se corrisponda anche al senso della domanda, ma vorrei dirvi – stavo per dire «cari colleghi» perché sono stato anche parlamentare – che la crisi del CNEL ha inizio nel 1960, quando cioè Pietro Campilli, allora presidente del CNEL, scrisse ad Amintore Fanfani, allora Presidente del Consiglio: «I giornali hanno pubblicato la notizia che il Governo avrebbe in animo di convocare una conferenza per i rappresentanti del Governo, delle organizzazioni sindacali, dei lavoratori e dei datori di lavoro. Mi consenta di chiederle – dice Campilli – se quanto pubblicato nell'annuncio del Governo abbia o no fondamento per il giudizio che, in caso affermativo, sarebbe legittimo trarne sulle funzioni del CNEL – in altre parole, se vengono direttamente al Governo, che ruolo ha il CNEL, che nasce come organo della concertazione ? – e sull'interpretazione del relativo disposto costituzionale».
  Naturalmente, Fanfani risponde rassicurando, ma di fatto è quello che è accaduto. Il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha più volte affermato che la concertazione è alla fine e che di eventuali contestazioni da parte di imprese e sindacati verso provvedimenti decisi dalla maggioranza ci si farà una ragione. Oggi, dunque, è la concertazione a essere in discussione e in crisi.
  Poiché l'articolo 99 della Costituzione e le leggi applicative attribuiscono al CNEL, in sostanza, la concertazione, è chiaro che, se questa è in crisi, il CNEL lo è a sua Pag. 10volta, ma è una crisi che viene da lontano, da Campilli. È politica la scelta di prescindere dalla concertazione.
  Altro è sostenere che il CNEL non abbia lavorato. Tra l'altro, l'audizione di questa mattina mi pare anche un segnale in senso contrario. Mi scusi, presidente, ma colgo l'occasione per segnalare il contributo del CNEL alla formulazione degli indicatori della qualità della vita. Non so se su questo si sia spinta o diffusa una riflessione, ma questo è un metodo di politica economica, cioè si segnalano i problemi che stanno influenzando negativamente la qualità della vita dei cittadini: chi, se non la società civile, può fare questa segnalazione ?
  Il Governo, quindi, conosce questi problemi, poi nella sua sovranità può avere altri tipi di priorità, ma non può dire, dopo gli indicatori della qualità della vita, che non sapeva che i problemi fossero quelli. Questo è un contributo di metodo di politica economica, ovvero alla formulazione delle priorità tenendo conto dei bisogni della gente.
  In secondo luogo, ci sono tre proposte di legge – lo dico anche perché ci sono state delle notizie di stampa in merito – in questi ultimi mesi in materia di pari opportunità, di riforma dei procedimenti tributari, questa recepita nella legge delega assunta dal Governo, e di riforma del bilancio dello Stato, che il CNEL vorrebbe andasse, come nella maggioranza dei Paesi, verso il bilancio di cassa. Il bilancio di competenza è, infatti, un'astrazione. Sono state avanzate, dunque, proposte di legge e una è anche passata recentemente.
  Il CNEL è stato riconosciuto nella sua funzione di rappresentanza della società civile dai CNEL di tutto il mondo. Ci hanno dato la presidenza del cosiddetto AICESIS, l'associazione che riunisce 70 CNEL nel mondo. È inutile, inoltre, che vi ricordi le analisi periodiche del CNEL sul mercato del lavoro, su come si sta svolgendo il ciclo, sull'efficienza della pubblica amministrazione – la legge Brunetta conferisce al CNEL la valutazione dell'efficienza della pubblica amministrazione – sulla criminalità economica (usciamo periodicamente con proposte che sono state anche assunte in parti di leggi) e sull'inclusione degli immigrati, per citare alcuni esempi.
  In altre parole, sto dicendo che è una scelta politica la fine della concertazione, e quindi del CNEL. Quello che non si può dire e che ci terrei che non fosse detto, anche per riconoscimento degli sforzi, dell'impegno che mettono tutti i componenti del CNEL o, soprattutto, una parte rilevante dei consiglieri del CNEL e delle sue strutture, è che non lavori. Ritengo quasi doveroso aver detto quello che ho detto.

  MAURO DEL BARBA. Ringrazio il CNEL per questo preziosissimo intervento. Rispetto all'ultima cosa che diceva, come la presidente ha fatto notare, da senatore ho ascoltato il suo inciso. Non ero ancora nato quando i fatti a cui faceva riferimento si svolgevano, ma mi sembra abbastanza chiaro che il rispetto per entrambe le istituzioni non è in discussione, come non lo è l'operato di chi vi appartiene. Mi dichiaro un po’ meno preoccupato rispetto al futuro nonostante questi intendimenti. Credo che, operando bene, passeremo anche attraverso questa fase di cambiamento con successo.
  Voglio riferirmi al suo inciso, a quando parlava delle politiche keynesiane e del fatto piuttosto evidente che queste valgono in un sistema chiuso, mentre, evidentemente, se ci si trova in un sistema aperto o semiaperto, come potrebbe essere quello europeo in questo momento, fanno difetto per il fatto che l'intervento da parte dello Stato potrebbe avere ripercussioni all'esterno del sistema, come è di tutta evidenza.
  Mi domando, allora, come intervenire in appuntamenti come questi affinché gli interventi restino all'interno di un sistema, in particolare, nel nostro caso, del sistema Italia, e quale tra le misure può essere più appropriata, come quella del made in, il made in Italy nel nostro caso, che proprio oggi trova un appuntamento fondamentale all'Europarlamento con un voto che segna Pag. 11un passaggio che può essere decisivo rispetto all'approvazione della normativa in materia.
  Ho trovato che un po’ in tutte le relazioni quest'aspetto sia un tantino trascurato, mentre è oggetto in Senato in questo momento di un disegno di legge piuttosto significativo circa la possibilità di incidere affinché i prodotti italiani portino beneficio sull'economia italiana sia ampliando la filiera sia venendo proposti sul mercato globale in maniera più riconoscibile. Mi domando se questo tema non abbia attinenza con quello che diceva e non possa trovare un risvolto un po’ più marcato anche all'interno della vostra relazione proprio in ragione del suo inciso.

  ANTONIO MARZANO, presidente del CNEL. Sarebbe presuntuoso complimentarsi per l'intervento, ma questo è molto ben costruito e pensato. Ancora una volta, è chiaro che, se il Parlamento e il Governo sostengono soltanto la domanda o se la Banca centrale in ipotesi sostenesse soltanto la domanda, per esempio creando liquidità, cosa non possibile ma sto facendo un'ipotesi, cresce la domanda: ma quella che si rivolge a chi ? Alle imprese italiane o a quelle estere ?
  Se le imprese italiane sono competitive – c'entra anche il made in Italy, come spiegherò tra un momento – perché no ? Va bene il sostegno della domanda, ma bisogna assicurarsi politiche volte ad accrescere la competitività delle imprese. Se, infatti, questa condizione non si verifica, la gente compra le cose che le conviene, si rivolge a prodotti esteri e ci sono più importazioni.
  In un paese come l'Italia, che non ha materie prime, un risultato del genere significa un deficit tendenziale maggiore della bilancia commerciale. Dobbiamo comprare all'estero le materie prime, come quelle energetiche, e abbiamo bisogno di un surplus per il resto della bilancia per pagare anche queste materie prime. È meno importante per un paese che ce le ha, ma per l'Italia, che non le ha, è fondamentale.
  Gli economisti parlano di politica di demand-side, dal lato della domanda, Keynes, e di una politica supply-side, dal lato dell'offerta: come si fa questa politica ? Sarebbe molto lungo spiegarlo ma, se volete, possiamo mandare una nota. In sintesi, si tratta di valorizzare i nostri vantaggi comparati e cercare di ridurre le nostre criticità. La politica della competitività è valorizzare i vantaggi, i punti di forza del Paese e dell'economia e combattere le criticità. Questo riassume il quadro.
  In questo quadro, conosciamo i vantaggi. Le piccole e medie imprese italiane sono particolarmente decisive, decise e così via. Conosciamo gli svantaggi e i punti di crisi: una pubblica amministrazione e una burocrazia che tendono a frenare e mi pare che il Governo si orienti anche in questa direzione. C’è una pressione fiscale complessiva elevata, più che in altri Paesi, sulle imprese e si potrebbe continuare sulla necessità di migliorare il mercato del lavoro. Queste sono le politiche della competitività. Quella che abbiamo citato è la concentrazione degli interventi dello Stato nel senso della competitività, della produttività, non di dare in giro a chiunque, a qualunque impresa.
  Uno degli aspetti, però, è quello che segnala lei: per essere competitivi o bisogna ridurre i costi e non è così facile, o puntare sulla qualità. L'Italia punta tutto sulla qualità, ma se copiano il prodotto, se chiamano «Parmesan» il Parmigiano, si punta sulla competitività via qualità del prodotto, ma si perde perché qualcun altro rende propria l'idea che è alla base della tua scelta di puntare sulla qualità, sul made in Italy.
  Questo, a mio avviso, è un aspetto fondamentale per un paese come l'Italia. Il made in Italy non è soltanto la moda e tutto ciò di cui si parla. Siamo la seconda industria meccanica in Europa – non scherziamo su questo – e la creatività italiana è uno dei punti di forza, riconosciuta nel mondo. Se, però, il prodotto di qualità italiano viene copiato e imitato liberamente, per cui magari costa anche meno perché gli imitatori sono paesi con minori costi di produzione, allora non ce Pag. 12la facciamo. Diventa, quindi, un argomento delicatissimo quello che lei segnalava e che mi pare abbia detto che è in discussione oggi.
  Questa diventa una politica del made in che addirittura penalizza coloro che il made in ce l'hanno. Ecco perché molte battaglie si giocano ormai a Bruxelles, a Strasburgo o dove che sia, in sede europea. Colgo l'occasione per dire che non mi pare che tutti i Paesi europei avvertano nella stessa misura l'importanza di questo problema. Alcuni Paesi del Nord non puntano soltanto sulla qualità del prodotto, mentre l'Italia e la Francia, ad esempio, lo fanno.
  Ha fatto bene a segnalare questo problema, è una parte importante della politica della competitività.

  COSTANZO JANNOTTI PECCI, consigliere CNEL e coordinatore della Commissione I. A proposito della domanda del senatore Santini sul funding for lending, il modello messo a punto dalla Bank of England parte dal presupposto che, essendo loro fuori dall'euro, evidentemente hanno maggiori margini di autonomia da questo punto di vista.
  Il modello può sicuramente essere utile. Naturalmente, bisogna capire in che maniera legare non solo il tema dell'acquisto dei titoli del debito pubblico da parte della Banca centrale, ma anche il tema della bad bank. Il rischio che si corre è che questi interventi, dei quali peraltro stiamo sentendo molto parlare in questi giorni, cioè di costituire delle bad bank o addirittura un'unica bad bank per liberare le banche dalla zavorra che hanno, finiscano per essere soltanto un meccanismo per consentire alle banche di rispondere alle richieste della Banca centrale europea e di Basilea.
  Questo modello, peraltro, è stato già avviato anche in Spagna, dove sta dando dei risultati particolarmente efficienti. Naturalmente, bisogna individuare un meccanismo per evitare quello che è accaduto, per esempio, con i mille miliardi che la Banca centrale europea ha messo a disposizione del sistema bancario italiano, che ha risolto o, comunque, ha aiutato a risolvere i problemi delle banche, ma, di fatto, di credito alle imprese ne è arrivato ben poco. Certamente, però, è quella una strada da percorrere, naturalmente tenendo presenti i maggiori vincoli che abbiamo per essere all'interno dell'area euro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Marzano e il dottor Costanzo Jannotti Pecci per le relazioni e per le risposte fornite alle domande dei nostri parlamentari.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti dell'ISTAT.
  Saluto il presidente, professor Antonio Golini, e tutti i rappresentanti dell'ISTAT, il dottor Monducci, il dottor Baldacci, la dottoressa Sabbadini, il dottor Gian Paolo Oneto, la dottoressa Cacioli e la dottoressa Rossetti.
  Do la parola al presidente Golini per lo svolgimento della relazione.

  ANTONIO GOLINI, presidente dell'ISTAT. Grazie, presidente. Siamo lieti di essere ancora una volta in Parlamento, per un'audizione nel corso della quale l'ISTAT offrirà un quadro informativo articolato delle tendenze macroeconomiche nazionali e internazionali, del commercio con l'estero, del mercato del lavoro, dell'andamento dei prezzi, delle condizioni economiche delle famiglie e della finanza pubblica.
  Nella seconda parte dell'intervento, presenteremo valutazioni sulle prospettive di breve termine dell'economia e sugli effetti macroeconomici dei provvedimenti contenuti nel Documento di economia e Pag. 13finanza 2014. Inoltre, si valutano i risultati in termini distributivi su famiglie e imprese dei provvedimenti in materia di IRPEF e di IRAP delineati nel DEF. La definizione più precisa degli interventi indicati, attesa nei successivi provvedimenti legislativi, consentirà di fornire ulteriori simulazioni degli effetti delle misure.
  Con riguardo alla congiuntura internazionale, nel quarto trimestre del 2013, il ciclo economico internazionale nei Paesi avanzati ha continuato a fornire segnali di rafforzamento. Gli indicatori anticipatori suggeriscono la prosecuzione del recupero dell'attività economica nei primi mesi del 2014. Nei Paesi più industrializzati si attende, infatti, un ulteriore miglioramento della fiducia degli operatori e un maggior sostegno alla crescita economica da parte della domanda interna.
  Questi fenomeni sono legati all'attenuazione del processo di riduzione dell'indebitamento nel settore privato e al miglioramento dei saldi di finanza pubblica, unitamente alla prosecuzione di politiche monetarie espansive e di una dinamica dei prezzi contenuta. La maggior domanda dei Paesi avanzati favorirebbe l’export delle economie emergenti.
  Nell'area euro, dopo l'accelerazione del prodotto lordo nel quarto trimestre, gli indicatori congiunturali e gli indici di fiducia confermano un rafforzamento della dinamica ciclica nei primi mesi del 2014. L'indice Economic Sentiment Indicator della Commissione europea, in crescita dal maggio 2013, ha segnato anch'esso un progresso nei primi tre mesi dell'anno, con un deciso miglioramento nel mese di marzo grazie soprattutto al clima di fiducia delle famiglie.
  In particolare, si sono rafforzate le attese sulla situazione economica generale e sulla riduzione della disoccupazione, così come quelle sulla capacità di risparmio. Meno positivi, invece, sono i segnali che provengono dal clima di fiducia delle imprese.
  Segnali congiunturali ancora contrastanti giungono dall'andamento degli indicatori quantitativi. In gennaio, la produzione industriale dell'area euro è calata dello 0,2 per cento rispetto a dicembre, segnando comunque un incremento del 2,1 per cento rispetto all'anno precedente.
  Secondo le previsioni dell’Euro-zone economic outlook, la crescita del PIL nell'area euro dovrebbe consolidarsi nella prima metà del 2014 grazie al miglioramento della domanda interna e al contributo ancora positivo delle esportazioni nette. In questo contesto, le condizioni di competitività dell'area euro hanno subìto un moderato deterioramento con una potenziale penalizzazione nella capacità di esportazione. A marzo, il tasso di cambio dell'euro ha mostrato un apprezzamento nei confronti del dollaro, arrivando a sfiorare la quotazione di 1,4 dollari per euro.
  Relativamente alla evoluzione del quadro economico italiano nel 2013, nel quarto trimestre dello scorso anno l'andamento congiunturale del valore aggiunto dell'industria in senso stretto è ritornato positivo (+0,3) dopo quattro contrazioni consecutive. L'evoluzione su base tendenziale permane, tuttavia, negativa, ma in significativo miglioramento rispetto a quella registrata nel terzo trimestre.
  Le tendenze recenti della produzione industriale mostrano segnali di recupero dei principali comparti manifatturieri. Su base mensile, l'anno in corso si è aperto con un incremento dei ritmi dell'attività industriale. A gennaio, il recupero dell'indice generale della produzione industriale ha riflesso soprattutto il forte rialzo della produzione di beni strumentali e di beni di consumo. A febbraio, si è registrata invece una battuta d'arresto della crescita della produzione, sintomo di un quadro produttivo ancora fragile.
  I livelli di produzione industriale hanno beneficiato solo nei mesi più recenti di un maggiore equilibrio tra le vendite estere e quelle interne. Nel bimestre dicembre 2013-gennaio 2014, la dinamica congiunturale delle vendite interne (+1 per cento) è stata lievemente superiore a quella del fatturato esportato (+0,8 per cento). A gennaio, in un quadro di forte aumento congiunturale delle vendite all'estero, il mercato interno ha continuato a crescere Pag. 14a un ritmo analogo a quello dei mesi precedenti ed è proseguito il deterioramento dell'attività produttiva del settore delle costruzioni.
  Nelle attività dei servizi, i segnali di miglioramento sono ancora molto deboli. Nel quarto trimestre, il valore aggiunto a valori concatenati è risultato invariato. È continuato il miglioramento congiunturale dei settori del credito e dei servizi professionali, ma è anche proseguita la flessione per le attività del commercio, alberghi, trasporti e comunicazioni.
  La fiducia delle imprese dei servizi, già risalita nei due mesi precedenti, ha conseguito l'incremento più significativo attribuibile al miglioramento dei giudizi sul livello degli ordini e, soprattutto, alle attese sull'andamento dell'economia in generale. Sembrano consolidarsi segnali univoci di rafforzamento dell'ottimismo delle famiglie sulla situazione economica generale.
  La fiducia dei consumatori ha registrato, nel mese di marzo, un significativo incremento, circa 3 punti in più, e a ciò ha contribuito soprattutto il rialzo delle componenti del clima economico, a fronte di una stazionarietà del clima personale dei consumatori.
  Nel 2013, il quadro di finanza pubblica è rimasto pressoché stabile in termini di deficit rispetto all'anno precedente, con una lieve diminuzione dell'avanzo primario, che è stata compensata dal calo del servizio del debito. Nel 2013, il rapporto tra indebitamento netto e PIL è stato pari al 3 per cento, identico a quello del 2012. Tale indebitamento deriva da un totale delle entrate pari al 48,2 per cento del PIL e da un totale delle uscite pari al 51,2 per cento. Entrambe le voci si sono leggermente contratte rispetto all'anno precedente, ma rimangono sostanzialmente invariate in termini di PIL. Il saldo primario è stato positivo per 34,7 miliardi di euro e pari al 2,2 per cento del PIL, mentre il saldo corrente è stato negativo per 14 miliardi di euro.
  Quanto al commercio estero, alla competitività e agli investimenti, nel 2013 l'avanzo commerciale del nostro Paese ha raggiunto i 30,4 miliardi di euro, in forte miglioramento rispetto all'anno precedente in ragione di una marcata flessione delle importazioni e di un andamento stazionario delle esportazioni. L'avanzo della bilancia non energetica ha raggiunto livelli molto elevati, sfiorando gli 85 miliardi di euro. L'andamento dell’export è risultato positivo verso i Paesi extra Unione europea, ma in flessione verso i Paesi dell'Unione europea.
  Nei primi nove mesi dell'anno, la quota di mercato delle esportazioni italiane su quelle mondiali è rimasta sostanzialmente stabile, intorno al 3 per cento, superando però il corrispondente valore della Francia. Al di là degli effetti prodotti dall'evoluzione del tasso di cambio dell'euro nei confronti del dollaro, la tenuta della quota di mercato deriva da un andamento positivo dell’export comune a gran parte dei settori produttivi. A gennaio 2014, si rilevano una ripresa significativa delle vendite verso l'area dell'Unione europea e un calo di quelle verso i Paesi extra Unione europea. Ciò si traduce in una sostanziale stabilità dell’export complessivo.
  Per quanto riguarda i principali mercati extra Unione europea, Stati Uniti e Cina risultano ancora in rilevante espansione. La crescita dell’export verso gli USA è trainata dagli autoveicoli, dai prodotti del made in Italy e dalla meccanica. Performance negative più rilevanti si registrano nei confronti dei Paesi europei non appartenenti all'Unione europea, tra cui Russia e Svizzera.
  Nel triennio 2011-2013, le imprese industriali italiane hanno sperimentato un'intensa riallocazione delle vendite dai mercati nazionali a quelli esteri, declinata in una marcata divaricazione tra le vendite delle imprese industriali destinate al mercato interno in forte flessione e quelli all'estero in moderata espansione.
  Queste tendenze hanno determinato impatti rilevanti sui settori di crescita delle imprese. Le analisi condotte sulle performance nazionali e internazionali delle imprese manifatturiere hanno permesso di individuare quattro tipi di imprese: le imprese «vincenti», con fatturato in aumento Pag. 15sia in Italia sia all'estero, sono il 18,1 per cento del totale, cioè poco meno di una su cinque; le imprese crescenti all'estero sono circa il 33 per cento; le imprese crescenti in Italia sono il 13,3 per cento del totale; le imprese in ripiegamento su entrambi i fronti sono il 35,6 per cento del totale.
  Tra il 2012 e il 2013, la composizione dei gruppi cambia, con spostamento verso le classi a migliori performance soprattutto nel mercato interno. Le analisi, inoltre, rilevano che le strategie che tendono a spostare le imprese verso il gruppo vincente e verso quelli a performance più elevate risultano essere principalmente la formazione del personale, le introduzioni di innovazione, soprattutto di processo, e la possibilità di fruire di una estesa e intensa rete di relazione e di collaborazione produttiva con altre imprese o istituzioni.
  L'analisi della dinamica degli investimenti nel settore privato mostra come durante la crisi essa abbia avuto una tendenza marcatamente prociclica. Su queste dinamiche hanno influito, inoltre, fattori diversi, quali l'elevato livello di incertezze e le condizioni di liquidità, entrambe in peggioramento durante la recente crisi. Una simulazione, applicando per l'Italia, nel periodo 2009-2013, valori degli indicatori di incertezze e liquidità analoghi a quelli di Germania, Francia e Spagna, mostra che gli investimenti italiani sarebbero stati superiori di 5 punti percentuali rispetto ai valori osservati, con un contributo alla crescita del PIL di +0,4 punti percentuali.
  La persistenza e l'intensità della recessione ha determinato, nel 2013, un ulteriore deterioramento del mercato del lavoro e le tendenze produttive dell'ultima parte dell'anno, seppur positive, non hanno ancora determinato impulsi di rilievo sulla domanda di lavoro. Peraltro, i dati della fiducia dei consumatori del mese di marzo mostrano, per la prima volta dal 2009, un miglioramento delle attese sul mercato del lavoro.
  Nel 2013, il numero di occupati si è ridotto di 478 mila unità, scendendo a 22 milioni 420 mila. Dall'analisi dei dati trimestrali destagionalizzati emerge un rallentamento del ritmo di discesa dell'occupazione durante il 2013: da -0,7 a -0,6 del primo e secondo trimestre 2013 a -0,3 nel terzo e nel quarto. Febbraio vede una diminuzione degli occupati dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente.
  Complessivamente, dal 2008 al 2013, la perdita è stata di quasi un milione di occupati e le differenze territoriali sul mercato del lavoro si sono ulteriormente accentuate. Rispetto al 2008, nel Mezzogiorno gli occupati sono diminuiti del 9 per cento contro il 2,4 del Nord.
  Nel 2013, prosegue il calo dell'occupazione maschile e torna a ridursi quella femminile. La discesa del numero degli occupati riguarda le persone fino a 49 anni (-717 mila) cui si contrappone la crescita degli occupati con almeno 50 anni a seguito della permanenza nell'occupazione, indotta dall'inasprimento dei requisiti necessari per l'accesso alla pensione.
  Il tasso di occupazione del 2013 si attesta al 55,6 per cento, pari a 1,1 punti percentuali al di sotto del 2012 e a 3,1 punti percentuali in meno rispetto al 2008. La riduzione dell'indicatore riguarda entrambe le componenti di genere e tutte le ripartizioni, ma in specie il Mezzogiorno.
  Il calo occupazionale è diffuso in tutti i macrosettori di attività. Differenze si riscontrano rispetto alla cittadinanza: se l'occupazione italiana cala di mezzo milione di unità tra il 2012 e il 2013, quella straniera aumenta, sia pure in misura contenuta.
  Nella media del 2013, prosegue la crescita della disoccupazione, che arriva a riguardare 3 milioni 119 mila individui, con un aumento di 369 mila unità che interessa entrambe le componenti di genere e tutte le ripartizioni. L'incremento coinvolge, in sei casi su dieci, individui con almeno 35 anni ed è dovuto, in più di sette casi su dieci, a quanti hanno perso la precedente occupazione. Il tasso di disoccupazione raggiunge il 12,2 per cento in confronto al 10,7 per cento di un anno prima.Pag. 16
  Nel 2013 la popolazione inattiva tra i 15 e i 64 anni torna a crescere, con un incremento di 49 mila unità. L'incremento degli inattivi riguarda le forze di lavoro potenziali, mentre diminuiscono gli inattivi che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare.
  L'aggregato dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano, i cosiddetti NEET, di particolare interesse per la «Garanzia per i Giovani», si compone di 2 milioni 435 mila persone, in aumento di 185 mila unità dal 2012, di cui circa un milione sono disoccupati. Dal 2008 la crescita ha riguardato quasi esclusivamente i giovani che vogliono lavorare. Nel 2013 l'incidenza dei NEET è arrivata al 26 per cento.
  In un contesto improntato alla riduzione delle pressioni inflazionistiche, nel corso del 2013 la crescita dei prezzi ha mostrato, in Italia come negli altri Paesi dell'area dell'euro, una dinamica in marcato rallentamento. Nella media del 2013 il tasso di crescita dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività si è più che dimezzato rispetto all'anno precedente, scendendo all'1,2 per cento dal 3 per cento.
  Gli andamenti più marcati riguardano il comparto dell'energia, dove sono risultati in forte diminuzione su base annua sia i prezzi della componente non regolamentata sia, con significativo ritardo, quelli della componente regolamentata. La fase di rallentamento dell'inflazione è proseguita nei primi mesi del 2014, quando il tasso di variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo è sceso allo 0,4 per cento di marzo. La tendenza al rallentamento si è estesa, nel primo trimestre del 2014, anche al comparto alimentare.
  La disinflazione dei prezzi al consumo è legata soprattutto a fattori esterni. Il tasso tendenziale dei prezzi dei prodotti industriali importati è sceso, infatti, su valori negativi fin dai primi mesi del 2013. Quest'andamento può incidere positivamente sulla ripresa attraverso il canale del potere d'acquisto delle famiglie e quello della competitività di prezzo delle imprese. La riduzione dei prezzi dei beni importati è stata tempestivamente recepita nel primo stadio di formazione dei prezzi industriali.
  Nell'industria in senso stretto la diminuzione dei costi intermedi ha compensato la crescita del costo del lavoro per unità di prodotto, determinando un rallentamento della crescita dei costi unitari variabili fino a registrare, nel quarto trimestre 2013, un calo dell'1 per cento.
  L'andamento del deflatore della produzione al costo dei fattori ha, sostanzialmente, seguito quello dei costi unitari variabili, determinando, dopo due anni di forte erosione, un modesto recupero dei margini di profitto nell'ultimo trimestre del 2013, che tuttavia non sembra giustificare revisioni al rialzo dei prezzi alla vendita.
  In tema di reddito, condizioni economiche delle famiglie e modelli di consumo, nel corso del 2013 la discesa del potere d'acquisto delle famiglie si è molto attenuata anche grazie all'andamento favorevole dei prezzi e, nel quarto trimestre, si è registrato il primo incremento tendenziale dal 2010.
  La spesa per i consumi delle famiglie ha segnato lo scorso anno una nuova flessione, pari a meno 1,3 per cento. L'intensità e la durata della contrazione della capacità di spesa subita nella fase precedente sembrano avere spinto le famiglie a comportamenti improntati alla cautela, che potrebbero anche incorporare una correzione verso il basso delle valutazioni sul proprio reddito permanente.
  Questi comportamenti si sono riflessi in una modifica della composizione della spesa. Tra il 2007 e il 2012 è diminuita la quota destinata ad abbigliamento, calzature, mobili e arredamento; si sono ridotte in maniera generalizzata anche le quote destinate a tempo libero e cultura e la quota di spesa destinata alla sanità, in particolare quella per la prevenzione e quella per la cura dei denti.
  È, invece, cresciuta la quota di spesa destinata agli alimentari in un contesto di cambiamento delle abitudini di acquisto più orientate verso tipologie di beni e negozi più economici. Le prime stime Pag. 17relative al 2013 mostrano come continuino ad aumentare sia la quota di famiglie che dichiara di rivolgersi all’hard discount sia quella di chi ha diminuito la quantità o la qualità dei prodotti alimentari acquistati.
  Le difficoltà economiche delle famiglie si sono tradotte, tra il 2007 e il 2012, in un peggioramento degli indicatori di povertà. In particolare, l'indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, è cresciuto di 2,3 punti percentuali nel 2012. La quota di persone in famiglie assolutamente povere è passata dal 5,7 all'8 per cento. Si tratta di 1 milione 725 mila famiglie, quasi il 7 per cento del totale. L'aumento ha interessato tutto il territorio e coinvolto soprattutto le famiglie più numerose e quelle composte da coppie con tre o più figli, specie se minori. Un quarto delle famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione è in povertà assoluta, con un aumento di 8 punti rispetto al 2011.
  Le dinamiche della povertà relativa confermano il peggioramento osservato per la povertà assoluta: nel 2012 i poveri in termini relativi sono il 15,8 per cento della popolazione ed erano il 13,6 per cento nel 2011. Si tratta di 3 milioni 232 mila famiglie, quasi 10 milioni di persone. L'aumento della povertà, sia assoluta sia relativa, si associa, nel 2012, all'ulteriore aumento della grave deprivazione. Dopo la sostanziale stabilità su livelli prossimi al 7 per cento che aveva caratterizzato gli anni precedenti, l'indicatore di grave deprivazione nel 2011 aumenta all'11,1 per cento e nel 2012 raggiunge il 14,5 per cento.
  Tuttavia, nel 2013 si registra un miglioramento. L'indicatore scende al 12,5 per cento, ma la quota di individui in famiglie che dichiarano di aver avuto, nei dodici mesi precedenti l'intervista, momenti o periodi in cui non avevano soldi per acquistare il cibo, si mantiene stabile al 9 per cento, dal 5,5 per cento del 2010.
  In tema di prospettive macroeconomiche a breve, nei prossimi trimestri l'evoluzione dell'attività economica è attesa proseguire secondo ritmi moderatamente positivi e sarebbe favorita anche dal graduale venir meno di alcuni principali fattori di incertezza. Le indicazioni di un'evoluzione in moderato miglioramento dei ritmi di attività economica porterebbero a delineare un percorso di moderata espansione del prodotto lordo nel corso del 2014.
  In particolare, nel primo trimestre del 2014 il PIL è previsto in leggera accelerazione rispetto al trimestre precedente, nell'ordine di un più 0,2 per cento. La moderata ripresa produttiva dovrebbe continuare con ritmi pressoché analoghi. Vi contribuirebbero positivamente le componenti interne di domanda. Il sostegno fornito dalla domanda estera netta, invece, è atteso in significativa attenuazione rispetto al precedente biennio.
  Su questo scenario incidono gli effetti macroeconomici dei provvedimenti contenuti nel DEF del 2014. Le misure previste sul fronte delle minori entrate e maggiori uscite sono in parte attese avere effetti espansivi sulla crescita economica nel breve e medio termine attraverso uno stimolo ai consumi e, in parte, agli investimenti. L'effetto congiunto di questi provvedimenti può sostenere la crescita del PIL di 0,2 punti percentuali su base annua. Al netto degli interventi di copertura delle maggiori spese e minori entrate previste nel DEF, l'effetto positivo della crescita potrebbe essere ridotto a circa 0,1 punti percentuali. Tali simulazioni vanno considerate indicative degli effetti macroeconomici alla luce dell'attuale parziale incertezza sui dettagli delle misure previste.
  Vengo ora alla simulazione degli effetti di alcuni degli interventi previsti nel DEF 2014. Il Documento di economia e finanza 2014 prevede una rimodulazione delle detrazioni IRPEF sul lavoro dipendente per le fasce più basse di reddito lordo fino ai 25.000 euro e una riduzione dell'IRAP per le imprese.
  La valutazione degli effetti distributivi dei provvedimenti di revisione dell'IRPEF sulle famiglie è stata realizzata utilizzando il modello di microsimulazione dell'ISTAT. Nel complesso, si stima un beneficio netto effettivo annuale sotto forma di minore imposta netta pari a 11,3 miliardi di euro. Pag. 18Di questi, 1,8 miliardi sono l'effetto aggregato delle variazioni già approvate con la precedente legge di stabilità, mentre 9,5 miliardi di euro sono riferiti alle nuove misure previste nel DEF 2014.
  Il beneficio relativo della revisione IRPEF, misurato come minore imposta in rapporto al reddito della famiglia di appartenenza dei beneficiari, passa dal 3,4 per cento del quinto di reddito più povero allo 0,7 del quinto di reddito più ricco. In valore assoluto, il guadagno medio annuo per beneficiario è pari a 714 euro per le famiglie più povere del primo quinto, 796 per le famiglie del secondo quinto, 768 per le famiglie del terzo quinto, 696 per quelle del quarto quinto e 451 per le famiglie più ricche.
  Inoltre, soltanto il 9,5 per cento della spesa totale per il provvedimento viene erogato alle famiglie appartenenti al quinto di reddito più povero anche per effetto della presenza di incapienti nella famiglie del quinto più povero. Più della metà della spesa è assegnata a individui in famiglie appartenenti al terzo, quarto e quinto, con redditi equivalenti medi e medio-alti. I beneficiari costituiscono il 39 per cento degli individui appartenenti ai due quinti più ricchi e solo il 12,3 di quelli del quinto più povero.
  La percentuale di beneficiari risulta maggiore tra le famiglie con figli adulti rispetto a quelle con figli minori, sia nel caso delle coppie che per famiglie con un solo genitore. Questo risultato dipende dalla presenza in famiglia di figli adulti che risultano occupati dipendenti. Tra le famiglie con figli minori, la percentuale di beneficiari e il beneficio medio sono maggiori tra le famiglie con un solo figlio minore rispetto a quelle con due o tre figli minori. Nel complesso, le nuove detrazioni IRPEF fanno registrare una variazione contenuta nella disuguaglianza economica misurata dagli indici di concentrazione, progressività e redistribuzione del reddito.
  Le nuove detrazioni avrebbero, inoltre, un effetto di riduzione della percentuale di individui a rischio di povertà con un calo dell'incidenza pari a quasi un punto percentuale. Il maggior beneficio si registrerebbe per gli individui residenti nelle regioni del Sud.
  La riduzione dell'IRAP, misurata sulle società di capitali, responsabili di circa il 60 per cento dell'imposta complessiva versata dalle imprese, ammonta complessivamente a circa 1,4 miliardi di euro, pari al 10 per cento dell'imposta dichiarata a legislazione vigente. L'impatto è stato simulato con il modello di microsimulazione fiscale dell'ISTAT Matis (Modello per l'analisi della tassazione e degli incentivi sulle società di capitali). L'esercizio di simulazione considera l'universo delle società di capitali nel periodo 2011-2014. L'elevata presenza di imprese con base imponibile negativa o nulla a fini IRAP restringe la platea degli interessati al provvedimento.
  I beneficiari sono percentualmente più numerosi tra le imprese medio-grandi, quelle che operano nel settore manifatturiero, le imprese residenti nel Nord-Ovest e le imprese in gruppo nazionale ed estero. Al contrario, l'incidenza percentuale dello sgravio si distribuisce abbastanza uniformemente per settore interessato, per dimensione di impresa, per area geografica e struttura proprietaria.
  La manovra presenta, tra gli obiettivi, anche quello di una maggiore equità: se pur ridotta a causa della grande estensione delle disuguaglianze e della contenuta incidenza dell'intervento, tuttavia essa risulta significativa in quanto sembra andare nella direzione di una riduzione dell'iniquità.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni

  GIULIO MARCON. Ringrazio per l'illustrazione e la relazione, che mi sembra molto puntuale e rispondente ai fini di quest'audizione.
  Una prima domanda è relativa al capitolo sui prezzi. Mi sembra di non aver ascoltato il termine deflazione. Avete valutato, nella vostra analisi dei dati macroeconomici Pag. 19del DEF, questo rischio e le possibili conseguenze di una spirale deflattiva sull'andamento macroeconomico del nostro Paese ? Occorre tener conto che questa preoccupazione è in Europa molto forte, a partire dalle considerazioni del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.
  La seconda domanda è molto secca. L'ISTAT fa delle stime relative all'impatto sul PIL di alcune misure contenute nel DEF: non ho trovato nella relazione la valutazione su una stima presente nel DEF e pure molto importante, quella concernente l'impatto della riforma del mercato del lavoro.
  Il DEF prevede un aumento in cinque anni di 2,2 punti percentuali di PIL e, grazie alla riforma del mercato del lavoro, prevede già nel 2014, con le riforme in discussione, un aumento dello 0,2 per cento. Ritenete attendibili queste stime ? Pensate che siano rispondenti alle vostre valutazioni ?

  MAGDA ANGELA ZANONI. Ringrazio l'ISTAT per i dati forniti, che aiutano davvero tanto ai fini dell'interpretazione del DEF.
  A pagina 8 sono riportate le difficoltà ancora persistenti relative al mercato immobiliare. Se leggiamo tali dati in parallelo alla difficoltà nella valorizzazione e nella privatizzazione del patrimonio pubblico, credo che o riusciamo, attraverso la valorizzazione e la privatizzazione, a dare slancio e a intervenire in modo incisivo su questo settore e questo segmento del mercato o rischiamo di avere due effetti negativi perversi. Questo, infatti, che dovrebbe essere un obiettivo importante, rischia di essere fortemente penalizzato proprio dalla difficoltà del mercato immobiliare attuale, e quindi di produrre decisamente minori effetti positivi.
  L'altra questione è legata alla finanza pubblica. Anche in tale ambito si evidenziano effetti un po’ perversi. Le entrate totali diminuiscono ancorché le aliquote aumentino. Questo è evidente perché le riduzioni delle entrate sono dovute alle difficoltà del mercato. Nel caso dell'IMU e della TARES, le difficoltà anche legate alle incertezze sulle modalità delle aliquote fanno sì che i comportamenti siano meno virtuosi anche da parte dei cittadini. Sicuramente una valutazione sul fenomeno dell'evasione anche rispetto a tale aspetto potrebbe essere interessante.
  Vengo a una considerazione importante sull'occupazione, a proposito della quale mi sembra molto interessante quest'analisi di genere. Forse potrebbe essere utile capire quale sia l'effetto moltiplicatore dell'occupazione femminile. Sappiamo che la perdita di un posto di lavoro femminile trascina con sé una riduzione di altri posti legati al fatto che le donne che stanno a casa non si avvalgono dell'attività della collaboratrice domestica, si rivolgono meno a produttori di cibi già pronti e così via. Si realizza quindi un effetto perverso.
  Ovviamente, all'inverso, l'aumento dell'occupazione femminile ha un effetto moltiplicatore positivo. Sarebbe forse interessante capire un po’ meglio quale sia la dimensione di quest'effetto moltiplicatore e così anche quali siano i settori che andrebbero incentivati.
  Un'ultima considerazione riguarda le prospettive macroeconomiche a breve. Anche rispetto alla precedente audizione, a sua volta molto interessante, sugli effetti di un aumento della domanda, va detto che essa deve essere positivamente rivolta alla domanda interna del Paese. Anche in tal caso viene ribadito che c’è stato un incremento delle importazioni rispetto alle esportazioni trainate dal recupero della domanda interna. Forse capire quali possano essere gli effetti di un aumento della domanda prodotta dal DEF rispetto a queste due componenti potrebbe essere interessante.

  LUCIANO URAS. Vorrei sapere se state studiando, se avete studiato, se siete a conoscenza di fenomeni di accumulo dovuti alla situazione di crisi, quindi all'estensione delle povertà anche a soggetti che un tempo, invece, non solo riuscivano a vivere, ma addirittura avevano costituito patrimoni.Pag. 20
  Vorrei capire se questi processi di accumulo hanno una dimensione rilevante, se sono accompagnati da modalità speculative in capo a importanti soggetti finanziari. Sarei molto curioso di capire se in tutte le situazioni di crisi si verifichi che qualcuno si arricchisca sulle povertà che si producono.

  ANTONIO GOLINI, presidente dell'ISTAT. Quest'ultima domanda mi porta a considerare che, per quanto l'ISTAT produca analisi e informazione, tale attività sembrerebbe non essere mai sufficiente. In ogni caso, proveremo a dare tutte le risposte. Con il permesso del presidente, chiamerei i miei collaboratori a rispondere alle varie domande.

  ROBERTO MONDUCCI, capo dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche dell'ISTAT. In tema di deflazione, nel nostro documento c’è un'analisi anche dei fattori che hanno portato alla dinamica dei prezzi. Emerge un effetto disinflazionistico forte e molto rilevante dei prezzi all’import. C’è stato un calo del 3,3 per cento dei prezzi di importazione e le importazioni pesano sulla domanda finale intorno a un quarto, quindi molto del processo disinflazionistico si spiega se lo interpretiamo come una disinflazione importata.
  Ciò è confermato dal fatto che, se scomponiamo proprio la dinamica dei prezzi dell’output, nel quarto trimestre, nonostante questa riduzione del tasso di crescita dei prezzi, emerge un aumento dei margini di profitto, quindi il quadro sembrerebbe caratterizzato da effetti di costo più che di domanda, anche se questi restano. Lo scenario sembrerebbe pertanto disinflazionistico più che deflazionistico.

  EMANUELE BALDACCI, capo dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT. Formulerei alcune precisazioni per quel che riguarda le analisi, le stime e le valutazioni di impatto della manovra.
  Innanzitutto, su questo punto della visione, il nostro outlook per l'inflazione, sempre sulla base dei modelli di previsione che abbiamo e che hanno un orizzonte temporale limitato, coerentemente con quello che diceva il dottor Monducci, è di moderata inflazione per i prossimi mesi e per il trimestre in corso e non di segno negativo.
  L'onorevole Marcon chiedeva quali sarebbero le conseguenze di un eventuale segno negativo. Si tratterebbe chiaramente di conseguenze negative sia per quel che riguarda le scelte di consumo, che verrebbero posposte e rimandate, sia per quel che riguarda l'incidenza sul debito, che verrebbe aumentata. Questo, tuttavia, non sembra essere né lo scenario attuale, sulla base dei dati, né quello a cui possiamo guardare se consideriamo i modelli di previsione e stima, che hanno chiaramente più incertezza rispetto al dato statistico.
  Quanto all'effetto della manovra e, in particolare, della riforma del mercato del lavoro, non abbiamo tentato di valutare l'effetto specifico della riforma strutturale del mercato del lavoro perché mancano i dettagli. Aspettiamo quindi di disporre di dettagli più precisi per poterci misurare con un esercizio di simulazione che, per quanto si basi su delle ipotesi, deve comunque disporre di dati concreti.
  Possiamo, però, anticipare che l'attuale impianto del DEF, oltre ad avere quegli effetti macroeconomici che il presidente Golini ha ricordato, avrebbe anche un impatto sul mercato del lavoro secondo quanto risulta dall'applicazione dei nostri modelli. In particolare, l'effetto sul tasso di disoccupazione della manovra complessiva impostata del DEF è pari a zero per il 2014, quindi un effetto nullo, mentre, per il 2015, è previsto un effetto di riduzione del tasso di disoccupazione di 0,1 punti percentuali, quindi un effetto piccolo ma comunque significativo. Questo è coerente con quell'impatto netto sul PIL della manovra pari a un decimo di punto, ossia a 0,1 punti percentuali.
  L'altra domanda riguardava, per le prospettive a breve, i canali e gli effetti della domanda, cioè quali canali macroeconomici Pag. 21verrebbero stimolati dalle misure adottate con il DEF. Faccio nuovamente riferimento a quelle simulazioni che sono state esposte solo in maniera sintetica in questa sede.
  I canali sono sostanzialmente tre: lo stimolo derivante complessivamente dalla manovra attiverebbe più consumi, una parte dei quali si traslerebbe però in maggiori importazioni, e quindi dal punto di vista della crescita del PIL l'effetto netto sarebbe ridotto, ma c’è anche un canale d'impatto importante e non trascurabile sugli investimenti.
  In altri termini, pensiamo che quei 0,2 punti percentuali di aumento del PIL conseguenti alla manovra siano il combinato di un effetto positivo derivante dai maggiori consumi, da un aumento delle importazioni, che quindi sottraggono in parte crescita, e da un aumento degli investimenti privati.

  LINDA LAURA SABBADINI, capo dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'ISTAT. Molto interessante è innanzitutto ciò che è stato detto a proposito dell'analisi di genere dell'occupazione e dell'effetto moltiplicatore. Mi pare una sottolineatura molto importante e un lavoro assolutamente da sviluppare. Va detto che, durante questa crisi, la situazione dell'occupazione femminile è stata migliore di quella maschile, relativamente migliore ovviamente, da un punto di vista quantitativo, ma al prezzo di un forte depauperamento e peggioramento sul fronte della qualità del lavoro.
  L'ultimo anno, però, ha visto un ulteriore accentuarsi della situazione critica dell'occupazione femminile con una diminuzione che supera le 100 mila unità, ma è stato l'anno più critico di tutta la crisi, nel senso che il calo di occupazione generale è stato superiore anche a quello conosciuto nel 2009.
  Il secondo aspetto importante mi sembra la segnalazione dei fenomeni di accumulo dovuti alla crisi. Va detto che durante la crisi effettivamente per segmenti di dare fondo ai risparmiampi di popolazione c’è stata la necessità. Siamo arrivati ai livelli minimi di propensione ai risparmi, anche se adesso la tendenza è quella di una ripresa della stessa propensione al risparmio.
  Va sottolineato che il fenomeno che si è verificato di crescita della grave deprivazione, soprattutto a cavallo tra il 2010 e il 2012, non ha riguardato soltanto segmenti di popolazione che erano già o erano vicini a una situazione critica, ma ha cominciato a interessare anche segmenti di famiglie e di popolazione che, nell'ambito della distribuzione del reddito, erano collocati anche al secondo e al terzo quinto della distribuzione del reddito.
  Questo significa, sostanzialmente, che sono stati toccati dei segmenti di classe media che hanno fortemente peggiorato la loro stessa situazione. Ciò è avvenuto anche per quanto riguarda la povertà assoluta, in qualche modo la misura dei più poveri tra i poveri, che ha visto una forte crescita nell'anno 2012. In particolare, nel Mezzogiorno le famiglie con a capo imprenditori e liberi professionisti sono arrivate all'11,9 per cento. Il dato sottolineato, dunque, è assolutamente centrato.
  Per quanto riguarda la questione del mercato immobiliare, mi sembra che le questioni che sono state segnalate siano molto centrate. Vorrei solo segnalare che, negli ultimi trimestri del 2013, seppure ancora non possiamo affermare di essere in una situazione positiva, c’è stato un forte rallentamento della diminuzione di compravendite, avvenuta, invece, negli anni precedenti.

  ANTONIO GOLINI, presidente dell'ISTAT. Mi pare che sia stata fornita risposta a tutte le domande.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, ringrazio i rappresentanti dell'ISTAT.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Pag. 22

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, di rappresentanti della Banca d'Italia.
  La delegazione è composta dal dottor Signorini, vicedirettore generale, dal dottor Gaiotti, capo del Dipartimento economia e statistica, e dal dottor Momigliano, direttore principale del servizio struttura economica.
  Do la parola al dottor Signorini.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Signor presidente, onorevoli deputati e senatori, ringrazio le Commissioni per avermi invitato a questa audizione.
  Nell'esame delle tre principali componenti del Documento di economia e finanza mi soffermerò prima sul quadro macroeconomico e sulle stime e i programmi dei conti pubblici per quest'anno e per i successivi quattro anni, mentre più avanti farò qualche commento sui principali aspetti del programma di riforme.
  Quanto al quadro macroeconomico, l'espansione dell'economia mondiale prosegue. Secondo le recenti previsioni del Fondo monetario internazionale, quest'anno la crescita globale sarà del 3,6 per cento e del 2,2 per cento nelle economie avanzate.
  Non mancano rischi di rallentamento, in particolare per qualche segnale di debolezza che proviene dalle economie emergenti. Le tensioni scaturite dalla crisi ucraina hanno avuto finora un impatto contenuto, ma restano un fattore di rischio.
  Nell'area dell'euro, in un quadro di crescita reale moderata, si è accentuato il miglioramento dei mercati finanziari con una rapida riduzione dei premi al rischio sul debito sovrano. Vi hanno contribuito soprattutto l'abbattimento della percezione di un rischio di disgregazione dell'Unione monetaria e la credibilità conseguita dalle politiche nazionali di stabilità. Nei mesi recenti vi ha contribuito anche l'afflusso di fondi dai Paesi emergenti in cerca di investimenti a più elevato rendimento. Non va dimenticato che questi flussi sono per loro natura soggetti a mutamenti anche repentini.
  In Italia, come è ben noto, i rendimenti dei BTP decennali sono scesi al livello più basso, in termini nominali, dalla loro introduzione all'inizio degli anni Novanta, con un apprezzabile beneficio per la finanza pubblica, soprattutto in prospettiva, se la fiducia dei mercati sarà costantemente mantenuta.
  L'inflazione è scesa su livelli molto bassi in tutta l'area dell'euro. Nelle attuali proiezioni della Banca centrale europea essa rimarrebbe fino al 2016 significativamente al di sotto della soglia del 2 per cento, non agevolando il riassorbimento degli squilibri e dell'indebitamento nei Paesi dell'area.
  Il consiglio direttivo della BCE ha annunciato l'impegno unanime a contrastare i rischi di un periodo troppo prolungato di inflazione eccessivamente bassa, anche con il ricorso a strumenti non convenzionali di politica monetaria come l'acquisto di titoli sul mercato.
  In Italia, la crescita dell'attività economica iniziata nell'ultimo trimestre del 2013 continua, anche se a ritmi ancora più moderati di quelli medi dell'area. Gli indicatori congiunturali prefigurano una prosecuzione della crescita nel corso dell'anno, legata sia alla domanda estera sia ad un graduale miglioramento delle condizioni per l'investimento.
  I dati sulla produzione sono migliori per le aziende industriali più grandi e più orientate all'esportazione. Tuttavia, stando Pag. 23agli ultimi sondaggi, comincia ad apparire anche qualche segnale positivo per le imprese dei servizi.
  Non migliorano, invece, le condizioni sul mercato del lavoro. Per riassorbire la disoccupazione, che a febbraio ha toccato il 13 per cento, sarà necessaria un'espansione dell'attività economica robusta e duratura e saranno utili provvedimenti tendenti ad accelerare la risposta della domanda di lavoro alla ripresa.
  Il Documento di economia e finanza stima che il PIL dell'Italia cresca quest'anno dello 0,8 per cento e dell'1,3 nel 2015. Nel triennio successivo vi sarebbe una progressiva accelerazione: 1,6 per cento nel 2016, 1,8 nel 2017 ed 1,9 nel 2018.
  Rispetto ai documenti programmatici dello scorso autunno, le previsioni per l'anno in corso e per il prossimo sono state abbassate, rispettivamente, di 0,3 e di 0,4 punti percentuali. È stato, tra l'altro, ridotto l'impatto stimato delle misure strutturali approvate negli anni precedenti, anche in considerazione dei relativi ritardi di attuazione. I tempi con cui si manifesteranno questi effetti e la loro entità restano incerti.
  Per il biennio 2014-2015 le previsioni di crescita sono sostanzialmente in linea con quelle finora formulate dalla maggior parte dei previsori e con le stime pubblicate nel Bollettino economico della Banca d'Italia lo scorso gennaio.
  Sull'andamento dell'attività economica nei prossimi trimestri gravano rischi al ribasso – li ho già menzionati – legati all'eventualità di sviluppi internazionali sfavorevoli o anche, sul piano interno, di un riassorbimento più lento delle residue tensioni sul mercato del credito.
  Per il triennio successivo 2016-2018, l'accelerazione dell'attività economica prevista dal DEF è più forte di quella finora prefigurata da altre istituzioni. Il quadro macroeconomico presentato sconta, oltre agli affetti delle riforme dell'ultimo triennio, un'ipotesi sull'andamento dei tassi di interesse sui titoli di Stato a lungo termine che resta più favorevole di quanto attualmente atteso dagli operatori, oscillando attorno al 3,5 per cento.
  Il differenziale di rendimento rispetto alla Germania, attualmente ridottosi a meno di 170 punti base dai 240 di ottobre, scenderebbe ancora intorno a 100 punti. Il verificarsi di questa ipotesi richiede che le condizioni dei mercati globali restino complessivamente favorevoli e che si rafforzi ancora la fiducia degli investitori interni ed esteri.
  Il DEF presenta una stima degli effetti netti sul PIL degli interventi programmati per la riduzione del cuneo fiscale e delle relative voci di copertura. Le valutazioni su questi effetti relative al prossimo triennio ci appaiono nel complesso plausibili.
  Veniamo allo stato dei conti pubblici in Italia. Nel 2013, come è a tutti noto, l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è stato del 3,0 per cento in rapporto al prodotto interno lordo, circa mezzo punto al di sotto – forse è utile ricordarlo – della media degli altri Paesi dell'Unione europea. L'avanzo primario è stato pari al 2,2 per cento del PIL, a fronte di un disavanzo primario medio dell'ordine di un punto percentuale negli altri Paesi dell'Unione europea.
  Può essere utile fare riferimento alle figure nn. 1 e 2 allegate a questa testimonianza per avere al riguardo un confronto con le informazioni relative ai Paesi maggiori.
  Le entrate sono diminuite nello scorso anno dello 0,3 per cento, in linea con la dinamica del prodotto nominale. Anche le spese sono diminuite dello 0,2 per cento: alla flessione hanno contribuito minori erogazioni per interessi e minori erogazioni in conto capitale.
  La spesa primaria corrente, che si era ridotta nei due anni precedenti, è aumentata dell'1,3 per cento, per lo più per la crescita delle prestazioni sociali.
  L'incidenza del debito delle amministrazioni pubbliche sul prodotto è aumentata dal 127 al 132,6 per cento. Oltre un terzo di questo aumento è dovuto al pagamento dei debiti commerciali pregressi Pag. 24delle amministrazioni pubbliche e alle erogazioni per il sostegno finanziario ai Paesi dell'area dell'euro.
  Nei primi mesi dell'anno, gli andamenti dei conti pubblici finora appaiono sostanzialmente coerenti con la riduzione dell'indebitamento netto indicata per il 2014 nelle stime tendenziali del DEF, che è pari a 0,4 punti percentuali di PIL.
  Nel primo trimestre del 2014 il fabbisogno è stato pari a 31,7 miliardi, inferiore di 5 miliardi rispetto a quello del corrispondente periodo del 2013; al netto di alcuni fattori temporanei, resta comunque un miglioramento di circa un miliardo.
  Le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono aumentate lievemente rispetto al primo trimestre dell'anno.
  Nel DEF si forniscono alcune indicazioni sugli interventi di bilancio che il Governo intende attuare a breve. Una valutazione su di essi sarà possibile solo quando saranno disponibili informazioni complete sui provvedimenti. Secondo quanto prospettato dal Governo, il disavanzo, in seguito a questi provvedimenti, rimarrebbe sostanzialmente invariato.
  Già nel prossimo mese di maggio si introdurrebbero uno sgravio permanente dell'IRPEF a favore dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi e una riduzione del 10 per cento dell'IRAP. Le risorse per questi interventi sarebbero reperite soprattutto attraverso la revisione della spesa. Per il 2014, secondo quanto anticipato dal Governo, potrebbero concorrere alla copertura anche misure con effetti una tantum, che nel Documento che sono chiamato oggi a commentare non sono specificate.
  Il DEF rivede le stime dei conti pubblici elaborate lo scorso autunno per il periodo 2014-2017 e le estende al 2018. Le nuove previsioni tengono conto delle prospettive di crescita, meno favorevoli di quanto ipotizzato nel documento dello scorso autunno, del consuntivo del 2013 e dei provvedimenti approvati fino a marzo di quest'anno.
  Nel 2014 l'indebitamento netto scenderebbe dal 3 al 2,6 per cento del PIL. La stima è superiore di un decimo di punto rispetto alla previsione del 2,5 formulata in autunno, riflettendo sostanzialmente il ridimensionamento delle prospettive di crescita del prodotto dall'1,1 allora annunciato allo 0,8 che adesso si indica.
  Viene programmata una riduzione dell'indebitamento netto all'1,8 per cento del PIL nel 2015 e ulteriori miglioramenti nel triennio 2016-2018, fino a raggiungere un avanzo dello 0,3 per cento del PIL nell'anno terminale. In questo quadro, l'avanzo primario, cioè quello al netto della spesa per interessi, torna a crescere nel 2014 al 2,6 per cento del prodotto interno lordo, sale ancora nel 2015 al 3,3 per cento e lungo l'intero triennio successivo, raggiungendo il 5 per cento nel 2018.
  Per raggiungere questi obiettivi, il DEF indica la necessità di una correzione dell'avanzo primario rispetto alle stime tendenziali di 0,3 punti percentuali del PIL nel 2015. Dal 2016 lo stesso divario da colmare è costante, pari a 0,6 punti percentuali.
  L'andamento tendenziale ipotizzato per il conto delle amministrazioni pubbliche dipende, quasi per definizione, anche da una progressiva flessione delle spese primarie di 0,2 punti nel 2014, di altri 0,6 nel 2015 e ancora di 2,4 punti nel complesso nel successivo triennio. Prima ho detto «quasi per definizione», nel senso che questa valutazione è basata sul criterio della legislazione vigente, che porta a sottostimare alcune categorie di esborsi che richiedono atti normativi per il mantenimento dei programmi esistenti. Il DEF fornisce alcune valutazioni quantitative di queste differenze. Ciò riguarda soprattutto la spesa in conto capitale, la cui incidenza sul prodotto, nella proiezione tendenziale a legislazione vigente, scende di 0,6 punti tra il 2014 e il 2018, e i redditi da lavoro, per i quali questo criterio non tiene conto per definizione dei rinnovi contrattuali che sono possibili a partire dal 2015, quando scadrà il blocco della contrattazione.
  Di contro, la previsione di spesa tendenziale non include gli ingenti risparmi che il Governo si attende nei prossimi anni Pag. 25dalla spending review: 4,5 miliardi quest'anno, 17 l'anno prossimo, 32 nel 2016.
  Il quadro tendenziale prevede una sostanziale stabilità delle entrate in rapporto al prodotto nel 2014 e 2015 e una lieve flessione negli anni successivi. Al termine dell'orizzonte di previsione, le entrate scenderebbero al 47,3 per cento del PIL. Queste valutazioni includono interventi, non specificati, di aumento delle entrate rispettivamente pari a 3, 7 e 10 miliardi nei prossimi tre anni, da adottare se la revisione della spesa non desse risultati sufficienti. Si tratta di interventi da definire, come specificato dalla legge di stabilità per il 2014, mediante decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, come clausola di salvaguardia per il rispetto degli obiettivi.
  Nel complesso, l'analisi delle stime tendenziali suggerisce che nel 2015 i risparmi di spesa indicati come valore massimo ottenibile dalla spending review non sarebbero sufficienti da soli a conseguire gli obiettivi programmatici se dovessero finanziare lo sgravio dell'IRPEF, evitare l'aumento delle entrate che ho appena menzionato e dare anche copertura agli esborsi connessi con i programmi esistenti non inclusi nella legislazione vigente, ossia quelli di cui ho parlato poco fa.
  L'indebitamento netto strutturale – calcolato cioè escludendo gli effetti del ciclo economico e delle misure temporanee – che è sceso allo 0,8 per cento del PIL nel 2013, diminuirebbe nei programmi di altri 0,2 punti nel 2014 e ancora di 0,5 punti nel 2015, sostanzialmente azzerandosi. L'azzeramento pieno avverrebbe nel 2016.
  Nel 2014 è previsto un ulteriore aumento del rapporto fra il debito e il prodotto a 134,9 per cento, cioè oltre 2 punti in più rispetto all'obiettivo che era stato indicato lo scorso ottobre nel documento programmatico di bilancio. Questa revisione riflette il peggioramento della crescita attesa del prodotto nominale nonché la previsione di nuove erogazioni per il pagamento dei debiti commerciali pregressi delle amministrazioni pubbliche.
  Il debito comincerebbe, invece, a ridursi nel 2015 e il calo continuerebbe a ritmi sostenuti, secondo quanto indica il DEF, negli anni successivi. Nel triennio 2015-2017, che è rilevante per la prima applicazione all'Italia della regola del debito nella cosiddetta formulazione forward looking – parlerò in seguito più in dettaglio delle regole europee –, il calo complessivo del debito rispetto al 2014 sarebbe di quasi 10 punti. Al termine dell'orizzonte di previsione, il debito ritornerebbe al 120 per cento circa, cioè al livello del 2011.
  La contrazione del rapporto fra debito e PIL beneficerebbe dell'esaurimento del programma di rimborso dei debiti commerciali, che appunto verrebbe concluso nell'anno in corso, e dei proventi attesi dalle privatizzazioni: questi ultimi sono previsti in misura pari a 0,7 punti di PIL in ciascun anno tra il 2014 e il 2017, mentre il precedente Esecutivo puntava a realizzare cessioni per 0,5 punti di prodotto all'anno. È un obiettivo sicuramente ambizioso – nell'ultimo decennio gli importi di dismissioni immobiliari sono stati pari a circa due decimi di punto percentuale di PIL all'anno – che richiede, per la sua attuazione, un rapido e deciso programma di dismissioni.
  Il valore delle partecipazioni azionarie dirette delle amministrazioni pubbliche in società quotate oggi è stimabile in circa un punto percentuale di PIL. Naturalmente, oltre a queste partecipazioni in società quotate ci sono molti altri asset potenzialmente oggetto di dismissioni. Citavo quel numero semplicemente per indicare qualcosa che è oggetto, tra l'altro, di programmi già in corso, perché all'inizio del 2014 sono state avviate procedure per alienare il 40 per cento di Poste italiane, il 49 per cento dell'ENAV e nel DEF si indica l'intenzione di procedere in tempi brevi alla cessione di altre partecipazioni dirette.
  Il Fondo monetario internazionale ha presentato pochi giorni fa – lo dico come forma di riferimento – un quadro di previsioni per la finanza pubblica italiana che è sostanzialmente in linea con quello programmatico delineato nel DEF.Pag. 26
  I programmi indicati dal DEF implicano una temporanea deviazione dal sentiero di avvicinamento al pareggio di bilancio strutturale che dovrà essere, come voi sapete, esplicitamente approvata dal Parlamento con una procedura rafforzata in base alla nuova formulazione dell'articolo 81 della Costituzione e alla legge di attuazione n. 243 del 2012.
  L'ammissibilità della deviazione sarà inoltre valutata dalla Commissione europea e dal Consiglio dell'Unione europea, alla luce dei margini di flessibilità previsti dalle regole europee. Questi ultimi margini di flessibilità riguardano essenzialmente due casi: eventi eccezionali con rilevanti ripercussioni negative sulle finanze pubbliche, ivi inclusa una grave recessione economica, e l'attuazione di importanti riforme strutturali che, pur comportando costi nel breve periodo, migliorano la sostenibilità dei conti pubblici.
  Le regole di bilancio europeo, recepite nell'ordinamento italiano con la riforma costituzionale del 2012, riguardano sia l'indebitamento netto, sia la spesa, sia il debito.
  Quanto all'indebitamento netto, per i Paesi non soggetti alla procedura per i disavanzi eccessivi, come l'Italia dall'anno scorso, il disavanzo strutturale deve essere inferiore o uguale al rispettivo obiettivo di medio termine (OMT). Qualora il disavanzo ecceda tale obiettivo, esso deve essere ridotto almeno di 0,5 punti percentuali di PIL all'anno.
  Per l'Italia l'OMT è il pareggio. Nel 2014 gli andamenti tendenziali indicano una riduzione del disavanzo strutturale di due decimi di punto. Sarebbe richiesto, quindi, un ulteriore aggiustamento di tre decimi di punto in base alle regole.
  Il Governo, valutata la persistente fragilità della situazione economica, in particolare l'ampio output gap e le condizioni di liquidità delle imprese, ancora lontane dai livelli normali – che hanno reso ancora più urgente accelerare il pagamento dei debiti commerciali delle amministrazione pubbliche – e considerando che il rallentamento della convergenza verso l'obiettivo di medio termine consente la realizzazione di importanti riforme strutturali, ha deciso di invocare i margini di flessibilità previsti.
  Come stabilito dalla legge di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio, il Governo ha chiesto al Parlamento l'autorizzazione a una deviazione temporanea dal percorso di convergenza. La richiesta, accompagnata da un piano di rientro che prevede un aggiustamento strutturale di cinque decimi di punto nel 2015 e di un decimo nel 2016, dovrà essere approvata a maggioranza assoluta di entrambe le Camere.
  Quanto alla spesa, per i Paesi che non hanno ancora conseguito il proprio obiettivo di medio termine la crescita annua della spesa pubblica in termini reali deve essere inferiore a quella di medio periodo del PIL potenziale. L'entità dello scarto deve garantire un miglioramento del saldo strutturale di almeno cinque decimi di punto del prodotto.
  Nel triennio 2011-2013 la dinamica della spesa è stata ampiamente al di sotto del limite prescritto dalle regole europee. Per il 2014-2016 il limite superiore calcolato dalla Commissione per l'Italia è una diminuzione dell'1,07 per cento in termini reali. Nelle proiezioni elaborate dal Governo, nell'ipotesi di invarianza delle politiche di bilancio, la dinamica della spesa sarebbe significativamente superiore.
  Le proiezioni tendenziali del Governo non tengono conto dei risparmi che potranno derivare dalla revisione della spesa, se realizzati. Ipotizzando che tali risparmi si concretizzino integralmente, nostre elaborazioni, quanto meno preliminari, indicano che la regola sulla spesa verrebbe rispettata nel 2016 mentre vi sarebbero contenuti scostamenti nel biennio precedente.
  Infine sul debito, sulla base del cosiddetto Six pack, che ha reso operativa la regola del Trattato di Maastricht, nel Paese in cui il rapporto tra debito e prodotto eccede la famosa soglia del 60 per cento, questa differenza dovrebbe diminuire di un ventesimo all'anno nella media di un triennio.Pag. 27
  Per gli Stati membri che nel novembre 2011 risultavano soggetti alla procedura per i disavanzi eccessivi è stato previsto un periodo di transizione di tre anni a partire dall'anno in cui si chiude la procedura. In tale periodo occorre conseguire una riduzione annua minima del disavanzo strutturale calcolata dalla Commissione. Per l'Italia il periodo transitorio è ovviamente cominciato l'anno scorso.
  La Commissione in novembre ha indicato che la riduzione minima annua del disavanzo strutturale è di 1,32 punti percentuali di PIL nel biennio 2014-2015; la riduzione prevista dal DEF è di 0,7 punti. Tuttavia, va rilevato che la Commissione potrebbe rivedere al ribasso il minimo, tenendo conto degli introiti delle dismissioni programmate.
  Esaurito il periodo di transizione, tre anni dopo l'uscita dalla procedura per il deficit eccessivo, la prima valutazione ordinaria, se vogliamo chiamarla così, sulla dinamica del debito sarà condotta nel 2016. La regola dovrà essere rispettata in almeno una delle tre versioni, su cui non mi soffermo. La Commissione valuterà il rispetto del requisito sulla base delle proprie previsioni e tenendo conto dei fattori rilevanti previsti.
  Il quadro programmatico del DEF rispetta una delle versioni – la versione forward looking – della regola. Se gli andamenti macroeconomici dovessero discostarsi, anche di poco, dalle previsioni contenute nel DEF o se non si realizzassero integralmente le dismissioni programmate, il rispetto della regola potrebbe essere messo a repentaglio.
  Nell'ambito delle procedure previste dal semestre europeo, la Commissione e il Consiglio dell'Unione europea valuteranno, fin dai prossimi mesi, la rispondenza alle regole del Programma di stabilità dell'Italia, in particolare l'ammissibilità della deviazione prevista rispetto all'aggiustamento minimo del percorso verso l'obiettivo di medio termine.
  Un giudizio negativo su questo ultimo aspetto non comporta l'avvio delle procedure per i disavanzi eccessivi, mentre il mancato rispetto della regola transitoria sul debito è un elemento che potrebbe indurre la Commissione a raccomandarne l'apertura, benché ciò normalmente si verifichi solo sulla base dei dati di consuntivo.
  Le regole di bilancio europee possono apparire e appaiono senz'altro complesse e, pur con i loro margini di flessibilità, stringenti, ma esse rispondono all'esigenza di assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche e ricondurle all'equilibrio.
  Occorre inoltre ricordare che esse appaiono oggi per l'Italia vincolanti anche perché abbiamo lasciato crescere in passato, senza sufficiente controllo, la spesa e il debito pubblico.
  Passo ora a parlare del Programma nazionale di riforma, (PNR) la terza sezione del Documento di economia e finanza, che include interventi strutturali, finalizzati ad accrescere stabilmente la competitività dell'economia, e misure congiunturali a sostegno della domanda. Gli interventi strutturali proseguono quelli avviati negli ultimi tre anni, non sempre pienamente attuati, e incidono su diversi fattori che contribuiscono a frenare la crescita dell'economia: l'efficienza dell'amministrazione, il mercato del lavoro, il finanziamento delle imprese, il capitale umano, le infrastrutture e altri ancora.
  Viene indicato come centrale il tema della riorganizzazione degli assetti istituzionali. Mi limiterò, per ragioni di tempo, a commentare alcuni tra i temi più importanti. In generale, mi pare di poter dire che combinare misure dal lato della domanda e dell'offerta sia una scelta opportuna, così come lo è l'enfasi sulla necessità di una forte accelerazione del processo di riforma. Non basta però varare le riforme, occorre attuarle. Questo, in passato, si è rivelato non di rado il punto debole.
  Gli interventi possono richiedere a volte, per loro stessa natura, tempi lunghi, ma è importante disegnare sempre un percorso ben definito e certo, andare oltre i primi atti dispositivi di carattere generale, individuare traguardi intermedi e momenti di verifica e monitoraggio. Anche per questo motivo vanno privilegiate quelle misure che si applicano in modo il Pag. 28più possibile automatico, senza richiedere onerosi adempimenti da parte delle amministrazioni o delle imprese ovvero complessi provvedimenti attuativi. Da questo punto di vista, i vari interventi ipotizzati e disegnati nella terza sezione del DEF si differenziano: alcuni sono più automatici, altri invece più complessi.
  Il buon funzionamento della pubblica amministrazione è riconosciuto da tutti come essenziale per migliorare il contesto in cui si svolge l'attività produttiva. Il DEF indica alcune importanti linee di azione: politiche di gestione del personale pubblico, trasparenza, digitalizzazione, semplificazione amministrativa, argomento questo su cui il DEF ritorna in vari punti.
  Riguardo al personale, oltre alle aree di intervento individuate – mobilità, ricambio generazionale e dirigenza – sarebbe opportuna una riforma complessiva del sistema di reclutamento e la ridefinizione delle piante organiche sulla base di parametri oggettivi, cioè dei fabbisogni standard.
  Per conseguire gli obiettivi sicuramente condivisibili di trasparenza, digitalizzazione e semplificazione, che sono stati al centro anche dell'iniziativa di Governi precedenti, andrebbero individuati e rimossi gli ostacoli che nel passato ne hanno impedito la piena realizzazione.
  Il funzionamento della giustizia è cruciale per lo sviluppo economico non meno che per la protezione dei diritti dei cittadini. Appare opportuno l'inserimento nel DEF della giustizia amministrativa tra gli ambiti dell'azione di riforma. Andrà meglio precisata l'indicazione delle linee di intervento.
  La giustizia civile è stata interessata, come si sa, negli anni scorsi da interventi di razionalizzazione significativi. È opportuno valutarne gli effetti per poi introdurre eventuali correzioni o nuove misure, assicurando la coerenza del disegno.
  In tema di mercato del lavoro, il Programma nazionale di riforma richiama le misure già operative incluse nel recente decreto-legge n. 34 del 2014 e quelle che sono, invece, oggetto di un disegno di legge delega al Governo e che saranno varate nei mesi prossimi.
  Gli interventi immediatamente operativi, come loro sanno, riguardano i contratti a termine e l'apprendistato. Per i primi si amplia e semplifica la possibilità di ricorrervi, ponendo l'unico limite di un tetto numerico complessivo, abbastanza elevato. Quest'ultimo prende il posto di una puntuale enunciazione delle motivazioni ammissibili, sistema che poteva essere fonte di vasto contenzioso.
  L'apprendistato viene reso più vantaggioso, eliminando sia il vincolo dell'effettiva presenza di attività formative, che in pratica spesso si rivelavano di dubbia qualità ed erano fonte di complicazioni, sia l'obbligo di trasformare in contratti a tempo indeterminato una quota minima dei rapporti di apprendistato.
  In una fase di riavvio ciclico queste misure potranno contribuire a stimolare nuove assunzioni; esse andranno completate assicurandone – mi preme dirlo – la coerenza con la prospettata introduzione, oggetto di un disegno di legge delega, del contratto a tutele crescenti.
  Il PNR prospetta anche l'introduzione di un compenso orario minimo fissato per legge e interventi di natura fiscale a sostegno dell'offerta di lavoro. In entrambi i casi gli effetti sono potenzialmente di vasta portata, ma dipendono in misura cruciale dai dettagli della loro attuazione e dall'interazione dell'uno con l'altro. È necessario un disegno organico da accompagnare possibilmente, come è previsto del resto dal PNR, con una fase preliminare sperimentale che, se monitorata attentamente, consentirebbe di affinarne i dettagli.
  Le misure di riduzione dell'IRPEF sui lavoratori dipendenti verranno definite prossimamente con un apposito decreto. Nel metterlo a punto, a nostro giudizio, occorre modularle in rapporto al reddito in modo da evitare che l'operare congiunto di agevolazioni decrescenti e aliquote dell'IRPEF crescenti produca, per certe fasce di lavoratori, aliquote marginali effettive troppo penalizzanti, disincentivando l'offerta Pag. 29di lavoro. È inutile dire che non si può prescindere dalle compatibilità di bilancio.
  Per irrobustire le imprese dal punto di vista finanziario si punta, da un lato, a migliorarne la liquidità e l'accesso al credito, accelerando i pagamenti delle amministrazioni pubbliche e rafforzando il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese; dall'altro, a consolidarne la struttura finanziaria.
  Il rifinanziamento del Fondo è un provvedimento opportuno per fare fronte alla probabile crescita dei volumi delle garanzie nei prossimi anni, connessa con le modifiche all'operatività del Fondo recentemente varate.
  È importante che l'estensione dell'attività del Fondo prevista nella legge di stabilità per il 2014, ad esempio a favore dei Confidi, non si traduca in una riduzione delle risorse allocate dal Fondo a sostegno delle imprese minori.
  Ci siamo più volte espressi in favore di provvedimenti che favoriscano la diversificazione della fonte di finanziamento delle imprese e una maggiore capitalizzazione delle stesse. L'eccessiva dipendenza delle imprese in Italia dal credito bancario le rende più fragili in caso di crisi e riduce la capacità del sistema di produrre innovazione. Tra le misure previste mi limito a citare l'innalzamento del tasso di riferimento dell'aiuto alla crescita economica (ACE), fissato fino al 2016, che opportunamente incentiva l'accrescimento del capitale proprio delle imprese anche attraverso un maggiore reinvestimento di utili. Sarà possibile verificarne l'efficacia soprattutto – sperabilmente – con il consolidamento della ripresa, quando un numero maggiore di società dovrebbe chiudere il bilancio in utile e quindi sarà in grado di sfruttare questa agevolazione. L'aumento del tasso di riferimento dell'ACE potrebbe essere reso permanente.
  Per concludere, il 2014 si è aperto con un quadro macroeconomico in lento miglioramento e con i primi segnali di ripresa della domanda interna: consumi, investimenti. Il quadro della ripresa resta fragile. Il disegno delle politiche economiche deve sostenere la fiducia di imprese e famiglie e proseguire nella realizzazione di riforme. Per il progressivo riassorbimento della disoccupazione, specie della componente giovanile più colpita dalla crisi, è necessaria una crescita robusta e duratura.
  Bisogna che prosegua il graduale miglioramento delle aspettative delle imprese e delle famiglie. Va consolidato l'allentamento delle tensioni sul mercato del debito sovrano, che riflette certo il miglioramento del clima di mercato relativo all'euro, della finanza pubblica e delle prospettive di crescita, ma anche sviluppi contingenti dei flussi sui mercati globali.
  Assicurare la sostenibilità del debito pubblico resta necessario. Essa non ci è imposta solo dall'obbligo di rispettare le regole che ci siamo dati in Europa né solo dalla preoccupazione, per quanto imprescindibile, di conservare la fiducia dei mercati conquistata con tanto sacrificio. È un requisito fondamentale della buona e prudente amministrazione della cosa pubblica. Il vincolo più importante, che è uno dei pesi maggiori che hanno la finanza pubblica e la stessa economia in questo momento, consiste nell'onere del debito che ci è stato lasciato in eredità dalle generazioni più anziane.
  Come ha detto il Presidente della Repubblica qualche giorno fa, dalle scelte che si compiono oggi dipende quello che sarà lasciato alle generazioni future.
  L'equilibrio finanziario pubblico non si deve perseguire, ovviamente, con strategie miopi. La possibilità di ridurre il peso del debito sul PIL non dipende solo da una gestione prudente delle finanze, ma anche dalla capacità di crescita dell'economia. I due obiettivi devono essere inscindibili. Le procedure europee consentono alcuni margini di flessibilità che possono essere sfruttati ed invocati, in accordo con le autorità europee, a patto di avere al tempo stesso una strategia di riforma credibile e una bussola certa per le decisioni sulla finanza pubblica.
  Il DEF propone azioni congiunte e simultanee: riduzione del debito pubblico, rilancio della crescita, ritorno alla normalità Pag. 30dei flussi di credito, adozione di riforme strutturali che aumentino la produttività. Sono obiettivi che non si può non condividere.
  È importante che l'azione riformatrice sia nei fatti incisiva e coerente con queste premesse. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il vicedirettore generale della Banca d'Italia.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAURO DEL BARBA. Ringrazio il vicedirettore Signorini dell'intervento. Vorrei sottolineare che nelle precedenti audizioni più volte è stato richiamato il problema del credit crunch e sono state anche indicate alcune modalità per uscirne.
  In particolare, anche questa mattina, nell'audizione di rappresentanti del CNEL si auspicava il rafforzamento del finanziamento non bancario alle imprese. Inoltre, è stata citata e sollecitata anche l'operazione di creazione di una cosiddetta bad bank per stabilizzare il mercato bancario.
  Su questi due aspetti – ossia il finanziamento non bancario alle imprese, che mi sembra rappresenti un aspetto piuttosto delicato nell'attuale situazione italiana, e la creazione di una bad bank – qual è la posizione di Banca d'Italia ? Quali effetti considerate possibili di queste due classi di intervento relativamente alla risoluzione di questo problema ?

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Vorrei sapere – cito un tema connesso al precedente – se tra gli interventi che Banca d'Italia può prevedere a livello normativo generale o a livello di regolamentazione delle banche ve ne siano per favorire la soluzione delle crisi di impresa. Dico che il tema è connesso al discorso appena fatto, nel senso che uno dei grandi problemi che bloccano le soluzioni dei tavoli di crisi è la propensione o la riluttanza delle banche a svalutare le posizioni. È un problema che si crea continuamente e ci sono decine di tavoli pendenti e bloccati da mesi su questo tema. Tutto nasce in realtà da un problema di bilanci delle banche e dalla tendenza a portare più avanti possibile la svalutazione delle posizioni. Si è discusso più volte di interventi che consentano magari una maggiore flessibilità alle banche sotto questo profilo, per gestire la situazione.
  Chiedo, dunque, se ci siano interventi che potete considerare auspicabili o realizzabili rapidamente perché questo è uno dei temi più importanti, in questo momento, per la nostra economia.

  GIULIO MARCON. Mi consenta una battuta: in un passaggio sul Programma nazionale di riforma lei ha affermato che l'apprendistato viene reso più vantaggioso eliminando sia il vincolo dell'effettiva presenza di attività formative sia l'obbligo di trasformarlo in contratti a tempo indeterminato. Mi chiedo per chi sia reso più vantaggioso: per le imprese, per il Paese o per i lavoratori ? La risposta fa la differenza.
  Passo alla domanda. Lei si è soffermato sul Programma nazionale di riforma ma nessuno – nemmeno nella precedente audizione di rappresentanti dell'ISTAT – cita che nel predetto Programma è presente la strategia Europa 2020, particolarmente importante, soprattutto alla luce della presidenza italiana del prossimo semestre.
  Poiché noi siamo strutturalmente sotto a tutti i target, agli obiettivi che ci vengono chiesti in sede europea – ricordo che si tratta di target relativi agli investimenti in ricerca e sviluppo rispetto al PIL, alla lotta dell'abbandono scolastico, alla riduzione delle emissioni, all'incentivazione delle fonti rinnovabili – mi chiedo se, come Banca d'Italia, avete fatto una valutazione di quale impatto abbia il mancato rispetto degli obiettivi della strategia Europa 2020 sulla competitività del sistema economico italiano, sulla produttività e quindi sul grado di crescita che l'Italia potrebbe avere se rispettasse effettivamente gli obiettivi che si è posta, insieme agli altri Paesi, nei confronti di questa strategia.

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ringrazio il dottor Signorini per la sua relazione. In particolare a me interessa Pag. 31porre una domanda collegata alla questione del credit crunch, già sollevata dal mio collega.
  Noi vediamo una seria difficoltà per il settore dell'edilizia, dovuta al fatto che spesso le famiglie non riescono ad ottenere i mutui dalle banche. Mi ha stupito la circostanza che una banca del mio territorio in un anno aveva concesso un solo mutuo per l'acquisto della prima casa. Effettivamente le regole sono molto restrittive nel concedere mutui per l'acquisto della prima casa.

  MAINO MARCHI. Vorrei porre una domanda relativamente ai pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese. Siamo a circa un anno dall'assunzione dei provvedimenti che hanno accelerato e permesso di arrivare ad alcuni primi risultati. Questo è un tema che viene ripreso nel DEF, anche prevedendo un'implementazione rispetto alle azioni già contemplate da precedenti provvedimenti. Peraltro, è difficile stimare esattamente a quanto corrisponde l'ammontare dei debiti. Tra le stime che si sono prese a riferimento l'anno scorso c'erano, tra le più importanti, quelle della Banca d'Italia.
  Qual è il vostro giudizio su come sono andate le cose, sulle previsioni dei pagamenti e su quanto rimane da fare ? Esiste, inoltre, una stima aggiornata da parte di Banca d'Italia sull'ammontare residuo dei debiti della pubblica amministrazione ?

  GIORGIO SANTINI. Vorrei porre una breve domanda su un punto importante. Nella vostra relazione avete descritto in maniera accurata il meccanismo dell'allungamento dei tempi per il pareggio di bilancio al 2016, riportando molto correttamente anche le motivazioni che le procedure prevedono a livello europeo.
  Vorrei sapere se ritenete opportuno fare una valutazione su questa scelta del Governo italiano.

  PRESIDENTE. Vorrei chiederle anche io di approfondire un passaggio della relazione soprattutto relativamente al quadro macroeconomico, laddove ci ricorda la differenza tra la crescita delle economie avanzate (2,2) e quella globale (3,6).
  Ci ricorda, altresì, che sulla nostra crescita le previsioni per l'anno in corso sono state abbassate dello 0,3 rispetto allo scorso autunno e fa riferimento all'impatto di misure strutturali approvate nel 2012 e nel 2013 che scontano ritardi di attuazione.
  Le chiederei di essere più esplicito sui ritardi di attuazione e su quali misure li scontano. In tal modo potrà consentire alle presenti Commissioni, nel lavorare sulla risoluzione, di essere ancora più stringenti rispetto all'attuazione di alcune misure strutturali.
  Quando in un passaggio Banca d'Italia scrive che il verificarsi di questa ipotesi più ottimistica di previsione del DEF rispetto ad alcune valutazioni di altre istituzioni, ad esempio la Commissione europea, richiede che le condizioni...

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Si riferisce all'ipotesi sulla crescita negli anni successivi ?

  PRESIDENTE. Sì. In particolar modo, voi sottolineate come dal 2016 al 2018 l'accelerazione dell'attività economica prevista dal DEF sia più forte di quella prefigurata da altre istituzioni. Testualmente, voi affermate che «il verificarsi di questa ipotesi richiede che le condizioni dei mercati globali restino favorevoli e che si rafforzi ancora la fiducia degli investitori interni ed esteri». Su questo passaggio del rapporto con gli investitori esteri le chiederei un approfondimento, tenendo conto che l'ultimo è stato un anno complesso, laddove con le politiche di stabilità abbiamo dovuto mettere in sicurezza i conti pubblici. La cosiddetta aria di bonaccia che caratterizza i mercati è figlia anche di politiche connesse alla stabilità.
  L'aver intercettato in parte investimenti esteri, che comunque voi richiamate essere ancora deboli, è un tema ancora centrale oppure pensate che in qualche modo ci sia Pag. 32stata una svolta negli ultimi tempi ? Quali sono le azioni su cui, con i prossimi interventi di politica economica, è auspicabile che il Parlamento si concentri ?

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Questa sua ultima domanda, signor presidente, è sicuramente molto complessa, nel senso che riguarda un insieme di questioni di grande rilievo.
  Prima di tutto, vorrei chiarire meglio che cosa si intende dire in quel passaggio relativo alle ipotesi sulla crescita: mentre le ipotesi sulla crescita dei primi due anni dell'orizzonte previsivo presentano scostamenti molto modesti rispetto ad altre previsioni, per gli anni successivi, se si considerano non soltanto le previsioni ufficiali, ad esempio, dell'Unione europea ma in generale quelle dei previsori, queste ipotesi rivelano una crescita superiore. Esse, però, scontano previsioni su alcune condizioni esterne che sono migliori di quelle che generalmente vengono previste.
  Un aspetto importante – che credo di aver menzionato anche nell'audizione svolta in autunno sul precedente documento programmatico – è quello delle attese relative ai tassi d'interesse e agli spread. Le attese relative ai tassi di interesse ipotizzati nel DEF sono inferiori a quelle che lei può rilevare, ad esempio, analizzando le attese del mercato.
  Il tasso di interesse a lungo termine è atteso intorno al 3,5 per cento: di per sé, se confronta questo numero con i tassi d'interesse che prevalgono attualmente, non è un numero particolarmente basso; tuttavia, esso sconta un incremento nel corso del tempo – queste, almeno, sono le attese dei mercati sui tassi di interesse – e un calo ulteriore e cospicuo dello spread dei tassi di interesse italiani rispetto al benchmark tedesco.
  Quello che noi diciamo è che questo è diverso da ciò che i mercati in questo momento si attendono. Non stiamo dicendo che sia una cosa impossibile, ma che per la sua realizzazione occorre che si rafforzi ancora la fiducia degli investitori. Abbiamo scritto «interni ed esteri» perché naturalmente gli investitori esteri contano molto, ma contano anche gli investitori interni; in un mercato globale entrambe le componenti sono difatti essenziali.

  PRESIDENTE. La ringrazio per aver precisato questo passaggio, che ritengo delicato. Essendo stato differito il pareggio di bilancio al 2016 ed essendo stato quello il momento sul quale avete fatto questa vostra fotografia, era fondamentale chiarirlo.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Più in generale, lei ha fatto cenno a quello che è avvenuto negli ultimi tempi. Certamente c’è stato un forte allentamento delle tensioni nei mercati finanziari, anche con riferimento, se parliamo specificamente di questo, ai titoli sovrani. Nel testo che vi è stato consegnato e che ho illustrato sono stati indicati tre fattori.
  Il primo è la chiara posizione della politica monetaria, che ha dissipato qualsiasi dubbio che i mercati potessero avere sulla disgregazione dell'area dell'euro; una simile idea è uscita dalle possibilità contemplate dai mercati.
  Il secondo è il consolidamento della finanza pubblica, che riguarda naturalmente il nostro Paese ma non soltanto il nostro Paese. Se andate a guardare quello che accade sui mercati, tutti gli andamenti sono interconnessi; in questo senso, c’è un interesse comune dei Paesi membri dell'Unione europea affinché il risanamento proceda in maniera soddisfacente dappertutto. Certamente c’è stata un'azione nel nostro Paese, ma ce ne sono state anche in altri Paesi.
  Il terzo fattore, più volatile per sua stessa natura, deriva dal muoversi di capitali che avevano puntato molto sui mercati emergenti negli anni passati e che, di fronte al rallentamento della crescita in alcune delle maggiori economie emergenti, ai rischi che vengono percepiti, a torto o ragione, in alcuni di questi Paesi, alle complicazioni geopolitiche che continuamente si verificano, per un motivo o per l'altro, e che naturalmente oggi hanno un Pag. 33nome preciso e ieri potevano averne un altro, di fronte a tutto questo sono andati alla ricerca di investimenti che offrissero un rendimento adeguato e minori incertezze.
  C’è stato quindi un forte spostamento dei flussi internazionali – includendo nel termine «internazionali» gli investitori interni e quelli esteri – nei confronti dell'Europa, in particolare di alcuni suoi Paesi. La rapida discesa degli spread dall'autunno a oggi, di circa 80 punti base, certamente è stata in parte determinata e favorita anche da questo.
  Questi sono tre elementi che hanno riguardato – e ciò forse oggi è la cosa che interessa di più – il debito pubblico, però si riferiscono anche al mercato dei finanziamenti privati, quindi hanno un effetto altrettanto benefico anche su quello.
  Mantenere la fiducia dei mercati è importantissimo, tenendo conto anche della volatilità di alcune di queste componenti.
  Signor presidente, in merito all'altra domanda che mi ha rivolto chiederò al dottor Gaiotti di fare qualche precisazione sulle misure strutturali e sui ritardi di attuazione. Mi limito a sottolineare un concetto che ho già riferito: le riforme non basta vararle, bisogna attuarle. Per attuarle – al di là delle migliori intenzioni e della buona confezione dei provvedimenti – è importante che le misure nascano in forme che ne rendano più semplice l'attuazione. Misure che richiedano complessi provvedimenti di attuazione, ad esempio decreti ministeriali o altri provvedimenti di tipo normativo, complessi adempimenti da parte delle amministrazioni o iter burocratici più o meno complicati da parte dei fruitori di agevolazioni o di benefici comunque previsti, sono interventi per loro natura più lunghi e più incerti nella loro attuazione pratica. Interventi di tipo automatico sono per loro natura più facilmente applicabili.
  Questo è un elemento che sottopongo alla vostra attenzione come uno degli elementi che devono essere presi in considerazione nel giudicare l'efficacia e l'opportunità dei provvedimenti.
  Sulla questione del credit crunch, credo che la domanda riguardasse un punto su cui noi abbiamo insistito spesso, quello del rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese. Ho accennato brevemente, nel testo che ho presentato, al fatto che la struttura finanziaria delle imprese è molto sbilanciata verso il credito bancario, come è il caso delle imprese italiane. Questo è un problema, ma non perché io voglia affermare che in astratto il credito bancario è cattivo e il finanziamento di mercato è buono: sono due tipi di finanziamento, due forme di funding delle imprese entrambe importanti e complementari, con funzioni in parte diverse.
  Tuttavia, un'eccessiva dipendenza da una sola delle fonti – credito bancario, finanziamenti di mercato con capitale di debito e finanziamenti con capitale proprio – da un lato espone le imprese a una maggiore fragilità in caso di crisi, specialmente nei casi in cui la crisi abbia il suo epicentro nel sistema bancario e quindi renda più disagevoli le condizioni di accesso al credito; dall'altro, non è particolarmente adatta all'attività innovativa, nel senso che questa, per sua natura, per il fatto di promettere potenzialmente risultati economici molto favorevoli ma anche connotati da grande incertezza, preferisce altri tipi di finanziamento, come capitale proprio – ed è importante che l'imprenditore lo metta nell'impresa per far vedere che ci crede – e capitale di tipo specializzato, per esempio venture capital o altre forme di capitale finalizzato.
  Credo che il DEF prenda in considerazione questi aspetti e contempli una serie di provvedimenti, tra i quali mi sono permesso di commentare quello relativo all'ACE che, come sapete, è un sistema che incentiva l'incremento del capitale proprio, sul quale a nostro giudizio l'incremento del tasso di riferimento è stato opportuno e sarebbe forse utile che fosse reso permanente.
  Per quanto riguarda la bad bank, che pure è stata menzionata, preferirei fare rinvio a quello che è già stato detto dal Governatore della Banca d'Italia in un paio di occasioni, innanzitutto osservando Pag. 34che in presenza di una forte incidenza sui bilanci delle banche dei crediti dubbi, il modo di gestire questi crediti dubbi è estremamente importante per molti motivi, di pulizia di bilancio, di fiducia degli investitori e anche di efficiente gestione dei crediti dubbi.
  Abbiamo salutato con favore le iniziative che sono state avviate da parte di numerose banche in una direzione di questo genere. Non vedremmo male anche iniziative di portata più generale, ma su questo non mi sento di aggiungere altro.
  Quanto agli interventi per favorire la soluzione delle crisi d'impresa, è stato menzionato dall'onorevole Mazziotti la riluttanza delle banche a svalutare le posizioni. È un leitmotiv della vigilanza della Banca d'Italia la necessità che le banche prendano atto realisticamente, nei loro bilanci, degli effettivi accantonamenti necessari. Noi lo vediamo soprattutto dal lato della prudenza delle banche, del fatto che le banche debbano accantonare sufficienti fondi per essere il più possibile corazzate e resistenti rispetto alle gravi, obiettive difficoltà che il sistema bancario ha affrontato anche negli ultimi anni. Certo, facilita anche la bad bank, ad esempio, perché facilita anche il trasferimento di crediti dubbi quando le svalutazioni siano realistiche e facilita anche, come osservava l'onorevole Mazziotti, la soluzione di crisi d'impresa quando la situazione lo richiede.
  Si potrebbe naturalmente espandere molto il discorso su questa questione, ma il tempo stringe e non riuscirei a dare risposta a tutte le altre domande; tuttavia, se ci sono ulteriori domande su questo punto sono lieto di andare avanti.
  L'onorevole Marcon chiede per chi debba considerarsi più vantaggiosa la nuova disciplina sull'apprendistato. Chiaramente si intende in questo caso che viene resa più vantaggiosa per le imprese, nel senso che viene resa più vantaggiosa la decisione delle imprese di assumere persone tramite contratti di apprendistato. Sperabilmente abbiamo toccato l'anno scorso il fondo dell'andamento ciclico; ci sono segnali di ripresa, che all'inizio sono stati soltanto qualitativi, mentre ora si comincia a vedere anche qualche segnale quantitativo, però molto debole. Una delle cose che risulta chiara è che ancora la ripresa non si è in alcun modo riflessa sull'andamento del mercato del lavoro. La disoccupazione ha continuato ad aumentare e – forse questo è l'aspetto più importante – l'occupazione non è aumentata.
  Questo è in qualche misura naturale, nel senso che l'occupazione tende comunque a reagire con un certo ritardo all'andamento del ciclo economico. In questo momento, però, sono opportuni provvedimenti che accelerino la risposta delle imprese alla ripresa economica. È uno dei problemi più importanti, perché la disoccupazione effettivamente è una grandezza rispetto alla quale non si mostra ancora alcun segnale positivo.
  Da questo punto di vista, provvedimenti che agevolino in qualche forma l'assunzione sono da salutare positivamente. Bisogna far sì che gli interventi che il Governo prevede nei vari campi – quelli relativi all'apprendistato e ai contratti a termine, come quelli relativi al contratto a tutele crescenti ed altri che non posso adesso menzionare perché sarebbe troppo lungo, ma che costituiscono un sistema che deve essere visto in modo unitario – siano coerenti ed orientati in modo tale che nel lungo termine puntino a rapporti tra lavoratori e impresa il più possibile stabili. Questi sono i provvedimenti che sono stati adottati con maggiore urgenza.
  Sul settore dell'edilizia, non posso che convenire che certamente è un settore in grave difficoltà. Devo dire che, al di là dei casi singoli su cui non saprei rispondere, guardando i numeri il credit crunch, o in maniera più tecnica le condizioni di offerta del credito, razionamento o altro, da parte delle banche, ossia le restrizioni dal lato dell'offerta nel credito, sono state in generale più forti per le imprese piuttosto che per le famiglie. Bisogna anche dire che ciò ha avuto varie cause, che sono state all'inizio anche di carattere di liquidità, che però nel frattempo sono state completamente superate.Pag. 35
  Oggi naturalmente la selettività delle banche dipende dall'enorme aumento dei crediti dubbi che si sono registrati in tutti i settori. Mi sembra che i dati, sia dal lato delle banche sia dal lato delle imprese, indichino un progressivo allentamento di queste restrizioni dal lato dell'offerta. È un fenomeno che va avanti ormai da un po’ di tempo, non è un fenomeno degli ultimissimi mesi.
  Bisogna anche dire che il credito continua a diminuire, anche naturalmente per effetto della domanda scarsa. È sempre molto difficile fare una distinzione completa fra questi due fattori. Tuttavia, c’è da sperare che il progressivo miglioramento della situazione congiunturale – quei primi segnali di recupero della domanda interna e, in particolare, gli investimenti che si vedono – contribuisca nel corso del tempo ad allentare queste tensioni. Certamente è uno dei problemi che noi vediamo con maggiore preoccupazione.
  Sulla questione sollevata dall'onorevole Marchi relativa al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, come è stato ricordato una delle poche o pochissime stime sullo stock di questi debiti era quella che noi abbiamo diffuso sulla base, lo ricordo, di indagini sulle imprese, sulla base di un campione che non era fatto per quello, quindi con criteri statistici che riteniamo corretti ma certamente soggetti ad ampi margini di incertezza.
  Riguardo a questi 90 miliardi di euro di cui avevamo parlato tempo fa come stock di crediti esistenti al 31 dicembre 2012, bisogna fare chiarezza. In primo luogo, la somma non riguarda necessariamente solo debiti scaduti, nel senso che le imprese ci dicevano che avevano un numero di miliardi compatibile con una cifra macroeconomica di 90 miliardi, con tempi di ritardo medi di circa 190 giorni. Tuttavia, siccome le stesse imprese ci dicevano che 90 giorni era il ritardo medio contrattuale, naturalmente una parte significativa di questi 90 miliardi non si poteva comprendere nella categoria dei debiti scaduti.
  Bisogna anche dire che queste stime sono basate su dichiarazioni delle imprese, quindi non sono necessariamente debiti della pubblica amministrazione fatturati e certificati secondo i criteri che sappiamo. Devo dire che in questo campo abbiamo supplito a una carenza di informazione che dovrebbe in realtà provenire da fonti più dirette, di cui tra l'altro nel DEF e in altre sedi si parla, quali la fatturazione elettronica e altre forme di monitoraggio più puntuale, completo e tempestivo dei debiti che forniranno un'indagine più aggiornata e soprattutto consentiranno di adempiere a quella norma europea che impone un pagamento entro determinate scadenze – sessanta o trenta giorni a seconda dei casi –, rispetto alle quali sicuramente la pubblica amministrazione italiana era – e temo in grande parte ancora sia – inadempiente.
  All'onorevole Marchi, che chiedeva se abbiamo informazioni aggiornate, rispondo che le avremo tra poco. La stessa indagine che facciamo ogni anno la pubblicheremo nella relazione di maggio; stiamo ancora ricevendo i dati, quindi non sono in grado di dare alcuna anticipazione. Perlomeno, il confronto tra i dati dell'anno scorso e quelli di quest'anno potrà consentire di fare qualche considerazione.
  Il senatore Santini ha sollevato la questione degli spazi di flessibilità rispetto alle regole europee. Tali regole prevedono alcuni spazi di flessibilità; sono regole molto complesse, che sono custodite, sul piano tecnico-gestionale, dalla Commissione europea, che ha elaborato un sistema molto tecnico di valutazione.
  Il Governo ha ritenuto che sussistano una serie di condizioni che consentono l'invocazione di quelle clausole di flessibilità e l'ha sostenuto con argomenti che non sono certo privi di una loro plausibilità e che dovranno essere difesi di fronte alla Commissione europea. La procedura prevista in questi casi sarà attuata. A mio avviso, perché vada avanti in modo positivo questa procedura è importante che il programma di riforme che si ha in mente sia ben chiaro, ben definito nei tempi, negli effetti, nei costi e che sia ben percepito dalla Commissione medesima – e, più in generale, dall'Unione europea e Pag. 36dalla sua opinione pubblica – il commitment del Governo, del Parlamento e dei decisori italiani rispetto alla questione di fondo che ricordavo in conclusione del mio intervento, cioè la necessità di assicurare comunque, nel medio termine, l'equilibrio della finanza pubblica. Pregherei il dottor Gaiotti di completare l'intervento sulla domanda posta dal presidente.

  EUGENIO GAIOTTI, direttore principale del servizio struttura economica della Banca d'Italia. Se ben comprendo, il presidente chiedeva informazioni circa i ritardi nelle riforme che hanno fatto rivedere al ribasso le previsioni di crescita.
  Innanzitutto, consentitemi una precisazione importante: quello che si riporta in questa parte dell'audizione è quello che troviamo nel DEF. Sono le previsioni del DEF che sono state riviste al ribasso. La ragione che riporta il Governo è esattamente che il processo di attuazione delle riforme del 2012 è tuttora in corso e numerosi decreti applicativi devono essere ancora adottati.
  Non c’è un peggioramento del quadro previsivo di altre istituzioni e del nostro in particolare. Nell'audizione sulla legge di stabilità avevamo detto che trovavamo marginalmente ottimistico il quadro del Governo, che adesso è stato rivisto. Questa è la risposta generale.
  Forse un'argomentazione generale che introdurrei è che in genere è prudente evitare eccessivo ottimismo sull'inserimento nei quadri previsivi di effetti di breve periodo di riforme strutturali. Sappiamo che una serie di riforme strutturali – quelle di cui stiamo parlando sono quelle relative al mercato del lavoro e di liberalizzazione e semplificazione – hanno effetti nel medio periodo, ma la tempistica è molto incerta. Per questo di solito non le inseriamo nel nostro quadro.
  Credo che il punto fondamentale sia che, per avere effetti più rapidi e di breve periodo, le riforme devono poter anche agire sullo stato della fiducia di famiglie e imprese. Fino all'anno scorso obiettivamente ciò non si è verificato, se teniamo in considerazione gli indici di fiducia e le indicazioni di mercato. Quindi, questo è mancato.
  Cominciamo a vedere qualcosa di più favorevole, se guardiamo ai dati degli ultimi mesi. Non sappiamo ancora se è un miglioramento stabile, ma certamente va reso stabile con politiche appropriate. Richiamerei quello che anche il Governatore Visco ripete frequentemente circa l'importanza di presentare un disegno coerente di lungo periodo del progetto di riforma, che sia in grado di influenzare le aspettative di famiglie e imprese. Questa è la chiave per andare al di là degli effetti dei provvedimenti strettamente derivati dai modelli macroeconomici che non sono elevatissimi.

  PRESIDENTE. Un ultimissimo telegramma: ho letto bene che ritenete i risparmi derivanti dalla spending review sul 2015 insufficienti oppure si tratta di un passaggio non chiaro ?
  Mi interessa il ragionamento della Banca d'Italia sui risparmi relativi al 2015 rispetto a quelli che saranno conseguiti negli altri anni.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vice direttore generale della Banca d'Italia. Innanzitutto devo fare una precisazione a questo proposito, sottolineando che non siamo del tutto sicuri, dalla lettura del DEF, se i risparmi ipotizzati con la spending review siano risparmi inclusivi ovvero aggiuntivi rispetto a quelli già previsti nel quadro tendenziale.

  PRESIDENTE. Scusi se la interrompo. Stiamo lavorando in maniche di camicia perché è un dibattito che abbiamo già svolto ieri con Cottarelli. Non so se il relatore Misiani vuole aggiungere qualcosa.
  Secondo quanto è stato detto ieri alle Commissioni nel corso dell'audizione del commissario Cottarelli, si tratta di risparmi inclusi.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vice direttore generale della Banca d'Italia. Sulla base dell'indicazione letterale di ciò che è Pag. 37scritto nel DEF, noi li abbiamo interpretati come aggiuntivi. Tuttavia, detto questo, riprendo la frase che veniva richiamata prima, secondo cui nel complesso l'analisi delle stime tendenziali suggerisce che nel 2015 i risparmi di spesa indicati come valore massimo ottenibile dalla spending review non sarebbero sufficienti da soli a conseguire gli obiettivi programmatici qualora dovessero finanziare lo sgravio dell'Irpef, per evitare l'aumento delle entrate che ho appena menzionato, ossia quello previsto dalla clausola di salvaguardia inserita nella legge di stabilità per il 2014, e dare copertura agli esborsi connessi con i programmi esistenti non inclusi a legislazione vigente.
  Questa espressione, un pochino più gergale, si riferisce alla distinzione tra andamento tendenziale a legislazione vigente e andamento tendenziale a politiche invariate. La differenza per il 2015 è di 6 miliardi di euro e, se dovessero coprire queste tre azioni, non sarebbero sufficienti. Ciò a maggior ragione se i risparmi indicati fossero non aggiuntivi ma inclusivi. Consentitemi però di dire che, al di là di queste discussioni definitorie, la cosa importante è che questi risparmi vengano realizzati, poiché sono un obiettivo su cui il Governo punta molto e su cui il commissario Cottarelli profonde un impegno fortissimo.
  I numeri possono essere scritti in un modo o nell'altro, ma quello che poi conterà saranno le decisioni che alla fine il commissario, il Governo, il Parlamento, nella misura sicuramente non irrilevante in cui saranno coinvolti, realizzeranno.

  PRESIDENTE. Ringrazio la delegazione della Banca d'Italia e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Corte dei conti.
  Do ora la parola al presidente della Corte dei conti, Raffaele Squitieri.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente, buongiorno a tutti e buon lavoro. È stato consegnato il testo del nostro intervento, che è già in distribuzione.
  Nell'ormai lunga consuetudine di audizioni rese al Parlamento sui documenti programmatici di bilancio, la Corte ha avuto modo di esprimere molto frequentemente valutazioni critiche con riguardo a due aspetti centrali. In primo luogo, la tendenza a presentare nei documenti governativi quadri macroeconomici e di finanza pubblica fondati su ipotesi tendenzialmente troppo favorevoli e dunque di difficile realizzabilità; più volte le perplessità sollevate dalla Corte trovavano sostegno nel confronto tra le previsioni governative e gli scenari più severi proposti dagli organismi internazionali e degli istituti indipendenti. In secondo luogo, la mancanza di una integrazione effettiva tra l'azione di equilibrio dei conti pubblici e il ruolo assegnato agli interventi strutturali di riforma, non certo garantita dalla presentazione congiunta del Programma di stabilità, che costituisce la prima sezione del DEF, e del Programma nazionale di riforma, che costituisce la seconda sezione del DEF.
  Il DEF all'esame propone, al riguardo, elementi di novità che la Corte, nell'esposizione che segue, ha ritenuto di valutare, evidenziando sia l'apprezzamento per i significativi progressi dell'impianto generale del documento sia alcune osservazioni puntuali su aspetti specifici. Si tratta di osservazioni e perplessità in larga misura derivanti dai numerosi elementi di incertezza che, come si dirà, caratterizzano tanto il contesto internazionale che il quadro interno.
  Con riguardo ai rischi e alle opportunità del quadro macroeconomico internazionale, Pag. 38va segnalato che la presentazione al Parlamento del DEF 2014 interviene in una fase internazionale di difficile lettura. Nel primo trimestre del 2014 i segnali di ripresa dell'economia mondiale si stanno consolidando, ma in modo non uniforme nelle diverse aree.
  Il quadro macroeconomico del DEF punta molto sul sostegno che all'Italia deriverebbe dallo scenario economico internazionale. A fronte del rafforzamento della crescita mondiale, quella europea registra un'accelerazione molto più contenuta, portandosi su un trend intorno al 2 per cento all'anno.
  Sul fronte dei tassi di interesse, le ipotesi del DEF assumono livelli molto bassi per tutto il periodo di programmazione. I tassi europei a breve termine salirebbero sopra il 2 per cento solo nel 2018, quelli a lungo termine resterebbero intorno al 3,5 per cento.
  Allo stato attuale, il quadro internazionale è però particolarmente instabile. Coesistono, infatti, fattori che potrebbero condurre a un'evoluzione più favorevole, ma anche elementi di rischio di cui è ancora difficile cogliere il rilievo effettivo. Tra i primi, va ricompresa l'evoluzione dello scenario dal lato dei prezzi delle materie prime, che si sta modificando in maniera sostanziale grazie all'incremento dell'offerta di petrolio e di gas in nord America, legato alle estrazioni di shale gas e shale oil.
  Il forte incremento della posizione osservato nel corso degli ultimi due anni è stato compensato da una riduzione dell'offerta dei Paesi OPEC e dell'Arabia Saudita in particolare. Le quotazioni si sono quindi stabilizzate e il DEF assume un'ipotesi di prezzo del petrolio poco sotto i 100 dollari al barile per tutto il periodo delle previsioni, ma a fronte di una riduzione dei volumi estratti e dei prezzi dei Paesi produttori.
  Se le quotazioni dovessero evidenziare nuove riduzioni – non si può escludere che alcuni Paesi tentino di incrementare la produzione generando un rapido eccesso di offerta, che si tradurrebbe, a sua volta, in un'ulteriore caduta delle quotazioni – si potrebbe produrre un'accelerazione della crescita internazionale.
  Un secondo elemento positivo per l'area euro può derivare dalla recente apertura della BCE alle misure di quantitative easing, attraverso acquisti sul mercato dei titoli emessi da soggetti privati per un ammontare considerevole. Per ora non sono noti i dettagli della misura. L'eventualità di un intervento di questo tipo, ispirato all'obiettivo di prevenire rischi di deflazione dell'economia, va ricollegata anche agli effetti positivi sul sistema bancario e potrebbe determinare anche condizioni favorevoli al finanziamento del debito pubblico.
  Per i Paesi periferici ne deriverebbe il doppio effetto di un basso livello dei tassi d'interesse di riferimento, quelli sui bund tedeschi, cui si potrebbe sovrapporre una riduzione degli spread. Per l'Italia ne deriverebbero effetti positivi sui conti pubblici, riducendo l'ammontare della spesa per interesse. L'aumento dell'offerta di moneta potrebbe anche favorire un graduale indebolimento dell'euro rispetto alle maggiori valute internazionali.
  I rischi dello scenario esterno vanno invece ricondotti in buona misura al mutamento di regime in senso restrittivo della politica monetaria americana. Ai primi segnali i mercati hanno reagito con una fuga di capitali dai Paesi, quelli emergenti, che più avevano beneficiato negli anni scorsi del quantitative easing della Federal Reserve.
  Il deprezzamento di diverse valute è stato contrastato dalle banche centrali di quei Paesi attraverso aumenti dei tassi di interesse che hanno determinato un rapido deterioramento delle prospettive di crescita. Non è ancora agevole quantificare gli effetti sul commercio internazionale derivanti dalla bassa domanda interna e dalle svalutazioni di quei Paesi.
  Il rischio è che si produca una sorta di effetto domino per cui altri Paesi, sottoposti alla pressione competitiva da parte dei Paesi che hanno svalutato, possano anch'essi lasciare scivolare il tasso di cambio. Pag. 39È, in sostanza, la tesi di un progressivo inasprimento delle guerre valutarie.
  Recentemente alcune spinte al ribasso hanno iniziato a emergere anche con riferimento alla valuta cinese, che negli anni scorsi si era mossa solamente al rialzo. Se la reazione dei mercati in risposta al mutamento della politica monetaria USA ha per ora colpito essenzialmente i Paesi emergenti, non si deve escludere che nei prossimi mesi le tensioni si estendano man mano che la FED procederà nella propria politica.
  Potrebbero risultarne penalizzati i Paesi e i mercati borsistici della periferia europea che finora hanno beneficiato degli afflussi di capitali provenienti dai Paesi emergenti. In effetti, nei mesi scorsi il quadro finanziario è risultato molto favorevole per i Paesi europei più in difficoltà, considerando che i capitali in fuga dai Paesi emergenti hanno trovato in queste economie rendimenti interessanti rispetto alle borse e alle obbligazioni delle principali economie.
  Si tratta, però, di un quadro suscettibile di rapidi mutamenti e non a caso la BCE ha anticipato la possibilità di avviare una fase guidata dall'utilizzo di strumenti non convenzionali, nonostante i segnali di ripresa provenienti dal quadro congiunturale.
  Infine, le conseguenze sulla congiuntura europea del nuovo scenario valutario possono passare anche attraverso un profilo più sfavorevole per le esportazioni. Vi è il rischio che le esportazioni dei Paesi europei, e quindi anche dell'Italia, siano penalizzate sia per effetto diretto della riduzione della domanda dei Paesi emergenti sia per quello indiretto legato alla maggiore pressione competitiva che questi stessi Paesi eserciteranno nei prossimi mesi, guadagnando quote sui nostri mercati e su quello americano.
  In conclusione, nella costruzione del quadro economico internazionale il DEF assume, come principali variabili esogene, valori puntuali di per sé realistici, ma che congiuntamente definiscono uno scenario molto favorevole.
  L'economia mondiale si rafforza quanto basta per sostenere la crescita delle esportazioni, ma l'area dell'euro non accelera abbastanza da sollecitare i tassi di interesse, che restano quindi su livelli bassissimi. Di fatto dall'esterno importiamo contemporaneamente domanda, condizioni distese dal lato dei costi e allentamento monetario: una combinazione ottimale ma della quale, proprio per questo, non è certa la permanenza nel tempo.
  Inoltre, si deve considerare che l'Italia, secondo il DEF, registrerebbe un'accelerazione della crescita in grado di chiudere completamente il ritardo rispetto ai partner europei, la cui relativa debolezza appare una condizione per assicurare all'Italia tassi d'interesse bassissimi.
  In altri termini, il quadro del DEF, che prospetta un'economia internazionale in ripresa e un prezzo del petrolio che non risale, sarebbe più coerente con un'ipotesi di maggior crescita anche in Europa e, di conseguenza, con un livello dei tassi di interesse più elevato soprattutto nel periodo 2017-2018.
  Con riguardo al percorso programmatico 2014-2018, dopo due anni di profonda recessione, la politica del bilancio pubblico torna a essere gestita nel quadro di un progressivo rafforzamento della crescita. Tuttavia, come già rilevato dalla Corte in occasione dell'audizione sulla legge di stabilità, il passaggio a più favorevoli condizioni del ciclo economico non comporta un allentamento del vincolo di bilancio: il rispetto degli obiettivi europei e del dettato costituzionale richiede, al contrario, un ancora più stringente controllo sui saldi di finanza pubblica.
  I miglioramenti che automaticamente vengono trasmessi ai saldi da una crescita più robusta, da un recupero dei redditi e dal venir meno di esigenze emergenziali dal lato della spesa non appaiono, infatti, sufficienti ad assicurare il profilo richiesto dal partner europeo. Il ritorno alla crescita allevia, ma non elimina, lo sforzo fiscale.
  Nel dettaglio, i termini del nuovo Patto di stabilità e crescita, recepiti in Costituzione Pag. 40attraverso la legge n. 243 del 2012, non si limitano a ribadire la necessità di mantenere l'indebitamento nominale all'interno della soglia del 3 per cento; viene anche richiesto il diminuire del valore del deficit strutturale, obiettivo di medio termine, ossia di quella componente del saldo non influenzata dal ciclo economico per un ammontare di 0,5 punti annui e fino al suo completo annullamento.
  Le cifre indicate nel DEF danno puntuale rappresentazione dell'accresciuta esigenza del vincolo di finanza pubblica. Nella quantificazione tendenziale l'indebitamento nominale in quota di prodotto è previsto in continua riduzione con un livello che quasi si azzererebbe a fine periodo, dal 3 per cento del 2013, al 2,6 per cento di quest'anno e fino allo 0,3 per cento del 2018.
  Con riguardo all'indebitamento tendenziale e all'indebitamento programmatico nella prospettiva storica, è da osservare che già in assenza di interventi sarebbe quindi possibile riassorbire definitivamente il deterioramento del saldo di bilancio registrato durante la crisi, andando anche oltre i risultati di minimo storico raggiunti nel 2000.
  Si tratta, tuttavia, di risultati non ancora conformi al nuovo quadro delle regole europee, in quanto non sufficienti ad annullare la componente strutturale dell'indebitamento. Per questo il Governo delinea un percorso programmatico che incorpora una correzione ulteriore, il cui ammontare è quantificato in tre decimi di punto nel 2015 e in sei decimi di punto nel restante periodo di programmazione, al termine del quale il saldo di bilancio registrerebbe un avanzo: una correzione coerente con i nuovi vincoli, ma mai verificatasi negli ultimi cinquant'anni.
  Alla riduzione tendenziale del saldo nominale e al rigore del percorso programmatico indicato a partire dal 2015, il Governo contrappone un'esplicita richiesta di deroga dal percorso di rientro del deficit strutturale. Si tratta di una deroga limitata al 2014 e, quindi, di carattere meramente temporaneo.
  Secondo le valutazioni presentate nel DEF, nel 2013 il disavanzo strutturale del nostro Paese sarebbe, infatti, risultato pari allo 0,8 per cento del PIL. Il percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine richiederebbe, dunque, una riduzione di questo saldo dello 0,3 per cento alla fine dell'anno in corso e il suo azzeramento a partire dal 2015. All'interno di questo percorso di severa disciplina fiscale, i regolamenti europei e la legge costituzionale ammettono momentanei allentamenti in presenza di eventi eccezionali che determinino un effetto rilevante sulla situazione delle finanze pubbliche.
  Nel DEF il Governo ritiene che tali eventi eccezionali si siano concretizzati con la profonda recessione del 2012-2013, nel corso della quale il vuoto di prodotto ha raggiunto dimensioni ben superiori a quelle compatibili con normali oscillazioni del ciclo economico. Si tratta di una situazione avversa che si protrarrebbe anche nel 2014. Solo nel 2015 la nostra economia rientrerebbe nel limite rappresentativo di normali condizioni recessive.
  La richiesta di derogare dal percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine fino al prossimo anno non sembra, dunque, inconciliabile con le indicazioni europee. Tuttavia non può non ricordarsi come, quasi sempre in passato, l'allargamento dei disavanzi pubblici rispetto agli obiettivi si sia rivelato più persistente di quanto originariamente ipotizzato.
  È necessario altresì sottolineare che è proprio nelle fasi di espansione ciclica che occorre procedere a un profondo aggiustamento strutturale di finanza pubblica, anche al fine di recuperare margini per le politiche istituzionali espansive, capaci di contrastare le inevitabili fasi negative del ciclo. Si veda il riquadro «Il DEF e il nuovo articolo 81 della Costituzione».
  La scelta di posticipare al prossimo anno misure di natura correttiva può comunque essere apprezzata per un ulteriore motivo, rispetto al quale la Corte ha in più occasioni richiamato l'attenzione del Parlamento. Gli obiettivi di stabilizzazione Pag. 41della finanza pubblica devono essere perseguiti senza compromettere le prospettive di sviluppo del Paese.
  Il cortocircuito fra rigore e crescita ha senza dubbio contribuito ad approfondire oltre misura nella nostra economia le dimensioni del vuoto di prodotto, output gap, un parametro decisivo, tra l'altro, proprio al fine di ripristinare un permanente equilibrio strutturale dei saldi di bilancio.
  Con il DEF 2014 il Governo appare intenzionato a rafforzare e ad accelerare l'impegno per il rilancio dell'economia italiana, a cui sono dedicate misure aggiuntive rispetto a quelle già adottate dai precedenti esecutivi. Significativa, al riguardo, è la decisione di assimilare gli annunciati interventi di riduzione del carico fiscale e di implementazione della revisione della spesa a riforme di natura strutturale.
  Assumere l'impegno di una permanente riduzione delle imposte e della spesa comporta l'azione di ridefinizione del perimetro di operatività del settore pubblico, con scelte impegnative in termini di reimmissione di attività sul mercato. È un esito che la Corte da molto tempo considera un inevitabile portato della crisi che ha colpito la nostra economia.
  Se utilizzata per mettere a punto adeguate strategie di rilancio della crescita e di riorganizzazione dell'intervento pubblico, la deroga richiesta per il 2014 potrà rivelarsi non già come un allentamento della disciplina di bilancio, quanto come lo strumento teso a consolidare, già a partire dal 2015, il riequilibrio strutturale dei saldi di finanza pubblica.
  Su questo scambio si gioca la strategia di politica economica proposta al Parlamento dall'Esecutivo, nella consapevolezza che le condizioni di contesto appaiono oggi le più favorevoli dall'avvio della crisi per il recupero congiunturale che ha già preso avvio nella seconda parte dell'anno passato, per il basso livello dei tassi d'interesse, per la fiducia che gli investitori stranieri tornano a manifestare nei confronti del nostro Paese, per le indicazioni di un prolungamento nella fase espansiva della politica monetaria.
  Vi sono, cioè, dei fattori esterni che, se colti e condivisi, potrebbero finalmente favorire una riaccelerazione dei saggi di crescita della nostra economia e, al tempo stesso, ripristinare la compatibilità fra obiettivi di sviluppo e di stabilizzazione del bilancio pubblico.
  Quanto al confronto con le previsioni di consenso, a rafforzare tale giudizio, che riflette la convinzione di essere di fronte a una strada obbligata, possono essere riportati molto sinteticamente i risultati di un confronto tra le stime del DEF e le elaborazioni condotte dalla Corte sulle prospettive della finanza pubblica nel più generale quadro macroeconomico internazionale e interno.
  Si tratta di un contributo analitico, per il quale la Corte può contare sullo stabile supporto, nelle forme di consenso, dei principali istituti indipendenti di ricerca e di previsione (CER, Prometeia e Ref). Nel predisporre, d'intesa con la Corte, un autonomo scenario di proiezioni economico-finanziarie sull'arco temporale assunto dal DEF 2014, il consenso perviene a risultati che, pur non indicando a differenza del passato scostamenti rilevanti dal quadro di riferimento del DEF, delineano la presenza di rischi al ribasso.
  L'inizio del 2014 si caratterizza per un andamento favorevole degli indicatori del clima di fiducia di famiglie e di imprese e per modesti cenni di recupero della produzione, ma la ripresa continua ad avere ritmi inferiori all'attesa. Le incertezze del quadro internazionale che più incidono sull'economia italiana, ossia le oscillazioni dei tassi di cambio e la crescente pressione competitiva proveniente da molti Paesi emergenti, attenuano gli effetti dell'intonazione positiva della congiuntura europea e della caduta dei tassi di interesse.
  A ciò si accompagna il permanere di difficoltà nel ritorno a condizioni favorevoli nell'accesso al credito. Per l'operare di questi fattori, il quadro di consenso propone pertanto scostamenti limitati, ma crescenti nel tempo rispetto a quello adottato Pag. 42dal DEF. Nel 2014 una minore capacità di penetrazione sui mercati esteri si ripercuote sulla previsione delle esportazioni, ma anche degli investimenti, che restano quasi un punto e mezzo al di sotto delle indicazioni governative.
  La più rapida ripresa del processo di accumulazione che si riscontra nello scenario del DEF è anche spiegabile con una diversa valutazione degli effetti macroeconomici dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, sui quali il consenso adotta stime più prudenti. Nel medio termine, le differenze fra previsioni indipendenti e quelle governative raggiungono il valore cumulato di 1,5 punti per il PIL e di quasi 5 punti per gli investimenti. Il passo della ripresa continuerebbe, pertanto, ad essere largamente insufficiente per riportare la nostra economia sui livelli precedenti la crisi.
  Differenze significative emergono con riguardo al quadro di finanza pubblica. L'indebitamento netto nominale sperimenta quest'anno un miglioramento, passando dal 3 per cento del PIL al 2,8 per cento, ma rimane due decimi al di sopra del dato governativo. Negli anni seguenti le differenze non si riducono. Tra i punti più critici, la Corte segnala le proiezioni delle entrate tributarie sulla base di valutazioni che già muovono dall'inatteso cedimento del 2013 ma che poi trovano supporto, ad avviso della Corte, nei riflessi sui prossimi anni di linee di intervento che, sotto questo aspetto, l'Istituto ha avuto modo di giudicare negativamente e di misurare in recenti documenti e audizioni.
  Il 2013 si è chiuso con una pressione fiscale (43,8 per cento) ridottasi di due decimi di punto rispetto al 2012, a fronte della crescita (cinque decimi di punto fino al 44,3 per cento) che era contenuta nel preconsuntivo della nota tecnica illustrativa al disegno di legge di stabilità per l'anno 2014.
  Si tratta di un risultato che riflette la misura del cedimento delle entrate tributarie, la cui flessione (meno 1 per cento) si è rivelata più che doppia rispetto a quella del PIL nominale (meno 0,4 per cento) e che pare interamente riconducibile alla forte caduta delle imposte indirette (meno 8,5 miliardi di euro a consuntivo, che diventano meno 9,4 di euro se rapportati al preconsuntivo della nota tecnica illustrativa).
  Questi esiti risentono in gran parte del protrarsi della recessione che ha investito tutte le variabili che influenzano l'andamento del prelievo, dal PIL all'occupazione, dal reddito disponibile delle famiglie ai consumi, dagli investimenti alle importazioni.
  Ma un'influenza non secondaria è da attribuire anche ai provvedimenti che si sono succeduti a ritmo incalzante nel corso dell'intero 2013. Secondo le valutazioni ufficiali, i quattordici decreti-legge che nello scorso anno hanno influito sulla dinamica del prelievo avrebbero generato un effetto netto pressoché nullo, appena 126 milioni di euro di entrate, a fronte di una movimentazione di risorse pari, fra maggiori e minori entrate, a 11,8 miliardi.
  Si tratta di previsioni operate in sede di relazione tecnica ai diversi provvedimenti che, sul fronte del maggiore gettito, potrebbero rivelarsi sovrastimate; ciò anche in relazione all'intrinseca natura delle misure adottate e alla realtà congiunturale in cui sono state destinate ad operare. È anche possibile che lo stesso sia avvenuto di fronte alla maturazione di novità normative – tipico il caso dell'aumento dell'aliquota ordinaria IVA – frutto di decisioni assunte negli anni passati.
  Si consideri, in proposito, il diverso grado di realizzabilità intrinseco agli aumenti di prelievo che hanno impattato sul 2013. Da un lato, vi sono le imposte indirette, in cui confluiscono provvedimenti contraddistinti, quanto a idoneità a produrre maggior gettito, da forti automatismi e solo marginalmente influenzabili dai comportamenti dei contribuenti. È quanto è avvenuto, guardando ai decreti-legge del 2013, nel caso dei ripetuti aumenti degli acconti di imposta (IRPEF, IRES, IRAP e imposta sostitutiva sugli interessi), dell'introduzione di un nuovo acconto (imposta sostitutiva sul risparmio amministrato) e dell'addizionale IRES a carico degli enti creditizi e assicurativi; Pag. 43tutte misure che anche in ragione dei tempi d'adozione, ossia la seconda metà del 2013, hanno potuto contare su imponibili in larga parte già precostituiti e su gettiti consequenziali.
  Dall'altro, vi sono le imposte indirette, destinatarie di interventi la cui resa in termini di maggiore gettito è esposta alla reazione dei contribuenti ed è soggetta alle regole che governano l'acquisizione dell'imposta da parte dell'erario. È quanto avvenuto nel caso degli aumenti delle imposte di fabbricazione sugli alcol e sugli oli minerali, come pure in occasione dell'applicazione, dal 1o ottobre 2013, del già definito aumento dell'aliquota IVA; ed è quanto probabilmente è avvenuto anche nel caso del maggior gettito IVA atteso a seguito del pagamento dei debiti arretrati delle amministrazioni pubbliche.
  Nei primi due casi, gli effetti sul gettito scontano la negativa influenza degli inasprimenti di prelievo sulle decisioni di spesa dei consumatori. Per quanto, invece, attiene all'IVA a debito generatasi a carico dei creditori saldati dalle amministrazioni pubbliche, il risultato acquisito rivela che l'imposta assolta dalle amministrazioni pubbliche si è tradotta solo parzialmente in un aumento dell'IVA versata all'erario. Al riguardo, si veda lo specifico riquadro «IVA e pagamento dei debiti arretrati delle amministrazioni pubbliche, i rischi di una copertura endogena».
  Inquadrato in tale contesto, il positivo andamento registrato nel 2013 dalle imposte dirette riflette la forza trainante dei provvedimenti adottati in corso d'anno. Si tratta di misure di anticipazione di gettito futuro capaci, nella loro straordinarietà, di controbilanciare défaillances segnate da ordinarie fonti di gettito, come ritenute sui redditi da lavoro dipendente privato e sui redditi da lavoro autonomo e autotassazione, e provocate dalla sfavorevole fase del ciclo economico. Per contro, il crollo registrato dell'imposizione indiretta riflette i fattori di crisi del sistema economico e, congiuntamente, la reattività del mercato per contenere gli effetti di inasprimento del prelievo.
  Le incertezze che circondano gli aumenti di gettito prodotti nel 2013 dai provvedimenti d'urgenza adottati nel corso dell'anno si estendono anche al biennio successivo, con un profilo del prelievo meno favorevole di quello assunto dal DEF. Operano in tal senso tre ordini di fattori. Il primo fattore è rappresentato dalla forte dipendenza delle previsioni di entrata formulate dal DEF da un quadro macroeconomico decisamente favorevole. Rispetto alle stime della previsione di consenso, il profilo della crescita disegnato dal DEF risulta costantemente più sostenuto in misura compresa tra i due decimi di punto del biennio 2014-2015 e i cinque decimi del triennio 2016-2018. Nella stessa direzione si muove il differenziale riscontrabile a proposito dei consumi delle famiglie, anche se tocca i livelli più elevati (fino a 1,1 punti) nell'ultimo triennio di programmazione.
  Il secondo fattore è stato già sottolineato dalla Corte nel documento «Le prospettive della finanza pubblica dopo la legge di stabilità», presentato al Parlamento nel mese di febbraio scorso. Il ricorso a forme di prelievo intese ad anticipare il gettito futuro – circa 3 miliardi di euro di maggiori entrate stimate per il 2013 a fronte di ripetuti aumenti della misura degli acconti d'imposta – determina una flessione dell'ordine di 2 miliardi di euro nel 2014 e di 1 miliardo di euro nel 2015.
  Tuttavia, producono effetti analoghi anche numerose misure – la più importante è costituita dalla svalutazione dei crediti di enti creditizi e assicurativi – introdotte dalla legge di stabilità 2014. Si tratta di oltre 3,6 miliardi di euro, ossia i due terzi delle maggiori entrate attese dalla legge per l'anno in corso; un importo che si ripercuoterà negativamente sul profilo del gettito futuro, in particolare su quello del biennio 2015-2016.
  Vi è, infine, un terzo fattore che stende un velo di incertezza sulla dinamica delle entrate previste dal DEF 2014 e anche in questo caso si tratta di un rapporto di dipendenza, quello che lega la crescita delle entrate attese a partire dal 2015 Pag. 44all'attuazione della misura di revisione dell'agevolazione fiscale contenuta nella legge di stabilità 2014.
  Si tratta di una partita che vale 3 miliardi di euro nel 2015, 7 miliardi di euro nel 2016, 10 miliardi di euro dal 2017 e che rappresenta tra il 26 per cento e il 62 per cento delle maggiori entrate tributarie previste dal DEF tra il 2015 e il 2018. Quest'ultima incertezza, peraltro, risulta alimentata dalle difficoltà a porre mano alla revisione delle agevolazioni sperimentate in passato: quelle più lontane, a partire dall'alternativa tra tagli selettivi e tagli lineari, solo prefigurata nel 2008; quella più recente, in cui la revisione percentuale delle detrazioni di imposta prevista dalla legge di stabilità 2014 è stata eliminata e sostituita con una parte dei proventi della spending review.
  Per le spese, nel 2013 la decelerazione è stata anche maggiore delle attese, ma si tratta di un risultato legato alla contrazione imprevista della spesa in conto capitale e a una spesa per interessi più contenuta della previsione.
  Nell'ambito della spesa corrente prosegue, invece, la flessione dei redditi da lavoro, in calo di poco meno del 5 per cento nell'ultimo triennio. Si veda, al riguardo, il riquadro «Retribuzione e riorganizzazione del pubblico impiego». L'andamento della spesa in conto capitale consolida una tendenza già in atto da diversi anni e sembra segnalare l'inefficacia delle misure contenute nel decreto di sblocco dei pagamenti arretrati delle amministrazioni pubbliche, che hanno attribuito alle amministrazioni locali spazi finanziari.
  L'insuccesso riguarda soprattutto le amministrazioni locali, per le quali nella Nota di aggiornamento del DEF si prefigurava, a seguito di tali maggiori margini esclusi dal Patto di stabilità interno, un aumento della spesa di oltre 4 miliardi di euro rispetto al 2012, pari a più 14,8 per cento. Il consuntivo 2013, invece, indica un livello di pagamenti pari a 27,7 miliardi di euro in riduzione del 4,7 per cento. Di contro, va sottolineato il minor contenimento ottenuto in termini di spesa corrente al netto della spesa sanitaria, che presenta a consuntivo una riduzione solo dell'1,2 per cento, a fronte di una flessione prevista del 4,9 per cento.
  Anche nelle previsioni del Governo la tenuta del quadro di finanza pubblica si basa sulla conferma di un profilo decrescente della spesa in conto capitale, sia a legislazione vigente che a politiche avviate, che non appare coerente con le esigenze che derivano dai diversi interventi di riforma strutturale. Va sottolineato che per il totale delle spese delle amministrazioni pubbliche le previsioni di consenso sono inferiori a quelle ufficiali in valore assoluto per il biennio 2014-2015, mentre le superano nel triennio finale dell'esercizio di previsione. In particolare, ad eccezione del 2014, la previsione di consenso della spesa primaria è superiore a quella ufficiale, con differenze che crescono anno dopo anno fino a raggiungere i 9 miliardi di euro nel 2018. La spesa per interessi, a sua volta, è nelle previsioni di consenso inferiore a quella del Governo nel triennio 2014-2016, mentre diventa significativamente più elevata nel biennio finale.
  In conclusione, siamo di fronte a una strategia che sposta l'attenzione – è bene ribadirlo – da misure correttive di breve periodo all'urgenza e alla ineludibilità di scelte coraggiose e di riforme profonde in grado di incidere sui fattori che ostacolano la crescita. Una gestione di politica economica, in altri termini, che mira a un significativo miglioramento del prodotto potenziale, ossia a quella componente dalla crescita che non dipende dal ciclo economico, nella consapevolezza che solo così sarà possibile riconciliare gli obiettivi della crescita con quelli della stabilità della finanza pubblica.
  A tal fine, il percorso di riequilibrio dei conti pubblici non dovrebbe essere valutato facendo esclusivo riferimento a regole basate su parametri altamente discrezionali, ma dalle implicazioni molto impegnative che imporrebbero manovre restrittive anche in condizioni, come quelle attuali dell'Italia, favorevoli al consolidamento Pag. 45del saldo nominale di bilancio. Al riguardo, si veda il riquadro «L'obiettivo di indebitamento strutturale».
  È opportuno anche tenere a mente che è proprio nelle fasi di espansione ciclica che occorrerebbe procedere all'aggiustamento strutturale di finanza pubblica, anche al fine di recuperare margini per le politiche discrezionali espansive, capaci di contrastare le inevitabili fasi avverse del ciclo. Proprio di recente si è sperimentato quali effetti negativi sul livello del reddito e dell'occupazione possano conseguire da un aggiustamento della finanza pubblica in una fase recessiva.
  Va, allora, assegnata la priorità a interventi che devono affrontare una crisi dalle dimensioni senza precedenti per il nostro Paese e contrastare il declino del nostro sistema produttivo, che rappresenta oggi l'emergenza nazionale sulla quale va concentrata e misurata la capacità di intervento. Si tratta di una strada impervia e ancora lunga da percorrere. Se è vero che nel 2018 rispetto ad oggi la disoccupazione potrà ridursi di 2,4 punti, i prodotti e i consumi pro capite potranno crescere rispettivamente di sei e quattro punti e gli investimenti in macchinari di 19 punti percentuali, è anche vero che nel confronto con i valori pre-crisi la disoccupazione rimarrebbe superiore di oltre quattro punti, il prodotto e i consumi pro capite inferiori rispettivamente del 5 e 6 per cento, gli investimenti in macchinari dell'11 per cento e quelli in costruzioni del 24 per cento.
  È necessario, quindi, mantenere un solido filo conduttore nella strategia complessiva di politica economica e di finanza pubblica, rafforzando l'efficacia delle riforme e degli interventi avviati e concentrando su di essi le risorse disponibili.
  Il PNR sembra muovere in questa direzione anche quando prefigura, a fronte degli squilibri macroeconomici, specifici interventi da completare e attivare. In presenza di limitati spazi finanziari, il contributo per la crescita è ricercato in un'attenta selezione delle misure in grado di incidere sulle potenzialità di sviluppo, come formazione e scuola, riattivando per questa via il potenziale produttivo e il lavoro. Tutto ciò prevedendo di portare a compimento quanto già avviato, superando ritardi di attuazione non più accettabili, concentrando i nuovi interventi su aree selezionate e procedendo con un rapido ridisegno di strutture e forme organizzative.
  Come la Corte ha più volte sottolineato, pur nella consapevolezza che sussistono ancora margini per una razionalizzazione della spesa e per il riassorbimento di inefficienze e distorsioni gestionali, il rafforzamento degli interventi per l'efficientamento delle strutture amministrative va inteso anche nel significato più impegnativo e complesso di ripensamento delle modalità di prestazione dei servizi pubblici e delle modalità di accesso, in un contesto sociale democratico profondamente mutato. Ma la revisione della spesa e il ridisegno delle strutture organizzative non devono essere solo ispirati da esigenze di copertura finanziaria. Essi devono basarsi sulla chiara strategia di governo della spesa, in cui il ridisegno sia frutto di una nitida visione circa il profilo che si intende assegnare al sistema pubblico nei prossimi decenni.
  Dare attuazione concreta a interventi in grado di riattivare la crescita con rapidità ed efficacia rappresenta una necessità immediata per offrire risposte al Paese, ed è una sfida che rischia di essere senza prove di appello. Ciò a maggior ragione se, come rilevato in precedenza e come scaturisce dal quadro di finanza pubblica di consenso, i risultati, a fronte di una crescita più lenta e di un trascinamento dal 2013 delle distorsioni evidenziate sul fronte delle entrate, si dovessero presentare meno positivi di quanto previsto dal Governo.
  Lascio agli atti anche i nostri riquadri, in cui vengono specificate tutte le considerazioni che ho espresso in questa mia breve esposizione orale e ai quali faccio rinvio per motivi di brevità.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Squitieri. Do ora la parola ai colleghi che Pag. 46intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Grazie, presidente. Presidente Squitieri, come al solito il contributo che la Corte dei conti porta a questi cicli di audizione è notevole e di ampio spettro.
  Colgo, dalla relazione che lei ci ha consegnato, una preoccupazione su previsioni troppo favorevoli che potrebbero non rivelarsi adeguate ai numeri reali, soprattutto con riguardo al lato delle entrate ma anche al lato della spesa. Vorrei poter approfondire con lei un dettaglio, a proposito di quanto da lei affermato in merito all'inefficacia delle misure contenute nel decreto di sblocco dei pagamenti arretrati delle amministrazioni pubbliche, che hanno attribuito alle amministrazioni locali spazi finanziari.
  Restando nell'ambito degli spazi finanziari e dei nostri obblighi finanziari, vorrei chiedere la sua opinione sull'imminente composizione di quel Fiscal council che ci vede impegnati nel confronto con l'Europa ad assolvere agli impegni che abbiamo assunto.

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Grazie, presidente, per la sua relazione. Prima abbiamo audito i rappresentanti della Banca d'Italia, che hanno evidenziato un problema in relazione a questo DEF, ossia che lo sgravio dell'IRPEF ai dipendenti e la riduzione dell'IRAP alle aziende probabilmente sarebbero coperti non con entrate permanenti, ma con un intervento una tantum. Vorrei conoscere il suo parere in proposito.
  Inoltre, proprio in riferimento a questo sgravio dell'IRPEF, sembrerebbe che la copertura finanziaria, prevista a valere sulle risorse derivanti dalla spending review, per il 2015 non sia sufficiente.

  ROCCO PALESE. Grazie per la relazione molto articolata e approfondita sia sugli aspetti di speranza sia sulle incertezze che questa fase determina, in particolare rispetto ai provvedimenti e ai loro effetti. Abbiamo già avuto modo di vedere quali siano stati gli effetti non conseguiti rispetto agli obiettivi previsti nel caso del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione.
  Vorrei conoscere il parere del presidente della Corte dei conti circa le coperture finanziarie degli sgravi previste a valere sulle risorse derivanti dalla spending review, della quale ormai si parla molto in numerose discussioni e conferenze stampa anche se poi tutto resta sulla carta. Pongo tale quesito in riferimento a quanto previsto nel DEF rispetto alla quantificazione, ma soprattutto rispetto alla decorrenza di queste misure. In altre parole, vorrei capire quando le misure previste partiranno, ammesso che partano, perché la decorrenza è un aspetto fondamentale rispetto alle stime di previsione di copertura. Vorrei capire se la Corte dei conti abbia approfondito questo aspetto.

  GIORGIO SANTINI. Desidero ringraziare il presidente Squitieri per l'intervento molto approfondito e chiedere un approfondimento ulteriore su un passaggio che considero cruciale. Lei sostiene che, ad avviso della Corte dei conti, l'obiettivo di allungamento del pareggio di bilancio non è inconciliabile con le indicazioni europee. Tuttavia, subito dopo, la relazione da lei svolta rileva un caveat, un'attenzione molto forte sull'allargamento dei disavanzi pubblici in fase di, sia pur modesta, espansione ciclica dell'economia. Tale relazione si conclude, infatti, con la precisazione che occorre procedere a un più profondo aggiustamento strutturale di finanza pubblica. Questo passaggio non è, a mio avviso, ininfluente e vorrei capire cosa significhi in concreto, nel senso che abbiamo di fronte un meccanismo di aggiustamento basato sulla revisione della spesa che ha anche delle quantificazioni e, se ritenete che servano interventi maggiori, sarebbe importante capire cosa intendiate in proposito.

  PRESIDENTE. Do quindi la parola al presidente della Corte dei conti, Raffaele Squitieri, per la replica.

Pag. 47

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente, darei la parola ai colleghi che hanno curato la stesura di questo documento sui singoli punti. Per quanto riguarda le osservazioni della senatrice Bonfrisco sulle questioni relative al Fiscal council, di cui ci occupiamo quotidianamente presso la Corte dei conti, sulle previsioni un po’ troppo favorevoli e sulla ricaduta delle misure introdotte per consentire i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese – domanda poi ribadita in tutti gli interventi –, darei la parola a Enrico Flaccadoro.
  Emerge, infatti, il problema delicato dei rapporti tra competenza del Fiscal council, che deve ancora diventare operativo, e competenza della Corte dei conti, perché le funzioni svolte risultano molto affini.

  ENRICO FLACCADORO, consigliere della Corte dei conti. Grazie, presidente. La domanda in questione aveva due componenti. Una prima parte riguardava l'inefficacia delle misure di accelerazione almeno per la parte delle misure che hanno concesso spazi finanziari alle amministrazioni locali.
  In precedenti audizioni, facendo riferimento al nostro monitoraggio e al monitoraggio che abbiamo anche a livello territoriale, avevamo in qualche maniera paventato che le condizioni finanziarie degli enti avrebbero ridotto la possibilità di incremento della spesa in conto capitale, come si evince dai dati forniti dall'ISTAT che hanno commentato i dati di consuntivo.
  È successo che le amministrazioni locali hanno sicuramente utilizzato questi spazi, ma attivando una forma di sostituzione rispetto a pagamenti che avrebbero effettuato in ogni caso. Quindi non c’è stato l'effetto aggiuntivo e, come viene messo in evidenza nella relazione, questo in alcuni casi – stiamo parlando di un dato complessivo, macroeconomico – ha consentito di rendere più compatibili mantenimenti a livelli della spesa corrente più elevati.
  Questa è una preoccupazione che abbiamo manifestato da subito, proprio – e qui mi ricollego alla seconda parte della risposta – per la nostra presenza diffusa sul territorio. Avevamo, quindi, un monitoraggio preciso e continuo delle difficoltà finanziarie.
  Dietro a giusti ed esistenti limiti posti dal patto di stabilità interno esistevano anche difficoltà a procedere ai pagamenti, che sono da attribuire a entrate inesistenti o insussistenti e a residui attivi molto elevati. Vi era, quindi, una componente finanziaria che ha inciso sui pagamenti.
  Sostengo che questo elemento si riconnetta al discorso relativo al Fiscal council perché questo nascerà per svolgere un ruolo in ordine sia alle previsioni macroeconomiche sia al monitoraggio dell'andamento della spesa, della gestione e, in generale, della finanza pubblica. Naturalmente su questo abbiamo accolto la scelta del Parlamento di risolvere il problema andando, diversamente da quanto avvenuto in altre realtà europee, a costituire un nuovo organismo.
  Abbiamo un bagaglio che ovviamente continueremo a mettere a disposizione del Parlamento e che consiste proprio nel nostro specifico modo di essere presenti sul territorio, di avere una qualità del monitoraggio della finanza pubblica difficilmente surrogabile da un soggetto interno. Molto dipenderà dal Parlamento; noi abbiamo sin dall'inizio prefigurato una forma di integrazione, nel senso che il nostro lavoro ci impone di essere presenti su questo tipo di analisi perché siamo investiti del compito di controllare l'equilibrio dei bilanci. L'analisi macroeconomica di cui ci stiamo dotando serve proprio per acquisire elementi di valutazione per la verifica di sostenibilità dei bilanci pubblici.
  Sin dall'inizio la difficoltà è stata, da una parte, quella di vedere una sorta di duplicazione nelle attività che andrà a svolgere il Fiscal council, dall'altra, la necessità per la Corte di dotarsi di questi strumenti di analisi proprio perché compiti istituzionali diversi da quelli previsti dal Fiscal council, ma che ci impegnano su Pag. 48un'attività di valutazione ex ante sul territorio, ci obbligano ad acquisire una capacità di analisi simile a quella che probabilmente avrà il Fiscal council.
  Credo che il presidente si riferisse proprio a questa difficoltà. In questo anno e mezzo abbiamo, infatti, aumentato il nostro tasso di tecnicità interna proprio per cercare di portare all'interno capacità di analisi che siano coerenti con i compiti.
  D'altra parte confermiamo la disponibilità, che abbiamo dimostrato in questi anni, di offrire, indipendentemente dalla presenza del Fiscal council, i nostri contributi. Vi è, tuttavia, la consapevolezza che ci si sta muovendo su due binari paralleli, con competenze necessariamente simili, perché proprio – lo sottolineo – per il nostro compito istituzionale noi dobbiamo valutare gli equilibri di bilancio proprio per l'idea, che in questi anni credo si sia rafforzata, che gli equilibri di finanza pubblica si mantengono se si riesce a evitare il crearsi di squilibri.
  Il caso del pagamento dei debiti delle amministrazioni territoriali è emblematico di una mancanza di controllo che c’è stata in passato sull'attendibilità delle previsioni, che è alla base di quello che è successo e quindi anche alla base, in alcuni casi, dell'insuccesso di meccanismi di accelerazione dai quali, nella fase attuale, ci si aspettava un impulso per la crescita economica.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Il dibattito da noi è molto frequente e approfondito, per cui rimaniamo a disposizione per ogni ulteriore chiarimento. Come istituto siamo chiamati dalla legge e dalla Corte costituzionale, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, a garantire l'unità economica della Repubblica.
  Questo ruolo viene esaltato dalla Costituzione. Sappiamo tutti che il nostro Paese non era tenuto a prevedere in Costituzione il principio del pareggio di bilancio e che ha ritenuto doveroso farlo per ragioni politiche nel rispetto delle regole europee. Adesso è la Corte dei conti che, in relazione a queste competenze e soprattutto alla visione completa che – così come sostenuto dal collega Flaccadoro – possiede della finanza locale, rappresenta l'unico organo che ha un quadro puntuale, preciso e informatizzato della dinamica della gestione degli enti locali e della finanza locale, che a livello centrale pochi hanno. Oggi, prima di venire qui, ho partecipato alla riunione della sezione autonomie con le regioni, dove abbiamo indicato le linee guida della gestione delle amministrazioni regionali.
  Sempre per sostenere la tesi che le funzioni esercitate dal Fiscal council e dalla Corte dei conti si giustappongono e si integrano, anche se dal versante Corte dei conti sono più concrete, siamo l'unico organo magistratuale deputato a sollevare le questioni di costituzionalità, cioè quelle relative al mancato rispetto dell'articolo 81 della Costituzione. Inoltre, in sede europea si fa riferimento alla Corte dei conti per quanto riguarda il rispetto di questo equilibrio potenziale, che deve essere un rispetto a trecentosessanta gradi sia per le amministrazioni centrali sia per le amministrazioni locali.
  Ho annotato altre domande, alle quali pregherei di rispondere il collega D'Amico. In particolare, la senatrice Comaroli chiede se e come siano credibilmente coperti gli sgravi IRPEF e, insieme all'onorevole Palese, si è soffermata sulla tematica della spending review, che ci appassiona. Noi siamo in contatto con il commissario straordinario e gli elementi che abbiamo a disposizioni come Corte dei conti sono numerosi, perché, per il controllo che facciamo sulle realtà centrali, sugli enti pubblici, sulle società partecipate e sugli enti locali, siamo in grado di dare indicazioni concrete sulle linee che portano alla razionalizzazione della spesa e, quindi, a tentativi e obiettivi di snellimento e di razionalizzazione.
  Il senatore Santini faceva riferimento a quella deroga che abbiamo per il 2014, cui abbiamo fatto cenno, chiedendoci innanzitutto se sia una deroga credibile e se questa renderà necessari interventi ulteriori. Se il presidente lo consente, risponderà su questi temi il collega D'Amico.

Pag. 49

  NATALE D'AMICO, consigliere della Corte dei conti. Grazie, presidente. Con riguardo alla questione delle coperture sul prossimo decreto-legge, ritengo che ovviamente bisogna vedere le coperture per potersi pronunciare. Tuttavia, è abbastanza chiaro a tutti che riduzioni permanenti di entrate avrebbero effetti sul saldo strutturale, che è al netto delle misure una tantum, mentre eventuali coperture fatte con strumenti una tantum non avrebbero effetti sul saldo strutturale.
  Ribadisco però che, per pronunciarsi, bisogna vedere le coperture, che non sono in dettaglio descritte nel DEF, come è ragionevole che sia perché non è previsto che esse siano indicate dettagliatamente in questo documento.
  La seconda questione è quella relativa alle coperture a valere sulle risorse derivanti dalla spending review. Capita che alcuni numeri di finanza pubblica siano complicati; questi numeri sono in realtà molto semplici. Nel nostro documento in varie parti è scritto che, per il 2015, è prevista una manovra correttiva di circa 0,3 punti, quindi 4,5 miliardi di euro, e che già oggi i conti di finanza pubblica incorporano un aumento di entrate da riduzione delle detrazioni di 3 miliardi di euro.
  In più, è citata nel documento – ne stiamo discutendo e anche le domande precedenti si riferivano a questo – un'ipotesi di sgravio fiscale dell'ordine di grandezza di 10 miliardi di euro l'anno. La somma è pari a 17,5 miliardi di euro.
  Ovviamente c’è una differenza tra il bilancio a legislazione vigente e il bilancio a politiche invariate, che è più complicata, però sostanzialmente sappiamo che nella legislazione vigente vengono sottovalutate, per esempio, le spese per le missioni, perché dovrà decidere il Parlamento se rifinanziarle, o le spese per investimento. Quindi, il fabbisogno è di un ordine di grandezza un po’ superiore a 17,5 miliardi di euro.
  Le previsioni contenute nel DEF relative agli effetti della spending review per il 2015 sono pari a 17 miliardi di euro. Ho ascoltato l'opinione del vice direttore generale della Banca d'Italia Signorini e anch'io penso che la cosa veramente importante è che poi ci siano davvero queste riduzioni di spesa.
  Vengo all'ultima questione, quella relativa alla deroga che viene espressamente richiesta al Parlamento in primo luogo riguardo al principio dell'equilibrio di bilancio. Un apposito allegato alla relazione affronta tale questione, ma segnalo velocemente due cose.
  In effetti, si tratta di una vicenda singolare: esiste una regola e, alla prima occasione di applicazione di tale regola, si fa ricorso alle eccezioni che quella regola prevede. Quando è stata pensata quella regola con quell'eccezione, prima a livello di Unione europea e poi nell'ordinamento interno, per quello che si capisce il legislatore europeo, così come il legislatore interno, aveva in mente la possibilità di costruire margini per politiche finanziarie discrezionali anticicliche.
  In generale, come sapete, il saldo è al netto degli effetti automatici del ciclo sul saldo, ma c’è l'idea che, se la recessione fosse particolarmente grave, potrebbe essere utile avere l'opportunità e la possibilità che sia legale fare politiche discrezionali anticicliche. L'eccezione a tale regola, quindi, era pensata sostanzialmente per le fasi di caduta ciclica.
  Oggi non siamo in una fase di caduta ciclica, per fortuna; per quanto faticosa e stentata, sappiamo che l'economia italiana è in ripresa, come tutte le economie europee, anche se noi più lentamente. Peraltro, bisogna riconoscere due cose essenziali, a mio avviso. La prima è la caduta avvenuta a seguito della recessione che in Italia abbiamo conosciuto a partire dal 2008, che ha avuto due fasi successive di caduta e non ha molti precedenti, forse nessuno nella storia unitaria. Le caratteristiche di eccezionalità della recessione che abbiamo conosciuto sono senza dubbio accertate.
  In secondo luogo, quella recessione è stata tanto profonda che, anche accettando le ipotesi forse un po’ ottimistiche del Governo con riguardo agli anni futuri, purtroppo arriveremo al culmine di questa Pag. 50fase ciclica in cui non avremo recuperato i livelli esistenti prima della crisi. Quindi, il carattere di eccezionalità della recessione senza dubbio è presente.
  L'altro passaggio è che il DEF configura un percorso di rientro da questa deviazione dalla regola, che verrebbe per intero completato dentro il periodo di programmazione. Qui arriva il segnale di attenzione della Corte dei conti, perché siamo in una fase di espansione ciclica. Se, infatti, l'aggiustamento non viene compiuto durante la fase di espansione ciclica, saremo costretti a farlo dai mercati e dalla situazione generale nella fase di recessione. Ciò è già capitato all'Italia e parte della gravità della recessione in corso è conseguenza del fatto che noi siamo stati costretti a fare un aggiustamento, cioè una manovra restrittiva di finanza pubblica, nelle fasi recessive.
  Se posso aggiungere una sola considerazione prima di concludere, l'esperienza tedesca da questo punto di vista pare particolarmente significativa per l'Italia. Oggi tutti sappiamo che la Germania è di nuovo la locomotiva d'Europa: ha un tasso di disoccupazione pari a meno della metà del nostro, ha livelli dei salari, ovvero livelli di qualità della vita e di benessere delle persone, significativamente superiori, eppure dodici anni fa, al principio degli anni 2000, era il grande malato d'Europa.
  La Germania ha potuto fronteggiare meglio la crisi e trovarsi nell'attuale situazione, con salari maggiori e tasso di disoccupazione di gran lunga inferiore, perché tra il 2002 e il 2007 ha realizzato un radicale aggiustamento della propria finanza pubblica. In altre parole, in quegli anni di espansione ha fatto l'aggiustamento, per cui, all'arrivo della crisi, ha avuto lo spazio per realizzare politiche maggiormente energiche per contrastarla, ha sopportato meglio la crisi e ne è uscita molto meglio.
  Oggi siamo in una fase di recessione e l'Italia – questo è il segnale della Corte – non dovrebbe perdere di nuovo l'occasione persa in quegli anni.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Per quanto ci riguarda, noi abbiamo concluso, a meno che non ci siano altri interventi.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Palese per un intervento telegrafico.

  ROCCO PALESE. Sul controllo della parte territoriale della finanza pubblica, volevo chiedere al presidente se ritenga necessario un adeguamento legislativo a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2014, laddove il legislatore, ad onor del vero, in quella circostanza qualcosa aveva fatto, ma la Corte ha rivisto quell'intervento.
  Vorrei sapere se occorra, dal punto di vista legislativo, non solo un adeguamento alla citata sentenza n. 39 della Corte costituzionale, ma anche un intervento integrativo rispetto all'ufficio parlamentare di bilancio che dovrebbe partire e di cui si è discusso.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Sinceramente ci aspettavamo che la sentenza n. 39 del 2014 fosse ancora più demolitiva, perché il decreto n. 174 del 2012, cui lei si riferisce, è un decreto-legge e, come tale, ha subìto varie modifiche nel corso della conversione e presenta norme difficilmente comprensibili e in qualche caso difficilmente applicabili o addirittura non condivisibili.
  La Corte costituzionale, con la sentenza n. 39, ha fatto chiarezza su alcuni punti, però ha creato delle lacune. Ci sono delle norme che vanno riviste, ripristinate e messe in una versione più organica e più costituzionalmente orientata. Proprio io, come presidente della Corte, ho costituito un gruppo di lavoro di colleghi che sta preparando delle piccole norme o interventi spot, che servono a rendere più organica la legislazione.
  Mi consenta però di rilevare, onorevole, come ci lascino perplessi gli interventi spotPag. 51che vengono fatti, in sede di conversione in legge del decreto cosiddetto salva Roma, con piccoli aggiustamenti, che forse sono piuttosto deterioramenti perché complicano la vita alle sezioni regionali e anche ai comuni che sono destinatari della nostra attività.
  Forse, invece di fare interventi estemporanei aggiungendo un sostantivo o un avverbio, tali provvedimenti andrebbero più calibrati e meditati. Come Corte dei conti, faremo delle proposte al Governo e a voi proprio in quella direzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti della Corte dei conti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.10.