XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Lunedì 14 aprile 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Barbi Danilo , segretario confederale CGIL ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 5 
Bonanni Raffaele , segretario generale CISL ... 5 
Boccia Francesco , Presidente ... 8 
Angeletti Luigi , segretario generale UIL ... 8 
Boccia Francesco , Presidente ... 10 
Centrella Giovanni , segretario generale UGL ... 10 
Boccia Francesco , Presidente ... 11 
Galli Giampaolo (PD)  ... 11 
Rizzetto Walter (M5S)  ... 12 
Melilla Gianni (SEL)  ... 13 
Boccia Francesco , Presidente ... 13 
Centrella Giovanni , segretario generale UGL ... 13 
Angeletti Luigi , segretario generale UIL ... 14 
Bonanni Raffaele , segretario generale CISL ... 15 
Barbi Danilo , segretario confederale CGIL ... 16 
Boccia Francesco , Presidente ... 17 

Audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 17 
Cosimi Alessandro , sindaco di Livorno ... 17 
Boccia Francesco , Presidente ... 19 
Pastacci Alessandro , presidente della provincia di Mantova ... 19 
Boccia Francesco , Presidente ... 22 
Misiani Antonio (PD)  ... 22 
Boccia Francesco , Presidente ... 22 
Cosimi Alessandro , sindaco di Livorno ... 23 
Boccia Francesco , Presidente ... 23 

Audizione di rappresentanti dell'ABI (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 24 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 24 
Boccia Francesco , Presidente ... 27 
Fauttilli Federico (PI)  ... 27 
Galli Giampaolo (PD)  ... 27 
Boccia Francesco , Presidente ... 28 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 28 
Boccia Francesco , Presidente ... 29 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 29 
Boccia Francesco , Presidente ... 29 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 29 
Boccia Francesco , Presidente ... 29 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 29 
Boccia Francesco , Presidente ... 29 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 29 
Boccia Francesco , Presidente ... 29 

Audizione di rappresentanti di Confindustria (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 30 
Panucci Marcella , direttore generale di Confindustria ... 30 
Boccia Francesco , Presidente ... 34 
Marchi Maino (PD)  ... 34 
Misiani Antonio (PD)  ... 34 
Mazziotti Di Celso Andrea (SCpI)  ... 34 
Boccia Francesco , Presidente ... 35 
Panucci Marcella , direttore generale di Confindustria ... 35 
Paolazzi Luca , direttore centro studi di Confindustria ... 36 
Misiani Antonio (PD)  ... 37 
Paolazzi Luca , direttore centro studi di Confindustria ... 37 
Panucci Marcella , direttore generale di Confindustria ... 37 
Boccia Francesco , Presidente ... 37 
Panucci Marcella , direttore generale di Confindustria ... 37 
Boccia Francesco , Presidente ... 38 

Audizione di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 38 
Venturi Marco , presidente di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti ... 38 
Boccia Francesco , Presidente ... 41 
Sangalli Gian Carlo  ... 41 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 42 
Comaroli Silvana Andreina  ... 43 
Boccia Francesco , Presidente ... 43 
Venturi Marco , presidente di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti ... 43 
Boccia Francesco , Presidente ... 43 
Venturi Marco , presidente di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti ... 43 
Boccia Francesco , Presidente ... 44 

Audizione di rappresentanti di Confapi (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Sangalli Gian Carlo , Presidente ... 44 
Occhipinti Armando , direttore generale di Confapi ... 44 
Sangalli Gian Carlo , Presidente ... 48 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 48 
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 49 
Occhipinti Armando , direttore generale di Confapi ... 50 
Sangalli Gian Carlo , Presidente ... 50 

Audizione di rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative italiane (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Sangalli Gian Carlo , Presidente ... 50 
Bonfiglio Giampaolo , vicepresidente dell'Alleanza delle cooperative italiane ... 51 
Iengo Mauro , responsabile dell'ufficio legislativo di Legacoop ... 52 
Venturelli Marco , vicesegretario generale di Confcooperative ... 53 
Sangalli Gian Carlo , Presidente ... 55 
Santini Giorgio  ... 55 
Sangalli Gian Carlo , Presidente ... 55 
Iengo Mauro , responsabile dell'ufficio legislativo di Legacoop ... 55 
Venturelli Marco , vicesegretario generale di Confcooperative ... 56 
Bonfiglio Giampaolo , vicepresidente dell'Alleanza delle cooperative italiane ... 57 
Sangalli Gian Carlo , Presidente ... 57 

Audizione del Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 57 
Cottarelli Carlo , commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica ... 57 
Boccia Francesco , Presidente ... 58 
Misiani Antonio (PD)  ... 59 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 59 
Mazziotti Di Celso Andrea (SCpI)  ... 60 
Guidesi Guido (LNA)  ... 60 
Cariello Francesco (M5S)  ... 60 
Marchi Maino (PD)  ... 61 
Uras Luciano  ... 61 
Boccia Francesco , Presidente ... 61 
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 62 
Boccia Francesco , Presidente ... 62 
Cottarelli Carlo , commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica ... 62 
Misiani Antonio (PD)  ... 62 
Cottarelli Carlo , commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica ... 62 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 63 
Cottarelli Carlo , commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica ... 63 
Boccia Francesco , Presidente ... 64

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  Invito i rappresentanti dei Gruppi a prenotare gli interventi, così come da nostro accordo, di un membro per Gruppo per Camera e Senato nei primi dieci minuti dell'audizione, in modo tale da ripartire il tempo disponibile per gli interventi in funzione del tempo residuo per la conclusione dell'audizione. Se ci dovessimo ritrovare nella condizione di avere, alla fine delle risposte, qualche minuto in più di tempo, cosa di cui dubito, consentiremo eccezionalmente ai singoli Gruppi di intervenire nuovamente.
  Iniziamo il programma, così come stabilito, dalla CGIL, per la quale abbiamo con noi Danilo Barbi, segretario confederale, e Mauro Beschi, coordinatore dell'Area politiche di sviluppo.
  Do la parola a Danilo Barbi, segretario confederale della CGIL.

  DANILO BARBI, segretario confederale CGIL. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti e a tutte.
  Se noi dovessimo esprimere un giudizio sintetico relativo alla nostra valutazione sul Documento di economia e finanza, il titolo generale potrebbe essere: c’è un cambiamento, ma non c’è la svolta che noi giudichiamo necessaria per il Paese. Questo è il nostro giudizio complessivo.
  Il cambiamento emerge anche nell'apparato di analisi della crisi e nel riconoscimento, per la prima volta significativo, che ci sono ormai con evidenza alcuni vuoti nella domanda aggregata e una vera e propria emergenza occupazionale. Tuttavia, anche le misure espansive proposte rientrano, ovviamente, nei vincoli di finanza pubblica definiti dalla politica europea.
  Apprezziamo un cambiamento delle politiche fiscali, a partire dai provvedimenti di sostegno al lavoro e ai redditi da lavoro, anche se per noi rimane una questione aperta l'esclusione delle pensioni medio-basse da questi interventi. Apprezziamo anche – era una nostra richiesta, come lo erano le cose che ho apprezzato prima; parlo in questo senso anche per conto degli amici di CISL e UIL – l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie. Allo stesso modo, non possiamo che apprezzare l'istituzione del tetto per i manager pubblici.
  Tutto questo, però, a nostro modo di vedere, non basta per le condizioni in cui Pag. 4è ormai il Paese. La svolta dovrebbe essere un'ambizione ben maggiore di cambiamento. Difatti, nel Documento di economia e finanza non sono presenti né una nuova politica di investimenti pubblici, né tantomeno una politica industriale o dei settori, che pure era stata annunciata. Vi sono qua e là titoli interessanti, ma non c’è alcuna procedura di finanziabilità, come non c’è alcuna attività di programmi straordinari di occupazione, in particolar modo in direzione di giovani e donne, programmi che noi, come sapete, proponiamo da tempo.
  Spesso, anzi, il ruolo pubblico viene esplicitamente condizionato all'avanzamento del mercato, alla ricerca della concorrenza, alla domanda estera e all'attrazione di capitali privati. Si scommette fortemente sulla domanda estera e, in particolar modo, sulla domanda extraeuropea. Questo elemento rimane ormai una contraddizione delle politiche economiche in tutta Europa, perché è un'operazione che viene fatta da buona parte dei Paesi europei.
  Da questo punto di vista il Documento di economia e finanza non si pone in contraddizione esplicita con la politica europea, come è, secondo noi, necessario per l'indebolimento ormai significativo del nostro tessuto produttivo e per la gravità della situazione occupazionale, in particolare giovanile.
  Tutto il mondo continua a esprimere una preoccupazione sull'andamento economico. È evidente. Il Fondo monetario lo dice in modo esplicito e dichiara apertamente che soprattutto l'area europea e l'area dell'euro sono nella situazione di maggior ritardo rispetto alla composizione della crescita mondiale. L'Europa è l'area economica che cresce di meno al mondo. Questo è un punto.
  Austerità, deflazione, riforme strutturali, deregolamentazione dei mercati, svalutazione competitiva di salari e diritti sono tutte risposte che vengono ribadite sostanzialmente anche nel DEF e che provengono da un pensiero economico e da un modello di sviluppo che, a nostro modo di vedere, è ormai esplicito che non funzionino. Le previsioni econometriche dei Governi italiani e di buona parte degli istituti europei sono state puntualmente smentite da cinque anni a questa parte.
  Si tratta di capire se siano sbagliate le previsioni o se sia sbagliato il pensiero di chi le fa, perché per continuare in questo modo bisogna assumersi la responsabilità di non dire le cose come stanno e di non raccontare la verità ai popoli. Mentre la BCE continua a dire che non c’è un effettivo rischio di deflazione di fronte a noi, nel frattempo, come tutti sanno, sta preparando programmi straordinari proprio per reagire al rischio di deflazione.
  Secondo noi, l'Europa avrebbe la responsabilità e le condizioni per guidare l'economia mondiale in una fase di ripresa, essendo ancora oggi l'economia più ricca del mondo. Non si capisce come possiamo noi europei pretendere che la locomotiva del mondo la facciano gli americani o i cinesi, a seconda dell'annualità. Bisogna, però, riconoscere il fallimento dell'austerità e mettere in campo una proposta alternativa.
  Per questo noi pensiamo che, a questo punto, tutti i Governi abbiano la responsabilità, anche etica, di dire che le cose così non possono continuare. Per quanto ci riguarda, in particolar modo, noi pensiamo che il Governo italiano debba aprire una vera e propria vertenza con l'Europa, non truccando i conti, ma rimettendo in discussione gli accordi fatti. Riteniamo, difatti, che il Patto di bilancio, così com’è stato configurato, e il fiscal compact debbano essere rivisti e che la discussione vada fatta in questi termini da un Governo che vuole avere l'ambizione di imprimere una svolta reale e definitiva, o significativa, come ha dichiarato questo Governo.
  Il quadro macroeconomico prospettato prevede molti elementi ambiziosi per quanto riguarda la crescita del PIL, delle esportazioni e degli investimenti, molto meno dell'occupazione. Francamente, però, molti di questi elementi stanno in piedi soltanto sul presupposto che ci sia una crescita internazionale che li sostiene. Di nuovo il DEF ripropone quella che è stata chiamata la «trappola» costruita Pag. 5dalla crescita estera. Noi ci affidiamo a una crescita dell'economia mondiale e delle esportazioni come fattore di crescita. In questo modo, però, decretiamo che gli altri Paesi decideranno se comprarci questi prodotti o meno. Bisogna ormai avere la consapevolezza che il problema dell'economia mondiale sta in questi termini.
  Detto questo, per concludere, si potrebbero fare moltissime osservazioni anche tecniche e metodologiche. Per esempio, per gli amanti dei dettagli si potrebbe dire che il Governo ha inteso utilizzare una flessibilità già prevista, e mai antecedentemente utilizzata, per spostare l'obiettivo di medio termine al 2016 rispetto al 2014. Questa questione la ricava lo stesso documento del Governo, rivelando la contraddizione di un meccanismo di calcolo europeo, quello della disoccupazione non inflazionistica, che viene oggi calcolata per l'Italia all'11 per cento, quando a fine 2011 era calcolata al 7,5, il che spiega l'aleatorietà di queste previsioni.
  Tutto questo ragionamento nel DEF, però, non serve a mettere in discussione l'intero impianto metodologico dei vincoli comunitari, ma semplicemente a poter utilizzare una flessibilità già prevista e non utilizzata da nessuno dei Governi precedenti, portando al 2016 l'obiettivo di medio periodo concordato.
  Gli obiettivi di espansione ci sembrano francamente non realistici nella definizione e le coperture finanziarie complessive vengono sostanzialmente appoggiate sulla spending review, rispetto alla quale noi non possiamo che dirci preoccupati, perché nella sostanza, nei titoli che vengono proposti, non si capisce se parliamo essenzialmente di interventi per ridurre privilegi e sprechi o, invece, di riduzione delle politiche sociali reali.
  Sempre sulle questioni di equilibrio di entrate l'altro elemento critico che noi evidenziamo è che non c’è alcuna svolta per quanto riguarda le politiche di evasione. Al contrario, c’è semplicemente la gratificazione del fatto che si siano recuperate più risorse, ma non c’è, come noi chiediamo da tempo, l'obiettivo di ridurre strutturalmente l'evasione fiscale complessiva del Paese, come una forma di intervento sulle entrate che non riguardi il prelievo su chi le tasse già le paga. Noi temiamo che, alla fine, queste previsioni non si riusciranno a realizzare.
  Temiamo anche, sempre per quanto riguarda le descrizioni dei capitoli e delle funzioni di copertura, che il fatto di calcolare una diminuzione della spesa pubblica per i dipendenti pubblici in senso lato, seppur non qualificata, possa far sorgere una preoccupazione che per noi sarebbe totalmente inaccettabile, quella del prosieguo oltre il 2014 del blocco dei contratti pubblici. Passare a otto anni di blocco dei contratti sarebbe una situazione da economia di guerra e porrebbe un problema anche democratico di cittadinanza sociale dei lavoratori e delle lavoratrici del settore pubblico.
  Per concludere, voi sapete che da tempo la CGIL pensa che occorra una politica economica espansiva e anticiclica, che occorra trovare margini nel Paese e che occorra richiedere una svolta vera – in questo caso la parola «svolta» sembrerebbe giusta – nella politica europea.
  Voi sapete che noi abbiamo presentato un Piano per il lavoro che si occupa di questo. Noi pensiamo che ormai nel nostro Paese la crisi sia talmente grave che sia necessario fare anche degli interventi straordinari, come programmi di creazione straordinaria di lavoro, seppur temporaneo, e programmi di pubblica utilità soprattutto per giovani e donne. Pensiamo, da ultimo, che occorra una politica anche di produzione del lavoro attraverso lavoro straordinario.
  Avete i nostri materiali. Vi ringraziamo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il segretario confederale della CGIL, Danilo Barbi.
  Per la delegazione CISL abbiamo con noi Raffaele Bonanni, segretario generale, e Salvatore Guglielmino.
  Do la parola a Raffaele Bonanni, segretario generale della CISL.

  RAFFAELE BONANNI, segretario generale CISL. Grazie. Ci sono alcuni elementi, come il taglio delle tasse, che vanno incontro Pag. 6a una richiesta che da lungo tempo il sindacato porta avanti. Di questo noi siamo soddisfatti, ma abbiamo alcune precisazioni.
  Noi registriamo che sui fattori dello sviluppo, che rappresentano l'unica occasione per riassorbire il debito, praticamente non si dice nulla. Ci si affida ai discorsi che i vari Governi che si sono succeduti hanno utilizzato per dare l'impressione che si possa fare qualcosa sull'occupazione.
  L'efficacia dell'operazione del DEF 2014, con la decisione del posticipo di un anno del pareggio del bilancio, è tutta legata alle decisioni che prenderanno la Commissione europea nei primi di giugno e il Consiglio d'Europa alla fine di giugno. Dentro questo quadro il rientro è quasi interamente affidato alla revisione della spesa, perché le altre risorse vengono da operazioni occasionali non ripetibili.
  Noi ci chiediamo, a questo punto, che cosa sia questa spending review. Come si farà la spending review ? Non è pronto un piano di riassetto delle istituzioni e delle amministrazioni. Quindi andremo di nuovo verso un taglio lineare, pericolosamente questa volta, perché abbiamo toccato da lungo tempo i livelli di guardia, ma l'aspetto che ci preoccupa è che con un taglio lineare non si tolgono di mezzo le spese da ruberie e le spese inefficienti. Tutto sarà uguale, dall'esigenza del sociale a tutte le vicende che anche in queste ore noi denunciamo ormai da anni, dalla sanità a tanti fatti che accadono, con ruberie a tutto andare.
  Ci sarà, dunque, o una spending review di nuovo effettuata con tagli lineari, oppure, al di là della smentita che si fa, un'altra manovra. Noi siamo preoccupati per la spending review, che non potrà poggiare verosimilmente su questioni concrete, per farsi nel modo che tutti auspicano da diverso tempo. Come ripeto, nelle istituzioni e nelle amministrazioni non c’è alcun disegno definito sui servizi comuni e sulle partecipate locali.
  Questo ci preoccupa moltissimo. Se dovesse essere così, è chiaro che l'auspicata iniziativa sulle tasse, non solo per fare giustizia a favore dei lavoratori, ma anche per mettere in atto politiche anticicliche, verrebbe pressoché azzerata. Se si dovesse lavorare in quel modo, se si dovessero trovare i soldi in quel modo, sarebbe limitata anche l'iniziativa anticiclica che noi aspettiamo per dare un contributo allo sviluppo.
  Va bene, quindi, lo sgravio fiscale, ma è strutturale ? Non abbiamo certezza di questo. Vorremmo avere contezza di un aspetto che per noi è molto importante: è un elemento strutturale, è un bonus, è una quattordicesima una tantum ? Ci era stato detto all'inizio che sarebbe stato un intervento strutturale su quel tipo di redditi. Inoltre, vorremmo sapere cosa si prevede per i pensionati, gli incapienti e soprattutto le famiglie, che hanno sopportato e sopportano un peso enorme di troppi cassintegrati, troppi disoccupati e troppe tasse sui loro beni.
  Ci va bene anche il taglio dell'IRAP, coperto interamente dalle tasse sulle rendite finanziarie, che noi stessi abbiamo chiesto, è vero. Tuttavia, voglio ricordare qui un fatto, perché noi non siamo tra coloro che, avendo una data ideologia, non appena sentono parlare di una cosa, subito drizzano le orecchie come cani e pensano che vada benissimo. No, le rendite finanziarie, per come sono state organizzate, le pagano le grandi operazioni che la finanza fa, ma anche i piccoli risparmi di lavoratori e pensionati, che in questa vicenda noi riteniamo di non colpire. Diversamente, rientreremmo nell'area delle troppe tasse che costoro hanno già subìto nel corso del tempo.
  Approviamo il piano scuola, la prevenzione del rischio idrogeologico e l'emergenza abitativa. Sono questioni annunciate in effetti da molto tempo anche dagli altri Governi. Noi pensiamo, però, che ci debba essere un monitoraggio, o comunque un luogo in cui si osservino queste vicende, per evitare che di volta in volta sia solo l'occasione dell'annuncio e mai dell'operatività. Noi abbiamo bisogno davvero della scuola nel territorio e sulla vicenda abitativa abbiamo bisogno davvero di nuove situazioni.Pag. 7
  Noi crediamo che si debba fare qualcosa di concreto sull'accelerazione della vendita dei beni demaniali e avere anche un luogo trasparente in cui si osservi la situazione e si pongano anche alcuni problemi – altrimenti non vendiamo questi beni – su come sostenere la vendita. Penso, per esempio, alle destinazioni d'uso o ad altre operazioni che possono agevolare una vendita per noi tanto importante, per non vendere le persone, giacché la stima di 350 miliardi di euro almeno possa servire a sostenerci in questa battaglia senza fine contro il debito e per un bilancio che si regga in piedi.
  Siamo preoccupati poi per la discussione che manca sull'evasione fiscale. Siamo davvero molto preoccupati. C’è un allentamento, dobbiamo dircelo con molta chiarezza, sulle vicende di evasione fiscale, né si richiamano, per esempio, i comuni, i quali continuano a mettere le addizionali, a fare almeno tutto ciò che gran parte di essi non sta facendo contro l'evasione fiscale. Questo è un pezzo importante per riuscire a tenere in piedi le discussioni che pur si fanno.
  Penso anche che si debba fare chiarezza in queste ore in cui si stanno nominando i manager delle aziende partecipate dello Stato. Benissimo, spero che ci sia un buon rinnovamento, con persone che hanno propositi buoni e tutto quello che volete. Vorremmo capire, però, come si possa gestire la vendita di quote azionarie delle grandi partecipate statali. La mia opinione è certamente non facendo entrare aziende, ma facendo entrare capitale dei fondi. C’è poi la questione, che è tornata nell'oblio, della democrazia economica e, quindi, della possibilità che i lavoratori possano avere voce in capitolo sul controllo. Come si è visto, ogni volta si annunciano ottimi manager, che però rifanno sempre gli stessi errori. Io credo che un meccanismo di partecipazione dei lavoratori, almeno al controllo, sia utile per i lavoratori stessi, ma anche per gli interessi generali.
  Vorremmo poi chiarezza sulla cassa integrazione in deroga e sugli esodati.
  Assorbire il debito, è inutile che ci giriamo intorno, si può solamente se noi abbiamo politiche capaci di ripristinare la forza dell'industria italiana. Per fare questo o si agisce sull'energia, sulle infrastrutture, sulla giustizia civile, che è molto lenta, e sulle tasse d'impresa, o altrimenti noi non avremo occupati. La crescita è l'unica vocazione e si avrà non con il Jobs Act, ma intervenendo su questi aspetti.
  Questa è una sfida che il Governo centrale e i governi locali devono saper accettare, nel rapporto con tutte le realtà che hanno qualcosa da dire e da fare su questioni così importanti. È da questo che deriverà l'uscita da questa vicenda tanto imbarazzante e pericolosa ormai, non solo per l'economia, ma anche per la democrazia.
  Sì, possiamo esercitarci, come si è fatto, sui contratti – io ho condiviso la scelta sui contratti a termine – ma non è così che facciamo occupazione. La facciamo intervenendo sui fattori dello sviluppo.
  Se poi vogliamo fare la trasparenza nei rapporti di lavoro, dobbiamo occuparci degli atipici. Sono troppe ormai le false partite IVA. Noi non siamo contro le vere partite IVA, siamo contro le false partite IVA, che sono molte. Siamo contro il fatto che ci siano e che ci sia un velo di omertà nel Paese su questi aspetti. Chissà perché nessuno ne vuol parlare. I servizi e i media sono stracolmi di persone supersfruttate di cui nessuno vuole parlare. Noi riteniamo che, se ci si vuole esercitare su garanzie e strumenti dei rapporti di lavoro, è su questo che dobbiamo agire, sugli atipici e sulle false partite IVA, che hanno davvero creato una precarietà senza uguali in Europa. Tutte queste strumentazioni non ci sono né in Germania, né in Francia, né nel Regno Unito, né in alcun altro posto. Vengono tollerate solo in Italia, dove pure si fa un discorso contro la precarietà, che però, chissà perché, non riguarda mai quest'area, che ha ormai accumulato milioni di persone, milioni di giovani e di anziani. Sono, infatti, i giovani e gli anziani quelli più coinvolti, cioè coloro che Pag. 8devono entrare nel mercato del lavoro e coloro che, pur di restarci, sono disposti ad accettare qualsiasi condizione.
  Infine, il documento parla con molta chiarezza, proprio nel suo incipit, del coinvolgimento e del contributo delle parti sociali: sindacati, imprenditori e associazioni imprenditoriali. Noi siamo di questa opinione, la mia organizzazione è di questa opinione, per prendersi delle responsabilità, non solamente per puntare il dito verso qualcun altro, ma perché nel lavoro comune si fa il bene comune. Noi ci chiediamo se il Governo sia coerente con quest'affermazione. Magari potrà servire per la Commissione europea, ma io spero che serva anche per il Paese, perché non mi pare che ci sia quest'aria.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, segretario Bonanni.
  Per la UIL abbiamo con noi Luigi Angeletti, con una delegazione composta anche da Carmelo Barbagallo e Antonio Passaro.
  Do la parola a Luigi Angeletti, segretario generale della UIL.

  LUIGI ANGELETTI, segretario generale UIL. Grazie. Sicuramente la riduzione delle tasse sul lavoro è quantitativamente e qualitativamente la scelta più importante di questo documento e della politica economica del Governo. Va, secondo noi, nella direzione giusta, quella di porre finalmente l'occupazione come l'obiettivo della politica economica del Governo.
  Sembra banale, ma sinora gli obiettivi veri della politica economica del Governo sono stati il consolidamento dei bilanci e tendenzialmente la riduzione del debito e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: siamo rientrati tra i primi della classe in Europa per quanto riguarda il deficit di bilancio, ma siamo scivolati tra gli ultimi per quanto riguarda i posti di lavoro. Porsi finalmente come obiettivo credibile e fondamentale, se non unico, un obiettivo che tutti i Paesi del mondo si pongono, quello che la politica economica debba servire ad aumentare l'occupazione, sembra essere anche il fine della politica economica di questo Governo.
  Noi pensiamo che, essendo questa la strada giusta, si debba perseguirla. Non vogliamo neanche prendere in considerazione l'idea che siamo di fronte a uno spot temporale – non dico elettorale – perché sarebbe di una gravità inaudita. Pensiamo che si debba, invece, proseguire su questa strada anche nei prossimi anni, coinvolgendo anche un'altra parte di lavoratori e soprattutto quella parte di pensionati che hanno pensioni medio-basse e che sono stati, ancora una volta, esclusi.
  Cosa, secondo noi, non è ancora stato fatto ed è assolutamente urgente fare su questa via ? Bisogna che il Governo vari sul serio, per esempio, il decreto per la riduzione delle tasse sui premi di produttività. Non si può parlare di crescita e di aumento della competitività e della produttività del sistema economico e poi negare un modesto strumento, che aveva il senso, e che per un paio di anni ha anche funzionato dal punto di vista quantitativo, di premiare e di incentivare le imprese, i lavoratori e le associazioni sindacali e imprenditoriali che si muovevano in questa direzione.
  Voglio anche sottolineare il fatto che esiste un aspetto, che sta diventando drammatico, di finanziamento della cassa integrazione in deroga. Nessuno vuole difendere l'istituto per quello che è. Noi sicuramente non siamo tra coloro che si opporranno quando questo istituto verrà trasformato in una forma di sussidio diverso e più universale, sebbene sia comunque piuttosto universale. Quello che è inaccettabile è che venga soppresso non formalmente, ma sostanzialmente. Sono ancora centinaia di migliaia le persone oggi in Italia che hanno questo come unico reddito. Io vorrei che questa situazione non sia sottovalutata, né che aspettiamo di vedere manifestazioni di persone disperate, non dal punto di vista politico o democratico, ma per la loro capacità di sopravvivere, invadere le città, la capitale o le piazze vicine a quella in cui ci troviamo. Non si può pensare che si possa Pag. 9tirare la corda troppo a lungo. Stiamo arrivando a situazioni veramente drammatiche.
  Noi siamo anche profondamente convinti che uno degli strumenti importanti per sostenere una politica economica di riduzione delle tasse, accanto a quella principale, che è quella della riduzione dell'evasione fiscale, sia una politica di revisione della spesa fatta in maniera intelligente e mirata. Per evitare di apparire come sempre generici, vi fornisco due indicazioni non generiche su questo tema.
  Bisogna ridurre il numero delle cosiddette stazioni appaltanti. Finalmente ho ascoltato da parte del commissario Cottarelli, il quale ha potuto constatare ciò che noi diciamo da qualche tempo, che ci sono più di 30.000 stazioni appaltanti, cioè luoghi nei quali si può spendere denaro pubblico. È una quantità che non ha riscontro in Europa. È inutile sottolineare quanto spreco di denaro pubblico si realizzi, magari rispettando la legge – e speriamo lo si faccia sempre – e magari addirittura in buona fede. Banalmente e semplicemente, però, è come se in una famiglia composta da quattro persone tutte e quattro la mattina andassero al mercato a fare la spesa. Io non credo che alla fine ci sarebbe un uso razionale delle risorse di questa famiglia.
  La seconda questione sulla quale bisogna concentrarsi riguarda le società partecipate pubbliche. Anche di queste il numero è francamente ingiustificabile da tutti i punti di vista. Bisogna procedere a una riduzione significativa di queste società, accorpandole in modo da realizzare economie di scala, per renderle in grado di fornire gli stessi servizi, magari anche un po’ migliori, ai cittadini a costi più bassi. Si ridurranno eventualmente anche un po’ di violazioni del codice penale.
  Questi sono, secondo noi, due luoghi su cui bisogna concentrare l'azione della spending review, perché sono i luoghi nei quali, se si va a guardare, si concentra la maggioranza della spesa pubblica effettivamente realizzata e quella più elastica.
  È già stato detto ma è una questione che non dobbiamo mai dimenticare: il nostro sistema fiscale ha una stortura fondamentale, che è quella di continuare a concentrare il prelievo sulle persone che già pagano le tasse. La condizione economica in cui ci troviamo non ci consente più di continuare con questa non dico scelta o politica, ma realtà.
  Faccio solo un esempio. Le tasse sulle abitazioni probabilmente aumenteranno, sotto varie forme o con altri nomi. Non mi è giunta voce, però, che, con due milioni di case fantasma che sono state censite in Italia, ci sia stata una riduzione delle evasioni, ossia che qualche sindaco si sia preoccupato di far pagare le tasse a tutti i propri concittadini, anziché continuare a far finta di non vedere che avessero un edificio o un'abitazione. Questo è un sistema che non funziona, perché scarica tutto il costo necessario per l'amministrazione del comune su coloro che, invece, le tasse sulle abitazioni hanno continuato a pagarle, così come pagano le tasse sui servizi.
  Il contrasto all'evasione fiscale sarà noioso, avrà stufato coloro che ne parlano e coloro che lo ascoltano, ma è la stessa questione che avevano i Romani con Cartagine: alla fine hanno dovuto prendere atto che dovevano risolvere questo problema. L'Italia si trova esattamente nelle stesse condizioni. Non ci sarà una seria svolta nel bilancio dello Stato e nel rapporto tra lo Stato e i cittadini fino a quando tollereremo, o faremo finta di combattere, o comunque continueremo a subire, questo livello di evasione.
  Le buone intenzioni ci sono, ma la realizzazione è fondamentale. Fino a quando sul serio non si faranno questi incroci e non ci metteremo nelle condizioni di monitorare l'effettivo stato patrimoniale dei nostri concittadini che non sono lavoratori dipendenti, noi saremo qui il prossimo anno e gli anni successivi a raccontarci che avremo bisogno di recuperare una parte dell'evasione per evitare di strozzare l'economia attraverso una maggiore imposizione fiscale.
  Passo all'ultima questione, che ho lasciato per ultima non perché sia la meno importante. Occorre che il Governo e il Pag. 10Parlamento italiano, non come alibi, né come scusa per non fare tutto ciò che dobbiamo fare, ossia le cosiddette riforme strutturali, si pronuncino in maniera esplicita su un tema: quand'anche noi diventassimo non virtuosi, ma virtuosissimi nell'amministrazione del denaro pubblico, sarà impossibile avere una crescita economica significativa senza un cambiamento della politica monetaria e della politica industriale in Europa.
  Noi abbiamo accettato di avere dei vincoli e dei limiti, ma siamo un Paese, come tutti gli altri, che non può correre. Anche se ci alleniamo e ci facciamo i muscoli, noi non possiamo correre più di tanto. Il debito pubblico italiano, come tutti i debiti pubblici, può essere pagato solo da una lunga fase di crescita economica. Questo è un problema che il Parlamento e il Governo devono porre ai nostri partner europei.
  Capisco perfettamente che ci possa essere la preoccupazione di non apparire come coloro che scaricano sull'Europa responsabilità che sono tutte nostre. Tuttavia, dopo aver risolto i nostri problemi, o anche contemporaneamente, noi dobbiamo porre con sufficiente forza questa consapevolezza: il tasso di disoccupazione che avevamo nel 2008 non tornerà a esserci in Italia, se non quando la politica economica e monetaria – prima quella monetaria che quella economica – in Europa non avrà cambiato di segno. L'idea che possiamo realizzare tutta la nostra crescita attraverso le esportazioni può essere simpatica, seducente, mettetela come vi pare, ma non è assolutamente realistica.
  L'ultimo punto riguarda i rapporti tra i sindacati e il Governo. Io non faccio alcuna perorazione sulla concertazione, non mi sento orfano di nulla, ma voglio fare una denuncia: il Governo italiano è il datore di lavoro di più di tre milioni di dipendenti ed è il peggior datore di lavoro che abbiamo. Aggiungo anche che è il maggior evasore contributivo, perché non paga i contributi, come si vede dai buchi dell'INPDAP.
  È così. Tutte le rassicurazioni postume sono valide, ma il Governo italiano ha l'obbligo di definire quale vuole essere il suo rapporto con i propri dipendenti. Può dire «Non ci piace questo modello contrattuale, lo vogliamo cambiare, lo vogliamo modificare, vogliamo cambiare gli obiettivi». Sono tutte considerazioni assolutamente legittime. Quello che non può fare è considerare i propri dipendenti come dei cittadini di serie B, perché adesso è esattamente questo che sta avvenendo.
  Noi esprimiamo questo giudizio su questa politica economica con le sottolineature che ho ricordato. Abbiamo, secondo noi, preso la via giusta, però non solo dobbiamo percorrere molti chilometri e altri ancora, ma il Governo deve anche rapidamente rendere molto più coerenti le cose che afferma con quelle che fa.

  PRESIDENTE. Grazie, segretario Angeletti.
  Invito qui il segretario dell'UGL, Giovanni Centrella, con la delegazione dell'UGL. Sono presenti Paolo Varesi, Loretta Civili, Fiovo Bitti e Cecilia Pocai.
  Poiché siamo un po’ in ritardo, essendo, peraltro, le delegazioni delle organizzazioni sindacali più numerose rispetto a quelle successive, devo chiedere ai colleghi di restringere a domande secche i propri interventi e di non fare valutazioni di sistema, che possiamo comunque fare nel corso della discussione della giornata, che è ancora molto lunga.
  Chiedo davvero, quindi, ai rappresentanti dei Gruppi che interverranno di limitarsi a domande secche alle organizzazioni sindacali e di lasciare le valutazioni sull'impianto del DEF agli interventi successivi che sicuramente ci saranno fino a questa sera.
  Do la parola a Giovanni Centrella, segretario generale dell'UGL.

  GIOVANNI CENTRELLA, segretario generale UGL. Grazie, presidente. Visto che siamo in ritardo, sarò molto breve.
  Secondo noi il Documento di economia e finanza e il Programma nazionale di riforma non ci dicono se potranno contribuire al rilancio del Paese. Noi Pag. 11avremmo voluto un Documento di economia e finanza che parlasse e che partisse dalla disoccupazione giovanile e dalla disoccupazione over cinquanta; avremmo voluto un Documento di economia e finanza che sbloccasse i contratti della pubblica amministrazione; avremmo voluto un Documento di economia e finanza che parlasse di maggiore equità fiscale, perché ancora oggi in Italia i lavoratori pagano più dei datori di lavoro; avremmo voluto un Documento di economia e finanza che dedicasse una maggiore attenzione alla revisione della spesa pubblica, che fosse una revisione ragionata e non meramente lineare; avremmo voluto un Documento di economia e finanza che parlasse di garanzia di vita dignitosa per chi è in pensione e per chi andrà in pensione; avremmo voluto un Documento di economia e finanza che parlasse di revisione degli ammortizzatori sociali e dell'estensione degli stessi e di contrasto alla precarietà del lavoro, mentre ultimamente c’è un provvedimento che rende ancora più precario il mondo del lavoro.
  Avremmo voluto maggiore efficienza istituzionale e amministrativa, ma non abolendo province, CNEL e Senato, perché abolendo i corpi intermedi si riducono gli spazi di partecipazione democratica. Avremmo voluto migliore efficienza istituzionale e amministrativa, perché questa si misura sulla presenza dello Stato sul territorio, garantendo sicurezza, legalità e salute.
  Io non mi dilungo molto – abbiamo lasciato un documento – ma, per finire, i tempi di intervento e le risorse a disposizione non sono chiari e la misura maggiormente pubblicizzata, quella degli 80 euro, è, a nostro avviso, avvolta dal mistero e alla fine non porterà nulla nelle buste paga delle famiglie, ma avvantaggerà i single.
  Noi crediamo che questo Documento, così come tutto quello che si sta facendo, sia solo un insieme di programmi che peseranno sui soliti noti: operai, impiegati e pensionati. Riteniamo, quindi, che questo Documento di economia e finanza non aiuterà lo sviluppo del Paese, ma creerà ancora maggiori problemi al nostro Paese.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, segretario Centrella, anche per la rapidità e la concretezza del suo intervento.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio gli esponenti delle organizzazioni sindacali, che ci hanno fatto un quadro ampio. Ci sono tantissimi suggerimenti, dei quali sarà utile tenere conto nella nostra discussione.
  In particolare, io mi sono annotato i temi dell'evasione, quelli delle storture nel prelievo e quelli che riguardano i dipendenti pubblici. C’è poi un tema che riguarda l'Europa, nello specifico le politiche monetarie e le politiche industriali europee, ma, dato che il presidente Boccia ci chiede di essere piuttosto secchi, vorrei fare una domanda.
  Ho sentito da parte della CISL e della UIL un apprezzamento per la politica del Governo e per la svolta rappresentata dalla riduzione delle tasse sul lavoro, in particolare sul lavoro dipendente, con la correlata scelta di fare tagli alla spesa improduttiva e agli sprechi. Capisco che su questo tema ci sia una sospensione del giudizio in vista delle decisioni effettive che verranno prese. Non ho sentito, però, un'analoga considerazione nell'intervento della CGIL. Ho sentito, anzi, un giudizio – qui le parole pesano – per cui la svolta non sarebbe la svolta necessaria per il Paese e avrebbe dovuto essere molto maggiore. In sostanza, ho sentito giudizi fortemente negativi. Forse ho capito male io, ma vorrei anche dire che risultava chiaro dall'intervento che l'impostazione fosse: «Facciamo saltare le regole europee».
  Come voi sapete, c’è stata una discussione, un avvio di negoziato con l'Europa. Adesso il Governo pone la questione di un rinvio del pareggio di bilancio, per cui noi in Parlamento dobbiamo approvare una deroga. Mi chiedo che cos'altro avrebbe Pag. 12dovuto fare questo Governo, che pure nei rapporti con l'Europa e con i mercati finanziari mette al centro i temi che a voi stanno a cuore, che sono quelli della crescita e dell'occupazione. Questo è chiaramente il tema chiave di tutto il DEF.
  A meno di pensare che, facendo più debito, si risolva il problema del debito. Questa è una favoletta che gira, una stupidaggine. Si può modulare in maniera diversa nel tempo, come il Governo sta cercando di fare, il piano di rientro. Si può dire che si debba rientrare più lentamente, che è quello che mi sembra stia cercando di fare il Governo.
  A me pare che chiedere al Governo di aprire una vertenza dura con l'Europa da parte di un grande sindacato sia un punto di riflessione sul quale chiedo qualche ulteriore chiarimento. Sicuramente voi vi renderete conto che questa è una strada molto difficile da percorrere nelle attuali condizioni, nonché pericolosa per il Paese.

  WALTER RIZZETTO. Grazie presidente, spero di non essere troppo lungo ma mi deve concedere quantomeno una brevissima riflessione. È stato veramente interessante, e comunque non è solito, avere i segretari generali e i segretari confederali delle principali sigle dei sindacati italiani qui in audizione.
  Prima si parlava di politica industriale. Io voglio ricordare ai sindacati che l'unica politica industriale fatta negli ultimi anni in Italia è stata la politica industriale dello Stato, che ha dato soldi alle aziende. Evidentemente lo Stato ha fallito in questo e le stesse aziende hanno fallito, in quanto non si è creato uno spirito dell'imprenditore rispetto a una politica industriale, salvo poi avere delle aziende che, dopo aver attinto abbondantemente dalla collettività in termini di denari, adesso si trovano in stato di crisi e la soluzione principale che vogliono attuare è delocalizzare, se non chiudere.
  Per quanto riguarda i programmi dell'occupazione, mi sono segnato qualche appunto su ciò che ho sentito mentre i segretari parlavano. Non esiste né nel decreto-legge Poletti, né in questo Documento di economia e finanza alcun programma per l'occupazione. Non esistono più nel mondo del lavoro italiano politiche attive verso il lavoro stesso. Esiste qualcosa – poco, in realtà – per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, che tocca la cifra record del 44 per cento. Non esistono prospettive per quanto riguarda i 40-50-60enni, massacrati dalla manovra Fornero di un paio di anni fa.
  Si scommette, dunque – ne sentivo parlare prima dal segretario Bonanni, se non ricordo male – sulla domanda estera e non si scommette più sulla domanda interna. In seno a questo consesso nessuno parla più, per esempio, in Italia di corruzione, che tocca anch'essa la quota record di 60 miliardi di euro all'anno.
  I sindacati hanno dipinto un quadro, ma non ho sentito, purtroppo, proposte propedeutiche al cambiamento. Chiedo, a questo punto, dove siano le misure anche da parte dei sindacati, che molto spesso, pur essendo partner di queste decisioni, non si sono espressi rispetto, per esempio, al Patto di stabilità degli enti, al Patto di stabilità dei comuni, e nemmeno a una misura che potrebbe essere a costo zero e che si chiama sburocratizzazione del mondo del lavoro. Si sono espressi poco, come lo stesso Governo, anche sull'abbassamento e sull'abbattimento del cuneo fiscale.
  Dove sono, mi chiedo, i 200.000 posti di lavoro promessi dal decreto-legge n. 76 del giugno dell'anno scorso ? Pensiamo di rilanciare l'occupazione giovanile solo attraverso un provvedimento che si chiama Youth Guarantee ? Sicuramente la garanzia ai giovani è molto interessante, ma evidentemente non sufficiente.
  Non si parla di evasione fiscale, non si parla di rischio idrogeologico e non si parla, per esempio, in base alla normativa europea, la direttiva europea 1999/70/CE, del precariato della pubblica amministrazione e, nello specifico, delle scuole italiane, in cui la gran parte degli insegnanti non riesce a programmare il proprio futuro perché è precaria. Si dice semplicemente che in questo frangente, a due anni esatti dal documento che l'allora Ministro Pag. 13Passera consegnò nelle mani del Presidente della Repubblica Napolitano, basato sull'austerità, l'austerità non paga più. C’è ancora qualcuno all'interno della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica che fa proseliti rispetto a quel documento. Adesso, però, l'austerità non va più bene, quando, non più tardi di ventiquattro mesi fa, c'era un documento che parlava chiaro in questi termini.
  Noi notiamo e sottolineiamo con piacere, a questo punto, che anche i sindacati vogliano dire la propria sul fiscal compact. Ricordo sempre che oggi viviamo in un Paese in cui permettiamo a 40.000 persone di acquisire una pensione in base a una legge, la n. 252 del 1974, che si chiama legge Mosca. Noi viviamo ancora in questo Paese e nessuno fa nulla. Questa è ancora una legge vigente. Se magari qualcuno vorrà darle un'occhiata per recuperare qualche denaro, effettivamente lì si potrebbe fare.
  Lo sviluppo, quindi, sembra essere delocalizzato e direttamente proporzionale a quanto noi andremo a risparmiare soltanto con la spending review. In sostanza, le uniche coperture che noi siamo in grado di riuscire a portare fuori sono quelle della spending review. Vedremo nei prossimi anni se basandoci solo su questo tipo di coperture si riuscirà a fare una cosa buona e giusta.
  CGIL pensa, tra l'altro, che serva una politica espansiva. Indico ai sindacati, ma loro lo sanno meglio di me, che nelle crisi aziendali di questo momento esistono sì i contratti di solidarietà difensivi, ma anche i contratti di solidarietà espansivi, che mai probabilmente sono stati applicati.
  Non deve più esistere un Paese in cui le aziende pagano fino al 67 per cento di tasse e in cui è molto semplice, come ho detto prima, delocalizzare.
  Ricordiamo – ho sentito una frase forte del segretario Angeletti – che chi evade e non paga i contributi, come lui prima ha detto dello Stato italiano, in Italia va arrestato. A questo punto, se qualcuno dello Stato non paga i contributi, va arrestato. Non ci sono dubbi.
  Chiudo con una domanda secca: vorrei sentire una proposta da parte dei sindacati, perché non l'ho sentita, e vorrei capire anche quando i sindacati, anche al di fuori – so che l'avete già fatto, ma vi invito a rifarlo, in maniera sicuramente civile – verranno con noi a manifestare in piazza tutto il loro dissenso rispetto sia al decreto-legge Poletti, sia a questo provvedimento che stiamo per andare ad analizzare.

  GIANNI MELILLA. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il DEF stima per quest'anno un'ulteriore contrazione dell'occupazione, credo dello 0,2 per cento. Per quanto riguarda, invece, il tasso di disoccupazione, c’è una crescita nel 2014 di un ulteriore 0,4 per cento, che porterà a una cifra record del 12,8 per cento.
  Avendo ascoltato con molto interesse le proposte dei sindacati, vorrei chiedere in particolare alla CGIL della vostra proposta del Piano del lavoro, che fu illustrata, credo, un anno fa e ha avuto poi ulteriori approfondimenti tematici successivamente. Analoga cosa hanno fatto anche la CISL e la UIL su versanti diversi, ma altrettanto interessanti. Vorrei capire, rispetto a questo DEF, come la vostra proposta possa essere compatibile e come possa essere resa coerente con un disegno di sviluppo e di crescita. Oppure pensate che non ci sia assolutamente possibilità, nel quadro di queste scelte, di una politica volta a favorire la crescita del nostro Paese, in particolare dell'occupazione ?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica, in ordine inverso rispetto alle relazioni svolte.

  GIOVANNI CENTRELLA, segretario generale UGL. Noi ci stiamo occupando, come organizzazioni sindacali, non solo di rispondere, ma anche di fare proposte, tanto che più di una volta abbiamo detto che, secondo noi, il rilancio del Paese parte da una riforma fiscale vera, che faccia pagare di più a chi ha di più, che parta dal quoziente familiare, perché in Italia sembra che paghino di più le famiglie Pag. 14con più persone che non quelle con meno persone. Il provvedimento sugli 80 euro, se, così come lo si legge, è quello definitivo, sarà anche questo analogo: andrà a vantaggio più di chi è single che non delle famiglie.
  Alcune delle considerazioni che ha svolto il deputato del MoVimento 5 Stelle ci trovano pienamente d'accordo. Crediamo anche che ci sia bisogno di discutere di più dell'occupazione di questo Paese. C’è bisogno di discutere di più, come diceva bene prima Luigi Angeletti, anche della tassazione di questo Paese. È stata tolta una tassazione sulla casa, ma saranno introdotte talmente tante altre tassazioni per i bilanci dei comuni, che avranno una maggiore incidenza sulle tasche degli italiani, come dicevo prima, sempre dei soliti noti: operai, impiegati e pensionati.
  A noi preoccupa questo e su questo tema ci confronteremo anche con le forze politiche presenti qui in Parlamento.

  LUIGI ANGELETTI, segretario generale UIL. Noi abbiamo fatto, non da oggi, alcune proposte seguendo uno schema. Negli ultimi anni il reddito complessivo del Paese ha perso all'incirca 100 miliardi di euro. La quantità di reddito sotto la voce di spesa pubblica non è diminuita e, quindi, chi ha «pagato» sono sostanzialmente gli altri, i cittadini normali. Ovviamente, quelli che hanno perso il lavoro hanno pagato più di tutti e quelli che hanno visto aumentare un po’ la propria tassa sulla casa hanno pagato un po’ di meno, ma questa è la sostanza.
  La spesa pubblica, secondo noi, può essere ridotta di un po’ – non in maniera eclatante – senza che sia ridotta in alcun modo la quantità dei servizi che debbono essere erogati ai cittadini e alle imprese. Come ? Facendo una serie di scelte. Due le ho illustrate e non sono secondarie. Una è quella di accorpare le società pubbliche, perché c’è un'oggettiva economia di scala. Avremo un po’ di amministratori in meno, capisco il loro personale problema, ma, purtroppo, non possiamo farci carico di tutto. Inoltre, dovremmo applicare, e non solo menzionare, i costi standard, perché non sono stati applicati. Anche queste non sono operazioni che non provocano problemi, ma li provocano a quella parte di persone che sinora non ne ha avuti. Questo consentirebbe di ridurre la spesa pubblica in maniera selettiva, cioè nell'unico modo che abbia un senso.
  L'alternativa è stata quella, praticata, di colpire in maniera orizzontale pensionati e lavoratori pubblici. Se andate a vedere dove sono stati fatti i risparmi, essendo la spesa pubblica corrente un po’ diminuita, vi rendete conto che questa riduzione della spesa pubblica è avvenuta per il blocco del turnover, il blocco dei contratti, e per la mancata indicizzazione delle pensioni.
  Questa non ci sembra una strada, non dico equa, ma neanche efficace, perché il risultato è stata una compressione della domanda interna. La selezione nella riduzione della spesa pubblica è un passaggio assolutamente fondamentale. Oltre a tutte le proposte che abbiamo già prodotto, possiamo anche fornirne altre su come agire in questo campo.
  Sarò noioso, ma a me non sembra che le organizzazioni sindacali, e tanto meno la UIL, in tutti questi anni abbiano fatto mancare proposte specifiche su come cercare di contrastare il problema principale, che è quello dell'evasione fiscale. L'illegalità e la corruzione sono ampliate, o rese maggiormente possibili, grazie al fatto che si può evadere con relativa facilità. Le due cose sono strettamente intrecciate tra loro.
  Noi abbiamo fatto, a nostro avviso, quello che ci sembrava essere utile, non solo per gli interessi dei cittadini e dei lavoratori, ma anche per la gestione della «cosa pubblica». Siamo preoccupati del fatto che, se non riusciamo a fare cose intelligenti e razionali, sarà il bene pubblico in sé che verrà colpito, perché alla fine lo Stato non avrà i soldi per garantire dei diritti e delle prestazioni che sono di assoluta civiltà.
  Per tale ragione riteniamo che la riduzione della spesa pubblica – chiamiamola così – improduttiva, o perlomeno di quella parte di cui si può obiettivamente fare a Pag. 15meno, sia un fattore essenziale e che sia strettamente collegata alla questione della lotta all'evasione fiscale.
  Negli ultimi anni noi non abbiamo mai fatto mancare la nostra critica e la nostra mobilitazione alle scelte dei Governi. Ovviamente, se viene considerata come critica visibile quella di fare azioni semi-insurrezionali, vi dico che abbiamo cercato di evitarle. Pensiamo, infatti, che nel Paese tendenzialmente normale verso il quale vorremmo incamminarci non si debbano fare sistematicamente tre o quattro scioperi generali e manifestazioni a Roma per ottenere cose che, secondo noi, dovrebbero essere ottenute con normali manifestazioni e pressioni, che devono essere esercitate sulle forze politiche, sul Parlamento e, ovviamente, sul Governo.

  RAFFAELE BONANNI, segretario generale CISL. Anch'io mi voglio soffermare su ciò che diceva l'onorevole Rizzetto. Non è che non ci siano le nostre proposte. In verità, sono cinque anni che noi denunciamo il fatto che la corruzione mangia gran parte dei soldi per lo sviluppo. Ci sono testimonianze su decine e decine di iniziative che avvengono in tutta Italia di sabato, la sera, per denunciare quello che accade alla sanità negli enti locali. Ora è più facile discuterne, ma allora si veniva presi per visionari. Basta andare a vedere le cronache di quel periodo.
  Comunque, le proposte che noi facciamo da diverso tempo per ridurre la spesa pubblica improduttiva e le ruberie consistono nell'intervenire – non mi pare che ci sia indecisione su questo tema – sulla standardizzazione dei costi e sulla verifica di tutte le convenzioni (negli ospedali, negli enti locali e via elencando), le concessioni e le esternalizzazioni che ci sono.
  Occorre rivedere la vicenda delle stazioni appaltanti, che sono 30.000. In Francia non superano il centinaio. Noi abbiamo 30.000 stazioni appaltanti: in sostanza, ciascuno è stazione appaltante. Ci lamentiamo perché non va avanti un'opera pubblica nel Paese. Questo avviene perché c’è una selva di ingranaggi che non partono mai. Io credo che si vada più dietro ad altre opportunità, che non a quella di fare le opere per la gente.
  C’è poi tutta la vicenda riferita alle municipalizzate, che noi riteniamo debbano essere molto modificate. Devono essere almeno regionalizzate, soprattutto nelle regioni medie e piccole. Chiediamo anche da diverso tempo di far sparire tutte le partecipate degli enti locali e delle regioni, che fanno solo debiti e lo sanno tutti. Al di là delle chiacchiere su questo fronte non si va avanti, ma è una battaglia, onorevole, che noi portiamo avanti da anni e anni.
  Sul versante dell'evasione, i sindaci che non dimostrano di aver ottenuto risultati sull'evasione fiscale non devono avere l'autorizzazione ad aumentare le addizionali. È una questione che noi poniamo di volta in volta, ma che non viene introdotta perché tanto, alla fine, c’è il bancomat delle persone cui attingere, anziché andare a disturbare gli evasori indisturbati.
  Quanto alle vicende di Giovannini – ma l'avevamo detto anche con la Fornero e con gli altri prima – c’è l'idea, stramba, che noi facciamo occupazione attraverso la revisione dei contratti di lavoro e dei rapporti tra imprese e lavoratori. Questa è un'idea che noi abbiamo giudicato sempre stramba. I posti di lavoro vengono dalla buona economia, dall'intervento sui fattori di sviluppo, non da questi. Anche noi ci siamo lamentati di questo aspetto e abbiamo detto che si trattava di un modo per prendere in giro la gente. Si continua, però, su questo versante.
  Infine, io sono molto d'accordo sulla considerazione che fare politiche industriali non significa dare soldi alle imprese. Solo gli italiani hanno fatto questo. Significa, invece, intervenire sull'energia, avere delle politiche sull'energia, per un Paese manifatturiero come il nostro. Non c’è ancora un piano energetico nel Paese e neanche per quanto riguarda le infrastrutture e la giustizia civile. Sono tutti temi importanti questi, come le tasse per le imprese, che noi riteniamo almeno di dimezzare per chi reinveste gli utili. Io sono molto d'accordo con la considerazione Pag. 16che fare politiche industriali non significhi dare soldi alle imprese, bensì creare le condizioni per le imprese di investire, con riferimento a investitori sia stranieri, sia italiani.

  DANILO BARBI, segretario confederale CGIL. Noi pensiamo che ci sia un cambiamento, ma non la svolta necessaria. Ho detto esattamente queste parole. Noi apprezziamo alcuni provvedimenti fiscali, quali la restituzione fiscale ai redditi da lavoro, pur mancando analoga previsione per le basse pensioni, l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie, la riduzione dell'IRAP, come forma difensiva dell'occupazione. Pensiamo, però, che non ci sia una svolta nella politica economica e nella creazione di occupazione. Questo è il punto.
  L'amico Galli diceva: «Voi chiedete una vertenza europea al Governo, ma il Governo ha già fatto molto spostando l'obiettivo concordato dal 2014 al 2016». No, non ha fatto molto. Ha fatto il minimo indispensabile, perché questa procedura è prevista dalla stessa Commissione, certamente col voto del Parlamento, ma in modo automatico quando c’è una circostanza eccezionale di due anni con PIL negativo, il 2012 e il 2013. La domanda da fare è perché il Governo precedente non avesse fatto a sua volta la stessa operazione, se bisogna dire delle cose oneste. La procedura – nel DEF la trovate – è indicata in un protocollo secondario dello stesso fiscal compact.
  Noi diciamo una cosa precisa su questo punto, e vorremmo dirla ai parlamentari qui presenti: se si pensa che il massimo possibile sia questo e continuiamo così, questa Europa non starà insieme. Io dico come la penso: l'Europa non starà insieme, esploderà, perché l'attuale politica economica, a mio modo di vedere, è già in via di correzione silenziosa. Questo è evidente.
  Onorevole Galli, lei chiedeva come si faccia a risolvere il problema del debito con il debito. Io vorrei osservare, però, che quello che è stato fatto non ha risolto moltissimo il problema del debito, perché il debito italiano a livello nominale è cresciuto un po’, a livello reale è calato, ma a livello della ripagabilità, cioè in rapporto al PIL, è cresciuto abbastanza da Monti in poi, almeno del 10 per cento.
  La mia domanda, quindi, è rovesciata: ma a voi sembra che l'aver curato il debito abbia curato il debito ? A me non sembra proprio. Ha ammazzato l'economia, ma non ha affatto abbassato significativamente il debito rispetto alla ricchezza prodotta e alla sua ripagabilità.
  È questo il fallimento delle politiche dell'austerità ed è per questo motivo che vanno rimesse in discussione in un'Europa democratica, in cui non è possibile che tutte le politiche vadano bene, anche quelle fallimentari. Se si pensa di fare l'Europa così, si produrrà inevitabilmente la crisi dell'Europa, e il primo segnale arriverà presto, alla fine di maggio. Si vedrà che un'Europa che continui in questa direzione diventerà inaccettabile. Questo è chiaro come il sole.
  Questo è quello che noi pensiamo ed è quello che pensa il sindacato europeo. L'altro giorno, a Bruxelles, c’è stata la manifestazione del sindacato europeo su una nuova proposta del sindacato stesso: che non è più la critica dell'austerità, ma un piano di investimenti direttamente europeo, alternativo all'austerità, finanziato in un determinato modo, e per questo vi rimando al documento, che trovate sul sito della Confederazione europea dei sindacati – CES. Il piano prevede una spesa pubblica direttamente europea di 260 miliardi di euro all'anno per 10 anni sui settori strategici di intervento di Europa 2020. Come si vede, ormai è il movimento sindacale europeo che giudica l'attuale politica incompatibile.
  Detto questo, a chi ha chiesto quali siano le nostre proposte, per quanto ci riguarda, posso solo rispondere di fare una visita sul sito della CGIL e cercare il link al Piano per il lavoro. All'interno di questo troverete tante proposte, di cui una in particolare riguarda esattamente la disoccupazione giovanile. Come sapete, noi pensiamo che in merito si debba fare un intervento straordinario di creazione di lavoro, con programmi di pubblica utilità Pag. 17che occupino giovani e donne nei settori dei beni comuni, ossia dei beni sociali, ambientali e culturali. Pensiamo a programmi triennali e quinquennali di lavoro pubblico, pagato in modo decente, che creino certificazione professionale e titoli per fare i concorsi pubblici.
  Una delle nostre proposte interne al Piano per il lavoro è anche la creazione straordinaria di lavoro. Se ormai siamo a un livello in Italia per cui non si produce lavoro neanche creando lavoro, non lo produciamo attraverso l'attesa della ripresa del mercato e della crescita endogena, perché quella non ci sarà in modo sufficiente. Se non c’è una politica eccezionale dell'occupazione, bisogna dire al Paese con chiarezza che bisogna abituarsi a vivere con una disoccupazione sopra il 10 per cento. Quando il sistema politico dirà questo, allora saremo tutti a posto.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutte le delegazioni delle organizzazioni sindacali.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM.
  Do la parola al sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, in rappresentanza di ANCI e UNCEM.

  ALESSANDRO COSIMI, sindaco di Livorno. Grazie per quest'audizione. Noi abbiamo consegnato anche un documento, in modo che le nostre osservazioni possano rimanere puntuali, al di là delle cose che riuscirò a dire, tentando di essere il più breve possibile.
  Sul principio generale e sul programma delle riforme noi riteniamo di essere, da un punto di vista dello spirito che muove il DEF, convinti che vi siano elementi positivi. Soprattutto pensiamo che, anche rispetto alla questione riguardante la trasformazione del Senato, vi siano elementi, ovviamente da precisare, ma da considerare estremamente interessanti da un punto di vista anche della possibilità di riformulare proposte che abbiano una capacità di modernità e di sviluppo di una dimensione diversa e positiva del Paese.
  Abbiamo pensato di guardare dentro il dettato, con attenzione anche al punto che riguarda più precisamente un ridisegno complessivo del personale della dirigenza pubblica. Pensiamo che anche su questo ci siano elementi estremamente positivi, ma che ci sia forse la necessità di cogliere il bisogno vero di un'autonomia e di una responsabilità dei singoli enti, soprattutto nella gestione del personale e nelle condizioni di organizzazione. Questo in funzione del fatto che i limiti di bilancio e tutte le condizioni che rappresentano gli elementi del controllo possano e debbano essere da noi favoriti e accettati, fermo restando un principio che salvaguardi l'autonomia. Mi pare, però, che un coacervo di regole, che determina una sostanziale difficoltà burocratica anche all'interno delle organizzazioni, possa rappresentare un elemento che finisce per penalizzare lo spirito che è nel DEF.
  Per andare in ordine su interventi estremamente concreti, che sono stati rappresentati prima ancora del DEF come elementi di grande comunicazione e che hanno suscitato anche un interesse importante in mezzo ai cittadini, mi riferisco a due ordini di interventi: il Piano casa e il Piano dell'edilizia scolastica.
  Su questi temi noi – lo dirò in fondo, facendo delle richieste – poniamo l'attenzione all'esigenza di definire risorse congrue o, in alternativa, l'allentamento del Patto di stabilità.
  Mi vorrei esprimere con una battuta: noi ormai incontriamo cittadini che, a forza di ripeterlo, pensano che il Patto di stabilità o non ci sia più o sia stato allentato, ma in verità non è accaduta né l'una né l'altra cosa. Pertanto, si determina Pag. 18una condizione nella quale noi abbiamo una forte difficoltà a recepire lo spirito del Piano casa e soprattutto del Piano per l'edilizia scolastica, che ci hanno visti saltare anche un percorso di corpi intermedi per arrivare direttamente a un rapporto con il Governo.
  D'altro canto, abbiamo un problema di fondo, che credo sia quello che poi tutti si aspettano che noi citiamo. Partiamo da un punto: la dinamica della finanza pubblica ha determinato in maniera molto chiara numeri che figurano anche tra quelli citati dal DEF. Abbiamo una spesa pubblica totale della quale noi rappresentiamo esclusivamente il 7,6 per cento, abbiamo il 2,5 per cento del debito totale e, peraltro, vorrei ricordare che i nostri debiti sono fatti solo per investimenti.
  Dal 2007 al 2014 noi abbiamo contribuito al risanamento della finanza pubblica per 16 miliardi di euro, di cui 8,7 in termini di Patto di stabilità e 7,3 in termini di riduzione dei trasferimenti. Faccio presente che abbiamo, quindi, un avanzo, ossia una differenza tra entrate e spese, pari a 1,667 miliardi di euro.
  Vorrei precisare che altri comparti non hanno ottenuto questi risultati, anzi, la spesa corrente dello Stato registra un aumento dell'8 per cento rispetto al 2008 e una condizione nella quale nel DEF non si ha un benchmark fra i vari comparti. Noi vorremmo che tale benchmark fosse inserito, perché, di fronte a una condizione nella quale si parla in maniera molto seria di spending review, non avere il confronto porta poi a seguire linee tradizionali di intervento. Su questo aspetto noi siamo fortemente preoccupati.
  In questo senso, quindi, noi riteniamo che il complesso delle principali entrate tributarie locali debba essere portato a comporre quel coacervo, che è ancora un po’ in confusione in questa fase, che riguarda la tassazione locale e che deve essere definito. Lo preciso perché nel DEF è citato più volte un principio di autonomia sostanziale che, senza un elemento di finanza definita, io non credo possa essere attuato, ma al limite esclusivamente citato.
  Ci sono vari temi che vorrei affrontare. Per brevità, ne affronto uno solo, perché ho sentito, mentre attendevo, un intervento di un sindacalista importante in merito: il problema delle cosiddette municipalizzate.
  Noi abbiamo già chiesto da tempo un tavolo coordinato per poter attivare un percorso che dia un senso di competitività e di semplificazione e abbandoni quei tentativi, che spesso sono piuttosto fini a se stessi, di determinare con una norma percorsi che possano definire condizioni che migliorino la situazione attuale.
  Noi non abbiamo interesse a mantenere le partecipate come elementi di potere locale. Abbiamo bisogno, però, che ci sia un percorso che riconosca due grandi princìpi: il primo è che esse fanno parte del patrimonio dei comuni. Quando sento dire che le municipalizzate devono essere perlomeno regionalizzate, mi sembra che non si abbia ben chiara l'idea della competitività. Non credo, infatti, che il problema possa essere risolto regionalizzando le partecipate.
  Mi pare poi che ci debba essere un elemento incentivante e che ci debbano essere norme che garantiscano il lavoro, ma su questo fronte possiamo, secondo me, anche dallo stesso DEF ottenere una spinta molto importante.
  In sostanza, non c’è un'indisponibilità dei comuni, che vogliono giocare una partita di potere locale, al contrario, ma ci vuole razionalità. Se si avvia il processo, come è successo anche altre volte, senza prendere atto che siamo di fronte a un patrimonio creato dai comuni, si determinano condizioni per cui si fa una bellissima legge senza ottenere alcun effetto.
  Insisto ancora una volta sul Patto di stabilità interno perché ho ascoltato anche nelle parole di chi è intervenuto prima di noi la preoccupazione per gli investimenti. Con questo Patto di stabilità i comuni sono paralizzati negli investimenti. C’è un punto sul quale è inutile discutere: o lo si cita come fatto positivo, nel senso di dire «Si rompe il Patto qui, lo si allenta in questo punto», oppure conviene continuare a dire la verità, ossia che questo Pag. 19Patto di stabilità è fatto in una maniera tale per cui considerata la confusione sulle entrate da tassazione locale – mi riferisco anche alla questione delle aliquote, per esempio, per il 2015 – sappiamo che i comuni non faranno più alcun investimento e che, quindi, la capacità anticiclica degli enti locali non potrà essere utilizzata.
  Lo stesso vale per la questione dei fabbisogni standard. I fabbisogni standard non sono fatti per determinare un elemento di virtuosità. I fabbisogni standard sono fatti perché si possa arrivare ad avere un elemento da utilizzare come indicatore nello standard dei servizi di riferimento per una copertura integrale delle funzioni fondamentali dei comuni.
  Se questo è lo spirito, il dato sostanziale ritorna ancora alle cose che ho detto poco fa: non si possono utilizzare pezzi del DEF per avere una situazione nella quale il benchmark fra i vari comparti determini una condizione per cui paghino, in sostanza, gli enti locali che hanno già fatto un passaggio positivo in questo senso.
  Io chiuderei il mio intervento fornendo alcune indicazioni molto concrete, che sono nel nostro documento, ma che noi vorremmo fossero inserite dentro il DEF.
  Per esempio, suggeriamo un'integrazione per il DEF del 2014 sulla questione dei prospetti relativi ai singoli comparti, sia in termini di analisi dei risultati conseguiti, sia in riferimento alle proiezioni tendenziali per gli anni 2014-2018. Chiediamo di esplicitare la distribuzione della manovra di bilancio per singolo comparto, in maniera che questa valutazione dei contributi forniti al risanamento e all'impatto sui pesi relativi all'interno della pubblica amministrazione influenzi anche lo spirito della spending review. Altrimenti si ritorna, lo ripeto, ancora una volta a colpire quelli che magari hanno già fatto uno sforzo.
  Suggeriamo poi di fornire una valutazione del grado di sostenibilità ed equità della manovra per ciascun comparto, di avviare un immediato confronto per assegnare l'intera imposizione immobiliare ai comuni dal 2015 e di fornire gli strumenti e le procedure per gestire in modo efficiente il sistema catastale. Anche questa questione non è più rinviabile. Ogni anno viene richiamata, ma sostanzialmente non la si affronta mai. O lo facciamo o non la richiamiamo più.
  Continuando, proponiamo di individuare una soluzione certa e definitiva dei problemi posti dai comuni in relazione al Patto di stabilità interno, garantendo una sua revisione a partire dal 2015; di porre sin d'ora la questione dell'utilizzo dei fabbisogni standard per finalità diverse da quella della costruzione di un efficiente ed equo modello di perequazione delle risorse dei comuni; di prevedere, in vista dell'entrata a regime nel 2015 della riforma della contabilità, un percorso di accompagnamento di natura finanziaria che consenta agli enti di rendere graduale e sostenibile per i bilanci l'applicazione delle nuove regole contabili; di promuovere una gestione efficiente dei servizi pubblici locali.
  Torno, con riferimento a questo ultimo aspetto, al dato di predisporre un sistema di regole che incentivi i processi di aggregazione e di razionalizzazione, questione che noi poniamo proprio per non dare la sensazione che si tratti di un reservoir di potere dei comuni.
  Infine, proponiamo di definire congrue risorse e procedure rapide per l'attuazione del Piano per l'edilizia scolastica e del Piano casa, che hanno suscitato moltissime aspettative e che oggi, ovviamente, rappresentano, all'interno delle aspettative dei cittadini, un momento sul quale noi siamo chiamati a fornire risposte, ma non abbiamo strumenti per farlo.
  Mi scuso se mi sono dilungato, ma mi premeva trasmettere perlomeno il senso di un'approvazione complessiva del DEF, ma anche di una preoccupazione su una concretezza che forse in alcuni punti stentiamo a vedere.

  PRESIDENTE. Grazie, sindaco Cosimi.
  Do la parola ad Alessandro Pastacci, presidente della provincia di Mantova.

  ALESSANDRO PASTACCI, presidente della provincia di Mantova. Buonasera a tutti. A nome delle province, oggi sicuramente Pag. 20in una posizione non semplicissima, ma in realtà ancora organo di riferimento sulla gestione territoriale, devo dire che il giudizio complessivo sul DEF è un giudizio che evidenzia lo sforzo di cercare di conciliare una politica delle riforme con una politica che inizia ad abbozzare alcuni elementi di crescita. Questo nel tentativo di fornire una risposta agli elementi fondamentali che ammontano per noi a uno, credo condiviso a tutti i vari livelli, ossia quello del lavoro e, quindi, del valore economico che complessivamente sta all'interno del Documento di economia e finanza.
  Aggiungo che nell'analisi generale del documento, a fianco di alcuni provvedimenti – come quelli sul Titolo V, sulla riforma del Senato e sulla riforma delle province – che si ritengono fondamentali per garantire livelli di governabilità del Paese come elementi ormai obsoleti, noi riteniamo essenziale che si affronti al più presto una riforma dell'articolo 131 della Costituzione, in cui vengono elencate le venti regioni.
  Probabilmente bisogna ripensare degli aggregati regionali che possano effettivamente portare a una ridefinizione degli ambiti amministrativi territoriali di area vasta e, quindi, fornire una risposta più adeguata alla gestione del territorio, rendendo i diversi livelli di governo più omogenei tra di loro. A oggi essi non lo sono, essendoci una regione con quasi 10 milioni di abitanti e una con poco più di 310.000, più piccola di molte province.
  Questi sono elementi sui quali noi ci interroghiamo. A questo discorso si lega anche quello relativo ai tanti enti intermedi che, purtroppo, oggi troviamo e vediamo con difficoltà rispetto alle indicazioni previste in questo documento, o in altri che sono stati annunciati, che fanno riferimento all'accorpamento, alla ridefinizione e alla riattribuzione di tali organismi intermedi, passando dagli ATO, alle comunità montane, ai BIM, alle Agenzie regionali. Sono tutti soggetti che oggi esistono e che domani dovrebbero fare riferimento a un unico ente territoriale, che però, a seguito della riforma prevista dalla legge n. 56 del 2014 per quanto riguarda le province, nonché all'impianto della riforma costituzionale, a oggi pone molti seri dubbi rispetto a quello che sarà lo scenario di riferimento per gli enti territoriali, in particolare per i comuni.
  Noi ci preoccupiamo direttamente anche degli enti locali a noi estremamente vicini perché questa è gestione del territorio, rispetto a quello che stiamo vedendo dopo l'approvazione della citata legge n. 56, la quale prevede già una progressiva ripresa delle competenze regionali in capo alle regioni. La preoccupazione, che si sta evidenziando già in diverse regioni, è quella di un sostanziale aumento delle Agenzie regionali per la gestione sul territorio.
  Peraltro, questa preoccupazione era stata espressa e non voleva essere conseguenza della riforma costituzionale relativa alle province, richiamata in precedenza. Sottolineiamo che questo può essere un elemento di estrema pericolosità nel quadro economico finanziario che può delinearsi all'interno del percorso del DEF 2014 e della previsione pluriennale.
  Vorremmo aggiungere che in questa condizione temporanea, in previsione della riforma costituzionale, le province esistono in quanto vero e proprio contenitore amministrativo, con riferimenti molto precisi nella revisione delle funzioni.
  Evidenziamo anche che dal 2008 al 2013 le risorse disponibili si sono ridotte in maniera consistente, arrivando a una riduzione complessiva del 27 per cento delle risorse e delle disponibilità degli enti. Ricordiamo, però, che le funzioni, i chilometri di strade e il numero degli edifici scolastici sono rimasti i medesimi. Questo ha generato un'ulteriore serie di problemi.
  Tali problemi sono aumentati dal momento che nella base di calcolo del Patto di stabilità, anche nell'ultima ridefinizione 2009-2011, non si tiene conto di questa forte riduzione delle risorse disponibili, che va a incidere sulla capacità di intervento rispetto ai saldi che sono stati attribuiti e che sono quintuplicati dopo gli interventi del 2011-2012 del Governo Monti.Pag. 21
  Noi riteniamo che questi siano elementi che devono essere considerati con maggiore attenzione, altrimenti rischiamo di ridurre ulteriormente e fortemente la capacità di intervento sul territorio per quanto riguarda gli interventi in conto capitale.
  Nel quadriennio 2010-2013 la spesa corrente delle province si è ridotta di oltre l'11 per cento. Sarebbe interessante comparare questo dato con quanto è successo negli altri livelli per rendersi conto effettivamente dello sforzo che è stato fatto.
  Come veniva sottolineato da parte dell'ANCI, anche con riferimento alle spese in conto capitale vi è stata una riduzione. C’è stata una sostanziale inversione, molto positiva, che nel DEF dovrebbe essere tenuta estremamente in considerazione. Questa inversione è avvenuta a seguito del decreto-legge n. 35 del 2013, cosiddetto Sblocca crediti, che ha visto gli enti intermedi, ossia l'ente provinciale, assolvere, in quasi tutti i casi, al pagamento delle pendenze in corso e, quindi, rientrare nei dettami della normativa comunitaria. Per moltissimi enti è stato possibile riallineare i tempi di pagamento rispetto al formarsi della spesa. Soprattutto tra il 2012 e il 2013 c’è stato un riavvio degli investimenti. Questo è sicuramente un segno positivo, ma abbiamo una forte preoccupazione che non possa essere mantenuto e che non si possa stabilizzare con le indicazioni che sono state previste nel DEF. Non viene presa in considerazione, infatti, una rivisitazione del Patto di stabilità interno, soprattutto per quanto riguarda la qualità e la tipologia di spesa da parte degli enti.
  A questo aggiungo che proprio nel Patto di stabilità non viene nemmeno preso in considerazione un elemento che io ritengo fondamentale per il nostro Paese, ossia che le quote di finanziamento da parte degli enti territoriali o delle amministrazioni regionali relative alle progettualità finanziate da fondi comunitari possano essere contabilizzate al di fuori del Patto di stabilità. Questo è un elemento fondamentale, che può permettere di riattivare con maggior forza un utilizzo più massiccio di fondi comunitari grazie al fatto che la quota di cofinanziamento dell'ente territoriale esce dal Patto di stabilità.
  Nella riduzione del debito vi è stata un'importante azione degli enti territoriali. Una delle rilevanze positive, a differenza delle tre negative di regioni, comuni e province, è proprio quella dello Stato.
  Proprio alla luce di questo, oltre che un'apertura, come quella prevista nel DEF, molto positiva – cercheremo poi di comprenderla meglio – rispetto agli investimenti per quanto riguarda l'edilizia scolastica, su cui c’è un impegno ben preciso, noi vorremmo che vi fossero anche una maggiore attenzione e una maggiore possibilità di intervento – o con risorse aggiuntive, o con risorse a disposizione ma oggi bloccate all'interno degli investimenti rilevanti ai fini del Patto di stabilità – relativamente al sistema infrastrutturale viario di questo Paese.
  Il sistema infrastrutturale oggi ha livelli di qualità molto alti nel momento in cui è a pedaggio, mentre presenta livelli molto scarsi, anche di sicurezza, nel momento in cui non è a pedaggio, con riferimento agli oltre 130.000 chilometri della rete provinciale, cui si aggiungono quelli della rete comunale.
  Oltre agli interventi sull'edilizia scolastica e a quelli che hanno rilevanza per il riassetto idrogeologico, io credo che vi sia la necessità urgente, dal punto di vista sia dell'economia del Paese, sia della politica di sicurezza, nonché, per alcuni versi, dell'intervento anticiclico che gli enti possono mettere in campo, di mantenere un patrimonio che oggi rischia di essere completamente perso perché oggetto di poca e scarsa manutenzione ordinaria, la quale non è sufficiente a risolvere i problemi che interessano, purtroppo, una buona parte del territorio italiano.
  Aggiungo, in conclusione, che ci sono alcuni interventi fondamentali per preparare una dimensione di area vasta di maggiore efficienza nel rapporto gestionale del singolo comune, o dei comuni delle aree di riferimento. Quando avremo capito quale sarà questo quadro e quali saranno le infrastrutture che insistono su Pag. 22un dato territorio, probabilmente occorrerà da subito un intervento massiccio, anche fuori dal Patto di stabilità, per l'efficientamento energetico e la riqualificazione degli edifici. Questo intervento determinerebbe un doppio beneficio con effetti rilevanti anche sulla riduzione della spesa ordinaria.
  Un intervento che è stato citato e ulteriormente sottolineato nella nuova legge per quanto riguarda le province, ma che da diversi enti è già stato messo in campo, è quello sulla razionalizzazione delle stazioni appaltanti. È un intervento fattibile e possibile. Ci sono casi virtuosi in Italia che lo stanno già effettuando a nome e per conto dei comuni da parte delle province. Occorre identificare le province quali contenitori di riferimento per alcune economie di scala e soprattutto fornire una risposta forte e concreta alle realtà molto piccole, in cui le procedure amministrative stanno avendo un rilevante peso, soprattutto in realtà in cui le unioni dei comuni o le fusioni sono più complesse da poter realizzare.
  Io credo che in questa fase un utilizzo ulteriore e forte dell'ente provinciale possa essere importante, con un indirizzo forse più forte nei confronti degli enti territoriali, per poter sfruttare al meglio questi servizi.
  Naturalmente, un riferimento non può che andare ai fabbisogni standard, ma devo sottolineare che l'aspetto più importante in questa fase di transizione verso quella che potrà essere la riforma costituzionale è sicuramente l'avvio di un processo forte di eliminazione di tutti gli enti intermedi, facendoli ritornare, come punto di riferimento, nei contenitori oggi costituzionalmente rilevanti, che sono i comuni e le province, a livello locale.
  Faccio sempre questo riferimento anche per il mio passato da amministratore e da sindaco, dal momento che il processo futuro non ci offre punti chiari rispetto a dove stiano andando i comuni e le province rispetto agli enti di area vasta e mi preoccupo molto per la perdita di potere delle autonomie locali.
  Concludo, ricordando che uno degli elementi fondamentali è il Patto di stabilità, che determina una mancanza di investimenti, la quale riduce poi il potere di impatto della crescita nel nostro Paese.
  Vi ringrazio per la possibilità di intervenire in audizione e vi auguro buon lavoro.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Pastacci.
  Darei ora la parola solo al relatore sul DEF, onorevole Misiani, che, a nome di tutti i Gruppi, porrà un quesito.

  ANTONIO MISIANI. Ho una domanda relativa ai contenuti del DEF. Nel Programma di stabilità, a pagina 122, si descrivono a grandi linee gli obiettivi di risparmio della spending review per quanto riguarda anche il comparto degli enti locali e dei comuni in particolare, ponendo l'obiettivo di risparmi di spesa di circa 600-800 milioni di euro nel 2015 e di 2,3-2,7 miliardi di euro nel 2016. Tali risparmi sono legati all'applicazione dei costi standard per la determinazione dell'ammontare dei trasferimenti ai comuni, cosa che, peraltro, era già prevista per l'anno in corso nella misura del 10 per cento del Fondo di solidarietà comunale. In assenza dell'intesa in sede di Conferenza Stato-città, tale misura è stata rinviata all'anno prossimo. Avrei bisogno di una vostra valutazione in merito.
  Aggiungo un ulteriore elemento, che non è presente nel DEF, ma nel documento presentato dal Commissario Cottarelli a marzo sulla spending review. Vi figura un obiettivo a regime, nel 2016, di taglio di 2 miliardi di euro dei trasferimenti alle società controllate e partecipate dagli enti locali. Sulla razionalizzazione dei 5.511 organismi, secondo la Corte dei conti, tra controllate e partecipate, c’è consenso unanime. Mi servirebbe una valutazione sulla sostenibilità o meno di questo importante obiettivo di risparmio sul versante delle società.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

Pag. 23

  ALESSANDRO COSIMI, sindaco di Livorno. Vorrei provare a rispondere, ma non ho una risposta completa, spero vi accontenterete.
  Io ritengo che ci siano alla base di questa riflessione due questioni diverse. La prima è che la metodologia basata sui fabbisogni standard era nata con un'idea, con una modalità, che era completamente diversa. Oggi essa viene utilizzata come elemento di discrimine e, come tale, pone un'ipotesi di risparmio che noi abbiamo valutato in maniera molto inferiore a come è stata valutata dal Commissario Cottarelli.
  Noi pensiamo, infatti, che con questa metodologia sia possibile avere un risparmio di circa 800 milioni di euro e non di 2,250 miliardi di euro, come quelli richiesti dalla norma già per il 2013. Il ragionamento che abbiamo fatto è ancora più valido per la progressione del taglio da spending review, pari a 2,5 miliardi di euro per il 2014, a 2,6 miliardi di euro per il 2015 e a 2,875 miliardi di euro per il 2016 e il 2017.
  Noi riteniamo che queste condizioni non siano possibili per le ragioni che ho provato a esporre poco fa, ossia perché i comuni hanno contribuito oltremodo al risanamento dei conti pubblici e alla razionalizzazione della spesa pubblica. Secondo noi, non è accettabile e non è nemmeno – mi perdoni la parola bruttissima – credibile che i fabbisogni standard vengano utilizzati per fini diversi da quelli individuati dalla legge.
  Io ritengo che su questo aspetto l'idea del benchmark fra i comparti sia un elemento a monte di questa riflessione, che ci consentirebbe, avendo un confronto tra ciò che è stato erogato negli anni dal 2009 in poi, di rivisitare i contributi possibili.
  Sulla questione delle partecipate confermo che da parte nostra non c’è alcun elemento di rigidità rispetto a un sistema che ha avuto una sua funzione e che oggi può benissimo assumere un andamento di tipo completamente diverso. Il dato sostanziale, però, è che non riusciamo a far capire che bisogna partire dalla constatazione che non si può ope legis cancellare il fatto che questa materia è patrimonio dei comuni.
  È necessario avviare una riflessione. Intanto mi permetto di dire una sciocchezza, che mi passerete, perché è un esempio e, come tutti gli esempi, da una parte calza e dall'altra zoppica. Noi abbiamo il problema, nella riforma del Titolo V, di tutta l'ablazione della legislazione concorrente. Le potrei portare l'esempio di quello che succede nella riforma dei porti, rispetto alla legge n. 84 del 1994, in cui il rischio sostanziale è che il ruolo del comune sia assolutamente marginale. Bisogna creare una cornice quadro, una cabina di regia, all'interno della quale collocare un tavolo che veda impegnati il Governo, una quota importante delle regioni, per le competenze che hanno e non per altre aggiuntive, e che preveda un ruolo anche per i comuni. Ci vuole un tavolo con tre gambe, con un obiettivo prefissato dal Parlamento e dal Governo, sul quale si possa trovare un elemento di concordanza. Se si continua a ragionare in termini di strappi, io ho l'impressione che non si vada da nessuna parte.
  Ho portato l'esempio della riforma elettorale perché è un punto di forte contrapposizione fra gli obiettivi del Governo e quello che viene avanti anche in altre riflessioni e nei progetti di legge. Non cito l'articolo 117, per l'amor di Dio, non voglio ricominciare daccapo, ma alla fine o si cambia gran parte della Costituzione, oppure il fatto che la programmazione territoriale sia dei comuni, e non delle autorità portuali – anche se si chiamano di logistica – mi pare un elemento assodato. Lo stesso vale per le municipalizzate. Se c’è una cabina di regia e chiudiamo intorno a un obiettivo comune, si fa, secondo me, una cosa estremamente positiva.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sindaco Cosimi e il presidente Pastacci.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

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Audizione di rappresentanti dell'ABI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti dell'ABI.
  Ringrazio il direttore generale Giovanni Sabatini e la delegazione di ABI, composta da Gianfranco Torriero, Laura Zaccaria, Carlo Capoccioni, Maria Carla Gallotti e Ildegarda Ferraro.
  Do la parola a Giovanni Sabatini, direttore generale dell'ABI.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Grazie, presidente. Grazie, onorevoli, per l'opportunità di ascoltare l'ABI sul Documento di economia e finanza in questo momento. Capisco che siamo sotto un vincolo di tempo molto stretto, ragion per cui rinvierei per le parti più generali alla lettura della memoria che abbiamo predisposto e mi soffermerei su alcuni punti più specifici riguardanti i temi della fiscalità. Parlerò, quindi, dell'intervento sull'IRAP, della tassazione dei cosiddetti redditi di natura finanziaria, della delega fiscale e delle commissioni bancarie sulla riscossione dei tributi. Accennerei poi ai temi del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, delle nuove fonti di finanziamento per le imprese e delle misure per il lavoro.
  Cominciando dall'IRAP, il DEF delinea un articolato programma di interventi di taglio del cuneo fiscale per dare ossigeno a famiglie e imprese. Sicuramente l'aumento del reddito disponibile per le famiglie è un presupposto necessario per la ripresa a partire dai consumi.
  Nell'attesa di attuazione di misure più strutturali, il Governo ha annunciato l'intenzione di trasmettere un primo segnale nella direzione di un taglio dell'IRAP del 10 per cento. Questa misura si colloca in una serie di interventi correttivi di questa imposta, intervenendo però in maniera diversa da quanto è stato fatto finora. In particolare, i precedenti interventi avevano riguardato in modo specifico la detraibilità dall'IRAP del costo del lavoro. Sia la legge di stabilità per il 2014 sia quella dell'anno precedente, infatti, si erano focalizzate su misure di alleggerimento della componente del lavoro nella determinazione della base imponibile dell'IRAP.
  Secondo il nostro giudizio, questo dovrebbe essere il vero obiettivo per arrivare a una completa eliminazione del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP. Questo sarebbe un segnale significativo per l'evoluzione della normativa nella direzione auspicata da tutti gli operatori economici, misura che ripristinerebbe un equilibrio nel trattamento delle imprese indipendentemente dai fattori produttivi impiegati e, quindi, eliminando lo sfavore a carico delle imprese che più di altre creano occupazione.
  Dal nostro punto di vista, l'intervento sull'IRAP avrebbe dovuto prevedere anche, sempre nella direzione degli interventi già tracciati, alcuni elementi aventi effetti positivi sul fronte occupazionale, per esempio un incremento della quota annua deducibile per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato, con una particolare focalizzazione su quelle imprese, come, per esempio, le banche, che oggi sono più esposte alla concorrenza internazionale. Questo soprattutto alla luce della creazione dell'Unione bancaria e, quindi, di un terreno di gioco sotto tutti i punti di vista sempre più omogeneo.
  Un secondo tema è quello della tassazione dei redditi di natura finanziaria. Si evidenzia, come misura volta a coprire il fabbisogno derivante dalla riduzione dell'aliquota dell'IRAP, l'aumento della tassazione dei redditi derivanti dal risparmio. Secondo noi, questa misura si aggiunge a una serie di misure che si sono andate introducendo nel tempo, come la revisione dell'aliquota al 20 per cento, l'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie e gli interventi in materia di imposta di bollo, che hanno creato un forte clima di incertezza sul regime fiscale applicabile Pag. 25a queste tipologie di investimenti, incertezza che può anche disincentivare l'afflusso dei capitali esteri.
  Inoltre, dobbiamo evidenziare che questa è una materia che vede forti disparità tra diverse categorie di prodotti. In particolare, mi riferisco alla distorsione presente nell'attuale sistema tra il trattamento dei prodotti della raccolta bancaria e i buoni postali, discriminazione che deriva da tempi remoti, precedenti alla trasformazione in società per azioni sia di Poste italiane sia di Cassa depositi e prestiti. Si tratta di discriminazioni non più giustificabili, soprattutto alla luce del percorso di quotazione che dovrebbe portare in borsa anche Poste italiane S.p.a. Evidenzio soltanto che il divario di tassazione esistente oggi tra questi titoli è pari a oltre il 60 per cento: 12,50 contro 20 per cento. Un domani, se fosse confermato l'incremento al 26 per cento, la differenza andrebbe a oltre il 108 per cento.
  Peraltro, nel computo del peso della tassazione sugli strumenti finanziari va tenuto anche conto del peso dell'imposta di bollo e, quindi, le comparazioni a livello internazionale dovrebbero tener conto anche di questa componente. Nella memoria che vi abbiamo lasciato ci sono alcuni esempi che evidenziano come in realtà, sommando la nuova aliquota al 26 per cento e l'imposta di bollo, si arriverebbe a un'aliquota di imposizione di circa il 36 per cento.
  Un ulteriore elemento di discriminazione dalla proposta verrebbe anche in relazione agli strumenti di tipo azionario. Si arriverebbe all'assurdo per cui l'aumento dell'aliquota comporterebbe un aggravio in capo ai soci non qualificati, di fatto al piccolo investitore, ben superiore rispetto a quello di un azionista qualificato, ossia di un possessore di una partecipazione rilevante.
  Peraltro, questa è una misura che va nella direzione opposta rispetto ad altre pure indicate nel DEF, che sono volte, invece, a rafforzare la patrimonializzazione delle imprese, in particolare per quelle che hanno la possibilità di accedere ai mercati di quotazione. Pertanto, le due misure appaiono inconsistenti.
  In realtà, quando si fa riferimento alla tassazione di queste rendite rispetto a quanto accade in altri Paesi, si dovrebbe forse fare una riflessione più ampia e valutare se, invece di continuare a mantenere il regime che applica una tassazione secca attraverso una ritenuta alla fonte, non ci si debba spostare verso un modello più maturo, che preveda l'inserimento nel reddito imponibile di questi redditi, sottoponendoli a una tassazione progressiva, che peraltro consentirebbe anche di superare ab origine il problema della differenziazione tra prodotti.
  Un terzo tema per noi molto di rilievo è quello della rapida attuazione della delega fiscale. Il progetto di delega fiscale è stato condiviso dalle banche, come dalle altre imprese. È importante, a questo punto, la sua attuazione.
  A nostro parere, ci sono alcuni temi che dovrebbero avere priorità nell'attuazione della delega rispetto ad altri. Faccio riferimento, in particolare, al tema dell'adeguata disciplina del cosiddetto abuso del diritto. Oggi ci troviamo di fronte a un ricorso indiscriminato a questa categoria. I rilievi degli uffici vengono basati sull'esistenza di un generalizzato divieto di utilizzo improprio dell'ordinamento allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale e, quindi, questi interventi si moltiplicano e per importi di assoluto rilievo.
  Inoltre, questo problema è aggravato da due ulteriori caratteristiche nel nostro sistema. In materia sanzionatoria penale si considera reato non solo la frode fiscale o la simulazione, ma anche l'infedele dichiarazione. Questo per il semplice superamento di soglie quantitative che non sono nemmeno differenziate per classi dimensionali di impresa. Tutto ciò ha anche un ulteriore impatto negativo, perché i tempi per gli accertamenti vengono raddoppiati laddove ci sia il fumus del reato, ragion per cui si ampliano a dismisura le annualità che possono essere soggette a ulteriori accertamenti.Pag. 26
  Un altro tema che noi riteniamo importante che abbia rapida attuazione è il recepimento delle direttive comunitarie in materia di IVA di gruppo, al fine di consentire di non avere ricadute negative su gruppi societari organizzati in maniera strutturata con una molteplicità di società, rispetto a situazioni in cui esiste un'unica entità giuridica.
  Infine, non posso non sottolineare in questa sede che in questo momento, in cui le banche italiane sono impegnate in processi importanti di ricapitalizzazione e di confronto con discipline comunitarie particolarmente rigide e sottoposte all'esercizio di un comprehensive assessment, propedeutico alla realizzazione dell'Unione bancaria, le banche italiane sono sottoposte, rispetto ai loro concorrenti europei, a una tassazione che negli ultimi dieci anni è stata in media di 15 punti percentuali superiore e che è stata recentemente aggravata da una serie di misure contenute nella legge di stabilità. Faccio riferimento all'incremento al 130 per cento del versamento degli anticipi IRES e IRAP e all'addizionale straordinaria prevista per il 2014 dell'IRES dell'8,5 per cento. Sono tutte misure che in questo contesto, da un lato, indeboliscono la capacità di rafforzamento patrimoniale delle banche italiane e, dall'altro, sottraggono risorse e liquidità per l'erogazione di finanziamenti.
  Farei un velocissimo accenno a una delle misure previste nell'ambito della spending review, volta a riconsiderare la determinazione delle commissioni per le attività svolte dalle banche in sede di incasso dei tributi. Si tratta di una materia estremamente complessa, disciplinata da una convenzione tra l'Associazione bancaria italiana e l'Agenzia delle entrate, che è stata oggetto di una recente rideterminazione, con una riduzione di oltre il 20 per cento delle commissioni applicate e che non tiene conto di tutta la quantità di servizi che le banche italiane svolgono per conto della pubblica amministrazione, in gran parte non remunerati. Penso a tutte le procedure che vengono realizzate per poter fornire supporto nell'attività di accertamento all'Agenzia delle entrate e a Equitalia ma anche al Ministero della giustizia e alla magistratura, oltre a tutte le attività di contrasto alla criminalità finanziaria, che richiedono un impegno, uno sforzo e un continuo aggiornamento di procedure che oggi, nella quasi generalità dei casi, non trovano una remunerazione.
  Venendo a temi diversi rispetto a quelli della fiscalità, un tema particolarmente rilevante, su cui condividiamo l'impegno del Governo, è quello dell'accelerazione del processo di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione.
  Condividiamo anche le misure attualmente in atto per rendere più veloce sia la procedura di rilascio delle certificazioni, con tempi certi da parte delle pubbliche amministrazioni, soprattutto delle amministrazioni locali, sia una garanzia dello Stato sui debiti di parte corrente della pubblica amministrazione al momento in cui ci sia una cessione pro soluto a favore di intermediari finanziari e banche. Inoltre questo consente di valutare una possibile ristrutturazione delle condizioni di pagamento del debito, con un allungamento fino a cinque anni, o, in alternativa, anche con la cessione a Cassa depositi e prestiti di questi crediti. Tali misure possono sicuramente agevolare e soprattutto rendere certo l'intervento degli intermediari a sostegno dell'azione del Governo e delle risorse, altrimenti più limitate, che possono essere utilizzate per il pagamento diretto di questi debiti.
  Rimangono alcuni punti di attenzione, in particolare sulla materia delle certificazioni, perché, successivamente al rilascio della certificazione, la posizione dell'impresa che ha ricevuto la certificazione può mutare. Si pone, quindi, il problema di come poi la banca, in sede di sconto di questi crediti, abbia effettivamente, magari a distanza di qualche tempo dal rilascio della certificazione, la certezza del quadro in cui si inserisce il suo intervento.
  Svolgo un'ultima osservazione, sempre con riferimento a nuove fonti di finanziamento per le imprese e soprattutto a misure volte a rafforzarne la struttura patrimoniale attraverso iniezioni di nuovo Pag. 27capitale di rischio. Mi riferisco all'indicazione che viene di affiancare nuovi canali di finanziamento delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese. Noi condividiamo pienamente queste iniziative. Alcune sono già state realizzate. Penso al tema dei minibond e al mercato dei minibond, introdotto con il decreto-legge n. 145 del 2013, cosiddetto Destinazione Italia, che ha favorito anche, attraverso delle semplificazioni, l'emissione di questi strumenti. Noi riteniamo che questo vada nella giusta direzione per ampliare lo spettro di fonti di finanziamento per le piccole e medie imprese.
  Condividiamo anche altre iniziative. Cito quella della Consob, definita «Più Borsa», volta ad ampliare il novero di società che accedono, anche attraverso una semplificazione delle procedure, al mercato del capitale di rischio.
  Sono tutte misure che, peraltro, si inseriscono anche in un filone europeo. Faccio riferimento sia al Libro verde della Commissione europea, volto a individuare risorse e soluzioni per il finanziamento di investimenti a lungo termine, sia ad alcuni progetti di direttiva, in particolare quello relativo allo sviluppo degli European Long-Term Investment Funds.
  Un'ultima osservazione vorrei dedicarla al tema cruciale del lavoro. Il DEF, e in particolare il decreto-legge n. 34 del 2014 in tema di contratti di lavoro a termine e di apprendistato, ha introdotto delle misure che sono condivise dall'Associazione bancaria, come è stato espresso anche nella recente audizione alla Camera del 1o aprile scorso. Noi riteniamo che siano misure che effettivamente, aumentando la flessibilità in entrata, possono contribuire a una riduzione della disoccupazione giovanile.
  Noi riteniamo, quindi, che il decreto vada nella giusta direzione. Ci limitiamo, però, a evidenziare che, per esempio con riferimento al nostro settore, alcune misure, che pure erano già state adottate in sede di rinnovo del precedente contratto, non hanno potuto trovare piena attuazione. Mi riferisco, per esempio, alla cosiddetta solidarietà espansiva, cioè alla possibilità, a fronte della riduzione dell'orario di lavoro di lavoratori più prossimi alla pensione, di favorire con questi risparmi l'ingresso di giovani nel settore. Al fine di tutelare la posizione pensionistica dei lavoratori anziani, si tratta di consentire il versamento della contribuzione figurativa correlata a fronte della riduzione della prestazione lavorativa. Al momento non è possibile, in assenza di un riconoscimento a livello legislativo, realizzare questa possibilità. Questa misura è rimasta, quindi, ampiamente inattuata.
  Ancora, dobbiamo notare che purtroppo, nonostante gli accordi intervenuti col sindacato a dicembre per l'adeguamento dei Fondi di solidarietà, che sono fondamentali per la gestione delle riorganizzazioni di impresa per i settori che non sono assistiti dalla cassa integrazione guadagni, ancora oggi l’iter per l'emanazione del decreto che rende operative queste modifiche non è stato completato, nonostante siano passati quattro mesi.
  Presidente, io mi fermerei qui ma ovviamente sono a disposizione per rispondere a tutte le domande che gli onorevoli riterranno utile porci.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore Sabatini.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FEDERICO FAUTTILLI. Forse la mia è una domanda un po’ generale, ma, visto che nella nota che l'ABI ci ha presentato, in particolare nelle considerazioni conclusive, si fa riferimento a questa problematica, vorrei chiedere se, quando voi dite che il successo delle banche consente alle banche stesse di continuare a supportare famiglie e imprese e a finanziare l'economia reale, questo tipo di azione, in questi ultimi tempi di crisi, le banche, in Italia, l'abbiano svolta fino in fondo.

  GIAMPAOLO GALLI. Vorrei un parere sulla questione del 26 per cento applicato alle plusvalenze della Banca d'Italia, sulla quale mi pare che ci sia stato ieri anche un intervento del Governatore Visco.

Pag. 28

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, do la parola al direttore Sabatini per la replica.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Noi abbiamo sempre evidenziato che, considerato il modello di banca adottato dalle banche italiane, che è quello di banca commerciale dedita fondamentalmente a raccogliere risparmio e a erogare finanziamenti a imprese e famiglie, quando il ciclo economico è negativo, questo si riflette anche sulla redditività delle banche e, quindi, sulla loro capacità di erogare finanziamenti. In un contesto che ha visto in cinque anni due violente recessioni, una caduta del PIL del 9 per cento, una caduta della produzione industriale del 25 per cento e una caduta degli investimenti, la dinamica del credito non poteva avere un andamento divergente.
  Peraltro, dobbiamo anche evidenziare come la dinamica del credito in Italia, soprattutto fino al 2011, anno in cui esplode la crisi del debito sovrano, abbia un andamento più positivo rispetto alla media europea. Questo proprio perché quella era la fase della crisi finanziaria che non ha colpito le banche italiane e che ha consentito loro di superare quella fase senza interventi di sostegno da parte dello Stato e quindi dei contribuenti, a differenza di altri Paesi. Cito soltanto il dato riferito alla Germania, che ha impiegato l'1,8 per cento del suo PIL per salvare le sue banche.
  In questa fase, a partire dal 2009, noi abbiamo avviato tutta una serie di iniziative, che cito soltanto velocemente, a sostegno di imprese e famiglie. Penso alle moratorie, che hanno supportato oltre 400.000 imprese nella sospensione del pagamento delle rate dei mutui, lasciando oltre 15 miliardi di euro di liquidità nel sistema delle imprese, e 100.000 famiglie sono state aiutate con analoghi provvedimenti di sospensione del rimborso delle rate dei mutui.
  È evidente però che, nel momento in cui dopo il 2011 la crisi diventa crisi del debito sovrano, con un'esplosione del rischio Paese che si è riflessa sul rischio delle banche, le banche abbiano avuto sempre più difficoltà ad approvvigionarsi sui mercati internazionali per colmare il divario tra quantità di fondi che raccolgono sul Paese e quantità di fondi che impiegano, quello che chiamiamo il funding gap. Questo differenziale, che era di circa 200 miliardi di euro, non si riusciva a chiudere, e ciò ha comportato una progressiva riduzione e un declino degli stock di finanziamento alle imprese.
  Se guardiamo poi ai confronti con il resto dell'Europa, vediamo che la riduzione del credito disponibile è un fenomeno che interessa tutta l'Europa. Ci sono casi estremi – penso alla Spagna – e situazioni leggermente migliori, in Germania e, ancor di più, in Francia, ma in media il trend è verso la contrazione.
  A nostro avviso, noi siamo riusciti a gestire, nonostante le difficoltà, l'erogazione del credito in maniera allineata alle esigenze del nostro sistema produttivo. La testimonianza è data anche dall'esplosione delle sofferenze e, più in generale, dei crediti deteriorati nei nostri bilanci. In questa fase, se, da un lato, abbiamo avuto problemi di offerta, dall'altro, abbiamo anche avuto forti problemi sul fronte della domanda. La domanda di credito è stata fondamentalmente rappresentata da una domanda per la ristrutturazione di precedenti finanziamenti e, quindi, da una domanda di per sé più rischiosa. Questo è dimostrato dal picco raggiunto dal livello delle sofferenze lorde, che sono oltre 160 miliardi di euro al 31 dicembre dello scorso anno.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Galli, nel testo noi non abbiamo commentato questa ipotesi perché non abbiamo trovato nel DEF un'indicazione in questo senso. Ci eravamo espressi soltanto sulla base di voci e di notizie di stampa. Ovviamente, noi riteniamo che questa misura non sia corretta per una serie di motivi.
  In primo luogo, perché ripropone l'immagine di un fisco incerto e ondivago e quindi scoraggia gli investimenti esteri proprio nel momento in cui le nostre banche, nel processo di ricapitalizzazione Pag. 29richiesto anche dal confronto europeo, stanno vedendo il ritorno dell'interesse di investitori nel loro capitale.
  In secondo luogo, la misura è illogica perché crea una disparità di trattamento tra banche e assicurazioni e altre imprese. La misura del 12 per cento era allineata all'aliquota applicata nella legge di stabilità alle rivalutazioni volontarie previste per le altre imprese. Anche in questo caso non si capisce perché ci sia questa disparità di trattamento.
  Non ultimo, proprio questa disparità, che non si motiva se non per esigenze di cassa dello Stato, potrebbe far riemergere il problema dell'illegittimità della misura rispetto alla disciplina europea, perché potrebbe configurarsi come un aggiramento surrettizio della norma che impone il divieto alle banche centrali di finanziare il Tesoro. Anche da questo punto di vista questo tema crea delle perplessità.
  Da ultimo, sottrarrebbe oltre un miliardo di euro di liquidità alle banche, liquidità destinata a erogare prestiti a imprese e famiglie.

  PRESIDENTE. Mi permetto di farle io una domanda secca, con un'appendice, perché servirà ai nostri lavori nelle prossime ore. Lei sta dicendo che per l'ABI questa misura ha un impatto diretto sul credit crunch ? Mi serve una risposta, anche breve.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Sì, perché è quello che ha evidenziato anche il Governatore Visco nelle sue dichiarazioni da Washington.

  PRESIDENTE. Quanto all'abolizione dell'imposta di bollo del due per mille, richiamata dalla vostra relazione, voi ritenete che, provando a cancellare l'imposta di bollo e mantenendo fermi i punti a cui lei ha fatto riferimento anche rispetto alla possibilità di non tassare più con ritenuta alla fonte, l'abolizione del due per mille possa consentire una più facile digestione del 26 per cento al mercato italiano o la questione è indifferente ?

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Il soggetto percosso, però, è diverso.

  PRESIDENTE. Ne sono consapevole, ma vorrei capire la vostra valutazione.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Il deflusso di risorse dal sistema rimarrebbe e, quindi, l'effetto in termini di credito resterebbe.

  PRESIDENTE. Sto parlando dell'adeguamento delle rendite finanziarie al 26 per cento. L'ipotesi di abolire il due per mille, che rappresenta una delle discussioni in corso che il Parlamento dovrà affrontare, alleggerisce in qualche modo la pena di questo adeguamento delle rendite finanziarie oppure no ?

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. La prima misura, se il Parlamento andasse in quella direzione, sarebbe quella di eliminare le disparità. Anche in questo caso, per erogare credito, occorre fare la raccolta. Se c’è una disparità nella tassazione di oltre il 100 per cento tra un'obbligazione bancaria e un buono postale, si crea una distorsione tale nel sistema per cui il costo della raccolta aumenta terribilmente e, quindi, questo poi si riflette di conseguenza. Questa è la prima questione.
  Il due per mille, secondo me, è ormai quasi digerito. Nella mia visione, ritengo che sarebbe meglio tenere il due per mille e il 20 per cento piuttosto che andare a ritoccare, anche perché torneremmo a intervenire in maniera sempre disorganica su un sistema fiscale che è, però, sempre all'attenzione degli investitori esteri. Oggi c’è una misura e poi domani si torna indietro. Questo quadro di incertezza, secondo me, è peggiore dell'eventuale costo della misura.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Sabatini e la delegazione dell'ABI.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

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Audizione di rappresentanti di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di Confindustria.
  Riprendiamo i nostri lavori con la delegazione di Confindustria, composta da Marcella Panucci, direttore generale, Luca Paolazzi, Alessandro Fontana, Arianna Domenici, Zeno Tentella, Simonetta Pompei e Martina Dezi.
  Do la parola a Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria.

  MARCELLA PANUCCI, direttore generale di Confindustria. Grazie, presidente. Saluto i senatori e i deputati presenti oggi, che ringrazio soprattutto per averci offerto la possibilità di esporre le nostre considerazioni sul DEF e sui due principali documenti di cui si compone, il Programma di stabilità e il Piano nazionale di riforma. Per meglio comprenderne la portata noi riteniamo utile e necessario inquadrare il DEF nell'ambito del contesto che ormai da alcuni anni sta vivendo il nostro Paese.
  I danni inferti dalla recessione sono noti a tutti: si registra un meno 24 per cento della produzione industriale, in alcuni settori parliamo di meno un terzo, nel settore delle costruzioni siamo a meno 40 per cento e dal 2007 circa 91.000 imprese manifatturiere hanno cessato l'attività, al netto di quelle che nel frattempo sono state avviate.
  Il bilancio per l'intero Paese non è meno drammatico: il PIL italiano è sceso di 9 punti percentuali e il reddito per abitante è crollato del 10,9 per cento. Siamo vicini ai valori del 1996. La tenuta del tessuto sociale è posta a rischio dall'altissimo livello di disoccupazione. Non cito numeri che tutti voi conoscete, ma che sono davvero importanti.
  Nel corso del 2013 si è andata delineando un'inversione di tendenza, annunciata da un recupero di fiducia, ordini e fatturato industriali. Tuttavia, il PIL ha segnato solo un modestissimo incremento nel quarto trimestre dell'ultimo anno, ossia del 2013, e, sebbene le stime per il primo trimestre del 2014 suggeriscano un progresso migliore, il recupero rimane ancora debole, fragile e disomogeneo tra settori e aree del Paese.
  Le stime del Centro studi di Confindustria – accanto a me c’è Luca Paolazzi, il direttore del nostro Centro studi, che ovviamente è disponibile per qualsiasi supporto – sulla produzione industriale italiana in marzo confermano il proseguimento di un graduale e debole aumento dell'attività. Ci sono dei segnali di miglioramento che continuano a venire dai dati sulla fiducia e particolarmente significativo è il fatto che ora si stiano estendendo ai consumatori e al settore dei servizi, più legato alla domanda interna.
  D'altra parte, non viene meno una delle principali cause della crisi, la contrazione del credito. La caduta dei prestiti alle imprese è continuata anche a febbraio e la quota di imprese razionate rimane ancora molto alta. La dinamica inflattiva è pericolosamente bassa e richiede rapidi interventi, soprattutto con nuove misure quantitative da parte delle BCE.
  In questo contesto il Governo ha compreso l'importanza delle riforme, ha individuato gli ambiti su cui intervenire e con il DEF dimostra di voler agire con decisione. Nel quadro macroeconomico presentato nel DEF gli effetti delle riforme innalzano le previsioni di crescita allo 0,8 per cento quest'anno dallo 0,5 senza riforme, all'1,3 per cento nel 2015 dall'1 senza riforme, all'1,6 per cento nel 2016 dall'1,2, all'1,8 per cento nel 2017 dall'1,3, all'1,9 per cento nel 2018 dall'1,2.
  Come si vede, da un lato, le stime di base, cioè in assenza di riforme, sono più prudenti rispetto al passato e, dall'altro, le stesse stime degli effetti delle riforme sono ispirate a cautela. Parliamo di 2,2 punti percentuali di PIL in cinque anni, non considerando le positive conseguenze dell'accelerazione Pag. 31dei pagamenti della pubblica amministrazione. Tali effetti sul tasso di crescita sono comunque significativi e in aumento nel tempo. Secondo noi, però, potrebbero essere più consistenti laddove si puntasse su un diverso mix di misure fiscali.
  Nel quadro macroeconomico del DEF l'andamento del costo del lavoro, nonostante l'annunciato taglio del cuneo, resta tale da non consentire una riduzione del CLUP (Costo del lavoro per unità di prodotto), sebbene la produttività salga di quasi l'1 per cento annuo. Il controllo dei conti pubblici passa per il ritorno alla crescita economica e per una dinamica dei prezzi più elevata dell'attuale.
  Il rientro del deficit pubblico viene fatto leggermente slittare in avanti: l'1,8 per cento del PIL nel 2015 contro l'1,6 indicato nella Nota di aggiornamento del DEF di settembre scorso. Il saldo strutturale raggiunge il pieno pareggio nel 2016 e il saldo primario salirebbe al 5 per cento del PIL nel 2018. La discesa del rapporto debito/PIL avviene in linea con i vincoli europei: dal 134,9 per cento nel 2014 al 120,5 per cento nel 2018.
  Il Governo prevede un'accelerazione delle privatizzazioni. È un obiettivo necessario e assolutamente auspicabile, che però ci pare ambizioso, soprattutto alla luce delle privatizzazioni che sono state finora realizzate. Parliamo di circa 7,9 miliardi di euro nel 2012, che sono scesi a 1,8 miliardi nel 2013.
  Dal PNR emerge chiaramente la strategia di politica economica che il Governo intende perseguire per imprimere una svolta al processo di riforme e sostenere crescita e occupazione. Si tratta sicuramente di una scelta di impostazione che noi apprezziamo e sosteniamo.
  A gennaio dello scorso anno, come ricorderete, Confindustria ha presentato un progetto, il Progetto per l'Italia, in cui delineava una serie di proposte per la crescita economica e il benessere del Paese. Nel progetto noi sottolineavamo come, per tornare a crescere a tassi superiori al due per cento annuo, servisse una netta discontinuità con le logiche del passato per affrontare i problemi strutturali che bloccano la crescita. In particolare, nel progetto delineavamo una terapia d'urto, con misure urgenti per invertire il ciclo economico, accompagnate da una serie di riforme strutturali volte a modificare il contesto in cui le imprese e i cittadini agiscono nel Paese e soprattutto a consolidare gli effetti economici delle misure adottate con la terapia d'urto.
  È interessante notare che il DEF utilizza la stessa impostazione di metodo, delineando un disegno di intervento unitario che corre su più binari. C’è una terapia d'urto, così chiamata dallo stesso DEF, la cui portata è, però, più contenuta in termini quantitativi rispetto a quella che noi ipotizzavamo. Cito l'esempio degli investimenti pubblici, i quali vengono ulteriormente ridimensionati, un trend che purtroppo prosegue nel corso degli anni e che non vede un'inversione di tendenza.
  Il DEF parla anche di riforme strutturali. Questo denota la piena consapevolezza nell'Esecutivo della necessità, da un lato, di agire in modo rapido per rompere la spirale di scarsa fiducia, restrizione del credito, debolezza della domanda interna e perdita di competitività, e, dall'altro, di intervenire su quei nodi che imbrigliano lo sviluppo e richiedono riforme di carattere strutturale, a partire dall'assetto istituzionale del Paese. È soprattutto la contemporaneità nell'avvio di questi due filoni di intervento che va apprezzata, in un Paese in cui gli interventi urgenti si sono moltiplicati nel corso degli anni, mentre le riforme strutturali vengono messe in cantiere, attuate con lentezza o addirittura rinviate sine die.
  In questo senso è certamente un pregio e riveste un indubbio valore, non soltanto simbolico, il fatto che i primi provvedimenti presentati dal Governo siano stati, da un lato, un decreto-legge sul lavoro, che, perseguendo obiettivi di carattere congiunturale, elimina alcune gravi rigidità e dall'altro, un disegno di legge delega di riforma complessiva del mercato del lavoro, nonché un disegno di legge che modifica la seconda parte della Costituzione.Pag. 32
  Altra novità politicamente rilevante nel DEF è il cronoprogramma che impegna il Governo e il Parlamento con scadenze ravvicinate ad attuare gli interventi indicati. Si tratta di una prova di trasparenza senza dubbio positiva, che comporta un impegno concreto sugli annunci, in netta controtendenza rispetto al passato. Ovviamente, la determinazione riformatrice, a questo punto, si misurerà sul rispetto delle tempistiche, oltre che sui contenuti delle riforme e sulla loro effettiva attuazione. Non posso, però, non sottolineare in questa sede che alcuni dei tempi indicati ci appaiono dettati più dall'ottimismo della volontà che da una realistica valutazione di fattibilità.
  L'impostazione delineata nel DEF è importante anche per l'obiettivo europeo che il Governo punta a realizzare, ovvero sfruttare i margini di flessibilità concessi a quei Paesi che presentino un ambizioso Piano di riforme strutturali in grado di incidere in maniera duratura sul potenziale di crescita, flessibilità che non è fine a se stessa, ma che serve ad anticipare gli effetti positivi delle riforme e a orientare i comportamenti di imprese e lavoratori in direzione della crescita e dell'occupazione.
  In questo senso il DEF fornisce risposte puntuali alle raccomandazioni specifiche per Paese rivolte nel luglio 2013 dal Consiglio europeo all'Italia e ai rilievi sugli squilibri macroeconomici mossi a marzo scorso dalla Commissione. Ciò consentirà di negoziare con la Commissione stessa ulteriori margini di flessibilità sui conti pubblici da utilizzare a sostegno della crescita.
  Sfruttando l'occasione offerta dal semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, occorre insistere per ottenere una progressiva esclusione della spesa per investimenti dai vincoli del Patto di stabilità e crescita.
  Sempre nella prospettiva della presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, è estremamente rilevante l'impegno dichiarato del Governo a favore dell’industrial compact. Voi sapete che Confindustria è uno dei maggiori sostenitori della strategia europea rivolta a mettere al centro della politica economica dell'Unione il rilancio del manifatturiero come motore di crescita e strumento per uscire definitivamente dalla crisi.
  A queste importanti enunciazioni, però, è necessario che segua una calendarizzazione di scadenze e di impegni concreti che ci auguriamo si possa realizzare proprio durante il semestre italiano di presidenza, in modo da spostare ulteriormente l'asse portante della futura politica europea verso la crescita e l'occupazione.
  Entrando nel merito dei contenuti del PNR, esso indica un ampio ventaglio di interventi programmatici, misure per il rilancio dell'economia, con relative coperture, derivanti in gran parte da tagli di spesa, ma anche da alcuni aumenti della pressione fiscale e riforme strutturali. In questa sede mi soffermerò soltanto su alcune di queste misure, in particolare su quelle che meglio delineano il disegno di politica economica tracciato dal Governo, mentre consegno alle Commissioni una nota più approfondita sui diversi interventi per noi di maggiore rilievo.
  Da tempo noi sosteniamo che il rilancio della crescita passi necessariamente da un recupero di competitività delle imprese. La crisi ci ha mostrato chiaramente che le imprese che hanno meglio affrontato le profonde difficoltà economiche di questi ultimi anni sono state quelle più innovative, perché questo ha consentito loro di conquistare importanti spazi sui mercati esteri, compensando con l'aumento delle esportazioni il drammatico calo della domanda interna.
  Per competere sui mercati esteri e superare quei gap che ci penalizzano rispetto ai nostri diretti concorrenti è adesso essenziale intervenire su alcuni nodi centrali – costi del finanziamento, del lavoro e dell'energia e carico fiscale – e supportare i processi innovativi attraverso gli investimenti pubblici e un sapiente utilizzo della leva fiscale per rafforzare gli investimenti privati.
  Su tutti questi fattori il DEF interviene, ma con una linea di azione non sempre condivisibile. È emblematico al riguardo il modo con cui verrà operato il taglio del Pag. 33cuneo fiscale, una misura che le imprese chiedono da tempo e che è essenziale per ridurre il divario di competitività con i principali partner europei. Il Governo intende mettere in campo risorse tali da ridurre a regime di 2,4 punti percentuali il cuneo fiscale contributivo, che rimarrà comunque il più elevato tra i Paesi OCSE dopo quello del Belgio, e di 1,4 quattro punti percentuali più elevato rispetto a quello della Germania.
  Confindustria non condivide la scelta dell'Esecutivo di concentrare larga parte delle risorse sulla riduzione dell'IRPEF per i lavoratori dipendenti a basso reddito e di destinare solo una parte limitata di risorse alla riduzione dell'IRAP. Il taglio del cuneo dal lato del costo del lavoro sostenuto dalle imprese restituirebbe, infatti, linfa competitiva al Paese, con maggiori benefici in termini di crescita rispetto a quelli che deriverebbero da un maggior reddito disponibile delle famiglie, data la risalita in corso della propensione al risparmio.
  Confindustria auspica, pertanto, una ben più significativa riduzione dell'IRAP, concentrandola sui settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale ed escludendo il costo del lavoro dalla base imponibile. Risorse scarse, disperse su tutte le imprese, finirebbero per non avere alcun effetto significativo, mentre l'intervento sulla base imponibile avrebbe effetti positivi sulla domanda di lavoro.
  Preoccupa, inoltre, la scelta di coprire la modesta riduzione programmata dell'IRAP con l'aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie, lasciando invariata la tassazione dei titoli di Stato. Si crea così uno squilibrio che favorisce il finanziamento dello Stato a spese del finanziamento del sistema produttivo, i cui costi verranno ulteriormente incrementati. Peraltro, si tratta di un intervento in contrasto con l'obiettivo, dichiarato dallo stesso Governo nel DEF, di ampliare i canali di finanziamento delle imprese alternativi a quello bancario.
  Un intervento che giudichiamo positivo, proprio perché mira a immettere ulteriore liquidità nel sistema, è quello sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. A questo riguardo, però, è importante che si proceda anche prima di ottobre, scadenza indicata nel cronoprogramma, che le risorse destinate al pagamento dei residui debiti in conto capitale, al momento non precisate, siano adeguate a risolvere in via definitiva il problema e che per il futuro le pubbliche amministrazioni siano in grado di rispettare i termini di pagamento per evitare nuovi accumuli di debito.
  Sono apprezzabili anche gli interventi a sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese italiane e dell’export e quelli volti a rilanciare gli investimenti, soprattutto nel Mezzogiorno, attraverso un pieno ed efficace utilizzo dei Fondi strutturali europei.
  Appaiono, invece, poco definiti quelli che dovrebbero supportare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e innovazione.
  Per quanto riguarda le misure attuative dell'Agenda digitale, le azioni programmate sono coerenti con le nostre proposte e, se realizzate, rappresentano un passo importante, che a regime può determinare significativi risparmi di spesa pubblica, con stime di 2,5 miliardi di euro nel 2016.
  Infine, un giudizio positivo merita la scelta del Governo di finanziare gran parte degli interventi con i tagli di spesa derivanti dall'attività di spending review, facendo proprio il Piano messo a punto dal commissario Cottarelli. In relazione ai tempi stretti in cui il commissario ha operato, i risultati annunciati sembrano importanti e, anche se non sono chiare le modalità con cui si intende ottenerli, è cruciale garantire l'ammontare dei tagli indicati.
  In questo senso risulterà determinante il sostegno che il Parlamento vorrà assicurare al processo di spending review. Soprattutto è bene aver presente che la revisione della spesa non può ridursi a una mera operazione contabile e di tagli, ma richiede una reingegnerizzazione dei processi per l'erogazione dei servizi pubblici. Proprio per questo motivo la spending review può rappresentare un momento essenziale per una riorganizzazione Pag. 34della riforma della pubblica amministrazione e per un acquisto di maggiore efficienza.
  In conclusione, il quadro complessivo tracciato nel DEF è positivo, anche se alcune misure andrebbero rafforzate e soprattutto sarebbe opportuno definire meglio il metodo di lavoro delineato. Per la credibilità del percorso avviato, cruciale sarà adesso il rispetto dei tempi indicati: ritardi e rinvii rischierebbero, infatti, di mettere a repentaglio quei timidi e fragili germogli di ripresa che stiamo iniziando a intravedere.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Panucci.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAINO MARCHI. Io mi vorrei riferire soprattutto alle valutazioni relative alla riduzione dell'IRAP e a come viene finanziata, cioè alla critica per quanto riguarda l'aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie.
  Da una parte, vorrei chiedere quali misure alternative vengano proposte per poter finanziare la riduzione dell'IRAP che è stata prevista, cioè se eventualmente allineare a quell'aumento anche le imposte applicabili ai titoli di Stato, ma con le conseguenze che questo avrebbe come rischio di aumento poi degli interessi e di maggiori difficoltà a collocare i titoli italiani sul mercato.
  Dall'altra parte, vorrei sapere se ci sono ulteriori proposte sulla spending review, che però, come abbiamo visto, è già di una dimensione molto rilevante in un Paese che in questi anni ha ridotto la spesa pubblica primaria. Non solo ha annunciato un contenimento, ma ha fatto anche dei tagli concreti. Vorrei sapere se eventualmente in questa direzione ci siano proposte da parte di Confindustria per quanto riguarda la spesa che adesso è indirizzata verso le imprese. Mi chiedo se riteniate che vi siano spazi, per esempio, in quel campo di intervento per razionalizzare ulteriormente.
  Da ultimo, per quanto riguarda la finanza vorrei sapere se, nel caso in cui non sia questa la misura da adottare da parte del Governo, vi siano proposte alternative da parte di Confindustria affinché l'imposizione fiscale non vada a colpire solo il lavoro e l'impresa, ma in qualche modo anche la finanza.
  Quello che mi pare stia cercando di fare il Governo con questa misura è spostare il carico fiscale direttamente dall'impresa alla finanza. Ci sono altre modalità perché questo possa avvenire ? Lo chiedo tenuto conto che almeno noi riteniamo che sia importante andare complessivamente in questa direzione e trovare le modalità – che spesso ricevono critiche qualunque strada si cerchi di perseguire – perché si possa ridurre il carico fiscale sul lavoro e sulle imprese e spostarlo sulla rendita finanziaria.

  ANTONIO MISIANI. L'elemento di criticità più forte che emerge è, come è noto, il tema delle modalità di attuazione del taglio del cuneo fiscale. Vorrei chiedere alla dottoressa Panucci e al dottor Paolazzi se esistono valutazioni quantitative sul diverso impatto in termini di crescita e di occupazione del taglio dell'IRPEF, così come prospettato dal Governo, o, in alternativa, di un taglio IRAP, quale voi proponete.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Nel vostro documento si fa riferimento al fatto che gli obiettivi di spending review sono forse ambiziosi, almeno quelli immediati. Vorrei sapere se ritenete sufficiente il documento per quanto riguarda, in generale, il settore della presenza pubblica nell'economia.
  Confindustria ha segnalato più volte, l'ultima a dicembre, costi di oltre 20-25 miliardi di euro per quel che riguarda le società partecipate degli enti locali. Vorrei sapere se, dal vostro punto di vista, questo è uno dei temi sui quali nel DEF si dovrebbe fare di più e proporre di più, o se quello che in esso viene indicato sia per voi sufficiente.

Pag. 35

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, vorrei porre una domanda. Tornando alla vostra relazione e alla riduzione programmata dell'IRAP, leggo testualmente che ritenete preoccupante la copertura «con l'aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie», chiedendo di fatto un adeguamento della tassazione sui titoli di Stato. Mi pare di capire che questa posizione sia condivisa dall'ABI, anche se ci è mancato il tempo per farglielo esplicitare.
  A di là delle valutazioni sulla tassazione dei titoli di Stato, che non è attualmente oggetto del confronto parlamentare, anche in base alle valutazioni del Servizio studi della Camera riteniamo che anche con una tassazione dei titoli di Stato adeguata agli altri strumenti non si raggiungerebbe comunque la quota di 2,6 miliardi euro.
  I 2,6 miliardi citati per la riduzione del 10 per cento dell'IRAP, infatti, a mio avviso non si raggiungono né senza i titoli di Stato né con i titoli di Stato. Indipendentemente da questo, vorrei sapere se per raggiungere quella quota non riteniate più opportuno tagliare incentivi alle imprese, così come anche la vostra organizzazione più volte aveva auspicato, e, in caso di risposta affermativa, da quali partireste.
  Uno dei temi che dovremo affrontare con il commissario Cottarelli è la quota di incentivi inseriti nei 4,6 miliardi di euro, che inevitabilmente toccheranno alcuni comparti che lambiscono gli associati di Confindustria e quelli di Rete imprese, che audiremo successivamente.
  Vorremmo conoscere il vostro punto di vista su questo aspetto.

  MARCELLA PANUCCI, direttore generale di Confindustria. Provo a procedere in ordine di domanda, chiedendo al dottor Paolazzi di integrare le mie risposte laddove fosse necessario.
  Mi pare che il tema centrale sia quello del finanziamento della riduzione dell'IRAP attraverso un aumento della tassazione sulle rendite. Tengo innanzitutto a precisare che parliamo di rendite finanziarie non di grandi speculatori, ma di risparmiatori, spesso di piccoli risparmiatori, che investono i propri risparmi in titoli emessi dalle banche e dalle imprese, contribuendo così al finanziamento del sistema imprenditoriale privato che, come dicevo prima, ha subìto un danno enorme da un credit crunch spaventoso.
  In questo caso tassare al 26 per cento i titoli di debito privato o le azioni vuol dire fare una concorrenza sleale puntando sui titoli di Stato, quindi deviare gli investimenti su titoli a più bassa tassazione. Questo significa che, se l'impresa vuole finanziarsi sul mercato e competere con i titoli di Stato, dovrà aumentare il tasso d'interesse che riconosce all'investitore, quindi vuol dire aumentare il costo del finanziamento delle imprese in un momento di gravissima crisi di liquidità.
  Questo si può sicuramente fare, non c’è una preclusione di carattere generale, ma va fatto in maniera equilibrata, non distorcendo le scelte di investimento. Per questo bisognerebbe portare la tassazione dei titoli di Stato al pari della tassazione di tutte le rendite finanziarie, per evitare distorsioni di questo tipo.
  Francamente non credo alle difficoltà di collocazione dei titoli di Stato che un aumento della tassazione della rendita sui titoli medesimi potrebbe determinare. Credo che nella particolare fase storica che stiamo attraversando questo sia un non problema: mi pare, infatti, che le aste siano tutte ampiamente partecipate e che vi sia un amplissimo collocamento dei titoli di Stato.
  Quanto alle ulteriori proposte in materia di spending review, in realtà non è ancora chiaro l'ambito di applicazione della spending review, perché i materiali di cui disponiamo sono le slide che il commissario Cottarelli ha presentato proprio in questa sede. Abbiamo analizzato accuratamente le informazioni disponibili, anche quelle che emergono dal DEF, però non c’è una chiarezza e una precisione nel dettaglio dei tagli immaginati.
  Quando le avremo, ovviamente potremo proporre tagli ulteriori. Siamo naturalmente disponibili a ragionare in tema di razionalizzazione, ridimensionamento ed Pag. 36anche eliminazione di alcune forme di incentivazione alle imprese, a partire dalle cosiddette tax expenditures, un lavoro svolto anni fa che andrebbe sicuramente ripreso e che mi auguro venga ripreso perlomeno in sede di attuazione della legge di delega fiscale. La questione delle tax expenditures va necessariamente ripensata.
  C’è poi una serie di sussidi di cui a vario titolo beneficia il settore delle imprese pubbliche o private – nella gran parte dei casi si tratta di imprese pubbliche – che hanno una ragione sociale nel mantenimento di tariffe basse per i consumatori.
  Anche questi potrebbero essere ampiamente ridimensionati, però ciò impone, come dicevo in conclusione del mio intervento precedente, una reingegnerizzazione e una riorganizzazione dei processi di erogazione di quei servizi al pubblico. È sicuramente positivo che nel DEF venga citato il fatto che si proceda a una riforma dei servizi pubblici locali e del trasporto pubblico locale, perché sono questi i settori che più assorbono al momento risorse pubbliche per ragioni di carattere sociale.
  Sono convinta che tali questioni potrebbero essere più correttamente ed efficacemente affrontate, anche in termini di maggiore equità di destinazione dell'intervento pubblico, laddove il servizio pubblico locale venisse ampiamente riorganizzato. Potremmo quindi pensare a forme di sussidio diverse per le persone con fasce di reddito più basse piuttosto che a un cap sulla tariffazione che si applichi a tutti, a prescindere dal reddito.
  Questo però richiede tempo e, quindi, non sarebbe utilizzabile per un intervento immediato sul taglio del cuneo fiscale. In tempi rapidi si potrebbe piuttosto ripensare a tutto il sistema di società partecipate dello Stato e degli enti locali, su cui Confindustria a più riprese è intervenuta, a partire dallo scorso anno, con interventi sia miei sia del Centro studi e del presidente di Confindustria, perché in quel settore si registrano sicuramente sprechi enormi.
  Noi abbiamo presentato delle proposte in sede di esame del disegno di legge di stabilità che il presidente Boccia conosce bene e che sono state anche riprese in alcune proposte parlamentari, in cui immaginavamo un intervento di liquidazione di una serie di società partecipate con bilanci strutturalmente in perdita, che avrebbe portato a un risparmio per lo Stato di 1 miliardo e 800 milioni di euro. Tale risparmio poteva essere destinato immediatamente a una riduzione del cuneo fiscale, in particolare sulla parte IRAP.
  È poi evidente come anche sulle privatizzazioni si possa fare di più. Noi siamo convinti che la presenza pubblica dello Stato nell'economia ormai abbia fatto il suo tempo e vada molto ridimensionata, fino a sparire completamente. Anche questo è un settore su cui bisognerà intervenire; sicuramente ci sono dei tempi tecnici da rispettare, però è un impegno che il Governo dovrà mantenere e portare a termine.
  L'onorevole Misiani chiedeva una valutazione quantitativa su un diverso impatto del taglio dell'IRAP. Su questo cedo la parola al dottor Paolazzi, però mi pare di ricordare che nelle stime che avevamo effettuato qualche settimana fa l'impatto sull'economia di un taglio del costo del lavoro sul lato delle imprese fosse doppio rispetto a quello del taglio della tassazione sui redditi delle persone.
  Cedo la parola al dottor Paolazzi per maggiori dettagli.

  LUCA PAOLAZZI, direttore centro studi di Confindustria. Il ricordo del direttore generale è corretto: non solo le nostre stime, ma anche quelle di Prometeia mostravano come uno stesso ammontare assoluto caricato sulla riduzione del costo del lavoro, a maggior ragione sugli oneri sociali, piuttosto che sulla riduzione dell'IRPEF, avesse un effetto circa doppio e, nell'arco di tre anni, su 10 miliardi di euro valga un punto di PIL se si riduce il costo del lavoro e lo 0,4-0,5 se si procede attraverso una riduzione dell'IRPEF.Pag. 37
  La riduzione dell'IRPEF viene infatti filtrata attraverso un risparmio, in quanto una parte di questi soldi viene risparmiata anziché spesa direttamente.

  ANTONIO MISIANI. Teoricamente la propensione al consumo dei redditi medio-bassi su cui si concentra il taglio è calcolata vicino al 90 per cento.

  LUCA PAOLAZZI, direttore centro studi di Confindustria. Tenga tuttavia presente che in questa fase siamo in un momento di aumento della propensione al risparmio, come confermano i dati ISTAT della scorsa settimana che coprono fino al quarto trimestre dell'anno scorso, laddove da un minimo di 7,5 si è tornati a un 10 per cento di tasso di risparmio, e questo vale anche per le famiglie povere che in questi anni hanno in qualche modo dovuto indebitarsi non pagando le bollette o l'affitto ed hanno dovuto tirare la cinghia e farla tirare ai loro creditori.
  Siamo quindi in una fase storica in cui è difficile fare stime precise sul tasso di risparmio; le stime basate sull'esperienza passata sono piuttosto fragili.

  MARCELLA PANUCCI, direttore generale di Confindustria. Se posso aggiungere una considerazione di carattere generale, adesso il tema non è tanto quello di una battaglia o di una preferenza tra IRPEF e IRAP. Noi abbiamo sempre immaginato un intervento su binari paralleli che agisse sia sul reddito delle persone sia sul costo del lavoro per le imprese; naturalmente tutto non si può fare e, se bisogna avere un effetto shock, bisogna concentrare le risorse, quindi si tratta di una scelta politica che non condividiamo ma che ha una sua ragione.
  Riteniamo che agire sul costo del lavoro possa beneficiare anche chi oggi un lavoro non ce l'ha perché, mentre l'intervento degli 80 euro va ad avvantaggiare chi ha già una busta paga, la riduzione del costo del lavoro può avere un impatto positivo in termini di creazione di nuova occupazione e quindi dare una busta paga a chi oggi non ce l'ha.
  Ribadisco però che non è un derby, come suole dire il presidente Squinzi, e non è una battaglia tra IRPEF e IRAP. Ci aspettiamo infatti interventi rilevanti su entrambi i capitoli, tuttavia immaginavamo che un intervento shock potesse essere più efficace puntando sul lato del costo del lavoro, ma sono scelte politiche che devono essere rispettate laddove siano adottate e attuate con rapidità.

  PRESIDENTE. Un'ultima domanda per portare avanti il lavoro per i decreti post-DEF. Vorrei sapere se l'ipotesi di tornare alla prospettiva del cosiddetto piano Giavazzi – cioè di ipotizzare l'abolizione tout court di tutti gli incentivi a bando che prevedono una scelta discrezionale della politica e della pubblica amministrazione, tenendo in vita solo il credito d'imposta per sistemi automatici, quindi credito di imposta per innovazione, ricerca, occupazione e investimenti, di fatto sottolineando il principio per cui dove non c’è il fallimento del mercato non si capisce perché ci debba essere un incentivo – veda Confindustria favorevole, nel caso in cui il Parlamento dovesse riprendere questo dibattito provando a metterci le mani, oppure se ci sono comparti che, pur non essendo nella condizione classica di fallimento del mercato, hanno la necessità di vivere anche attraverso quegli incentivi.

  MARCELLA PANUCCI, direttore generale di Confindustria. Rispondo in maniera molto rapida, ma siamo ovviamente disponibili ad approfondire anche in una fase successiva dei lavori parlamentari.
  Premesso che tutti i Paesi più avanzati al mondo fanno politica industriale anche attraverso forme di trasferimento dallo Stato alle imprese, a partire dagli Stati Uniti che sono il Paese più liberale, questi meccanismi presuppongono un'amministrazione che funzioni bene e sia efficiente, in cui il costo di intermediazione in termini sociali sia molto basso.
  Purtroppo l'Italia non può annoverarsi tra questi Paesi quanto a qualità delle amministrazioni e ciò incide negativamente sui processi di erogazione di finanze Pag. 38a bando. È evidente che puntare soprattutto sui crediti di imposta è il meccanismo più efficiente dal punto di vista della rapidità del beneficio e dell'eliminazione di qualsiasi intermediazione rispetto all'amministrazione.
  In prospettiva, però, dobbiamo cercare anche di mettere a posto l'amministrazione affinché alcuni interventi, che necessariamente richiedono un esame più approfondito dei progetti industriali, possano essere realizzati in maniera più efficace dalle pubbliche amministrazioni. Su questo siamo assolutamente disponibili a lavorare per individuare soluzioni adeguate.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di Confindustria e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.
  Do la parola al presidente di R.ETE. Imprese Italia, Marco Venturi.

  MARCO VENTURI, presidente di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti. Innanzitutto grazie per volerci ascoltare su temi che per noi sono fondamentali, soprattutto in una fase in cui l'Italia, ma anche le nostre imprese, hanno vissuto praticamente sei anni di crisi, una crisi che ha prodotto un cambiamento anche di natura strutturale dell'economia italiana.
  Non ci siamo mai stancati di citare i numeri relativi alla chiusura delle imprese, ma anche i saldi negativi, ossia quante imprese in effetti abbiamo perso in questa situazione difficile, e non è nemmeno facile tornare con una certa rapidità ai livelli di crescita precedente pensando sia alla produzione che all'occupazione.
  Con la chiusura delle imprese, infatti, abbiamo registrato la perdita di un'enormità di posti di lavoro sia autonomo che dipendente. I segnali di crescita che pure cominciano ad arrivare sono decisamente insufficienti per invertire questa tendenza e quindi trovarci fuori pericolo rispetto alle difficoltà che il nostro Paese ha vissuto in questi anni.
  Credo sia più corretto parlare di una fine della recessione più che di una ripresa dell'economia. Nel breve periodo indubbiamente il tallone di Achille della nostra economia è rappresentato proprio dalla domanda interna, da questa difficoltà che si trascina.
  Per questo noi riteniamo necessarie misure urgenti per rilanciare con maggior forza i consumi e incentivare gli investimenti da parte delle imprese. Questi sono due punti fondamentali che caratterizzano qualunque ripresa, qualunque inversione di tendenza rispetto a una situazione difficile.
  Dobbiamo pensare quindi a questi interventi immediati, ma anche a interventi di carattere strutturale, di prospettiva, che rendano più robusta e più competitiva l'economia italiana. Per noi è prioritario – lo affermiamo da sempre – il tema della riduzione della spesa pubblica, di quella che io definisco la spesa pubblica «cattiva», riferendomi cioè agli sprechi, alla spesa improduttiva.
  Una maggiore efficienza della spesa sarà sicuramente garantita da una drastica riduzione dei soggetti pubblici coinvolti. Da anni invitiamo le istituzioni, a partire dai Governi, a intervenire semplificando la rappresentanza; da anni parliamo di superamento delle province, delle comunità montane, dei microcomuni, dell'accorpamento di società di servizi degli enti locali, di una serie di passaggi che possano consentirci di recuperare risorse e di utilizzarle nella maniera migliore per creare condizioni di crescita della nostra economia.Pag. 39
  Dobbiamo allargare l'orizzonte semplificando, coinvolgendo anche soggetti privati accreditati, a cominciare dalle agenzie e dalle imprese, perché attraverso questa via potremmo creare condizioni di maggiore efficienza, di condivisione e di vantaggio economico per tutti, anche per lo stesso Stato.
  Un'altra questione non rinviabile è il coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di governo. Credo che questo sia uno dei problemi del nostro Paese che va affrontato con urgenza e determinazione. È necessario inoltre intervenire in maniera strutturale a favore delle piccole e medie imprese. Dobbiamo trovare degli spazi mirati alle piccole e medie imprese dentro i singoli provvedimenti economici che vengono varati. Il DEF rappresenta, a nostro avviso, una svolta positiva, perché mette in primo piano il taglio delle spese e contemporaneamente esprime la volontà di superare l'austerità, fattori determinanti di cui parliamo da anni, potrei aggiungere inutilmente, e su cui quasi tutte le associazioni di R.ETE. Imprese Italia hanno presentato rapporti specifici. Credo tuttavia che dobbiamo andare avanti e dunque, rispetto ai provvedimenti, ci rimane il rammarico di un intervento limitato sul cuneo fiscale: noi avremmo infatti pensato a un intervento meno limitato e più incisivo anche su questo punto.
  Servono sicuramente maggiori risorse per permettere il recupero di competitività da parte delle imprese, perché dobbiamo tenere conto di questo fattore non solo per evitare le chiusure ma anche per rendere competitive le nostre imprese, perché questo è uno dei passaggi che consente di creare nuova ricchezza e nuova occupazione.
  Diamo un giudizio di per sé positivo dell'uso della leva fiscale per sostenere i redditi bassi, misura che può favorire anche in maniera positiva i consumi interni, ma riteniamo che sia un grave errore l'esclusione del lavoro autonomo da questo provvedimento.
  Si tratta di una discriminazione per noi normalmente poco comprensibile, ma in questo momento ancora meno comprensibile, perché proprio le nostre imprese sono quelle che chiudono e bruciano lavoro e ricchezza.
  Valutiamo positivamente altri interventi e altre misure in favore delle imprese che sono previste nel DEF e nel PNR e credo che questo possa dare un impulso positivo – sebbene, quanto alla sua consistenza, molto graduale – alla crescita della nostra economia; manca tuttavia un intervento shock che possa dare alla nostra economia una scossa come noi avremmo preferito e ci saremmo attesi, tanto che nel 2014 i consumi privati sono previsti in crescita appena dello 0,2 per cento, ossia una crescita quasi nulla. A nostro parere, è necessario individuare nuove e ulteriori risorse per ridurre significativamente sia il peso fiscale sia il peso della burocrazia, che è un peso economico rilevante per le imprese.
  Riteniamo quindi che il DEF lasci aperte talune questioni, come quella fiscale: la legge delega in discussione rappresenta di fatto solo una manutenzione dell'attuale sistema fiscale e non una riforma profonda, come abbiamo sempre sostenuto, insistendo da anni su questo punto senza, tuttavia, trovare risposte adeguate, si tratta solo di qualche passo in avanti, ma certo è non la soluzione del problema.
  La legge delega e gli altri interventi tuttavia miglioreranno sicuramente il rapporto tra fisco e contribuente, che è sempre stato estremamente conflittuale.
  La moneta elettronica è vista più come un mezzo per abbattere l'evasione fiscale che come servizio a favore dei consumatori. Questo strumento va dunque favorito, ma occorre ridurre le spese a carico delle imprese. Il rischio è, infatti, che questo strumento diventi un ulteriore costo per imprese già in estrema difficoltà.
  Contemporaneamente bisogna rivedere, in senso europeo, il limite fissato per i contanti. Non chiediamo di avere in Italia livelli di privilegio, però non possiamo nemmeno accettare disparità tra il nostro e gli altri Paesi.Pag. 40
  La questione delle questioni per noi rimane fondamentalmente quella della pressione fiscale da parte di uno Stato che è, in qualche modo, azionista di maggioranza delle imprese, fattore che riteniamo non positivo per il Paese anche perché la pressione fiscale, superati certi limiti, inevitabilmente comprime la domanda interna, disincentiva gli investimenti, soprattutto quelli stranieri, e mette a rischio la competitività delle nostre imprese.
  L'esclusione degli autonomi ovviamente rappresenta una discriminazione e riduce l'efficacia del provvedimento. Apprezziamo invece la riduzione dell'aliquota IRAP, ma anche in questo caso serve un innalzamento della franchigia che esenti dall'IRAP le imprese più piccole, così come occorre eliminare l'IMU dagli immobili strumentali delle imprese. L'IMU va inoltre coordinata con la TASI, in quanto temiamo che il combinato IMU/TASI crei una situazione esplosiva per le imprese già in forte difficoltà.
  Altro nodo da sciogliere è quello del credito. Le piccole e medie imprese sono ancora al centro di restrizioni nella concessione di credito, di strette bancarie, tanto per usare un'esplicita indicazione. Dobbiamo utilizzare al meglio le risorse pubbliche e il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese deve agire in sinergia con i Confidi promossi dalle confederazioni delle imprese.
  Condividiamo l'impegno per trovare un'effettiva alternativa al credito bancario, ma dobbiamo tenere conto delle caratteristiche delle piccole e medie imprese italiane, laddove il 95 per cento delle stesse ha meno di dieci addetti e solo un 5 per cento ne ha più di cinque; e non mi riferisco al numero di dipendenti, perché in genere nelle piccole imprese c’è il titolare e c’è il collaboratore familiare.
  Si tratta di una dimensione che rende sicuramente utopico pensare a strumenti di natura diversa, come minibond o venture capital; in questo caso servono degli strumenti ad hoc, come avviene in tanti altri Paesi.
  Il DEF indica misure per lo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione e questo è un passo avanti importante che noi abbiamo apprezzato. Chiediamo però che questo problema sia risolto in maniera definitiva, anche prevedendo la compensazione tra debiti e crediti che chiediamo da tempo, perché tante imprese, pur vantando crediti nei confronti dello Stato, non ricevono queste risorse e devono intanto pagare quanto dovuto. Questa compensazione sarebbe un importante passo avanti.
  Il capitolo dedicato alla concorrenza e alle liberalizzazioni rappresenta sicuramente un'opportunità, ma bisogna porre una prioritaria attenzione a scelte di liberalizzazione che siano in grado di incidere sui nodi strategici per la crescita del nostro Paese.
  La recente liberalizzazione nel campo della distribuzione commerciale si è spinta a nostro parere oltre il necessario e in passato abbiamo parlato anche di desertificazione delle città. Dobbiamo realizzare una liberalizzazione utile e non una liberalizzazione purchessia, evitando di adottare un'ideologia che possa comportare problemi anche in relazione ai servizi offerti dal Paese. Come R.ETE. Imprese Italia riteniamo quindi che il ritorno a una regolamentazione minima possa essere utile.
  Il Jobs Act è in linea con le richieste delle imprese, quindi il nostro giudizio è sostanzialmente positivo. Manifestiamo altresì interesse per il piano di attuazione della Youth Guarantee annunciato dal Governo, purché si indichi una soluzione chiara circa le modalità attraverso le quali affrontare il pesante tema della disoccupazione nel nostro Paese.
  Siamo disponibili a valutare con attenzione anche ipotesi di contratto unico così come siamo favorevoli alle semplificazioni, ma sottolineiamo che l'unicità di contratto si scontrerebbe con l'eterogeneità delle esigenze di lavoratori ed imprese, quindi dobbiamo tenere conto di questa articolazione perché vogliamo crescere e creare lavoro e ricchezza per il Paese.
  Dobbiamo quindi innamorarci delle cose utili che creano condizioni positive, non delle posizioni di principio. La revisione degli ammortizzatori sociali non deve collidere con schemi quali la cassa in deroga Pag. 41e con gli istituti bilaterali di sostegno al reddito, che svolgono un ruolo importante.
  Apprezziamo l'obiettivo del Governo di trasformare il turismo in leva dello sviluppo del Paese, in quanto da decenni insistiamo su questo fondamentale strumento per la crescita dell'economia e dell'occupazione, ma dobbiamo sapere che, oltre al turismo straniero, gran parte del turismo è nazionale, quindi occorre puntare ad incrementare le presenze straniere nel nostro Paese senza però dimenticare il peso della domanda interna.
  Per questo motivo chiediamo la riattivazione dei cosiddetti buoni vacanza, che hanno concretamente funzionato, e di investire maggiormente nella promozione anche del turismo all'estero. Personalmente imploro un Portale Italia, in quanto non ho mai capito, né capirò mai, perché ancora non lo abbiamo. È vero che le competenze sono state decentrate, ma non possiamo basarci solamente su una politica territoriale e non avere una politica nazionale.
  Per quanto riguarda le camere di commercio e l'ipotesi del loro superamento da parte del Governo, voglio sottolineare che si tratta di uno strumento importante per le imprese italiane e che la loro eliminazione costituirebbe un grave errore. Le imprese hanno necessità della funzione di certificazione svolta dal registro delle imprese.
  R.ETE. Imprese Italia comunque ritiene che la spending review sia auspicabile anche per le camere di commercio. Il sistema camerale si può e si deve riformare su quattro punti principali: la razionalizzazione del numero delle camere di commercio, che oggi sono legate alle province (quindi ci sarà un cambiamento, non so se mediante un automatismo, ma il problema comunque si pone); il riordino delle aziende speciali controllate dalle camere di commercio; il miglioramento del processo di governance; l'individuazione di funzioni di servizio prioritarie per le piccole e medie imprese.
  Queste sono le nostre priorità. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Venturi per l'esaustiva relazione.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAN CARLO SANGALLI. Ringrazio il presidente Venturi per la sua introduzione e per averci richiamato all'importanza della domanda aggregata interna, un tema che nelle audizioni precedenti abbiamo visto un po’ sfuggire.
  A parte le tante cose che si sono dette, scritte o si attendono, l'operazione più importante contenuta nel DEF – su cui vorrei da R.ETE. Imprese Italia un giudizio esplicito – è collegata alla riduzione del costo del lavoro attraverso l'intervento prevalentemente sulla parte IRPEF del costo del lavoro, allo scopo di trasferire risorse ai ceti a minore reddito sfruttandone la propensione al consumo, che, come è noto, è molto elevata.
  Su questo vi sono opinioni imprenditoriali differenti, che vorrebbero canalizzare principalmente sulla riduzione dell'IRAP quale componente del costo del lavoro, creando un vantaggio competitivo per le imprese. Siccome dobbiamo scegliere perché non possiamo fare tutto, vorrei conoscere la vostra opinione in proposito.
  La seconda questione che vorrei rapidamente porre è quella relativa al tema della spesa pubblica. Nel corso degli ultimi anni, la spesa pubblica è stata sensibilmente ridotta e nel Documento di economia e finanza si prevede di continuare a perseguire tale riduzione attraverso i provvedimenti di spending review.
  Voi sapete bene che la riduzione della spesa pubblica ha un effetto sulla domanda aggregata forse superiore agli effetti che ha la pressione fiscale e quindi ci chiediamo: dove è preferibile concentrare la riduzione della spesa pubblica e l'attenzione della spending review, valutando tale intervento dal versante delle piccole imprese che voi rappresentate ?
  I pagamenti della pubblica amministrazione verso le imprese rappresentano un tema importante: ricordo che il 2013 e i primi mesi del 2014 si sono chiusi con un Pag. 42consuntivo di circa 22 miliardi di euro di pagamenti realizzati e che per il 2014 la legge di stabilità prevede di arrivare a una cifra complessiva di 47 miliardi di euro e che il DEF si propone di azzerare il pregresso dei debiti, immettendo liquidità nel sistema delle imprese. Questa potrebbe essere una forte azione di sostegno alla competitività, perché avviene in un tempo piuttosto rapido, nella misura di circa 50 miliardi di euro in due anni. Vorremmo sapere se riteniate che ciò abbia un effetto importante anche sul sistema della piccola impresa.
  Quanto, infine, ai trasferimenti alle imprese, ovviamente gli incentivi sono serviti molto alle piccole imprese, soprattutto nelle aree più svantaggiate del Paese e soprattutto quando sono arrivati in modo diretto e senza orpelli burocratici, attraverso la compensazione e la riduzione fiscale. C’è la sensazione che buona parte di questi incentivi non sia andata nella direzione produttiva e che quindi una quota possa essere ridotta per creare maggiori risorse da porre a disposizione delle riforme. Anche a tale riguardo, vorrei conoscere la vostra opinione.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Ringrazio il presidente Venturi per la sua ampia relazione. Lei ha toccato molti aspetti ma alcune domande del collega Sangalli mi aiutano a entrare maggiormente nello specifico di alcuni temi, di due in particolare.
  Dalla cosiddetta manovra degli 80 euro i suoi associati sono esclusi, rimane cioè esclusa tutta una parte di lavoro del nostro Paese che negli ultimi anni ormai è cresciuta tanto da essere numericamente equivalente a quella del lavoro dipendente e, quindi, a rappresentare l'altra faccia di una medaglia che è il lavoro in Italia.
  Come sappiamo, il lavoro autonomo è meno garantito di altri, è esposto a maggiori rischi e si sviluppa attorno alle capacità, alle potenzialità delle persone. In un momento di crisi e di difficoltà come quello che viviamo, ritengo sbagliato non considerare il grande valore di queste persone e non provare a individuare le modalità attraverso cui coinvolgerle in questo intervento degli 80 euro, che noi consideriamo positivo e crediamo possa costituire un valore aggiunto in questa operazione economica importante per il Paese.
  Sarebbe opportuno non limitarsi al tentativo di far recuperare capacità e quindi aiutare quella domanda che speriamo possa ripercuotersi positivamente sulle aziende probabilmente associate alle organizzazioni che lei oggi rappresenta. Riteniamo che su quel fronte del lavoro, insieme a quello del lavoro dipendente, vada concentrata la nostra attenzione.
  Vorrei chiederle di approfondire un secondo aspetto che lei ha toccato. Lei chiede di considerare il tema dell'utilizzo del contante così come viene considerato in altri Paesi europei, laddove ad esempio non è certo quello lo strumento della lotta all'evasione fiscale o laddove la lotta all'evasione fiscale non rappresenta un'emergenza così come viene avvertita nel nostro Paese.
  Ricordo che quel limite la Germania non ce l'ha e che la Francia ce l'ha molto più elevato del nostro: sono dunque situazioni così diverse che fanno sembrare l'Italia alla ricerca di una modalità europea che europea non è, ma che penalizza fortemente alcuni settori in particolare.
  Non mi riferisco a quelli più famosi di via Montenapoleone o del turismo che è abituato all'utilizzo dei contanti e, quindi incontra difficoltà a spendere nel nostro Paese; mi riferisco piuttosto, come con alcuni colleghi in Senato abbiamo già avuto modo di approfondire, al tema dei mercati ortofrutticoli, soprattutto quelli nelle aree di frontiera, dove la transazione che non può avvenire in contanti costringe le imprese ad agire in un'illegalità obbligata dalle circostanze.
  La piccola impresa, spesso familiare, che deve vendere il suo prodotto ha, infatti, davanti a sé due scelte: non venderlo o accettare di essere pagata in contanti. Chiedo quindi alla sua organizzazione di approfondire meglio e sostenere insieme alla rappresentanza parlamentare la bontà di questa proposta. A lei chiedo Pag. 43altresì di valutare gli effetti della centralizzazione della spesa, nell'ambito delle modalità della spending review, per l'acquisto di beni e servizi per la pubblica amministrazione sulle piccole e medie imprese italiane sparse sul territorio.

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Vorrei chiedere un approfondimento al presidente Venturi: lei evidenziava l'esigenza di intervenire maggiormente a livello strutturale per le piccole e medie imprese, quindi le chiederei di farci qualche esempio di questi interventi a livello strutturale.
  La seconda domanda che le vorrei porre riguarda il credito per le piccole e medie imprese, laddove il credit crunch ha raggiunto livelli assai elevati. Poco fa abbiamo audìto i rappresentanti dell'ABI, che hanno sostenuto che una delle conseguenze dell'aumento della tassazione delle rendite finanziarie sarebbe quella di rendere ancora più stringente questo credit crunch per le imprese. Vorrei chiederle se anche lei ravvisa questo pericolo.

  PRESIDENTE. Vorrei sapere dal presidente Venturi quale sia il limite ideale di contanti da voi individuato, per conoscere la posizione di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti, perché ciascun gruppo tende a fissare un limite ideale in funzione delle posizioni assunte in altri dibattiti.
  Do quindi la parola al presidente di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti, Marco Venturi, per la replica.

  MARCO VENTURI, presidente di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti. Con una battuta direi che non ci dovrebbe essere un limite.

  PRESIDENTE. Presidente, ha detto lei che c’è un limite in Europa.

  MARCO VENTURI, presidente di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti. Per questo avevo parlato di una battuta. Ritengo che dobbiamo risolvere il problema tenendo conto di vari fattori.
  Non indico un numero, però dobbiamo risolvere una serie di problemi: quel limite diventa un vincolo per il turismo, un vincolo per le persone anziane, quindi esiste tutta una serie di temi che dovremo valutare con attenzione modificando la situazione attuale.
  Vado molto rapidamente e poi, se i colleghi che mi hanno accompagnato vorranno, potranno intervenire per svolgere alcuni approfondimenti e precisazioni. Per quanto riguarda la domanda del senatore Sangalli relativa ad un nostro giudizio sul costo del lavoro e sull'IRPEF, già nella mia introduzione ho evidenziato la necessità di intervento sull'IRAP e sull'IRPEF.
  Noi dobbiamo pensare a una riduzione complessiva della pressione fiscale: questo è uno dei punti che possiamo discutere intorno a un tavolo perché dovremo comunque toccare diverse imposte, tenendo ovviamente conto delle attuali disponibilità economico-finanziarie. Dobbiamo assumere una direzione e seguirla.
  Il problema è che non si parte, non si intraprende la strada della riduzione della pressione fiscale. Pensiamo ai recenti provvedimenti adottati attraverso un aumento dell'IVA: in una situazione in cui il Paese non cresceva e i consumi erano sotto zero, abbiamo pensato di poter incassare più risorse che servivano allo Stato attraverso un aumento dell'IVA.
  Noi abbiamo evidenziato prima che l'aumento dell'IVA avrebbe portato non a una crescita, ma addirittura a una riduzione delle entrate, perché la situazione era già difficile e questo avrebbe avuto un ritorno negativo.
  Quando parliamo di imposte dobbiamo ragionare sul fatto che due più due non fa quattro, ma bisogna tenere conto degli effetti che ogni provvedimento produce e quindi della sua incidenza sulle entrate fiscali, che è uno dei punti che noi predichiamo da anni senza però riuscire a venirne a capo.
  Riguardo alla domanda sulla spesa pubblica, sicuramente si è fatto qualche piccolo passo in questa direzione e un Pag. 44progetto presentato dal Governo prevede interventi sulle province, che senz'altro incideranno sulla spesa.
  Su questo dobbiamo agire con determinazione, perché non dobbiamo ritenere che, se riduciamo la spesa, l'economia frenerà ancora di più, in quanto dipende da cosa facciamo con quelle risorse. Se infatti le lasciamo in mano alle imprese o ai lavoratori dipendenti, le famiglie consumeranno di più, gli imprenditori investiranno, quindi quelle risorse entreranno in circuito e creeranno maggiore ricchezza e maggiore lavoro. Mi porrei dunque il problema, ma dobbiamo ragionare anche in questa direzione.
  Sui tagli bisogna avere coraggio. Credo che il nodo principale sia quello di avere coraggio e concentrare i tagli soprattutto sui vari livelli istituzionali oltre che sulla spesa corrente, dove c’è un mare in piena di sprechi, ossia su una riforma complessiva dello Stato.
  Per quanto riguarda il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, nella storia c’è sempre stato un flusso perché si pagava un pezzo ma contemporaneamente si creava un nuovo debito, mantenendo così quel credito da parte delle imprese più o meno allo stesso livello. Questo è uno degli interventi che potrebbero davvero favorire la ripresa dell'economia.
  Ritengo che l'esclusione delle nostre imprese dal beneficio degli 80 euro sia incomprensibile perché riguardo all'IRPEF non si può fare una discriminazione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, soprattutto tenendo conto delle difficoltà che in questa fase vive il lavoro autonomo.
  Per quanto riguarda il contante consideriamo importante avere una disponibilità pari a quella degli altri Paesi europei, non chiediamo la luna ma vorremmo non essere discriminati utilizzando l'argomento dell'evasione fiscale. Sottolineo che gli studi di settore, che sono continuamente aggiornati, vengono rispettati ormai dalla stragrande maggioranza delle imprese. Credo che questo sia un elemento importante di cui tenere conto.
  La questione del credito costituisce un problema molto serio, perché la crisi mette all'angolo le imprese che non possono nemmeno stare ferme, ma per sopravvivere devono investire e produrre innovazione. Occorre quindi creare le condizioni affinché le nostre imprese possano essere competitive, affrontando la questione centrale del credit crunch, che è necessario risolvere per superare una serie di problematiche.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Venturi e la delegazione di R.ETE. Imprese Italia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA GIAN CARLO SANGALLI

Audizione di rappresentanti di Confapi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di Confapi.
  Do la parola al direttore generale di Confapi, Armando Occhipinti.

  ARMANDO OCCHIPINTI, direttore generale di Confapi. Ringrazio il presidente per l'opportunità che oggi ci viene offerta di parlare del Documento di economia e finanza, che per il Paese è il documento più importante.
  Così come per un'azienda si fanno bilanci previsivi, per il nostro Paese questa programmazione economica e finanziaria di bilancio deve essere collegata non solo al passato, ma anche alle prospettive future. Speriamo che sia l'anno buono perché dal 2008 non riusciamo a tenere fede Pag. 45ai valori che vengono presentati nel documento più importante, più serio e strategico per il Paese.
  Non rubo tempo per spiegare quello che voi sapete già meglio di me in termini di funzionamento, ma provo a entrare subito nel merito per sottolineare alcune nostre considerazioni. C’è già una prima differenziazione nelle tre sezioni del Documento – concernenti, rispettivamente, il Programma di stabilità per l'Italia, l'analisi e le tendenze della finanza pubblica, il Programma nazionale di riforma – con riferimento ai valori di crescita del PIL.
  A tale ultimo riguardo, noi ci differenziamo, per esempio, dalle stime elaborate dal Fondo monetario internazionale, che prevede una crescita del PIL pari allo 0,6 per cento nel 2014 rispetto ad una crescita stimata nel DEF in misura pari allo 0,8 per cento per il medesimo anno: anche se la differenza percentuale è minima, questi due punti decimali potrebbero significare ancora più lacrime e sangue, per cui già partiamo con la preoccupazione che le previsioni del DEF siano troppo ottimistiche rispetto a quelle del Fondo monetario internazionale.
  Vorrei sottolineare l'importanza strategica della logica del made in Italy non tanto perché primarie società di revisioni abbiano realizzato in passato studi sul made in Italy secondo cui quest'ultimo sarebbe il terzo brand più conosciuto al mondo dopo la Coca-Cola e la carta di credito VISA, quanto perché abbiamo dimostrato che in questo periodo di grande depressione economica, che ci accompagna dal 2008 ad oggi, attraverso l'internazionalizzazione delle imprese siamo riusciti a tenere botta e a crescere.
  Come diceva Einstein, nei momenti drammatici l'uomo riesce a far emergere il meglio di sé e il nostro Paese in questi momenti drammatici, attraverso il tessuto economico della piccola e media impresa, ha saputo riorganizzarsi. Nel concentrarci sui temi, in particolare, dell'economia internazionale è quindi importante porre l'attenzione su questo aspetto.
  Ovviamente quando si parla di esplosione dell'internazionalizzazione – fenomeno rispetto al quale oggi l'Italia è considerato il secondo Paese europeo in termini di produzione manifatturiera e il terzo in valori assoluti a livello globale, ciò può significare anche necessità di attrarre i capitali, cosa che può avvenire soprattutto se nell'impegno che abbiamo letto nel DEF sulla riorganizzazione e sulle riforme sarà posta un'effettiva attenzione al tema delle semplificazioni.
  Una recente comunicazione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha evidenziato il peso della semplificazione nel nostro Paese per fronteggiare la tassa occulta che penalizza le nostre aziende per 61 miliardi di costi forse inutili, laddove avere meccanismi che salvaguardano lo stato di diritto è diverso dal prevedere passaggi burocratici inutili: 61 miliardi non sono certo pochi e potrebbero aiutare a far crescere il PIL.
  In termini statistici, dal 2008 si contano circa 300 provvedimenti, di cui 60 hanno aiutato a semplificare le procedure per il mondo dell'impresa, mentre i restanti hanno reso quelle procedure ancor più complicate. Da ciò deriva l'attenzione che noi chiediamo su tale specifica questione, sapendo bene come il DEF sia un atto la cui presentazione compete al Governo, mentre nella presente sede siamo di fronte al Parlamento ed è bene che ci sia un dialogo tra le due istituzioni.
  Riteniamo che la semplificazione debba essere un must al quale non possiamo rinunciare. Sono arrivato solo pochi minuti fa e non ho sentito parlare dello Small Business Act però, se il Paese è caratterizzato da piccole e medie imprese, dobbiamo trovare il nostro vestito, che su misura si fa solitamente per la grande impresa.
  Spesso, a livello istituzionale manca la cultura dello Small Business Act, cioè dell'esigenza di adattare le leggi alle esigenze della piccola e media impresa, che rappresentano la maggioranza del mondo economico nel nostro Paese in termini anche di occupazione e di PIL. Non deve quindi scemare l'attenzione nei confronti del mondo della piccola e media impresa.Pag. 46
  A livello contrattuale stiamo facendo la nostra parte, però riteniamo che molto debba avvenire in ambito istituzionale.
  Accoglieremo con favore le azioni di riforma descritte nel DEF nel momento in cui vedremo attuata l'effettiva detassazione degli stipendi, che può costituire uno stimolo per gli acquisti, e la detassazione delle imprese, che potranno così meglio affrontare innovazione, ricerca e investimento per essere sempre più competitive.
  Prima parlavamo di quanto sia stato importante in questo periodo il ruolo di una produzione che ha saputo varcare i confini e toccare mercati al di fuori di quello domestico, ma ciò è avvenuto perché, nonostante le mille difficoltà, le aziende hanno dimostrato una grande capacità innovativa, dettata anche da esigenze connesse all'ambito della ricerca. Di fronte a questa nuova stagione delle riforme, noi non possiamo che spendere la nostra fiducia nei confronti di chi vuole mostrare attenzione ai cambiamenti cui ho fatto riferimento.
  Per quanto riguarda l'ammodernamento delle norme che porteranno alla semplificazione, mettiamo al primo posto l'impegno della pubblica amministrazione nel far fronte ai ritardi nei pagamenti.
  Rispetto alle aspettative, tali ritardi si stanno infatti mostrando come un elefante che stia partorendo un topolino, mentre invece non vogliamo abbassare la guardia: siamo ancora sotto la lente di ingrandimento dell'Unione europea e sono convinto che, se continueremo a raccontare che tutto va bene, la Commissione europea aprirà nei confronti del nostro Paese una procedura di infrazione.
  Riteniamo altresì che poco sia stato fatto, nonostante l'onda lunga dei precedenti Governi, in ordine al rifinanziamento dei Confidi, che rappresentano – se mi consentite la battuta – un male necessario per le banche, perché hanno salvato molte situazioni e lo hanno fatto in silenzio, nonostante abbiano subìto in questi anni una flessione della percentuale rispetto alle controgaranzie.
  Auspichiamo quindi che le controgaranzie possano tornare al 90 per cento, con un cospicuo rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia. Sono soluzioni molto semplici, vicine al mondo del lavoro, dell'impresa ed associativo; questo forse dà fastidio, però i risultati ci sono stati e l'abbiamo dimostrato, quindi bisogna insistere su questa strada.
  La possibilità per i Confidi di garantire strumenti alternativi per l'accesso ai capitali è stata una realtà in questi anni e dobbiamo continuare a crederci perché garantiscono la solvibilità del titolo.
  Nel prepararmi all'incontro di oggi, ho anche visto la fotografia del Piano strategico nazionale, quello che si fa con il contributo dell'Unione europea. Non dimentichiamo che noi diamo all'Europa più soldi di quelli che ci tornano indietro e, se poi non siamo capaci di spenderli e li spendiamo male lasciando sempre situazioni sospese a metà, non facciamo il bene del Paese.
  Nell'esame della programmazione che ormai sta volgendo al termine, ho visto che il Capo Dipartimento che ha elaborato i risultati della programmazione del Piano strategico nazionale nel presentarci il piano medesimo si arrampicava sugli specchi, dichiarando che si dovrà completare, dunque siamo di fronte ad azioni infrastrutturali che sono tutte lasciate a metà, circostanza questa che nuoce al Paese.
  Auspichiamo che possa esserci un fisco più equo, in grado di aiutare a combattere la piaga dell'evasione, che come associazione combattiamo considerandola una forma di concorrenza sleale. I tassi e le percentuali del fisco molto elevati tuttavia non aiutano.
  Per quanto riguarda le politiche fiscali depositerò agli atti un documento, quindi toccherò l'argomento solo per temi perché abbiamo già realizzato degli studi che confrontano la situazione con quanto avviene in Francia, in Spagna e in Germania. Senza accanimenti terapeutici con percentuali elevatissime sull'IRAP che si accanisce, ad esempio, su aziende labor intensive e in crisi, gli interventi andrebbero graduati in base alle dimensioni aziendali. Simili operazioni devono essere fatte in maniera equa.Pag. 47
  Anche se forse il Documento di economia e finanza non ne parla in maniera esplicita, vorremmo fare un appunto rispetto a come la pubblica amministrazione acquista prodotti. Riteniamo che la CONSIP in questa fase, attraverso la concentrazione degli acquisti, stia uccidendo per certi versi il libero mercato e nel farlo non favorisca certamente una ripartenza dell'economia, anche perché c’è un buco nero: manca una legge che dica che una pubblica amministrazione locale può comprare ad un prezzo inferiore. Questo è uno scandalo su cui dobbiamo intervenire.
  L'Italia ha bisogno di misure di stimolo certamente non aumentando l'IVA e detassando il lavoro dipendente oppure le imprese, quindi bisogna fare ancora molto.
  Per quanto riguarda la CONSIP, nella mia relazione è inserita una nota stringata dei motivi per cui il meccanismo a nostro giudizio non funziona e andrebbe pertanto immediatamente introdotta una norma che preveda che una pubblica amministrazione che a livello locale trovi un prodotto a prezzo inferiore non sia costretta a entrare nel vortice di quei quindici consorzi che gestiscono 1,5 miliardi di acquisti nella pubblica amministrazione cui la piccola e media impresa non è chiamata neanche ad avvicinarsi, anche se magari potrebbe offrire beni e servizi a prezzi inferiori. Occorre quindi adottare una norma di democrazia economica.
  Per quanto riguarda le reti di impresa, sapete come «piccolo» non sia ormai sempre sinonimo di migliore, nonostante il detto «piccolo è bello» diffuso negli anni Settanta e Ottanta. Oggi, «piccolo» non sempre è bello, perché con la globalizzazione molte cose sono cambiate. Negli anni abbiamo avuto prima gli aiuti delle svalutazioni competitive, che oggi non ci sono più, quindi abbiamo inventato i distretti industriali, che però non sempre riescono a reggere alla competitività del mercato globale, per cui ultimamente abbiamo realizzato le reti di impresa. Le agevolazioni fiscali hanno aiutato ma poi all'improvviso sono state interrotte, quindi è opportuno che per le reti di nuova costituzione si possa pensare a un ritorno al passato, cioè ad un sostegno nella forma di defiscalizzazioni. Anche quelle esistenti vanno consolidate, non dimenticando che spesso lo start-up di molte aziende dura lo spazio di soli due o tre anni e poi muore.
  Poiché abbiamo creato una necrosi in molti tessuti economici del territorio che potrebbe condurre alla morte definitiva, tenuto altresì conto che per ricostruire un tessuto economico occorrono anni se non generazioni, dovremmo prevedere perlomeno aiuti rispetto alle reti d'impresa consolidate sui territori.
  Quanto al capitolo sulla giustizia, mi verrebbe da pensare che oggi l'ordine degli avvocati in molte città aiuti la magistratura ad avere personale. Non abbiamo mobilità nella pubblica amministrazione ed ultimamente si è parlato di grandi innovazioni, di tagli e di razionalizzazione, ma mi viene in mente che il personale del CNEL, se andasse nella sezione lavoro del tribunale, non farebbe un mestiere totalmente diverso, ma garantirebbe un aiuto.
  Oggi, infatti, per avere un minimo di giustizia anche in termini di tempo, l'ordine degli avvocati spesso invia personale terzo a lavorare e a fornire un sostegno per poter avere dai giudici di pace aiuti che altrimenti non avrebbero.
  Sulla riforma del mercato del lavoro non dirò che siamo soddisfatti oltre misura, però ricordo che non più tardi di sei mesi fa, messo in minoranza, ho chiesto al Ministro Giovannini se fosse possibile avere per legge un periodo di prova della durata di un anno e sono stato guardato come un marziano, mentre oggi abbiamo un contratto a termine che funziona e può essere un aiuto perché un imprenditore che prende una commessa avrà il coraggio di ritenere che questa commessa non sarà episodica ma potrà diventare stabile. Questa scommessa aiuta ad abbattere le elevatissime percentuali di disoccupazione, specialmente nel sud del Paese. Siamo ultimi in Europa: dal 2008 ad oggi abbiamo 5 milioni di disoccupati in più e nel sud la disoccupazione ha sfondato ogni tetto in termini negativi.
  Concludo evidenziando una particolarità. Il contratto di lavoro interinale rispetto Pag. 48al contratto a termine forse fidelizza meno, perché il contratto a termine, che può essere visto in maniera negativa per le sue otto proroghe, permette innanzitutto al datore di lavoro di impiegare la persona per attività legate alla sicurezza e all'organizzazione puntando sulla fidelizzazione più di quanto può avvenire con il contratto di lavoro interinale, quindi è un vero e proprio salto di qualità: non sottovalutate questo aspetto.
  Sul tema dell'internazionalizzazione, di cui molto viene riferito nel nostro documento, abbiamo condiviso lo Sportello unico doganale, che è arrivato con sette anni di ritardo rispetto ad analoghi strumenti presenti in altri Paesi europei.
  Per quanto riguarda l'onda lunga del credit crunch, ritengo che – considerato che un giovane sardo anni fa con una lettera inviata ad un piccolo ufficio di Bruxelles è riuscito a far togliere l'inutile tassa di 5 euro dei gestori telefonici per le ricariche, sollevando il problema all'Antitrust, ma oggi continuiamo a pagare una tassa quando preleviamo i soldi presso uno sportello bancomat appartenente ad una banca diversa dalla nostra, però poi entrando in un qualsiasi istituto leggiamo che c’è PattiChiari – se scriviamo cos’è la responsabilità sociale e abbattiamo queste situazioni forse ci spaventeremo meno degli annunci sul credit crunch. I provvedimenti noti come «Basilea 3» sono prima usciti fuori e poi rientrati, perché altrimenti neanche le banche lavorerebbero.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Occhipinti. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Grazie, dottor Occhipinti, leggerò con maggiore attenzione la relazione di cui lei ha preannunziato il deposito per approfondire alcuni squarci che lei ha voluto aprire a una riflessione nostra e vostra più approfondita su alcune modalità.
  Sui princìpi siamo infatti tutti d'accordo, così come sappiamo che dobbiamo tendere verso l'alleggerimento della pressione fiscale sulle imprese. Ma il motto «piccolo è bello» degli anni Ottanta, che lei prima ricordava, deve essere aggiornato dicendo che oggi «piccolo» è ancor più difficile, perché il peso di una serie di fattori – dal ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione ai costi fissi, agli adempimenti burocratici – se spalmato sui bilanci di una media impresa è un fatto diverso.
  Se una media impresa può forse ancora reggere quel peso, per certo non può reggerlo un'impresa piccola o piccolissima, del tipo di quelle che aderiscono alla sua associazione di categoria. Ecco che allora «piccolo» è diventato difficilissimo in questo Paese, perché man mano che cresce la dimensione burocratica, così come è cresciuta nel nostro Paese, diminuisce la possibilità di tenuta di piccole organizzazioni economiche, che vengono messe a dura prova.
  Lei fa un riferimento alla democrazia economica e questo ci aiuta a inquadrare ancor meglio l'analisi che noi facciamo sugli effetti e sull'impatto reale delle nostre leggi, delle decisioni, degli atti del Governo. Dal punto di vista della democrazia economica il tessuto che, come lei prima ha ricordato, noi stiamo necrotizzando sempre di più dovrebbe invece ospitare la vocazione all'impresa, che è tipica del nostro modello culturale e sociale in quanto modello economico.
  Lei ravvisa nella centralizzazione dell'acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione una di quelle dinamiche che scritte sulla carta sembrano perfette, ma che tradotte nella realtà determinano rilevanti distorsioni del mercato e quindi continuano a necrotizzare il tessuto di democrazia economica e di opportunità economiche.
  Con il permesso del presidente Sangalli vorrei correggerla, perché non è vero che non esista una norma: esiste la norma che lei chiede, dottor Occhipinti, perché è la prima norma che ha originato l'applicazione della spending review, è datata 2011 e reca scritto con chiarezza, nell'intento del legislatore di prevenire l'effetto distorsivo e di consentire alle piccole imprese di Pag. 49stare dentro questo mercato in forte revisione, che una qualsiasi pubblica amministrazione che debba acquisire dal mercato un bene o un servizio lo può fare aderendo alle convenzioni CONSIP, se sul suo territorio, sul suo mercato – laddove oggi è molto semplice andare con un clic – non si ravvisi un costo inferiore, anche se sappiamo che i costi di queste operazioni poi gravano fortemente sulla pubblica amministrazione.
  Qui torniamo al «piccolo» che è quanto mai difficile, perché anche i piccoli comuni sopportano un costo esorbitante se ogni volta devono fare una gara, se ogni volta devono esperire questo tipo di procedure.
  La norma c’è, ma quello che lei lamenta è il frutto di un'articolazione amministrativa, vale a dire i soliti decreti attuativi o circolari, che in questo caso sono andati ben oltre la norma e hanno prodotto la distorsione per cui tutti sentono l'obbligo di aderire alle convenzioni CONSIP.
  La CONSIP svolge un lavoro pregevole ed importante, però con la naturale tendenza a centralizzare, perché così è giusto che accada, e quindi a favorire aggregazioni e grandi cartelli di grandi imprese che soffocano inevitabilmente l'articolazione sul territorio e non consentono quella libera competizione e quindi la concorrenza reale tra chi è in grado di offrire il medesimo servizio – e infatti questo vale più per i servizi che per i prodotti – a un costo inferiore.
  Il danno quindi è duplice: da un lato non è vero che risparmiamo, perché i dati cominciano a dimostrarlo, dall'altro produciamo un grave danno alle imprese sul territorio, che si vedono completamente sopravanzate da cartelli di impresa con pochi soggetti oggi prevalentemente CONSIP perché le centrali di acquisto, che sono moltissime, verranno ricondotte a 30-40 soggetti in virtù di questo intervento finale di spending review che andremo probabilmente ad approvare nei prossimi mesi, laddove però ho l'impressione che la concorrenza non sia così libera.
  Dal momento che anche in questo modo continuiamo a necrotizzare tessuti di economia e quindi di democrazia economica, occorre ribadire che quella legge c’è e che lo spirito di quella legge deve essere rispettato, perché atti, circolari e burocrazia – tutto ciò insomma che sappiamo essere ormai diventato il nemico numero uno in questo Paese, quelli che il presidente Sangalli ama definire «i mandarini delle burocrazie» – stanno distorcendo il nostro mercato e la libertà delle nostre imprese di continuare ad offrire, alle migliori condizioni, ciò di cui necessita la pubblica amministrazione.
  La invito quindi, dottor Occhipinti, ad affrontare con maggiore forza questo tema insieme a tutti noi. Attraverso queste modalità si cambia la faccia al tessuto economico e sociale di un Paese, quindi richiamo la vostra attenzione su quella coesione sociale che passa dalle imprese e non solo dal lavoro dipendente. Questo mi preoccupa molto perché so che, nel momento in cui un'impresa chiude, per riaprirla – come lei prima ricordava – occorrono generazioni.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. La domanda riguarda il problema del credito, la stretta creditizia. C’è ormai un'ampia evidenza che dimostra che questo è forse il problema numero uno che c’è oggi in Italia, un problema che riguarda tutto il mondo delle imprese ma in particolare, come sappiamo, la piccola e la micro impresa.
  Le vorrei chiedere quindi una visione strategica, perché qui abbiamo il problema di come riattivare flussi a composizione data, problema che riguarda le banche, ma anche nell'ipotesi più ottimistica che questi flussi possano essere riattivati dobbiamo scontare il fatto che non si potrà mai più tornare a quella capacità di fornire credito da parte del sistema bancario che ha caratterizzato il passato.
  Si apre quindi una grande sfida che riguarda tutto il discorso del credito che passa attraverso i canali non bancari, perché abbiamo una patologica dipendenza del sistema delle imprese. Poiché il Pag. 50problema si pone a medio termine ma anche a breve termine, vorrei sapere quali di queste forme secondo voi – fondi di credito, minibond – più si attaglino al variegato mondo della piccola e della micro impresa, in che maniera sia percorribile un'alternativa, perché mai come in questo momento c’è anche un favore da parte dell'istituzione che vigila sul mercato, la Banca d'Italia, che si è apertamente espressa in senso favorevole, addirittura incentivando.
  Vorrei chiederle dunque quali possano essere a breve e a medio termine le strade migliori tra le varie che sono continuamente messe sul tavolo e richiamate, quindi con un senso di concretezza e pragmatismo.

  ARMANDO OCCHIPINTI, direttore generale di Confapi. Di concretezza e pragmatismo qualcosa abbiamo scritto nella nostra memoria. Per quanto riguarda la possibilità per i Confidi di garantire strumenti alternativi per l'accesso ai capitali da parte delle piccole e medie imprese, in essa abbiamo citato equity, venture capital, minibond.
  Bisognerebbe dare più fiducia e più credito ai Confidi. Molte cose stanno cambiando, la Banca d'Italia che avevo studiato io oggi è divenuta altro, da pubblica forse è diventata privata; come nelle partite di calcio ci sono l'arbitro, il giocatore e il tifoso, qui adesso molte figure si sono confuse strada facendo.
  I problemi ci sono, molti miei imprenditori non vanno in banca perché magari, se si recano a chiedere un fido, si vedono fare la revisione; però è anche vero che ci sono giovanotti con il computer che fanno rating e non hanno mai visto un'azienda, ci sono quindi due mondi che non comunicano.
  Tanti anni fa, avevo un gruppo di giovani che realizzò un convegno che recava scritto «La Banca: se la conosci, evitala», perché il dialogo è sempre stato un mancato dialogo. La Confapi è abbastanza schietta e diretta, quindi talora dà l'impressione di essere un po’ troppo singolare.
  Certamente il problema esiste e non sappiamo come andrà a finire. Non è certamente il momento di fare guerre, però bisognerebbe rimboccarsi le maniche e giocare a carte scoperte. L'imprenditore, che a volte perde anche la vita suicidandosi perché non ha più il coraggio di andare avanti perché preso da mille problemi, è una realtà. La piccola e media impresa, che per certi versi era sottocapitalizzata, con la crisi ha subìto un giro di vite e va avanti a fatica, a causa della zavorra, rispetto ai competitor di altri Paesi.
  Molte cose sono da sistemare però ricordo che abbiamo fatto una riforma delle pensioni molto rigorosa e la piccola e media impresa privata ha pagato e continua a pagare, e i suoi fondi gestione aiutano gli altri. Non tutti stanno facendo la loro parte e io sono qui in rappresentanza della piccola e media industria privata e dei servizi all'industria, per cui con orgoglio e a testa alta dico che noi paghiamo e paghiamo anche per altri.
  Se andiamo a vedere le riforme che sono state fatte anche con rigore, molte categorie continuano a non pagare o pagheranno, faranno, diranno, mentre noi paghiamo e chiudiamo perché abbiamo una tassazione al 55 per cento.
  Dobbiamo decidere se ci sono banche d'affari o banche di tipo tradizionale, perché anch'esse devono fare la loro parte. Secondo i dati INPS, noi abbiamo 92 mila aziende che applicano i nostri contratti e quasi un milione di lavoratori, e, se proviamo a fare un conto del valore equivalente in milioni se non miliardi di euro di questo nostro patrimonio, forse verremo rispettati di più.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore generale di Confapi, Armando Occhipinti, e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare Pag. 51all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative italiane.
  Do la parola a Giampaolo Bonfiglio, vicepresidente dell'Alleanza delle cooperative italiane.

  GIAMPAOLO BONFIGLIO, vicepresidente dell'Alleanza delle cooperative italiane. Ringrazio il presidente per questa audizione.
  L'Alleanza delle cooperative italiane raccoglie le tre centrali storiche del movimento cooperativo, Confcooperative, Legacoop e Associazione generale cooperative italiane (AGCI), in un percorso iniziato ormai tre anni fa. Stiamo costituendo coordinamenti settoriali e territoriali e ci auguriamo in poco tempo di arrivare ad una organizzazione unica, superando la frammentazione storica delle centrali cooperative nell'interesse dei nostri cooperatori ed al fine di conferire più forza al nostro movimento.
  L'Alleanza delle cooperative italiane esprime, al di là di qualche criticità che ci auguriamo possa essere superata, una condivisione generale sul Documento di economia e finanza 2014, che si sviluppa a partire da un'affermazione a nostro avviso molto importante, cioè il fatto che ci sia bisogno di una politica economica incentrata su misure strutturali, ognuna con una strategia di respiro pluriennale, ispirata al conseguimento di obiettivi chiari e misurabili.
  Questa è per noi un'impostazione assolutamente condivisibile. Se poi andiamo ad analizzare gli scopi e gli obiettivi della strategia che sottende il Documento di economia e finanza 2014, troviamo obiettivi – come il miglioramento delle aspettative dei consumatori, degli imprenditori e dei cittadini in generale, nonché delle condizioni materiali di vita degli uomini e delle donne – che rientrano nel nostro codice genetico e che sono, per noi espressione della cooperazione mutualistica, obiettivi condivisibili e coerenti con il carattere intergenerazionale della nostra azione e della nostra missione istituzionale.
  Per questo il Documento di economia e finanza 2014 è per noi in gran parte condivisibile, soprattutto alla luce dei criteri che dimostra di perseguire nel tentativo di costruire un Paese capace di assicurare una semplificazione generale ed una sburocratizzazione a vantaggio di imprese, cittadini ed istituzioni, di assicurare equità nella redistribuzione della ricchezza e sostegno delle fasce più deboli nonché di promuovere uno sviluppo sociale ed economico sostenibile anche sotto il profilo ambientale, premiando esclusivamente – questo è il nostro auspicio – chi investe in Italia.
  Questi obiettivi, a nostro avviso, possono essere raggiunti con maggiore facilità qualora si riesca ad andare avanti con le riforme costituzionali. Questa è la grande novità: il fatto che il DEF colleghi la politica economica con le riforme costituzionali, assegnando una centralità particolare al tema delle riforme istituzionali e ordinamentali. Questa è una novità significativa che può contribuire al miglioramento del dibattito sulle riforme istituzionali e sull'elaborazione delle riforme economiche.
  Per tali ragioni, anche in questo scenario continuiamo a ritenere che uno degli strumenti utili, anzi indispensabili, per assicurare l'efficacia di queste politiche sia il continuo dialogo sociale tra Governo, autonomie e parti sociali. Con il dialogo e tutti i contenuti innovativi che ho appena sinteticamente citato, la sfida consisterà quindi nella verifica dei risultati che questo metodo potrà garantire.
  Prima di passare la parola, se il presidente lo consente, ai colleghi Mauro Iengo, responsabile dell'ufficio legislativo di Legacoop, e Marco Venturelli, vicesegretario generale di Confcooperative, nel rispetto dei tempi assegnati vorrei richiamare solo un punto particolarmente importante registrato tra le sensibilità e le urgenze espresse dal tessuto delle imprese Pag. 52da noi rappresentato, ossia quello del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione.
  Questo è un punto centrale: oggi si discute molto di credito e di credit crunch e il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione si iscrive in questo quadro. L'Alleanza delle cooperative italiane non può che apprezzare l'intento dichiarato nel Documento di soddisfare integralmente e da subito tutto il debito pregresso della pubblica amministrazione, destinando a tal fine 13 miliardi aggiuntivi rispetto alle risorse già stanziate dal Governo Letta.
  Ci sembra, inoltre, ancor più significativo l'obiettivo di intervenire sulle cause dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, sia correggendo la disciplina civilistica sia riformando la contabilità pubblica, tenuto conto che rimuovere le cause è importante quanto risolvere il problema.
  Quanto all'integrale soddisfazione del debito pregresso, occorrerà tuttavia verificare in concreto l'efficacia del meccanismo proposto, che prevede l'intervento della garanzia statale della Cassa depositi e prestiti.
  Il profilo a nostro avviso più critico riguarda i tempi. Si è passati dal mese di giugno, con i primi annunci, a quello di settembre e quindi di ottobre, ma poiché la tempistica è parte integrante del problema, procrastinare continuamente i termini entro cui il problema medesimo dovrebbe essere risolto, rischia di frustrare in gran parte gli effetti positivi di tale intervento. Su questo aspetto c’è dunque una particolare attenzione da parte dell'Alleanza delle cooperative italiane.
  Per quanto riguarda gli ulteriori punti, che in dettaglio sono elencati nel documento, pregherei il collega Iengo di intervenire.

  MAURO IENGO, responsabile dell'ufficio legislativo di Legacoop. Grazie, presidente, cercherò davvero di essere molto breve selezionando alcuni temi presenti nel Documento, quindi né io né il collega Venturelli li scorreremo complessivamente ma selezioneremo solo quelli che ci sembrano più importanti. Fra questi, c’è il tema dell'autoimpiego e dell'autoimprenditorialità.
  Noi siamo assolutamente d'accordo con la focalizzazione molto rilevante posta sui temi del lavoro e dell'occupazione, ma a nostro parere un maggiore approfondimento avrebbe dovuto essere riservato proprio alle questioni testé menzionate dell'autoimpiego e dell'autoimprenditorialità.
  Da questo punto di vista, la memoria da noi depositata contiene anche talune indicazioni operative e proposte, tra cui senz'altro la necessità di un coordinamento tra i diversi strumenti di promozione imprenditoriale al fine di realizzare le migliori sinergie, sia nella fase istruttoria sia nel cofinanziamento dei progetti.
  Uno dei grandi temi è, infatti, rappresentato dalla scarsa qualità dei progetti o dalla scarsa qualità dei criteri di valutazione dei progetti di promozione imprenditoriale. Nel momento in cui noi mettiamo in sinergia e coordiniamo i diversi strumenti di promozione presenti nel nostro ordinamento, abbiamo anche la possibilità di migliorare sia nella identificazione della qualità dei progetti, sia nei finanziamenti all'impresa attraverso sinergie tra i diversi strumenti.
  Ci sembra importante anche una politica di maggiori incentivi nei confronti degli spin-off universitari e scolastici. Si fa un gran parlare di rapporto fra scuola ed università, da un lato, ed economia, occupazione e mercato del lavoro, dall'altro, ma avvertiamo che sussistono taluni nodi che ostacolano la concreta possibilità di dialogo. Crediamo che il tema degli spin-off universitari e scolastici possa essere davvero utile.
  Lo diciamo anche in relazione, in particolare, al tema, che non abbiamo riscontrato nel Documento, delle società tra professionisti. Circa due anni fa un provvedimento ha aperto a questa possibilità, ossia alla costituzione di società per l'esercizio di attività professionali, ma poi è rimasto fondamentalmente lettera morta perché nel frattempo non sono stati sciolti Pag. 53né i nodi giuridici, fiscali e previdenziali, né tanto meno la questione di una cultura che nasca dall'università per consentire agli studenti che si affacciano al mercato del lavoro di pensare alla loro professione anche in forme imprenditoriali e societarie.
  Vi è, inoltre, l'aspetto dell'impiego degli ammortizzatori sociali rispetto ai quali il Governo sta avviando una politica che evidentemente condividiamo, in quanto ci sembra finalizzata alla razionalizzazione, tuttavia abbiamo colto una certa disattenzione rispetto, ad esempio, all'impiego degli ammortizzatori sociali – mi riferisco agli strumenti della cassa integrazione, della mobilità e a tutti gli altri istituti definiti generalmente ammortizzatori sociali – per favorire la nascita di nuove imprese tra i lavoratori espulsi dal mercato del lavoro in seguito al fallimento delle proprie.
  Quello della aggregazione di imprese ci sembra un altro dei temi fondamentali, sul quale, come abbiamo sentito, ha insistito anche il collega della Confapi. Il Documento, peraltro, richiama molto spesso il tema dell'aggregazione e la nozione di reti.
  Da questo punto di vista, credo che anche sul tema delle reti di imprese, nate per favorire l'aggregazione delle micro, piccole e medie imprese, in realtà abbiamo visto che molte delle agevolazioni fiscali previste in favore delle reti di imprese sono state colte dalle grandi imprese entrate nelle reti stesse.
  Per carità, ciò va bene ma forse occorre una maggiore attenzione al fine di rendere prevalente il godimento di queste agevolazioni e di questi finanziamenti. Richiamo anche un ragionamento svolto dal dottor Bonfiglio circa il coordinamento e la necessità di rendere più chiari i rapporti tra Stato, regioni, sistema imprenditoriale e parti sociali.
  Sulle reti di imprese, ad esempio, sappiamo che sono intervenute le regioni, il sistema camerale, il sistema bancario, anche se più formalmente che sostanzialmente: su quest'argomento, come in generale sul tema delle aggregazioni, forse sarebbe più opportuno un coordinamento tra i diversi soggetti interessati.

  MARCO VENTURELLI, vicesegretario generale di Confcooperative. Anch'io soffermerò l'attenzione su alcuni aspetti indicati nel Documento, affrontati naturalmente in modo più approfondito. Sui fondi strutturali, che rappresentano uno degli strumenti che convoglia le maggiori risorse per lo sviluppo nel prossimo settennio, abbiamo assistito fino a oggi a ritardi anche fortissimi nella capacità o, peggio, nella incapacità di spesa.
  Apprezziamo che nel DEF vi sia una volontà molto forte di finalizzare la maggior parte delle risorse su pochi interventi strategici, quali infrastrutture, settore idrico, Expo 2015, trasporti, cosiddetti 6.000 campanili, nonché edilizia pubblica.
  Sotto questo profilo, condividiamo l'idea di un'Agenzia nazionale con una forte capacità di intervento laddove si riscontrino inefficienze ed incapacità di spesa, ma riteniamo comunque che il problema non sia solo quello sul quale ci si sta concentrando per migliorare l’iter burocratico nella gestione di questi fondi da parte delle amministrazioni pubbliche, bensì anche quello di monitorare la presenza, secondo le indicazioni europee, di un partenariato forte e continuativo non solo in sede di programmazione ma anche di indizione di bandi e di successivo monitoraggio dei risultati.
  Spesso, infatti, l'incapacità di spesa non è solo dovuta a difficoltà burocratiche ma anche allo scollamento tra ciò che contengono la programmazione o la bandistica e ciò che è concretamente realizzabile in termini di progettualità territoriale.
  Su questo versante, soprattutto con riferimento alle aree interne, pensiamo che come cooperazione ci troviamo abbastanza soli su determinati territori non centrali per le vie infrastrutturali, dove invece è più fitta la competizione. Sulle aree interne possiamo, sul versante della cooperazione multifunzionale di comunità, offrire molto in termini di servizi pubblici.Pag. 54
  Sull'internazionalizzazione, condividiamo quanto auspicato da molti e che si intravede pure nel DEF, ossia un maggiore coordinamento tra gli strumenti per non ripetere e non sovrapporre gli interventi. Noi abbiamo il programma ambizioso di raddoppiare nei prossimi cinque anni le nostre imprese associate che si internazionalizzano e pensiamo di spingere l'internazionalizzazione non solo sui settori tradizionali dell'agroalimentare e dell'industria, ma anche sul versante dei servizi nonché su quello legato a beni culturali, turismo, housing.
  Pensiamo allo sviluppo di un'internazionalizzazione più dedicata ai servizi, laddove anche gli strumenti istituzionali che si occupano di sostenere l'internazionalizzazione sono meno vocati e forse meno preparati a offrire questo tipo di sostegno.
  Sul lavoro, ben venga assolutamente la semplificazione che viene prospettandosi ed esprimiamo un giudizio fondamentalmente positivo sulle riforme che si stanno affacciando. Sottolineiamo però che, per quanto debba essere poderoso lo sforzo sul versante della semplificazione, deve esserci uno sforzo altrettanto rilevante affinché questo non significhi uno sviluppo dell'illegalità o dello sfruttamento nel campo del lavoro.
  Su questo versante stiamo collaborando all'interno degli osservatori, quindi in ambiti istituzionali e con le parti sociali. Sollecitiamo un'azione anche più energica verso la cooperazione spuria e, più in generale, nei confronti dell'irregolarità del lavoro. Su questo tema noi siamo fortemente presenti: sburocratizziamo, semplifichiamo, ma dedichiamo più sforzi a combattere il lavoro irregolare.
  In questa semplificazione, legata all'attenzione che non va allentata sul versante della sicurezza sui luoghi di lavoro, anche sul versante della responsabilità solidale tra committente e appaltatore non va allentato il legame. Riteniamo, infatti, che, se con la semplificazione superiamo una responsabilità solidale dell'impresa appaltante, favoriamo poi la possibilità che si sviluppi lavoro illegale e società in qualche modo spurie, che sfruttano il lavoro e poi spariscono. Anche su questo piano, quindi, serve la semplificazione digitale degli adempimenti ma senza allentare il presidio di questi temi.
  Sul versante dell'attuazione della «Garanzia Giovani» noi ci siamo, siamo collegati anche all'autoimprenditorialità e siamo per offrire opportunità di lavoro all'interno delle nostre imprese.
  Quanto al welfare, in questi ultimi anni come cooperazione abbiamo investito in modo importante affinché possa offrire una rete di sanità leggera, di servizi alla persona, sviluppati da più anni, che vedono la collaborazione e l'integrazione tra componenti che possono offrire servizi alla persona e servizi legati al welfare sanitario e sociale, quali mutue, farmacie, cooperazione di utenti, cooperazione sociale, cooperazione tra medici, nel quadro di una proposta che avanziamo per un'offerta di rete integrata con il pubblico, e quindi nell'ottica non di una competizione volta a ridurre la capacità del Servizio sanitario nazionale, bensì a completare in rete quell'offerta di servizi di cui vi è, tra l'altro, un bisogno crescente.
  Su questo versante, tra l'altro, crediamo sia di grande valore l'affermazione in base alla quale non si intende rinunciare, pur con l'avanzamento dei costi standard finalizzati ad un efficientamento della spesa sanitaria, all'unitarietà del sistema sanitario nazionale. Crediamo che l'efficientamento della spesa in sanità non debba tradursi in una riduzione assoluta delle risorse dedicate a questo versante, probabilmente convenendo che l'efficientamento di spesa sul versante sanitario e del welfare non si può tradurre in una spending review ovvero in una riduzione del monte risorse dedicato a questo filone.
  Riteniamo piuttosto che, proprio attraverso una riallocazione volta ad efficientare la spesa dedicata a tali comparti, si possa più serenamente disegnare un welfare più efficace, più al servizio dei cittadini e delle comunità, senza il timore di una competizione tra pubblico e privato bensì nella prospettiva di una rete integrata.

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  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO SANTINI. Ringraziando i rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative italiane per gli interventi, vorrei formulare alcune domande.
  Vicepresidente Bonfiglio, lei giustamente ha parlato dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese e dello sforzo in tal senso compiuto, paventando altrettanto giustamente il rischio di tempi troppo lunghi. Condividendo tale preoccupazione, vorrei chiederle se può anche soffermarsi sulla vostra valutazione dell'intervento sinora effettuato: a vostro avviso, sta dando le risposte attese o riscontrate delle difficoltà ? Questo è importante anche per capire come utilizzare gli altri miliardi di euro già stanziati e quelli previsti nel corso del 2014.
  In relazione al ragionamento molto interessante riguardo le forme di impresa – quali l'autoimpiego, le società tra professionisti, l'autoimprenditorialità – esso riceve senz'altro il nostro incoraggiamento, perché riteniamo interessante promuovere forme più dinamiche d'impresa, ma vorrei capire – con gli strumenti attualmente disponibili, per esempio il meccanismo che si richiede sia utilizzato riguardante gli ammortizzatori sociali e la possibilità di intraprendere attività in proprio, cooperative e simili – come sono gli indicatori a vostra disposizione.
  Si tratta di una misura che a suo tempo aveva delle buone potenzialità ma che, a quanto dite, appare poco utilizzata: esistono indicatori su questo, anche rispetto a strumenti già esistenti oltre quelli da potenziare ?
  Un altro strumento che era stato introdotto negli anni scorsi e che andrebbe monitorato era il prestito d'onore per i giovani: come diventa poi strumento di promozione dell'imprenditorialità ?
  Sui fondi strutturali, infine – condividendo la riflessione sulle politiche del lavoro e sul contrasto del lavoro irregolare – avete fatto un riferimento interessante usando tre parole: concentrazione, partenariato e ruolo dell'Agenzia. Sono tre ragionamenti corretti, che condividiamo. Dal nostro punto di vista, hanno però bisogno di essere interpretati sia dalla pubblica amministrazione sia dal sistema del partenariato, e quindi dal sistema delle imprese oltre che del lavoro e delle istituzioni locali, in maniera diversa dal passato. Ci troviamo all'inizio di un nuovo ciclo di programmazione con un fardello grave di ritardi del precedente ciclo di programmazione, con il rischio di riproporre sostanzialmente gli stessi meccanismi.
  Siccome ne avete parlato ed è opportuno che lo abbiate fatto, a mio avviso sarebbe molto importante capire se, come Alleanza delle cooperative italiane, ritenete di porre – anche in termini di concretizzazione di questi obiettivi della concentrazione, del partenariato e di un ruolo dinamico dell'Agenzia, anche con l'uso di poteri sostitutivi in caso di inadempienze – un ruolo più dinamico del sistema delle imprese.

  PRESIDENTE. Do la parola per la replica al dottor Iengo e al dottor Venturelli, per consentire poi al vicepresidente Bonfiglio di concludere.

  MAURO IENGO, responsabile dell'ufficio legislativo di Legacoop. Sul tema dell'autoimprenditorialità e del coinvolgimento dei lavoratori ai fini della costituzione di imprese, vi era uno strumento che storicamente si occupava esattamente di quest'obiettivo, la famosa legge Marcora del 1985, poi via via estesa nelle sue funzioni. Oggi è, fondamentalmente, una società finanziaria che promuove la nascita di nuove imprese cooperative, così come il finanziamento di progetti di sviluppo di imprese già esistenti, ovviamente di natura cooperativa.
  Sta però emergendo che la difficoltà a costituire società dai fallimenti di imprese è il frutto di diverse complicità e omissioni. Da questo punto di vista, davvero sarebbe necessario il coinvolgimento e una maggiore collaborazione tra le parti sociali, e mi riferisco alle organizzazioni imprenditoriali e a quelle sindacali.Pag. 56
  Allo stesso modo, sarebbe davvero molto utile evitare che l'impresa, già in una situazione di crisi, passi a una condizione definitiva di default in una misura tale che il mercato di quest'impresa risulti definitivamente bruciato.
  Da questo punto di vista, la nostra proposta è quella di mettere in sinergia i vari soggetti ed enti competenti, non soltanto evidentemente le società che promuovono la nascita di queste imprese ma lo stesso sistema bancario, le stesse organizzazioni sindacali e, grazie a questa sinergia, rendere più qualitative le istruttorie, la valutazione dei progetti e, naturalmente, l'avvio dell'impresa stessa.
  Abbiamo indicatori importanti ma oggettivamente possiamo dire che sono episodici, talmente episodici da arrivare poi alla cronaca nazionale. Spesso, infatti, in televisione ascoltiamo di esperienze fantastiche di lavoratori che hanno fatto sacrifici enormi, si sono associati in cooperativa, hanno salvato la loro impresa e continuano ad operare sul mercato, ma sono sempre più delle rarità. Nel frattempo, quello che c’è intorno non fa il proprio mestiere.
  Quando parlo di soggetti che non fanno il loro mestiere – tra i quali considero anche noi come sistema imprenditoriale – penso alle organizzazioni sindacali, al sistema bancario e a tutti i soggetti che possono concorrere alla realizzazione di questi salvataggi.
  Da questo punto di vista, ribadisco che mettere in sinergia le competenze e le risorse finanziarie diventa determinante. Al riguardo, non sarebbe sbagliato che i ministeri competenti, in particolare il Ministero dello sviluppo economico, svolgessero anche una funzione di regia e di programmazione per favorire queste sinergie.

  MARCO VENTURELLI, vicesegretario generale di Confcooperative. Relativamente ai fondi strutturali, c’è la tentazione anche da parte delle organizzazioni di essere federalisti sul territorio e centralisti nella dimensione nazionale. Sapendo che della presente seduta è garantita la pubblicità, ci assumiamo la responsabilità e diciamo che sull'Agenzia siamo molto d'accordo che abbia la forza e gli strumenti per intervenire in modo deciso laddove vi siano incapacità di spesa o gravi ritardi da parte delle realtà regionali.
  È chiaro che gli strumenti e la modalità di gestione dei fondi strutturali devono essere diversi rispetto al passato e che in questa diversità sta anche il nostro ruolo, ma vogliamo precisare che per concentrazione intendiamo la concentrazione su obiettivi specifici e forti che caratterizzino la programmazione.
  Nell'ambito di tale concentrazione faccio l'esempio della valorizzazione dei beni culturali, che deve comprendere una politica volta a valorizzare grandi tesori culturali e beni artistici come anche la possibilità che in determinati contesti territoriali si realizzi una capacità di valorizzazione di beni che hanno una valenza territoriale e che nella dimensione territoriale trovano anche una soluzione nella gestione, nell'impegno.
  Ci sono degli straordinari esempi in cooperazione, ma certamente anche fuori da essa, di valorizzazioni territoriali che vedono imprese cooperative giovanili valorizzare dei beni – ne ho presente una nel quartiere Sanità a Napoli – che veramente producono valorizzazione del territorio, impiego e occupazione giovanile, recupero alla legalità di una dimensione sociale ancorata alle iniziative. Se nella dimensione di concentrazione delle risorse pensassimo che nel settore dei beni culturali possano agire solo i grandi player e i grandi gestori e si possano fare determinate politiche solo in relazione ai grandi tesori, rinunceremmo veramente a costruire quel tessuto di cui il nostro Paese ha bisogno.
  Partenariato e presidio del partenariato significano monitorare che vi sia questa capacità, da parte di chi gestisce le risorse, di ascolto e incrocio delle potenzialità reali del territorio. Su questo versante, occorre monitorare un partenariato non solo nella grande programmazione e nell'attuale Pag. 57fase, ma anche successivamente nella fase di attuazione della bandistica e nel monitoraggio dei risultati.

  GIAMPAOLO BONFIGLIO, vicepresidente dell'Alleanza delle cooperative italiane. Sui tempi di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, il percorso iniziato con il Governo Letta è sicuramente assai apprezzabile; il fatto che il Governo Renzi sembri oggi volerlo rilanciare con decisione ancora maggiore – e ne abbiamo visti già i primi segnali – ci riempie di speranza.
  Qualcuno ha cominciato a beneficiare di questo nuovo corso ma ancora molto rimane a livello di annunci e di intenzioni. Nella mia introduzione ponevo pertanto l'accento sul problema della tempistica, perché di annunci si muore. Si parla molto di credito e di credit crunch: nei debiti della pubblica amministrazione è ferma quell'iniezione di liquidità che tante situazioni pure sarebbe in grado di risolvere.
  Abbiamo società ormai incapaci di funzionare, piene di crediti e senza liquidità per pagare gli stipendi, ma dalle banche quella nei confronti della pubblica amministrazione non è più una tipologia di credito considerata affidabile. Con i tassi di interesse attuali in banca è evidente che quello portato a due, tre o quattro anni diventa un credito che si autoconsuma nel pagamento degli oneri finanziari.
  Non possiamo assolutamente ancora dichiararci soddisfatti. Crediamo che se la promessa del Governo Renzi sarà mantenuta nei tempi che sono stati annunciati e senza ulteriori ritardi, questo sarebbe veramente la fine di un dramma italiano di tipo kafkiano. Che la pubblica amministrazione abbia contratto un debito sparito dai bilanci e dalle statistiche per dover essere oggetto di un rifinanziamento a distanza di anni da parte di un altro Governo non sta né in cielo né in terra, ma ormai ci siamo dentro e cerchiamo di far sopravvivere le nostre imprese, che però non possono farlo con la sola speranza. Servono anche fatti concreti.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative italiane e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 20.40, è ripresa alle 21.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

Audizione del commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2014, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, del commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli, al quale do la parola per lo svolgimento della relazione.

  CARLO COTTARELLI, commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica. Grazie presidente, sarò abbastanza stringato. Credo che vi interessi sapere a che punto siamo con la revisione della spesa e qual è la relazione tra questo processo di revisione della spesa e il DEF.
  La revisione della spesa procede secondo il mio programma di lavoro stabilito e che vi è stato mandato in novembre. La prima fase si è conclusa con le prime raccomandazioni che ho inviato al Comitato interministeriale per la revisione della spesa l'11 marzo, di cui ho già riferito qualche settimana fa alla Commissione bilancio del Senato. Queste raccomandazioni sono state fondamentalmente recepite in buona parte nel DEF, ma tornerò comunque sull'argomento per essere un po’ più dettagliato. La seconda fase, di cui Pag. 58pure si parla nel DEF, inizierà a maggio e proseguirà durante l'estate con le cosiddette riforme di riorganizzazione, concernenti, ad esempio, la riorganizzazione della presenza territoriale dello Stato, ma anche su questo scenderò nel dettaglio tra un attimo.
  Si tratta, però, di azioni che richiedono un ulteriore lavoro, per cui non sono allo stadio attuale ancora pronte e sono state fissate in termini generali, richiedendo ulteriori approfondimenti nel corso dell'estate. Dovrebbero essere pronte, anche in termini di dettaglio, come un input per la legge di stabilità nel 2015 e nel 2016.
  La terza fase, di cui si parla soltanto marginalmente ma che è comunque presente nel DEF, riguarda la trasformazione della revisione della spesa da una procedura ad hoc a una procedura che diventa parte integrante della preparazione del bilancio dello Stato, in linea di principio, e delle altre amministrazioni pubbliche.
  Se ne parla a pagina 8 della premessa del DEF, appunto indicando che questa terza fase si occuperà di rendere la revisione della spesa parte integrante del bilancio, di un bilancio volto però ai risultati e quindi non soltanto a stanziare somme di denaro, di un bilancio che indica gli obiettivi che si vogliono raggiungere con gli stanziamenti, che è orientato all’output, alla performance, ai risultati ed è quindi basato anche sulla definizione di obiettivi di risultato, già presenti in linea di principio ma che non sono stati mai applicati in termini effettivi. Queste sono le tre principali fasi, di cui la prima è già stata completata. Nel DEF, come anticipavo, vengono recepiti in buona parte i suggerimenti emersi dall'attività di revisione della spesa. In termini di interventi, è tutta la parte che trovate a pagina 121-123 del DEF e che riguarda sia le azioni che possono essere implementate immediatamente sia quanto, appunto, può essere implementato nel corso dell'estate. È inutile che legga quanto avete già visto e che deriva peraltro dalle raccomandazioni della revisione della spesa.
  Naturalmente, non tutto è stato recepito. Alla fine, infatti, si tratta di scelte politiche. Io posso soltanto fornire una lista di possibilità. Tra queste, alcune sono state prese in considerazione e altre no ma mi sembra che una buona parte delle raccomandazioni che emergono dalla revisione della spesa si trovi nel DEF.
  Anche i risparmi previsti sono del tutto coerenti con le raccomandazioni che derivano dalla revisione della spesa. Si parla di 4,5 miliardi di euro per il 2014, che sono all'interno del range tra un minimo e un massimo che avevo indicato. Si parla di 17 miliardi nel 2015 e di 32 miliardi nel 2016, obiettivi fattibili anche se naturalmente richiedono un notevole impegno.
  Questi obiettivi richiedono un'azione ulteriore nel corso dell'estate su tutti quegli aspetti di struttura, quali la riforma della presenza territoriale dello Stato, delle prefetture, delle capitanerie di porto e dei vigili del fuoco, ovvero la digitalizzazione della pubblica amministrazione e il miglior coordinamento delle forze di polizia. Tutto ciò richiede studi più approfonditi, quindi non può essere pronto già in questa fase.
  Naturalmente, la definizione specifica delle misure non è ancora presente nel DEF e, come sapete, il Governo sta lavorando a un decreto-legge che conterrà gli interventi specifici. Queste sono decisioni, appunto, che deve prendere il Governo. In questi giorni, continuo a dare i miei consigli e le mie raccomandazioni e rimango pronto a rispondere a domande che frequentemente mi sono rivolte, ma ovviamente le decisioni appartengono al Governo e dovranno essere contenute nel decreto-legge.
  So che avete molte domande, quindi mi fermerei qui. Posso solo scusarmi per il fatto che non potrò anticipare questioni su cui non sono io a decidere. Io ho fornito le mie raccomandazioni e rimango a disposizione del Governo per rispondere a domande e chiarimenti, come sto facendo in questi giorni.

  PRESIDENTE. Ringrazio il commissario Cottarelli. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, Pag. 59cominciando dall'onorevole Misiani, che è anche il relatore sul DEF.

  ANTONIO MISIANI. Buonasera, dottor Cottarelli. Vorrei porle poche domande ingenue.
  Gli obiettivi che lei giustamente definisce fattibili ma ambiziosi della spending review arrivano fino a 32 miliardi di euro a decorrere dal 2016: questi 32 miliardi comprendono o sono aggiuntivi rispetto alle risorse già impegnate sulla spending review dalla legge di stabilità per il 2014 e da successivi provvedimenti, che ammontano a 0,5 miliardi di euro nel 2014, a 4,4 nel 2015, a 8,9 nel 2016 e a 11,9 dal 2017 ? Questo, naturalmente, impatta notevolmente. Sono 32 miliardi compresi quelli o sono 32 che si aggiungono a questi 11,9 dal 2017 incorporati nella legislazione vigente con la legge di stabilità e con altri provvedimenti ?
  Inoltre, tra gli interventi più significativi del documento da lei presentato a marzo, vi sono quelli che impattano sugli acquisti di beni e servizi: avete svolto una quantificazione degli effetti in termini di minori entrate fiscali derivanti da questa riduzione di acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione nonché di altri interventi previsti con la spending review ? È chiaro, infatti, che si parla a questo punto di qualche miliardo di euro in meno di IVA ed altro.
  All'ultima domanda, riguardante la tempistica, in parte ha già risposto: cosa ragionevolmente andrà subito nel decreto-legge a copertura dell'intervento di riduzione del cuneo fiscale e cosa in successivi provvedimenti ?

  ROCCO PALESE. Abbiamo posto molta attenzione e molta fiducia sul lavoro e sulle proposte che poteva avanzare il commissario e già nel corso di una sua precedente audizione avevamo esplicitato che per noi non sono obiettivi per niente ambiziosi. È il minimo, infatti, agire sulla spesa pubblica per 32 miliardi di euro. Basta vedere le cronache e quello che sicuramente lei ha analizzato in questi mesi per rendersi conto di quanto c’è da lavorare, di quanto si può risparmiare indipendentemente dalle entrate che il mio collega poco fa richiamava in relazione all'acquisizione di beni e servizi.
  Si prevedono meccanismi automatici che a me fanno molto piacere: ad esempio, lei ha insistito sull'automaticità delle convenzioni CONSIP per tutte le pubbliche amministrazioni. Lì il risparmio è immediatamente realizzabile. Senza parlare del 20 o del 30 per cento, con l'adozione obbligatoria delle convenzioni CONSIP per tutte le pubbliche amministrazioni, solo prendendo ad esempio la sanità si parla di 12 miliardi di euro. Si tratta, quindi, solo di una volontà politica.
  A me farebbe anche piacere sapere se, in relazione a quanto abbiamo chiesto già l'altra volta rispetto alla situazione delle norme, il commissario ha qualcosa da suggerire per poter essere più efficaci nei tempi. Mi spiego meglio: in relazione alla norma che istituisce tra l'altro il commissario per la spending review che conosciamo e abbiamo approvato, occorrerebbero anche misure sovraordinate rispetto al Governo ? Non ho grande fiducia nel decreto-legge che dovrà essere adottato. Già ho visto che gli aspetti più qualificanti dal punto di vista del risparmio e quelli più pronti, di cui alle pagine 121-123 del DEF, sono stati scartati rispetto alla lista che lei ha fatto.
  Bisogna cercare di non prendere in giro la gente o, almeno, noi stessi. Nel nostro Paese la spending review non è stata mai fatta, ma solo e sempre annunciata, da tutti i Governi, per non parlare poi di quello che si potrebbe fare a livello territoriale, e mi riferisco alla pubblica amministrazione in genere.
  Ritengo che queste situazioni da poter determinare siano fattibilissime, ma vedo che i tempi si allungano molto. Si parla già dell'estate o di quanto dovrà essere realizzato addirittura nel 2016. Immaginavo qualche cosa di più pronto. Rispetto al menu che le hanno fornito e che è riportato all'interno del DEF, cos'altro si aspettava che non è stato inserito ?

Pag. 60

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Nell'analisi della parte relativa alle azioni del Governo, in una sezione del DEF si parla della revisione della spesa e in un'altra, immediatamente successiva, di privatizzazioni. In quella in cui si parla di revisione della spesa, si parla della razionalizzazione delle società partecipate dagli enti locali; in quella sulle privatizzazioni, si parla degli immobili, se non erro, ma non delle società partecipate.
  Vorrei sapere se la ragione di ciò nasce esclusivamente da problemi normativi, e cioè dal Titolo V della Costituzione, e quindi dal fatto che lo Stato non ha voluto inserire un programma di privatizzazioni che dovrebbe dipendere dagli enti locali. Questa scelta potrebbe essere pertanto modificata, è stata cioè studiata in un'ottica di modifica del Titolo V e quindi di trasferimento allo Stato delle competenze o di parte di esse in materia ? O è invece, a suo giudizio, una scelta di politica economica ?
  In relazione all'indicazione degli importi delle privatizzazioni, stimati per il periodo 2014-2017 nell'ordine di 0,7 punti di PIL, vorrei capire se sono solo partecipazioni statali o se si è quanto meno valutato quali potrebbero essere l'effetto e le opportunità in termini di privatizzazione anche delle società degli enti locali.

  GUIDO GUIDESI. Nel ringraziare il commissario Cottarelli per la sua presenza, intendo rivolgergli solo poche domande abbastanza rapide. La prima riguarda l'importo certificato nel DEF, cioè quello dei 4,5 miliardi di euro rispetto all'approvvigionamento dovuto alla spending review. Ci è stato annunciato come il Governo spenderà questi risparmi, ma non sappiamo da dove li prenderà.
  Rispetto sia alla tempistica sia alla quantificazione, che se non sbaglio andava dai 3 ai 5 miliardi di euro rispetto al secondo semestre di quest'anno, è possibile, dal suo punto di vista, trovare immediatamente quei 4,5 miliardi ? Se sì, quali possono essere le partite di immediata liquidità ?
  Inoltre, all'interno del percorso di spending review dal suo punto di vista non è opportuno tenere conto di alcune esperienze positive e di alcune altre negative, cioè della differenziazione che esiste tra i vari enti locali o pubbliche amministrazioni ? Le cito l'esempio lampante delle partecipate: alcune società municipalizzate funzionano e producono utili, altre assolutamente no. Un ulteriore esempio potrebbe essere quello del rapporto tra i dipendenti dell'ente e il numero di abitanti ad esso appartenenti, rapporto che evidentemente mostra tutte le differenziazioni esistenti tra, da un lato, le amministrazioni e gli enti che funzionano e, dall'altro, quelli che non funzionano.
  L'ultima domanda è relativa ai presìdi di sicurezza territoriale. In un momento come questo, dal suo punto di vista, siccome i presìdi di sicurezza locale, al di là di un maggior coordinamento, a livello emotivo e di sensibilità della cittadinanza sono comunque percepiti come un fattore di sicurezza, già solo in virtù della loro presenza, è opportuno provvedere a qualche taglio ? Noi pensiamo che non sia assolutamente opportuno toccare queste situazioni e sappiamo di alcune circolari che sono già state diramate da parte del Ministero dell'interno.

  FRANCESCO CARIELLO. Diamo il benvenuto al commissario Cottarelli perché è forse l'unica figura che in questo momento porta dei quattrini in questo Paese. È la prima entrata che si mette a bilancio di questo Governo. Voglio riportare un attimo l'attenzione indietro di qualche mese, a quando ci siamo visti, sempre in questa sede, per definire gli obiettivi della spending review. In quel documento che il Parlamento aveva sottoposto a lei e, comunque, al Governo si parlava di due tipologie di obiettivi, di tipo quantitativo e qualitativo. È chiaro che questo Governo deve un po’ mantenere le promesse che sta pubblicizzando e quindi le chiede e forse preme sugli obiettivi quantitativi, ma io le domando: avete definito, in un orizzonte temporale di più lungo termine, degli obiettivi qualitativi ? E Pag. 61in che misura e maniera li valuteremo e misureremo ?
  Quanto alla domanda che tutti i cittadini si rivolgono, visto che il Presidente del Consiglio ha definito tale misura, che ancora non abbiamo visto come provvedimento, relativa almeno al 2014, come saranno coperti gli 80 euro ? Pare che la copertura venga effettivamente da una misura di spending review, quindi vorremmo sapere esattamente in cosa consiste e se si tratta di una misura di tipo strutturale, e dunque che si ripeterà negli anni, o se è relativa, come si presume, al solo 2014.
  Un'altra domanda è relativa al nostro rapporto con la Commissione europea, con la quale è chiaro che una delle motivazioni per cui la famosa clausola degli investimenti non è stata concessa al nostro Paese è proprio il ritardo sulla spending review. La Commissione europea ha indicato al Ministro Saccomanni, nell'ultimo periodo del Governo Letta, nel febbraio 2014, proprio nel ritardo di attuazione di alcune misure di spending review una delle motivazioni per cui la stessa non aveva rilasciato la clausola degli investimenti.
  È stato poi aggiornato in qualche comunicazione alla Commissione europea lo stato d'avanzamento della nostra spending review ? È stata rivalutata quella posizione da parte della Commissione medesima ? Qual è il rapporto in tal senso con il commissario Cottarelli, qui presente ?

  MAINO MARCHI. Molto velocemente mi concentrerò proprio sulle pagine 121-123 del DEF dove all'inizio vengono definiti per ogni anno gli obiettivi complessivi prima richiamati, a partire dai 4,5 miliardi di euro per la parte rimanente del 2014 fino agli obiettivi di 17 e 32 miliardi, rispettivamente per il 2015 e il 2016.
  Vi è poi una parte finale che – così viene specificato – sarà approfondita nel corso dell'estate, ma con già individuati degli obiettivi per ogni singola voce: applicazione dei costi standard per la determinazione dell'ammontare dei trasferimenti ai comuni, con risparmi attesi nell'ordine di 600-800 milioni di euro nel 2015 e fino a 2,7 miliardi nel 2016; riorganizzazione delle Forze di polizia, con individuazione dei relativi obiettivi di risparmio; digitalizzazione; riorganizzazione dell'attività delle prefetture e dei vigili del fuoco; razionalizzazione, in coordinamento con le regioni, delle comunità montane. Per ognuno di questi campi d'intervento, viene enunciato anche un obiettivo di carattere finanziario in termini di risparmi che si dovrebbero conseguire attraverso l'opera di revisione della spesa.
  Nella parte centrale, invece, quella presumibilmente collegata, almeno in parte, al decreto-legge che verrà adottato per finanziare gli interventi volti alla riduzione del cuneo fiscale, figura un elenco di temi privi tuttavia di quantificazione. Tra questi temi ve ne sono anche due sui quali credo sia rivolta anche la maggiore sensibilità, ossia il trasporto ferroviario e, soprattutto, la questione della spesa sanitaria.
  Per quale ragione su queste voci non c’è indicazione di obiettivi, come invece avviene nella parte finale ? Possiamo comunque essere in grado, prima di arrivare all'approvazione della risoluzione sul DEF, di avere una qualche idea di come ognuna di queste voci incide sul complesso che porta, sommate alle altre che ci sono in fondo, ai 4,5, ai 17 e ai 32 miliardi di euro ?

  LUCIANO URAS. La mia domanda è la seguente: noi risparmiamo ma i servizi rimangono allo stesso livello ovvero migliorano, soprattutto quelli resi direttamente al cittadino dal sistema delle autonomie locali e quelli che devono essere resi al sistema produttivo, al sistema delle imprese prevalentemente da parte dello Stato ? Ossia, l'operazione è anche di miglioramento della qualità della presenza dello Stato o rischia di determinare effetti negativi sull'erogazione dei servizi ?

  PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, aggiungo una domanda per il commissario Cottarelli. Sempre nelle pagine a cui ha fatto riferimento Marchi e che lei richiamava nella relazione d'apertura, Pag. 62c’è un passaggio molto chiaro sul Patto per la salute e sugli interventi connessi alla salute. Ricordo che le Commissioni riunite V bilancio e XII affari sociali della Camera dei deputati, in settimana auspicabilmente licenzieranno – dovremmo essere in dirittura d'arrivo – il documento conclusivo di un'indagine conoscitiva durata dieci mesi. Le predette Commissioni hanno infatti deliberato, nel giugno 2013, un'indagine conoscitiva sulla sostenibilità finanziaria del sistema sanitario nazionale procedendo successivamente all'audizione di quasi tutti gli attori che ruotano intorno a uno dei comparti più delicati della nostra spesa pubblica. Le medesime Commissioni delibereranno quindi una relazione puntuale sui punti di forza e su quelli di debolezza, nonché sull'impatto di alcuni tagli lineari già operati negli anni trascorsi.
  La prima questione che le sottopongo è semplice e banale: mi auguro che sia stato tenuto conto del lavoro svolto dal Parlamento. Diversamente, sarebbe abbastanza incomprensibile scoprire che i tagli vengano effettuati indipendentemente dal risultato di un'indagine conoscitiva, che non si fa in ogni legislatura e rappresenta comunque un contributo importante che il Parlamento lascia ad uno dei comparti più delicati del nostro Paese.
  In secondo luogo, avendo quell'indagine conoscitiva proprio la finalità di offrire un contributo all'allora commissario per la spending review, Piero Giarda, le linee guida di quell'indagine in qualche modo potrebbero essere utilizzate per la seconda e terza fase del suo lavoro, sperando che nella prima non ci siano tagli lineari proprio sulla salute. Penso, infatti, di poter affermare, prima ancora di infilarci nel dibattito sulle risoluzioni al DEF che dovranno essere votate dalle due Camere, che questo Parlamento non è in grado di reggere a eventuali tagli lineari, soprattutto in quel comparto.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. La valutazione dell'impatto della spending review sul prodotto interno lordo, e quindi sull'attività economica, è praticamente nulla, pari al meno 0,1 per cento. Vorrei sapere se questa è una valutazione del Governo, e quindi la logica è che si taglia fino a 32 miliardi di euro compensati, in qualche maniera, con altrettanti effetti positivi che sul PIL si ricavano da altre fonti o l'ipotesi è che, in realtà, questi tagli riguardano tutte spese improduttive ? O, ancora, è una valutazione suggerita proprio dall'elenco delle varie voci ?
  Il meno 0,1 per cento è un saldo, quindi vorrei sapere in base a quale logica si arriva a una valutazione in qualche modo sorprendente, nel senso che compensa pienamente quegli effetti, che conosciamo, dei tagli della spesa pubblica.

  PRESIDENTE. Do la parola al commissario Cottarelli per la replica.

  CARLO COTTARELLI, commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica. Vi ringrazio per tutte queste domande. Una mia difficoltà è però che molte di esse andrebbero rivolte al Governo, in quanto relative ai motivi per cui nel DEF sono state scritte determinate cose. Il DEF, infatti, non è un mio documento e quindi in alcuni casi potrò al massimo commentare quello che è stato scritto da altri.
  Alcuni numeri, però, coincidono con quelli delle mie raccomandazioni, quindi vorrei partire proprio da questo. Mi è stato chiesto se i 32 miliardi di euro sono comprensivi o aggiuntivi. Ebbene, questi 32 miliardi rappresentano un elenco di risparmi, e quindi sono al lordo di qualunque altra cosa. Poi come vadano a compensare certe cose che sono nella based line o meno questo lo deve decidere il Governo. Si tratta di un elenco di risparmi che possono essere conseguiti ed utilizzati per qualunque scopo.

  ANTONIO MISIANI. Mi scusi, quindi bisogna attingere a quei 32 miliardi di euro e la copertura della legge di stabilità è dentro quei 32 miliardi di euro.

  CARLO COTTARELLI, commissario straordinario per la revisione della spesa Pag. 63pubblica. Esattamente. Per rispondere alle altre domande, credo che gli obiettivi da me richiamati siano fattibili, compreso nel 2014. È stato chiesto anche se sono al lordo dell'effetto sulle entrate: come ho indicato nelle mie raccomandazioni, i numeri che fornivo erano cifre lorde e, infatti, i 17 e i 32 miliardi sono lordi. Naturalmente, per verificare l'effetto reale bisogna andare a verificare la composizione dettagliata delle varie misure, perché non tutte hanno lo stesso effetto.
  I 4,5 miliardi di euro, invece, sono un impatto sull'indebitamento netto e, infatti, avevo parlato di 7 miliardi per il 2014: tenendo conto delle varie interazioni secondo le regole usuali della Ragioneria, il risultato è quello, ma i 17 e i 32 miliardi di euro sono ancora al momento lordi e bisognerà poi vedere in termini specifici che effetti avranno sulle entrate. Ma ciò dipenderà, esattamente, da cosa viene fatto.
  Mi è stato anche chiesto cosa non è stato inserito: tutti sanno che una parte delle raccomandazioni riguardava la spesa pensionistica e questa non è contenuta nell'elenco, ma questa è una scelta. Ovviamente, trattandosi di una spesa pensionistica di importo molto elevato non potevo trascurarla, ma è una scelta politica decidere se toccare un'area piuttosto che un'altra.
  Quello delle diversità locali è un tema collegato, in generale, all'altro, che pure è stato ricordato, concernente la necessità di evitare i tagli lineari. Quest'ultima espressione viene usata in modi molto diversi, ma si può utilizzare anche per dire che non vanno operati tagli che colpiscono tutte le realtà locali in maniera uguale. Le situazioni di efficienza o di inefficienza sono diverse e ritengo che occorra cercare di muoversi su tagli il meno lineari possibili, che tengano quindi conto delle realtà locali e colpiscano gli sprechi laddove sono presenti.
  Questo tema mi consente di collegarmi anche ad una delle ultime domande. Non c’è nessun taglio alla spesa pubblica che trovi tutti d'accordo perché, naturalmente, tutti i soldi che lo Stato dà a qualcuno non sono spreco per il soggetto che li riceve. Questo, però, non significa che si tratta di andare a toccare i servizi pubblici essenziali, che fondamentalmente devono essere mantenuti. Alcune cose possono non essere considerate prioritarie, ma è assolutamente necessario che ogni spending review sia mirata a mantenere la qualità anche dei servizi pubblici.
  Credo tuttavia che tramite la spending review si possano migliorare ulteriormente i servizi pubblici. Alcune delle azioni che adotteremo nel corso dell'estate, ad esempio la digitalizzazione, saranno non solo volte a ridurre la spesa ma anche a rendere i servizi pubblici, in termini di interazione con l'apparato pubblico, più efficienti e più accessibili per i cittadini. Questo è certamente un tema che viene tenuto presente nella definizione delle misure, incluse quelle che saranno prese nel corso dell'estate.
  È stato anche chiesto se saranno coperture strutturali. Di nuovo, non dovete chiedere a me cosa effettivamente ci sarà nel decreto-legge. Spero che ci siano misure strutturali e le mie raccomandazioni erano in quei termini, nel senso cioè di risparmi permanenti della spesa.
  Dovete altresì rivolgere a chi ha scritto il Documento di economia e finanza la domanda sul perché manca un'indicazione degli obiettivi di risparmio per ognuna di quelle misure che dovrebbero essere di più immediata rilevanza.
  Sulla salute, si è tenuto assolutamente in considerazione i vari contributi, compresi i lavori del Parlamento su questo tema. Il testo del DEF recita che «il settore sanitario presenta evidenti tratti di delicatezza, suggerendo un'elevata attenzione sugli elementi di spreco, nell'ambito del cosiddetto patto della salute», quindi la focalizzazione sarà, appunto, su cose meno utili nella spesa sanitaria.

  ROCCO PALESE. E sulla corruzione dilagante.

  CARLO COTTARELLI, commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica. Sì, nonché sugli acquisti di beni Pag. 64e servizi che avvengono a prezzi più elevati di quelli che potrebbero essere. Non è a me, di nuovo, che dovete chiedere perché non si parla di società partecipate nella sezione concernente le privatizzazioni. Non so se ci si debba leggere un'intenzione di non privatizzare le partecipate locali. Dovete chiederlo, ripeto, a chi ha scritto quella parte del DEF. Credo che il tema delle partecipate sia molto importante e sappiamo che le realtà sono molto diverse tra le diverse aree geografiche e che, addirittura, anche all'interno dalla stessa regione ci sono situazioni molto diverse.
  Sui presìdi di sicurezza locale, ho ripetuto e continuo a ripetere che quando si parla di miglior coordinamento delle forze di polizia non si parla certo di ridurre per alcun motivo il livello della sicurezza e della qualità del servizio. Rimane il fatto che ci sono forme abbastanza evidenti di possibilità di migliorare la cooperazione. Senza citare esempi, credo sia evidente a tutti che esiste la possibilità di un miglior coordinamento.
  Quanto all'impatto sul PIL, vorrei di nuovo ripetere che questa non è una stima mia ma degli autori del DEF. Ciò premesso, se la domanda è cosa penso dell'effetto sul PIL credo che esso sia stato stimato nel Documento da modelli, anche econometrici, che guardano soprattutto al lato della domanda. Siccome questa è un'operazione a saldo zero, perché si hanno risparmi ma si riduce la tassazione, allora dal lato della domanda, soprattutto di breve periodo, l'effetto è abbastanza contenuto.
  Credo invece che, in termini di efficientamento del sistema e quindi di effetti di medio periodo, questi stessi possano essere ben più elevati di quelli riportati. Su questo sono abbastanza ottimista. A parte l'effetto di fiducia, che può consistere nel riuscire a fare qualcosa che non si era fatto prima, può esserci anche un effetto di breve periodo difficilmente quantificabile ma, a mio parere, importante. Inoltre, c’è l'effetto di medio periodo che riforme di questo genere, che sono strutturali, possono avere sul lato dell'offerta e non soltanto della domanda di prodotto interno.
  Quanto al punto di vista della Commissione europea e al ritardo nella spending review, quella affermazione quando è stata fatta ha stupito anche me. Anzitutto non c’è stato nessun ritardo, tutto è proceduto secondo il programma di lavoro fissato all'inizio e quindi la Commissione europea sapeva benissimo fin dall'inizio che le raccomandazioni della spending review sarebbero arrivate, come sono arrivate, all'inizio di marzo.
  In ogni caso, è chiaro – potrete rivolgere la stessa domanda al Ministro Padoan nell'audizione in programma domani – che ci sono già state comunicazioni tra il Ministro Padoan e la Commissione europea riguardo alle raccomandazioni concernenti la revisione della spesa e presumo anche riguardo, in termini almeno generali, alle intenzioni del Governo su questo tema.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il commissario Cottarelli. A questo punto facciamo un patto solenne con i colleghi del Senato: risentiremo il commissario Cottarelli dopo la seconda fase, del resto negli ultimi tempi ha dovuto aggiornare più volte le Commissioni parlamentari. Nel ringraziare ancora il nostro ospite per il suo lavoro, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 21.45.