CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 29 giugno 2017
847.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
COMUNICATO
Pag. 73

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

  Giovedì 29 giugno 2017. — Presidenza del vicepresidente Walter RIZZETTO.

  La seduta comincia alle 13.15.

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: «Un'iniziativa per sostenere l'equilibrio tra attività professionale e vita familiare di genitori e prestatori di assistenza che lavorano».
COM(2017)252 final.
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio e relativo allegato.
COM(2017)253 final e COM(2017)253 final – Annex 1.
(Esame congiunto, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dei documenti.

  Walter RIZZETTO, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 127, comma 2, del Regolamento, l'esame degli atti dell'Unione europea può concludersi con l'approvazione di un documento finale, in cui la Commissione esprime il proprio avviso sull'opportunità di possibili iniziative da assumere in relazione ai medesimi atti. Dà, quindi, la parola alla relatrice per il suo intervento introduttivo.

  Chiara GRIBAUDO (PD), relatrice, segnala preliminarmente che entrambi gli atti all'esame della Commissione si inseriscono nel quadro delle prime iniziative concrete, presentate dalla Commissione europea il 26 aprile scorso, volte a concretizzare l'istituzione del Pilastro europeo dei diritti sociali. Ricorda in proposito che la XI Commissione, unitamente alla Commissione Affari sociali, ha già esaminato la Comunicazione della Commissione europea Pag. 74relativa all'avvio della consultazione sul Pilastro, che conteneva anche una prima stesura del Pilastro stesso, e sta ora esaminando la Comunicazione relativa all'istituzione del Pilastro e la connessa proposta di proclamazione inter-istituzionale sulla medesima materia. Nella Comunicazione relativa all'istituzione del Pilastro, le iniziative oggi all'esame della Commissione sono, infatti, richiamate nell'ambito della sezione relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare.
  Quanto ai documenti in discussione, evidenzia in primo luogo che nella Comunicazione sono individuati i settori prioritari di intervento, e per ciascuno di essi, sono indicate le misure che l'Unione intende adottare per rafforzare la posizione delle donne in ambito lavorativo. A tale proposito, esprime la propria soddisfazione poiché, su diversi aspetti, la legislazione italiana appare più avanzata rispetto alle misure proposte a livello europeo, osservando che tale cammino è stato intrapreso dal legislatore italiano fin dagli anni ’90 del secolo scorso con la legge n. 104 del 1992. A suo avviso, in ogni caso, è importante, che l'Unione europea abbia deciso di porre l'attenzione su tali temi, cercando di superare i vincoli di bilancio che troppo spesso in questi ultimi anni hanno frenato le politiche comuni.
  La sola misura di carattere legislativo prevista è rappresentata dalla proposta di direttiva in esame, mentre sono prospettate diverse azioni non legislative, tra cui segnala: il sostegno finanziario, nell'ambito del programma «Diritti, uguaglianza e cittadinanza», a progetti transnazionali volti a migliorare l'applicazione della normativa dell'Unione europea in materia di equilibrio tra attività professionale e vita familiare; l'avvio di uno studio specifico sull'attuazione della protezione dal licenziamento e dal trattamento sfavorevole, per valutare la situazione negli Stati membri; il finanziamento di nuovi progetti pilota rivolti ai datori di lavoro, nell'ambito del programma per l'occupazione e l'innovazione sociale (EaSI), per l'elaborazione di meccanismi di lavoro innovativi; un approccio volto a incoraggiare il ricorso al Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) per finanziare infrastrutture sociali, in particolare i servizi di assistenza all'infanzia e a lungo termine, anche mediante partenariati pubblico-privato.
  La proposta di direttiva, in particolare, si pone dichiaratamente l'obiettivo di porre rimedio alla sotto rappresentazione delle donne nel mondo del lavoro e di sostenere lo sviluppo della carriera femminile favorendo un miglioramento delle condizioni tese a conciliare impegni di lavoro e vita familiare. La finalità della proposta, che abroga la direttiva 2010/18/UE sul congedo parentale, consiste, infatti, nel promuovere la non discriminazione e il principio della parità di genere per quanto concerne le opportunità sul mercato del lavoro e il trattamento economico, così come sancito nei Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
  Le misure proposte dalla Commissione europea sono finalizzate a migliorare l'accesso ai meccanismi che agevolano l'equilibrio tra attività professionale e impegni di vita familiare, come i congedi per motivi familiari e le modalità di lavoro flessibili, ed aumentare il numero di uomini che si avvalgono di tali meccanismi.
  In base ai dati Eurostat, una delle cause principali delle basse percentuali del tasso di occupazione femminile è rappresentata dall'inadeguatezza delle cosiddette politiche family friendly di conciliazione tra attività professionale e vita familiare. L'attuale quadro giuridico dell'Unione prevede incentivi limitati per indurre gli uomini a condividere equamente con le donne le responsabilità di assistenza nei confronti di figli minori, disabili e familiari bisognosi. Secondo i dati forniti dalla Commissione europea, proprio la cura dei bambini, degli anziani e dei familiari che necessitano di assistenza costituisce la prima causa di inattività delle donne, incidendo per oltre il 18 per cento. La maggiore concentrazione negli impieghi a tempo parziale, che vede coinvolto il 31,3 per cento delle donne contro l'8,3 per cento degli uomini, e le interruzioni di Pag. 75carriera dovute a responsabilità di assistenza rendono molte donne economicamente più dipendenti dai propri partner o dallo Stato e contribuiscono notevolmente al divario retributivo e pensionistico di genere, incidendo in modo significativo sul rischio di povertà e di esclusione sociale per le donne.
  La riduzione del divario di genere deve quindi rappresentare, secondo la Commissione europea, un elemento fondamentale di ogni strategia che miri a costruire una società e un'economia inclusive e sostenibili, nelle quali siano sfruttate al meglio le potenzialità di tutti i cittadini, uomini e donne. Queste ultime, in particolare, pur essendo divenute sempre più istruite e qualificate, rimangono ancora, spesso, posizionate ai gradini più bassi della scala occupazionale o nei settori meno retribuiti. Tale disparità di genere è inevitabilmente fonte di un grande spreco di potenzialità e di competenze che Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, stima essere 325 miliardi di euro, pari al 2,5 per cento del Prodotto interno lordo dell'Unione europea.
  Appare quindi evidente l'esistenza di un divario di genere che accompagna le donne attraverso tutto il ciclo della vita attiva. Il lavoro di cura, con i figli prima e con eventuali altri oneri di assistenza poi, ricade nella maggior parte dei casi sulle donne che conoscono più interruzioni di carriera e part time involontario rispetto agli uomini. Oltre all'aspetto culturale della ripartizione non equa dei carichi di cura e di responsabilità familiari tra uomini e donne, emergono anche altri fattori di tipo economico e fiscale, come la disparità del trattamento salariale, per cui può risultare più vantaggioso per l'economia familiare, nei momenti in cui sia necessaria un'interruzione di carriera per motivi di assistenza o per un congedo, che sia la donna a fermarsi o a ridurre le ore lavorative in modo da causare ricadute inferiori sul reddito familiare.
  Passando al contenuto specifico della proposta di direttiva, che si applica a tutti i lavoratori, uomini e donne, che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro, essa stabilisce una serie di standard minimi nuovi o più elevati per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per i prestatori di assistenza. In particolare, l'articolo 4 introduce il diritto per gli uomini di fruire di un periodo di congedo di almeno 10 giorni lavorativi in occasione della nascita di un figlio, a prescindere dallo stato civile o di famiglia come definiti nella legislazione nazionale. Il successivo articolo 5 amplia la portata della vigente direttiva sul congedo parentale, prevedendo un congedo parentale di quattro mesi, riconosciuto a ciascun genitore lavoratore, retribuito almeno al livello dell'indennità di malattia. Tale congedo potrà essere utilizzato fino ai 12 anni di età del figlio e non è trasferibile tra i genitori. L'articolo 6 della direttiva riconosce, invece, un congedo di cinque giorni l'anno per i prestatori di assistenza, in caso di malattia di un familiare. Viene inoltre salvaguardato, sulla base dell'articolo 7, il diritto ad assentarsi dal posto di lavoro per cause di forza maggiore derivanti da ragioni familiari urgenti e inattese, attualmente già previsto dalla direttiva 2010/18/UE. Al fine di aumentare gli incentivi affinché i lavoratori con figli e responsabilità di assistenza, in particolare gli uomini, usufruiscano delle forme di congedo previste, l'articolo 8 della proposta stabilisce che essi debbano percepire una retribuzione o un'indennità adeguata almeno equivalenti al congedo per malattia. Ai sensi dell'articolo 9, ai lavoratori con figli fino a dodici anni di età e ai prestatori di assistenza è riconosciuto il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili per motivi di assistenza, come la possibilità di avvalersi di un orario di lavoro ridotto e di un calendario di lavoro flessibile, nonché di svolgere il lavoro a distanza. I datori di lavoro prendono in considerazione tali richieste e sono tenuti a motivarne un eventuale rifiuto. L'articolo 10 della proposta di direttiva riconosce inoltre ai lavoratori che abbiano usufruito di un congedo parentale o assistenziale, il diritto di riprendere il loro posto di lavoro o un posto equivalente, senza Pag. 76ricevere alcun tipo di penalizzazione, beneficiando altresì di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro cui abbiano avuto diritto durante la loro assenza. Infine, come ulteriore incentivo alla fruizione di congedi e di modalità di lavoro flessibili, la proposta di direttiva prevede il divieto di licenziamento o della preparazione di un licenziamento sulla base di richieste di congedo o lavoro flessibile. L'onere di provare che il licenziamento è stato basato su motivi diversi incombe, ai sensi dell'articolo 12, sul datore di lavoro.
  Nel segnalare che la 11a Commissione del Senato, al termine dell'esame della proposta direttiva, ha approvato lo scorso 20 giugno una risoluzione nella quale si è espressa in senso favorevole sulla medesima proposta, fa presente che la proposta di direttiva in esame interviene in una materia già ampiamente disciplinata nell'ordinamento italiano e in termini talora più favorevoli rispetto agli ordinamenti di altri partner dell'Unione europea.
  Quanto agli effetti della proposta sull'ordinamento nazionale, oltre a fare riferimento alla documentazione predisposta dagli uffici della Camera, richiamo i contenuti della relazione trasmessa dal Governo ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge n. 234 del 2012.
  In particolare, in tema di congedo di paternità, segnalo che la legge di bilancio 2017 ha prorogato il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente che deve essere goduto entro i cinque mesi dalla nascita del figlio. La sua durata è pari a due giorni per il 2017 e a quattro giorni per il 2018 (elevabili a cinque in sostituzione della madre in relazione al periodo di astensione obbligatoria ad essa spettante), e l'indennità corrisposta è pari al 100 per cento della retribuzione percepita dal lavoratore. In caso di recepimento della direttiva, si renderebbe quindi necessario adeguare la legislazione nazionale elevando a dieci giorni lavorativi la durata del congedo di paternità, a prescindere dallo stato civile o di famiglia, così come previsto dall'articolo 4 della proposta in esame. Peraltro, la medesima direttiva, al successivo articolo 8, stabilisce che il lavoratore riceva una retribuzione almeno equivalente all'indennità di malattia. La stessa misura della retribuzione è prevista per i casi di congedo straordinario, per i quali la legislazione italiana prevede che nei due giorni riconosciuti sia attribuita un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione.
  Nella legislazione italiana esiste un diritto di priorità rispetto alla trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, disciplinato dal decreto legislativo n. 81 del 2015, in caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o portatore di handicap. Nel nostro ordinamento sono inoltre già previste altre modalità di lavoro flessibile.
  In particolare, ricorda che la recente legge n. 81 del 2017 contiene una disciplina dettagliata del lavoro agile e dei suoi elementi costitutivi, con lo scopo, tra l'altro, di agevolare la conciliazione tra le esigenze di vita familiare e i tempi di lavoro.
  Per quanto riguarda, invece, il congedo per prestatori di assistenza nei confronti di disabili e familiari in situazione di gravità, la tutela offerta dalla legge n. 104 del 1992 risulta molto avanzata e prevede la possibilità di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito a fronte di un congedo di almeno cinque giorni all'anno introdotto dall'articolo 6 della proposta.
  Quanto all'impatto sul piano finanziario derivante dall'applicazione della proposta di direttiva, la relazione del Governo si limita a constatare gli effetti positivi sul PIL e sull'occupazione, in particolare delle donne, che ne potrebbero derivare. Sul punto, potrebbe peraltro essere utile un maggiore approfondimento, con particolare riferimento agli effetti finanziari diretti derivanti dall'eventuale recepimento della direttiva.
  Conclusivamente, ritiene che l'esame degli atti dell'Unione europea oggi in discussione possa costituire un utile momento di riflessione sulle misure esistenti in materia di conciliazione tra attività Pag. 77lavorativa e vita familiare e sui possibili interventi da adottare in proposito, tanto a livello europeo quanto sul piano nazionale, considerando che anche la Comunicazione della Commissione europea al nostro esame prevede in molti casi un'azione di orientamento e monitoraggio delle politiche nazionali.

  Marialuisa GNECCHI (PD), associandosi a quanto affermato dalla relatrice, giudica di estrema importanza l'avvio di una riflessione a livello europeo sui temi della conciliazione tra vita professionale e vita familiare e della condivisione delle responsabilità tra uomini e donne. Anche lei sottolinea come l'ordinamento italiano sia, per molti versi, più avanzato di quello unionale, sia per le leggi che sono state attuate sia per quelle che, pur enunciando principi di estrema importanza, sono rimaste sulla carta. Richiama, ad esempio, le previsioni della legge n. 125 del 1991 che, all'articolo 1, comma 1, lettera e), annovera, tra le azioni positive per le donne, finalizzate alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, anche quelle che hanno lo scopo di favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi. La mancata attuazione di tali azioni ha comportato il perdurare di gravi squilibri lavorativi le cui ricadute a livello previdenziale sono state approfondite con una specifica indagine conoscitiva conclusa dalla XI Commissione nel luglio dello scorso anno, i cui atti saranno presentati nel corso della prossima settimana. Vi sono, tuttavia, altre previsioni che hanno trovato attuazione e si sono dimostrate nel tempo validi strumenti di condivisione delle responsabilità. È il caso del congedo biennale per l'assistenza a familiari disabili, introdotto dalla legge n. 53 del 2000, che permette di beneficiare di un'indennità fino all'80 per cento dello stipendio e della contribuzione piena. Come risulta dai dati forniti dal Governo in risposta ad una specifica interrogazione parlamentare, tale istituto, i cui costi sono pari a 500 milioni di euro annui, è molto utilizzato, sia dai lavoratori sia dalle lavoratrici, che possono in tal modo condividere le responsabilità familiari senza ricadute eccessivamente gravose sul piano lavorativo. Trattandosi di un istituto relativamente poco costoso e a fronte della necessità di permanere al lavoro per più anni, a seguito dell'inasprimento dei requisiti pensionistici frattanto introdotto dalla manovra finanziaria del 2011, nonché del notevole aumento della popolazione anziana bisognosa di assistenza, sarebbe auspicabile una sua estensione, se non in occasione della prossima legge di bilancio, almeno con un provvedimento specifico da adottare nella prossima legislatura. Sempre la legge n. 53 del 2000 ha avuto il merito di trasformare in un vero e proprio diritto soggettivo il congedo parentale per il lavoratore padre, in precedenza fruibile solo in alternativa alla madre lavoratrice. In conclusione, considera giusta la scelta di promuovere la parità anche a livello relazionale all'interno della famiglia e coglie l'occasione per ricordare che il prossimo 6 luglio la Commissione presenterà le conclusioni dell'indagine conoscitiva prima citata sulle ripercussioni in termini di genere della normativa pensionistica ed auspica che nella prossima legislatura si possa avviare una specifica indagine anche sul tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che potrebbe trarre spunti di riflessione anche da quella, attualmente condotta dalla I Commissione, sulle politiche in materia di parità tra donne e uomini.

  Giovanna MARTELLI (MDP), riconoscendosi in quanto affermato dalla collega Gnecchi, sottolinea l'importanza di iscrivere la riflessione della Commissione nel quadro della realtà del nostro Paese, caratterizzato da un alto tasso di invecchiamento e da un altrettanto alto livello di denatalità, certificato anche da un recente studio dell'ONU. Si tratta di un saldo negativo di gravità inedita e che non Pag. 78appare riassorbibile neanche dalla crescente immigrazione. Tiene a sottolineare, tuttavia, che la necessità di conciliare la vita professionale con quella personale non necessariamente deve essere legata ad un progetto di famiglia, trattandosi di un valore in sé. Concorda con quanto affermato dalle colleghe che l'hanno preceduta sull'importanza della legge n. 53 del 2000, dal cui impianto rivoluzionario devono scaturire disposizioni successive, con particolare riferimento a quelle che perseguono l'armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro grazie anche all'adozione di specifiche politiche pubbliche volte ad incidere sull'organizzazione delle città. A suo avviso, è giunto però il tempo di pensare a politiche pubbliche volte non più soltanto a ridurre il disagio derivante dalla difficoltà di conciliare le esigenze di vita con quelle del lavoro, ma anche a promuovere il godimento di ambedue gli aspetti della vita dei cittadini. A tale proposito auspica che il legislatore non si fermi alla considerazione della famiglia tradizionale ma, sulla scia della legge sulle unioni civili approvata lo scorso anno, apra il suo raggio d'azione a tutte le forme di comunità familiare che si vanno evidenziando nella società.

  Titti DI SALVO (PD) osserva che la discussione in atto fa sostanzialmente emergere che il tema da affrontare non è tanto quello della conciliazione tra vita privata e vita lavorativa, coniugata essenzialmente con riferimento alle donne, chiamate a sobbarcarsi la quota prevalente dei carichi familiari, ma quello del raggiungimento di una vera e propria condivisione delle responsabilità tra uomini e donne. A suo avviso, non si tratta, tuttavia, di una questione culturale, quanto piuttosto di una scelta di carattere politico, con rilevanti conseguenze economiche. Osserva, del resto, che anche il Pontefice ha richiesto con decisione il superamento di quelle barriere e di quei vincoli che, di fatto, obbligano le donne a scelte lavorative penalizzanti, che contraddicono la parità salariale che il nostro ordinamento, almeno sulla carta, ha introdotto da molti anni.

  Walter RIZZETTO, presidente, apprezzata la ricchezza del dibattito, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame dei documenti ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.45.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Giovedì 29 giugno 2017.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 13.45 alle 13.55.