CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 30 maggio 2017
828.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 30 maggio 2017. — Presidenza del presidente Mario MARAZZITI. — Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Luigi Bobba.

  La seduta comincia alle 15.15.

Schema di decreto legislativo recante Codice del Terzo settore.
Atto n. 417.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto all'ordine del giorno.

  Mario MARAZZITI, presidente, ricorda che la Commissione avvia oggi l'esame dello schema di decreto legislativo recante Codice del Terzo settore, sul quale dovrà esprimere il prescritto parere entro il 21 giugno 2017.
  Fa presente, quindi, che la richiesta di parere non è corredata dall'intesa in sede di Conferenza unificata né dal parere del Consiglio di Stato. Nel procedere comunque all'assegnazione di tale atto, avuto riguardo al termine stabilito per l'esercizio della delega, la Presidente della Camera ha richiamato l'esigenza che la Commissione non si pronunci definitivamente sul provvedimento prima che il Governo abbia provveduto a integrare la richiesta di parere nel senso indicato.

  Donata LENZI (PD), relatrice, osserva che lo schema di decreto recante «Codice del Terzo settore» (d'ora in avanti, «Codice»), predisposto in attuazione dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge delega n. 106 del 2016, provvede «al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un apposito codice del Terzo settore». Tale attività di revisione e riordino è finalizzata al sostegno dell'autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l'inclusione e il pieno sviluppo della persona e valorizzando il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione dei principi costituzionali. Rileva che rimane, invece, Pag. 78sostanzialmente non attuata la delega contenuta alla lettera a) del comma 2 dell'articolo 1, concernente la revisione del codice civile, per le ragioni che saranno evidenziate nel prosieguo.
  Osserva preliminarmente che si tratta di un testo complesso, sul quale anticipa una sua positiva valutazione, in relazione al lavoro svolto dal Governo, comprendendone le difficoltà. Nonostante le criticità che andrà via via elencando, queste non diminuiscono, la consapevolezza dell'importanza del lavoro compiuto. Pur essendo consapevole del fatto che saranno formulate opinioni assai diverse tra loro nel corso del dibattito, ritiene comunque che si sia cercato un equilibrio tra le esigenze di riforma, da un lato, e il rispetto delle tante cose positive che esistono allo stato attuale, dall'altro.
  Sottolinea, poi, che non si deve dimenticare come la riforma non copra la totalità dell'associazionismo. Infatti, oltre alla tutela costituzionale della libertà di associazione, garantita dagli articoli 2 e 18, rimangono in vigore gli articoli del libro primo, titolo II, del codice civile, che regolano la materia delle associazioni e delle fondazioni. Il Codice, infatti, riguarda le associazioni e le fondazioni che scelgono di aderire al Terzo settore e di iscriversi al registro perché questa è precondizione per lo svolgimento pieno delle proprie finalità. Ricorda che si è nel campo del diritto civile, il campo delle libertà, in cui eventuali limitazioni devono avere una ragione.
  Entrando nel merito del contenuto, rileva che lo schema di decreto legislativo si compone di 104 articoli, suddivisi in dodici titoli.
  I Titoli I e II recano disposizioni di carattere generale relative agli enti del Terzo settore. Il Titolo III prevede disposizioni in materia di volontari e di attività di volontariato. I Titoli IV e V disciplinano le specifiche tipologie di enti del Terzo settore, in particolare le associazioni e le fondazioni, le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le reti associative e le società di mutuo soccorso. È, inoltre, prevista una norma di rinvio – l'articolo 40 – alla disciplina delle imprese sociali dettata dal decreto legislativo previsto dall'articolo 1, comma 2, lettera c), della legge n. 106 del 2016, e alla disciplina delle cooperative sociali e dei loro consorzi di cui alla legge n. 381 del 1991. Il Titolo VI disciplina il registro unico nazionale del Terzo settore. Il Titolo VII reca la disciplina relativa ai rapporti con gli enti pubblici.
  Il Titolo VIII detta disposizioni in materia di promozione e di sostegno degli enti del Terzo settore prevedendo l'istituzione del Consiglio nazionale del Terzo settore, la disciplina dei centri di servizio per il volontariato e norme in materia di risorse finanziarie destinate agli enti medesimi. Il Titolo IX reca disposizioni in materia di titoli di solidarietà degli enti del Terzo settore e altre forme di finanza sociale. Il Titolo X disciplina il regime fiscale degli enti in parola. Il Titolo XI detta disposizioni in materia di controlli e coordinamento. Infine, il Titolo XII reca disposizioni transitorie e finali.
  Fa presente che il Titolo I (articoli da 1 a 3), recante disposizioni generali, individua le finalità (civiche, solidaristiche e di utilità sociale) proprie del Terzo settore e delimita il campo di applicabilità delle disposizioni dello stesso Codice (articolo 3), chiarendo che queste si utilizzano, ove non derogate e in quanto compatibili, anche per gli enti del Terzo settore regolati da una disciplina particolare.
  Inoltre, agli enti del Terzo settore si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione nel caso di lacune di previsione accertate nel Codice, previa verifica di compatibilità. Infine, si specifica che le disposizioni del Codice non si applicano alle fondazioni bancarie, alle quali sono riferibili soltanto le disposizioni raccolte nel Capo II del Titolo VIII, riferite ai Centri di servizio per il volontariato.
  Il Titolo II (articoli da 4 a 16) reca disposizioni volte soprattutto a delineare l'identità giuridica degli enti del Terzo settore, definiti come enti costituiti in forma di associazione o di fondazione, per Pag. 79il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma volontaria e di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, che siano iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore (articolo 4). L'impianto dell'articolo 4, distinguendo gli enti in tre grandi categorie: quelli solidaristici, quelli mutualistici, quelli di produzione e scambio di beni e servizi, sembra coerente rispetto alla legge delega. Il comma 3 dell'articolo 4 riguarda specificamente gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e quelli delle confessioni religiose che hanno stipulato accordi con lo Stato.
  Segnala che una disposizione rilevante è quella dell'articolo 5, che individua le attività di interesse generale che devono costituire l'oggetto sociale esclusivo o principale di un ente del Terzo settore, attraverso la compilazione di un elenco unico, con l'obiettivo di fondere la normativa attualmente prevista ai fini fiscali con quella prevista ai fini civilistici. Nella lista sono comprese attività che già storicamente gli enti del Terzo settore svolgono, accanto a nuovi settori di attività, quali: commercio equo e solidale; agricoltura sociale; adozioni internazionali; riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata. In ogni caso, il comma 2 dell'articolo 5, attuando uno specifico punto della delega, consente l'aggiornamento del predetto elenco. Ad una prima lettura, parrebbe necessario il coordinamento con la legge sulla lotta agli sprechi alimentari (legge n. 166 del 2016), frutto anch'essa del lavoro di questa Commissione. Appaiono, inoltre, assai ristretti i margini di riconoscimento delle associazioni a tutela di diritti.
  Rileva, inoltre, che la limitazione nel campo sanitario alle sole prestazioni previste dai LEA è eccessiva limitativa della libertà e della solidarietà e si spiega solo con ragioni economiche.
  I LEA, infatti, devono essere garantiti dallo Stato, anche se l'effettiva erogazione può avvenire, ad esempio, nell'ambito di un rapporto convenzionale con una fondazione. Invece, stando al testo attuale dello schema, prestazioni escluse dai LEA solo per ragioni di costo – quali ad esempio le cure dentarie agli adulti – non potrebbero essere oggetto di attività da parte di un ente del Terzo settore, neanche se rivolte ai soggetti senza fissa dimora.
  Si prevede, poi, che gli enti del Terzo settore possano esercitare, accanto alle attività di interesse generale, attività diverse, strumentali o secondarie rispetto a quelle principali, purché lo statuto o l'atto costitutivo lo consentano (articolo 6).
  Viene disciplinata, quindi, l'attività di raccolta di fondi di cui gli enti del Terzo settore possono avvalersi per finanziare le proprie attività di interesse generale (articolo 7).
  Importante è la disposizione di cui all'articolo 8, che prevede un obbligo di destinazione del patrimonio allo svolgimento di attività statutarie e vieta la distribuzione, anche indiretta, di eventuali utili e avanzi di gestione. La materia è delicata in quanto fortemente limitante della libertà di associazione. In particolare, il comma 3 individua alcune fattispecie che costituiscono «in ogni caso» una distribuzione indiretta non consentita – quale la corresponsione a coloro che rivestono cariche sociali di compensi non proporzionati all'attività svolta e, comunque, superiori ad ottantamila euro annui e ancor di più i limiti al tetto alle retribuzioni non superiori al + 20 per cento dei contratti collettivi. Si tratta di una limitazione sindacalmente di difficile giustificazione. Ricorda che, oltre che parlare di proporzionalità, il comma 1, lettera l), dell'articolo 4, per contenere gli stipendi sceglieva la strada della pubblicità, nel decreto in esame ripresa solo per enti sopra i 50.000 euro (articolo 14).
  Si stabilisce, poi, in caso di estinzione o scioglimento, l'obbligo per gli enti di devolvere il proprio patrimonio ad altri enti del Terzo settore ovvero alla Fondazione Italia sociale. Si impedisce, quindi, che il patrimonio residuo degli enti del Terzo settore possa costituire oggetto di Pag. 80appropriazione individuale in sede di liquidazione (articolo 9). È contemplata, inoltre, la possibilità di costituire uno o più patrimoni destinati ad uno specifico affare (articolo 10).
  Osserva, poi, che l'articolo 11, in combinato disposto con il predetto articolo 4, prescrive l'obbligo, per gli enti del Terzo settore, di iscriversi nel registro unico nazionale del Terzo settore e di indicare gli estremi dell'iscrizione negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico.
  È incomprensibile, a suo avviso, la ragione per cui le imprese sociali siano automaticamente iscritte al registro del Terzo settore quando iscritte all'apposita sezione del registro delle imprese, che notoriamente non ne verifica la natura. Precisa che questo punto andrà chiarito in coordinamento con l'altro schema di decreto legislativo assegnato alla XII Commissione (Atto n. 418).
  Rileva, inoltre, che all'articolo 12 si prevede che la denominazione sociale debba contenere l'indicazione di ente del Terzo settore o l'acronimo ETS.
  Poiché successivamente si impone, con una norma analoga, l'uso delle sigle ODV, per le organizzazioni di volontariato, e APS, per le associazioni di promozione sociale, si domanda se un ente debba averle entrambe, cosa che sembrerebbe eccessiva. Osserva, inoltre, che sarebbe opportuno introdurre un periodo di adeguamento, considerati i costi conseguenti al cambio di denominazione sociale.
  Osserva, quindi, che si introducono gli obblighi, per gli enti del Terzo settore, di redazione e deposito del bilancio di esercizio (articolo 13).
  Un altro vincolo per gli enti del Terzo settore con entrate o ricavi superiori ai cinquantamila euro è quello di pubblicare annualmente ed aggiornare nel proprio sito Internet gli eventuali corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati (articolo 14).
  Rileva, poi, che un ulteriore strumento che garantisce l'assenza degli scopi lucrativi è l'introduzione del principio di proporzionalità tra i diversi trattamenti economici dei lavoratori dipendenti in base al quale, in ciascun ente, la differenza retributiva tra lavoratori non può essere superiore al rapporto di uno a sei, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda (articolo 16).
  Il Titolo III (articoli da 17 a 19) reca la definizione dello status del volontario indipendentemente dalla natura dell'ente nel quale presta la propria opera (articolo 17) e norme volte a favorire la promozione e il riconoscimento della cultura del volontariato in ambito scolastico e lavorativo (articolo 19). Ai fini del Codice, il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà. Le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di un'autocertificazione, purché non superino l'importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l'organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari nello svolgimento delle attività di interesse generale, devono darne conto in un apposito registro. Sul punto, ricorda che l'articolo 5, comma 1, lettera b), della legge delega, ha indicato quale principio e criterio direttivo «l'introduzione di criteri e limiti relativi al rimborso spese per le attività dei volontari, preservandone il carattere di gratuità e di estraneità alla prestazione lavorativa». In seguito, nel corso dell'esame parlamentare, il Governo ha accolto un ordine del giorno che lo ha impegnato a valutare la possibilità di riconoscere, ai fini di semplificazione degli adempimenti, rimborsi forfettari su base annua di modica entità, e in ogni caso proporzionale all'impegno, costante Pag. 81o saltuario, del volontario, nonché frazioni di anno in cui l'attività di volontariato si svolge.
  La norma in esame stabilisce inoltre che la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria. Non si considera volontario l'associato che esercita gratuitamente una carica sociale o che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni.
  Le disposizioni del Titolo III non si applicano agli operatori volontari del servizio civile universale e al personale impiegato all'estero a titolo volontario nelle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo.
  Osserva, quindi, il Titolo IV (articoli da 20 a 31), concerne le associazioni e le fondazioni del Terzo settore. Il Capo I del Titolo IV, costituito dal solo articolo 20, reca disposizioni generali volte a definire l'ambito di applicazione del Titolo in esame, prevedendo che le disposizioni in esso contenute si applichino a tutti gli enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione. Ricorda che le associazioni, riconosciute e non riconosciute, e le fondazioni sono disciplinate dal libro primo, titolo II, del codice civile («Delle persone giuridiche»).
  In particolare, le associazioni e le fondazioni per le quali sia intervenuto il decreto di riconoscimento, ai sensi dell'articolo 12 del codice civile, sono persone giuridiche private; in assenza di tale decreto, le associazioni non sono riconosciute come persone giuridiche (articolo 36 del codice civile). La richiamata disposizione della legge delega prevede che i decreti legislativi provvedano, appunto, alla revisione della disciplina del titolo II del libro primo del codice civile; l'articolo 3 della legge n. 106 del 2016 detta appositi principi e criteri direttivi per la revisione di questa parte del codice civile.
  Fa presente, poi, che il Capo II, costituito dagli articoli 21 e 22, reca la disciplina della costituzione delle associazioni e fondazioni del Terzo settore. Vengono definiti (articolo 21), sulla base dei principi e criteri direttivi posti dall'articolo 3 della legge delega per la revisione del titolo II del libro primo del codice civile, il contenuto dell'atto costitutivo e dello statuto, contenente le norme relative al funzionamento e la denominazione dell'ente, individuando i seguenti elementi obbligatori: l'assenza di scopo di lucro e le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite; l'attività di interesse generale che costituisce l'oggetto sociale; la sede legale e le eventuali sedi secondarie; l'eventuale patrimonio iniziale; le norme sull'ordinamento, l'amministrazione e la rappresentanza dell'ente; i diritti e gli obblighi degli associati, ove presenti; i requisiti per l'ammissione di nuovi associati e la procedura di ammissione, che deve ispirarsi a criteri non discriminatori, coerenti con le finalità perseguite e l'attività di interesse generale svolta; la nomina dei primi componenti degli organi sociali obbligatori e, quando previsto, del soggetto incaricato della revisione legale dei conti; le norme sulla devoluzione del patrimonio residuo in caso di scioglimento o di estinzione; la durata dell'ente, se prevista.
  Si prevede che lo statuto degli enti in questione – sebbene oggetto di atto separato rispetto all'atto costitutivo – ne costituisca parte integrante, e che le norme statutarie prevalgano in caso di contrasto con le clausole dell'atto costitutivo.
  In pratica, anziché prevedere la revisione del titolo II del libro primo del codice civile (come reca la rubrica dell'articolo 3 della legge n. 106 del 2016) si prevede un regime speciale in merito a statuti, obblighi verso terzi, bilanci, procedure e altri aspetti ancora, valevole solo per gli enti del Terzo settore.
  Viene, con la stessa logica, definita la procedura per l'acquisto della personalità giuridica per le associazioni e fondazioni del Terzo settore che, in deroga alle disposizioni vigenti (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del Pag. 822000), può avvenire anche mediante iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore (articolo 22). Al riguardo, ricorda che tra i princìpi e criteri direttivi posti dall'articolo 3 della legge delega per la revisione del titolo II del libro primo del codice civile ricorrono i seguenti: «rivedere e semplificare il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica», «prevedere una disciplina per la conservazione del patrimonio degli enti», «disciplinare, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi e di tutela dei creditori, il regime di responsabilità limitata degli enti riconosciuti come persone giuridiche».
  Sono, quindi, enumerati gli adempimenti cui è tenuto il notaio che abbia ricevuto l'atto costitutivo di una associazione o di una fondazione del Terzo settore ovvero la pubblicazione di un testamento con il quale si dispone una fondazione del Terzo settore, ed è individuato il patrimonio minimo per il conseguimento della personalità giuridica.
  Il comma 5 dell'articolo 22, contenente disposizioni relative a episodi che potrebbero verificarsi nel corso della vita della persona giuridica ed eventualmente determinarne l'estinzione, sembrano esulare dal contenuto dell'articolo in esame la cui rubrica reca «Acquisto della personalità giuridica».
  Il comma 7 del medesimo articolo 22 prevede che, nelle fondazioni e nelle associazioni riconosciute come persone giuridiche, per le obbligazioni dell'ente sia chiamato a rispondere soltanto l'ente con il suo patrimonio. Per tale ragione, il patrimonio richiesto al comma 4 (15.000 euro per le associazioni e 30.000 per le fondazioni) ha lo scopo di favorire l'acquisizione della personalità giuridica ma, a mio parere, è troppo basso. Anche in questo caso, il risultato è che ci saranno due procedure diverse per ottenere la personalità giuridica a seconda che si sia o meno ente di Terzo settore.
  Il Capo III del Titolo IV, costituito dagli articoli compresi tra 23 e 31, reca la disciplina relativa all'ordinamento e all'amministrazione degli enti del Terzo settore. Evidenzia che tale Capo uniforma l'ordinamento e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute a quelli delle associazioni riconosciute, laddove la disciplina codicistica demanda agli accordi tra gli associati la regolazione dell'ordinamento interno e dell'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche (articolo 36 del codice civile). Esso sarebbe attuativo dell'articolo 1, comma 2, lettera a), laddove si parla di «revisione», ma non necessariamente questo comporta la omogeneizzazione.
  L'articolo 23 reca disposizioni in ordine alla procedura di ammissione di nuovi membri nelle associazioni, riconosciute e non riconosciute, e nelle fondazioni del Terzo settore.
  Ricorda che l'articolo 16, primo comma, del codice civile, demanda agli statuti la disciplina delle condizioni di ammissione nelle associazioni riconosciute, senza imporre alcun indirizzo né dettare alcuna disposizione al riguardo. La suddetta disposizione dell'articolo 21, comma 1, del provvedimento in esame – ferma restando, nelle associazioni e nelle fondazioni del Terzo settore, la disciplina statutaria degli eventuali requisiti di ammissione e della procedura di ammissione – impone, tuttavia, che questa si ispiri a criteri non discriminatori, generalizzando così quanto previsto attualmente solo per le organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale (leggi nn. 266 del 1991 e 383 del 2000) aggiungendovi poi una procedura particolarmente burocratizzata.
  Il comma 4 dell'articolo 23 prevede che le predette disposizioni si applichino, in quanto compatibili e sempre che lo statuto non disponga diversamente, anche alle fondazioni del Terzo settore nelle quali è presente, ai sensi delle norme statutarie, un organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato. Al riguardo, ricorda che il codice civile (articolo 20) prevede che l'assemblea sia organo necessario soltanto nelle associazioni, non nelle fondazioni, per le quali l'unico organo necessario è l'organo di amministrazione. Gli statuti delle fondazioni prevedono, tuttavia, Pag. 83spesso la presenza dell'organo assembleare ovvero di altro organo di indirizzo altrimenti denominato.
  L'articolo 24 reca disposizioni relative all'attività dell'organo assembleare (voto, rappresentanza e assemblee separate) nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore, disponendo in ordine alla loro applicabilità anche alle fondazioni del Terzo settore, il cui statuto preveda la presenza di un organo assembleare o di indirizzo.
  Ricorda che, tra i princìpi e criteri direttivi posti dall'articolo 3 della legge n. 106 del 2016 per la revisione del titolo II del libro primo del codice civile, ricorre il seguente: «assicurare il rispetto dei diritti degli associati, con particolare riguardo ai diritti di informazione, partecipazione e impugnazione degli atti deliberativi, e il rispetto delle prerogative dell'assemblea, prevedendo limiti alla raccolta delle deleghe», in attuazione del quale interviene l'articolo in commento, fatta eccezione per i diritti di informazione.
  Ricorda, inoltre, che il titolo II del libro primo del codice civile non dispone in ordine ai seguenti aspetti: diritto di voto, attribuzione dei voti, rappresentanza nell'organo assembleare delle associazioni.
  L'articolo 25 enumera le competenze dell'organo assembleare delle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore, alle quali gli statuti delle medesime associazioni non possono derogare. Si prevede che, con disposizione statutaria, tali disposizioni possano essere applicate anche alle fondazioni del Terzo settore nelle quali lo statuto abbia previsto la costituzione di un organo assembleare o di indirizzo, nei limiti in cui questo risulti compatibile con la natura dell'ente quale fondazione e nel rispetto della volontà del fondatore.
  L'articolo 26 reca disposizioni relative all'organo di amministrazione delle associazioni, riconosciute o non riconosciute, e delle fondazioni del Terzo settore.
  Ai sensi del comma 1, l'organo di amministrazione è organo necessario nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore. Gli amministratori sono nominati dall'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori che sono nominati nell'atto costitutivo. Trova applicazione l'articolo 2382 del codice civile, relativo alle cause di ineleggibilità e di decadenza per gli amministratori delle società.
  Ai sensi del comma 8 dello stesso articolo, l'organo di amministrazione è organo necessario anche per le fondazioni del Terzo settore.
  L'articolo 27, costituito da un unico comma, dispone che al conflitto di interessi degli amministratori delle associazioni, riconosciute e non riconosciute, e delle fondazioni del Terzo settore, si applica l'articolo 2475-ter del codice civile, in materia di conflitto di interessi per gli amministratori delle società a responsabilità limitata.
  Con riferimento all'articolo 3, comma 1, lettera b), della legge n. 106 del 2016, che demanda al decreto legislativo di attuazione di disciplinare, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi e di tutela dei creditori, il regime di responsabilità limitata degli enti riconosciuti come persone giuridiche, l'articolo 28, costituito da un unico comma, prevede che gli amministratori, i direttori, i componenti dell'organo di controllo e il soggetto incaricato della revisione legale dei conti nelle associazioni, riconosciute e non riconosciute, e nelle fondazioni del Terzo settore, rispondano nei confronti dell'ente, dei creditori sociali, del fondatore, degli associati e dei terzi, sulla base delle disposizioni codicistiche che regolano la responsabilità degli amministratori, dei direttori generali e dei sindaci delle società per azioni, nonché delle disposizioni che regolano la responsabilità dei revisori legali e delle società di revisione legale ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 39 del 2010, in quanto compatibili.
  Osserva, poi, che l'articolo 29 reca la disciplina della denuncia dinanzi al tribunale e ai componenti dell'organo di controllo per le associazioni, riconosciute e non riconosciute, e per le fondazioni del Terzo settore. Sono esclusi dall'applicazione dell'articolo in esame gli enti ecclesiastici Pag. 84civilmente riconosciuti e agli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato.
  L'articolo 30 reca disposizioni concernenti l'organo di controllo delle associazioni, riconosciute e non riconosciute, e delle fondazioni del Terzo settore. Ai sensi del comma 1, l'organo di controllo, costituito anche in forma monocratica, è organo necessario nelle fondazioni del Terzo settore. Ai sensi del comma 2, nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore, l'organo di controllo, costituito anche in forma monocratica, è organo necessario quando siano superati, per due esercizi consecutivi, determinati limiti. Il comma 6 del medesimo articolo reca disposizioni relative alle funzioni dell'organo di controllo.
  Ricorda che per le fondazioni non è presente una disposizione codicistica che preveda, in generale, l'obbligo di dotarsi di un organo di controllo.
  L'articolo 31, infine, reca disposizioni sulla revisione legale dei conti per le associazioni, riconosciute o non riconosciute, e le fondazioni del Terzo settore, che è obbligatoria quanto vengono superati, per due esercizi consecutivi, determinati limiti concernenti l'attivo dello stato patrimoniale, i ricavi, le rendite, i proventi e le entrate, comunque denominate, e il numero dei dipendenti occupati.
  Ritiene necessario esprimere una preoccupazione sul destino delle piccole associazioni e sul loro reale interesse a entrare nel mondo del Terzo settore di cui pure, per vocazione farebbero di diritto parte. Al riguardo, fa presente che il censimento Istat che ha censito 301 mila enti del Terzo settore, ci dice che la maggioranza sono piccole associazioni sotto i 30.000 euro di entrate annue e che più del 66 per cento sono associazioni non riconosciute. Evidenzia che nel testo in esame gli obblighi pesano in ugual misura su associazioni riconosciute e non riconosciute, pur essendo diversa la responsabilità degli amministratori, e che in alcuni casi si tiene conto di determinate soglie oltre le quali è necessario adempiere a un obbligo, mentre in altri casi l'obbligo esiste a prescindere dalla soglia.
  A suo parere, pertanto, si corre il rischio che la piccola associazione di volontariato, valutati costi e benefici, valuti di rimanere al di fuori del perimetro del Terzo settore.
  Il Titolo V (articoli da 32 a 44) è dedicato agli enti del Terzo settore destinatari di una disciplina particolare: Organizzazioni di volontariato (ODV), Associazioni di promozione sociale (APS), enti filantropici, imprese sociali, reti associative, società di mutuo soccorso. L'individuazione delle categorie corrisponde all'assetto normativo attuale – scompare la specifica categoria del diritto tributario qualificata come ONLUS – con l'ulteriore riconoscimento quali enti del Terzo settore di: a) enti filantropici; b) reti associative; c) società di mutuo soccorso.
  Per quanto riguarda le ODV (articoli 32-34), vengono posti dei parametri quantitativi per la loro formazione, in termini di rapporto tra numero dei volontari e numero dei lavoratori impiegati nell'attività.
  Le disposizioni rispondono al criterio di delega di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), che dispone l'armonizzazione e il coordinamento delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato e di promozione sociale, valorizzando i princìpi di gratuità, democraticità e partecipazione e riconoscendo e favorendo, all'interno del Terzo settore, le tutele dello status di volontario e la specificità delle organizzazioni di volontariato di cui alla legge n. 266 del 1991. In ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell'attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari. Il commercio equo e solidale e l'agricoltura sociale sono esclusi dai settori di attività delle ODV. Sono fatte salve, per le organizzazioni di volontariato che operano nella protezione civile, le norme che regolano la materia, in ragione della peculiarità della stessa. Pertanto, alla disciplina delle organizzazioni di volontariato di protezione civile si provvede nell'ambito di Pag. 85quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge delega n. 30 del 2017, per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile.
  Rileva, in particolare, l'esigenza di coordinare gli ultimi due commi dell'articolo 33 (ai sensi dell'ultimo comma, le ODV possono ricevere dalle amministrazioni pubbliche solo il rimborso spese mentre si sensi del comma precedente possono ricevere contributi) e di coordinare tale articolo con gli articoli 55 e 56.
  Anche per quanto concerne le APS (articoli 35-36), sono individuati parametri quantitativi in ordine alla loro costituzione. Non sono APS, come già ora, i circoli privati e le associazioni comunque denominate che dispongono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche e discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all'ammissione degli associati o prevedono il diritto di trasferimento, a qualsiasi titolo, della quota associativa o che, infine, collegano, in qualsiasi forma, la partecipazione sociale alla titolarità di azioni o quote di natura patrimoniale.
  Le APS devono avvalersi in modo prevalente dell'attività di volontariato dei propri associati. In ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell'attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati.
  La differenza tra ODV e APS sembra quindi stare essenzialmente nella platea dei beneficiari: altri rispetto ai soci per le ODV, soci in modalità mutualistica per le APS. Anche se questo impianto era già presente nella delega ed è in continuità con il passato, c’è da chiedersi se la distinzione non sarebbe stata superabile o se essa non dovesse essere rivolta piuttosto ai settori di attività.
  Fa presente che una nuova tipologia organizzativa nell'ambito degli enti del Terzo settore è costituita dagli enti filantropici (articoli 37-39), costituiti in forma di associazione riconosciuta o di fondazione al fine di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale.
  L'articolo 38 dispone che gli enti filantropici traggano le risorse economiche necessarie allo svolgimento della propria attività principalmente da contributi pubblici e privati, donazioni e lasciti testamentari, rendite patrimoniali ed attività di raccolta fondi.
  A tutela della trasparenza e per rendicontare ciò che è stato fatto, sviluppando accountability, l'articolo 39 stabilisce che il bilancio sociale degli enti filantropici deve contenere l'elenco e gli importi delle erogazioni deliberate ed effettuate nel corso dell'esercizio. Sarebbe opportuno che indicasse anche i beneficiari.
  L'articolo 40 rinvia alla disciplina delle imprese sociali dettata dal decreto legislativo di cui all'articolo 1, comma 2, lettera c), della legge n. 106 del 2016, il cui schema (Atto n. 418) è ora all'esame delle Camere e, in particolare, della Commissione affari sociali.
  La disposizione di rinvio, come chiarisce la relazione illustrativa, è utile a chiarire che le imprese sociali, ancorché oggetto di un atto legislativo autonomo, sono comunque enti del Terzo settore, e dunque nei loro confronti, se costituite in forma di associazione o fondazione, possono trovare applicazione le norme del Codice.
  Le reti associative (articolo 41) sono definite come enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, che associano, anche indirettamente attraverso gli enti ad esse aderenti, un numero non inferiore a 500 enti del Terzo settore – numero, a suo avviso, alto – o, in alternativa, almeno 100 fondazioni del Terzo settore, le cui sedi legali o operative siano presenti in almeno cinque regioni o province autonome. Le reti associative hanno il compito di svolgere attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti del Terzo settore loro associati e delle loro attività di interesse generale, anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti istituzionali. Possono promuovere partenariati Pag. 86e protocolli di intesa con le pubbliche amministrazioni e con soggetti privati. Le reti esercitano, tra le altre, anche l'attività di monitoraggio dell'attività degli enti ad esse associati e predispongono una relazione annuale al Consiglio nazionale del Terzo settore.
  Gli articoli da 42 a 44 prevedono un regime transitorio riguardo le società di mutuo soccorso, in conformità con il criterio di delega contenuto nell'articolo 5, comma 1, lettera i), della legge n. 106 del 2016. In particolare, l'articolo 42 conferma che le società di mutuo soccorso (SMS) sono disciplinate dalla legge n. 3818 del 1886, che le ha istituite.
  Le SMS possono svolgere principalmente due tipi di attività: quella erogativa di trattamenti, prestazioni e servizi nel settore socio sanitario e dell'assistenza familiare; quella erogativa di somme di denaro per il rimborso di spese sanitarie o per il pagamento di indennità alla famiglia, soprattutto nell'ipotesi in cui questa si trovi in condizione di gravissimo disagio economico a seguito dell'improvvisa perdita di fonti reddituali.
  L'articolo 43 permette alle SMS già esistenti alla data di entrata in vigore del Codice, di trasformarsi, entro i successivi tre anni da tale data, in associazioni del Terzo settore o in associazioni di promozione sociale, mantenendo il proprio patrimonio, in deroga all'articolo 8, comma 3, della legge n. 3818 del 1886 che stabilisce, in caso di liquidazione o di perdita della natura di società di mutuo soccorso, che il patrimonio sia devoluto ad altre società di mutuo soccorso ovvero ad uno dei Fondi mutualistici o al corrispondente capitolo del bilancio dello Stato.
  Il Titolo VI (articoli da 45 a 54), attuativo della delega di cui all'articolo 4, comma 1, lettera m), della legge n. 106 del 2016, disciplina l'istituzione ed il funzionamento a regime, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del registro unico nazionale del Terzo settore.
  La disposizione di delega ha previsto, mediante l'istituzione di un registro unico nazionale, la riorganizzazione del sistema di registrazione degli enti operanti nel Terzo settore e di tutti gli atti di gestione rilevanti, secondo criteri di semplificazione, tenuto conto delle finalità e delle caratteristiche di specifici elenchi nazionali di settore; la finalità è di favorire, anche con modalità telematiche, la piena conoscibilità in tutto il territorio nazionale degli enti medesimi.
  La norma di delega ha peraltro previsto che l'iscrizione nel registro, subordinata al possesso di taluni requisiti previsti dall'articolo 4, comma 1, è obbligatoria per tutti quegli enti del Terzo settore che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell'economia sociale oppure che esercitano attività in regime di convenzione o di accreditamento con enti pubblici o che intendono avvalersi delle agevolazioni fiscali e di sostegno economico previste all'articolo 9 della legge n. 106 del 2016.
  Ai sensi della normativa prevista degli articoli 45 e seguenti dell'atto in esame, il registro unico nazionale del Terzo settore è suddiviso in specifiche sezioni, ciascuna delle quali è dedicata ad una delle categorie di enti definite dal Codice: organizzazioni di volontariato; associazioni di promozione sociale; enti filantropici; imprese sociali, incluse le cooperative sociali; reti associative; società di mutuo soccorso; altri enti del Terzo settore (articolo 46). In quest'ultima voce, come chiarisce la relazione illustrativa, rientrano residualmente tutti quei soggetti che, pur in possesso dei requisiti generali previsti per gli enti del Terzo settore, non presentano caratteristiche univoche che consentono l'attribuzione in una specifica categoria. In questo modo potrebbe essere consentita «l'emersione» di nuove tipologie organizzative al momento non facilmente individuabili.
  Al riguardo, rileva che viene data facoltà al Ministro del lavoro e delle politiche sociali di istituire, con decreto di natura non regolamentare, sottosezioni o nuove sezioni del registro o modificare le sezioni esistenti. La disposizione aumenta la flessibilità del nuovo sistema, anche in Pag. 87considerazione della possibile eterogeneità delle forme in cui gli enti del Terzo settore possono esercitare la loro attività.
  Il registro è gestito operativamente, con modalità informatiche, su base territoriale da ciascuna regione e provincia autonoma che, a tal fine, individua, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del Codice, una struttura indicata come Ufficio del registro unico nazionale del Terzo settore. L'Ufficio del registro, all'atto della registrazione di quegli enti del Terzo settore che devono anche avvalersi del revisore legale dei conti (associazioni, riconosciute o non riconosciute, e fondazioni del Terzo settore di grandi dimensioni), deve acquisire la relativa informazione antimafia.
  Attraverso l'iscrizione, tutti gli enti possono accedere ai benefici, non solo di carattere tributario, ad essi riservati. Oltre alle modalità di iscrizione (articolo 47), al contenuto informativo minimo necessario che deve risultare nel registro unico nazionale del Terzo settore per ciascun ente (articolo 48), alle modalità di aggiornamento dei dati, cancellazione e migrazione in altra sezione degli enti interessati (articolo 50), la disciplina assoggetta ciascuno degli enti iscritti al registro ad una revisione periodica almeno triennale finalizzata alla verifica della permanenza dei requisiti richiesti (articolo 51).
  L'attuazione completa del registro è prevista entro un anno dall'entrata in vigore del Codice (articolo 53). Entro tale termine, un decreto ministeriale, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, definisce la procedura per l'iscrizione nel registro e individua i documenti da presentare e le modalità di deposito degli atti, unitamente alle regole per la predisposizione, la tenuta, la conservazione e la gestione del registro nonché le sue modalità di comunicazione con il registro delle imprese con riferimento alle imprese sociali e agli altri enti del Terzo settore iscritti in quest'ultimo. Le regioni e le province autonome, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore del decreto ministeriale, disciplinano con proprie leggi i procedimenti per l'emanazione dei provvedimenti di iscrizione e di cancellazione degli enti del Terzo settore e, sulla base della struttura informatica unitaria, rendono operativo il registro unico.
  Sono, altresì, quantificate le risorse necessarie a consentire l'avvio e la gestione del Registro unico. Si prevedono, inoltre, le modalità per far confluire i dati relativi alle associazioni di promozione sociale già in possesso delle amministrazioni territoriali (articolo 54).
  Fa presente, poi, che il Titolo VII (articoli da 55 a 57) reca disposizioni concernenti i rapporti degli enti del Terzo settore con gli enti pubblici.
  Fondamentalmente, viene confermata la disciplina prevista a normativa vigente salvo alcuni adattamenti conseguenti alla regolamentazione unitaria del settore. Come evidenziato nella relazione illustrativa, il coinvolgimento degli enti del Terzo settore deve rispondere alla duplice esigenza di favorire processi e strumenti di partecipazione che possano accrescere la qualità delle scelte finali, ferme restando le prerogative proprie dell'amministrazione procedente in ordine a tali scelte.
  Il Titolo in esame, quindi: prevede che le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione ed organizzazione a livello territoriale delle attività di interesse generale, coinvolgano attivamente gli enti del Terzo settore mediante forme di co-programmazione e co-progettazione (articolo 55); disciplina la conclusione di convenzioni tra le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, per lo svolgimento, in favore di terzi, di attività di interesse generale (articolo 56); disciplina l'affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato dei servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza. L'articolo 57 prevede una normativa speciale per le ambulanze, in questo caso solo per il settore dell'emergenza.
  Il Titolo VIII (articoli da 58 a 76) reca le norme per la promozione ed il sostegno degli enti del Terzo settore. In particolare, il Capo I (articoli 58-60) prevede la disciplina del Consiglio nazionale del Terzo Pag. 88settore, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e a risorse invariate, in base alla delega di cui all'articolo 5, comma 1, lettera g), della legge n. 106 del 2016, che ha previsto il superamento del sistema degli Osservatori nazionali per il volontariato e per l'associazionismo di promozione sociale. Il Consiglio nazionale del Terzo settore è considerato un organismo di consultazione degli enti del Terzo settore a livello nazionale; la sua composizione, in base alla delega, deve valorizzare il ruolo delle reti associative di secondo livello.
  L'articolo 59 dispone circa la composizione del Consiglio nazionale del Terzo settore. La relazione illustrativa sottolinea che tale composizione intende essere la più rappresentativa dei diversi livelli di governo, in modo da superare la frammentarietà finora riscontrata, con particolare riferimento all'interazione con i livelli di governance territoriale.
  Si prevede la gratuità della partecipazione al Consiglio dei componenti effettivi e supplenti, senza diritto alla corresponsione di alcun emolumento comunque denominato, anche in considerazione del principio di salvaguardia da nuovi oneri per la finanza pubblica contenuto nella suddetta disposizione di delega.
  Sono, quindi, definiti i compiti del Consiglio nazionale (articolo 59), tra cui: espressione di pareri non vincolanti sugli schemi di atti normativi che riguardano il Terzo settore; espressione di un parere obbligatorio non vincolante sulle linee guida in materia di bilancio sociale; designazione di un componente nell'organo di governo della Fondazione Italia sociale; coinvolgimento nelle funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo, con il supporto delle reti associative di cui al suddetto articolo 41 dello schema in esame.
  Il Capo II (articoli 61-66) disciplina i Centri di servizio per il volontariato (CSV), dando attuazione alla revisione del sistema di tali centri, secondo quanto previsto dal dispositivo di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), della legge delega, prevedendo per essi specifiche forme di finanziamento e determinati compiti e funzioni. Viene inoltre disposto per il sistema dei CSV un nuovo modello di governance, in coerenza con il dispositivo di cui alla lettera f), del citato comma 1 dell'articolo 5 della legge delega, che prevede una revisione dell'attività di programmazione e controllo di compiti e gestione dei CSV, svolta mediante organismi regionali o sovraregionali (OTC) tra loro coordinati sul piano nazionale (ONC).
  Entrando nel merito del contenuto del Capo II, l'articolo 61 prevede la disciplina per l'accreditamento dei CSV, in attuazione dell'articolo 5, comma 1, lettera e), n. 3), della legge delega.
  Possono essere accreditati come CSV gli enti del Terzo settore costituiti da organizzazioni di volontariato e da altri enti del Terzo settore, in forma di associazione riconosciuta, con personalità giuridica, ad esclusione delle forme previste al libro V del Codice civile, vale a dire sotto forma societaria.
  Viene, quindi, stabilito il contenuto dello statuto dei CSV; ulteriori previsioni sono contemplate con riferimento agli specifici requisiti di onorabilità, professionalità, incompatibilità ed indipendenza per coloro che assumono cariche sociali. In particolare, sono posti alcune incompatibilità per chi è chiamato a ricoprire l'incarico di presidente dell'organo di amministrazione.
  L'articolo 62 dispone la disciplina per il finanziamento dei Centri di servizio per il volontariato, in conformità con il dispositivo di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), n. 3), della legge delega, che prevede il finanziamento stabile dei medesimi CSV, attraverso un programma triennale, con le risorse di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1991.
  Qualora siano utilizzate risorse diverse, le stesse devono essere comprese in una contabilità separata. Ricorda che, in base alla normativa vigente dell'articolo 15 della legge n. 266 del 1991, le fondazioni bancarie sono tenute a destinare una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e degli ulteriori accantonamenti Pag. 89previsti per legge, ai fondi speciali per il volontariato, costituiti presso le regioni.
  Viene istituito, quindi, il Fondo unico nazionale, finalizzato ad assicurare il finanziamento stabile dei Centri di servizio per il volontariato. Il Fondo è alimentato da contributi annuali (obbligatori) delle fondazioni di origine bancaria di cui al decreto legislativo n. 153 del 1999, ed amministrato dall'Organismo nazionale di controllo). Sono stabilite le modalità di computo della quota che le Fondazioni di origine bancaria sono tenute a destinare annualmente al Fondo unico.
  Osserva, poi, che l'articolo 63 dispone in merito alle funzioni e ai compiti assegnati ai Centri di servizio per il volontariato, derivanti dall'articolo 5, comma 1, lettera e), numero 2), della legge delega.
  Viene stabilito, quindi, che i predetti Centri utilizzino le risorse del Fondo unico loro conferite al fine di organizzare, gestire ed erogare servizi di supporto tecnico, formativo ed informativo per promuovere e rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari negli enti del Terzo settore, con particolare riguardo alle organizzazioni di volontariato, nel rispetto e in coerenza con gli indirizzi strategici generali definiti dall'Organismo nazionale.
  Per queste finalità, i CSV possono svolgere attività varie riconducibili a diverse tipologie di servizi tra i quali: servizi di promozione, finalizzati a dare visibilità ai valori del volontariato e all'impatto sociale dell'azione volontaria nella comunità locale, a promuovere la crescita della cultura della solidarietà e della cittadinanza attiva, in particolare tra i giovani e nelle scuole, facilitando l'incontro degli enti di Terzo settore con i cittadini interessati a svolgere attività di volontariato; servizi di formazione, finalizzati a qualificare i volontari; servizi di consulenza e di assistenza qualificata; servizi di informazione e comunicazione; servizi di ricerca e documentazione, finalizzati a mettere a disposizione banche dati e conoscenze sul mondo del volontariato e del Terzo settore in ambito nazionale, comunitario e internazionale; servizi di supporto tecnico-logistico; servizi relativi al controllo degli enti del Terzo settore.
  Sono, quindi, definiti i princìpi in base ai quali vengono erogati i servizi organizzati mediante le risorse del Fondo unico.
  L'articolo 64 stabilisce per il sistema dei CSV un nuovo modello di governance, in coerenza con il dispositivo di cui alla lettera f) del citato comma 1 dell'articolo 5 di delega, che prevede una revisione dell'attività di programmazione e controllo di compiti e gestione dei CSV, svolta mediante organismi regionali o sovraregionali tra loro coordinati sul piano nazionale.
  Viene definito l'Organismo nazionale di controllo (ONC) come fondazione con personalità giuridica di diritto privato, costituita con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al fine di svolgere, per finalità di interesse generale, funzioni di indirizzo e di controllo dei Centri servizio per il volontariato. L'ONC gode di piena autonomia statutaria e gestionale nel rispetto delle norme del decreto in esame, del codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo. La relazione illustrativa chiarisce che la fondazione ONC si articola territorialmente (a livello regionale o sovraregionale) in dieci organismi territoriali di controllo.
  Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali si procede alla nomina dei componenti dell'organo di amministrazione dell'Organismo medesimo, la cui composizione è prevista direttamente dall'articolo 64 dello schema di decreto.
  Sono, poi, definite le funzioni dell'ONC, che, tra i compiti principali: amministra il Fondo unico nazionale e riceve i contributi delle fondazioni bancarie; stabilisce il numero di enti accreditabili come CSV nel territorio nazionale, nel rispetto di quanto previsto al riguardo dallo schema di decreto in oggetto; definisce triennalmente, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di autonomia ed indipendenza delle organizzazioni di volontariato e di tutti gli altri enti del Terzo settore, gli indirizzi strategici generali che devono essere perseguiti a Pag. 90valere sulle risorse del Fondo unico nazionale; determina l'ammontare del finanziamento stabile triennale dei Centri di servizio del volontariato e ne stabilisce la ripartizione annuale e territoriale, su base regionale; sottopone a verifica la legittimità e la correttezza dell'attività svolta dall'associazione dei Centri di servizio per il volontariato attraverso le risorse del Fondo unico nazionale ad essa assegnate dall'ONC; accredita i Centri servizio, di cui tiene un elenco nazionale che rende pubblico con le modalità più appropriate; definisce gli indirizzi generali, i criteri e le modalità operative cui devono attenersi gli Organismi territoriali di controllo (OTC) nell'esercizio delle proprie funzioni; predispone modelli di previsione e rendicontazione che i Centri servizio sono tenuti ad osservare nella gestione delle risorse del Fondo unico nazionale; assume i provvedimenti sanzionatori nei confronti dei CSV, su propria iniziativa o su iniziativa degli OTC; predispone una relazione annuale sulla proprie attività e sull'attività e lo stato dei Centri, che invia annualmente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e rende pubblica attraverso modalità telematiche. La relazione tecnica precisa che dai predetti compiti non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in quanto le spese di organizzazione e funzionamento dell'ONC gravano sulle risorse del Fondo unico nazionale, alimentato dai contributi delle fondazioni bancarie.
  L'articolo 65 definisce gli organismi territoriali di controllo (OTC) come uffici territoriali dell'ONC privi di autonoma soggettività giuridica, che sono chiamati a svolgere, nell'interesse generale, funzioni di controllo dei Centri servizio nel territorio di riferimento, in conformità alle norme dello schema di decreto in oggetto e allo statuto e alle direttive dell'Organismo nazionale di controllo. Vengono istituiti dieci ambiti territoriali ed è individuata la composizione degli OTC i cui componenti, come quelli dell'ONC, sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, durano in carica tre anni e non possono essere nominati per più di tre mandati consecutivi. Per la partecipazione all'ONC non possono essere corrisposti emolumenti a favore dei componenti a carico del Fondo unico o sul bilancio dello Stato, in base al principio di gratuità delle prestazioni dei componenti di tali organismi.
  Gli Organismi in esame svolgono determinate funzioni in conformità alle norme dello schema di decreto in esame e in base alle disposizioni dello statuto ed alle direttive dell'Organismo nazionale, nonché ai sensi del proprio regolamento, che dovrà disciplinarne nel dettaglio le modalità di esercizio.
  L'articolo 66 definisce i casi di sanzioni a fronte della mancata osservanza delle presenti norme e gli strumenti di tutela giurisdizionale ammessi.
  Si stabilisce che, in presenza di irregolarità, gli OTC invitano i Centri servizio ad adottare i provvedimenti e le misure necessarie a sanarle. In presenza di irregolarità non sanabili o non sanate, gli Organismi territoriali denunciano l'irregolarità all'ONC per l'adozione dei provvedimenti necessari. Il medesimo Organismo nazionale, previo accertamento dei fatti e sentito in contraddittorio il Centro servizio interessato, adotta i provvedimenti sanzionatori a seconda della gravità del caso. Contro i provvedimenti dell'Organismo nazionale è possibile fare ricorso dinanzi al giudice amministrativo.
  Fa presente che la parte appena illustrata sui CSV è probabilmente quella nella quale il problema del rispetto dei criteri di delega è più problematica. Infatti, se si rilegge l'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge n. 106 del 2016, si legge: «revisione dell'attività di programmazione e controllo dell'attività e della gestione dei centri di servizio svolta mediante organismi regionali o sovraregionali tra di loro coordinati sul piano nazionale».
  Non sono quindi previsti nessuna fondazione né il ribaltamento prefigurato, per cui le decisioni sono adottate a livello centrale. Sembra costituzionalmente rischioso, poi, prevedere che le regioni siano totalmente escluse dal riordino e dal governo Pag. 91in una materia che almeno in parte appartiene alla sfera della competenza regionale.
  Il Capo III del Titolo VIII (articoli 67-71) prevede ulteriori specifiche misure aventi la funzione di sostegno per gli enti del Terzo settore. Sostanzialmente, si estendono a tutte o ad una parte delle diverse tipologie di enti facenti parte del Terzo settore misure attualmente previste dalla legge n. 283 del 2000, sulle associazioni di promozione sociale. In particolare, gli articoli 67 e 68, che si applicano solo ad ODV e APS, prevedono, rispettivamente, misure di agevolazione creditizia e la concessione di una situazione di privilegio per quanto riguarda i crediti.
  L'articolo 69 estende a tutti gli enti del Terzo settore la facoltà – precedentemente riconosciuta soltanto alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato – di accedere ai finanziamenti del Fondo sociale europeo o ad altri fondi comunitari per progetti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi istituzionali. Analogamente, l'articolo 70 estende a tutti gli enti del Terzo settore la facoltà di utilizzare gratuitamente e a titolo temporaneo beni mobili ed immobili dello Stato delle regioni o degli enti locali in occasioni particolari, nonché, in tali casi, di somministrare al pubblico alimenti e bevande nel rispetto di determinate condizioni. È prevista, a tal fine, una deroga al possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 71 del decreto legislativo n. 59 del 2010, che deve possedere chi esercita un'attività di somministrazione di alimenti e bevande, tra cui quelli di aver frequentato con esito positivo uno specifico corso professionale, aver esercitato in proprio per almeno due anni un'attività di impresa nel settore alimentare ed essere in possesso di un titolo di studio di istruzione secondaria o terziaria che comprenda materia attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti.
  L'articolo 71 estende a tutti gli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, alcune agevolazioni per lo svolgimento di alcune attività sociali già previste dalla normativa vigente con riferimento all'articolo 32 della legge sulle associazioni di promozione sociale (legge n. 383 del 2000), alla concessione di immobili demaniali culturali a canone agevolato e alle nuove norme sul partenariato pubblico-privato per la valorizzazione dei beni culturali.
  Si dispone, in particolare, che le sedi degli enti del Terzo settore ed i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, a condizione che non siano di tipo produttivo, sono considerate compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste con decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica. Si stabilisce, inoltre, la possibilità di concedere in comodato agli enti del Terzo settore beni mobili ed immobili di proprietà pubblica che risultino non utilizzati per fini istituzionali, nonché un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate per l'uso di beni culturali immobili per l'uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro. Si estende, altresì, agli enti del Terzo settore la possibilità di usufruire, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, di tutte le facilitazioni o agevolazioni previste per i privati, in particolare per quanto attiene all'accesso al credito agevolato, per concorrere al finanziamento di programmi di costruzione, di recupero, di restauro, di adattamento, di adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria manutenzione di strutture o edifici da utilizzare per le destinazioni d'uso omogenee.
  Il Capo IV (articoli 72-76) dispone in tema di risorse finanziarie.
  Ricorda che la legge di delega ha previsto (articolo 9, comma 1, lettera f)) l'istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un fondo destinato a sostenere lo svolgimento di attività di interesse generale attraverso il finanziamento di iniziative e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni comprese. Il presente decreto legislativo deve altresì disciplinarne le modalità di funzionamento e di utilizzo delle Pag. 92risorse, anche attraverso forme di consultazione del Consiglio nazionale del Terzo settore.
  L'articolo 73 disciplina, quindi, le caratteristiche e le funzioni del Fondo per il finanziamento di progetti ed attività di interesse generale nel Terzo settore ed incrementa di 10 milioni di euro annui, a decorrere dall'anno 2017, la dotazione della seconda sezione del Fondo, di carattere non rotativo.
  Viene inoltre stabilito che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali determini annualmente con proprio atto di indirizzo gli obiettivi generali, le aree prioritarie di intervento e le linee di attività finanziabili nei limiti delle risorse disponibili e che, in attuazione di tale atto di indirizzo, le strutture amministrative del Ministero individuino, all'esito delle procedure a tal fine necessarie ai sensi della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, i soggetti attuatori degli interventi finanziabili attraverso le risorse del Fondo.
  Segnala che la procedura indicata non sembra prevedere alcun coinvolgimento del Consiglio nazionale del Terzo settore, come invece previsto dalla legge di delega.
  L'articolo 74 dispone il trasferimento su un apposito capitolo di spesa iscritto nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle risorse finanziarie, pari a circa 22 milioni di euro, attualmente destinate al finanziamento degli interventi in materia di Terzo settore e derivanti dal riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali, relative ad alcune disposizioni di legge specificamente elencate, determinandone contestualmente le finalità e le modalità di impiego.
  Le norme riguardanti gli oneri trasferiti sono: l'articolo 12, comma 2, della legge n. 266 del 1991 (Legge quadro sul volontariato), per un ammontare di 2 milioni di euro, relativo al Fondo per il volontariato; l'articolo 1 della legge n. 438 del 1998 (contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale), per un ammontare di 5,16 milioni di euro, relativo al contributo statale ad associazioni ed enti di promozione sociale; l'articolo 96, comma 1, della legge n. 342 del 2000 (Misure in materia fiscale), per un ammontare di 7,75 milioni di euro, relativo alle risorse per l'acquisto da parte delle associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità sociale, di autoambulanze e di beni strumentali, l'articolo 13 della legge n. 383 del 2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale), per un ammontare di 7,05 milioni di euro, riguardante il Fondo per l'associazionismo, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
  L'articolo prevede, poi, che con uno o più atti di indirizzo del Ministro del lavoro e delle politiche sociali siano determinati annualmente le aree prioritarie di intervento, le linee di attività finanziabili e la destinazione delle risorse sopracitate La relazione illustrativa evidenzia che la nuova disciplina consegue il duplice obiettivo di permettere alla pubbliche amministrazioni di operare un'efficace programmazione, in virtù dell'immediata disponibilità delle risorse finanziarie acquisita per effetto della legge di bilancio e di disporre di una flessibilità nell'allocazione delle risorse medesime verso i fini stabiliti dalla norma primaria.
  Osserva che non appare chiaro il fondamento di questo articolo nella legge delega.
  I successivi articoli da 74 a 76 specificano le finalità al cui soddisfacimento sono destinate le risorse di cui al precedente articolo 73.
  Si limita a segnalare che, per le associazioni di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a) della legge n. 476 del 1987, vale a dire per le cinque associazioni cosiddette «storiche» (Ente nazionale sordi, Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro, Unione italiana ciechi e ipovedenti, Unione nazionale mutilati per servizio, Associazione nazionale mutilati e invalidi civili, tutte persone giuridiche privatizzate) viene mantenuto il finanziamento delle attività istituzionali di promozione e integrazione sociale degli aderenti nella misura indicata all'articolo 1, comma 2, della Pag. 93legge n. 438/1998 con un finanziamento complessivo di 2.580.000 euro (articolo 75, comma 2).
  Il Titolo IX disciplina i titoli di solidarietà degli enti del Terzo settore nonché le altre forme di finanza sociale. La relazione illustrativa richiama in relazione a tale titolo la lettera h) del comma 1 dell'articolo 9 della legge di delega, che prevede l'introduzione di meccanismi volti alla diffusione dei titoli di solidarietà e di altre forme di finanza sociale finalizzate a obiettivi di solidarietà sociale nonché la lettera f), numero 1), che reca la previsione, per le imprese sociali, della possibilità di accedere a forme di raccolta di capitali di rischio tramite portali telematici, in analogia a quanto previsto per le start-up innovative.
  L'articolo 77 prevede che le banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia possano emettere obbligazioni e altri titoli di debito nonché certificati di deposito con l'obiettivo di sostenere le attività istituzionali degli enti del Terzo settore.
  Su tali titoli le banche emittenti non possono applicare le commissioni di collocamento, con l'obbligo di destinare l'intera raccolta effettuata attraverso l'emissione dei titoli agli enti del Terzo settore. Una certa quota della raccolta può essere devoluta a titolo di liberalità agli enti del Terzo settore con corrispondente assegnazione di un credito d'imposta pari al 50 per cento della stessa erogazione liberale.
  Il sostegno mediante liberalità e devoluzione della raccolta in favore degli enti del Terzo settore comporta alcune agevolazioni finanziarie: tra le altre, l'esenzione per gli emittenti dalla contribuzione di vigilanza alla Consob, l'assoggettamento dei proventi dei titoli al medesimo regime fiscale previsto per i titoli di Stato, la disapplicazione delle norme antielusive che comportano la sterilizzazione dalla base di computo dell'aiuto alla crescita economica. I titoli, inoltre, non concorrono alla formazione dell'attivo ereditario soggetto ad imposta di successione e non rilevano ai fini della determinazione dell'imposta di bollo dovuta per le comunicazioni relative ai depositi titoli. Si demanda a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze il compito di fissare le modalità attuative delle norme in esame.
  Con l'articolo 78 si disciplina il regime fiscale del cosiddetto social lending al fine di favorire la raccolta di capitale di rischio assoggettando, per il tramite di una ritenuta a titolo d'imposta, la remunerazione del capitale al medesimo trattamento fiscale previsto per i titoli di Stato. Si specifica, inoltre, che, per i soggetti che non svolgono attività d'impresa, gli importi percepiti attraverso i portali costituiscono redditi di capitale.
  La relazione illustrativa ricorda che il provvedimento della Banca d'Italia, emanato 1'8 novembre 2016, recante disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche, definisce il social lending uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto.
  Al riguardo, osserva che la disposizione in commento non sembra applicarsi solo alle imprese sociali, come previsto dalla legga di delega, ma appare avere una portata fiscale generale e che pertanto appare incongrua la sua collocazione all'interno del codice del Terzo settore.
  Il Titolo X (articoli da 79 a 89) disciplina il regime fiscale degli enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali allo scopo, come affermato nella relazione illustrativa, di operare, una semplificazione ed armonizzazione, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, del quadro legislativo attuale, caratterizzato da un'estrema frammentazione, con una pluralità di disposizioni che si sono stratificate nel tempo.
  Ricorda che la legge di delega per la riforma del Terzo settore ha indicato, in proposito una serie di specifici criteri direttivi: la revisione complessiva della definizione di ente non commerciale (articolo 9, comma 1, lettera a)); la razionalizzazione e semplificazione del regime di Pag. 94deducibilità dal reddito complessivo e detraibilità delle erogazioni liberali (articolo 9, comma 1, lett. b)); la razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati previsti per gli enti del Terzo settore (articolo 9, comma 1, lettera e)); l'introduzione di agevolazioni per favorire il trasferimento di beni patrimoniali a detti enti (articolo 9, comma 1, lettera l)); la revisione dell'attuale disciplina delle ONLUS, con particolare riguardo alla definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse, fatte salve le condizioni di maggior favore previste per le attuali ONLUS «di diritto» (articolo 9, comma 1, lettera m)).
  Il regime fiscale degli enti del Terzo settore, disciplinato dal Titolo X del testo in esame, è basato sulla distinzione tra attività commerciali e non commerciali svolte e, dunque, sulla natura dell'ente. Tale distinzione consente di disciplinare in termini differenti la fiscalità degli enti che svolgono l'attività istituzionale con modalità commerciali rispetto a quelli che non esercitano (od esercitano solo marginalmente) l'attività di impresa, al fine di rendere l'intervento di riforma compatibile con il diritto dell'Unione europea e di superare le problematiche che, nel sistema attuale, derivano dalla sovrapposizione e difficile coesistenza tra un modello generale di imposta sul reddito delle società (IRES, disciplinato dal Titolo II del TUIR) ed altri derogatori (come, ad esempio, quello previsto per le ONLUS dal decreto legislativo n. 460 del 1997).
  Secondo la relazione illustrativa con il nuovo regime fiscale degli enti del Terzo settore si intende, dunque, per un verso, semplificare, attraverso la sostituzione di diversi micro-regimi oggi esistenti e, per l'altro, armonizzare, in modo da creare sistematicità nell'ordinamento e maggiore certezza applicativa, anche salvaguardando le varie possibilità di scelta degli enti al momento della iscrizione nel Registro del Terzo settore.
  Premette in via generale che si tratta di disposizioni assai complesse, che occorrerà approfondire nel dettaglio nel corso dell'esame del provvedimento.
  Il Titolo X si compone di 4 Capi. Il Capo I (articoli 79-83) reca le disposizioni generali. In particolare, l'articolo 79 è volto a individuare le attività svolte dagli enti del Terzo settore che si caratterizzano per essere non commerciali, in rapporto alle modalità con le quali sono gestite da parte dell'ente. Tali enti hanno natura non commerciale se svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di interesse generale, indicate dall'articolo 5 in conformità ai criteri gestionali individuati.
  In via generale, le attività di interesse generale si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiori alla meta’ dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale. L'articolo prevede inoltre disposizioni di dettaglio stabilendo specifici requisiti per i diversi settori di attività, che sarebbe troppo lungo riepilogare in questa sede.
  L'articolo 80 introduce un regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del Terzo settore, vale a dire quegli enti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale (come specificate all'articolo 5 dello schema in esame, cui si rinvia), basato sui coefficienti di redditività.
  Il coefficiente di redditività è una percentuale variabile che si applica al reddito imponibile su cui viene poi calcolata l'imposta. Il nuovo regime è costruito sulla falsariga del regime forfetario degli enti non commerciali, disciplinato dall'articolo 145 del Testo unico delle imposte sul reddito (Tuir). Si segnala al riguardo che ai sensi dell'articolo 89, comma 2, dello schema in commento, tale regime continua ad applicarsi agli enti che non possono ottenere l'iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (formazioni e associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, associazioni di datori di lavoro ed enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti Pag. 95enti) nonché agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e agli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato che non sono iscritti al citato registro ovvero, qualora iscritti, alle attività diverse da quelle previste dall'articolo 5 che vengano da questi ultimi esercitate.
  L'articolo 81 prevede un credito d'imposta per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del Terzo settore non commerciali, che abbiano presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla criminalità organizzata, assegnati ai suddetti enti. In particolare viene riconosciuto un credito d'imposta pari al 65 per cento delle erogazioni liberali in denaro effettuate da persone fisiche, e del 50 per cento se effettuate da soggetti IRES. Il credito d'imposta è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15 per cento del reddito imponibile ed ai soggetti titolari di reddito d'impresa nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui. Esso è ripartito in tre quote annuali di pari importo.
  Fa presente, poi, che l'articolo 82 reca disposizioni relative al trattamento fiscale degli enti del Terzo settore, con l'applicazione di ulteriori benefici non previsti dalle previgenti norme tributarie. Tali agevolazioni si applicano agli enti del Terzo settore, comprese le cooperative sociali. Sono escluse le imprese sociali costituite in forma di società, salve le agevolazioni in materia di imposte di registro, ipotecaria e catastale.
  Tra l'altro, le disposizioni in esame prevedono specifiche forme di esenzione dai tributi immobiliari per gli immobili utilizzati dagli enti del Terzo settore per attività istituzionali, nonché agevolazioni in materia di imposizione indiretta su atti e trasferimenti immobiliari. È inoltre disposta l'esenzione dall'imposta sugli intrattenimenti le attività ricreative svolte dagli enti del Terzo settore in via occasionale o in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.
  Ricorda che l'introduzione di agevolazioni per favorire il trasferimento di beni patrimoniali per gli enti del Terzo settore è prevista dall'articolo 9, comma 1, lettera l), della legge di delega.
  L'articolo 83 introduce una disciplina unitaria per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative sociali. Spetta una detrazione IRPEF pari al 30 per cento degli oneri sostenuti per le erogazioni liberali in danaro o in natura, per un importo complessivo non superiore a 30.000 euro in ciascun periodo di imposta. Essa è incrementata al 35 per cento per le erogazioni a favore delle organizzazioni di volontariato. Analogamente, si prevede una deduzione nei limiti del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato da enti e società.
  Attualmente l'articolo 15, comma 1.1 del Tuir consente di detrarre il 26 per cento delle erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a 30.000 euro annui, a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), delle iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nei Paesi non appartenenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Per le erogazioni a favore delle associazioni di promozione sociale è prevista un'aliquota del 19 per cento (comma 1, lettera i-quater del medesimo articolo 15 del Tuir).
  Ricorda che l'introduzione di misure di razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità dal reddito complessivo e detraibilità delle erogazioni liberali è prevista dall'articolo 9, comma 1, lettera b), della legge di delega.
  All'interno dell'articolo 83 sono previste agevolazioni fiscali anche per le cessioni di derrate alimentari, prodotti farmaceutici ed altri prodotti a favore degli enti pubblici e degli enti del Terzo settore aventi natura non commerciale, nonché per le cessioni dei cd. beni difettati.Pag. 96
  Ritiene, pertanto, che sia utile un approfondimento in relazione al coordinamento di tale disposizione rispetto a quanto previsto dalla legge n. 166 del 2016 di contrasto agli spechi alimentari.
  Il Capo II (articoli 84-86) detta disposizioni fiscali specifiche che interessano le organizzazioni di volontariato e sulle associazioni di promozione sociale.
  L'articolo 84 elenca una serie di ulteriori attività, in aggiunta ai criteri stabiliti dall'articolo 79, che si considerano non commerciali qualora effettuate dalle organizzazioni del volontariato e svolte senza l'impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato. Si tratta di attività che solitamente costituiscono lo strumento per reperire risorse finanziarie necessarie al sostentamento dell'ente, quali vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari, attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni. La norma, inoltre, esenta dall'IRES i redditi degli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato.
  L'articolo 85 disciplina il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell'apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti norme (articolo 148 del TUIR e legge 7 dicembre 2000, n. 383), con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. La norma specifica quali attività, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate non commerciali se svolte dalle associazioni di promozione sociale e quali si considerano comunque commerciali. Si considerano invece commerciali ai fini dell'imposta sui redditi: le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita; le somministrazioni di pasti; le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica; le prestazioni alberghiere, di trasporto e di deposito; le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali nonché quelle effettuate nell'esercizio delle seguenti attività: gestione di spacci aziendali e di mense; organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; gestione di fiere a carattere commerciale; pubblicità commerciale; telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari. La norma contiene un'esenzione dall'IRES per i redditi degli immobili analoga all'articolo precedente.
  L'articolo 86 prevede per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale la possibilità di applicare un regime forfettario, con contabilità semplificata, per le attività commerciali esercitate, a condizione di non superare il limite di ricavi di 130.000 euro nel periodo d'imposta precedente.
  Per comprendere la portata delle innovazioni introdotte con la riforma, segnala che la relazione tecnica indica come effetti fiscali, favorevoli agli enti del Terzo settore e che rappresentano quindi passività per il bilancio dello Stato, un importo complessivo pari a 21 milioni di euro nel 2018, 63,4 nel 2019, 68,7 nel 2020 ed oltre 100 negli anni successivi.
  Il Capo III (articolo 87) introduce una disciplina specifica relativa agli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili per le attività degli enti del Terzo settore. Sono individuate le regole operanti nei confronti degli enti non commerciali del Terzo settore che non applicano il regime forfetario, tenuti a redigere le scritture contabili analitiche per l'attività complessivamente svolta e, inoltre, le scritture contabili riguardanti le attività svolte con modalità commerciali. Per gli enti del Terzo settore non commerciali è previsto l'obbligo di tenere la contabilità separata per l'attività commerciale esercitata. Nel caso di raccolte pubbliche di fondi l'ente deve inserire, all'interno del rendiconto o del bilancio redatto, un rendiconto specifico. Infine, si prevede un'integrazione delle scritture contabili nelle ipotesi in cui l'ente del Terzo settore non commerciale debba assumere la qualifica di ente commerciale.
  Ricorda che la razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati per gli enti del Terzo settore è prevista dall'articolo 9, comma 1, lettera e), della legge di delega.Pag. 97
  Il Capo IV (articoli 88-89) detta le disposizioni transitorie e finali. In particolare l'articolo 88 prevede che una serie di agevolazioni sono possibili ai sensi dell'applicazione delle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) relative agli aiuti «de minimis». Il successivo articolo 89, disciplinando alcune agevolazioni fiscali e molteplici previsioni di coordinamento, ai fini della «intersezione» della disciplina del codice del Terzo settore con la normativa vigente, prevede, tra l'altro, una clausola di non applicazione agli enti del Terzo settore (diversi dalle imprese sociali) di un novero di disposizioni del Testo unico delle imposte sui redditi e del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni nonché di tutta la legge n. 398 del 1991, recante disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive dilettantistiche; una clausola generale, secondo cui le disposizioni vigenti in materia di ONLUS sono (se compatibili con il presente codice) da intendersi riferite agli enti non commerciali del Terzo settore; alcune novelle di coordinamento della legge n. 112 del 2016 sul cosiddetto «Dopo di noi»; disposizioni volte ad evitare la duplicazione di benefici fiscali previsti da altre normative.
  Il Titolo XI (articoli 90-97), disciplina la materia dei controlli e del coordinamento.
  L'articolo 90 assegna all'Ufficio del registro unico nazionale del Terzo settore il compito di esercitare controlli e poteri sulle fondazioni del Terzo settore. I controlli e poteri in oggetto sono indicati dagli articoli 25, 26 e 28 del codice civile, che regolano il controllo pubblico sull'amministrazione delle fondazioni.
  L'articolo 91 dispone in tema di sanzioni a carico dei rappresentanti legali e dei componenti degli organi amministrativi relativi a fattispecie quali la distribuzione, anche indiretta, di utili e avanzi di gestione, fondi e riserve, la devoluzione del patrimonio residuo in assenza o in contrasto con il parere dell'Ufficio del Registro unico nazionale, l'utilizzo illegittimo dell'indicazione di ente del Terzo settore, di associazione di promozione sociale o di organizzazione di volontariato.
  L'articolo 92 demanda al Ministero del lavoro e delle politiche sociali lo svolgimento di una serie di attività di monitoraggio, vigilanza e controllo, miranti a garantire l'uniforme applicazione della disciplina degli enti del Terzo Settore e l'effettuazione dei relativi controlli, identificandone e disciplinandone il relativo oggetto.
  L'articolo 93 identifica e disciplina l'oggetto dell'attività di controllo volti ad accertare: il perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale; la sussistenza e permanenza dei requisiti occorrenti per l'iscrizione al registro unico nazionale nonché l'adempimento degli obblighi che ne derivano; il diritto di avvalersi dei benefici fiscali e della quota del 5 per mille legati all'iscrizione nel registro; il corretto impiego delle risorse pubbliche, finanziarie e strumentali. Si individua nel ufficio del registro unico nazionale del Terzo settore l'organismo competente ad esercitare le attività di controllo sopra enumerate, nei confronti degli enti del Terzo settore che hanno sede legale sul proprio territorio.
  Rileva, poi, che l'articolo 94 disciplina i controlli di natura fiscale spettanti all'Amministrazione finanziaria nell'esercizio autonomo delle attività di controllo. Essi concernono il rispetto delle disposizioni contenute negli articoli 8 (Destinazione del patrimonio ed assenza di scopo di lucro), 9 (Devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento), 13 (Scritture contabili e bilancio), 15 (Libri sociali obbligatori), 23 (Procedura di ammissione e carattere aperto delle associazioni) e 24 (Assemblea) e il possesso dei requisiti per fruire delle agevolazioni fiscali in favore dei soggetti iscritti al Registro unico nazionale del Terzo settore, l'Amministrazione finanziaria può disconoscere la spettanza del regime fiscale di favore derivante dall'iscrizione al Registro unico, qualora riscontrasse violazioni.
  L'articolo 95 disciplina la funzione di vigilanza esercitata dal Ministero del lavoro Pag. 98e delle politiche sociali finalizzata ad assicurare uniformità tra i registri regionali all'interno del Registro unico nazionale nonché la corretta osservanza delle disposizioni del Codice del Terzo settore, dettando in proposito gli specifici adempimenti in capo alle regioni e all'organismo nazionale di controllo di cui all'articolo 64. Non è chiaro se la vigilanza del ministero si attua anche nei confronti delle imprese sociali comprese le cooperative sociali.
  L'articolo 96 prevede l'adozione di un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'interno, per attuare alcune delle prescrizioni in materia di vigilanza, di controlli e di monitoraggio contenute nel presente schema di decreto legislativo.
  L'articolo 97 detta disposizioni in tema di coordinamento delle politiche di governo, prevedendo l'istituzione di una Cabina di regìa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con il compito di coordinare le politiche di governo e le azioni di promozione e di indirizzo delle attività degli enti del Terzo settore, in raccordo con i ministeri competenti. In questo modo, viene attuata una previsione formulata nella lettera q) del comma 1 dell'articolo 4 della legge di delega.
  Il Titolo XII (articoli 98-100) detta le disposizioni transitorie e finali.
  L'articolo 98 introduce nel codice civile nuovo articolo, numerato 42-bis, che disciplina trasformazioni, fusioni e scissioni concernenti il Terzo settore, che dispone, tra l'altro, che le associazioni e le fondazioni possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni purché esse non siano espressamente escluso dai rispettivi atti costitutivi o statuti.
  L'articolo 99 novella il decreto legislativo n. 178 del 2012 e la legge n. 125 del 2014 in relazione alla Croce Rossa italiana, prevedendo che l'Associazione Croce Rossa Italiana, e i relativi comitati territoriali, vengano iscritti nella sezione del registro unico nazionale del Terzo settore dedicata alle organizzazioni di volontariato, e non nella sezione dedicata alle associazioni di promozione sociale. È inoltre modificata la legge n. 125 del 2014, dove sono delineati i tratti fondamentali dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, inserendo gli enti del terzo Settore non commerciali nell'elenco dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, al posto delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
  Ai sensi dell'articolo 100, nelle more dell'adozione dei decreti che recheranno linee guida e modulistica concernenti rispettivamente la raccolta dei fondi, le scritture contabili e di bilancio ed i bilanci sociali degli enti del Terzo settore, si applicano le linee guida già esistenti elaborate – a suo tempo – dall'Agenzia del Terzo settore.
  L'articolo 101, stabilisce che ogni riferimento fatto dallo schema di decreto legislativo in esame al Consiglio Nazionale del Terzo settore abbia efficacia a partire dal momento della nomina dei suoi componenti. Analogamente, tutti i riferimenti al Registro unico nazionale del Terzo settore presenti all'interno dello schema di decreto legislativo in esame diventeranno efficaci dal momento della operatività del Registro stesso. Nelle more dell'istituzione di tale Registro, le reti associative e gli enti del Terzo settore potranno soddisfare il requisito dell'iscrizione mediante iscrizione ad uno dei registri attualmente previsti dalle normative di settore.
  Inoltre, in sede di prima applicazione della nuova normativa e fino al 31 dicembre 2017, sono accreditati come Centri di servizio per il volontariato gli enti che sono già considerati tali in base al decreto ministeriale 8 ottobre 1997. Successivamente, si faranno nuove valutazioni ai fini dell'accreditamento come CSV, in linea con le disposizioni del presente Codice. In caso di valutazione negativa, all'ente precedentemente considerato CSV ma non più tale secondo i nuovi criteri si applicheranno gli effetti finanziari e patrimoniali indicati dall'articolo 63, commi 4 e 5, del Codice stesso.
  Per quanto riguarda le disposizioni recate dagli articoli 77 (titoli di solidarietà) e 80 (determinazione forfetaria del reddito Pag. 99d'impresa), la loro efficacia è subordinata ad autorizzazione da parte della Commissione europea.
  L'articolo 102 dispone numerose abrogazioni. Esse sono diversamente modulate, quanto alla decorrenza. Una parte di esse decorrono dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto legislativo sulla Gazzetta ufficiale, a partire dall'abrogazione per intero della legge n. 266 del 1991 – ossia la legge-quadro sul volontariato – e della legge n. 383 del 2000, recante la disciplina delle associazioni di promozione sociale. Peraltro, alcune puntuali disposizioni di queste medesime leggi hanno decorrenza differita, secondo la previsione dei successivi commi.
  Altre abrogazioni decorrono, rispettivamente, dal periodo di imposta successivo all'autorizzazione della Commissione europea e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore, dalla data di efficacia di un futuro decreto del Ministro dell'economia e delle finanze previsto dall'articolo 103 e dalla data di operatività del Registro unico nazionale per il Terzo settore.
  L'articolo 103 riguarda la copertura finanziaria dell'intero schema, quantificando, nel loro complesso una serie di oneri derivanti dall'attuazione di una serie di articoli, espressamente indicati, dell'Atto del Governo in oggetto.
  Gli articoli elencati sono i seguenti: 53 (sul funzionamento del Registro unico nazionale del Terzo settore), 62 (sul finanziamento dei Centri di servizio per il volontariato), 72 (sul fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel Terzo settore), 77 (sui titoli di solidarietà), 79 (in materia di imposte sui redditi), 80 (sul regime forfetario degli enti del Terzo settore non commerciali), 81 (sul credito d'imposta denominato social bonus), 82 (riguardante imposte indirette e tributi locali), 83 (concernente detrazioni e deduzioni per erogazioni liberali), 84 (sul regime fiscale delle organizzazioni di volontariato), 85 (sul regime fiscale delle associazioni di promozione sociale), 86 (sul regime forfetario per le attività commerciali svolte dalle associazioni di promozione sociale e dalle organizzazioni di volontariato) e 101 (recante un insieme di norme transitorie che interessano enti iscritti nei registri ONLUS, Organizzazioni di volontariato, Associazioni di promozione sociale, Imprese sociali, reti associative, comitati di gestione, Cabina di regia).
  Gli oneri sono pari a 10 milioni di euro per l'anno 2017, poi a 60,7 milioni di euro per l'anno 2018; 98,1 milioni per l'anno 2019; 103,4 milioni per l'anno 2020; 166,9 milioni per l'anno 2021. Indi si attesteranno a 135,3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022.
  Fa presente, altresì, che per gli oneri connessi all'attuazione delle disposizioni degli articoli di cui sopra, si provvederà mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale, a suo tempo recata dall'articolo 1, comma 187, della legge di stabilità 2015.
  Segnala, infine, che, oltre ai diversi punti meritevoli di attenzione evidenziati nella seduta odierna, altri contributi rilevanti potranno provenire dalle audizioni, in merito alle quali i gruppi hanno convenuto nella precedente riunione dell'Ufficio di presidenza, e dai deputati, nel corso della discussione.

  Dalila NESCI (M5S), nel sottolineare che, vista la mole e la complessità dello schema di decreto in esame, la Commissione avrà bisogno di un tempo congruo per esaminarlo, chiede al rappresentante del Governo se vi sia la possibilità di una proroga del termine per l'espressione del parere.

  Il sottosegretario Luigi BOBBA, ricordando che il termine previsto per l'esercizio delle delega è il prossimo 3 luglio e che ci sono dei tempi tecnici per il recepimento dei rilievi parlamentari e per l'approvazione dei decreti in sede di Consiglio dei Ministri, ritiene assai problematico uno spostamento del termine per l'espressione del parere parlamentare.

Pag. 100

  Dalila NESCI (M5S), nel rilevare che il Governo avrebbe potuto trasmettere gli schemi di decreto alle Camere in tempi tali da non trovarsi a ridosso della scadenza della delega, invita la relatrice e la maggioranza ad assumere un atteggiamento aperto rispetto alle osservazioni che il suo gruppo potrà formulare.

  Mario MARAZZITI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale.
Atto n. 418.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto all'ordine del giorno.

  Mario MARAZZITI, presidente, ricorda che la Commissione avvia oggi l'esame dello schema di decreto legislativo recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale, sul quale dovrà esprimere il prescritto parere entro il 21 giugno 2017.

  Paolo BENI (PD), relatore, fa presente che lo schema di decreto legislativo in esame, composto da 21 articoli, è attuativo della delega in materia di revisione della disciplina dell'impresa sociale, conferita al Governo all'articolo, 1 comma 2, lettera c), della legge 6 giugno 2016, n. 106, nel rispetto dei principi e criteri generali di cui agli articoli 6, 7, comma 1, e 9, comma 1, lettera f), della medesima legge. Contemporaneamente, esso provvede ad abrogare il decreto legislativo n. 155 del 2006, recante «Disciplina dell'impresa sociale».
  Nell'ambito della più generale opera di riordino legislativo prevista dalla legge n. 106 del 2016, recante «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale», una particolare attenzione viene infatti riservata all'impresa sociale, con l'intento di promuovere e sostenere lo sviluppo di questa tipologia di ente del Terzo settore finora non molto diffusa, probabilmente anche perché la normativa non prevedeva per essa incentivi o agevolazioni particolari. Il presente schema di decreto, pur ricalcando la struttura del decreto legislativo n. 155 del 2006, che viene abrogato, vi apporta sostanziali modifiche, in particolare l'ampliamento dei settori di attività delle imprese sociali, una più puntuale precisazione degli aspetti relativi alla governance, l'introduzione di maggiori strumenti di controllo e infine di agevolazioni fiscali.
  Rileva che l'articolo 1 contiene la definizione di impresa sociale quale organizzazione privata che esercita in via stabile e principale un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, con modalità di gestione responsabili e trasparenti e col più ampio coinvolgimento di lavoratori, utenti e altri soggetti interessati alle sue attività. Tale definizione, coincidente nelle finalità con quella indicata all'articolo 1, comma 1, della legge n. 106 del 2016, colloca l'impresa sociale a pieno titolo nel perimetro degli enti del Terzo settore, a prescindere dalla sua natura giuridica. L'impresa sociale si configura infatti non già come uno status soggettivo di un particolare tipo giuridico, bensì come una qualifica normativa che tutti i tipi di enti giuridici, sia quelli di cui Libro I sia quelli costituiti nelle forme del Libro V del codice civile, possono acquisire se presentano i requisiti essenziali contemplati nel presente decreto, ed operano in conformità alle sue disposizioni.
  Il comma 2 esclude dalla possibilità di acquisire la qualifica di impresa sociale le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni che nei fini statutari limitino l'erogazione di beni e servizi in favore dei soli soci. Una disciplina specifica è dettata al comma 3 per gli enti ecclesiastici i quali, qualora svolgano una delle attività di cui all'articolo 2, possono assumere Pag. 101la qualifica di impresa sociale limitatamente a quel ramo di attività, ma a condizione che recepiscano con atto pubblico le norme del presente decreto e che per quel ramo di attività costituiscano un patrimonio dedicato e adottino una contabilità separata. Il successivo comma 4 dispone che le cooperative sociali e i loro consorzi, di cui alla legge n. 381 del 1991, acquisiscano di diritto la qualifica di imprese sociali, ma chiarisce che per esse il presente decreto si applica esclusivamente per le disposizioni di cui agli articoli 14, 15, 16 e 18. Il comma 5, infine, precisa che le fonti di disciplina delle imprese sociali sono il decreto stesso in esame, l'emanando codice del Terzo settore, il codice civile, nonché le norme relative alla forma giuridica in cui l'impresa sociale è costituita.
  L'articolo 2 contiene l'elencazione delle attività di interesse generale che consentono di acquisire la qualifica di impresa sociale se esercitate in via stabile e principale e secondo le modalità previste dallo schema di decreto. L'elenco delle attività ripropone tutte quelle contenute nel suddetto decreto legislativo n. 155 del 2006, con alcune ridefinizioni che recepiscono novelle normative succedutisi nel tempo, e con l'aggiunta di cinque nuove tipologie: il commercio equo e solidale, l'alloggio sociale, il microcredito, l'agricoltura sociale, l'organizzazione e gestione di attività sportivo dilettantistiche. Al comma 2, si prevede inoltre che tale elenco di attività possa essere periodicamente aggiornato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, individuando così uno strumento normativo più flessibile rispetto alla fonte di rango primario, al fine di adeguare con maggiore rapidità il quadro normativo all'evoluzione del contesto socio-economico.
  Al comma 3 si chiarisce che le attività di interesse generale, per potersi considerare svolte in via stabile e principale, devono produrre ricavi superiori al 70 per cento dei ricavi complessivi dell'impresa sociale. Ciò comporta che l'impresa sociale possa svolgere anche attività diverse da quelle indicate al comma 1, purché i relativi ricavi non superino il 30 per cento dei ricavi complessivi. Il comma 4 stabilisce inoltre che viene considerata comunque d'interesse generale l'attività svolta dall'impresa che, anche operando in settori diversi da quelli elencati al comma 1, cura l'inserimento lavorativo di lavoratori molto svantaggiati, persone con disabilità, beneficiari di protezione internazionale, persone senza fissa dimora in condizioni di povertà. Il successivo comma 5 fissa al 30 per cento del totale dei lavoratori dipendenti la percentuale minima di soggetti deboli, che devono essere occupati alle dipendenze dell'impresa sociale per i fini di cui al comma 4.
  Fa presente, poi, che l'articolo 3 sancisce il vincolo di destinare utili e avanzi di gestione dell'impresa sociale allo svolgimento dell'attività statutaria o all'incremento del patrimonio. È pertanto vietata la distribuzione di utili o avanzi di gestione, anche in forma indiretta, ed è consentito solo il rimborso del capitale effettivamente versato, eventualmente rivalutato nei limiti che vedremo più avanti. A rafforzamento di tale vincolo si specifica che si considerano distribuzione indiretta di utili anche le risorse distribuite ad amministratori e lavoratori tramite compensi superiori a quelli previsti per qualifiche simili o la remunerazione di strumenti finanziari, o l'acquisto di beni o servizi per corrispettivi superiori al loro valore normale. Tuttavia, al fine di favorire nuovi investimenti nell'impresa sociale, il comma 3 prevede la possibilità – per le imprese sociali costituite in forma di società – di remunerare in misura limitata il capitale conferito dai soci, destinando una quota fino al 49 per cento dei propri utili o avanzi di gestione, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, alla distribuzione di dividendi, comunque nel medesimo limite massimo previsto dall'articolo 2514 del codice civile per le cooperative a mutualità prevalente. Nei medesimi limiti tali utili possono anche essere destinati ad aumento gratuito del capitale sociale o ad Pag. 102erogazioni in favore di altri enti del Terzo settore finalizzate alla promozione di specifici progetti di utilità sociale.
  L'articolo 4 ripropone le norme contenute nel decreto legislativo n. 155 del 2006, in materia di disciplina dei gruppi di imprese sociali, per i quali si applica la disciplina codicistica in materia di direzione e coordinamento di società e di gruppo cooperativo paritetico, al fine di preservare i diritti di coloro che subiscono le decisioni del gruppo. Al gruppo è esteso l'obbligo di redazione e pubblicazione del bilancio sociale. Viene inoltre ribadito il divieto per le pubbliche amministrazioni e gli enti con finalità lucrative di detenere la direzione, il coordinamento o il controllo di un'impresa sociale.
  L'articolo 5 dispone che l'atto costitutivo dell'impresa sociale sia redatto in forma di atto pubblico e che debba contenere, oltre a quanto previsto dalla tipologia giuridica dell'ente che assume la qualifica di impresa sociale, l'oggetto sociale con riferimento ad una o più attività di cui all'articolo 2, e il vincolo di assenza di lucro nei termini indicati dall'articolo 3. L'atto deve essere depositato presso l'apposita sezione del registro delle imprese, alla quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha accesso per l'esercizio delle funzioni di monitoraggio e controllo. Gli enti ecclesiastici sono tenuti al deposito del solo regolamento. È infine previsto un decreto ministeriale che individui gli atti che devono essere depositati e le procedure per il relativo deposito.
  L'articolo 6 stabilisce l'obbligo, con l'eccezione degli enti ecclesiastici, di utilizzare l'indicazione «impresa sociale» nella denominazione dell'ente, nonché il divieto del suo utilizzo improprio da parte di soggetti diversi.
  L'articolo 7 contiene la disciplina delle cariche sociali, per le quali l'atto costitutivo deve prevedere specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, oltre ad alcuni vincoli tesi a garantire un forte collegamento fra la base sociale e la gestione dell'impresa. Infatti degli organi sociali potranno far parte, se previsto dall'atto costitutivo, anche soggetti esterni all'impresa, ma persone eventualmente nominate da pubbliche amministrazioni e da enti con scopo di lucro, non potranno esercitare il controllo dell'impresa, e in ogni caso la maggioranza dell'organo di amministrazione dovrà essere espressione dell'assemblea dei soci.
  Osserva che l'articolo 8 prevede che le modalità di decisione sulla ammissione ed esclusione dei soci siano regolate dagli atti costitutivi o dagli statuti secondo principi di non discriminazione e che la decisione sia demandata in ultima istanza comunque all'organo assembleare, compatibilmente con la natura giuridica dell'ente.
  L'articolo 9 riguarda l'obbligo di tenuta delle scritture contabili, individuate nel libro giornale e nel libro degli inventari, nonché l'obbligo di redazione e pubblicizzazione del bilancio d'esercizio, a seconda dei casi ai sensi degli articoli 2423 e seguenti, 2435-bis o 2435-ter del codice civile. L'impresa sociale è tenuta a depositare e pubblicare sul proprio sito internet il bilancio sociale, da redigersi in ossequio a specifiche linee guida da adottarsi con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sentito il Consiglio nazionale del Terzo settore, anche ai fini della valutazione dell'impatto sociale dell'attività svolta.
  L'articolo 10, relativo agli organi di controllo interno, ne rafforza il sistema rispetto alla disciplina vigente. Viene infatti eliminata la possibilità di non avere il collegio sindacale al di sotto delle soglie previste dall'articolo 2435-bis del codice civile, e viene stabilito per tutte le imprese sociali l'obbligo di nominare uno o più sindaci iscritti all'albo dei revisori. Inoltre, in aggiunta ai poteri e doveri dell'organo di controllo interno stabiliti dal codice civile, i sindaci dell'impresa sociale dovranno vigilare anche sull'osservanza delle finalità sociali dell'impresa e sulla conformità del bilancio sociale alle linee guida stabilite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il superamento delle soglie dimensionali fissate dall'articolo 2435-bis del codice civile continuerà a rilevare Pag. 103invece ai fini dell'ulteriore obbligo di sottoporre l'impresa sociale al controllo contabile da parte dei revisori legali.
  L'articolo 11 riguarda il coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti dell'impresa sociale. Su questa materia, il provvedimento in esame opera modifiche sostanziali rispetto alla normativa vigente, anche recependo la direttiva 2001/86/CE in materia di responsabilità sociale delle imprese. Statuti e regolamenti aziendali dovranno prevedere adeguate forme di coinvolgimento per consentire a soci, lavoratori e utenti di influire sulle decisioni dell'impresa, con modalità diverse a seconda del tipo di attività e della dimensione dell'impresa, sulla base di apposite linee guida da emanarsi da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Lo statuto dovrà comunque prevedere le modalità di partecipazione dei lavoratori all'assemblea dei soci e, nelle aziende che superano due dei limiti di cui all'articolo 2435-bis del codice civile, la nomina di un rappresentante dei lavoratori nell'organo di amministrazione e in quello di controllo.
  Rileva, poi, che le norme di dell'articolo 11 non si applicano alle cooperative a mutualità prevalente e agli enti ecclesiastici.
  L'articolo 12 riguarda i casi di trasformazione, fusione, scissione, cessione d'azienda di imprese sociali, prevedendo che tali atti debbano essere realizzati in modo da preservare l'assenza dello scopo di lucro, il perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e i vincoli di destinazione del patrimonio, secondo le modalità previste da un apposito decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Tali atti devono essere preventivamente notificati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per essere poi valutati ed autorizzati entro 90 giorni dalla notificazione. In caso di scioglimento volontario dell'ente o di perdita volontaria della qualifica di impresa sociale, il patrimonio residuo potrà essere devoluto solo in favore di un altro ente del Terzo settore, ovvero del Fondo per lo sviluppo delle imprese sociali, salvo quanto previsto dalle norme specifiche in tema di società cooperative.
  L'articolo 13 prevede che il trattamento economico e normativo dei lavoratori dell'impresa sociale non sia inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali e fissa nella misura di 1 a 8 il divario salariale massimo tra i lavoratori di una stessa impresa sociale. Inoltre, nell'impresa sociale sarà consentito impiegare volontari, ma il loro numero non potrà superare quello dei lavoratori dipendenti. I volontari dovranno essere annotati in un apposito registro e coperti da idonea assicurazione contro gli infortuni.
  L'articolo 14 dispone che, in caso di insolvenza dell'impresa sociale, si proceda alla liquidazione coatta amministrativa, quale procedura concorsuale che la legge fallimentare destina a particolari categorie di enti a notevole rilevanza pubblica in ragione delle finalità e degli interessi che li caratterizzano e perciò soggetti al controllo e alla vigilanza dell'autorità pubblica. Al termine della procedura di liquidazione, l'eventuale patrimonio residuo è devoluto ai sensi del precedente articolo 12.
  L'articolo 15 attribuisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con altre amministrazioni pubbliche, il Consiglio nazionale del Terzo settore e le parti sociali, il compito di esercitare attività di monitoraggio e ricerca. I poteri di controllo sulle imprese sociali, finalizzati a verificare il rispetto delle disposizioni del presente decreto, sono attribuiti, eccetto che per le società cooperative per le quali l'autorità vigilante è il Ministero dello sviluppo economico, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Le relative funzioni ispettive sono demandate all'Ispettorato del lavoro ma possono anche essere delegate alle associazioni di rappresentanza degli enti cooperativi di cui al decreto legislativo n. 220 del 2002 e ad altri enti associativi tra imprese sociali, a cui aderiscano almeno 2.000 imprese sociali in almeno cinque regioni diverse. Con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, vengono definiti criteri e Pag. 104modalità dell'attività ispettiva, a cui le imprese sociali sono sottoposte almeno una volta l'anno. La disposizione riprende quindi la previsione già contenuto nel citato decreto legislativo n. 220 in tema di vigilanza sugli enti cooperativi, estendendola a tutte le imprese sociali in coerenza col principio di autocontrollo degli enti del Terzo settore, contenuto nell'articolo 7 comma 2 della legge delega. In caso di violazioni accertate è previsto un meccanismo sanzionatorio ispirato a criteri di gradualità e proporzionalità.
  Fa presente, che in caso di irregolarità non sanabili, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali può revocare la qualifica di impresa sociale, con conseguente liquidazione e devoluzione del patrimonio residuo al Fondo per lo sviluppo delle imprese sociali istituito dall'ente associativo cui l'impresa aderisce, o in mancanza, dalla Fondazione Italia sociale.
  L'articolo 16 stabilisce che le imprese sociali possono destinare una quota non superiore al 3 per cento dei loro utili o avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, a fondi da costituirsi da parte degli enti associativi delle imprese sociali e dalle associazioni nazionali di rappresentanza degli enti cooperativi riconosciuti dal Ministero dello sviluppo economico, o dalla Fondazione Italia sociale, specificamente ed esclusivamente destinati alla promozione e allo sviluppo delle imprese sociali. Sottolinea l'opzionalità del versamento, a differenza dell'obbligatorietà prevista per gli enti cooperativi. Tali fondi sono alimentati, oltre che dai versamenti volontari, anche dalla devoluzione del patrimonio residuo in caso di scioglimento o conseguente alla perdita della qualifica di impresa sociale.
  L'articolo 17 contiene alcune disposizioni transitorie tra cui la possibilità, per le cooperative che assumono la qualifica di impresa sociale per svolgere l'attività di alloggio sociale, di iscriversi all'albo delle società cooperative edilizie di abitazione e loro consorzi. Viene inoltre fissato un termine di 12 mesi entro il quale le imprese sociali già costituite alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame devono adeguarsi alle disposizioni in esso contenute.
  L'articolo 18 contiene le misure di sostegno e di agevolazione fiscale volte alla promozione dello sviluppo dell'impresa sociale. Anzitutto gli utili o avanzi di gestione delle imprese sociali non costituiscono reddito imponibile ai fini delle imposte dirette, purché siano accantonati a riserva indivisibile e poi effettivamente destinati (entro i due esercizi successivi a quello in cui vengono conseguiti) allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio, analogamente a quanto già previsto per le cooperative sociali di cui alla legge n. 381 del 1991 e per i consorzi tra piccole e medie imprese di cui alla legge n. 240 del 1981. Gli utili potranno essere distribuiti ai soci sotto forma di aumento gratuito del capitale sociale nei soli limiti previsti dall'articolo 3, comma 3 (interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo, rispetto al capitale effettivamente versato). È fatto espresso divieto all'impresa sociale ogni altra forma anche indiretta di distribuzione degli utili o avanzi di gestione. Della medesima esclusione ai fini delle imposte dirette godranno anche i proventi conseguiti con attività diverse da quelle di interesse generale, svolte entro il limite del 30 per cento dei ricavi complessivi, a patto che l'impresa proceda a reinvestirli nelle modalità sopra specificate.
  L'articolo 18 contiene poi una serie di agevolazioni fiscali volte a favorire gli investimenti di capitale nelle imprese sociali, in coerenza con la previsione dell'articolo 9, comma 1, lettera f), della legge di delega. In particolare, le persone fisiche potranno portare in detrazione d'imposta Irpef il 30 per cento delle somme investite nel capitale sociale di una o più imprese sociali. Tale detrazione potrà essere esercitata entro il terzo periodo d'imposta successivo a quello in cui è eseguito l'investimento e nel limite massimo di 1.000.000 di euro per ogni anno. Analoga agevolazione fiscale è prevista anche per gli investimenti effettuati da società, ma in questo caso di tratta di una deduzione Pag. 105dalla base imponibile Ires pari al 30 per cento del capitale investito, fruibile sempre per tre anni con un importo massimo deducibile di euro 1.800.000,00 per ogni periodo di imposta. Sia per le persone fisiche che per le società l'investimento dovrà essere integralmente mantenuto per almeno tre anni, pena la decadenza dal beneficio.
  Inoltre, in analogia con le start-up e PMI innovative, è previsto che alle imprese sociali non si applichino le norme in materia di società di comodo e di società in perdita sistematica. Alle imprese sociali non si applicheranno gli studi di settore e i parametri e gli indici sintetici di affidabilità. Infine, si prevede la possibilità per le imprese sociali di accedere alla raccolta di capitali di rischio tramite portali telematici regolati dal decreto legislativo n. 58 del 1998. Vale la pena sottolineare che le disposizioni fiscali di cui sopra, che dispensano le imprese sociali da norme di carattere antielusivo, non costituiscono aiuti di stato poiché sono motivati da evidenti profili di simmetria fiscale tra divieto di distribuire utili e non imponibilità degli stessi. L'efficacia di tali norme è stata comunque prudenzialmente subordinata alla autorizzazione della Commissione europea, richiesta a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  L'articolo 19 prevede l'abrogazione della previgente disciplina in materia di impresa sociale, contenuta nel decreto legislativo 24 marzo 2006 n. 155. L'articolo 20 individua la copertura finanziaria delle disposizioni aventi un effetto di spesa (segnatamente, l'articolo 18 per 5,42 milioni di euro per l'anno 2018 e per 3,1 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019) imputandola alla corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 187, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che prevede risorse per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale pari a 190 milioni di euro annui a regime dall'anno 2017. L'articolo 21 reca la norma sull'entrata in vigore del decreto.
  In conclusione, sottolinea come lo schema di decreto appaia nel suo complesso coerente con i principi ed i criteri generali di delega di cui all'articolo 6 della legge n. 106 del 2016, tenuto conto anche di quanto previsto agli articoli 2, 4 e 9 della medesima legge. Sottopone tuttavia all'attenzione alcuni punti del provvedimento meritevoli di approfondimento ed eventualmente di precisazioni o modifiche. Fa riferimento, in particolare, ai primi due articoli, di fondamentale importanza perché definiscono l'impresa sociale e ne precisano i campi di attività.
  All'articolo 1 comma 2, in relazione agli enti che non possono assumere la qualifica di impresa sociale non si fa alcun riferimento alle imprese individuali o alle società unipersonali, dal che si desume che anche questo tipo di enti giuridici possa assumere la qualifica di impresa sociale. Personalmente nutre qualche dubbio sulla coerenza di tale disposizione con la vocazione sociale e solidaristica di un istituto (l'ente di Terzo settore, in generale, l'impresa sociale, in particolare) che meglio si presta alla dimensione di una iniziativa collettiva.
  Al successivo comma 3 dell'articolo 1 si prevede, solo per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, la possibilità, con opportuni requisiti e nel rispetto di specifici vincoli, di accedere alla qualifica di impresa sociale parzialmente per ramo di attività separata. Ritiene lecito chiedersi se tale possibilità non sia opportuno estenderla anche ad altre forme giuridiche del Terzo settore, fornendo così ulteriore stimolo e incentivo allo sviluppo di nuove imprese sociali. Ovviamente, tale ipotesi richiederebbe un intervento di coordinamento col vincolo di esclusività previsto dallo schema del decreto relativo al Codice del Terzo settore.
  Sempre all'articolo 1, comma 4, si dispone che per le cooperative sociali di cui alla legge n. 381 del 1991, che acquisiscano di diritto la qualifica di imprese sociali, si applichino solo alcuni articoli Pag. 106del presente decreto (quelli su procedure concorsuali, monitoraggio e controllo, Fondo per lo sviluppo e agevolazioni fiscali) rimanendo valide per il resto le specifiche norme vigenti. Ciò comporta che viene confermata la limitazione delle attività delle cooperative sociali ai quattro settori indicati dalla predetta legge, mentre col presente decreto viene ulteriormente ampliato l'elenco delle possibili attività delle imprese sociali, ivi comprese quelle tipiche delle cooperative sociali. Questo determina fra imprese sociali e cooperative sociali una disparità che sembra contraddire la volontà del legislatore di equiparare tali tipologie di enti, peraltro chiaramente espressa nel criterio di delega contenuto all'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge n. 106 del 2016. Parrebbe pertanto ragionevole, e coerente con la norma primaria di delega, superare questo squilibrio ampliando le attività previste dalla legge n. 381 del 1991 per le cooperative sociali di tipo A, al fine di ricomprendervi le attività di interesse generale e di utilità sociale indicate all'articolo 2 del presente decreto. In tal caso, ovviamente, le cooperative sociali non dovrebbero poter usufruire dell'aliquota iva agevolata per tali attività.
  Con riferimento all'elenco di attività indicato all'articolo 2, comma 1, fa peraltro notare che l'opera di individuazione delle attività di interesse generale che l'articolo 4, comma 1, lettera b), della legge delega demandava al legislatore delegato, ad oggi, sulla base degli schemi di decreto disponibili, produrrebbe tre diversi elenchi di attività: quello all'articolo 5 dello schema di decreto legislativo sul Codice del Terzo settore, quello all'articolo 2 del presente schema decreto legislativo e quello all'articolo 1 della legge n. 381 del 1991.
  Sempre all'articolo 2 comma 4, fa notare che, in tema di inserimento di lavoratori svantaggiati, la formulazione adottata nello schema di decreto descrive una platea più ampia di soggetti svantaggiati rispetto a quella individuata per le cooperative sociali di tipo B, tenendo conto delle nuove forme di esclusione sociale e in particolare introducendo la nozione di lavoratori molto svantaggiati come individuati nell'articolo 2, numero 99) del regolamento (UE) n. 651/2014. Ricorda peraltro che l'inserimento di soggetti svantaggiati nelle cooperative sociali di tipo B comporta agevolazioni contributive che non sono previste per le imprese sociali.
  Sottolinea comunque che, oltre ad equiparare le attività delle cooperative sociali a quelle dell'impresa sociale, si dovrebbero estendere alle cooperative sociali anche alcuni vincoli che in base all'attuale schema del decreto, gravano sulle imprese sociali ma non sulle cooperative sociali, come ad esempio l'obbligo del bilancio sociale di cui all'articolo 9, le norme sul coinvolgimento dei lavoratori di cui all'articolo 11 e il limite massimo di 1 a 8 nelle differenze retributive di cui all'articolo 13.
  Infine, fa rilevare che all'articolo 15, comma 3, si prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali possa avvalersi nell'esercizio dell'attività ispettiva non solo delle associazioni di cui al decreto legislativo n. 220 del 2002, ma anche di altri enti associativi riconosciuti, a cui aderiscano almeno 2.000 imprese sociali iscritte nel registro delle imprese di almeno cinque diverse regioni. Tale norma, certamente positiva, appare tuttavia eccessivamente restrittiva. Abbassare il requisito del numero di imprese aderenti potrebbe favorire l'impegno in tal senso anche di altre reti associative di enti del Terzo settore creando le condizioni per lo sviluppo di nuove imprese sociali.

  Mario MARAZZITI, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.35.