CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 24 giugno 2014
259.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e II)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

  Martedì 24 giugno 2014. — Presidenza del vicepresidente della I Commissione Roberta AGOSTINI. – Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 14.30.

Disposizioni in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative nonché di assunzione di incarichi di governo nazionale e negli enti territoriali. Modifiche alla disciplina in materia di astensione e ricusazione dei giudici.
C. 2188, approvata dal Senato.
(Esame e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.

  Roberta AGOSTINI, presidente, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.
  Intervenendo in sostituzione del relatore per la I Commissione, presidente Sisto, fa presente che il provvedimento di cui le Commissioni riunite affari costituzionali e giustizia avviano l'esame nella seduta odierna consiste in un testo unificato di diverse proposte di legge, approvato dall'Assemblea del Senato l'11 marzo scorso ad ampia maggioranza, essendosi registrati solo sei voti contrari e due astensioni.
  Rileva che il testo in oggetto, in applicazione dei principi di imparzialità e indipendenza della magistratura, pone limiti alla partecipazione dei giudici all'attività politica, al fine di contemperare la doverosa imparzialità dei giudici con il diritto di tutti i cittadini di accedere alle cariche pubbliche, sancito dall'articolo 51 della Costituzione.
  Ricorda preliminarmente che l'articolo 65 della Costituzione stabilisce una riserva di legge per l'individuazione dei casi di Pag. 7ineleggibilità e d'incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore mentre l'articolo 122, primo comma, dispone che «Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi».
  L'articolo 98, secondo comma, della Costituzione, stabilisce poi che i pubblici impiegati, se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.
  Entrando nel merito del contenuto della proposta di legge in esame – che si compone complessivamente di 16 articoli, compreso l'articolo 16, ai sensi del quale sono abrogate tutte le disposizioni, anche speciali, in contrasto con la nuova legge – per quanto concerne le disposizioni più strettamente attinenti alle competenze della I Commissione, evidenzia innanzitutto l'articolo 1, in materia di candidabilità e di assunzione di incarichi di governo negli enti territoriali da parte dei magistrati. Il comma 1 esclude che i magistrati possano candidarsi alle elezioni o assumere incarichi di governo negli enti locali in territori ricadenti nelle circoscrizioni elettorali dove hanno prestato servizio nei cinque anni precedenti. La disposizione si applica a tutti i magistrati – ordinari, amministrativi, contabili e militari – e riguarda anche i magistrati collocati fuori ruolo. Sono esclusi solo i magistrati onorari, la cui incandidabilità è disciplinata dall'articolo 10 della proposta di legge.
  In particolare, per le elezioni del Parlamento europeo, della Camera e del Senato, non possono essere candidati i magistrati che prestano servizio o lo hanno prestato nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della regione compresa, in tutto o in parte, nella circoscrizione elettorale. Per le elezioni europee, dove la circoscrizione elettorale comprende più regioni, possono candidarsi nelle circoscrizioni elettorali in cui non sono comprese regioni in cui hanno prestato servizio negli ultimi cinque anni.
  Osserva che la disposizione in oggetto non detta una disciplina specifica per le elezioni anticipate ed appare pertanto applicabile anche in caso di scioglimento anticipato.
  Rileva quindi che, rispetto alla disciplina attualmente vigente per le elezioni politiche, le novità principali introdotti dalla disposizione in esame sono le seguenti: la previsione di una incandidabilità in luogo dell'ineleggibilità; l'estensione della disciplina alle elezioni europee; l'aumento da 6 mesi a 5 anni del periodo in cui il magistrato non deve aver prestato servizio nel territorio di riferimento; l'estensione dell'incandidabilità a tutto il territorio regionale nonché, come sembrerebbe, ai magistrati delle giurisdizioni superiori. Con riferimento a questi ultimi, infatti, la disposizione in esame, a differenza della normativa vigente, non prevede l'inapplicabilità della disciplina da essa recata.
  L'introduzione di una fattispecie di incandidabilità comporta la preclusione della possibilità di presentare la candidatura, essendo l'incandidabilità rilevata dagli uffici elettorali in sede di vaglio sull'ammissione delle liste. L'ineleggibilità prevista dalla normativa vigente non impedisce invece la candidatura, ma esplica i suoi effetti ex post, dopo lo svolgimento delle elezioni.
  Il comma 1 disciplina poi i casi di incandidabilità dei magistrati alle elezioni provinciali e di divieto di assunzione dell'incarico di assessore provinciale. In particolare, i magistrati non possono essere candidati per l'elezione alle cariche di presidente della provincia e di consigliere provinciale o assumere l'incarico di assessore provinciale se prestano servizio, o lo hanno prestato, nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura o di assunzione dell'incarico, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, Pag. 8in tutto o in parte, nel territorio della provincia stessa o di quelle limitrofe.
  Rileva che la disposizione deve essere valutata alla luce della nuova disciplina in tema di città metropolitane e province dettata dalla legge n. 56 del 2014, che prevede l'elezione di secondo grado degli organi metropolitani e provinciali.
  In particolare, dovrebbe comunque essere integrata con il riferimento alle cariche di sindaco metropolitano e consigliere metropolitano. Per quanto riguarda l'incarico di assessore provinciale, questa carica non è più prevista nel nuovo ordinamento; essa peraltro permane fino alla piena applicazione del riordino, che – per le province non commissariate e i cui organi non scadono nel 2014 – si avrà alla scadenza degli organi provinciali attualmente in carica.
  Sempre il comma 1 dell'articolo 1 disciplina, infine, i casi di incandidabilità dei magistrati alle elezioni comunali e circoscrizionali e di divieto di assunzione dell'incarico di assessore comunale. Anche in tal caso i magistrati non possono essere candidati per l'elezione alle cariche di sindaco, di consigliere comunale e di consigliere circoscrizionale o assumere l'incarico di assessore comunale se prestano servizio, o lo hanno prestato, nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura o di assunzione dell'incarico, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della provincia in cui è compreso il comune.
  Il comma 2 stabilisce il principio secondo cui il magistrato deve trovarsi in stato di aspettativa da almeno sei mesi all'atto dell'accettazione della candidatura. In caso di scioglimento anticipato delle Camere o di elezioni suppletive, e nel caso di scioglimento anticipato del consiglio provinciale o comunale, non sono candidabili i magistrati che non siano in aspettativa all'atto di accettazione della candidatura.
  Evidenzia che tale disposizione dovrebbe essere integrata con il riferimento al consiglio metropolitano, organo introdotto dalla legge n. 56 del 2014.
  Fa altresì presente che, secondo la normativa vigente, per le elezioni politiche i magistrati devono trovarsi – come regola generale – in aspettativa al momento dell'accettazione della candidatura, mentre per le elezioni amministrative non è invece attualmente previsto il collocamento obbligatorio in aspettativa.
  Il comma 3 specifica poi che le suddette disposizioni sull'incandidabilità e sull'obbligo di aspettativa non si applicano nel caso in cui i magistrati abbiano cessato di appartenere ai rispettivi ordini giudiziari (ad esempio, per pensionamento o dimissioni).
  Osserva quindi che l'articolo 2 della proposta di legge in oggetto introduce il divieto di assumere incarichi di governo nazionali – vale a dire di Presidente del Consiglio, vicepresidente del consiglio, ministro, viceministro e sottosegretario di Stato – o l'incarico di assessore provinciale o comunale per i magistrati che non siano collocati in aspettativa. Anche in questo caso, la disposizione non si applica ai magistrati onorari per i quali dispone, solo in parte, l'articolo 10 della proposta di legge.
  Per quanto concerne gli incarichi di sindaco e presidente di provincia, come già rilevato, dispone l'articolo 1 della proposta di legge, che impone l'aspettativa all'atto di accettazione della candidatura.
  Ricorda che attualmente è previsto il collocamento fuori ruolo di diritto ovvero il collocamento in aspettativa per gli appartenenti alle magistrature ordinaria e speciali chiamati a ricoprire incarichi di governo nazionale.
  Per quanto riguarda gli organi di governo locale, al momento l'aspettativa è facoltativa, prevedendo l'articolo 81 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali che se la carica è rivestita da un lavoratore dipendente questi possa essere collocato a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato.
  L'articolo 3, al comma 1, prevede che la dichiarazione di accettazione della candidatura agli organi elettivi degli enti territoriali da parte di magistrati sia corredata Pag. 9da una dichiarazione sostitutiva (cosiddetta autocertificazione) attestante l'insussistenza delle condizioni di incandidabilità di cui alla legge in commento, resa ai sensi della normativa vigente (articolo 46 del decreto del presidente della Repubblica n. 445 del 2000). Sono fatte salve le violazioni di natura penale.
  Ai sensi del comma 2, l'accertamento dell'incandidabilità è svolto, in occasione della presentazione delle liste dei candidati ed entro il termine per la loro ammissione, ai sensi del testo unico in materia di incandidabilità (decreto legislativo n. 235 del 2012).
  Osserva che l'articolo 3 sembra riferirsi unicamente, come risulta anche dalla rubrica, all'incandidabilità per le elezioni degli enti territoriali, senza disciplinare l'accertamento dell'incandidabilità alle elezioni politiche ed europee.
  Il comma 2, inoltre, non sembra invece riferirsi all'incandidabilità accertata successivamente all'ammissione delle liste.
  Sempre per quanto concerne le disposizioni attinenti più strettamente alle competenze della Commissioni affari costituzionali, segnala l'articolo 10, che disciplina l'eleggibilità e i presupposti per l'assunzione di incarichi di governo da parte dei magistrati onorari e pone alcuni limiti alla loro attività dopo la candidatura, l'esercizio del mandato elettivo o della carica di governo.
  In particolare, il comma 1 esclude la candidabilità del giudice onorario nelle elezioni europee, politiche e amministrative nelle circoscrizioni elettorali comprese, anche in parte, nel distretto di Corte d'appello nel quale esercitano le funzioni o hanno esercitato le funzioni nei 12 mesi antecedenti l'accettazione della candidatura. Al di fuori del distretto di Corte d'appello nel quale esercita le funzioni il magistrato onorario potrà invece candidarsi liberamente, e potrà anche continuare a svolgere la propria attività durante la campagna elettorale. I magistrati onorari, infatti, non essendo pubblici dipendenti, non godono del diritto di questi ultimi al collocamento in aspettativa. Non troverà applicazione, dunque, l'articolo 1, comma 2, della proposta di legge, che impone a tutti gli altri magistrati di porsi in aspettativa almeno sei mesi prima l'accettazione della candidatura.
  In caso di elezione, continuerà a trovare applicazione l'articolo 8 della legge n. 374 del 1991 che afferma l'incompatibilità tra le funzioni di giudice di pace e quelle di membro del Parlamento, consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale»; incompatibilità che il CSM ha esteso anche – per ragioni di indipendenza e terzietà – alle cariche di sindaco, assessore regionale, provinciale e comunale. Conseguentemente, il magistrato onorario eletto decadrà dall'ufficio (ai sensi dell'articolo 9 della legge).
  Il comma 2 disciplina le conseguenze per il magistrato onorario derivanti dall'assunzione di incarichi elettivi, di incarichi di governo nazionale o locale nonché dalla mera candidatura, escludendo che per i successivi 5 anni (dalle elezioni, se non si è stati eletti, ovvero dalla cessazione dell'incarico elettivo o di governo) il magistrato onorario possa svolgere funzioni: nel distretto di Corte d'appello in cui è compresa la circoscrizione elettorale; nel distretto di Corte d'appello nel quale esercitava le funzioni alla data di accettazione della candidatura o della carica di governo.
  Rileva che la proposta di legge non disciplina l'ineleggibilità dei magistrati onorari a livello regionale né la loro assunzione di incarichi di governo regionale; soprattutto non sono previste limitazioni al successivo esercizio delle funzioni a seguito di incarico regionale. Tale lacuna comporta una disparità di trattamento tra il giudice di pace che sia stato eletto consigliere comunale – che non potrà per cinque anni svolgere le funzioni nel distretto di corte d'appello – e quello che per ipotesi sia stato eletto presidente della regione.
  Fa presente quindi che l'articolo 11 prevede che le disposizioni della legge costituiscono principi fondamentali in materia di candidabilità ed eleggibilità dei Pag. 10magistrati alle elezioni regionali e di assunzione dell'incarico di assessore regionale.
  Al riguardo ricorda, come già rilevato, che l'articolo 122 della Costituzione attribuisce alla legge regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, la disciplina del sistema di elezione e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali.
  La legge n. 165 del 2004 ha dato attuazione a tale precetto costituzionale, individuando i princìpi fondamentali cui le regioni sono chiamate ad attenersi, tra cui, in particolare: sussistenza di cause di ineleggibilità; inefficacia delle cause di ineleggibilità; sussistenza di cause di incompatibilità. Quanto alle cause di incandidabilità, fa presente che l'articolo 2 della predetta legge n. 165 del 2004, nell'individuare i suddetti principi fondamentali cui le regioni sono chiamate ad attenersi nel disciplinare con legge i casi di ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione, fa espressamente salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione.
  Al riguardo, segnala anche la recente sentenza n. 118 del 2013, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della regione Campania n. 16 del 2011, recanti ipotesi di sospensione di diritto dei consiglieri regionali per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale (associazione di tipo mafioso).
  Nella citata sentenza, la Corte ha ricordato che l'articolo 7, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 235 del 2012 – Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi (corrispondente all'articolo 15, comma 1, lettera a), della legge n. 55 del 1990, in materia di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso) stabilisce che non possono essere candidati alle elezioni regionali coloro che hanno riportato condanna definitiva per una serie di delitti, tra cui, anzitutto, quello di associazione di tipo mafioso. Correlativamente, il successivo articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012 prevede la sospensione di diritto del consigliere regionale che abbia riportato una condanna non definitiva per il medesimo reato.
  In merito al citato articolo 15 della legge n. 55 del 1990, la Corte ha rilevato come la disciplina relativa all'incandidabilità alle cariche elettive e alla decadenza di diritto dalle medesime a seguito di condanna definitiva per determinati reati, nonché alla sospensione automatica in caso di condanna non definitiva, ricada nell'ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di competenza legislativa statale esclusiva (articolo 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione): materia che, per costante giurisprudenza della Corte, si riferisce «all'adozione delle misure relative alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso quest'ultimo quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale».

  Walter VERINI (PD), relatore per la II Commissione, osserva preliminarmente come la questione della partecipazione dei rappresentanti di uno dei tre poteri dello Stato, i magistrati, alla vita politica del Paese non sia una questione di dettaglio che può essere affrontata in chiave puramente demagogica né tantomeno punitiva ma debba essere considerata nella sua delicatezza e importanza: si tratta, infatti, di un provvedimento complesso che interviene su questioni sensibili e che deve contemperare interessi e diritti differenti ma tutti sensibili e importanti, quali il diritto all'elettorato passivo e alla partecipazione alla vita politica del magistrato con il principio, anch'esso costituzionalmente previsto, della terzietà, indipendenza ed imparzialità del giudice. Pag. 11
  Ritiene che la disciplina vigente presenti, senza dubbio, delle lacune e delle incongruenze importanti. Oltre che disomogenea la disciplina attuale appare irrazionale sotto i profili della prossimità territoriale rispetto all'esercizio della funzione giurisdizionale e di possibili influenze ed eventuali condizionamenti. È quindi necessario salvaguardare i principi che sovrintendono alla disciplina correggendone, tuttavia, le storture.
  Per questi motivi, ritiene necessario lavorare sulla base di un'adeguata e approfondita istruttoria, prevedendo delle audizioni mirate e qualificate.
  Prosegue, quindi, l'illustrazione del contenuto del provvedimento, evidenziando le disposizioni di più stretta attinenza agli ambiti di competenza della Commissione giustizia.
  L'articolo 4 stabilisce che durante il mandato elettivo – tanto nazionale quanto locale – e durante lo svolgimento di incarichi di governo – tanto nazionali quanto locali – il magistrato deve obbligatoriamente trovarsi in aspettativa, in posizione di fuori ruolo.
  L'aspettativa è computata a tutti gli effetti ai fini pensionistici e dell'anzianità di servizio.
  Quanto al trattamento economico, la proposta di legge prevede che il magistrato possa scegliere tra: la conservazione del trattamento economico in godimento in magistratura, senza possibile cumulo con altra indennità; la corresponsione della sola indennità di carica.
  L'articolo 5 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che si siano candidati alle elezioni europee, politiche o amministrative, senza essere eletti.
  In generale, la disposizione – che si applica ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari (e dunque non anche alla magistratura onoraria) – afferma i seguenti principi: i magistrati sono ricollocati nel ruolo di provenienza; i magistrati ricollocati, per cinque anni possono svolgere esclusivamente funzioni giudicanti collegiali; i magistrati ricollocati, per cinque anni non possono coprire incarichi direttivi o semidirettivi.
  Quanto alla sede presso la quale potranno svolgere le funzioni giudicanti collegiali, l'articolo 5 così dispone: il magistrato in servizio presso i collegi giudicanti delle giurisdizioni superiori (Corte di cassazione, consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte militare d'appello) è ricollocato nell'ufficio di provenienza, con vincolo di esercizio di funzioni collegiali per cinque anni. Per altrettanti anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.
  Il magistrato in servizio presso le procure generali delle giurisdizioni superiori (Corte di cassazione, consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte militare d'appello) e presso la DNA è ricollocato presso i collegi giudicanti della giurisdizione superiore per almeno cinque anni. Per cinque anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.
  Gli altri magistrati sono ricollocati nel ruolo di provenienza, con vincolo di esercizio per 5 anni di funzioni giudicanti collegiali. Per cinque anni non potranno essere assegnati ad un ufficio con competenza sul territorio della regione compresa – anche in parte – nella circoscrizione elettorale nella quale ha presentato la candidatura né ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.
  La proposta di legge esclude l'esercizio delle funzioni giudiziarie nella regione interessata dalla presentazione della candidatura. Rispetto al testo vigente, che esclude l'esercizio delle funzioni per un periodo di cinque anni «nella circoscrizione nel cui ambito si sono svolte le elezioni», viene ampliata l'area nella quale il magistrato non può essere ricollocato. Solo per fare un esempio, se oggi il magistrato candidato in Lombardia 3 (province di Cremona, Lodi, Mantova e Pavia) può in caso di mancata elezione svolgere funzioni giudiziarie al tribunale di Milano, rientrante in altra circoscrizione elettorale, così non sarebbe in base al testo approvato dal Senato.
  Ciò comporta, per le elezioni europee, caratterizzate da collegi pluriregionali, l'impossibilità di svolgere funzioni giudiziarie in un'area ancor più estesa. Dal Pag. 12momento che il sistema di elezione al Parlamento europeo consente candidature plurime, osserva che si potrebbe in teoria dare il caso in cui un magistrato sia candidato in tutte le circoscrizioni elettorali e dunque risulti poi impossibilitato a rientrare in servizio in qualsiasi ufficio giudiziario nazionale.
  Il magistrato candidato e non eletto alle elezioni amministrative è ricollocato nel ruolo di provenienza, con vincolo di esercizio per cinque anni di funzioni giudicanti collegiali. Per altrettanti anni non potrà essere assegnato ad un ufficio del distretto di corte d'appello con competenza sul territorio della provincia o del comune nel quale ha presentato la candidatura né ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.
  La proposta di legge, dunque, adotta per la mancata elezione alla provincia e al comune il criterio del vincolo del distretto di corte d'appello, in luogo di quello regionale.
  Evidenzia come, generalmente, il distretto di Corte d'appello coincide con il territorio della regione. Ma ciò non è sempre vero, basti considerare, ad esempio, il distretto di Corte d'appello di Torino, che copre anche i comuni della Valle d'Aosta, o al distretto di Corte d'appello di Brescia, che non copre tutta la Lombardia, ma solo le province di Brescia, Bergamo, Crema, Cremona e Mantova.
  L'utilizzo di criteri distinti a seconda del tipo di elezione potrebbe comportare che, se un magistrato si candida alla Camera in Piemonte, in caso di mancata elezione potrebbe esercitare funzioni giudiziarie ad Aosta, mentre se si candida al consiglio provinciale di Vercelli, in caso di mancata elezione non potrebbe esercitare in tutto il distretto della Corte d'appello di Torino, e dunque neanche in Valle d'Aosta.
  Fa presente che il testo non chiarisce la posizione dei magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori.
  L'articolo 6 colma una lacuna attualmente presente nel nostro ordinamento, disciplinando il ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto il mandato elettorale al Parlamento nazionale o al Parlamento europeo. In primo luogo, la disposizione – che si applica ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari (e dunque non anche alla magistratura onoraria) – prevede che alla cessazione del mandato elettorale il magistrato non può tornare a svolgere le funzioni precedenti (comma 1), cioè non può tornare a svolgere le funzioni che svolgeva prima di mettersi in aspettativa per accettare la candidatura.
  Osserva che ai magistrati che esercitavano funzioni giudicanti presso le giurisdizioni superiori il comma 2, lettera a), consente di tornare a svolgere tali funzioni.
  Si aprono per il magistrato che non abbia maturato l'età per il pensionamento obbligatorio le seguenti quattro possibilità (comma 2), tra le quali il magistrato deve scegliere entro 60 giorni dalla cessazione del mandato elettorale (comma 3). Se la scelta non viene effettuata nel rispetto di questi termini, il magistrato si considera cessato dall'ordine giudiziario a seguito di dimissioni (comma 4): la prima possibilità è quella del ricollocamento nei ruoli della magistratura ordinaria. Esso dovrà avvenire nel rispetto dei seguenti limiti (comma 2, lettera a) e regolamento attuativo): il magistrato già in servizio presso i collegi giudicanti delle giurisdizioni superiori (Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte militare d'appello) è ricollocato nell'ufficio di provenienza. Per due anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi; il magistrato in servizio presso le procure generali delle giurisdizioni superiori (Corte di cassazione, consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte militare d'appello) e presso la DNA è ricollocato presso un organo giudicante collegiale (non necessariamente della giurisdizione superiore) per almeno cinque anni; per altrettanti anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi; per ogni altro magistrato è escluso l'immediato ricollocamento nelle funzioni svolte prima del mandato elettorale; è escluso l'immediato ricollocamento nel distretto di Corte d'appello nel quale Pag. 13esercitava le funzioni prima del mandato elettorale; è escluso – per sempre – il ricollocamento in tutti i distretti di Corte d'appello con competenza sulla circoscrizione di elezione; sono escluse le funzioni requirenti per cinque anni; sono escluse le funzioni giudicanti monocratiche per cinque anni; nonché gli incarichi direttivi e semidirettivi.
  In relazione ai magistrati che svolgevano funzioni giudicanti presso le giurisdizioni superiori, osserva che la disposizione esclude che possano svolgere funzioni direttive o semidirettive per due anni. Diversa e più severa disposizione è prevista dall'articolo 5, come già evidenziato, per gli stessi magistrati che – una volta candidati – non vengano eletti: per loro infatti le funzioni direttive e semidirettive sono precluse per cinque anni. Inoltre, diversa e più severa disposizione è prevista quando a concludere il mandato elettorale sia un magistrato originariamente in servizio presso la procura di una giurisdizione superiore (cinque anni).
  Osserva inoltre che, mentre l'articolo 5, comma 1, utilizza come parametro per limitare il ricollocamento in ruolo la regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale, l'articolo 6 adotta il criterio del distretto di Corte d'appello.
  Inoltre, mentre per i magistrati in genere si assolutizza il divieto di esercitare funzioni nel distretto di corte d'appello coincidente anche in parte con la circoscrizione elettorale, per i magistrati delle giurisdizioni superiori ciò non è previsto. In ipotesi, dunque, un magistrato di Cassazione può, dopo 2 anni dal ricollocamento, divenire Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello nel quale è stato eletto.
  La seconda possibilità è quella dell'inquadramento in un ruolo autonomo dell'Avvocatura dello Stato (comma 2, lettera b) e regolamento attuativo ex articolo 8, comma 1).
  La seconda possibilità è costituita dall'inquadramento in un ruolo autonomo del Ministero della giustizia. In questo caso il magistrato non potrà ricoprire incarichi e funzioni assimilabili alle funzioni direttive e semidirettive per almeno 5 anni (comma 2, lettera c), che rinvia al regolamento attuativo ex articolo 8, comma 2).
  La quarta possibilità è quella del prepensionamento, con contribuzione volontaria interamente a suo carico. Tale opzione, che impone il rispetto del limite degli anni di contribuzione per il trattamento pensionistico di anzianità, è possibile solo se alla pensione mancano massimo cinque anni di servizio (comma 2, lettera d).
  L'articolo 7 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto incarichi di Governo nazionale e locale.
  In particolare, il comma 1 si riferisce al Governo nazionale e dunque alle seguenti cariche: Presidente del Consiglio dei ministri; Vicepresidente del Consiglio dei ministri; Ministro; Viceministro; Sottosegretario di Stato.
  La proposta di legge equipara, ai fini del ricollocamento in ruolo, il magistrato che cessa da uno dei suddetti incarichi al magistrato che cessa dal mandato parlamentare nazionale o europeo. L'equiparazione effettuata dal comma 1 comporta che, se era un magistrato a svolgere tali incarichi di governo, avrà a disposizione le 4 possibilità delineate dall'articolo precedente (ricollocamento in magistratura, con i limiti predetti; inquadramento nei ruoli dell'Avvocatura o del Ministero della Giustizia; prepensionamento con contribuzione volontaria).
  Il comma 2 tratta invece degli incarichi di Governo locale, ovvero del magistrato che sia chiamato a svolgere funzioni di Assessore provinciale e Assessore comunale.
  La disposizione non richiama le figure del sindaco e del presidente di provincia che sono necessariamente elettive e trattate altrove nel testo, in particolare nell'articolo 9. A tali figure peraltro è equiparato, ai fini del ricollocamento in ruolo, il magistrato che abbia svolto incarichi nelle giunte comunali o provinciali.
  Osserva che la proposta di legge non disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati con incarichi di governo regionale.Pag. 14
  L'articolo 8, al comma 1, demanda ad un regolamento ministeriale (articolo 17, comma 3, legge n. 400 del 1988) adottato dal Presidente del consiglio dei ministri, la disciplina del nuovo ruolo autonomo dell'Avvocatura dello Stato nel quale inquadrare i magistrati cessati da un incarico elettivo nazionale o europeo e, in via transitoria (in base all'articolo 12), anche quelli che – in carica alla data di entrata in vigore della legge – cessino da un mandato elettorale locale (provincia, comune, circoscrizione) o da un incarico di governo nazionale, regionale o locale, che abbiano optato per questa soluzione (preferendola al rientro in magistratura, all'inserimento nel ruolo del Ministero della giustizia ovvero al prepensionamento).
  Il regolamento dovrà essere emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge e dovrà ricostruire le carriere, tenendo conto della tabella B di equiparazione degli avvocati e procuratori dello Stato ai magistrati dell'ordine giudiziario, allegata al R.D. n. 1611 del 1933.
  L'articolo 8, al comma 2, demanda ad ulteriore regolamento ministeriale (articolo 17, comma 3, legge n. 400 del 1988) adottato dal Ministro della giustizia, la disciplina del nuovo ruolo autonomo del Ministero della giustizia nel quale inquadrare i magistrati cessati da un incarico elettivo nazionale o europeo e, in via transitoria (in base all'articolo 12), anche quelli che – in carica alla data di entrata in vigore della legge – cessino da un mandato elettorale locale (provincia, comune, circoscrizione) o da un incarico di governo nazionale, regionale o locale, che abbiano optato per questa soluzione (preferendola al rientro in magistratura, all'inserimento nel ruolo dell'Avvocatura dello Stato ovvero al prepensionamento).
  Anche in questo caso il decreto dovrà essere emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge e dovrà disciplinare le modalità dell'inquadramento, nonché le sue funzioni.
  Ricordando che l'articolo 7, comma 2, lettera c), esclude comunque che i magistrati cessati da una carica elettiva o da un incarico di governo possano ricoprire incarichi e funzioni corrispondenti ad incarichi direttivi, il regolamento dovrà prevedere per i magistrati inseriti nel ruolo autonomo del ministero, in via prioritaria, mansioni di studio e ricerca nonché la loro possibile candidatura presso enti od organismi internazionali presso i quali sia richiesta la presenza di magistrati italiani.
  L'articolo 9 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto il mandato elettorale negli enti territoriali, ovvero che siano stati eletti: Sindaco o consigliere comunale; Presidente delle provincia o consigliere provinciale; Consigliere circoscrizionale.
  Per questi magistrati – tra i quali non si distinguono coloro che originariamente svolgevano funzioni presso le giurisdizioni superiori – il ricollocamento in ruolo dovrà rispettare i seguenti limiti: è escluso il ricollocamento in un ufficio giudiziario della regione nella quale ricadono il comune o la provincia di elezione per 5 anni; sono escluse le funzioni requirenti per 5 anni; sono escluse le funzioni giudicanti monocratiche per 5 anni; sono esclusi gli incarichi direttivi e semidirettivi per 5 anni.
  L'articolo 12 riguarda i magistrati che, alla data di entrata in vigore della legge, si trovino a svolgere le seguenti funzioni: parlamentare europeo; deputato; senatore; consigliere provinciale; consigliere comunale; consigliere circoscrizionale; Presidente del Consiglio dei ministri; Vice Presidente del Consiglio dei ministri; Ministro; Viceministro; Sottosegretario di Stato; Presidente di regione; Assessore regionale; Presidente di Provincia; Assessore provinciale; Sindaco; Assessore comunale.
  Osserva che in questa disposizione si fa riferimento al governo regionale, omettendo però di riferirsi anche al consiglio regionale.
  Alla cessazione del mandato o dell'incarico, per questi magistrati si apre la scelta tra le 4 possibilità previste a regime dalla riforma di cui all'articolo 6), con alcuni aggiustamenti volti a graduare il primo impatto della nuova disciplina.
  In particolare, il ricollocamento nei ruoli della magistratura ordinaria avrà Pag. 15come limiti: l'obbligatorio esercizio di funzioni giudicanti collegiali per tre anni (sono cinque a regime); il divieto di ricoprire incarichi direttivi e semidirettivi per tre anni (sono cinque a regime).
  Osserva che la disposizione non precisa la posizione del magistrato che rivestisse prima del mandato o dell'incarico funzioni in una giurisdizione superiore.
  In alternativa al ricollocamento nei ruoli della magistratura, i magistrati potranno essere inquadrati in un ruolo autonomo dell'Avvocatura dello Stato, in un ruolo autonomo del Ministero della giustizia ovvero optare per il prepensionamento, con contribuzione volontaria interamente a loro carico, sempre che alla pensione manchino massimo 5 anni di servizio.
  Osserva inoltre che la disciplina transitoria non è autoapplicativa, in quanto presuppone l'adozione dei regolamenti per il ricollocamento nell'Avvocatura o nel Ministero.
  L'articolo 13 novella il codice di procedura civile e il codice di procedura penale, prevedendo un'ulteriore ipotesi di astensione obbligatoria del giudice (articoli 51 c.p.c. e 36 c.p.p.) il cui mancato rispetto comporta la possibile ricusazione (articoli 52 c.p.c. e 37 c.p.p.).
  In particolare, il comma 1 modifica l'articolo 36 del codice di procedura penale prevedendo un obbligo di astensione per il giudice penale che abbia, in qualsiasi fase della propria vita, partecipato ad elezioni (a qualsiasi livello di governo, e anche senza essere necessariamente eletto) o ricoperto qualsiasi incarico di governo.
  Egli dovrà astenersi dal giudizio, qualora si trovi di fronte una parte processuale (tanto l'imputato, quanto la persona offesa dal reato, quanto la parte civile o il civilmente obbligato per la pena pecuniaria) che negli ultimi 5 anni abbia a sua volta partecipato a una delle consultazioni elettorali o abbia ricoperto incarichi di governo nazionale, regionale o locale. Qualora il giudice non si astenga, in base all'articolo 37 c.p.p. – a tal fine modificato dal comma 2 – potrà essere ricusato.
  Il comma 3 novella l'articolo 51 del codice di procedura civile introducendo l'obbligo di astensione – negli identici termini previsti nel processo penale – anche per il giudice civile. Di conseguenza, in base all'articolo 52 c.p.c. la mancata astensione determina una causa di ricusazione del magistrato.
  Infine, il comma 4 circoscrive l'applicabilità di queste disposizioni ai procedimenti che prenderanno avvio dopo l'entrata in vigore della legge.
  L'articolo 14 novella il decreto legislativo n. 109 del 2006, in tema di illeciti disciplinari dei magistrati.
  In particolare, la proposta di legge integra l'elencazione dell'articolo 12 del decreto legislativo, relativo alle sanzioni applicabili, prevedendo una sanzione non inferiore alla perdita di anzianità per almeno due anni a carico del magistrato che accetta la candidatura a parlamentare europeo, parlamentare nazionale, consigliere regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale, ovvero che accetta un incarico di governo nazionale, regionale o locale in violazione di disposizioni di legge.
  L'articolo 15 estende ai magistrati amministrativi, contabili e militari la sanzione disciplinare della perdita di anzianità per almeno due anni laddove abbiano accettato la candidatura alle elezioni europee, politiche, regionali o locali, ovvero abbiano assunto incarichi di governo nazionale o locale, in violazione della riforma.

  Stefano DAMBRUOSO (SCpI) chiede alla presidenza delle Commissioni riunite che si proceda all'abbinamento della proposta di legge n. 1442, di cui è primo firmatario, alla proposta di legge in discussione, vertendo essa su analoga materia.

  Roberta AGOSTINI, presidente, fa presente, anche a nome del presidente della II Commissione, Donatella Ferranti, che la proposta di legge n. 1442 è stata assegnata in sede referente alla I Commissione. Pertanto, al fine di poter valutare la richiesta di abbinamento formulata dal deputato Dambruoso, occorre che l'ufficio di presidenza Pag. 16delle Commissioni riunite I e II convenga sulla possibilità di chiedere alla Presidente della Camera di riassegnare la suddetta proposta alle Commissioni medesime.

  Donatella FERRANTI, presidente della II Commissione, nel concordare con l'intervento della presidente Agostini, evidenzia come la proposta di legge n. 1442 rechi un contenuto tale da coincidere sostanzialmente con quello di cui alla proposta di legge in esame, approvata dal Senato.

  Roberta AGOSTINI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.45.

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

  Martedì 24 giugno 2014. — Presidenza del vicepresidente della I Commissione Roberta AGOSTINI. – Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 14.45.

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Un nuovo quadro dell'Ue per rafforzare lo Stato di diritto.
COM(2014) 158 final.
(Esame e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.

  Roberta AGOSTINI, presidente, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.

  Maurizio BIANCONI (FI-PdL), relatore per la I Commissione, fa presente che la comunicazione all'ordine del giorno dell'odierna seduta delle Commissioni riunite affari costituzionali e giustizia riguarda questioni che investono anche l'ordinamento costituzionale dei singoli Stati membri.
  Per quanto concerne i profili di merito, osserva che la comunicazione costituisce il punto più avanzato del lavoro di progressivo affinamento, svolto dalle Istituzioni europee, per l'individuazione di una strategia coerente e organica volta a promuovere un'efficace salvaguardia dei diritti fondamentali e l'affermazione dello Stato di diritto nell'ambito dell'Unione europea.
  L'ordinamento europeo si colloca, in proposito, almeno nelle dichiarazioni, in una posizione di pretesa avanguardia: l'Unione europea dichiara i pretesi progressi compiuti in materia ed aspira ad essere il modello di riferimento a livello internazionale.
  A suo avviso, tuttavia, in qualche caso la strumentazione a disposizione dell'Unione europea non si è rivelata efficace per evitare vistose violazioni dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali da parte dei Paesi membri.
  Il problema non consiste tanto nell'assetto della normativa vigente quanto nella difficoltà di garantirne la concreta attuazione in presenza di situazioni critiche.
  Il corredo normativo a disposizione dell'Unione europea, a partire dai Trattati per proseguire con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, assicura in astratto un adeguato livello di tutela.
  Né va dimenticata la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ha inteso evidenziare il nucleo comune in materia di riconoscimento dei diritti fondamentali negli ordinamenti, in primo luogo costituzionali, degli Stati membri e in quello dell'Unione europea.
  Rileva, quindi, che la questione che si intende affrontare in questa sede consiste nella verifica della idoneità degli strumenti che l'ordinamento mette a disposizione delle Istituzioni europee, ad assicurare sul piano concreto una soddisfacente salvaguardia. In sostanza, si tratta di capire se gli strumenti attivabili, di natura preventiva Pag. 17e sanzionatoria, siano adeguati a prevenire o combattere eventuali violazioni dei diritti fondamentali.
  Ricorda che gli strumenti a disposizione consistono, in primo luogo, nell'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea in forza del quale il Consiglio dell'UE (deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri), su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea, previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2 del TUE (rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani, compresi quelli delle persone appartenenti a minoranze).
  Prima di tale constatazione, il Consiglio ascolta lo Stato membro interessato e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura; il Consiglio europeo può, all'unanimità, constatare una violazione grave e persistente dell'articolo 2 TUE e su tali basi il Consiglio dell'UE può decidere, a maggioranza qualificata, di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall'applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio.
  Fa presente che, in secondo luogo, si tratta delle procedure di infrazione ex articolo 258 del Trattato su funzionamento dell'Unione europea. In proposito, occorre considerare che secondo l'orientamento più accreditato (seguito dalla Commissione nella comunicazione in esame), le procedure di contenzioso (comprese quelle di precontenzioso) che la Commissione europea può promuovere in caso di criticità inerenti allo Stato di diritto sono attivabili nei casi in cui vengano in considerazione violazioni di specifiche disposizioni del diritto dell'Unione.
  L'esperienza dimostra che, in particolare, la procedura di cui al citato articolo 7 non è stata mai attivata vuoi per la portata degli effetti molto forti che ne conseguono, vuoi per la difficoltà di conseguire le assai elevate maggioranze richieste.
  Conseguentemente, si è sollevato il problema della necessità di chiarire quali correttivi possano essere apportati affinché le procedure esistenti riescano davvero ad essere efficaci nel monitorare il rispetto dello Stato di diritto e la salvaguardia dei diritti fondamentali negli Stati membri, e per offrire la possibilità di interventi tempestivi ed efficaci in caso di violazioni.
  Si parla di violazioni di carattere sistemico, che non si esauriscano in singoli episodi ma che siano reiterate e che incidano, per la loro gravità, su aspetti fondamentali e non sacrificabili. Da più parti si è affermato che la mancata sanzione di violazioni di questo tipo può pregiudicare la coerenza e la credibilità dell'Unione europea.
  Da questa considerazione, l'auspicio, largamente condiviso, di un rafforzamento della strumentazione a disposizione dell'Unione europea a tutela dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali.
  In pratica, si ipotizza la realizzazione di un sistema paragonabile per certi versi a quello messo in atto per quanto concerne la governance economica e il rispetto dei vincoli di finanza pubblica in cui l'adozione di eventuali misure sanzionatorie è preceduta dal meccanismo di monitoraggio e di dialogo con ciascuno degli Stati membri.
  La Commissione europea ha ritenuto di corrispondere alle sollecitazioni da più parti avanzate (in particolare, da parte del Consiglio), con la comunicazione all'ordine del giorno i cui contenuti saranno più puntualmente illustrati dalla Presidente Ferranti, relatrice per la Commissione giustizia.
  Per comprendere appieno la portata della comunicazione e il suo possibile impatto, oltre che sull'ordinamento europeo, su quello nazionale, reputa tuttavia opportuno richiamare brevemente quale è la situazione, dal punto di vista normativo e fattuale, in materia di diritti fondamentali nel nostro Paese.Pag. 18
  Rileva quindi che, analogamente a quanto previsto nelle Carte costituzionali di quasi tutti i Paesi membri, la nostra Costituzione reca numerose disposizioni volte ad affermare i diritti fondamentali.
  Ciononostante, ritiene che occorra riconoscere che su più fronti, sul piano concreto, l'Italia continua a registrare alcuni ritardi sui quali reputa opportuno non soffermarsi in questa sede per non aprire un dibattito, forse non utile, su «rimpalli» di responsabilità sui temi della giustizia e della parità di genere, nonché sulla questione dell'accoglienza e integrazione.
  Sotto questo profilo, considera innegabile che tutte le proposte, quali la comunicazione all'ordine del giorno, volte a rafforzare la strumentazione a disposizione, debbano essere valutate con la massima attenzione e senza pregiudizi ove si dimostri che ne può derivare una più efficace e concreta salvaguardia dei diritti fondamentali.
  Evidenzia che questo è il motivo per cui il Governo italiano ha informalmente manifestato grande interesse nei confronti dell'iniziativa della Commissione europea attribuendo alla comunicazione carattere prioritario nell'ambito delle iniziative i cui negoziati dovranno proseguire durante il Semestre di Presidenza italiano.

  Donatella FERRANTI, relatore per la II Commissione, osserva che, come detto in precedenza, la comunicazione si prefigge di rafforzare la strumentazione a disposizione per prevenire, monitorare ed eventualmente sanzionare violazioni gravi dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, sembra, peraltro, anche al di fuori dai settori disciplinati dal diritto dell'Unione ed a prescindere dal riflesso diretto ed immediato su uno dei settori di competenza dell'Unione.
  Le misure previste sarebbero attivabili nei casi in cui uno Stato membro dovesse adottare misure o tollerare situazioni suscettibili di compromettere sistematicamente l'integrità, la stabilità, il corretto funzionamento delle istituzioni o dei meccanismi di salvaguardia istituiti a livello nazionale per garantire lo Stato di diritto.
  La procedura non si riferisce ai casi individuali di violazione dei diritti fondamentali o errori giudiziari, che – secondo la Commissione – devono continuare ad essere trattati dagli ordinamenti giudiziari nazionali (anche nell'ambito della tutela prevista dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, cui tutti gli Stati membri già aderiscono). La comunicazione richiede, infatti, che la minaccia allo Stato di diritto presenti carattere sistemico.
  Secondo la Commissione, deve in sostanza trattarsi di violazioni suscettibili di minacciare l'ordinamento politico, istituzionale o giuridico di uno Stato membro in quanto tale, la sua struttura costituzionale, la separazione dei poteri, l'indipendenza o l'imparzialità della magistratura, ovvero il suo sistema di controllo giurisdizionale compresa, ove prevista, la giustizia costituzionale – ad esempio in seguito all'adozione di nuove misure oppure di prassi diffuse delle autorità pubbliche e alla mancanza di mezzi di ricorso a livello nazionale; l'attivazione della procedura deve avvenire allorché risulti che i meccanismi nazionali di salvaguardia dello Stato di diritto non sono in grado di affrontare efficacemente tali minacce.
  Ricorda che, sul carattere sistemico delle violazioni particolarmente rilevanti, si è esercitata la più recente e avanzata dottrina. Secondo tale dottrina, si riscontra «un deficit sistemico» dello Stato di diritto nel caso in cui vengano meno le basi affidabili sulle quali i membri della società possono organizzare la loro attività e pianificare la loro condotta. In particolare, le aspettative normative dei membri della società si indeboliscono laddove le Istituzioni sono regolarmente considerate incapaci di affrontare le infrazioni della legge a causa di corruzione, di mancanza di volontà, di debolezza istituzionale.
  Evidenzia che la procedura delineata nella comunicazione si basa sui seguenti principi: ricerca di una soluzione mediante l'interlocuzione e il dialogo con lo Stato membro interessato. Tale principio è particolarmente importante perché volto a Pag. 19privilegiare l'azione di prevenzione rispetto a quella sanzionatoria – l'interlocuzione con lo Stato interessato offre la possibilità di chiarire eventuali equivoci ed è ispirata alla logica, preziosa nei rapporti interistituzionali, della leale collaborazione –; garanzia di una valutazione obiettiva approfondita della situazione; parità di trattamento degli Stati membri; indicazione di rapide azioni concrete per fronteggiare la minaccia sistemica ed evitare il ricorso all'articolo 7 del TUE.
  Segnala che la procedura si svolgerebbe in varie fasi. La prima riguarda la valutazione della Commissione che raccoglie e vaglia tutte le informazioni disponibili, valutando se vi siano chiare indicazioni di una minaccia sistemica allo Stato di diritto; ove effettivamente venga riscontrata tale minaccia, la Commissione avvia il dialogo con lo Stato membro trasmettendogli un «parere sullo Stato di diritto», nel quale sono esposte e motivate le relative preoccupazioni. Lo Stato membro interessato ha la possibilità di rispondere ai rilievi formulati. In questa fase si pone il problema di chiarire come verrebbe condotta l'istruttoria, posto che la Commissione europea non sembra disporre delle risorse umane e strumentali per provvedere direttamente alla raccolta dei dati negli singoli Stati.
  Si può quindi presumere che l'istruttoria si avvarrà dei dati e degli elementi di informazione acquisiti tramite un network di canali di informazione opportunamente selezionati, di cui fanno normalmente parte gli organismi istituzioni nazionali (amministrativi e giurisdizionali) e soggetti non governativi qualificati.
  A tal proposito segnala l'importanza che, in particolare, può assumere, nella raccolta ed elaborazione di dati rilevanti, l'Agenzia per i diritti fondamentali. È questo un aspetto su cui è opportuno un chiarimento, posto che la disponibilità di dati puntuali e pienamente affidabili costituisce un presupposto imprescindibile per la procedura nel suo complesso. L'Agenzia per i diritti fondamentali (FRA) ha lo scopo di fornire alle istituzioni dell'UE e agli Stati membri, nell'attuazione del diritto comunitario, assistenza e consulenza in materia di diritti fondamentali, in modo da aiutarli a rispettare pienamente tali diritti nell'adozione di misure o nella definizione di iniziative nei loro rispettivi settori di competenza.
  L'Agenzia non può invece esaminare ricorsi di singole persone fisiche o giuridiche. Segnala che, oltre all'Agenzia, è operativo, a livello europeo, l'EIGE – Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, un'agenzia che coadiuva i Governi e le istituzioni dell'UE (in particolare la Commissione) nella loro azione per promuovere la parità uomo-donna.
  La seconda fase consiste nella raccomandazione della Commissione e prevede che, salvo il caso in cui la questione sia già stata risolta, la Commissione rivolge allo Stato membro interessato una «raccomandazione sullo Stato di diritto», invitandolo a porre rimedio entro un determinato termine ai problemi individuati e a comunicarle quali provvedimenti sono stati adottati a tal fine (tale raccomandazione è resa pubblica dalla Commissione).
  La terza fase riguarda il follow-up della raccomandazione della Commissione che controlla il seguito che lo Stato membro in questione ha dato alla raccomandazione. In mancanza di seguito soddisfacente entro il termine fissato, la Commissione può applicare uno dei meccanismi previsti dall'articolo 7 del TUE.
  In sostanza, la comunicazione sembra focalizzata sulle competenze della Commissione in quanto non riguarda anche l'eventuale esito dell'attività istruttoria dalla stessa svolta, non intervenendo, ad esempio, per i profili che attengono all'adozione di misure di carattere sanzionatorio.
  Si potrebbe, dunque, a suo avviso, presumere che, con la comunicazione, la Commissione abbia inteso procedimentalizzare l'esercizio di competenze che l'ordinamento già le conferisce. Ciononostante, la portata della comunicazione appare, a suo avviso, assai rilevante per un duplice ordine di motivi. Per un verso, in quanto appare diretta a definire i presupposti dell'esercizio, da parte della Commissione, Pag. 20delle funzioni indicate (l'esistenza di violazioni di carattere sistemico); per altro verso, in quanto volta a valorizzare il ruolo della Commissione.
  In tale ipotesi potrebbe peraltro risultare opportuno chiarire in termini più espliciti come le funzioni indicate debbano, nelle valutazioni della Commissione, inquadrarsi nell'ambito dell'ordinamento europeo vigente.
  Sotto questo profilo, andrebbe poi meglio chiarito il quadro delle prerogative conferite alla Commissione rispetto ai poteri espressamente conferiti al Consiglio dall'articolo 7 del TUE e la base legale per l'attribuzione alla Commissione dei poteri previsti (particolarmente, di quello di condurre l'azione istruttoria). Nel quadro delle relazioni interistituzionali, sarebbe opportuno riflettere anche sul coinvolgimento del Parlamento europeo, che in diverse recenti occasioni ha promosso e votato mozioni sul rispetto dello Stato di diritto in alcuni Paesi.
  In proposito, segnala che la relazione di accompagnamento afferma che il nuovo quadro «non si pone in alternativa ai meccanismi dell'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea, bensì li precede e integra».
  Rileva che tale chiarimento appare tanto più opportuno in considerazione del fatto che sulla comunicazione è intervenuto, il 27 maggio 2014, il Servizio giuridico del Consiglio dell'Unione europea che ha adottato un parere secondo il quale il meccanismo delineato dalla Commissione non sarebbe conforme al principio di attribuzione di competenze contenuto nell'articolo 5 del TUE (Trattato sull'Unione europea).
  Tale articolo prevede che la delimitazione delle competenze dell'Unione si fondi sul principio di attribuzione, in virtù del quale l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti, mentre qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri.
  In particolare, ricorda che, secondo il parere, l'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea non conferisce alcuna competenza materiale all'Unione, ma, analogamente alle disposizioni della Carta, si limita ad elencare alcuni valori che dovrebbero essere rispettati dalle Istituzioni dell'Unione e dai suoi Stati membri.
  Pertanto, una violazione dei valori dell'Unione, tra cui lo Stato di diritto, può essere invocata dalle Istituzioni dell'UE contro uno Stato membro solo quando esse agiscono in una materia per la quale l'Unione ha competenza sulla base di specifiche disposizioni del Trattato.
  Il parere afferma che l'articolo del TUE non consente ulteriori sviluppi sul piano procedurale rispetto a quanto già esplicitamente previsto dalla medesima disposizione.
  Da ultimo, nel parere si prospetta una soluzione compatibile con i Trattati volta a rafforzare il controllo del rispetto dello Stato di diritto, come tale, da parte degli Stati membri: gli Stati membri stessi – e non il Consiglio – potrebbero accordarsi su un sistema di monitoraggio del funzionamento dello Stato di diritto al loro interno, che consenta se necessario la partecipazione della Commissione e di altre Istituzioni UE, nonché sulle conseguenze che gli Stati membri stessi dovrebbero impegnarsi a trarre da tale monitoraggio; tale accordo non dovrebbe incidere sulla possibilità per l'Unione di utilizzare i poteri di cui all'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea e agli articoli 258, 259 e 260 del TFUE
  Ritiene, tuttavia, evidente che tale ultima proposta si collocherebbe al di fuori del quadro giuridico dell'UE, e non solo del diritto primario, essendo affidata allo strumento dell'accordo internazionale.
  In considerazione dell'oggettiva importanza della materia trattata e del rilievo che alla stessa intende attribuire il Governo italiano nell'ambito del Semestre di Presidenza del Consiglio dell'UE, appare indispensabile chiarire la natura e le caratteristiche della procedura delineata nella comunicazione della Commissione. Pag. 21
  Ove si confermasse che essa, come prospettato in precedenza, ha una valenza essenzialmente endoprocedimentale per la disciplina dell'attività prodromica all'attivazione della proposta ex articolo 7 TUE da parte della Commissione, è evidente, a suo avviso, che i rilievi avanzati dovrebbero ritenersi superati.
  Sottolinea che l'obiettivo di più efficaci procedure di monitoraggio e controllo del rispetto dei diritti fondamentali è talmente importante da indurre tutti coloro che credono nella necessità di preservare il valore dell'esperienza europea in materia a fare il possibile per superare eventuali ostacoli e equivoci.

  Roberta AGOSTINI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.