CAMERA DEI DEPUTATI
Lunedì 10 febbraio 2014
176.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa
COMUNICATO

TESTO AGGIORNATO ALL'11 FEBBRAIO 2014

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DENUNCE CONCERNENTI I REATI DI CUI ALL'ARTICOLO 90 COST.

  Lunedì 10 febbraio 2014. — Presidenza del Presidente Ignazio LA RUSSA, indi del Vicepresidente Antonio LEONE.

  La seduta comincia alle 11.10.

  Ignazio LA RUSSA, ricorda che nella scorsa seduta il Comitato aveva deliberato di non svolgere i lavori in seduta segreta, come pure è previsto in via ordinaria dall'articolo 5 del Regolamento parlamentare per i procedimenti d'accusa, ma di assicurarne la pubblicità, anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso, per l'intera fase della discussione generale. Ne dispone pertanto l'attivazione.
  Informa che il Gruppo del M5S ha fatto presente che tale modalità di pubblicità non garantisce una piena conoscibilità dei lavori del Comitato. Invita pertanto gli uffici a verificare le modalità tecniche di questo tipo di trasmissione, segnalando l'esigenza che la visione dei lavori possa essere effettivamente fruibile e che la stessa sia consentita anche a soggetti, in numero limitato, indicati dai Gruppi parlamentari.

  Il deputato Dalila NESCI (M5S), intervenendo sull'ordine dei lavori, ribadisce la richiesta già formulata nella scorsa seduta di garantire la pubblicità dei lavori attraverso idonei strumenti quali la trasmissione televisiva sul canale satellitare e quella sulla web-tv dal momento che gli impianti audiovisivi a circuito chiuso non appaiono sufficienti a garantire la trasparenza e la piena conoscibilità dei lavori del Comitato.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, ritiene opportuno che il Comitato, ancorché si fosse già espresso sul punto nella precedente seduta, sia chiamato a deliberare sulla richiesta avanzata dalla collega Nesci di pubblicità dei lavori mediante trasmissione sul canale satellitare e sulla web-tv della Camera.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato respinge a maggioranza la proposta che la pubblicità dei lavori sia assicurata mediante trasmissione sul canale satellitare e sulla web-tv della Camera.

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  Ignazio LA RUSSA, presidente, avverte quindi che la pubblicità dei lavori sarà assicurata, oltre che dal resoconto sommario della seduta, anche dalla trasmissione degli stessi attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Seguito dell'esame degli atti di denuncia trasmessi dal deputato D'Incà e dal senatore Santangelo.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, avverte che i senatori Carlo Giovanardi e Giacomo Caliendo, impossibilitati a prendere parte alla seduta odierna del Comitato, sono sostituiti, rispettivamente, dai senatori Luigi Compagna ed Andrea Mandelli, ai sensi dell'articolo 3 del Regolamento parlamentare per i procedimenti d'accusa.

  Il deputato Domenico ROSSI (PI), intervenendo sull'ordine dei lavori, chiede chiarimenti circa l'organizzazione della fase di discussione generale, e in particolare, se in questa fase potrà intervenire un solo rappresentate per Gruppo. Ciò è rilevante, dal momento che il senatore Crimi, nella precedente riunione, aveva preannunziato la presentazione di ulteriore documentazione: in questa ipotesi, i Gruppi che fossero già intervenuti non avrebbero la possibilità di esprimere le proprie valutazioni sulle nuove argomentazioni proposte.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, fa presente che in questa fase potranno intervenire tutti i deputati e i senatori che si siano iscritti a parlare, e quindi anche più di un componente per ciascun Gruppo. Peraltro, sulla base delle norme regolamentari ordinarie, non può ammettersi la possibilità di ulteriori interventi per i colleghi che abbiano già preso la parola nella discussione generale. Nondimeno, eventuali considerazioni integrative e ulteriori valutazioni potranno essere espresse nella fase delle dichiarazioni di voto.

  Il senatore Vito Claudio CRIMI (M5S) comunica che consegnerà agli uffici un documento di supporto alla denuncia per la messa in stato d'accusa e passa ad illustrare le ragioni della denuncia presentata dal Movimento 5 Stelle.
  A suo avviso, la storia politica degli ultimi anni mette in evidenza come il Presidente Napolitano abbia posto in essere una serie di comportamenti ed omissioni che, in aperta violazione della Costituzione, hanno determinato uno snaturamento della forma di governo parlamentare e, anche per l'estrema debolezza del sistema politico italiano, una torsione in senso presidenzialistico della forma di Stato. Passa quindi ad illustrare il titolo dell'atto di denuncia relativo all'esercizio del potere di grazia, preannunziando che l'illustrazione degli altri titoli sarà svolta dagli altri rappresentanti del suo gruppo.
  Osserva come la concessione della grazia da parte del Presidente Napolitano sia avvenuta in modo abusivo, senza rispetto dei limiti individuati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2006, che pure ha riconosciuto trattarsi di un potere esclusivamente presidenziale. Il Presidente Napolitano avrebbe abusato dolosamente del potere di grazia sia nel caso della condanna del direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti sia nel caso del colonnello statunitense Joseph L. Romano III: nel primo caso si è trattato di una chiara interferenza rispetto all'esercizio della funzione legislativa spettante al Parlamento, e segnatamente di una indebita pressione per la riforma dei reati afferenti alla libertà di stampa, nell'altro caso, in cui si è manifestato il chiaro intendimento di ingraziarsi un paese amico, gli Stati Uniti d'America, si potrebbe addirittura invocare la fattispecie dell'alto tradimento.
  Chiede, infine, che, se si ritiene che non vi sia nulla da nascondere, il procedimento di messa in stato d'accusa prosegua il suo iter, anche in nome del principio di trasparenza.

  Il deputato Domenico ROSSI (PI) desidera iniziare il suo intervento richiamando alcune espressioni utilizzate dal Pag. 15senatore Crimi dalle quali, a suo avviso, emerge la natura piuttosto generica e non circostanziata degli addebiti rivolti al Capo dello Stato. Infatti quando si accusa il Presidente della Repubblica di aver svolto interferenze non meglio precisate non si può certamente poi arrivare a sostenere l'esistenza, addirittura, di un disegno criminoso dolosamente perseguito dal Capo dello Stato. Nel tentativo di dibattere in modo analitico ciascun paragrafo del capo d'accusa, risulta tuttavia difficile, proprio con riferimento al primo dei paragrafi in cui esso si articola, individuare quale sia la responsabilità del Capo dello Stato di fronte ad una condotta che sembra svilupparsi interamente nell'ambito del circuito dialettico che intercorre tra Governo e Parlamento.
  Non c’è pertanto alcuna parvenza di un'ipotetica violazione degli articoli 70 e 77 della Costituzione.
  Ancor più complicato è esaminare nel merito l'atto di denuncia nella parte in cui contesta le modalità di esercizio del potere di rinvio ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, trattandosi di un'attribuzione in cui massimamente emerge la discrezionalità del Capo dello Stato, ovvero imputa al Presidente della Repubblica né delle sue responsabilità legate alle vicende che ne hanno determinato la rielezione. È consapevole che nell'attuale dibattito mediatico vengono richiamate le posizioni assunte in sede di Assemblea Costituente sul divieto di rinnovo del mandato presidenziale ma – ove si volesse affermare che sia avvenuta una violazione di legge – occorrerebbe che tale legge fosse approvata e non solo ipotizzata nell'ambito di un dibattito svolto agli albori della nostra Repubblica.
  Quanto poi alla concessione della grazia ed all'affermazione che il Presidente Napolitano abbia esercitato indebite interferenze sulla Magistratura, ritiene opportuno richiamarsi alle pronunce della Corte costituzionale n. 200 del 2006 e n. 1 del 2013, che legittimano pienamente ogni azione posta in essere dal Capo dello Stato.
  Conclusivamente evidenzia che ogni forma di responsabilità penale presuppone una natura dolosa dei comportamenti, che in questo caso non solo non appare ma risulta assolutamente esclusa in radice.

  Il deputato Marco DI LELLO (Misto-PSI-PLI) dichiara che la lettura degli atti introduttivi di questo procedimento e, ancor più, dell'ulteriore documento integrativo prodotto nel corso della seduta odierna, conducono ad un'unica conclusione. Qualunque organo giudiziario che si trovi ad esaminarli non potrebbe che affermarne la radicale inammissibilità.
  Ritiene quindi necessario spendere solo poche parole per ciascuno dei paragrafi in cui si articola l'atto di accusa.
  Il primo punto reca denunce generiche non circostanziate. Non si indica un episodio concreto dal quale possa anche solo astrattamente ipotizzarsi un abuso delle funzioni presidenziali. È altresì affermato agli atti che il Presidente avrebbe avallato la reiterazione di decreti-legge non convertiti come da ultimo, il cosiddetto «salva-Roma», senza tenere conto delle profonde differenze di contenuto del provvedimento urgente attualmente in esame al Senato, rispetto a quello esaminato lo scorso anno.
  Manifestamente infondata è sicuramente l'accusa di aver svolto il suo ruolo di stimolo del potere legislativo in modo esorbitante dal ruolo che gli riconosce l'articolo 87 della Costituzione.
  Quanto al mancato rinvio di alcune leggi, è semplicemente il caso di ricordare che il nostro sistema costituzionale prevede diversi filtri di controllo sulla legalità degli atti, anche legislativi, e quello centrale è affidato non certo alla Presidenza della Repubblica, ma alla Corte costituzionale. Ritiene addirittura surreale la censura sulla rielezione del Presidente Napolitano, tanto più che viene mossa da parlamentari che erano presenti in quei giorni e che dunque ben conoscono le forti pressioni che ampia parte delle forze politiche hanno effettuato per convincere il Presidente uscente.Pag. 16
  Occorre altresì ribadire i principi enunciati dalla Corte costituzionale in materia di concessione della grazia. Essa costituisce esercizio di un potere insindacabile, che non richiede nemmeno una esplicita motivazione che invece, proprio in ossequio alle esigenze di trasparenza, il Presidente della Repubblica ha voluto rendere nota all'opinione pubblica.
  Quanto all'ultimo punto, ad escludere del tutto ogni illecita pressione sugli organi della Magistratura è la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 2013, nella quale, peraltro, ben si descrivono natura e caratteristiche peculiari della funzione presidenziale.
  Conclusivamente ogni condotta richiamata nell'atto di denuncia è sicuramente qualificabile come esercizio di un diritto/dovere della più alta Magistratura della Repubblica. Deve invece ancora una volta prendere atto dell'uso strumentale di una denuncia ai sensi dell'articolo 90 della Costituzione della quale auspica una rapida archiviazione.

  Il senatore Benedetto DELLA VEDOVA (SCpI) ritiene che, a suo avviso, dovrebbe essere rapidamente archiviata la denuncia presentata dai parlamentari del Movimento 5 Stelle contro il Capo dello Stato, in considerazione del fatto che gli addebiti mossi rappresentano strumenti di mera polemica politica. Infatti, gli atti e i comportamenti tenuti dal Capo dello Stato, che costituiscono oggetto delle censure, rientrano nell'ambito delle funzioni e delle prerogative a lui attribuite. In questo ambito ritiene di poter evidenziare la profonda differenza che intercorre con la discussione riferita all'allora Presidente Cossiga, che riguardava quasi esclusivamente l'esercizio di attività – quali le esternazioni presidenziali – che non costituiscono esercizio tipico della funzione presidenziale.
  Si sofferma quindi sulla parte dell'intervento del senatore Crimi che chiama in causa la presunta indebita ed illegittima interferenza rispetto all'autonomia della Camera dei deputati, con riferimento alla grave rottura politica avvenuta nel 2010 all'interno della maggioranza parlamentare, con conseguente calendarizzazione della mozione di sfiducia. Essendo stato testimone di questa particolare circostanza storica ritiene che nulla possa essere imputato al Presidente della Repubblica.
  Nell'evidenziare infine come la torsione presidenzialistica denunciata dal Movimento 5 Stelle sia oggetto di ampio dibattito, ribadisce il proprio convincimento sulla esigenza di una rapida archiviazione affinché il procedimento per la messa in stato d'accusa del Capo dello Stato non sia snaturato, diventando strumento di lotta politica, utilizzato soltanto per rivalersi su un Capo dello Stato sgradito politicamente.

  Il deputato Daniele FARINA (SEL) dichiara di aver prestato molta attenzione all'iniziativa in discussione, anche in considerazione delle richieste pervenute in via telematica da molti attivisti. Ha quindi esaminato i precedenti parlamentari confrontandoli anche con quanto avviene in ordinamenti stranieri, soprattutto in quelli di common law che hanno visto sorgere l'istituto dell’impeachment.
  Ritiene apprezzabile il tentativo, con il deposito dell'odierna memoria, di integrare l'assai fragile esposto originario. È dell'avviso che sia difficile identificare un'avvenuta violazione, anche ove si ricorresse a un'interpretazione estensiva della norma di cui all'articolo 90 della Costituzione, in quanto i fatti asseritamente illeciti costituiscono piuttosto l'esercizio di prerogative attribuite al Presidente della Repubblica dall'ordinamento costituzionale.
  Neppure le integrazioni contenute nell'odierna memoria modificano questo suo giudizio. Ritiene comunque meritevole di particolare attenzione il punto 4 dell'odierna memoria, concernente l'esautoramento del Parlamento in occasione della guerra in Libia, che va letto alla luce del significato che nei diversi periodi storici viene attribuito all'articolo 11 della Costituzione, il quale sarebbe meritevole di uno specifico approfondimento; nota tuttavia che gli eventi di cui si tratta non coinvolgono Pag. 17specificamente le attribuzioni del Presidente della Repubblica, bensì che sussistono in merito delle corresponsabilità parlamentari.
  Conclude, dunque, che in mancanza di nuovi, ulteriori elementi, la denuncia è da ritenere manifestamente infondata.

  Il deputato Antonio LEONE (NCD) richiama l'attenzione dei colleghi sul delicato ruolo di questo organo. Questa è la sede – o almeno dovrebbe esserlo – in cui confrontarsi su un tema delicato e di fondamentale importanza per il sistema costituzionale, che prevede controlli reciproci di ciascun potere dello Stato, nonché il luogo dove attivare un rimedio al più grave dei fattori patologici della dinamica istituzionale: il caso in cui il Presidente della Repubblica ponga in essere comportamenti tali da indurre ad ipotizzare la sussistenza di responsabilità penali del Capo dello Stato.
  Nonostante ciascun membro di questo organo sia stato oggetto di garbate pressioni, deve essere chiaro che l'unico oggetto dei lavori del Comitato è esclusivamente la corretta applicazione degli articoli 89 e articolo 90 della Costituzione, che escludono ogni responsabilità politica e giuridica per il Capo dello Stato, nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per fattispecie penali di inimmaginabile gravità, quali l'alto tradimento e l'attentato alla Costituzione.
  Nel caso di specie, invece il Comitato discute di un documento che, a tutto concedere, reca critiche politiche all'operato del Presidente Napolitano, senza addurre alcuna reale motivazione su cui radicare una responsabilità penale del Presidente.
  Addirittura, lo si accusa di essere stato rieletto una seconda volta, imputandogli quindi la responsabilità di una decisione assunta a larga maggioranza dal Parlamento in seduta comune e non certo da lui in prima persona.
  Così come si imputa a Napolitano di aver cercato di richiamare la Magistratura ai suoi doveri di assumere comportamenti coerenti nell'esercizio del potere inquirente; richiami di cui, a mio avviso, ci sarebbe ancor più bisogno.
  Siamo quindi di fronte ad un'iniziativa propagandistica, che mal si concilia con il rispetto delle istituzioni, a cominciare dalla funzione di questo organo parlamentare. Non si individua, in nessuno dei sei paragrafi in cui si articola la denuncia, la descrizione di un fattore costitutivo delle ipotesi di reato di alto tradimento o l'attentato alla Costituzione.
  Rifacendosi alla costante giurisprudenza del Comitato, a partire dal caso Cossiga, ricorda come sia necessario, ai fini della loro rilevanza nel giudizio, che – nel rispetto dell'articolo 25 della Costituzione, ossia del principio di legalità e tassatività nel diritto penale – le fattispecie imputate al Presidente della Repubblica con l'atto di denuncia siano riconducibili a ipotesi di reato previste da norme di diritto penale comune o militare. Dunque, non può considerarsi sufficiente il mero addebito di comportamenti o intenzioni che non si configurino in astratto come reati, ma piuttosto come scelte discrezionali nell'esercizio di funzioni costituzionalmente riconosciute al Capo dello Stato.
  Diversamente, si finirebbe per introdurre una sorta di permanente processo politico-giudiziario, una sorta di permanente «tribunale politico», sul modo in cui ciascun Presidente della Repubblica esercita le sue prerogative di massima carica dello Stato, anche nelle relazioni con altri organi e poteri. Ciò in barba a quel fondamentale principio di equilibrio fra i poteri dello Stato, fortemente voluto dai padri costituenti ed alla base di ogni sistema democratico.
  Poste queste considerazioni introduttive, sembra evidente che nel caso di specie difettino ictu oculi i presupposti per l'esercizio dell'azione penale in ordine ai reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, il che rende superfluo il compimento di ogni attività d'indagine. Tale giudizio si rafforza esaminando i singoli paragrafi dell'atto di accusa.Pag. 18
  Quanto all'addebito di cui al punto 1, esso potrebbe tuttalpiù essere considerata una critica politica all'operato del Governo o, per meglio dire, dei Governi e delle forze politiche che siedono in Parlamento e che rappresentano i cittadini, ivi compresi i colleghi del MoVimento 5 Stelle che non sono certo sottratti a questa responsabilità, posto che di riforme non sembra vogliano sentir parlare.
  Altrettanto infondato appare l'accusa di cui al punto 2, in cui si ignora un assunto consolidato in letteratura e nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, ovvero la funzione di stimolo nei confronti di altri poteri del Presidente della Repubblica, nonché il suo «potere di persuasione», essenzialmente composto di attività informali.
  Analoga considerazione può essere formulata con riguardo al punto 3. Invita ad immaginare cosa avrebbero detto i colleghi del Movimento 5 Stelle se il Presidente, invece di utilizzare questo delicato potere in modo discreto e rispettoso della volontà espressa dal Parlamento, come ha sempre fatto, avesse fatto invece – o facesse – un uso massiccio del potere di non promulgare le leggi approvate dalle Camere.
  Richiamando le valutazioni già svolte in ordine all'accusa risibile recata al punto 4, si sofferma sul paragrafo 5 dell'atto di denuncia. La sua palese infondatezza discende dalla ricostruzione sistematica dell'istituto della grazia presidenziale delineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2006, che ha ribadito l'ampio margine di discrezionalità delle scelte del Capo dello Stato. E ciò al di là del fatto che, nei due casi di concessione della grazia citati, risultava l'avviso favorevole del Governo.
  Infine, il paragrafo 6 ripete un'accusa – come già evidenziato dal Presidente La Russa – su cui il Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa ha già avuto modo, nella scorsa legislatura, di discutere, esprimendosi all'unanimità per la manifesta infondatezza della denuncia. Né si comprende quale abuso abbia compiuto il Presidente della Repubblica nell'elevazione di un conflitto di attribuzione che la stessa Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile ed anzi fondato.
  Infine, per quanto riguarda l'addebito relativo all'intenzione di sottrarsi alla prova testimoniale – prima ancora di valutarne la rilevanza – si può evidenziare come non corrisponda alla realtà dei fatti, come si desume agevolmente dal contenuto della nota del Quirinale del 31 ottobre 2013.
  Conclusivamente riafferma l'insussistenza di qualsiasi presupposto per l'esercizio dell'azione penale in ordine ai reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, ovvero per lo svolgimento di indagini o di approfondimenti su un atto erroneamente qualificato di denuncia ma che in realtà è solo un pamphlet politico contro il Capo dello Stato, oltretutto poco ragionato, poco circostanziato e impregnato di pregiudizi.

  Il deputato Dalila NESCI (M5S) ribadisce come la denuncia presentata dai gruppi parlamentari del MoVimento 5 Stelle sia fondata su una serie di comportamenti posti in essere dal Presidente della Repubblica che hanno dimostrato la sua insofferenza verso il Parlamento, non riconoscendolo come soggetto depositario della sovranità popolare.
  A suo avviso, l'abusivo esercizio dei poteri presidenziali per finalità difformi da quelle previste dall'ordinamento ha inferto una ferita all'equilibrio dei poteri dello Stato.
  Evidenzia, infatti, che il Presidente Napolitano ha di fatto intimidito gli altri poteri dello Stato, tentando soprattutto di interferire con talune indagini della Magistratura: rammenta, a tale proposito, le vicende connesse alle intercettazioni delle comunicazioni del senatore Nicola Mancino. In quell'occasione si è registrato un comportamento ben diverso del Capo dello Stato rispetto a quanto avvenuto in precedenza, con riguardo ad intercettazioni dell'aprile 2009 depositate dalle procure di Firenze e di Perugia.
  Pone all'attenzione dei colleghi le forzature e le pressioni che, a suo dire, il Pag. 19Presidente ha compiuto al fine di far approvare una riforma in deroga all'articolo 138 della Costituzione.
  Inoltre, esprime l'avviso secondo cui negli ultimi due anni il Presidente della Repubblica abbia coartato le forze politiche dichiarando la propria indisponibilità a sciogliere le Camere dopo la nomina di Mario Monti a senatore a vita, assumendo a partire da questo atto la guida sostanziale del potere esecutivo, esorbitando dunque dalle proprie attribuzioni costituzionali. A ciò si aggiunga come, dopo le elezioni politiche del 2013, il Presidente sia stato rieletto, consolidando una torsione presidenzialistica della forma di Governo, che si è sostanziata con l'imposizione al Parlamento di un Esecutivo a guida Letta, in barba alla volontà popolare.
  Gli ultimi due episodi citati, pur essendo formalmente espressione di una prerogativa attribuita al Presidente della Repubblica, sostanziano tuttavia un'ipotesi di reato di attentato alla Costituzione, che si è realizzato appunto nell'aver imposto al Parlamento ben due Governi e nella dichiarata indisponibilità a sciogliere le Camere.
  Ricorda che uno dei capi d'accusa riguarda l'aver incalzato il Parlamento ad approvare un disegno di legge governativo, presentato alle Camere il 10 giugno 2013 il cui contenuto è contrario agli articoli 138 e 72 della Costituzione, minando con ciò la rigidità non solo della seconda parte della Costituzione, ma anche dei principi recati nella prima parte della Carta stessa.
  Richiama poi le argomentazioni di illustri costituzionalisti, fra cui Stefano Rodotà, in merito all'illegittimità di un progetto di legge costituzionale derogatorio dell'articolo 138 della Carta, ritenuto portatore di un limite al processo di revisione costituzionale.
  Infine richiama anche quanto osservato dal costituzionalista Alessandro Pace il quale, nel corso di un'audizione presso la Camera, ha individuato ben cinque profili di incostituzionalità del menzionato disegno di legge: la sua origine governativa, la potenziale modifica di più di 69 articoli della Costituzione in violazione dell'articolo 138, la composizione non proporzionale della Commissione referente in violazione dell'articolo 72, la sottoposizione a un cronoprogramma con tempi ristretti nuovamente in violazione dell'articolo 138 e infine la deroga alla procedura normale prevista dall'articolo 72 per l'esame delle leggi costituzionali.
  Chiede pertanto al Comitato di sostenere la richiesta di messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica affinché le accuse mossegli siano valutate da un tribunale non politico, quale la Corte costituzionale.

  Il senatore Maurizio BUCCARELLA (M5S) evidenzia, in merito al dibattito dottrinario concernente la configurazione della responsabilità del Presidente della Repubblica, che si confrontano in letteratura essenzialmente due tesi. A suo avviso, la citata tesi «penalistica» – volta a ricondurre la fattispecie di attentato alla Costituzione a quella prevista dall'articolo 283 del codice penale – risulta non condivisibile e comunque superata, anche alla luce della circostanza che nel 2006 la disposizione codicistica in questione è stata modificata attraverso l'introduzione del requisito degli «atti violenti», difficilmente configurabile rispetto a un Presidente della Repubblica. Più convincente risulta invece la tesi «intermedia» sostenuta anche da autorevole dottrina alla stregua della quale l'ambito di operatività dell'articolo 90 della Costituzione risulta più ampio rispetto a quello meramente penalistico.
  Rispetto alla problematica relativa alla seconda elezione del Presidente Napolitano, va evidenziato che nel corso dei lavori dell'Assemblea Costituente la competente sottocommissione aveva in un primo tempo previsto espressamente un divieto di rielezione rispetto alla carica presidenziale, eliminato in secondo tempo in quanto, a quell'epoca, si temeva che tale disposizione potesse essere applicata a De Nicola, determinando una confusione sul ruolo di quest'ultimo, il quale rivestiva la carica di Capo provvisorio dello Stato.Pag. 20
  La rielezione del Capo dello Stato – che non a caso non si era mai verificata nella prassi – appare inoltre incompatibile con la disciplina relativa al cosiddetto «semestre bianco», la cui ratio affonda le radici proprio nella ineleggibilità del Presidente uscente. Ricorda altresì che, ove si ritenesse legittimo la conferma del mandato, si darebbe luogo ad una presidenza lunga potenzialmente ben quattordici anni.
  Pertanto, a suo avviso, deve concludersi nel senso che il Presidente Napolitano ha assunto una serie di comportamenti illeciti volti a determinare il passaggio a una repubblica presidenziale.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, al fine di organizzare il prosieguo dei lavori, avverte che la seduta sarà brevemente sospesa al termine del successivo intervento.

  Alessio TACCONI (M5S) dichiara di rinunciare al suo intervento.

  Il deputato Anna ROSSOMANDO (PD) ritiene che sia opportuno svolgere una premessa di metodo. Cogliendo la provocazione dei colleghi del MoVimento 5 Stelle, precisa che l'obiettivo della odierna discussione non è solo quello di soddisfare la voglia di conoscere, ma anche e soprattutto la voglia di capire l'oggetto del dibattito.
  Venendo al merito, dichiara di aver approfondito i contenuti della denuncia che, a suo avviso, rivelano una concezione illiberale. Infatti, si intende portare in una sede giurisdizionale una richiesta che invece è meramente politica, tentando con ciò di affidare alla giurisdizione la soluzione di nodi che appartengono al dibattito politico.
  Aggiunge che l'uso strumentale di questa denuncia è stato stigmatizzato anche dal costituzionalista Stefano Rodotà, come si desume da notizie riportate da un'agenzia di stampa dello scorso 31 gennaio.
  Parlando in termini generali di responsabilità presidenziale, rileva che l'articolo 90 non appare comunque applicabile a condotte non costituenti reato e che la discussione non verte sull'opportunità di scelte politiche, ma sull'eventuale sussistenza di elementi della fattispecie di un reato. Rammenta che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2013, ha nuovamente ribadito quale sia la figura del Presidente della Repubblica nel nostro ordinamento costituzionale. Ma soprattutto, nella citata sentenza, viene evidenziato il metodo ermeneutico, secondo cui ciascuna norma costituzionale va letta in ottica sistemica.
  In estrema sintesi, la pronuncia della Corte costituzionale chiarisce che il Presidente della Repubblica è organo di garanzia e cioè organo di equilibrio e di moderazione, in un quadro in cui la Costituzione è, sì, rigida, ma anche programmatica; la denuncia, invece, vede – nell'ottica ormai superata di Benjamin Constant, riferita al monarca –, il Presidente della Repubblica come un potere neutro che difende l'esistente, mentre le trasformazioni sono operate dalla società. Oggi, invece, la funzione di garanzia non è intesa quale mera neutralità bensì, appunto, come funzione di equilibrio e moderazione nell'attuazione di una Costituzione che, come ha già sottolineato, reca anche un contenuto programmatico. In questo senso, il Presidente della Repubblica è un «interpotere», in quanto partecipe di tutti di diversi poteri dello Stato.
  In questa chiave, a suo avviso, vanno lette sia le prerogative presidenziali sia le iniziative e gli avvenimenti di cui si discute. Evidenzia infatti che nel nostro ordinamento il Presidente non ha un ruolo di decisione, bensì di persuasione, laddove la ricostruzione della sua figura che emerge dalla denuncia sembra vederlo proprio come un decisore: ciò emerge, ad esempio, nella censura relativa al mancato uso del potere di rinvio. A tale proposito, evidenzia che la presenza di due organi distinti (Presidente e Corte costituzionale) implica la diversità delle rispettive funzioni nel vaglio di costituzionalità, e infatti sarebbe assurdo che ad ogni dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte Pag. 21costituzionale conseguisse un'accusa di attentato alla Costituzione per il Capo dello Stato.
  Venendo agli altri elementi contenuti nella denuncia, intende svolgerne un esame analitico.
  Circa il punto primo, relativo all'espropriazione della funzione legislativa, non si vede quale sia la condotta imputabile al Capo dello Stato, il quale fra l'altro ha richiamato più volte le forze politiche a invertire la rotta sugli eccessi della decretazione d'urgenza, che semmai si manifesta come elemento problematico nei rapporti fra Parlamento e Governo.
  Circa il punto secondo, concernente la riforma costituzionale, va rammentato quanto già detto circa la natura programmatica della Costituzione e il ruolo del Presidente della Repubblica di garanzia, di equilibrio e di moderazione del sistema.
  Quanto al terzo punto, ribadisce la differenza di funzioni fra il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale e rammenta che, al contrario, sarebbe eventualmente censurabile l'uso eccessivo del potere di rinvio.
  Quanto al punto quarto, ribadisce che la rielezione, chiesta a gran voce dalle forze politiche, si è sostanziata in un atto esclusivamente imputabile al Parlamento in seduta comune. Ricorda peraltro le critiche mosse a suo tempo circa le lungaggini nel procedimento di elezione e invita a riflettere coloro che si fecero promotori di queste critiche su quanto sia delicato quel passaggio istituzionale, che richiede pertanto una scelta meditata.
  Quanto al punto quinto invita a una lettura non parziale della sentenza costituzionale n. 200 del 2006, la quale nasceva da un conflitto con l'allora Guardasigilli e ribadiva la natura pienamente presidenziale del potere di grazia. Desidera altresì precisare che, in relazione alla concessione della grazia per il giornalista Sallusti, l'esecuzione della pena era comunque cominciata.
  Infine, quanto all'ultimo punto, nel rinviare alla nota resa pubblica del Segretariato generale della Presidenza in relazione a quello specifico caso, pone in luce come il Capo dello Stato, nella sua veste di Presidente del Consiglio superiore della magistratura, ben può interloquire con i vertici del potere giudiziario in merito al buon andamento della funzione giurisdizionale. Ribadisce come il relativo conflitto di attribuzioni sia stato giudicato ammissibile e fondato dalla Corte costituzionale, la quale ha così risolto una questione che non poteva restare lungamente sospesa.
  Conclude dunque evidenziando la manifesta infondatezza della denuncia in esame.

  La seduta, sospesa alle 13.25, è ripresa alle 14.

  Il deputato Dalila NESCI (M5S), intervenendo sull'ordine dei lavori, fa presente che i deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle hanno testé appreso le clamorose rivelazioni pubblicate oggi dal Corriere della Sera in merito a contatti che, nell'estate del 2011, il Presidente Napolitano avrebbe avuto con il professor Mario Monti, allo scopo di pervenire alla sostituzione del presidente del Consiglio Berlusconi, cosa che poi è effettivamente avvenuta nel novembre 2011. Questi avvenimenti sono stati rivelati dall'ingegner Carlo De Benedetti, che risulta iscritto al Partito Democratico, in un articolo che anticipa i contenuti di un libro di prossima pubblicazione e che chiede sia acquisito agli atti.
  Propone, pertanto, di sospendere i lavori del Comitato per compiere i necessari approfondimenti sulla vicenda.

  Antonio LEONE, Vicepresidente, fa presente che in questa fase non è possibile procedere all'acquisizione agli atti di articoli di stampa né è possibile sospendere i lavori del Comitato sulla base di indiscrezioni di stampa. Fa presente, del resto, che oggi non è prevista alcuna deliberazione di merito da parte del Comitato e che, pertanto, non vi è alcuna preclusione rispetto al fatto che argomentazioni e valutazioni integrative possano essere Pag. 22svolte nell'ulteriore corso dei lavori del Comitato medesimo.

  Il deputato Franco VAZIO (PD) concorda con l'orientamento esposto dal vicepresidente Leone. È infatti evidente che in questa fase il Comitato sta esaminando due denunzie: non vi sono preclusioni rispetto a possibili argomentazioni aggiuntive, ma non possono certo introdursi ulteriori capi di accusa.

  Il senatore Vito Claudio CRIMI (M5S) fa presente che non si sta parlando di indiscrezioni di stampa ma di un video, pubblicato sul sito on line del Corriere della Sera nel quale Carlo De Benedetti e Romano Prodi affermano che – già dall'estate 2011 – il Presidente Napolitano aveva chiesto a Mario Monti la sua disponibilità ad assumere la carica di presidente del Consiglio dei ministri. Tali dichiarazioni non costituiscono, dunque, nuovi capi d'accusa, ma confermano e integrano le accuse già contenute nelle denunzie presentate dal gruppo MoVimento 5 Stelle.

  Il senatore Mario Michele GIARRUSSO (M5S) osserva che il Comitato può attivarsi per compiere gli accertamenti che si ritengano più opportuni. Pertanto, qualora non si ritenesse opportuno sospendere i lavori, si potrebbero comunque convocare De Benedetti e Prodi per acquisire da essi i necessari elementi di informazione in audizione.

  Antonio LEONE, Vicepresidente, fa presente che quelli prospettati dai colleghi testé intervenuti costituiscono veri e propri atti di indagine che fanno parte di una fase successiva a quella in cui sta operando il Comitato, che non ha ancora assunto alcuna deliberazione in merito alla fondatezza o meno delle denunzie presentate nei confronti del Capo dello Stato.

  Il deputato Anna ROSSOMANDO (PD) osserva che la discussione generale costituisce una fase preliminare finalizzata a valutare la fondatezza o l'infondatezza ictu oculi delle accuse contenute nelle denunzie presentate. In questa prospettiva non si possono introdurre ad libitum nuovi elementi di accusa né, d'altra parte, sospendere l'esame delle denunzie originarie: questo costituisce per tutti una garanzia di correttezza del procedimento.

  Il senatore Enrico BUEMI (Aut (SVP, UP, PATT, UPT)-PSI-MAIE) osserva che il compito del Comitato è valutare gli aspetti giuridici dei comportamenti del Capo dello Stato e non effettuare una valutazione politica degli stessi. Il fatto che il Presidente della Repubblica abbia ritenuto di consultare o abbia avuto contatti con determinati soggetti rientra nel suo ruolo istituzionale. Il Comitato deve, pertanto, concentrare il proprio esame sui fatti oggetto delle denunzie presentate e sulla loro eventuale rilevanza rispetto a quanto prevede l'articolo 90 della Costituzione ai fini della messa in stato di accusa del Capo dello Stato.

  Il senatore Mario Michele GIARRUSSO (M5S), richiamando le parole della onorevole Rossomando pronunciate in discussione generale, rileva che per capire bisogna sapere. Il Presidente Napolitano, parlando pochi giorni fa a Strasburgo, ha osservato che la nomina di Monti a Presidente del Consiglio era frutto di indicazioni che gli erano pervenute dai partiti politici. Emerge oggi che, invece, era lui ad aver suggerito quel nome ai partiti. Il Presidente Napolitano ha dunque mentito e, se fossimo in un Paese come gli Stati Uniti, già questo sarebbe sufficiente per l’impeachment del Capo dello Stato.
  Ribadisce, dunque, la richiesta di sospensione dei lavori del Comitato e, in subordine, l'acquisizione in sede di Comitato delle dichiarazioni di Carlo De Benedetti e Romano Prodi.

  Il senatore Lucio MALAN (FI-PdL-XVII) fa presente che la proposta di sospendere i lavori del Comitato per valutare con attenzione le dichiarazioni riportate oggi dal Corriere della sera risulta assolutamente Pag. 23ragionevole. Infatti, l'elemento di novità che esse rappresentano è senza alcun dubbio molto forte. Se il Comitato decidesse di proseguire i propri lavori senza svolgere un approfondimento su questi importanti elementi di novità, non sarebbe comunque in condizione di chiudere l'esame delle denunzie: pertanto, o il Comitato decide di approfondire la vicenda adesso, oppure dovrà comunque farlo prima deliberare.

  Il senatore Giuseppe Luigi Salvatore CUCCA (PD), notando il singolare tempismo degli articoli apparsi oggi sul Corriere della sera, osserva che, per essere rilevanti, i comportamenti addebitati al Presidente della Repubblica devono integrare le fattispecie di alto tradimento e attentato alla Costituzione. I fatti di cui si sta parlando adesso non sono certo configurabili in questo senso. Pertanto, il Comitato deve proseguire nella discussione generale.

  Antonio LEONE, Vicepresidente, fa presente che occorre ricondurre la questione sollevata dai colleghi del MoVimento 5 Stelle nell'alveo delle procedure che disciplinano l'attività del Comitato. Le dichiarazioni della collega Nesci risultano comunque agli atti della seduta odierna, mentre un atto di indagine dovrebbe essere oggetto di un'apposita deliberazione da parte del Comitato medesimo.

  Il senatore Doris LO MORO (PD) rivendica la delicatezza dei compiti che il Comitato è chiamato a svolgere. Giudica eversivo che dall'esterno si possa tentare di influire sull'agenda dei lavori del Comitato.

  Il deputato Gianfranco Giovanni CHIARELLI (FI-PdL) ricorda che anche il gruppo di Forza Italia ha avanzato una richiesta di sospensione. Vi sono, infatti, nuove verità emerse attraverso notizie di stampa, nonché la memoria presentata oggi dai colleghi del MoVimento 5 Stelle, che richiedono un adeguato approfondimento.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, si scusa preliminarmente per essere giunto solo ora: si tratta, peraltro, di una giornata molto intensa, nella quale – oltre all'impegno del Comitato – ricorre il ricordo delle foibe, al quale vorrebbe associare anche il Comitato medesimo, ed è stata ufficializzata l'imputazione di terrorismo ai due fucilieri di marina trattenuti in India.
  Fa presente che l'intesa raggiunta in Ufficio di Presidenza di giovedì 6 febbraio prevede che la discussione generale prosegua nella seduta odierna sino alla sua conclusione. In una prossima seduta, dopo la presentazione di una proposta di deliberazione, si svolgerà il dibattito con le dichiarazioni di voto. Ovviamente, nulla esclude che possano essere presentate anche nuove denunzie. Sotto questo punto di vista, gli articoli odierni del Corriere della sera sono significativi, ma non possono costituire elementi decisivi.
  Preso atto che il deputato Nesci insiste nella sua richiesta, pone in votazione la proposta di sospensione dei lavori.
  Il Comitato respinge la proposta di sospendere i lavori.

  Il senatore Lucio MALAN (FI-PdL-XVII), intervento in discussione generale, osserva che l'argomento all'ordine del giorno del Comitato è certamente delicato, ma non inedito nella storia parlamentare visto che nei primi anni Novanta furono avanzate una serie di denunce – di iniziativa di singoli cittadini, oltre che di parlamentari – contro l'allora Capo dello Stato Cossiga, con conseguenti numerose sedute da parte dello stesso Comitato parlamentare.
  Nel ritenere utile l'acquisizione del contenuto integrale delle denunce che furono allora presentate, ricorda che tra gli addebiti mossi era annoverata la mancanza di imparzialità in alcuni atti compiuti dal Presidente della Repubblica, nonché il pericolo legato alla creazione di un cosiddetto partito del Presidente. Nelle denunce, inoltre, si lamentava la lesione al principio della separazione tra poteri dello Stato, oltre alla minaccia del capo dello Stato di procedere allo scioglimento del Parlamento, senza il concorso istituzionale Pag. 24di altri attori. A tale ultimo riguardo, può certamente sostenersi che anche la minaccia di non procedere allo scioglimento delle Camere può avere analoga valenza negativa.
  Al di là dei fatti indicati nelle denunce attualmente all'esame del Comitato, occorre valutare se le istituzioni abbiano rispettato le proprie ed altrui prerogative, senza un improprio esercizio dei poteri loro assegnati. In tal senso, appaiono certamente degne di approfondimento le notizie apparse oggi sugli organi di stampa in merito ai contatti che il Presidente della Repubblica avrebbe avuto con il professor Monti per sondarne la disponibilità a ricoprire l'incarico di Presidente del Consiglio, contatti che si sarebbero tenuti nell'estate del 2011, cioè qualche mese prima della nascita del governo Monti. Si potrebbe sostenere quindi che il Capo dello Stato stesse intervenendo per individuare una nuova e diversa maggioranza rispetto a quella indicata dagli elettori nel 2008. Di fronte a tale scenario, pertanto, occorre comprendere se vi sia stato o meno un tentativo del Capo dello Stato di restringere i poteri del Parlamento, attraverso la formazione di un diverso esecutivo.
  Rispetto agli addebiti contenuti nella denuncia presentata dai parlamentari del Movimento 5 Stelle, ritiene utile un approfondimento sulle presunte indebite pressioni esercitate sul Parlamento per l'approvazione di una nuova legge elettorale, nonché sul presunto atteggiamento omissivo davanti alla minaccia del Presidente del Consiglio Monti di procedere alla riforma elettorale mediante decreto-legge. Più in generale, l'articolo 87 della Costituzione attribuisce al Capo dello Stato la facoltà di inviare messaggi alle Camere, ma non contempla la possibilità di inviare messaggi che possono essere indirizzati alla nazione, né prevede che il Capo dello Stato possa interferire durante il procedimento legislativo, indicando quali emendamenti siano da approvare o respingere. A tale riguardo, ricorda le dichiarazioni rese dall'attuale Presidente della Repubblica sulla riforma della geografia giudiziaria nonostante fossero pendenti ricorsi davanti alla Corte costituzionale; analogamente, appare criticabile che lo stesso Capo dello Stato abbia fatto riferimento al cosiddetto Parlamento dei nominati, ben prima che la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 si pronunciasse sulla legge elettorale.
  Le circostanze richiamate inducono quindi a sostenere l'esigenza di un adeguato approfondimento, non potendosi di conseguenza argomentare che alcuni addebiti possano essere archiviati rapidamente per la loro manifesta infondatezza. Del resto, nell'unico precedente in qualche modo richiamabile, riferito al Presidente della Repubblica Cossiga, il procedimento svolto dal Comitato parlamentare si articolò in numerose sedute.

  Il deputato Paola CARINELLI (M5S) rileva, in primo luogo, come le notizie pubblicate oggi sugli organi di stampa non rappresentino un elemento estraneo, come affermato invece da alcuni colleghi, rispetto alla denuncia nella quale il MoVimento 5 Stelle accusa il Presidente della Repubblica di aver determinato un sostanziale stravolgimento della forma di governo, da parlamentare a presidenziale.
  Rinnova quindi la richiesta di acquisire agli atti i nuovi elementi emersi che dovranno essere attentamente esaminati prima di pervenire ad una richiesta di archiviazione.
  Si sofferma quindi sulla promulgazione da parte del Presidente della Repubblica di disegni di legge incostituzionali come il Lodo Alfano e il legittimo impedimento.
  Si domanda se i colleghi abbiano letto attentamente tutti i punti nei quali si articola la denuncia presentata dal suo gruppo, rilevando come alcuni colleghi si siano limitati ad esprimere in merito un mero giudizio politico.
  Auspica che il Comitato dedichi un congruo lasso di tempo all'esame della denuncia, ritenendo peraltro che non possa essere considerato un motivo di vanto il «liquidare» in poco tempo questioni di così grande rilevanza, a differenza Pag. 25di quanto accaduto anche nella scorsa legislatura, con riferimento a denunce presentate da privati cittadini.
  Nel rilevare che da più parti sono state mosse critiche all'operato del Presidente Napolitano, che tuttavia non sono mai sfociate in una richiesta di impeachment, ritiene che sia questa l'occasione per fare luce su alcuni punti oscuri nell'interesse dei cittadini, aprendo un'indagine sui fatti denunciati, che alla luce delle notizie odierne, risulta quanto mai opportuna.
  A suo giudizio il Presidente della Repubblica, con azioni ed omissioni, ha posto in essere una condotta volta a disegnare una nuova forma di governo e stravolgere il virtuoso equilibrio dei poteri dello Stato sapientemente costruito dai nostri Padri costituenti.
  Si sofferma, in particolare, sull'esercizio del potere presidenziale di rinvio alle Camere di cui all'articolo 74, primo comma, della Costituzione, evidenziando che Napolitano vi ha fatto ricorso una sola volta e che non ha rinviato alcuna legge varata dal Governo Berlusconi fra il 2008 e il 2011.
  Ripercorre, in particolare, la vicenda delle procedure istituzionali che hanno portato all'approvazione del Lodo Alfano nell'estate del 2008. Con la legge n. 140 del 2003, il cosiddetto Lodo Schifani, il Parlamento approvò una prima forma di immunità per le più alte cariche dello Stato. Il Tribunale di Milano sollevò la questione di legittimità costituzionale con riferimento a tale norma e la Corte ne sanzionò l'illegittimità con la sentenza n. 24 del 2004. Nel luglio 2008, il Consiglio dei ministri approvò un disegno di legge per la cui presentazione alle Camere, come è noto, è necessaria una autorizzazione presidenziale, secondo quanto disposto dall'articolo 87, quarto comma, della Costituzione.
  In concomitanza all'apposizione di tale autorizzazione, il Presidente Napolitano emise un comunicato stampa (2 luglio 2008) nel quale sostenne che a un primo esame, che competeva al Capo dello Stato in quella fase, il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri risultava corrispondere ai rilievi formulati nella sentenza della Corte costituzionale sul Lodo Schifani. Un comunicato dall'analogo tenore fu emesso in sede di promulgazione della legge nel frattempo approvata dalla Camera.
  Evidenzia come, secondo autorevole dottrina, il potere di autorizzazione alla presentazione alle Camera dei disegni di legge governativi si configuri come un mero visto presidenziale privo di qualsiasi tipo di discrezionalità. Si domanda pertanto per quale ragione il Presidente Napolitano abbia ravvisato la necessità di emanare un comunicato stampa per giustificarsi in sede di promulgazione del Lodo Alfano. Si tratta di un'anomalia che si configura come una vera e propria excusatio non petita, dalla quale si desume la piena consapevolezza da parte del Capo dello Stato dell'illegittimità costituzionale del disegno di legge in questione.
  La totale inopportunità e irritualità di tale comunicato è dovuta, inoltre, al fatto che sostenendo che il disegno di legge governativo recepiva le indicazioni della Corte, il Presidente ha tentato abusivamente di condizionare la libertà decisionale della Consulta, che poi fortunatamente lo ha smentito. In altre parole, il Presidente della Repubblica avrebbe senza scrupolo alcuno esorbitato dai poteri affidatigli dalla Carta, sostituendosi o, comunque, interferendo pesantemente con il successivo prevedibile esame della Corte costituzionale, la quale si sarebbe trovata nella condizione di vedere la sentenza già scritta dal Presidente della Repubblica ovvero smentire – così come fortunatamente accadde – le opinioni del tutto abusivamente esternate dal Capo dello Stato in un comunicato che denota una concezione debordante dei suoi poteri.
  Rileva come analoga vicenda riguarda la promulgazione della legge n. 51 del 2010 sul cosiddetto legittimo impedimento che istituiva un impedimento automatico per il Presidente del Consiglio ed i Ministri in palese violazione dell'articolo 101 della Costituzione, assoggettando l'ordine giudiziario, non ad una legge, bensì ad una circolare della Presidenza del Consiglio dei Pag. 26ministri che avrebbe dovuto comunicare insindacabilmente ai Tribunali l'impossibilità a comparire all'udienza da parte dei soggetti interessati. Considerato che sulla legittimità costituzionale di una tale previsione normativa si era già pronunciata in senso negativo la Corte costituzionale nel 2001 e nel 2009, si domanda come sia stato possibile che il Capo dello Stato promulgasse una legge palesemente incostituzionale, come attestato poi dalla Consulta nel 2011. Ritiene forse di dover avanzare l'ipotesi che sul Quirinale abbia influito la grande attenzione posta in quel momento dall'opinione pubblica sui temi in discussione. Giudica quindi opportuno che in questa sede si faccia chiarezza su tale vicenda che rappresenta una evidente violazione dell'articolo 74 della Costituzione, nonché uno dei tasselli del mosaico anticostituzionale messo in atto da Napolitano.
  Conclude citando l'esortazione rivolta alla collettività dal procuratore Borrelli, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario 2002, sul dovere di resistere al naufragio della coscienza civica e alla perdita del senso del diritto.
  Considera che compito del MoVimento 5 Stelle, in virtù dell'ampio consenso elettorale conseguito, sia quello di fare luce su tali vicende; pertanto rinnova la richiesta di aprire indagini che consentano un approfondimento istruttorio degli elementi posti a base delle denuncie.

  Il senatore Giuseppe Luigi Salvatore CUCCA (PD) evidenzia una contradditorietà intrinseca della tesi accusatoria, volta da un lato a sostenere l'indebita soggezione del Presidente Napolitano alle posizioni sostenute dall'allora Presidente del Consiglio Berlusconi (in relazione al lodo Alfano e al lodo Schifani) e dall'altro, a sostenere che lo stesso abbia tramato contro il Governo Berlusconi al fine di sostituirlo con quello guidato dal senatore Monti.
  Nel sottolineare la manifesta infondatezza dell'ipotesi accusatoria, fa presente che l'articolo 90 della Costituzione va interpretato in relazione all'articolo 89, alla stregua del quale per gli atti controfirmati dai ministri proponenti nessuna responsabilità può essere ascritta al Presidente della Repubblica.
  Rileva poi che le fattispecie di attentato alla Costituzione e di alto tradimento, come evidenzia autorevole dottrina, possono essere riscontrate solo in relazione alla violazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alla Costituzione previsto dall'articolo 91.
  Per quel che concerne il ricorso eccessivo all'uso della decretazione di urgenza evidenzia che il Presidente della Repubblica non poteva opporsi a tale prassi, atteso che il suo eventuale atteggiamento ostativo avrebbe determinato un'indebita invasione delle potestà riservate al potere esecutivo. Per quel che concerne l'accusa di aver avallato la deroga all'articolo 138, attraverso la nomina dei cosiddetti saggi, evidenzia che tale iter procedurale non si è allo stato attuale concluso e conseguentemente il fatto lamentato non si è ancora delineato.
  Per quel che concerne la supposta ingerenza del Presidente in relazione alla riforma della legge elettorale, evidenzia che tale tesi è infondata, atteso il quadro delineato recentemente dalla Corte Costituzionale in merito alla legge elettorale in vigore.
  Per quel che concerne invece l'accusa di aver promulgato leggi incostituzionali, evidenzia che il controllo presidenziale riveste carattere preventivo e astratto, essendo demandato invece alla Corte un controllo di costituzionalità successivo e concreto, sicuramente più puntuale, atteso che le violazioni della Costituzione spesso possono essere riscontrate solo in riferimento a situazioni concrete.
  Parimenti infondata è l'accusa di aver consentito la propria rielezione, atteso che tale scelta è imputabile esclusivamente al Parlamento, come pure risulta del tutto inconsistente l'accusa di aver esercitato in maniera inadeguata il potere di grazia, che rientra invece nelle prerogative presidenziali.
  Relativamente alle trattative Stato-mafia si evidenzia che la Corte Costituzionale Pag. 27ha sancito in maniera formale la piena legittimità dell'operato del Presidente Napolitano, che nel caso di specie si è attivato al solo fine di tutelare le prerogative della figura presidenziale.

  Il senatore Andrea MANDELLI (FI-PdL-XVII) in merito alla nota integrativa presentata in apertura di seduta da parte del senatore Crimi, ritiene utile soffermarsi sulla parte del documento che rievoca i fatti accaduti alla fine dell'anno 2011, laddove si attribuisce al presidente Napolitano una visione ipertrofica delle sue prerogative, volta a sostituirsi al Parlamento ed incitare l'Esecutivo all'assunzione di comportamenti anticostituzionali. Le ulteriori valutazioni critiche presenti in questa nota devono necessariamente collegarsi a quanto apparso oggi sugli organi di stampa, in merito ai contatti che il Presidente della Repubblica avrebbe avuto con il professor Monti, sondandone la disponibilità a diventare il presidente del Consiglio, ben prima del novembre 2011. A tale riguardo, il Comitato dovrebbe svolgere un adeguato approfondimento per raccogliere tutti gli elementi conoscitivi necessari a fare luce sulla vicenda richiamata. Del resto, lo stesso Presidente del Comitato parlamentare, nella precedente seduta, ha affermato che è sua intenzione organizzare i lavori di tale organo senza seguire atteggiamenti né dilatori né acceleratori.
  Deposita quindi alcune note integrative del suo intervento che chiede siano allegate al resoconto (vedi Allegato 1).

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, lo consente, in base ai criteri consueti.

  Il senatore Mario Michele GIARRUSSO (M5S), intervenendo sull'ordine dei lavori, chiede al Presidente La Russa di sottolineare la serietà dei lavori posti in essere finora dal Comitato a fronte delle esternazioni sui mezzi di stampa effettuate dell'onorevole Speranza, volte a mettere in dubbio tale circostanza.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, ricorda di aver in più occasione e in ogni sede riconosciuto a tutti i soggetti che hanno partecipato al dibattito in Comitato di aver agito in modo rispettoso delle delicate funzioni di questo organo.

  Il deputato Anna ROSSOMANDO (PD), pur ritenendo che non debba darsi corso alla polemica sollevata dal collega Giarrusso, ritiene comunque lasciare agli atti la precisazione che l'intervento del capogruppo alla Camera del Partito Democratico è stato svolto nei termini della corretta dialettica parlamentare e politica, essendo riferito ad una posizione di Forza Italia che ha avuto larghissima eco nelle agenzie di stampa nel corso della giornata.

  Il deputato Walter VERINI (PD) aggiunge che anche il Vicepresidente Di Maio ha rilasciato dichiarazioni discutibili, avendo accusato il Comitato parlamentare per i procedimenti d'accusa di voler insabbiare in tempi rapidi la denuncia presentata dal suo movimento, circostanza che non risponde alla realtà dei fatti testimoniata dal dibattito odierno.

  Il deputato Gianfranco Giovanni CHIARELLI (FI-PdL) desidera preliminarmente rimarcare la funzione estremamente delicata del Comitato parlamentare per i procedimenti d'accusa. Infatti, in questa sede, si affrontano inevitabilmente questioni che investono le prerogative del Capo dello Stato, in un'ottica di verifica del corretto esercizio delle sue prerogative.
  Questo impone una discussione serena ed approfondita nonché, inevitabilmente, l'acquisizione di tutti gli elementi di conoscenza necessari per operare le valutazioni di competenza. Per tali motivi formula la richiesta di acquisire, in via formale, alcuni atti indicati in modo puntuale nel documento integrativo presentato in data odierna dal MoVimento 5 Stelle.
  Si riferisce in particolare alle evidenze documentali relative alla calendarizzazione, nella XVI legislatura, delle mozioni di sfiducia presentate nell'autunno del 2010 e agli atti di indirizzo riferiti alla partecipazione dell'Italia alle missioni relative alla crisi libica del marzo 2011.Pag. 28
  Auspica che a tali richieste sia dato seguito, proprio in virtù del rispetto del ruolo istituzionale di questo organo evocato più volte nel corso di questo dibattito.

  Il senatore Serenella FUCKSIA (M5S) fa presente che rispetto al Presidente Cossiga sono state in passato sollevate accuse da un gruppo parlamentare di cui il Partito Democratico è diretto discendente, relative a profili in larga parte configurabili anche in relazione al Presidente Napolitano. Peraltro quest'ultimo all'epoca prospettava l'opportunità di un pressing finalizzato a indurre il Presidente Cossiga a rassegnare le proprie dimissioni.
  Alla luce di tali circostanze appare incomprensibile la critica di genericità dell'accusa avanzata dall'onorevole Rossi, come pure appaiono incongrui i rilievi sollevati dall'onorevole Rossomando.
  Si osserva poi che nelle ultime legislature l'abuso della decretazione d'urgenza ha alterato l'equilibrio tra potere legislativo ed esecutivo, sostanziandosi nell'emanazione da parte dei governi succedutisi di decreti legge caratterizzati da una manifesta carenza dei presupposti di necessità ed urgenza e da una manifesta eterogeneità delle materie trattate.
  Si riscontra poi una illegittima reiterazione dei decreti legge, in contrasto con quanto ha stabilito la Corte nella sentenza n. 360 del 1996, come è avvenuto ad esempio per il decreto legge n. 126 del 2013, i cui contenuti sono stati riproposti nell'ambito del decreto legge n. 151 del 2013.

  Il deputato Giulia GRILLO (M5S) svolgendo preliminarmente una considerazione di carattere generale, osserva come il MoVimento 5 Stelle, a differenza di ciò che affermano gli altri commissari, nutre più dubbi che certezze ed è per questo motivo che è stato richiesto a questo Comitato di approfondire le questioni oggetto dell'atto di denuncia, aprendo un'indagine al fine di dissipare nell'interesse generale ogni profilo di dubbio sulla condotta del Presidente della Repubblica.
  Osserva come, dopo aver ascoltato il dibattito, non le sia chiaro se taluni interventi siano rivolti a difendere l'istituzione della Presidenza della Repubblica o la persona del Capo dello Stato. Né comprende se gli intervenuti siano animati dallo spirito di difesa della Repubblica o di altri interessi.

  Il senatore Enrico BUEMI (Aut (SVP, UP, PATT, UPT)-PSI-MAIE) interrompendo la collega Grillo dichiara di ritenersi offeso dalle illazioni pronunciate dalla rappresentante del MoVimento 5 Stelle.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, invita il senatore Buemi a consentire alla collega Grillo, auspicando che ciascuno si impegni nel proseguire i lavori in uno spirito costruttivo e di civile confronto.

  Il deputato Giulia GRILLO (M5S) chiarisce che non intendeva offendere nessuno ma semplicemente porre una domanda.
  Sempre con riferimento agli elementi emersi nel dibattito, riconosce ai colleghi Leone e Rossomando di essersi impegnati in argomentazioni che entrano nel merito delle questioni poste dalle denunce, senza limitarsi ad esprimere mere opinioni politiche. In questa fase, infatti, il Comitato è chiamato a verificare se l'accusa sia manifestamente infondata o meno. Sarebbe, a suo giudizio, grave se tale valutazione si basasse su opinioni di carattere politico.
  Per quanto concerne le osservazioni svolte dall'onorevole Leone in merito alla discrezionalità con la quale il Presidente della Repubblica esercita il potere di concedere la grazia, come asseverato dalla sentenza n. 200 del 2006 della Corte costituzionale, rileva come dalle prospettazioni dei colleghi, sembra emergere che tale potere non incontri alcun limite e possa essere legato anche a valutazioni di ordine politico. Sarebbe gravissimo, ai suoi occhi, porre a base della richiesta di archiviazione del procedimento una tale motivazione.
  In merito alla moral suasion richiamata dall'onorevole Rossomando si domanda se esista una definizione chiara e univoca Pag. 29della stessa e, in ultima analisi, come sia applicabile e se essa trovi un fondamentale nella Carta costituzionale.
  Respinge totalmente l'accusa di far perdere tempo al Parlamento impegnando il Comitato in questo procedimento. Al contrario, a suo avviso, si potrebbe parlare di perdita di tempo con riferimento all'esame delle domande di autorizzazioni all'utilizzo di intercettazioni riguardanti persone che attualmente siedono in Parlamento.
  Replicando al senatore Cucca, precisa che l'iniziativa del MoVimento 5 Stelle non è certamente funzionale ad una difesa o ad un supporto delle posizioni di Silvio Berlusconi. Viceversa laddove fosse dimostrato che il Presidente Napolitano si è attivato per individuare un soggetto terzo a cui conferire l'incarico di Presidente del Consiglio all'insaputa dell'intera Nazione, ciò rappresenterebbe un tradimento nei confronti del popolo italiano. L'iniziativa del MoVimento 5 Stelle è quindi volta a difendere unicamente gli interessi dei cittadini.
  Critica il fatto che nel dibattito si siano affrontato solo in modo superficiale il contenuto del loro documento integrativo, con l'unica eccezione del collega Farina.
  Ribadisce che, per avere un quadro riassuntivo ma significativo del modo di atteggiarsi del potere di rinvio ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, basta consultare i precedenti, dai quali emerge come tale potere sia stato esercitato con le motivazioni più disparate.
  Si sofferma sulla nomina del cosiddetto comitato dei saggi da parte del Presidente Napolitano, nell'aprile del 2013, per sollevare il dubbio in ordine alla legittimità di un simile operato del Capo dello Stato, peraltro in scadenza di mandato e in prossimità della formazione del nuovo Governo.
  Oltre a evidenziare che nessuno dei rappresentanti del MoVimento 5 Stelle è stato chiamato a far parte del gruppo degli esperti, pur trattandosi di un soggetto politico che ha ricevuto un ampio consenso elettorale, trova singolare e grave l'assenza dell'atto formale di nomina. Tale mancanza di trasparenza rappresenta una gravissima violazione della Costituzione, tanto più che la nomina dei saggi si è tradotta in un'attività di indirizzo politico sottratta a qualsiasi forma di controllo: in ciò a suo avviso si possono ravvisare gli estremi dell'attentato alla Costituzione.
  A corroborare la fondatezza delle accuse mosse al Capo dello Stato cita alcuni casi di interferenza nell'attività della Magistratura posta in essere del Presidente Napolitano.
  In particolare, ricorda la richiesta, che giudica irrituale ed inedita, del Presidente della Repubblica di esaminare il fascicolo personale del magistrato Woodcock, che aveva condotto indagini su attività illecite a danno dei Monopoli di Stato che avevano portato, tra l'altro, all'arresto di Vittorio Emanuele di Savoia. Tale verifica, per altro, non ha evidenziato alcuna irregolarità nella condotta del magistrato.
  Ricorda poi l'intervento del Presidente Napolitano sulla vicenda del giugno del 2007, che aveva come protagonista il giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo. Nel momento in cui si il magistrato si apprestava all'acquisizione della trascrizione delle intercettazioni delle comunicazioni dei protagonisti delle scalate bancarie, con alcuni politici di centro-sinistra – tra cui D'Alema, Fassino, La Torre – il Presidente Napolitano intervenne per richiedere un attento controllo sui procedimenti giudiziari.
  Ricorda, inoltre, che nel luglio del 2007, all'indomani della richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni trasmessa dal giudice per le indagini preliminari Forleo alle Camere, il Presidente intervenne con un altro monito. La Forleo venne quindi isolata e, come è noto, sottoposta ad azione disciplinare e, infine, trasferita d'ufficio da Milano a Cremona per incompatibilità ambientale e funzionale, con un'ordinanza successivamente annullata dal TAR.
  Evoca, infine, il caso del magistrato De Magistris a cui vennero sottratte alcune indagini che stava conducendo presso la procura di Catanzaro, tra le quali quella denominata Why not, che vedeva tra gli Pag. 30indagati il Ministro Mastella che avviò un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato.
  Anche in questa occasione si registra un monito del Presidente Napolitano ad un uso equilibrato dello strumento giudiziario, ed anche in questo caso De Magistris subì un trattamento simile a quello riservato al giudice Forleo, come lo stesso De Magistris ha avuto occasione di denunciare in una lettera al Presidente della Repubblica.
  Da ultimo si sofferma sulla questione della trattativa Stato-mafia e delle intercettazioni delle conversazioni di Napolitano con Nicola Mancino nelle quali il Presidente suggerisce a quest'ultimo di confrontarsi con Martelli per verificare se le loro versioni dei fatti coincidessero. Si tratta di una questione seria e gravissima e ritiene che se i colleghi riterranno di non approfondire questi aspetti si assumeranno le loro responsabilità di fronte al Paese.

  Il deputato Sofia AMODDIO (PD) chiede di allegare al resoconto della seduta odierna il proprio intervento (vedi Allegato 2).

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, lo consente, in base ai criteri consueti.

  Il senatore Mario Michele GIARRUSSO (M5S) rileva come l'articolo 90 della Costituzione preveda fattispecie atipiche di reato, che possono essere commesse solo dal Capo dello Stato. Il compito cui è chiamato il Comitato parlamentare attiene alla valutazione se sono stati oltrepassati o meno i margini di autonomia e di discrezionalità riconosciuti al Presidente della Repubblica nell'esercizio dei propri poteri. È peraltro significativo che tale compito sia stato assegnato proprio ai parlamentari, componenti del Comitato, quale unico organo preposto alla valutazione sui limiti del potere presidenziale.
  Nel merito delle contestazioni indicate nella denuncia, se certamente non costituisce attentato alla Costituzione controfirmare decreti-legge che successivamente sono stati dichiarati incostituzionali dalla Corte costituzionale, va altresì evidenziato che sarebbe bene non concentrarsi sui singoli, specifici addebiti, ma analizzare i fatti nel loro complesso, proprio per comprendere se è stato legittimo o meno l'esercizio dei poteri attribuiti al Capo dello Stato.
  In tal senso, solo la lettura complessiva di tutti gli atti e fatti può aiutare a comprendere se sia stato perseguito un determinato disegno; pertanto, i singoli atti possono anche essere in qualche modo difesi o ritenuti erronei, ma nel loro complesso denotano una cornice che va valutata in senso negativo.
  In particolare, ricorda come nel 2011 per la prima volta venne alla ribalta il problema dello spread; oggi, dagli organi di stampa, si apprende che ben prima che il livello dello spread crescesse in modo dirompente nell'estate dello stesso 2011, vi sarebbero stati i primi contatti del Presidente della Repubblica con il professor Monti, che poi nel novembre dello stesso anno divenne presidente del Consiglio. In tale vicenda storica, riveste una importanza cruciale anche la lettera formulata dalla Banca Centrale Europea, documento che, a suo giudizio, diede il colpo di grazia al governo Berlusconi. Tuttavia, da più parti, si ritiene che tale documento fosse stato concepito in Italia e che il livello elevato dello spread sia stato utilizzato per colpire il governo Berlusconi. Peraltro, l'indice dello spread nei mesi successivi è sceso senza che siano mutati i parametri economici e nonostante il conclamato fallimento politico del governo Monti.
  Anche il potere di grazia esercitato nei confronti del colonnello statunitense Joseph Romano risulta essere censurabile, come pure altrettanto grave appare il comportamento tenuto dal Capo dello Stato in merito all'inchiesta giudiziaria sulla trattativa Stato-mafia; in merito a quest'ultima vicenda, il consigliere del Presidente della Repubblica, dottor D'Ambrosio, fece riferimento ad «indicibili accordi». Sarebbe pertanto indispensabile comprendere a quali accordi abbia fatto cenno uno dei principali collaboratori del Pag. 31Presidente della Repubblica. Analogamente, appare assai grave che, su impulso del Presidente della Repubblica lo stesso magistrato responsabile dell'inchiesta sia stato sottoposto ad un procedimento disciplinare manifestamente infondato. Sotto un altro versante, ricorda come sia il Ministro dell'interno sia il Ministro della giustizia siano stati pesantemente criticati, anche da parte di esponenti della maggioranza che sostengono l'attuale esecutivo; tuttavia entrambi i Ministri sono stati spalleggiati e difesi dal Presidente della Repubblica.
  In conclusione, l'insieme delle circostanze e dei fatti ricordati denotano un interventismo del Capo dello Stato che spesso è stato giustificato invocando lo stato di necessità, formula che, a suo giudizio, non appare tale da motivare le scelte assunte dallo stesso Capo dello Stato. Alla luce di tali argomentazioni, richiama la necessità che il Comitato svolga approfondite indagini sulle vicende ricordate.

  Il deputato Franco VAZIO (PD) chiede di allegare al resoconto della seduta odierna il proprio intervento (vedi Allegato 3).

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, lo consente in base ai criteri consueti.
  Dichiara quindi chiusa la discussione generale sugli atti di denuncia trasmessi dal deputato D'Incà e dal senatore D'Angelo.
  Evidenzia che, in relazione all'articolo 90 della Costituzione, vi sono due diverse interpretazioni dei reati presidenziali.
  Secondo una prima tesi, la cosiddetta teoria penalistica, varrebbe il principio di legalità-tassatività, in virtù del quale sarebbe necessaria una descrizione precisa del comportamento incriminato. Di qui la necessaria riconduzione delle figure descritte nell'articolo 90 a specifiche condotte previste nel codice penale militare di pace (l'alto tradimento) e nel codice penale (articolo 283).
  Secondo un'altra impostazione, la cosiddetta teoria autonomistica, l'articolo 90 della Costituzione, di per sé, sarebbe una fonte idonea a incriminare comportamenti e dunque a rispettare il principio di legalità, a prescindere da riferimenti normativi nella legislazione vigente.
  In tutti i precedenti in seno al Comitato ha sempre prevalso un approccio di tipo penalistico. La valutazione del Comitato, pertanto, dovrà considerare non solo le specifiche accuse rivolte al Capo dello Stato, ma anche la loro configurabilità nell'ambito delle fattispecie di alto tradimento e di attentato alla Costituzione.
  A questo punto, il Comitato deve decidere quando e come proseguire i propri lavori. Nel fare presente che ritiene opportuno svolgere la prevista riunione dell'Ufficio di Presidenza al termine delle votazioni pomeridiane dell'Assemblea della Camera, osserva che sarebbe utile acquisire in questa fase la valutazione dei gruppi rispetto ad alcuni profili organizzativi dei lavori. Invita, pertanto, a chiarire se vi sia ancora, da parte del gruppo MoVimento 5 Stelle, la richiesta di una forma di pubblicità più estesa dei lavori. Inoltre, sollecita i gruppi a esprimere il loro orientamento sulla convocazione della prossima seduta del Comitato: per quanto lo riguarda, ritiene che essa debba svolgersi al più presto, purché vi sia a disposizione uno spazio temporale di almeno tre ore per garantire un adeguato tempo per le dichiarazioni di voto dei componenti.

  Il deputato Anna ROSSOMANDO (PD) preannunzia preliminarmente la presentazione di una richiesta di archiviazione delle denunzie, sottoscritta – oltre che dal gruppo del Partito Democratico – anche dai rappresentanti dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, Nuovo Centrodestra, Per l'Italia, Misto-PSI-PLI.
  Ritiene che il Comitato abbia ormai acquisito tutti gli elementi necessari per assumere una decisione. Nel portare all'attenzione dei colleghi un'ulteriore novità, che in senso ironico potrebbe definirsi clamorosa, ossia che i giornali italiani già nell'estate del 2011 erano pieni di Pag. 32articoli relativi a ipotesi di governo tecnico, suggerisce che il Comitato concluda i propri lavori nella serata odierna.

  Il senatore Erika STEFANI (LN-Aut) ritiene che le decisioni nel merito non debbano essere procrastinate: si dichiara, pertanto, contraria ad eccessive accelerazioni ma anche a ritardi inutili, esprimendo la disponibilità anche per una riunione serale del Comitato.

  Il deputato Gianfranco Giovanni CHIARELLI (FI-PdL) ricorda di aver avanzato una richiesta di acquisizione di atti in modo tale che gli stessi possano essere valutati dal Comitato prima della deliberazione.

  Il deputato Dalila NESCI (M5S), nel far presente che il Comitato potrebbe opportunamente tornare a riunirsi nel pomeriggio di giovedì, rinnova la richiesta di forme di pubblicità che consentano la massima trasparenza possibile dei lavori.

  Ignazio LA RUSSA, Presidente, nel ricordare che l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi si svolgerà al termine delle votazioni pomeridiane dell'Assemblea, fa presente che, in quella sede, verrà fissata la prossima riunione del Comitato.
  Personalmente, ritiene opportuno che tale seduta si svolga nella prima mattina di domani, ovvero che – in considerazione del prevedibile andamento dei lavori delle Assemblee di Camera e Senato – essa abbia luogo all'inizio della prossima settimana.
  Sempre a titolo personale, fa presente di non essere contrario ad un'ipotesi di ampia pubblicità delle dichiarazioni di voto, limitatamente a un esponente per ciascun gruppo. Su quest'aspetto, peraltro, occorre che si determini una maggioranza favorevole nell'ambito del Comitato.
  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 17.05.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi del Comitato si è riunito dalle 22 alle 22.15.

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