CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 19 dicembre 2013
146.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

  Giovedì 19 dicembre 2013. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI.

  La seduta comincia alle 9.15.

Sui lavori della Commissione.

  Donatella FERRANTI, presidente, prima di dare al parola ai relatori, onorevoli Ermini e Vazio in merito agli atti del Governo nn. 51 e 64, ritiene utile, alla luce della delicatezza e complessità dei predetti atti, di chiarire i tempi d'esame per la Commissione Giustizia.
  La Commissione dovrebbe esprimere il proprio parere entro il 13 gennaio 2014, mentre la delega scade il 4 marzo 2014. Ciò sostanzialmente significa che il Governo è legittimato ad emanare il decreto legislativo a partire dal 14 gennaio prossimo anche in assenza del parere della Commissione, per quanto abbia tempo fino al 4 marzo.
  Ritiene che la complessità della materia meriti maggior tempo di approfondimento da parte della Commissione, pur nella consapevolezza che il compito è unicamente quello di verificare che gli schemi di decreto legislativo siano conformi ai principi e criteri direttivi di delega. Per tale ragione, non essendovi obiezioni, chiederà al Governo di attendere, sia per l'atto 51 che per l'atto 64, il parere della Commissione fino al 31 gennaio prossimo, considerato che le deleghe scadono il 4 marzo prossimo.

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI.
Atto n. 51.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto in oggetto.

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  David ERMINI (PD), relatore, osserva come lo schema di decreto legislativo in esame – di attuazione della delega conferita dagli articoli 1 e 5 della legge n. 96 del 2013 (legge di delegazione europea 2013) – recepisce la direttiva 2011/36/UE (compresa nell'allegato B alla legge 96) che affianca ed integra la vigente normativa volta alla prevenzione e repressione della tratta degli esseri umani ed alla protezione delle vittime.
  La direttiva non solo persegue l'obiettivo di garantire un rafforzamento delle misure penali di repressione (intervenendo sulle condotte antigiuridiche da perseguire, sul trattamento sanzionatorio, sull'attività investigativa e giurisdizionale), ma altresì di assicurare una effettiva protezione delle vittime intesa quale momento imprescindibile nell'azione di contrasto alla tratta di persone e che necessariamente richiede un approccio integrato sia sul piano dei differenti profili di intervento (giudiziario e sociale) sia su quello dei diversi attori coinvolti (forze di polizia, magistratura, enti pubblici, organizzazioni non governative).
  Nell'azione di contrasto alla tratta degli esseri umani la direttiva, in sintonia con gli altri testi sovranazionali in materia, riafferma il ruolo prioritario del diritto penale. Essa contiene innanzitutto una definizione di tratta, in cui rientrano una serie di comportamenti dolosi, che dovranno essere incriminati da parte dei legislatori nazionali.
  Rispetto alla previgente disciplina, la direttiva provvede a riordinare la materia in maniera più organica proponendo, in particolare, una nuova e più ampia definizione del delitto di tratta di esseri umani, attualmente previsto dall'articolo 601 del nostro codice penale.
  In quest'ultima nozione rientrerebbero il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell'autorità sulle vittime, con la minaccia dell'uso o con l'uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l'offerta o l'accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra, a fini di sfruttamento (articolo 2, par. 2). In presenza di tali mezzi di coercizione, il consenso della vittima è irrilevante (articolo 2, par. 4). Tuttavia, se le condotte di cui sopra coinvolgono dei minori di anni 18 (articolo 2, par. 6), le stesse condotte devono essere punite come reato di tratta di esseri umani pur in assenza dei mezzi di coercizione elencati (articolo 2, par. 5). La direttiva precisa che la cd. «posizione di vulnerabilità» presuppone una situazione in cui la persona in questione non ha altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima.
  Vengono altresì previste, tra gli aspetti più significativi: la punibilità dell'istigazione, del favoreggiamento, del concorso e del tentativo di tratta; una specifica entità del trattamento sanzionatorio nonché una serie di circostanze aggravanti, la maggior parte delle quali qualificate dalle condizioni delle vittime; la responsabilità delle persone giuridiche; misure che consentano alle autorità degli Stati membri di sequestrare e confiscare gli strumenti ed i proventi derivanti dai reati di tratta.
  La direttiva in esame affianca al diritto penale, nell'azione di prevenzione della tratta, strumenti di natura diversa. Essa, infatti, prescrive agli Stati membri di realizzare politiche di prevenzione attraverso l'organizzazione di campagne di sensibilizzazione, informazione, anche tramite internet ed in cooperazione con organizzazioni della società civile, volte a frenare la tratta e a ridurre il rischio di divenire vittime di tali fenomeni.
  La direttiva contiene altresì disposizioni a carattere processuale, che in realtà trovano già attuazione nell'ordinamento italiano, dirette a potenziare l'azione di repressione degli autori dei reati di tratta anche perché, pur a fronte dell'incremento dello svolgimento di indagini e di processi per tratta, il numero dei casi perseguiti risulta limitato a fronte della reale entità del fenomeno e della quantità delle vittime. La direttiva svincola lo svolgimento Pag. 27delle indagini o l'esercizio dell'azione penale da una denuncia o accusa formale delle vittime (articolo 9); allo stesso modo esclude che l'eventuale ritrattazione delle vittime determini l'interruzione del procedimento penale.
  È inoltre imprescindibile la cooperazione tra le autorità di polizia e giudiziarie dei diversi Paesi interessati nella repressione della tratta: infatti, viene previsto che gli uffici incaricati delle indagini o dell'esercizio dell'azione penale abbiano a disposizione strumenti investigativi efficaci, come quelli utilizzati contro la criminalità organizzata e altri gravi reati (articolo 9, par. 4).
  Sono previste alcune disposizioni in materia di assistenza e sostegno alle vittime di reati di tratta di esseri umani (articolo 11), nonché di tutela delle stesse nelle indagini e nei procedimenti penali (articolo 12). Queste ultime si aggiungono alle garanzie previste in favore delle vittime vulnerabili all'interno dei procedimenti penali dalla decisione quadro 2001/220/CE.
  Disposizioni specifiche e di particolare ampiezza riguardano l'assistenza, il sostegno e la tutela dei minori (v. articoli 13-16), anche in sede processuale.
  La direttiva prevede poi, come novità, che possa essere concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari alla vittima della tratta anche indipendentemente dalla sua collaborazione con la giustizia (articolo 11).
  Più in generale la direttiva introduce una serie di nuove misure finalizzate a rafforzare è completare la rete di sostegno ed assistenza, anche psicologica, alle vittime della tratta, con particolare riferimento ai minori di 18 anni (articoli 11-16); sul punto, va segnalata tra le altre la previsione di una nomina di un tutore del minore non accompagnato (articolo 16).
  Una specifica previsione riguarda il diritto delle vittime della tratta all'accesso a sistemi di risarcimento delle vittime dei reati dolosi violenti (articolo 17).
  Al fine di verificare l'andamento del fenomeno della tratta e di valutare l'efficacia delle politiche preventive, anche attraverso la raccolta di dati statistici, la direttiva stabilisce l'istituzione da parte di ogni Stato membro di un relatore nazionale o di un'istituzione analoga (articolo 19); mentre a livello europeo, con l'intento di assicurare un coordinamento delle autorità nazionali nell'azione di prevenzione, è prevista l'istituzione – in linea peraltro con le indicazioni del Programma di Stoccolma – della figura del Coordinatore anti-tratta, il quale contribuisce alla realizzazione della relazione biennale della Commissione in merito ai progressi compiuti nel contrasto alla tratta degli esseri umani (articolo 20).
  La Commissione Giustizia dovrà verificare la conformità dello schema di decreto legislativo in esame ai principi e criteri direttivi di delega dettai dall'articolo 5 della legge delega n. 96/2013, quali: a) la previsione di una clausola di salvaguardia che stabilisca che nell'applicazione del decreto di trasposizione nessuna disposizione possa pregiudicare i diritti, gli obblighi e le responsabilità dello Stato e degli individui, ai sensi del diritto internazionale, compresi il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti umani e, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione e il Protocollo relativi allo statuto dei rifugiati, di cui alle leggi nn. 722/1954 e 95/1970, relative allo status dei rifugiati e al principio di non respingimento (non refoulement); b) la previsione di misure che facilitino il coordinamento tra le istituzioni che si occupano di tutela e assistenza alle vittime di tratta e quelle che hanno competenza sull'asilo, determinando meccanismi di rinvio, qualora necessario, tra i due sistemi di tutela; c) la definizione di meccanismi affinché i minori non accompagnati vittime di tratta siano prontamente identificati, se strettamente necessario anche attraverso una procedura multidisciplinare di determinazione dell'età, condotta da personale specializzato e secondo procedure appropriate, siano adeguatamente informati sui loro diritti incluso l'eventuale accesso alla procedura di determinazione della protezione internazionale; in ogni decisione presa nei loro Pag. 28confronti sia considerato come criterio preminente il superiore interesse del minore determinato con adeguata procedura; d) la previsione che la definizione di «persone vulnerabili» tenga conto di aspetti quali l'età, il genere, le condizioni di salute, le disabilità, anche mentali, la condizione di vittima di tortura, stupro o altre forme di violenza sessuale, e altre forme di violenza di genere.
  Occorre sottolineare che il quadro normativo nazionale in materia di tratta è dotato di un apprezzabile idoneità repressiva in linea con le istanze sovranazionali.
  Lo stesso codice penale già contempla la tratta di donne e minori commessa all'estero (articolo 537), la riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (articolo 600), la tratta di persone (articolo 601), l'acquisto e l'alienazione di schiavi (articolo 602), la confisca (articolo 600-septies), l'ipotesi del fatto commesso all'estero (articolo 604). Senza trascurare come il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità degli enti preveda la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (articolo 25-quinquies).
  Il Governo ha tuttavia ritenuto di modificare gli articoli 600 e 601 del codice penale in un'ottica di rafforzamento dello strumento punitivo, conformemente al tenore della direttiva, facendo in modo che nessuna delle possibili manifestazioni della tratta di esseri umani possa sfuggire alla repressione penale.
  Per questo motivo all'articolo 600 del codice penale (sulla schiavitù) è stato aggiunto, fra le attività cui può essere costretta la vittima di tratta, il prelievo di organi e qualunque prestazione illecita.
  Inoltre, al primo comma dell'articolo 601 del codice penale (tratta), si è operata una specificazione delle condotte attraverso le quali si realizza la tratta, includendovi, in aderenza alla direttiva, il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'accoglienza e la cessione d'autorità sulla vittima. È stato, inoltre, introdotto un secondo comma nel quale si prevede, in attuazione di una specifica disposizione della direttiva, che, nell'ipotesi in cui la vittima della tratta sia una persona minore d'età, ricorre l'ipotesi di reato anche se lo stesso non è compiuto con le modalità previste nel primo comma (frode, inganno, minaccia, dazione di denaro, etc.).
  Lo schema di decreto si apre con la definizione di persone vulnerabili sancendo che nell'attuazione delle disposizioni del decreto legislativo, si tiene conto, sulla base di una valutazione individuale della vittima, della specifica situazione delle persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, gli anziani, i disabili, le donne, in particolare se in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le persone con disturbi psichici, le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica, sessuale o di genere.
  All'articolo 3 viene modificato l'articolo 398 del codice di procedura penale in materia di incidente probatorio in ragione dell'esigenza di estendere, in sede di esame, la tutela prevista per le vittime minori di età o maggiori di età, ma inferme di mente, a tutte le vittime maggiorenni in condizione di particolare vulnerabilità, richiamando la disposizione recentemente introdotta con il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119.
  Nella specie, è previsto che il giudice assicuri che l'esame venga condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della persona offesa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede, e che, ove ritenuto opportuno, disponga, a richiesta della persona offesa o del suo difensore, l'adozione di modalità protette (a titolo esemplificativo, il vetro divisorio).
  L'articolo 4 del provvedimento risponde al principio di delega di cui all'articolo 5, comma 1, lettera c) della legge 96/2013, relativo ai diritti dei minori non accompagnati vittime di tratta (cfr. articolo 16 della direttiva). La norma prevede che il minore debba essere informato dei suoi diritti, anche in riferimento al suo possibile accesso alla protezione internazionale.
  È previsto che un decreto del ministro delegato alle pari opportunità definisca la procedura attraverso cui – nel superiore Pag. 29interesse del minore – personale specializzato procede all'identificazione e alla determinazione dell'età del minore non accompagnato, anche attraverso l'eventuale collaborazione delle autorità diplomatiche.
  L'articolo 5 stabilisce – in attuazione delle previsioni dell'articolo 18, par. 3, della direttiva – che le amministrazioni pubbliche competenti prevedano percorsi formativi per i pubblici ufficiali che si occupano di questioni inerenti la tratta degli esseri umani.
  L'articolo 6 integra la formulazione dell'articolo 12 della legge sulla tratta (l. 228/2003) rispondendo a quanto stabilito dall'articolo 17 della direttiva in ordine all'obbligo per gli Stati membri di garantire alle vittime della tratta accesso a sistemi di risarcimento a favore delle vittime di reati violenti.
  Il nostro ordinamento non prevede un Fondo universalmente destinato al risarcimento delle vittime di tutti i reati dolosi violenti. La normativa nazionale ha visto, piuttosto, stratificarsi discipline volte ad indennizzare le vittime di specifiche categorie di delitti, nonostante una più recente tendenza del legislatore alla loro unificazione. Si ricorda, in particolare, il Fondo di rotazione per le vittime della mafia, dell'usura e delle estorsioni nonché la disciplina per le «elargizioni» alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.
  L'articolo 12 della legge 228/2003 ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Fondo per le misure anti-tratta, destinato tuttavia non a fini risarcitori ma al finanziamento dei programmi di assistenza e di integrazione sociale in favore delle vittime, nonché delle altre finalità di protezione sociale previste dall'articolo 18 TU immigrazione. Il Fondo è alimentato con le somme stanziate dall'articolo 18 del testo unico immigrazione (le risorse per i programmi di assistenza connessi alla concessione dei permessi di protezione sociale) nonché con i proventi della confisca penale ordinata a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento per uno dei delitti previsti dagli articoli 416, sesto comma (associazione a delinquere finalizzata alla commissione di violenza sessuale ed altri reati di natura sessuale, 600 (riduzione in schiavitù), 601 (tratta) e 602 (acquisto e alienazione di schiavi) del codice penale e i proventi della confisca ordinata, per gli stessi delitti, ai sensi dell'articolo 12-sexies del DL 306/1992 (proventi di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica).
  Il contenuto dell'articolo 12 della legge 228 del 2003 è integrato con sei commi aggiuntivi (da 2-bis a 2-septies): il comma 2-bis precisa che le risorse del Fondo delle misure anti tratta sono destinate anche all'indennizzo delle vittime della tratta (articolo 601 c.p.), della riduzione in schiavitù (articolo 600 c.p.) del reato associativo finalizzato alla tratta (articolo 416, sesto comma, c.p.), di acquisto e alienazione di schiavi (articolo 602 c.p.); il comma 2-ter determina in 1.500 euro la misura dell'indennizzo per ogni vittima, sia pur nei limiti della disponibilità del Fondo; i commi 2-quater e 2-quinquies dettano norme procedurali per l'accesso al Fondo, per cui la domanda di indennizzo, in particolare, va inoltrata alla Presidenza del consiglio entro un anno dal passaggio in giudicato sulla sentenza di condanna ovvero – se l'autore del reato è ignoto – dal deposito dell'archiviazione emessa, la vittima deve dimostrare di non essere stata già risarcita nonostante l'esperimento delle azioni civile ed esecutiva (trascorsi comunque 60 gg dalla presentazione della domanda, la vittima può comunque chiedere l'indennizzo al fondo); il comma 2-sexies individua come condizione ostativa del diritto all'indennizzo il fatto che la vittima richiedente il risarcimento sia indagata o condannata con sentenza definitiva per uno dei gravi reati di cui all'articolo 407, comma, 2, lettera a) c.p.p.; il comma 2-septies prevede, infine, il diritto di surroga del Fondo per le misure anti tratta Pag. 30nei diritti della parte civile o dell'attore nei confronti del condannato al risarcimento del danno.
  L'articolo 7 recepisce le indicazioni dell'articolo 19 della direttiva individuando nel Dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio quello che la relazione del Governo allo schema in esame definisce «punto di contatto nazionale». Al Dipartimento sono, infatti, affidati compiti di coordinamento ed indirizzo, di valutazione delle tendenze del fenomeno (anche attraverso un monitoraggio e l'elaborazione di statistiche), di relazione biennale sui risultati del monitoraggio nei confronti del coordinatore antitratta della UE (previsto dall'articolo 20 della direttiva come soggetto di riferimento per il coordinamento e il consolidamento delle strategie anti-tratta degli Stati membri). All'attuazione di tali disposizioni è demandato un regolamento del Ministro delegato per le Pari opportunità.
  L'articolo 8 dello schema di decreto stabilisce l'adozione di un Programma unico di emersione, assistenza ed integrazione in favore di stranieri (compresi i cittadini UE) vittime di tratta e riduzione in schiavitù nonché di stranieri vittime di violenza o di grave sfruttamento che corrano concreti pericoli per la loro incolumità (sia per i tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita ad uno dei predetti delitti o per le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio). È, in tal senso, modificato l'articolo 18 del TU immigrazione che prevede l'adozione di tale Piano nell'ambito del Piano nazionale contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani adottato ai sensi dell'articolo 9 del provvedimento in esame. Il Programma di emersione prevede, transitoriamente, la garanzia alle vittime di un adeguato alloggio, vitto e assistenza sanitaria e, a regime, la prosecuzione del programma di assistenza e dell'integrazione sociale. I contenuti del Programma sono definiti, entro sei mesi, con decreto del ministro delegato alle Pari opportunità, adottato di concerto con il ministro dell'interno, sentiti i ministri interessati ed acquisita l'intesa in sede di Conferenza Unificata.
  L'articolo 9 aggiunge un comma 2-bis alla legge n. 228 del 2003 volto all'adozione del citato Piano nazionale contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani.
  Adottato con delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro delegato per le Pari opportunità e del ministro dell'interno, il Piano è finalizzato a definire strategie di lungo periodo per la prevenzione e il contrasto del fenomeno mediante azioni di sensibilizzazione, promozione sociale emersione ed integrazione delle vittime della tratta. Il primo Piano nazionale è adottato entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo in esame.
  Con l'articolo 10, il decreto legislativo prevede un coordinamento tra le istituzioni che, a diverso titolo, si occupano di vittime della tratta nonché meccanismi di tutela sussidiaria.
  Il comma 1 stabilisce, anzitutto, che le autorità amministrative competenti in materia di asilo o di assistenza alle vittime della tratta determinano meccanismi di rinvio in ordine ai diversi sistemi di tutela (la previsione corrisponde a quanto indicato dal principio direttivo di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), della legge delega).
  L'articolo 10 prevede, poi, esplicitamente che lo straniero – cui, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del TU immigrazione, può essere concesso un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (in quanto sottoposto a violenza e/o a sfruttamento ed in pericolo per la sua volontà di sottrarsi ai condizionamenti dell'organizzazione criminale o perché collabori con l'autorità giudiziaria) – debba essere informato in una lingua a lui comprensibile dei propri diritti al permesso di soggiorno e del possibile accesso alla protezione internazionale di cui al D.Lgs 251/2007, da cui deriva il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria (comma 2). Ha diritto alla protezione sussidiaria il cittadino straniero che Pag. 31non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno.
  La disposizione sopradescritta è coordinata al contenuto dell'articolo 32 del D.Lgs. 25 del 2008 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) che prevede, ove la Commissione territoriale non accolga la domanda di protezione internazionale ma ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la trasmissione degli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (ex articolo 5, comma 6, TU immigrazione).
  È, così, aggiunto all'articolo 32 del D.Lgs 25/2008 un comma 3-bis che prevede – ove emergano dall'istruttoria della Commissione territoriale fondati motivi per ritenere che il richiedente sia stato vittima di tratta o di riduzione in schiavitù – la trasmissione degli atti al questore perché valuti, anche in tali ipotesi, la possibile concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
  L'articolo 11 del provvedimento in esame è, infine, relativo alla clausola di invarianza finanziaria.

  Donatella FERRANTI, presidente, ringrazia il relatore e, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.
Atto n. 64.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto in oggetto.

  Franco VAZIO (PD), relatore, rileva come lo schema di decreto è diretto ad assicurare l'interpretazione e la traduzione nei procedimenti penali, affinché l'imputato di lingua straniera che non conosca l'italiano sia messo in condizione di partecipare consapevolmente al processo, in attuazione della legge di delegazione europea 2013. La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il mancato recepimento della direttiva in materia.
  Ricorda che nell'ordinamento italiano si ricorda che l'articolo 111, terzo comma, della Costituzione afferma che nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia «assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo». Si tratta di una delle manifestazioni del principio del giusto processo regolato dalla legge, attraverso cui si deve attuare la giurisdizione (primo comma dell'articolo 111 Cost.) e, più in generale, del diritto inviolabile di difesa in ogni stato e grado del procedimento (articolo 24, secondo comma, Cost.).
  Lo schema in esame è composto da 4 articoli ed è volto a dare attuazione alla direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 (secondo i principi di delega contenuti nella legge 6 agosto 2013, n. 96 – Legge di delegazione europea 2013).
  L'articolo 1 modifica due articoli del codice di procedura penale.
  La prima modifica (lettera a)) interessa l'articolo 104 c.p.p. sui colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare.
  In particolare, viene aggiunto un nuovo comma 5 secondo cui l'imputato in stato di custodia cautelare, l'arrestato e il fermato, che non conoscono la lingua italiana, hanno diritto all'assistenza gratuita di un interprete per conferire con il difensore. Per la nomina dell'interprete si applicano le disposizioni del Titolo IV del Libro II (ovverosia le disposizioni sulla traduzione degli atti).
  La seconda modifica (lettera b)) sostituisce l'articolo 143 c.p.p., oggi rubricato «Nomina dell'interprete».Pag. 32
  Il nuovo articolo 143 c.p.p. prevede quanto segue:
   a) il diritto dell'imputato che non conosce la lingua italiana all'assistenza gratuita di un interprete è indipendente dall'esito del procedimento e riguarda espressamente anche lo svolgimento delle udienze cui prende parte (comma 1); la modifica è connessa a quella al testo unico sulle spese di giustizia, che esclude dalle spese ripetibili quelle per interpreti e traduttori (v. articolo 3 dello schema); tale diritto è esteso espressamente anche alle comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio ovvero al fine di presentare un'istanza o una memoria nel corso del procedimento (comma 1).
   b) Negli stessi casi, l'autorità procedente deve disporre la traduzione scritta di una serie di atti, entro un termine congruo, in modo da consentire l'esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa. Sono indicati a tal fine i seguenti atti: l'informazione di garanzia, l'informazione sul diritto di difesa, i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, i decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, le sentenze e i decreti penali di condanna (comma 2).
   c) Il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza, la traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico (comma 3); non è previsto espressamente che nei casi del comma 3 si tratti di traduzione scritta.
   d) L'accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall'autorità giudiziaria. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano (comma 4).
   e) Oltre all'interprete, anche il traduttore deve essere nominato anche quando il giudice, il p.m. o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare (comma 5).
   f) La nomina del traduttore è regolata dagli articoli 144 ss. del titolo IV (che già disciplinano l'attività dell'interprete, ad esempio con riguardo alle incompatibilità e agli obblighi professionali) (comma 6).

  L'articolo 2 dello schema di decreto legislativo modifica le disposizioni di attuazione del c.p.p.. Le modifiche paiono dirette a rafforzare la qualità dell'assistenza linguistica, secondo quanto indicato dalla direttiva (v. in particolare gli articoli 2 e 3). Le modifiche apportate dallo schema al c.p.p. sono le seguenti:
   a) sono integrate con il richiamo all'interpretariato e alla traduzione le categorie di esperti che debbono essere previste dall'albo dei periti presso ogni tribunale. Viene così recepita la disposizione dell'articolo 5, par. 2, della direttiva, concernente la necessità di istituire albi o registri. A tal fine è modificato l'articolo 67, comma 2, delle disposizioni di attuazione del c.p.p;
   b) è modificata la disciplina sulla formazione e revisione dell'albo dei periti, alla cui formazione partecipano anche le associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate. A tal fine è modificato l'articolo 68, comma 1, delle disposizioni di attuazione del c.p.p.

  L'articolo 3 dello schema di decreto legislativo modifica il testo unico delle spese di giustizia, precisando che sono escluse dalle spese ripetibili quelle relative agli interpreti e ai traduttori nominati nei casi previsti dall'articolo 143 c.p.p. A tal fine è modificato l'articolo 5 del testo unico.
  L'articolo 4 dello schema di decreto legislativo reca le disposizioni finanziarie. Agli oneri derivanti dal decreto (euro 6.084.833,36 ogni anno), si provvede per il triennio 2014-2016 a carico del fondo di rotazione (articolo 5 della legge 183/1987), Pag. 33istituito, nell'ambito del Ministero del tesoro – Ragioneria generale dello Stato, con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio per l'attuazione delle politiche comunitarie (comma 1).
  Dal 2017, agli oneri si provvede mediante la riduzione delle spese modulabili nell'ambito del programma «Giustizia civile e penale» della missione «Giustizia» dello stato di previsione del Ministero della giustizia (comma 2).
  Il Ministero della giustizia dovrà monitorare gli oneri derivanti dall'attuazione del decreto e, qualora si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni del comma 1, ne dovrà dare tempestiva comunicazione al Ministero dell'Economia e delle finanze. Quest'ultimo dovrà a sua volta provvedere, con decreto, alla riduzione delle spese rimodulabili previste in base alla legge di contabilità.
  Riporta, quindi, una serie di osservazioni di Mitja Gialuz, Professore aggregato di Diritto processuale penale presso l'Università di Trieste, che potranno essere oggetto di dibattito e approfondimento nel corso dell'esame del provvedimento.
  Con riferimento alla nuova formulazione dell'articolo 143, comma 4, c.p.p., il professor Gialuz osserva che la disposizione appare condivisibile nella parte in cui dà attuazione all'articolo 2, par. 4, della direttiva n. 64 del 2010, secondo il quale «Gli Stati membri assicurano la messa a disposizione di procedure o meccanismi allo scopo di accertare se gli indagati o gli imputati parlano e comprendono la lingua del procedimento penale e se hanno bisogno dell'assistenza di un interprete». Desta peraltro perplessità il riferimento all’«autorità giudiziaria» anziché all'autorità procedente e quello alla «conoscenza della lingua italiana». Per di più, al fine di allineare la disposizione alla previsione europea, sarebbe preferibile riformularla seguendo il modello adottato dal legislatore francese.
  Si propone quindi di riformulare il primo periodo del comma 4 nel modo seguente: «L'autorità procedente ha l'onere di accertare, nei modi appropriati, che l'imputato comprende e parla la lingua italiana».
  La norma appare lacunosa sul versante della definizione della lingua dell'interpretazione e della traduzione. Con riguardo a questo profilo, andrebbe ripreso il considerando n. 22 della direttiva, secondo il quale «l'interpretazione e la traduzione a norma della presente direttiva dovrebbero essere fornite nella lingua madre degli indagati o imputati o in qualsiasi altra lingua che questi parlano o comprendono, per consentire loro di esercitare appieno i loro diritti della difesa e per tutelare l'equità del procedimento». L'inserimento di questa norma consentirebbe di aprire, laddove possibile, all'uso delle lingue veicolari, che potrebbe essere prezioso nell'ottica dell'efficienza del procedimento.
  Si propone quindi di aggiungere il seguente periodo al comma 4: «l'interpretazione e la traduzione degli atti devono essere fornite nella lingua madre dell'imputato o in qualsiasi altra lingua che egli parla o comprende in modo sufficiente da garantire l'esercizio dei diritti della difesa».
  La nuova formulazione dell'articolo 143, comma 5, c.p.p. è opportuna e riprende l'attuale formulazione dell'articolo 143 comma 3. Peraltro, appare superato il riferimento al «dialetto», posto che è giustamente venuto meno il richiamo al dialetto nell'articolo 143 comma 2.
  Quanto all'articolo 2 dello schema di decreto si osserva che la disposizione è volta a recepire l'articolo 5 della direttiva. Si tratta, sempre secondo il professor Gialuz, di una scelta da condividere in quanto equipara l'esperto linguistico agli altri esperti nelle categorie indicate dall'articolo 67 disp. att. c.p.p.
  Sul piano generale, merita osservare che, con riguardo agli esperti linguistici, si pongono esigenze peculiari di gestione centralizzata (o quanto meno coordinata) degli albi. La centralizzazione (a livello distrettuale o a livello nazionale) garantirebbe maggiore efficienza nel reperimento dell'interprete e traduttore, soprattutto per le lingue di minore diffusione, anche attraverso Pag. 34il ricorso alle tecniche di remote interpreting. Una gestione centralizzata del registro garantirebbe anche la messa in rete delle banche dati dei diversi paesi dell'Unione europea, secondo la logica sottesa allo stesso articolo 5, par. 2, della direttiva. Per queste ragioni, ci si chiede se non abbia senso prevedere che l'obbligo la gestione del registro (con la banca dati) non venga affidata direttamente a un'istituzione nazionale, quale il Ministero della giustizia, secondo il modello adottato in molti paesi europei. In alternativa, dovrebbe essere previsto un obbligo in capo al presidente della corte d'appello, con la previsione espressa di un obbligo di interconnessione dei registri.
  Sulla base di tali constatazioni, sarebbe opportuno inserire una norma nell'articolo 67 disp. att. c.p.p. che disciplini autonomamente l'albo degli esperti linguistici, che presenta alcune peculiarità rispetto agli altri albi di esperti.
  Sul piano linguistico, si segnala come il termine «interpretariato» sia criticato nella comunità scientifica e come sia preferibile l'impiego del termine «interpretazione».
  Il professor Gialuz rileva, quindi, come lo schema di decreto appaia carente sotto il profilo della nomina dell'interprete o del traduttore. Pur avendo previsto l'inserimento di questi esperti negli appositi albi, analogamente a quanto previsto per i periti (in attuazione dell'articolo 5 della direttiva), non si recepisce la corrispondente previsione del codice di procedura penale dell'articolo 221 che obbliga il giudice a nominare il perito scegliendolo tra gli iscritti agli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina.
  Sulla base dei modelli più avanzati in Europa e negli Stati Uniti, la qualità dell'assistenza linguistica viene garantita anzitutto dall'obbligo di affidare l'incarico a interpreti formati e certificati e non a semplici «conoscitori della lingua». La direttiva si muove in questa direzione (articolo 5): si dovrebbe pertanto intervenire sull'articolo 146 c.p.p. – che è evidentemente espressione di un'idea superata di interprete giudiziario non professionale – e sancire il dovere di nominare interpreti e traduttori che siano inseriti nell'albo. Ovviamente, esigenze di funzionalità del sistema impongono di contemplare una deroga e di ammettere – sul modello olandese – l'impiego di interpreti non iscritti nell'albo quando non siano presenti esperti per quella specifica lingua.
  Si potrebbe pertanto di modificare l'articolo 146, inserendo una norma dedicata alla nomina dell'interprete e del traduttore del seguente tenore: «L'autorità procedente nomina l'interprete o il traduttore scegliendolo tra quelli iscritti negli appositi albi e, solo in caso di indisponibilità di un esperto per la relativa lingua, tra persone fornite di particolare competenza nell'interpretazione o traduzione giudiziaria».
  Ove accolta questa modifica, andrebbe riscritta la rubrica della norma nel modo seguente: «Nomina dell'interprete e traduttore e conferimento dell'incarico».
  Sempre nell'ottica di miglioramento e di aggiornamento dell'articolo 146, si propone di modificare il comma 2, anzitutto per superare il riferimento, ormai superato, allo scopo di far conoscere la verità, che appare il portato di una concezione antiquata dell'intermediazione linguistica e dell'accertamento processuale. La nuova formulazione del comma 2 potrebbe essere la seguente: «Lo ammonisce poi sull'obbligo di adempiere in modo accurato e imparziale l'incarico e di mantenere il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza».
  Al fine di garantire il segreto su quanto appreso nelle conversazioni tra l'imputato e il difensore, meriterebbe valutare l'opportunità di inserire la figura dell'interprete tra quelle contemplate dall'articolo 200 c.p.p. con riguardo al segreto professionale.
  Al fine di dare attuazione all'articolo 2 par. 3 della direttiva, che si riferisce all'assistenza a favore di persone con problemi di udito o con difficoltà di linguaggio, andrebbe modificato l'articolo 119 c.p.p., recependo espressamente il dispositivo della sentenza costituzionale n. 341 del 1999. Si tratterebbe di cogliere l'occasione Pag. 35per recepire nel testo e dare quindi maggiore visibilità a un diritto riconosciuto all'imputato sordo, muto o sordomuto.
  La direttiva 2010/64/UE non si applica solo ai procedimenti penali, ma estende l'assistenza linguistica anche al procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo.
  Non si condivide la valutazione sulla conformità dell'ordinamento italiano alla direttiva. Sembra che, per attuare la direttiva, si debba intervenire sulla legge n. 22 aprile 2005, n. 69.
  Quanto all'interpretazione: è vero che la legge richiama più volte la figura dell'interprete (articoli 12 comma 1, 13 comma 1, 14, comma 1, 15, comma 2), ma sarebbe ugualmente opportuno stabilire che la nomina dell'interprete avviene in forza della norma del codice di procedura che dovrebbe vincolare ad affidare l'incarico a un interprete qualificato (il nuovo articolo 146 proposto in precedenza), onde evitare che, nel procedimento di esecuzione del MAE, si continui a utilizzare interpreti non professionisti.
  Con riguardo alla traduzione, invece, l'articolo 3, par. 6, della direttiva n. 64 del 2010 contempla l'obbligo per lo Stato membro di esecuzione del MAE di fornire una traduzione scritta dello stesso, nel caso in cui il suo destinatario non comprenda la lingua in cui il mandato d'arresto europeo è redatto oppure è stato tradotto. Al riguardo, potrebbe essere dunque sufficiente integrare l'articolo 6, comma 7, legge n. 69 del 2005, stabilendo espressamente che, laddove la persona interessata non conosce la lingua italiana, né la lingua nella quale è redatto l'originale MAE, il provvedimento venga tradotto nella sua lingua madre oppure in una lingua veicolare, sempre che sia da lui adeguatamente conosciuta.
  Il professor Gialuz osserva, infine, come, nel dare attuazione all'articolo 2, par. 6, della direttiva sarebbe opportuno contemplare anche la possibilità di impiegare tecnologie che consentano l'interpretazione a distanza, quali «la videoconferenza, il telefono o Internet, a meno che la presenza fisica dell'interprete non sia necessaria al fine di tutelare l'equità del procedimento». Sulla base di diversi progetti finanziati dalla Commissione europea (AVIDICUS I, II e III), si sono dimostrate le potenzialità della c.d. remote interpreting, anche in termini di contenimento delle spese. Da questo punto di vista, non sembrano assolutamente sufficienti le disposizioni degli articoli 147-bis e 205-ter disp. att. che si riferiscono a fattispecie specifiche. Si potrebbe, quindi, inserire nella disposizione dedicata all'interpretazione una norma che richiami l'articolo 2, par. 6, della direttiva: «Al fine di garantire un'assistenza linguistica di qualità è possibile utilizzare tecnologie di comunicazione quali la videoconferenza, il telefono o Internet, a meno che la presenza fisica dell'interprete non sia necessaria al fine di tutelare l'equità del procedimento».

  Donatella FERRANTI, presidente, ringrazia il relatore e, dopo avere osservato come molti dei rilievi del professor Gialuz appaiano pertinenti e meritevoli di approfondimento, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/93/UE in materia di lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI.
Atto n. 46.

(Rinvio del seguito dell'esame).

  La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto in oggetto, rinviato nella seduta del 17 dicembre 2013.

  Donatella FERRANTI (PD), presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 9.50.