CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 2 marzo 2017
776.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO

ALLEGATO

5-10647 Ferranti: Sul fenomeno del cosiddetto stupro virtuale.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Signor/Signora Presidente, onorevoli deputati, con l'interrogazione all'ordine del giorno viene richiamata l'attenzione del Governo sulla proliferazione in Italia dei gruppi chiusi, operativi sul social network Facebook, riconducibili al fenomeno del cosiddetto «stupro virtuale».
  Nell'atto di sindacato ispettivo, inoltre, si fa riferimento a un articolo di stampa secondo cui, nell'ambito di un determinato gruppo chiuso, sarebbero state postate risposte di dubbia liceità, incitanti alla violenza e al razzismo – e per questo –, date dal signor Raffaele Sollecito ad altri utenti sulla vicenda di Meredith Kercher.
  Gli interroganti chiedono, quindi, se siano state avviate indagini al riguardo e se il Governo intenda assumere un'iniziativa normativa al fine di contrastare il fenomeno.
  In merito ai fatti descritti nell'articolo di stampa, il Ministero della giustizia ha comunicato che, allo stato, non risultano iscritti procedimenti penali presso le Procure di Roma e di Bari.
  Parimenti, la Polizia postale e delle comunicazioni ha riferito circa l'assenza di riscontri e segnalazioni in proposito, assicurando, su un piano più generale, che, ogni qualvolta emergano comportamenti penalmente rilevanti, essa provvede a darne notizia all'Autorità giudiziaria, ai fini dell'identificazione dei responsabili e dell'oscuramento del sito web incriminato.
  La stessa Polizia postale, nell'evidenziare che l'accesso ai gruppi chiusi riconducibili al fenomeno dello «stupro virtuale» è subordinato alla richiesta del soggetto interessato e alla conseguente accettazione da parte degli amministratori, ha informato che alcuni dei gruppi medesimi sono stati già oscurati dallo stesso social network Facebook.
  In relazione alla richiesta di adottare iniziative normative volte a contrastare il fenomeno, il Ministero della giustizia ha rilevato preliminarmente come l'ordinamento vigente già preveda sanzioni per gli atti di ingiuria, diffamazione e minaccia commessi attraverso i siti web e i social network della rete internet.
  Inoltre, l'utilizzo di internet, in ragione della rilevante capacità di diffusione di tale mezzo, dà luogo all'aggravamento dei reati di diffamazione e di istigazione a commettere delitti nonché della corrispondente condotta di apologia.
  Sotto il profilo processuale, il Ministero della giustizia ha evidenziato che in materia è ammesso il sequestro preventivo sia dei siti internet che dei profili postati su social network, come statuito dalla Corte di cassazione. L'esecuzione di tale misura cautelare si realizza mediante l'oscuramento del sito e richiede, di conseguenza, la collaborazione del provider.
  Nel caso di specie, come noto, il provider Facebook ha sede negli Stati Uniti e l'esecuzione dei provvedimenti di sequestro preventivo postula, necessariamente, un'attività di cooperazione giudiziaria con le autorità di quel paese. Al riguardo, vige tra Italia e Stati Uniti un accordo di mutua assistenza giudiziaria che contempla anche le ipotesi di sequestro preventivo.
  Il Ministero della giustizia ha anche sottolineato che la giurisprudenza ha sin qui sostenuto che – in base al decreto legislativo n. 70 del 2003 di recepimento della direttiva 2000/312/CE del Parlamento Pag. 27europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 – non sussiste alcun obbligo per l’hosting provider, nella fattispecie Facebook, di controllare preventivamente le informazioni caricate sulle varie pagine.
  È prevista, invece, la possibilità di un intervento dello stesso provider successivamente alla segnalazione della violazione, che avvenga, in primo luogo, da parte del titolare del diritto che si afferma leso; senza cioè che l'obbligo in parola derivi necessariamente da un ordine autoritativo. In presenza dell'omissione collegata alla intervenuta segnalazione, può essere ordinata, in sede di contenzioso civile, la rimozione dei contenuti lesivi e la condanna al risarcimento dei danni.
  Più di recente, la Corte di Cassazione, con una sentenza dello scorso 27 dicembre, ha affermato la responsabilità penale del provider per il dato diffamatorio postato da terzi specificatamente individuati, responsabilità sin qui esclusa dalla stessa giurisprudenza di legittimità sul fondamento che il citato decreto legislativo n. 70 non prevede l'obbligo di vigilanza sui contenuti dei materiali diffusi dagli utenti.
  Sul tema in questione è intervenuta anche la Commissione europea, che ha assunto misure condivise dagli Stati membri e, in collaborazione con tre delle più famose piattaforme di social networkFacebook, Twitter e YouTube, ha adottato il 31 maggio del 2016 un «Codice di condotta sul contrasto all'illecito incitamento all'odio on line».
  Con tale codice le società informatiche si sono impegnate:
   da un lato, ad esaminare, in meno di 24 ore, le segnalazioni relative a forme illegali di incitamento all'odio, rimuovendole, laddove necessario;
   dall'altro, a studiare, congiuntamente all'organismo europeo, forme di narrazione alternative e di contrasto. Allo scopo, è stato costituito un gruppo di alto livello per la lotta al razzismo, alla xenofobia e a tutte le forme di intolleranza.

  Nel quadro normativo così delineato, rimane fermo – a monte – che un efficace contrasto dei discorsi d'odio on line richiede un processo di responsabilizzazione delle piattaforme, in uno con l'individuazione di norme chiare sull'utilizzo della rete, che non introducano, tuttavia, forme di censura che ne condizionino l'autonomia. Appare, pertanto, necessario il contributo e la collaborazione di tutti gli attori coinvolti: gli Stati, la società civile, i social network e la rete nel suo complesso.
  In questo contesto, è compito delle istituzioni tutelare le vittime dell'odio, ma anche aiutare gli utenti, soprattutto i più deboli, a reagire e a difendersi, utilizzando la potenza stessa del web.
  In tal senso, il Ministro della giustizia ha presentato il 3 novembre scorso, unitamente ai rappresentanti di Facebook, le linee guida «Pensa prima di condividere» per l'utilizzo consapevole dei social media e per la sicurezza on line e, recentemente, ha incontrato associazioni della società civile per individuare congiuntamente il percorso per costruire una roadmap contro la propaganda d'odio veicolata sulla rete.
  Il tema è anche nell'agenda dei lavori del prossimo G7.
  Soggiungo che il Ministero della giustizia ha avviato un monitoraggio sui provvedimenti giudiziari relativi ai reati d'odio, d'intesa anche con questo Ministero il Ministero dell'interno e l'UNAR presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Inoltre, è in corso di elaborazione un disegno di legge che prevede ulteriori meccanismi inibitori e di rimozione dei contenuti lesivi dalle piattaforme internet.