CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 13 ottobre 2016
709.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-09747 Paglia: Prospettive future della Nuova Cassa di risparmio di Ferrara.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione dell'Onorevole Giovanni Paglia concerne la cessione della Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara ed in particolare le prospettive future dell'istituto bancario.
  In primo luogo, va ribadito che la gestione delle procedure di risoluzione delle banche compete all'Autorità di risoluzione nazionale (in Italia la Banca d'Italia) e non al Ministero dell'economia.
  Per quanto riguarda la vendita della Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara, si evidenzia che l'Autorità opera in attuazione del programma di risoluzione, approvato in uno con il provvedimento di avvio della procedura di risoluzione, e in osservanza delle previsioni del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, di recepimento della direttiva 2014/59/UE sul risanamento e la risoluzione delle banche (meglio nota come «BRRD»).
  Rilevano altresì nella determinazione delle alternative percorribili dall'Autorità di risoluzione, le prescrizioni e vincoli, ulteriori a quelli ricavabili da BRRD, imposti dalla Commissione europea, in ragione del coinvolgimento del Fondo di risoluzione nazionale. Infatti, sebbene il Fondo di risoluzione nazionale sia costituito da risorse private, gli interventi a valere su di esso sono considerati aiuti pubblici poiché la gestione del Fondo è affidata all'Autorità di risoluzione nazionale e, pertanto, sottoposti alla verifica di compatibilità dell'aiuto con il quadro normativo dell'Unione europea ad opera della Commissione europea.
  Alla Commissione europea spetterà, inoltre, anche la valutazione che l'individuazione dell'eventuale acquirente e le condizioni della vendita siano state condotte in linea con le proprie decisioni.
  Al riguardo la Banca d'Italia, sentita in proposito, ha fatto presente che, al fine di dare attuazione al programma di risoluzione di Carife, così come delle altre tre banche contestualmente avviate alla risoluzione nel novembre 2015, è attualmente in corso, con l'ausilio degli advisors a suo tempo incaricati, il confronto con i potenziali acquirenti mediante trattative bilaterali e parallele. Il novero dei soggetti coinvolti nella procedura di dismissione ricomprende gli investitori che hanno manifestato interesse a partecipare. Tutti i soggetti invitati possono formulare offerte per una o più delle quattro banche, con pari opportunità e secondo le preferenze e le scelte di ciascuno. Tale fase di trattative si pone in linea di continuità con quelle precedenti e viene condotta nel rispetto dei principi di apertura e non discriminatorietà, previsti dal decreto legislativo 16 novembre 2015 n. 180, oltre che delle prescrizioni della Commissione europea.
  In questo scenario è auspicabile che si realizzino prospettive di rilancio della Cassa di Risparmio ferrarese, in un quadro di rinnovate e solide garanzie sia per i lavoratori che per la clientela.

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ALLEGATO 2

5-09748 Sandra Savino: Iniziative per scongiurare la soppressione dell'ufficio territoriale di Bagheria dell'Agenzia delle entrate.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti chiedono chiarimenti in merito alla paventata possibilità di soppressione dell'ufficio territoriale di Bagheria, articolazione interna della Direzione provinciale di Palermo di questa Agenzia, lamentando gli inevitabili disagi che ne deriverebbero per i cittadini e per i dipendenti.
  Al riguardo, l'Agenzia delle entrate riferisce quanto segue.
  Giova preliminarmente sottolineare, la chiusura dell'ufficio territoriale di Bagheria in argomento non discendeva dall'attuazione di manovre di contenimento della spesa ma era stata presa a fronte dei problemi di sicurezza che rendono inagibile una parte dell'immobile e dell'impossibilità di trovare soluzioni alternative.
  Negli ultimi giorni, però, la proprietà dell'immobile e la Direzione regionale della Sicilia hanno sottoscritto un accordo in base al quale il personale potrà essere opportunamente redistribuito nell'ambito dell'immobile, abbandonando la porzione di fabbricato inagibile ed occupando altri spazi, sui quali la proprietà si è impegnata a eseguire i necessari lavori di adeguamento.
  Allo stesso tempo, la proprietà ha accettato la riduzione del canone di affitto, secondo la valutazione di congruità effettuata dall'Agenzia del Demanio.
  Pertanto, l'Agenzia delle entrate precisa che l'accordo intervenuto scongiura nell'immediato la chiusura dell'ufficio.
  Tuttavia, l'Agenzia evidenzia che il definitivo mantenimento dell'Ufficio di Bagheria resta subordinato alla realizzazione dei lavori di adeguamento dell'immobile da parte della proprietà dello stesso entro la fine dell'anno.

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ALLEGATO 3

5-09750 Ruocco: Chiarimenti circa l'applicazione dell'articolo 8, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, relativamente alle cessioni di beni previamente collocati in territorio extra-doganale da considerare non imponibili a fini IVA.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti chiedono chiarimenti in merito all'applicazione dell'articolo 8, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 con particolare riferimento alla possibilità che le cessioni di beni previamente collocati dall'operatore commerciale in territorio extra-doganale siano operazioni non imponibili idonee alla costituzione del plafond IVA di cui all'articolo 8, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
  Sulla questione infatti gli Onorevoli interroganti segnalano la sussistenza di un contrasto tra le decisioni giurisprudenziali di legittimità a fronte di una uniforme approccio interpretativo dell'Amministrazione finanziaria.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Occorre preliminarmente evidenziare che la collocazione temporanea di merci trasferite in Paesi terzi in occasione di fiere, mostre e mercati e le cessioni di beni effettuate dai cd. Duty free shop collocati nei porti, negli aeroporti e nelle stazioni di frontiera sono fattispecie diverse regolate da disposizioni doganali non assimilabili.
  Infatti la prima ipotesi si inquadra nelle c.d. di «temporanee esportazioni di merci», come tali fisiologicamente vincolate alla reimportazione a seguito della conclusione degli eventi cui erano state destinate, mentre nel secondo caso deve parlarsi di vere e proprie cessioni di «beni allo stato estero» a viaggiatori diretti in Paesi terzi.
  Essendo la questione principale rivolta a chiarire la disciplina fiscale delle cessioni di beni da parte dei duty free shop, occorre fare riferimento alle disposizioni recate dall'articolo 128 del TULD (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), tutt'ora applicabili, a tenore delle quali «Le amministrazioni, gli enti e le imprese esercenti porti, aeroporti, ferrovie, strade ed autostrade possono essere autorizzati ad istituire e gestire direttamente od a mezzo di loro concessionari, rispettivamente nell'ambito di stazioni marittime, aeroportuali e ferroviarie di confine ed in prossimità dei transiti internazionali stradali ed autostradali, speciali negozi per la vendita ai viaggiatori in uscita dallo Stato di prodotti allo stato estero in esenzione di tributi, destinati ad essere usati o consumati fuori del territorio doganale».
  La disciplina adottata dal legislatore nazionale trova legittimità nell'articolo 157, par. 1, lettera b) e nell'articolo 158, par. 1, lettera a), della Direttiva IVA (direttiva 112/2006/CE). Tali disposizioni prevedono, rispettivamente, che gli Stati membri possono esentare «le cessioni di beni destinati ad essere vincolati, nel loro territorio, ad un regime di deposito diverso da quello doganale» e che gli Stati membri possono prevedere un regime di deposito diverso da quello doganale per «i beni destinati a punti di vendita in esenzione da imposte, ai fini delle cessioni di Pag. 47beni destinati a essere trasportati nel bagaglio personale di un viaggiatore che si reca in un territorio terzo o in un paese terzo, con un volo o una traversata marittima (...)».
  I documenti di prassi in materia presentano unicità di indirizzo, tant’è che già con la circolare n. 179/D del 5 ottobre 2000, avente ad oggetto la disciplina delle modalità operative dei duty free shop, l'ex Direzione Generale delle Dogane del Ministero delle Finanze ha precisato che «i negozi per la vendita ai viaggiatori in uscita dallo Stato, posti nell'area extra Schengen, sono gestiti ai sensi dell'articolo 128 del TULD poiché normalmente destinati agli acquisti da parte dei viaggiatori diretti verso Paesi terzi.
  La medesima circolare, in particolare, prevede che negli speciali negozi in esame è possibile introdurre sia merce unionale sia merce non unionale, conferendo, in ogni caso, alla merce introdotta nel duty free shop lo status di «prodotti allo stato estero».
  Ne deriva che i duty free shop non possano essere considerati «territorio extra doganale», essendo tale qualificazione attribuibile solo ai territori espressamente individuati come tali dal Codice doganale dell'UE (cfr, articolo 4 del Reg. UE n. 952/2013).
  Tanto premesso, l'Agenzia delle entrate sottolinea che le cessioni in argomento non diano diritto alla maturazione del plafond.
  Invero la Corte di Cassazione (nelle sentenze del 25 settembre 2013, nn. 21986 e 21988, dove espressamente si supera il precedente del 2010) ha espressamente negato la legittimità del plafond in capo alla società che si occupa della gestione di negozi duty free all'interno di un aeroporto, in quanto ha ritenuto che le vendite effettuate nei confronti di viaggiatori con destinazione extra UE non possano classificarsi come cessioni all'esportazione ai sensi dell'articolo 8, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972.
  Nelle proprie decisioni la Corte ha effettuato un esame del quadro normativo riferito alla nozione di esportazione, che più direttamente rileva ai fini della disciplina in tema di plafond, ai sensi del d.P.R. n. 633 del 1972, articolo 8, primo comma, lettera c), ove si considerano non imponibili «(omissis) le cessioni di beni (...) rese a soggetti che avendo effettuato cessioni all'esportazione (omissis), si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari beni e servizi senza pagamento dell'imposta».
  A parere della Suprema Corte di Cassazione, le vendite effettuate nei duty free shop, pur integrando una cessione dei beni, non presentano il requisito del trasporto o della spedizione della merce al di fuori della Unione Europea parimenti richiesto dall'articolo 8, primo comma, lettera a), posto che il trasporto è curato esclusivamente dal viaggiatore in transito.
  La Corte, nella propria decisione, ribadisce la mancanza del requisito essenziale affinché si realizzi una cessione all'esportazione ai sensi dell'articolo 8, primo comma, lettera a) del d.P.R. 633 del 1972, ovvero che il trasporto o spedizione dei beni fuori del territorio della Comunità economica europea sia effettuato a cura o a nome del cedente. Inoltre, le cessioni in esame non costituiscono esportazioni ai sensi dell'articolo 8, primo comma lettera b), d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto tale disposizione precisa che non sono cessioni all'esportazione, le cessioni di beni da trasportarsi fuori dal territorio della Comunità [europea] nei bagagli personali.
  Il quadro normativo e giurisprudenziale testé enucleato – che non risulta superato da successive decisioni della Suprema Corte – impedisce di qualificare come esportazioni le cessioni effettuate all'interno dei duty free shop nei confronti di passeggeri con destinazione al di fuori del territorio UE.

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ALLEGATO 4

5-09697 Brugnerotto: Iniziative per escludere l'applicazione dell'IVA sulla Tariffa di igiene ambientale (TIA)

TESTO DELLA RISPOSTA

  Il documento di sindacato in esame ripropone le problematiche che sono emerse a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 24 luglio 2009, nella quale è stato chiarito che la tariffa di igiene ambientale di cui all'articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (di seguito denominata «TIA1»), ha natura tributaria e che la tariffa in questione non è soggetta ad IVA in quanto non ricorre il requisito della sinallagmaticità della prestazione.
  In particolare, gli Onorevoli interroganti lamentano che, nonostante le numerose pronunce giurisprudenziali che si conformato al dictum dei giudici costituzionale, tuttora le aziende di gestione dei rifiuti, continuano ad applicare l'IVA sulla TIA, e contemporaneamente, presentano all'Agenzia delle entrate istanza al fine di ottenere il rimborso delle somme versate.
  Gli interroganti chiedono, pertanto, quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per risolvere le criticità in questione e quali azioni intenda avviare per contrastare l'applicazione dell'IVA sulla TIA.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  La Corte costituzionale – con sentenza n. 238 del 2009 – ha, sia pure in sede di ratio decidendi (in un giudizio avente ad oggetto le disposizioni concernenti l'attribuzione alla cognizione delle commissioni tributarie delle controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA), affermato la natura tributaria della TIA1.
  Tale circostanza fa seguito ad un dibattito e all'instaurazione di contenziosi concernenti la natura della TIA1, atteso che taluni contribuenti invocavano la configurazione della medesima quale prelievo di diritto pubblico, escludendone la natura di corrispettivo del servizio di gestione dei rifiuti, rivendicando la conseguente inapplicabilità dell'IVA.
  Successivamente alla pronuncia del Giudice delle leggi, il legislatore è intervenuto – sia pure con riferimento specifico alla c. d. «TIA 2» di cui all'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – con la disposizione di cui al comma 33 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, prevedendo che «Le disposizioni di cui all'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.».
  Allo stato, tenuto conto del cospicuo contenzioso istauratosi a seguito delle richieste di rimborso avanzate dai cittadini e delle pronunce dei giudici di legittimità, la questione dell'applicabilità dell'IVA alla tariffa di igiene ambientale di cui all'articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è all'attenzione delle competenti strutture dell'Amministrazione finanziaria che hanno avviato gli approfondimenti istruttori volti ad individuare una soluzione idonea a contemperare le istanze dei cittadini utenti del servizio e con le esigenze connesse al rispetto dei saldi di finanza pubblica.
  Deve infatti sottolinearsi che, in linea generale, gli effetti finanziari della restituzione dell'IVA sulla TIA1 potrebbero essere molto rilevanti.