CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 4 agosto 2015
497.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (II e VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio. Atto n. 183.

PROPOSTA DI PARERE DEI RELATORI

  Le Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze) della Camera dei deputati,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio (Atto n. 183);
   osservato che lo schema di decreto legislativo in esame è diretto a modificare il sistema sanzionatorio in materia tributaria al fine di dare attuazione ai principi di effettività, proporzionalità e certezza della risposta sanzionatoria dell'ordinamento di fronte a condotte illecite, rilevanti tanto in sede amministrativa quanto in sede penale;
   condiviso l'obiettivo indicato nella relazione di accompagnamento secondo cui il sistema sanzionatorio tributario deve essere caratterizzato dalla predeterminazione delle condotte illecite, dalla certezza della misura sanzionatoria, dalla rapidità dei tempi di irrogazione della sanzione e dalla percezione della pena come risposta adeguata, non vessatoria né di carattere espropriativo;
   ritenuto che il sistema sanzionatorio fiscale rappresenti uno degli strumenti attraverso i quali promuovere la competitività del Paese, in quanto le sanzioni che puniscono le violazioni degli obblighi fiscali possono essere disincentivanti di nuove possibili scelte di investimento quando sono percepite come ingiuste, sproporzionate ed incerte dal destinatario che sia un potenziale investitore, nazionale o straniero;
   rilevato che lo schema di decreto in esame è in linea con i principi ed i criteri direttivi di delega, di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23, con la quale è stata conferita delega al Governo per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, individuando la sanzione penale (Titolo I dello schema) come una extrema ratio rispetto alla sanzione amministrativa, lasciando quindi alla pena la punizione di condotte caratterizzate da un particolare disvalore giuridico, oltre che etico e sociale, consistenti – come si legge nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto – in «comportamenti artificiosi, fraudolenti e simulatori, oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto all'attività di controllo». In questa ottica si è, pertanto, proceduto alla individuazione di soglie di punibilità e a casi di non punibilità, che non stanno a significare la liceità delle condotte che stanno al di sotto di tali soglie o che rientrano nei casi di non punibilità, quanto piuttosto che l'illiceità di queste condotte è punita dalla sanzione amministrativa (Titolo II dello schema). In tal modo il giudice potrà concentrarsi meglio sulle violazioni di una certa gravità;
   richiamato il seminario svolto dalle Commissione II e VI il 27 luglio 2015 sulle tematiche relative allo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio (Atto n. 183) e allo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (Atto n. 184), Pag. 9
   rilevato che:
    il Governo ha ritenuto che il richiamato articolo 8, prevedendo come principio di delega la revisione del sistema sanzionatorio penale tributario anziché la sua «riforma» o «riscrittura» stia a significare che «l'intervento debba comunque muoversi entro le coordinate di fondo del sistema vigente, delineate dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, a cominciare da quelle della preminente focalizzazione della risposta repressiva sul momento dell'auto-accertamento del debito di imposta, ossia della dichiarazione»;
    la delega in materia penale si concentra sui «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa», che nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto sono individuati come «fatti connotati da una fraudolenza in senso oggettivo, che si estrinseca nel ricorso ad «artifici» atti ad ostacolare o a sviare l'azione di accertamento o esecutiva dell'amministrazione finanziaria». Si tratta di fatti per i quali, secondo la delega, si devono prevedere « adeguate soglie di punibilità» e che devono essere puniti con «con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni», rimanendo altresì esclusa la possibilità di ridurre «le pene minime previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148»;
    il Governo ha preso atto che i predetti comportamenti da punire rientrano in alcune fattispecie penali già previste dall'ordinamento, per cui ha ritenuto che «l'indicazione del legislatore delegante debba trovare attuazione tramite una calibrata estensione anche soggettiva della fattispecie generale della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3 del decreto legislativo);
    in merito alle condotte che non sono connotate da fraudolenza in senso oggettivo la delega prevede la «possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilità», per cui nello schema si prevedono delle soglie di punibilità al di sotto delle quali interviene comunque la sanzione amministrativa;
    in relazione al principio che stabilisce al «revisione del regime della dichiarazione infedele [ ... ] al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti», il Governo ha ritenuto, anche sulla base dei lavori preparatori della legge delega, che tale revisione «debba essere ispirata al preminente fine di escludere la rilevanza penale delle operazioni di ordine classificatorio aventi ad oggetto elementi attivi o passivi effettivamente esistenti, in modo da limitare tendenzialmente la sfera applicativa della figura criminosa – priva di connotati di fraudolenza – al solo mendacio su dati oggettivi e reali»;
    per quanto attiene alle singole disposizioni del testo, si osserva che:
     1. in relazione all'articolo 1, comma 1, da un lato è necessario integrare la definizione di «dichiarazione» prevedendo anche quelle presentate dal sostituto d'imposta; dall'altro, alla lettera c), non appare congrua la definizione di «operazione simulata», che consisterebbe in «operazioni poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte» (oltre che nelle «operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti’’), quando invece dovrebbe trattarsi di operazioni in cui gli interessi in apparenza dedotti nel negozio risultano del tutto inesistenti (parlandosi, in tal caso, di simulazione assoluta) ovvero diversi da quelli in realtà perseguiti (avendosi, in questa evenienza, una simulazione relativa). La simulazione è diretta a creare non già una situazione non voluta, bensì una situazione caratterizzata dalla divaricazione fra il dato apparente e la situazione giuridica occulta, che viene considerata Pag. 10dalle parti del fenomeno simulatorio quale unica vincolante per le medesime;
     2. in relazione all'articolo 3, comma 1, capoverso Art. 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), la formula che descrive una ulteriore modalità della condotta («avvalendosi [...] di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria») va letta in stretto collegamento alla definizione di «mezzi fraudolenti» dettata dall'articolo 1, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 74 del 2000, anch'esso riformulato dallo schema di decreto legislativo (cfr articolo 1). Tale ultima disposizione stabilisce, infatti, che per «mezzi fraudolenti» si intendono «condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà». La definizione di «mezzi fraudolenti» incorpora necessariamente le modalità ulteriormente specificate dalla norma incriminatrice (articolo 3, comma 1, che – come ricordato – parla di idoneità ad ostacolare e a indurre in errore), specificazione che appare dunque superflua. Appare dunque preferibile sopprimere la frase «e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria», limitando la descrizione della presente modalità della condotta alla formula «mezzi fraudolenti» (peraltro già sperimentata anche in altre e importanti norme incriminatrici in materia di diritto penale dell'economia: si veda, per tutti, il delitto di manipolazione del mercato, articolo 185 del decreto legislativo n. 58 del 1998, cosiddetto TUF), formula che, rinviando alla definizione generale di falsa rappresentazione della realtà, contiene necessariamente il requisito della idoneità ad ostacolare e a indurre in errore;
     3. il comma 3 dell'articolo 3 limita, in relazione al comma 1, la definizione di «mezzi fraudolenti» dettata dall'articolo 1, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 74 del 2000 (introdotto dall'articolo 1 schema decreto legislativo) con riferimento alle ipotesi di creazione di documenti ideologicamente falsi, come lo è l'indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali. Le limitazioni create dal ricordato terzo comma dell'articolo 3 (soprattutto in relazione alla sottofatturazione) finiscono con il privare di concreto spazio applicativo l'incriminazione della frode fiscale mediante mezzi fraudolenti: ciò che non appare coerente con il principio tracciato dalla legge di delega, secondo cui deve essere dato rilievo a «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa» (articolo 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014). Si ritiene opportuno, pertanto, sopprimere le parole da «la sola indicazione» fino alla fine del comma;
     4. all'articolo 4, appare condivisibile l'inserzione del comma 1-bis nell'articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000 nell'ottica di riservare la comminatoria penale soltanto alle condotte caratterizzate da un percepibile coefficiente di fraudolenza, secondo consolidata dottrina e giurisprudenza, venendo esclusi dall'area penalmente rilevante tutte le componenti valutative (concernenti «elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti») alla condizione che i criteri concretamente applicati siano stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali. Per tale ragione appare suscettibile di creare problemi applicativi la previsione del comma 1-ter per la quale «non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette», ponendosi, così come è scritta, come contraddittoria rispetto alla previsione del comma 1-ter che esordisce con la clausola «in ogni caso». È necessario pertanto che al predetto comma 1-ter le parole «in ogni caso» siano sostituite dalle seguenti: «fuori dei casi di cui al comma 1-bis». Si segnala, inoltre, l'opportunità di sostituire nel primo comma dell'attualmente vigente articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000 la parola «fittizio» (che aveva ingenerato dubbi e complessità applicative) Pag. 11con il termine «inesistente», al fine di rendere la struttura del reato perfettamente coerente con il carattere della infedeltà. Tale modifica renderebbe perfettamente coerente il dettato del primo comma con quello del comma 1-bis, che, come detto, espressamente si riferisce a «elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti;
     5. In merito agli articoli 5 (omessa dichiarazione), 10-bis (omesso versamento di ritenute certificate) e 10-ter (omesso versamento di IVA), sarebbe opportuno differenziare gli omessi versamenti IVA e gli omessi versamenti delle ritenute certificate (articoli 10-ter e 10-bis) prevedendo una fattispecie di reato «fraudolento» o di un «aggravante» nei casi un cui le omissioni non derivano da una reale situazione di crisi aziendale bensì da una vera strategia omissiva. Infatti, oggi giorno è sempre più frequente l'utilizzo «fraudolento» dell'omissione dei versamenti tributari da parte di soggetti apparentemente regolari ma che realizzano la propria frode attraverso gli omessi versamenti, in quanto da li a poco verranno posti in liquidazione per costituire nuove realtà aziendali finalizzate a ripetere operazioni di omesso versamento fraudolento. La quantificazione di tali omissioni non è irrilevante. La medesima fattispecie dovrebbe essere prevista anche nel caso dell'omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali (articolo 5), distinguendo l'omissione derivante da un mero errore materiale dalle fattispecie fraudolente poste in essere da soggetti che tendono attraverso tale comportamento ad ostacolare volontariamente l'attività di accertamento dell'amministrazione finanziaria. Pertanto, l'amministrazione finanziaria dopo aver esperito i dovuti controlli potrebbe qualificare le fattispecie più gravi;
     6. nei casi in cui è stata innalzata o introdotta una soglia di punibilità, è ragionevole prevedere, anche ai fini di garantire tempi adeguati di prescrizione e l'irrogazione di una pena congrua rispetto alla gravità dei fatti, anche l'inasprimento della sanzione nel minimo e massimo edittale: cioè, una volta depenalizzati gli illeciti di fascia più bassa, infatti, ad un reato più grave dovrebbe corrispondere una sanzione più grave, come è avvenuto per il reato di omessa dichiarazione. In particolare, per i reati di cui agli articoli:
   3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) la pena è rimasta da un anno e 6 mesi a 6 anni nonostante l'innalzamento della soglia di punibilità alla lettera d da un milione a un milione 500 mila...,
   4 (dichiarazione infedele), la pena è rimasta da uno a 3 anni nonostante che le soglie di punibilità di cui alla lettera a e b siano state aumentate rispettivamente a 150 mila (da 50 mila) e 3 milioni (da 2 milioni);
     7. È del tutto condivisibile all'articolo 10 la scelta di prevedere una disciplina della confisca, abbandonando la tecnica del rinvio ad altra disposizione di legge. Tuttavia, il comma 2 del nuovo articolo 12-bis presenta una formulazione suscettibile di ingenerare dubbi applicativi, prevedendo che «la confisca non opera per la parte che può essere restituita all'Erario». Detta previsione risponde all'esigenza, senz'altro corretta, di evitare una duplicazione sanzionatoria (in senso lato), che si verrebbe a determinare nel caso che il contribuente infedele abbia restituito all'Erario quanto dovuto (somma evasa, interessi e sanzioni amministrative). La perplessità nasce tuttavia dall'impiego del verbo modale «potere», che autorizza un'interpretazione in forza della quale al giudice sarebbe preclusa la possibilità di disporre la confisca a seguito della sentenza di condanna nei casi nei quali il quantum di imposta evasa possa essere restituito all'Erario (e dunque: non sia già stato restituito). Situazione che esporrebbe al consistente rischio di vanificare da un lato la efficienza della sanzione e, dall'altro, di spingere l'agente a non restituire nulla. In questa prospettiva, allo scopo di evitare incertezze applicative, una ipotesi potrebbe essere quella di sostituire l'attuale formula «che può essere restituita» Pag. 12con la locuzione «che è stata restituita». Qualora si intendano prendere in considerazione anche le fattispecie nelle quali sia in atto un sequestro per equivalente prodromico alla confisca e si voglia tuttavia consentire al contribuente di utilizzare quanto in sequestro per provvedere alla restituzione all'Erario, ovvero quando siano raggiunti accordi con l'Amministrazione finanziaria per il versamento rateale, la previsione potrebbe essere integrata con una clausola del tipo «che il contribuente si impegna a restituire», stabilendo altresì che in mancanza della restituzione la confisca venga comunque applicata;
     8. con riferimento all'articolo 12, avente ad oggetto le circostanze del reato di cui all'13-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, suscita serie perplessità la circostanza aggravante di cui al comma 3 dell'articolo 13-bis, non in ragione della sua ratio, ma a causa della formulazione, apparendo opportuno un trattamento sanzionatorio più grave nel caso in cui il fatto è posto in essere con il contributo tecnico di un «professionista». Le perplessità sorgono in quanto non è chiaro se l'aggravamento sanzionatorio concerna unicamente il «correo» (termine processuale che dovrebbe essere sostituito da quello di concorrente o partecipe) ovvero anche il contribuente che ha beneficiato della particolare assistenza tecnica. La seconda soluzione appare essere quella corretta. La formulazione dell'aggravante non sembra rispondere al principio di determinatezza laddove si riferisce alla «intermediazione fiscale» ovvero alla «elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale», per cui potrebbe essere riformulata facendo riferimento ai fatti commessi dal compartecipe nell'esercizio di un'attività di consulenza fiscale esercitata da intermediario bancario o finanziario;
     9. appare incongrua la delimitazione ad un determinato periodo (1o gennaio 2016-31 dicembre 2017) dell'applicazione delle disposizioni dello schema non solamente in riferimento alle disposizioni di natura penale, nel qual caso si palesa una violazione dell'articolo 3 della Costituzione per irragionevolezza, ma anche in relazione a tutte le altre disposizioni del testo ed alla stessa ratio del medesimo. Con particolare riferimento alle sanzioni amministrative, si sottolinea che queste, secondo i principi fondanti del provvedimento in esame, sono volte a punire quelle condotte illecite che hanno una corrispondenza in fattispecie penali, dalle quali si differenziano sotto l'aspetto quantitativo (soglie di punibilità). Prevedere anche per le sole sanzioni amministrative un'applicazione limitata nel tempo sarebbe, quindi, incongruo e incoerente con la ratio dei provvedimento proprio in considerazione della circostanza che la sfera dell'illiceità delle condotte punite è data dalla complementarietà della sanzione penale con la sanzione amministrativa. L'articolo 31 dovrebbe quindi essere mantenuto solo con riferimento alle opportune disposizioni abrogative necessarie per coordinare la normativa vigente al provvedimento in esame,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   a) all'articolo 1, comma 1, dopo la lettera a) inserire la seguente: a-bis) alla lettera c) le parole «enti o persone fisiche» sono aggiunte le seguenti «o di sostituto d'imposta»;
   b) all'articolo 1, comma 1, lettera c), sia rivista la definizione di operazioni simulate avendo riferimento, oltre che alla volontà di non realizzarle in tutto o in parte, al fatto che la simulazione è caratterizzata da una situazione solo apparente, mentre la situazione giuridica occulta è l'unica reale e vincolante;
   c) con riferimento all'articolo 1, comma 1, lettera c), dello schema di decreto, la quale inserisce nell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 74 del 2000 una nuova lettera h), recante la definizione di operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente, provveda in Pag. 13tale ambito il Governo a sostituire le parole: «non integranti» con le seguenti: «diverse», al fine di distinguere la fattispecie della simulazione da quelle dell'abuso del diritto;
   d) all'articolo 3, comma 1, capoverso «Art. 3», comma 1, le parole da: «altri mezzi fraudolenti» a «amministrazione finanziaria» sono sostituite dalle seguenti: «mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento»;
   e) all'articolo 3, comma 1, capoverso «Art. 3», comma 3, sopprimere le parole: da «o la sola indicazione» fino alla fine del comma;
   f) con riferimento agli articoli 5 (omessa dichiarazione), 10-bis (omesso versamento di ritenute certificate) e 10-ter (omesso versamento di IVA), sia individuata una più idonea qualificazione delle condotte omissive di versamenti o di ritenute e delle pene, laddove qualificate da strategie fraudolente non riconducibili a reali situazioni di crisi aziendale;
   g) all'articolo 4 sia prevista la sostituzione nel comma 1 dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000 del termine «fittizio» con il termine «inesistente»;
   h) all'articolo 4, comma 1, lettera c), capoverso 1-ter, le parole «in ogni caso» siano sostituite dalle seguenti: «fuori dei casi di cui al comma 1-bis»;
   i) con riferimento all'articolo 5 dello schema, il quale modifica l'articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, valuti il Governo l'opportunità di uniformare la sanzione prevista dal comma 1-bis a quella del comma 1 del medesimo articolo 5, portandola pertanto «da 1 a 3 anni» a «da un anno e sei mesi a quattro anni»;
   j) con riferimento agli articoli 7 e 8 dello schema, i quali modificano gli articoli 10-bis e 10-ter del decreto legislativo n. 74 del 2000, rispettivamente innalzando la soglia di non punibilità da cinquantamila euro a centocinquantamila euro per il reato di omesso versamento di ritenute certificate e elevando la soglia di punibilità del reato di omesso versamento dell'IVA da 50 mila a 250 mila euro per ciascun periodo di imposta, si provveda a uniformare le soglie di punibilità ivi previste, che appaiono ingiustificatamente diverse, rapportando anche la soglia di punibilità relativa all'omesso versamento dell'IVA a 150.000 euro;
   k) all'articolo 10, comma 1, capoverso articolo 12-bis, comma 2, sostituire le parole «che può essere restituita», con le seguenti «che è stata restituita» ovvero, in subordine, con le parole «che il contribuente si impegna a restituire. Nel caso di mancata restituzione la confisca è sempre disposta»;
   l) all'articolo 12, capoverso «Art. 12-bis», comma 3, sostituire le parole da: «dal correo» fino alla fine del comma, con le seguenti: «dal compartecipe nell'esercizio di attività di consulenza fiscale esercitata da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario»;
   m) sia soppresso il comma 1 dell'articolo 31, eliminando la temporaneità delle disposizioni sanzionatorie penali e amministrative e, di conseguenza, sia modificato il comma 1-bis del medesimo articolo 31, nel senso di disporre l'abrogazione definitiva delle disposizioni ivi richiamate; ovvero, in subordine, provveda il Governo a limitare esclusivamente alle disposizioni del Titolo II dello schema la previsione di cui al comma 1, la quale stabilisce che le disposizioni previste dal provvedimento si applicano a partire dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2017 e a disporre comunque l'abrogazione definitiva della disposizione di cui alla lettera e) del comma 1-bis;

  e con le seguenti osservazioni:
   1) con riferimento all'articolo 15, comma 1, dello schema, il quale apporta numerose modifiche al decreto legislativo n. 471 del 1997, in materia di sanzioni tributarie non penali, valuti il Governo l'opportunità di sostituire, ove ricorrano, alla lettera a), concernente le violazioni Pag. 14relative alla dichiarazione delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive, alla lettera b), concernente le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d'imposta, alla lettera e), concernente le violazioni relative alla dichiarazione dell'imposta sul valore aggiunto e ai rimborsi, e alla lettera f), concernente le violazioni degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, le parole: «dal novanta al centoottanta» con le seguenti: «dall'ottanta al centosessanta»;
   2) con riferimento all'articolo 15, comma 1, lettera m), numero 6), dello schema, la quale inserisce nell'articolo 11 del decreto legislativo n. 471 del 1997, un nuovo comma 7-bis, valuti il Governo l'opportunità di sopprimere tale nuovo comma 7-bis, il quale prevede l'applicazione di una sanzione dal 10 al 50 per cento delle somme in caso di mancata o inesatta indicazione del soggetto beneficiario delle somme prelevate nell'ambito dei rapporti finanziari e delle relative operazioni di cui all'articolo 32, primo comma, numero 2), del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, salvo che le somme non risultino dalle scritture contabili;
   3) agli articoli 3, 4, valuti il Governo l'opportunità di innalzare nel minimo e/o nel massimo, in maniera adeguata alla previsione delle soglie di punibilità introdotte, le pene previste agli articoli 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), 4 (dichiarazione infedele), del decreto legislativo n. 74 del 2000.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio. Atto n. 183.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO MOVIMENTO 5 STELLE

  Le Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze) della Camera dei deputati,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione del sistema sanzionatorio;
   premesso che:
    lo schema di decreto legislativo modifica la disciplina vigente in materia di reati tributari di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, attuando un aumento «generalizzato» delle soglie di punibilità previste per le singole fattispecie di reato (ad eccezione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'articolo 2): tale aumento, oltre a ledere il principio di proporzionalità nella determinazione della sanzione penale (non tenendo conto del diverso disvalore sociale delle fattispecie di reato), non considera gli effetti incentivanti dell'evasione; l'efficacia deterrente della sanzione amministrativa pecuniaria, infatti, non è idonea da sola a disincentivare le condotte di evasione, dal momento che spesso le frodi fiscali vengono perpetrate ed attuate attraverso l'impiego delle cosiddette «teste di legno» ovverosia soggetti privi di garanzie patrimoniali;
    all'interno dell'incerto perimetro della delega, la quale rimanda ad una ponderazione non precisamente definita circa la depenalizzazione di alcuni comportamenti illeciti, il legislatore delegato ha optato per l'elevazione delle soglie di punibilità di numerosi delitti elencati nel Titolo II del decreto legislativo n. 74 del 2000 che, oltre a non trovare adeguato contro-bilanciamento in un innalzamento delle pene associate, tende a configurare un quadro in cui la funzione deterrente della sanzione è affievolita: segnatamente, all'articolo 3, la disposizione relativa al reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, pur mantenendo la pena invariata da un anno e sei mesi a sei anni, eleva la soglia di punibilità da un milione a un milione e cinquecentomila euro per l'ammontare degli elementi attivi sottratti all'imposizione; all'articolo 4, riguardo la disciplina sanzionatoria delle dichiarazioni infedeli, ad una franchigia omnicomprensiva di non punibilità del dieci per cento di discostamento dagli importi valutati come corretti ed in presenza di una pena immutata da uno a tre anni di reclusione, va ad aggiungersi un innalzamento della soglia di punibilità da cinquantamila a centocinquantamila euro per l'imposta evasa e da due a tre milioni di euro relativamente agli elementi attivi sottratti all'imposizione; se, ancora, per il reato di omessa dichiarazione, di cui all'articolo 5, è elevata la soglia di punibilità dagli attuali trentamila ai cinquantamila euro con un conseguente, modesto, innalzamento della pena, all'articolo 7, il reato di omesso versamento di ritenute certificate, invariata la pena, risulta punibile solo dai centocinquantamila euro, allorquando la soglia vigente è di cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta; infine, all'articolo 8, la soglia di punibilità per l'omesso versamento dell'IVA viene addirittura quintuplicata, con un aumento della stessa dagli attuali cinquantamila ai Pag. 16duecentocinquantamila euro per il medesimo periodo d'imposta, ciò senza comportare una modifica della pena, che rimane inalterata da sei mesi sino a due anni di reclusione;
    si introducono specificazioni normative volte a chiarire i profili applicativi delle disposizioni ma che di fatto si sostanziano in «celate» condizioni di non applicazione della disposizione o in espresse cause di non punibilità, riducendo ulteriormente l'area del penalmente rilevante;
    l'intero impianto normativo rivisto dallo schema di decreto in esame si caratterizza per la presenza di disposizioni di incerta definizione, prestandosi a controverse applicazioni ed interpretazioni; nel dettaglio delle singole disposizioni si rileva quanto segue:
    all'articolo 1, la definizione di operazione simulata («l'operazione posta in essere con la volontà di realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti») contrasta con la definizione tipica di simulazione prevista all'interno del nostro ordinamento giuridico: la simulazione si caratterizza, infatti, per la differenza tra ciò che appare e ciò che effettivamente si vuole; in sostanza l'operazione simulata la si vuole di fatto porre in essere mentre non si vogliono i relativi effetti; la definizione di operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente non chiarisce, dunque, il senso della norma rischiando invece di generare dubbi interpretativi e applicativi, anche in considerazione dell'analoga formulazione utilizzata per la qualificazione dell'abuso del diritto. In pratica, così come formulata, la norma rischia di non essere mai applicata, essendo possibile ricondurre le condotte da essa previste in tipiche ipotesi di abuso del diritto non penalmente rilevanti;
    all'articolo 3, comma 1, il requisito previsto «dell'idoneità ad induzione in errore» compromette la corretta applicazione della disposizione: se il reato è stato accertato, infatti, non sussiste l'idoneità della condotta ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria; inoltre la definizione di cui all'articolo 3 non si coordina con la definizione di mezzi fraudolenti di cui all'articolo 1, lettera c): insomma, è la stessa norma ad indurre l'interprete in errore;
    all'articolo 4, è evidente il contrasto interno alla norma in merito alle valutazioni e classificazione di elementi attivi e passivi di cui ai commi 1-bis e 1-ter; in ogni caso va considerato che la maggior parte delle condotte che integrano il reato di dichiarazione infedele si sostanziano in errate valutazioni delle componenti di reddito e che pertanto, sotto tale profilo, la norma ne comporta inevitabilmente la depenalizzazione, andando ad incidere sui processi pendenti;
    all'articolo 5, sarebbe stata preferibile la previsione di una specifica condotta di omessa dichiarazione fraudolenta, che è invece equiparata alle ipotesi ordinarie di omessa dichiarazione;
    all'articolo 8, l'aumento della soglia di punibilità a 250.000 euro appare estremamente eccessivo, considerato che, così come formulata, la disposizione andrà ad incidere, positivamente per l'imputato contribuente, sulla maggioranza dei procedimenti penali pendenti;
    all'articolo 10, non si comprende la disposizione di cui al comma 2, laddove si prevede che la confisca non opera per la parte che può essere restituita all'erario; la disposizione, dunque, si presta a diverse interpretazioni che ne potrebbero agevolmente impedire l'applicazione;
    quanto alla condizione di non punibilità di cui all'articolo 11 (norma definita «criminogena» nel corso delle audizioni, in quanto tendente a favorire l'evasione ed il ritardato pagamento), non si condivide la previsione in relazione ai reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater per i quali si prevede che l'estinzione del debito possa avvenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Tale momento, infatti, andrebbe Pag. 17anticipato sia perché spesso esso viene fissato a distanza di anni dal rinvio a giudizio sia per non vanificare del tutto il lavoro svolto dall'autorità giudiziaria inquirente;
    all'articolo 12, appare irragionevole condizionare l'aggravante alla «elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale» considerato che il disvalore della condotta è già insito nell'esercizio dell'attività professionale. Sarebbe stato più opportuno commisurare l'aggravante all'ammontare dell'imponibile evaso;
    quanto alle sanzioni amministrative pecuniarie, invece, si disciplina il caso di presentazione «tardiva» della dichiarazione dei redditi, ovvero i casi di presentazione della dichiarazione omessa entro l'anno successivo o prima dell'inizio di attività amministrative di accertamento; con la modifica si applica una sanzione ridotta in considerazione del fatto che la dichiarazione viene comunque presentata: tuttavia, la condizione per l'applicazione della detta sanzione viene individuata nella presentazione della dichiarazione prima dell'inizio di attività amministrativa di accertamento, mentre sarebbe stato opportuno anticipare tale limite temporale all'inizio di attività ispettive (accessi, ispezioni e verifiche);
    si prevede inoltre l'applicazione di una sanzione ridotta nel caso di irregolarità di» minore portata» ovvero, si veda il comma 4-ter dell'articolo 5, nel caso in cui la maggiore imposta ovvero la minore eccedenza detraibile o rimborsabile accertata è complessivamente inferiore al tre per cento dell'imposta, dell'eccedenza detraibile o rimborsabile dichiarata e, comunque, complessivamente inferiore ad euro 30.000 euro;
    autonoma trattazione merita invece il comma 7-bis dell'articolo 11, il quale dispone che «La mancata o inesatta indicazione del soggetto beneficiario delle somme prelevate o degli importi riscossi nell'ambito dei rapporti e delle operazioni di cui all'articolo 32, primo comma, numero 2) del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è punita con sanzione dal 10 al 50 per cento delle predette somme, salvo che non risultino dalle scritture contabili»; a parte i dubbi di costituzionalità della disposizione in considerazione della sentenza della Consulta n. 228 del 2014 (la quale aveva censurato la disposizione di cui all'articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, affermando che «anche se le figure dell'imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono specificità di quest'ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l'omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe a un costo a sua volta produttivo di un ricavo»), la norma finisce per sanzionare nuovamente la condotta di omessa indicazione del beneficiario, già indirettamente sanzionata dall'applicazione dell'articolo 32 citato (che addirittura prevede una doppia presunzione di evasione) e dalle conseguenti sanzioni connesse all'accertamento;
    quanto invece all'applicazione «a tempo» della disciplina di cui allo schema di decreto in esame (si prevede infatti che le disposizioni di revisione del sistema penale tributario e sanzionatorio troveranno applicazione dal 1o gennaio 2016 fino al 31 dicembre 2017), sconcerta una simile tecnica legislativa, che si pone in evidente contrasto con le necessarie esigenze di certezza del diritto e di semplificazione del sistema (anche se limitata alle sole sanzioni amministrative, così come precisato dal Viceministro Casero in apertura del seminario istituzionale svolto dalle Commissioni riunite II e VI il 27 luglio scorso); al riguardo, trattandosi di normativa sanzionatoria amministrativa (assimilata alla normativa penale dalla giurisprudenza costituzionale quanto agli effetti dell'articolo 25, secondo comma, della Costituzione – vedi sentenza n. 196/2010), andrebbero approfonditi gli aspetti che riguardano la successione di leggi nel tempo; potrebbe, infatti, mettersi in dubbio l'applicabilità del principio del «favor Pag. 18rei» che consentirebbe di far retroagire le disposizioni più favorevoli per i contribuenti anche sulle violazioni commesse precedentemente, ad esclusione delle situazioni definitive; alla luce dell'attuale formulazione normativa, sussiste addirittura il concreto rischio che l'entrata in vigore temporanea possa essere considerata costituzionalmente illegittima,
  esprimono

PARERE CONTRARIO

  invitando il Governo ad una integrale revisione della normativa di cui allo schema di decreto in esame, che tenga conto delle criticità suesposte ed emerse nel corso dell'esame in Commissione, nonché durante il seminario istituzionale, ed in particolare delle seguenti raccomandazioni:
   1) eviti il Governo i previsti aumenti delle soglie di punibilità confermando quantomeno quelle attualmente vigenti;
   2) si sopprima la lettera c) dell'articolo 1;
   3) all'articolo 3, comma 1, si sopprimano le parole: «ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria»;
   4) all'articolo 4, si sopprima il comma 1-ter;
   5) all'articolo 5, si introduca la specifica condotta di omessa dichiarazione fraudolenta;
   6) all'articolo 8, si elimini la soglia di punibilità fissata a 250.000 euro;
   7) all'articolo 10, si sopprima il comma 2;
   8) all'articolo 11, in relazione ai reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, si anticipi il termine per il versamento analogamente a quanto previsto per i reati di cui agli articolo 4 e 5;
   9) all'articolo 12, si eliminino le parole «elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale»;
   10) quanto alle sanzioni amministrative pecuniarie, all'articolo 15, comma 1, lettera a), capoverso articolo 1, comma 1, secondo periodo, si sostituiscano le parole: «prima dell'inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento» con le seguenti: «sempreché la violazione non sia stata già contestata e comunque non siano iniziati accessi, ispezione, verifiche o altre attività amministrative di accertamento»;
   11) all'articolo 15, lettera m), numero 6), si sopprima il capoverso 7-bis;
   12) si sopprima la limitazione temporale prevista all'articolo 31, sia per le sanzioni penali sia per le sanzioni amministrative pecuniarie.
Pesco, Alberti, Pisano, Ruocco, Villarosa, Fico.

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ALLEGATO 3

Schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario. Atto n. 184.

PROPOSTA DI PARERE DEI RELATORI

  Le Commissioni II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (Atto n. 184);
   premesso che lo schema di decreto legislativo in discussione è stato predisposto ai sensi della legge n. 23 del 2014, la quale, nel perseguire l'obiettivo generale della riduzione della pressione tributaria sui contribuenti, conferisce una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita;
   rilevato come tra le materie oggetto della delega legislativa figurino, in particolare, la disciplina in materia di interpelli (articolo 6, comma 6) e quella relativa al contenzioso tributario (articolo 10, comma 1);
   rilevato che:
    l'articolo 6, comma 6, della legge sopra richiamata, delega il Governo a introdurre disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, secondo i seguenti criteri direttivi: garantire una maggiore omogeneità, anche ai fini della tutela giurisdizionale; assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri; procedere all'eliminazione delle forme di interpello obbligatorio, nei casi in cui non producano benefìci, ma solo aggravi per i contribuenti e per l'amministrazione;
    in tale ambito, le norme contenute nel Titolo I del provvedimento introducono una disciplina complessiva dell'interpello, contemplando, all'articolo 1, cinque diverse tipologie: a) ordinario; b) qualificatorio; c) probatorio; d) antiabuso; e) disapplicativo: tale ultima tipologia è di carattere obbligatorio, ferma restando la possibilità per il contribuente, qualora non sia stata resa risposta favorevole, di fornire la richiesta dimostrazione anche nelle successive fasi dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa;
    l'interpello è uno tra gli strumenti con cui si esplica, nei confronti della generalità dei contribuenti, l'attività interpretativa o di consulenza giuridica dell'Agenzia delle entrate, con l'obiettivo di individuare la corretta disciplina tributaria in riferimento alle fattispecie prospettate: si tratta, pertanto, anche di un istituto previsto in un'ottica deflattiva del contenzioso tributario, che risulta particolarmente efficiente qualora l'intera procedura si esplichi e si concluda nell'arco di un lasso di tempo ragionevolmente breve; inoltre tale istituto, se operante in modo corretto, consente di intensificare e migliorare i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria, nel rispetto dei principi di collaborazione e buonafede sanciti dall'articolo 10, comma 1, della legge n. 212 del 2000;
    pur ritenendosi apprezzabile la proposta governativa di revisione dell'istituto in questione, si suggerisce l'accorpamento delle varie tipologie di interpello, magari in due principali figure giuridiche, in modo da render snello ed efficiente il perseguimento degli obiettivi di garantire, da un lato, una maggiore omogeneità, Pag. 20anche ai fini della tutela giurisdizionale, e, dall'altro, una migliore tempestività nella redazione dei pareri da parte delle Agenzie;
    mentre le norme disapplicabili autonomamente previste nel decreto legislativo recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese (interpelli CFC e dividendi provenienti da black list) sono state accompagnate da un obbligo di segnalazione punito con una sanzione proporzionale che può arrivare sino a euro 50.000, tutti i nuovi interpelli facoltativi previsti e/o introdotti dallo schema di decreto in commento sono sostituiti, nel caso di disapplicazione «autonoma» (senza interpello), da un obbligo di segnalazione corredato di una sanzione solo formale;
    l'interpello disapplicativo del comma 2 sembra essere solo formalmente obbligatorio, poiché anche in assenza dell'istanza, a parte l'applicazione di una non meglio precisata sanzione, sembra che il contribuente possa comunque ottenere l'effetto di disapplicare in autonomia qualsiasi norma avente carattere antielusivo, determinando in tal modo il rischio che per ogni accertamento che il contribuente dovesse subire per una asserita violazione di una norma, egli possa sempre tentare di difendersi sostenendo di aver disapplicato la norma senza nemmeno informare e chiedere il giudizio dell'Agenzia delle entrate;
    in tal modo si attribuisce ai contribuenti un'indefinita discrezionalità che poi, ovviamente, verrebbe replicata in sede di accertamento;
   considerato che:
    l'articolo 10, comma 1, della legge n. 23 del 2014, reca la delega al Governo per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, da perseguire sia mediante la razionalizzazione dell'istituto della conciliazione nel processo tributario, anche in un'ottica di deflazione del contenzioso, sia tramite l'incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria,
    l'articolo 9 dello schema di decreto legislativo in esame, in attuazione della predetta delega, reca quindi numerose modifiche alla disciplina del contenzioso tributario, a tal fine novellando il decreto legislativo n. 546 del 1992, che reca la disciplina relativa al processo tributario;
    l'articolo 9, comma 1, lettera e), dello schema di decreto legislativo include, tra i soggetti abilitati all'assistenza tecnica dinanzi agli organi di giustizia tributaria «i dottori commercialisti e gli esperti contabili»;
    si tratta peraltro di un evidente errore, poiché questa formulazione escluderebbe, del tutto ingiustificatamente, dal novero dei soggetti abilitati i ragionieri commercialisti, includendovi invece gli esperti contabili che, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, lettera c), del decreto legislativo n. 139 del 2005, recante la «Costituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, non sono legittimati all'assistenza ed alla rappresentanza dinanzi agli organi della giustizia tributaria di cui al decreto legislativo n. 545 del 1992;
    l'articolo 9, al comma 1, lettera f), al fine di rafforzare il principio in base al quale le spese del giudizio seguono la soccombenza, introduce alcune modifiche all'articolo 15 del richiamato decreto legislativo; in particolare, il comma 2-bis del novellato articolo 15 dispone che, qualora risulti che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, la commissione tributaria, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, anche al risarcimento dei danni liquidati, anche d'ufficio, nella sentenza; al riguardo si osserva che tale norma, che all'apparenza sembra ampliare i poteri del giudice tributario, in realtà li restringe: è, infatti, oggi pacifico, in base all'insegnamento della Cassazione (Cass. civ. sez. un., 3 giugno 2013, n. 13899), che nel processo tributario trova applicazione l'intero articolo 96 del codice di procedura civile, riproducendo invece la norma delegata solo il primo comma di tale articolo Pag. 21e sottraendo al giudice tributario il potere di applicare il 2o ed il 3o comma;
    si rileva, pertanto, la necessità che la norma in questione, anziché riprodurre le sole disposizioni contenute nel primo comma, faccia più correttamente riferimento all'integrale applicazione dell'articolo 96 del codice di procedura civile;
   ritenuto che:
    l'articolo 9, comma 1, dello schema di decreto, alla lettera gg) modifica l'articolo 69 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che reca disposizioni sull'esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente; il vigente articolo 69 disciplina l'ipotesi di condanna dell'amministrazione finanziaria o del concessionario del servizio di riscossione, con sentenza passata in giudicato, disponendo la spedizione in forma esecutiva; il comma 1 del novellato articolo 69 dispone, invece, l'immediata esecutività delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente, prevedendo tuttavia che il pagamento di somme di importo superiore a 10.000 euro, diverse dalle spese di lite, può essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell'istante, alla prestazione di idonea garanzia;
    al riguardo, non si condivide la scelta di limitare l'applicazione del principio all'esecuzione delle sentenze di condanna alla restituzione di somme di denaro, escludendo, ad esempio, le pronunce in materia catastale o relative alla revoca della qualifica di ONLUS precedentemente concessa: la legge delega, infatti, ha voluto affermare il principio secondo cui con la sentenza di primo grado viene meno la presunzione di legittimità e quindi l'esecutorietà dell'atto amministrativo, dovendosi l'atto impositivo annullato dal giudice, sia pure con pronuncia non passata in giudicato, ritenere provvisoriamente inesistente e, come tale, improduttivo di effetti, sia sul piano giuridico, sia su quello economico;
    proprio l'esecutività di tutte le sentenze (e non solo di quelle che contengano una condanna al pagamento di somme) è la novità giuridica del nuovo sistema, posto che già il testo originario dell'articolo 68 del decreto legislativo n. 546 del 1992 dispone che «se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza»; appare infatti contrario al principio di legalità e di parità delle parti che la Amministrazione pubblica continui a riscuotere imposte (dirette, registro, imposte locali), in base ad un atto di classamento invalidato dal giudice; né sembra appropriato, per sostenere simile eventualità, il richiamo alla giurisprudenza civile che ritiene le sentenze di mero accertamento divengano esecutive solo con il giudicato, dal momento che la medesima giurisprudenza afferma che tali pronunce determinano comunque l'immediata ineseguibilità delle obbligazioni che dall'accertamento dipendono (Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2012, n. 19938: la pronuncia giudiziale, non definitiva, che tolga efficacia ad una delibera condominiale impedisce la riscossione dei contributi condominiali necessari per affrontare le spese deliberate);
    dovrebbe, pertanto, essere chiarito che la immediata esecutività delle sentenze tributarie favorevoli al contribuente comporta la soppressione dell'articolo 69-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992 (introdotto dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16), che dilaziona l'esecuzione delle sentenze in materia catastale al passaggio in giudicato del provvedimento di accoglimento del ricorso;
    l'articolo 9, comma 1, lettera t), introduce il nuovo articolo 48-ter del decreto legislativo n. 546 del 1992, che disciplina il pagamento delle somme dovute a titolo di conciliazione, stabilendo la percentuale delle sanzioni dovute e le modalità di versamento e di recupero delle somme non versate; in particolare, il comma 3 del nuovo articolo 48-ter, prevede che in caso di mancato pagamento Pag. 22delle somme dovute per la conciliazione o anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, l'ufficio provvede all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione per omesso pagamento, applicata in misura doppia, sul residuo importo dovuto, mentre il comma 4 rinvia alle «disposizioni anche sanzionatorie previste per l'accertamento con adesione dall'articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218»; tenuto conto della diversità della disciplina applicabile all'accertamento con adesione, che si perfeziona con il versamento dell'importo dovuto o della prima rata, rispetto a quella applicabile all'istituto della conciliazione, che si perfeziona invece con la sottoscrizione dell'accordo, si rileva l'opportunità, al fine di evitare eventuali incongruenze, di procedere al coordinamento delle predette disposizioni;
   valutato che:
    l'articolo 11 dello schema di decreto legislativo reca modifiche al decreto legislativo n. 545 del 1992, relativo all'ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria; in particolare, la lettera g) di tale articolo, nel sostituire integralmente l'articolo 15 del richiamato decreto legislativo, recante disposizioni in materia di vigilanza e di sanzioni disciplinari, individua specificamente le sanzioni disciplinari applicabili, sulla scorta di quelle già previste per i giudici ordinari, e tipizza altresì le condotte punibili;
    nella tipizzazione degli illeciti disciplinari previsti, fa difetto la previsione della reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio adottate dagli organi competenti, con conseguente impossibilità di perseguire frequenti comportamenti non collocabili nelle altre tipologie;
    l'articolo 12 dello schema di decreto legislativo dispone l'entrata in vigore delle norme alla data del 1o gennaio 2016, salvo che per le norme contenute nell'articolo 9, comma 1, lettere ee) e gg), riguardanti rispettivamente l'immediata esecutività delle sentenza del giudice tributario e la nuova disciplina dell'esecuzione delle sentenza di condanna in favore dei contribuenti, destinate a entrare in vigore il 1o gennaio 2017;
    non si ravvisano ragioni giuridicamente fondate o plausibili per un differimento dell'entrata in vigore di tali disposizioni,
  esprimono

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   1) all'articolo 4, con riferimento all'istruttoria dell'interpello, nel caso di richiesta di integrazione della documentazione presentata, sia prevista, per tutte le tipologie di interpello un unico termine di 60 giorni dal ricevimento della documentazione integrativa entro il quale l'Amministrazione Finanziaria è tenuta a rendere il parere;
   2) all'articolo 9, comma 1, lettera e), capoverso articolo 15, comma 3, sostituire la lettera b) con la seguente: «b) i soggetti iscritti nella sezione A Commercialisti dell'Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili»;
   3) all'articolo 9, comma 1, lettera f), capoverso articolo 15, sostituire il comma 2-bis con il seguente: «2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 96 del codice di procedura civile»;
   4) all'articolo 9, comma 1, lettera gg), capoverso articolo 69, comma 1, sostituire il primo periodo con il seguente: «Le sentenze delle commissioni tributarie favorevoli al contribuente sono immediatamente esecutive»; conseguentemente, all'articolo 9, comma 1, dopo la lettera gg), inserire la seguente: «gg-bis) l'articolo 69-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992 è abrogato»;
   5) all'articolo 11, comma 1, lettera g), capoverso articolo 15, comma 2, dopo le parole: «del proprio ufficio» inserire le seguenti: «reiterata o grave inosservanza Pag. 23delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio adottate dagli organi competenti»;

  e con le seguenti osservazioni:
   a) al fine di ottemperare meglio ai principi di delega, unificando il più possibile le procedure di interpello, valuti il Governo l'opportunità di accorpare in un'unica categoria di interpelli quelli previsti dall'articolo 1, comma 1, capoverso articolo 11, comma 1, lettere a) e b), le cui procedure, peraltro, sono del tutto allineate;
   b) in relazione all'interpello qualificatorio di cui all'articolo 1, comma 1, capoverso ART 11, comma 1, lettera b), rispetto al quale la relazione illustrativa chiarisce che esso potrà essere utilizzato per fattispecie incerte, quali ad esempio «la valutazione della sussistenza di un'azienda o di una stabile organizzazione ai fini dell'esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti di cui al nuovo articolo 168-ter del TUIR o la riconducibilità di una determinata spesa alla categoria delle spese di pubblicità ovvero a quelle di rappresentanza», al fine di ridurre al massimo le incertezze che nella materia fiscale attanagliano maggiormente le imprese, valuti il Governo l'opportunità di chiarire che tale tipologia di interpello sarà esplicabile anche per definire:
    la qualificabilità di una determinata spesa come inerente o di competenza di un determinato esercizio;
    l'esistenza o meno delle condizioni per considerare un'entità non residente quale «esterovestita» ai sensi dell'articolo 73 del TUIR;
   c) considerando la medesima natura degli istituti dell'interpello interpretativo e non disapplicativo, e al fine di evitare possibili incertezze che potrebbero derivare da una errata qualificazione da parte del contribuente della tipologia di interpello da utilizzare (con possibile declaratoria di inammissibilità), valuti il Governo l'opportunità di accorpare nella nuova lettera a) anche l'interpello anti-abuso di cui all'articolo 1, comma 1, capoverso ART 11, comma 1, lettera d), uniformandone altresì la procedura (e riducendo anche per questa tipologia di interpello i tempi di risposta in 90 giorni, in ottemperanza ai principi di delega);
   d) valuti il Governo l'opportunità di mantenere nella fattispecie di cui all'articolo 1, comma 1, capoverso ART. 11, comma 1, lettera c) tutte le norme disapplicabili autonomamente dal contribuente (cosiddetti interpelli facoltativi), escludendo la tutela posticipata e rafforzata per tutti quelli di questa categoria, prevedendo, sulla scia di quanto previsto per le controlled foreign companies (CFC) e per i dividendi provenienti da black list, una sanzione più grave e proporzionata al vantaggio ottenuto, ad esempio, il 10 per cento, fermo restando il limite di 50.000 euro (sanzione che andrebbe ad aggiungersi agli effetti dell'eventuale disconoscimento del beneficio goduto e non spettante);
   e) valuti il Governo l'opportunità di mantenere la fattispecie di cui all'articolo 1, comma 1, capoverso ART. 11, comma 2, per le sole norme non disapplicabili autonomamente dal contribuente (cosiddetto «interpello obbligatorio»), prevedendo la tutela giurisdizionale eventualmente anche nella forma posticipata e rafforzata già prevista dal presente schema di decreto legislativo;
   f) nel caso di omessa presentazione di un interpello obbligatorio, vista la maggiore gravità, valuti il Governo l'opportunità di prevedere il divieto assoluto di disapplicazione della norma, in maniera tale che, in presenza di una norma che a fini antielusivi limita deduzioni, detrazioni eccetera, il contribuente abbia la facoltà di interpellare l'Agenzia delle entrate e, in caso di disaccordo rispetto alla posizione dell'Agenzia, possa comunque disattendere la risposta e difendersi in sede contenziosa (interpello non vincolante), prevedendo, invece, qualora il contribuente non presentasse Pag. 24interpello obbligatorio, una effettiva sanzione adeguata all'omissione, ad esempio una adeguata sanzione pecuniaria;
   g) con riferimento al comma 3 dell'articolo 16-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, inserito dall'articolo 9, lettera h), dello schema di decreto legislativo, valuti il Governo l'opportunità di sostituire le parole «il deposito» con le parole «i depositi» al fine di meglio chiarire che qualsiasi tipologia di deposito presso le Commissioni Tributarie può avvenire in via telematica;
   h) con riferimento al comma 1 dell'articolo 69 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, inserito dall'articolo 9, lettera gg), dello schema di decreto legislativo, riguardante l'immediata esecutività delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente, valuti il Governo l'opportunità di sostituire la parola «diecimila» con la parola «ventimila»;
   i) con riferimento al comma 10-bis dell'articolo 70 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, inserito dall'articolo 9, lettera hh), dello schema di decreto legislativo, riguardante i giudizi di ottemperanza per i quali è competente la Commissione Tributaria in composizione monocratica, valuti il Governo l'opportunità di sostituire la parola «diecimila» con la parola «ventimila» al fine di meglio rispettare il principio sancito dalla legge delega relativamente all'opportunità di prevedere ipotesi di competenza in capo al giudice in composizione monocratica;
   l) all'articolo 9, comma 1, lettera tt), capoverso articolo 48-ter, valuti il Governo l'opportunità di procedere al coordinamento delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4;
   m) con riferimento al comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, inserito dall'articolo 11, lettera a), dello schema di decreto legislativo, valuti il Governo l'opportunità di sostituire, nell'ultimo periodo, la parola «tre» con la parola «quattro» al fine di evitare che vengano nominati quali Presidenti delle Commissioni Tributarie soggetti che non sono in grado di portare a termine almeno un mandato (4 anni);
   n) valuti il Governo l'opportunità di inserire, dopo il comma 1-bis dell'articolo 6 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, inserito dall'articolo 11, lettera b), dello schema di decreto legislativo, il seguente comma 1-ter: «Presso ciascuna sezione sono nominati, dalle università, istituti di ricerca, master post universitari, collaboratori con la funzione di coadiuvare i giudici tributari nell'attività di ricerca finalizzata all'esame delle controversie attribuite alle sezioni specializzate. Le modalità di selezione e nomina di tali collaboratori sono individuate con il medesimo provvedimento di cui al comma 1. Si applicano le medesime cause di incompatibilità previste per i componenti delle commissioni tributarie di cui all'articolo 8 del presente decreto»;
   o) all'articolo 12, comma 1, dello schema di decreto valuti il Governo l'opportunità di eliminare il differimento dell'entrata in vigore delle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 1, lettere ee) e gg) al 1o gennaio 2017.

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ALLEGATO 4

Schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario. Atto n. 184.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO MOVIMENTO 5 STELLE

  Le Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze) della Camera dei deputati,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (Atto n. 184);
   premesso che:
    lo schema di decreto legislativo, al Titolo II interviene sul processo tributario dopo quasi venti anni dall'ultima riforma, risalente al 1996;
    in sintesi, queste sono le principali modifiche che si intende introdurre:
     l'articolo 9, lettera e), sostituisce l'articolo 12 del decreto legislativo n. 546 del 1992, attribuendo ai contribuenti la possibilità di difendersi da soli in Commissione Tributaria per le controversie di valore non superiore a 3.000 euro;
     si stabilisce il principio che le spese del processo devono sempre seguire la soccombenza; mentre la compensazione è ammessa solo in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. Inoltre, si prevede che già all'esito della fase cautelare il Collegio debba provvedere con l'ordinanza che decide sulle istanze cautelari sulle spese della relativa fase. Infine, si prevede espressamente il risarcimento del danno per lite temeraria nei confronti della parte soccombente;
     la lettera h) dell'articolo 9 introduce l'articolo 16-bis, recante la disciplina delle comunicazioni e notificazioni per via telematica; si prevede che le notificazioni e comunicazioni siano effettuate anche mediante uso di pec e che l'omessa indicazione della pec o la mancata consegna per causa imputabile al destinatario comporta la comunicazione mediante deposito in segreteria della Commissione tributaria;
     viene revisionata la disciplina dell'istituto della mediazione estendendolo a tutti gli atti impositivi (non solo quelli dell'Agenzia delle Entrate ma anche dell'Agenzia delle Dogane, degli Enti Locali e dell'Agente della Riscossione) di valore sino a 20.000 euro; inoltre viene ridotta la percentuale delle sanzioni amministrative pecuniarie, irrogabili nella misura del 35 per cento del minimo; inoltre, la mediazione non preclude più la richiesta di conciliazione giudiziale;
     viene prevista la sospensione del processo nel caso in cui i giudici tributari devono decidere e risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione di altra causa, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 295 del Codice di procedura civile;
     oltre alla liquidazione delle spese della fase cautelare, si prevede che il dispositivo dell'ordinanza cautelare «deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza»; tale previsione è limitata al primo grado di giudizio;
     viene rivista la disciplina della conciliazione giudiziale distinguendo tra conciliazione in udienza e conciliazione Pag. 26fuori udienza ed ammettendola anche in appello con la riduzione delle sanzioni al 40 per cento;
     la tutela cautelare viene ammessa, per tutte le parti in causa, anche nel giudizio di appello e nei casi di ricorso per Cassazione: anche l'ente impositore, quindi, potrà richiedere in sede di gravame la sospensione dell'efficacia della sentenza favorevole al contribuente al fine di procedere al recupero delle somme che erano esigibili nella pendenza del primo grado di giudizio;
     si prevede che su accordo delle parti, la sentenza della CTP possa essere impugnate direttamente con ricorso per cassazione a norma dell'articolo 360, numero 3), del codice di procedura civile; quanto al giudizio di rinvio si riduce a 6 mesi il termine per la riassunzione;
     le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente, emesse dalle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, diventano immediatamente esecutive;
     in caso di mancata esecuzione della sentenza di condanna, il giudizio di ottemperanza diventa l'unica strada percorribile per il recupero della somme dovute;
     quanto invece alle modifiche relative al decreto legislativo n. 545 del 1992, recante la disciplina dell'ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione, la novità di rilievo è costituita dalla previsione di sezioni specializzate in relazione a questioni controverse da individuarsi con provvedimento del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria;
     l'intervento normativo volto all'attuazione della delega fiscale, realizza un parziale miglioramento del processo tributario, dando peraltro concreta risoluzione a problematiche già da tempo sollevate ed evidenziate dagli operatori;
   ritenuto che:
    le soluzioni individuate dal Governo, seppure per certi versi migliorative dell'attuale disciplina del processo tributario, presentano profili di criticità che meritano di essere segnalati:
     a) quanto alle spese di lite della fase cautelare, andrebbe chiarito se l'ordinanza cautelare costituisce immediatamente titolo esecutivo per il recupero delle somme liquidate; al riguardo, se è vero che la norma prevede che «la pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito», lasciando intendere una immediata efficacia esecutiva, sarebbe in ogni caso opportuna una maggiore chiarezza e precisione della norma che dovrebbe espressamente prevedere l'immediata esecutività dell'ordinanza; sul punto, dunque, la disposizione andrebbe così modificata:
  «L'ordinanza è immediatamente esecutiva e conserva la propria efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito».

  Sempre in materia di spese di lite, andrebbe poi previsto che in caso di cessata materia del contendere il giudice debba in ogni caso valutare la soccombenza virtuale al fine di liquidare le spese sopportate dal contribuente per l'inizio della sua difesa;
     b) quanto alle comunicazioni e notificazioni, desta perplessità e non poche preoccupazioni la previsione che in caso di mancata indicazione della pec o mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni «sono esclusivamente seguite mediante deposito in segreteria della Commissione Tributaria»; sul punto, infatti, la «sanzione» prevista dalla disposizione sembra non tener conto adeguatamente dell'esigenze di tutela del contribuente e della rilevanza delle comunicazioni in relazione al decorso di termini essenziali per il compimento Pag. 27di attività processuali; per di più, in relazione a fattispecie tecniche di non certa definizione (si pensi alla mancata consegna per causa imputabile al destinatario) ed in assenza di un obbligo di notificazione a mezzo PEC (che rappresenta invece solo una delle diverse modalità di esecuzione delle notifiche); sotto tale profilo, la previsione viola certamente il principio di collaborazione e buona fede tra cittadini (nella specie, contribuenti e professionisti abilitati alla difesa) e amministrazione pubblica.

  Sarebbe dunque auspicabile la soppressione del comma, o quantomeno la previsione di obblighi informativi in caso di impossibilità di procedere alla notifica a mezzo PEC;
     c) altrettanti dubbi applicativi genera la previsione secondo la quale nella fase cautelare in primo grado il dispositivo dell'ordinanza deve essere «immediatamente comunicato alle parti in udienza»: previsione che peraltro non si rinviene nella disciplina della fase cautelare prevista per i successivi gradi di giudizio; in assenza di chiarimenti nella relazione tecnica di accompagnamento, deve intendersi quindi che l'esito della sospensiva vada comunicato «immediatamente» in udienza ovvero direttamente alle parti presenti all'esito della discussione; se così è, l'accelerazione imposta dal legislatore rischia di compromettere il regolare svolgimento della fase cautelare imponendo sbrigative decisioni «a braccio», senza alcuna concreta utilità per le parti in causa (considerato che attualmente l'ordinanza cautelare va comunque deliberata all'esito della camera di consiglio ed è per prassi comunicata il giorno successivo alle parti in causa).

  Anche tal previsione, quindi, andrebbe soppressa lasciando l'attuale formulazione normativa;
     d) in merito alla fase cautelare in secondo grado ed a seguito del ricorso per cassazione, non può condividersi la scelta di estendere la possibilità di attivare la procedura cautelare anche all'ente impositore nei casi di sentenza favorevole al contribuente; tale previsione sarebbe al più plausibile nei soli casi di sentenze di condanna dell'amministrazione finanziaria al rimborso di somme di denaro, che potrebbe generare l'esigenza di avviare attività di recupero in caso di riforma o cassazione della sentenza favorevole al contribuente; negli altri casi, invece, la misura sembra non solo irragionevole (sia perché già in pendenza del primo grado sussiste la esecutività ex lege dell'atto impugnato sia in conseguenza dell'esito favorevole del giudizio, che ha già accertato l'infondatezza o illegittimità della pretesa), ma anche in contrasto con il disposto del successivo articolo 68 che per l'appunto vieta la riscossione frazionata del tributo in caso di esito vittorioso del contribuente in primo grado.
  Inoltre, andrebbe espressamente prevista la possibilità di attivare la fase cautelare anche a seguito del rinvio operato dalla Suprema Corte di Cassazione, anche in conseguenza dell'introduzione della lettera c-bis) all'articolo 68 (che legittimerà la riscossione delle somme dovute nella pendenza del giudizio di primo grado);
     e) in relazione al ricorso per saltum in Cassazione, invece, andrebbe fatta chiarezza su cosa si intende per «accordo delle parti», sui tempi e sulle modalità di formazione dell'accordo e, soprattutto, sulla decorrenza del termine per impugnare in via ordinaria in attesa della definizione dell'accordo per il ricorso diretto in Cassazione;
     f) in relazione all'articolo 9 lettera f), nella parte in cui si prevede che «le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate» andrebbe rivalutata la scelta operata di prevedere poiché una così stringente previsione non si ritiene opportuna e condivisibile,
  esprimono

PARERE FAVOREVOLE

Pag. 28

  con le seguenti condizioni:
   a) introdurre una disposizione di interpretazione autentica che preveda la cumulabilità del termine di sospensione di 90 giorni previsto per la procedura di accertamento con adesione con il termine di sospensione feriale, superando il recente orientamento giurisprudenziale sancito dalla Cassazione con l'ordinanza n. 11632 del 5 giugno 2015 e rispettando l'impegno assunto con la risposta all'interrogazione 5-06008;
   b) all'articolo 9, lettera f), capoverso 2-quater, prevedere che l'ordinanza che decide in merito alle spese è immediatamente esecutiva e conserva la propria efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, slavo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito.

  Sempre in materia di spese di lite, prevedere che in caso di cessata materia del contendere il giudice debba in ogni caso valutare la soccombenza virtuale al fine di liquidare le spese sopportate dal contribuente per l'inizio della sua difesa;
   c) all'articolo 9, lettera g), sopprimere il comma 2 ovvero, in alternativa, prevedere obblighi informativi in caso di impossibilità di procedere alla notifica a mezzo PEC;
   d) all'articolo 9, lettera r), sopprimere il numero 2) lasciando inalterata l'attuale formulazione normativa;
   e) all'articolo 9, lettere v) ed aa), recanti la disciplina della fase cautelare in secondo grado ed a seguito del ricorso per cassazione, limitare l'attivazione della procedura cautelare al solo contribuente escludendola per l'ente impositore;

  Sempre in relazione alla fase cautelare in appello, prevedere la possibilità di attivare la fase cautelare anche a seguito del rinvio operato dalla Suprema Corte di Cassazione, anche in conseguenza dell'introduzione della lettera c-bis) all'articolo 68 (che legittimerà la riscossione delle somme dovute nella pendenza del giudizio di primo grado);
   f) all'articolo 9, lettera z), valutare l'opportunità di chiarire cosa si intende per «accordo delle parti», i tempi e le modalità di formazione dell'accordo e, soprattutto, la decorrenza del termine per impugnare in via ordinaria in attesa della definizione dell'accordo per il ricorso diretto in Cassazione;
   g) ripristinare l'alternatività tra giudizio di ottemperanza ed esecuzione in via ordinaria nei casi di mancata esecuzione della sentenza;
   h) introdurre nel processo tributario una specifica disciplina della traslatio iudicii, semmai adottando la stessa formulazione e procedura prevista dall'articolo 59 della legge n. 69 del 2009 (già applicabile al processo tributario);
   i) introdurre il principio che i poteri istruttori delle commissioni tributarie non possono in ogni caso superare decadenze e preclusioni maturate a carico delle parti;
   j) revisionare il sistema delle prove utilizzabili dal contribuente nel processo tributario con l'introduzione espressa della «prova testimoniale scritta», analogamente a quanto previsto in altre giurisdizioni e del principio di pari dignità delle parti in causa;
   k) introdurre il principio che l'estratto del ruolo è impugnabile direttamente dal contribuente, quantomeno nei casi di maturata decadenza o prescrizione del credito tributario;
   l) prevedere la vigilanza del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria e dei presidenti delle Commissioni sul rispetto del termine di 30 giorni previsto per il deposito delle sentenze emesse;
   m) introdurre il principio che la mancata costituzione della parte resistente nel termine di 60 giorni dalla notifica del ricorso preclude la possibilità di produrre documenti nuovi o ulteriori rispetto a Pag. 29quelli posti a fondamento della motivazione dell'atto impugnato;
   n) attribuire alla Commissione tributaria provinciale il potere di autorizzare la riscossione provvisoria a seguito della notifica dell'accertamento, così come previsto per l'adozione di misure cautelari a seguito del processo verbale di constatazione;
   o) sopprimere, all'articolo 9, lettera f) il numero 2).

Agostinelli.