CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 11 febbraio 2014
177.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Interrogazione 5-01856 Airaudo: Sulle problematiche relative alla carenza di personale e sui drammatici episodi verificatisi presso il carcere Le Vallette di Torino.
Interrogazione 5-01896 Rossomando: Sulle problematiche relative alla carenza di personale e sui drammatici episodi verificatisi presso il carcere Le Vallette di Torino.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Nel rispondere alle interrogazioni proposte dagli onorevoli Airaudo, Farina, Lavagno e Sannicandro e dall'onorevole Rossomando – che prendono spunto dal drammatico episodio verificatosi presso la casa circondariale di Torino «Lorusso e Cutugno» il 17 dicembre 2013, le cui motivazioni saranno chiarite all'esito delle indagini in corso – ritengo preliminarmente opportuno ribadire quanto già rilevato in occasione del precedente atto ispettivo richiamato nell'interrogazione dell'onorevole Airaudo.
  Le dotazioni organiche complessive del personale appartenente alle qualifiche dirigenziali non generali ed alle aree funzionali dell'amministrazione penitenziaria hanno subito un notevole ridimensionamento a seguito delle leggi nn. 133 del 2008 e 25 del 2010. La dotazione organica è stata poi rideterminata dal d.p.c.m. 31 gennaio 2012 in complessive 7.076 unità, con una significativa riduzione di 2.378 unità. L'emanazione di tale provvedimento ha comportato un temporaneo sblocco delle assunzioni, consentendo di procedere, nel mese di marzo 2012, all'assunzione di 99 vincitori o idonei di pregressi concorsi relativi a vari profili professionali.
  Altre disposizioni hanno tuttavia previsto riduzioni delle dotazioni organiche a pena del blocco delle assunzioni. Inoltre, il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012 (c.d. spending review), ha previsto un'ulteriore riduzione delle dotazioni organiche, mantenendo contestualmente il blocco delle assunzioni.
  Per quanto concerne il Corpo di Polizia penitenziaria, a fronte di una dotazione organica ammontante a 45.121 unità di personale distribuiti nei vari ruoli, risultano attualmente in servizio poco più di 39.000 unità.
  Come ricordato dagli interroganti, con il d.p.c.m. 23 settembre 2013 è stata autorizzata l'assunzione di 557 unità di personale, delle quali 320 allievi vice ispettori, 225 allievi agenti che – per espressa previsione normativa – potranno essere assegnati agli istituti penitenziari sul territorio nazionale solo al termine di un periodo di formazione di sei mesi, che ha avuto inizio il 16 dicembre 2013, e 12 unità riammesse in servizio, appartenenti a varie qualifiche del ruolo degli agenti ed assistenti del Corpo di Polizia penitenziaria.
  Il decreto ministeriale 22 marzo 2013 ha disciplinato la nuova distribuzione del personale del Corpo di Polizia penitenziaria presso le sedi territoriali; il decreto prevede, per gli istituti penitenziari per adulti e minori in ambito nazionale, 42.335 unità in tutti i ruoli e, per le rimanenti strutture, 2.786 unità.Pag. 39
  Venendo alle specifiche problematiche dell'istituto di Torino «Lorusso e Cutugno», del quale sono stati di recente nominati sia un nuovo direttore che un nuovo comandante di reparto, il Provveditore regionale per il Piemonte ha proposto, in data 15 novembre 2013, l'attribuzione di una dotazione organica di 1.080 unità, a fronte della quale risultano effettivamente presenti – alla luce dei provvedimenti di distacco in entrata e in uscita – 812 unità; in ordine a tale proposta, si attende il confronto con le organizzazioni sindacali e la successiva ratifica con provvedimento del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.
  La segnalata carenza colpisce maggiormente i ruoli di ispettore e sovrintendente; per quanto riguarda il ruolo degli agenti ed assistenti, risultano in servizio 767 persone (su 870 previste), con una carenza di 103 unità, pari al 12 per cento.
  Tale situazione deficitaria è stata tenuta in considerazione dalla competente Direzione Generale che, in occasione delle procedure di mobilità connesse alla conclusione dei corsi di formazione, pur condizionata dalle criticità del quadro generale sopra descritte, ha assegnato all'istituto penitenziario di Torino 10 agenti donne.
  Si assicura che il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, pur dovendo tener conto dell'attuale carenza del personale di Polizia penitenziaria a livello nazionale, valuterà attentamente, in occasione della prossima ripartizione del personale, le peculiari esigenze dell'istituto penitenziario di Torino «Lorusso e Cutugno».

Pag. 40

ALLEGATO 2

Interrogazione 5-01965 Colletti: Sull'applicazione dei benefici introdotti dal decreto-legge 146 del 23 dicembre 2013 per i detenuti per associazione di tipo mafioso.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Rispondo all'onorevole Colletti evidenziando preliminarmente che con il decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 84 e contenente disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena, si è inteso fornire una prima risposta urgente alle statuizioni rese nei confronti dell'Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con la nota sentenza «Torreggiani», che impone l'adozione di misure compensative interne per il sovraffollamento carcerario.
  Successivamente, con il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 in materia penitenziaria – non ancora convertito in legge – il Governo è ulteriormente intervenuto sul problema del sovraffollamento carcerario per diminuire, in maniera selettiva e non indiscriminata, il numero delle persone ristrette in carcere attraverso misure dirette ad incidere sia sui flussi di ingresso negli istituti di pena, sia su quelli di uscita dal circuito penitenziario.
  Nell'ottica della «grave e drammatica situazione carceraria» denunciata dal Presidente della Repubblica, l'articolo 4 del decreto-legge n. 146 del 2013 non introduce un nuovo istituto premiale, ma si limita ad aumentare a 75 giorni, per ogni semestre di pena scontata, la detrazione di 45 giorni già prevista dall'articolo 54 dell'ordinamento penitenziario del 1975. Si tratta di una previsione speciale e, come tale, temporalmente limitata.
  In ogni caso, il decreto-legge non prevede alcun automatismo nella concessione della liberazione anticipata speciale, in quanto rimette al giudice la valutazione della sussistenza dei presupposti di legge.
  Con riferimento al problema sollevato dall'interrogante in merito al numero condannati di mafia che potrebbero beneficiare della disciplina della sopra richiamata previsione di cui all'articolo 4, ricordo che nel testo approvato dall'Aula della Camera è stata espressamente esclusa l'applicazione del beneficio della liberazione anticipata speciale in favore dei condannati per taluno dei delitti previsti dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354 (fra i quali rientrano i delitti di cui all'articolo 416 c.p.).
  Ciò posto, con riferimento ai dati statistici richiesti, rilevo che dalla nota di risposta ricevuta dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è posto in evidenza che «dal sistema informatico di questa Amministrazione non risulta possibile rilevare il dato desiderato che dipende dall'esito delle istanze di liberazione anticipata presentate alla magistratura di sorveglianza: non è possibile, peraltro, conoscere rispetto a quali periodi la stessa sia stata concessa».
  Nella stessa nota, inoltre, è altresì precisato che «non risulta possibile prevedere l'effetto del decreto dello scorso dicembre, con il quale si introduce l'incremento dello sconto di pena da 45 a 75 giorni a semestre: invero, la decisione sulla concessione dipende dal parere della magistratura di sorveglianza e dalla valutazione sulla partecipazione del detenuto all'attività di rieducazione».Pag. 41
  Devo, altresì, aggiungere che i dati relativi ai condannanti per i quali è stata concessa la liberazione anticipata dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 146 del 2013 non è attualmente definibile in modo certo, in quanto essi sono stati inseriti nel sistema informatico del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria solo a partire dal 29 gennaio 2014; in ogni caso, il suddetto Dipartimento sta procedendo ad una verifica analitica del dato che potrà condurre ad una chiara rilevazione statistica del dato in esame.
  Per quanto riguarda, infine, il detenuto Ribisi Nicola, lo stesso era stato condannato alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione, interdizione perpetua dai pp.uu. e legale durante l'espiazione della pena per il reato previsto e punito dall'articolo 416-bis commi 1 e 3, condanna con l'applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, da eseguirsi a pena espiata, in forza della sentenza n. 7493/08 rg del 27 gennaio 2010, in esecuzione dal 5 luglio 2012 emessa dal giudice udienza preliminare di Palermo.
  La data per la fine pena avrebbe dovuto essere al 17 gennaio 2015.
  Complessivamente, lo stesso ha usufruito di giorni 315 di liberazione anticipata ordinaria in relazione al periodo dal 18 settembre 2009 al 18 marzo 2013; di ulteriori 45 giorni di liberazione anticipata ordinaria per il periodo dal 18 marzo 2013 al 18 settembre 2013, per un totale di giorni 360. Per effetto dell'applicazione del suddetto beneficio, la data della fine pena era stata rideterminata al 22 gennaio 2014.
  Facendo applicazione della disciplina di favore della liberazione anticipata speciale di cui al decreto-legge n. 146 del 2013, il magistrato di sorveglianza di Torino, con ordinanza dell'8 gennaio 2014, ha concesso ulteriori giorni di liberazione anticipata, con la conseguenza che la data di fine pena è stata anticipata all'8 gennaio 2014.

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ALLEGATO 3

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/93/UE in materia di lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI (Atto n. 46).

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

  La Commissione Giustizia,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/93/UE in materia di lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI (Atto n. 46);
   osservato che la predetta direttiva è diretta a rafforzare la tutela dei minori contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale nonché a contrastare la pornografia minorile, intervenendo pertanto in una materia rispetto alla quale l'ordinamento penale italiano già assicura una ambito di protezione di intensità superiore rispetto a quello degli altri ordinamenti europei;
   rilevato che la normativa italiana in materia di lotta contro la pedofilia detta un regime più rigoroso anche rispetto a quello previsto dalla direttiva, salvo che per alcuni profili che trovano comunque attuazione nello schema di decreto legislativo in esame, le cui disposizioni appaiono conformi ai principi costituzionali e, quindi, al principio di determinatezza delle fattispecie penali, nelle parti in cui sono previste nuove fattispecie aggravanti;
   osservato che l'articolo 2 interviene sul Testo Unico in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (decreto del Presidente della Repubblica 313/2002), inserendovi l'articolo 25-bis, che disciplina il certificato penale del casellario giudiziale che può essere richiesto dal datore di lavoro, disponendo che il certificato penale debba essere chiesto da colui che intende impiegare una persona per «lo svolgimento di attività organizzate, professionali o volontarie, che comportino contatti diretti e regolari con minori», al fine di poter verificare l'esistenza di condanne per un delitto di pedopornografia e sfruttamento sessuale dei minori, ovvero l'applicazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti con i minori;
   rilevato che la predetta disposizione pone un obbligo non sanzionato a carico del datore di lavoro, di procurarsi il certificato penale di colui che intende assumere e che non collega alla «scoperta» di eventuali condanne per pedopornografia alcuna conseguenza, evidentemente intendendo esclusivamente responsabilizzare il datore di lavoro;
   ritenuto che la ratio della predetta modifica al Testo unico in materia di casellario giudiziale rischia di essere elusa qualora non sia prevista alcuna conseguenza alla violazione delle disposizioni inerenti al certificato penale previste dall'articolo 2 dello schema di decreto legislativo in esame;
   sottolineata l'esigenza che il Governo valuti l'opportunità di prevedere determinate conseguenze per la predetta violazione,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

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ALLEGATO 4

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/93/UE in materia di lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI (Atto n. 46).

PARERE APPROVATO

  La Commissione Giustizia,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/93/UE in materia di lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI (Atto n. 46);
   osservato che la predetta direttiva è diretta a rafforzare la tutela dei minori contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale nonché a contrastare la pornografia minorile, intervenendo pertanto in una materia rispetto alla quale l'ordinamento penale italiano già assicura una ambito di protezione di intensità superiore rispetto a quello degli altri ordinamenti europei;
   rilevato che la normativa italiana in materia di lotta contro la pedofilia detta un regime più rigoroso anche rispetto a quello previsto dalla direttiva, salvo che per alcuni profili che trovano comunque attuazione nello schema di decreto legislativo in esame, le cui disposizioni appaiono conformi ai principi costituzionali e, quindi, al principio di determinatezza delle fattispecie penali, nelle parti in cui sono previste nuove fattispecie aggravanti;
   osservato che l'articolo 2 interviene sul Testo Unico in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (decreto del Presidente della Repubblica 313/2002), inserendovi l'articolo 25-bis, che disciplina il certificato penale del casellario giudiziale che può essere richiesto dal datore di lavoro, disponendo che il certificato penale debba essere chiesto da colui che intende impiegare una persona per «lo svolgimento di attività organizzate, professionali o volontarie, che comportino contatti diretti e regolari con minori», al fine di poter verificare l'esistenza di condanne per un delitto di pedopornografia e sfruttamento sessuale dei minori, ovvero l'applicazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti con i minori;
   rilevato che la predetta disposizione pone un obbligo non sanzionato a carico del datore di lavoro, di procurarsi il certificato penale di colui che intende assumere e che non collega alla «scoperta» di eventuali condanne per pedopornografia alcuna conseguenza, evidentemente intendendo esclusivamente responsabilizzare il datore di lavoro;
   ritenuto che la ratio della predetta modifica al Testo unico in materia di casellario giudiziale rischia di essere elusa qualora non sia prevista alcuna conseguenza alla violazione delle disposizioni inerenti al certificato penale previste dall'articolo 2 dello schema di decreto legislativo in esame;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con la seguente condizione:
   in relazione all'articolo 2 si preveda che la violazione delle disposizioni relative al certificato penale comporti una sanzione adeguata a carico del trasgressore.

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ALLEGATO 5

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (Atto n. 64).

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

  La Commissione Giustizia,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (Atto n. 64);
  rilevato che:
   1) con riferimento all'articolo 1, comma 1, lettera c), la nuova formulazione dell'articolo 143, comma 4, c.p.p., appare condivisibile nella parte in cui dà attuazione all'articolo 2, par. 4, della Direttiva 2010/64/UE, secondo il quale «Gli Stati membri assicurano la messa a disposizione di procedure o meccanismi allo scopo di accertare se gli indagati o gli imputati parlano e comprendono la lingua del procedimento penale e se hanno bisogno dell'assistenza di un interprete». Desta peraltro perplessità il riferimento all’«autorità giudiziaria» anziché all'autorità procedente e quello alla «conoscenza della lingua italiana». Per di più, al fine di allineare la disposizione alla previsione europea, sarebbe preferibile riformularla seguendo il modello adottato dal legislatore francese.
  Sarebbe, pertanto, opportuno riformulare l'articolo 143, comma 4, primo periodo, c.p.p. nel modo seguente: «L'autorità procedente verifica se l'imputato comprende e parla la lingua italiana».
   2) La nuova formulazione dell'articolo 143 c.p.p. appare lacunosa sul versante della definizione della lingua dell'interpretazione e della traduzione. Con riguardo a questo profilo, andrebbe ripreso il considerando n. 22 della Direttiva, secondo il quale «l'interpretazione e la traduzione a norma della presente direttiva dovrebbero essere fornite nella lingua madre degli indagati o imputati o in qualsiasi altra lingua che questi parlano o comprendono, per consentire loro di esercitare appieno i loro diritti della difesa e per tutelare l'equità del procedimento». L'inserimento di questa norma consentirebbe di aprire, laddove possibile, all'uso delle lingue veicolari, che potrebbe essere prezioso nell'ottica dell'efficienza del procedimento.
  Si propone quindi di aggiungere il seguente periodo al comma 4 dell'articolo 143: «l'interpretazione e la traduzione degli atti devono essere fornite nella lingua madre dell'imputato o in qualsiasi altra lingua che egli parla o comprende in modo sufficiente da garantire l'esercizio dei diritti della difesa».
   3) La nuova formulazione dell'articolo 143, comma 5, c.p.p. è opportuna e riprende l'attuale formulazione dell'articolo 143 comma 3. Peraltro, appare superato il riferimento al «dialetto», anche perché è venuto meno il richiamo al dialetto nell'articolo 143 comma 2. Sembra, pertanto, opportuno sopprimere il predetto riferimento.
   4) Quanto all'articolo 2 dello schema di decreto si osserva che la disposizione è volta a recepire l'articolo 5 della direttiva. Si tratta di una scelta da condividere in quanto equipara l'esperto linguistico agli Pag. 45altri esperti nelle categorie indicate dall'articolo 67 disp. att. c.p.p..
  Sul piano generale, merita osservare che, con riguardo agli esperti linguistici, si pongono esigenze peculiari di gestione centralizzata (o quanto meno coordinata) degli albi. La centralizzazione (a livello distrettuale o a livello nazionale) garantirebbe maggiore efficienza nel reperimento dell'interprete e traduttore, soprattutto per le lingue di minore diffusione, anche attraverso il ricorso alle tecniche di remote interpreting. Una gestione centralizzata del registro garantirebbe anche la messa in rete delle banche dati dei diversi paesi dell'Unione europea, secondo la logica sottesa allo stesso articolo 5, par. 2, della direttiva. Per queste ragioni, si potrebbe prevedere in prospettiva che la gestione del registro (con la banca dati) venga affidata direttamente a un'istituzione nazionale, quale il Ministero della giustizia, secondo il modello adottato in molti paesi europei. In alternativa, potrebbe essere previsto un obbligo in capo al presidente della corte d'appello, con la previsione espressa di un obbligo di interconnessione dei registri. Occorre, quindi, valutare l'opportunità di inserire nell'articolo 67 disp. att. c.p.p. una disposizione che disciplini autonomamente l'albo degli esperti linguistici, che presenta alcune peculiarità rispetto agli altri albi di esperti.
   5) lo schema di decreto appare carente sotto il profilo della nomina dell'interprete o del traduttore. Pur avendo previsto l'inserimento di questi esperti negli appositi albi, analogamente a quanto previsto per i periti (in attuazione dell'articolo 5 della Direttiva), non si recepisce la corrispondente previsione del codice di procedura penale dell'articolo 221 che obbliga il giudice a nominare il perito scegliendolo tra gli iscritti agli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina.
  Sulla base dei modelli più avanzati in Europa e negli Stati Uniti, la qualità dell'assistenza linguistica viene garantita anzitutto dall'obbligo di affidare l'incarico a interpreti formati e certificati e non a semplici «conoscitori della lingua». La Direttiva si muove in questa direzione (articolo 5): si potrebbe pertanto intervenire sull'articolo 146 c.p.p. – che è evidentemente espressione di un'idea superata di interprete giudiziario non professionale – e sancire il dovere di nominare interpreti e traduttori che siano inseriti nell'albo. Ovviamente, esigenze di funzionalità del sistema impongono di contemplare una deroga e di ammettere – sul modello olandese – l'impiego di interpreti non iscritti nell'albo quando non siano presenti esperti per quella specifica lingua.
  Si potrebbe pertanto modificare l'articolo 146, inserendo una norma dedicata alla nomina dell'interprete e del traduttore del seguente tenore: «L'autorità procedente nomina l'interprete o il traduttore scegliendolo tra quelli iscritti negli appositi albi e, solo in caso di indisponibilità di un esperto per la relativa lingua, tra persone fornite di particolare competenza nell'interpretazione o traduzione giudiziaria».
  Ove accolta questa modifica, andrebbe riscritta la rubrica della norma nel modo seguente: «Nomina dell'interprete e traduttore e conferimento dell'incarico».
   6) Sempre nell'ottica di miglioramento e di aggiornamento dell'articolo 146, si propone di modificarne il comma 2, anzitutto per superare il riferimento, ormai superato, allo scopo di far conoscere la verità, che appare il portato di una concezione antiquata dell'intermediazione linguistica e dell'accertamento processuale.
  La nuova formulazione del comma 2 potrebbe essere la seguente: «Lo ammonisce poi sull'obbligo di adempiere in modo accurato e imparziale l'incarico e di mantenere il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza».
   7) Al fine di garantire il segreto su quanto appreso nelle conversazioni tra l'imputato e il difensore, occorre valutare l'opportunità di inserire la figura dell'interprete tra quelle contemplate dall'articolo 200 c.p.p. con riguardo al segreto professionale.Pag. 46
   8) con riferimento all'articolo 2, sul piano linguistico, si segnala come il termine «interpretariato» sia criticato nella comunità scientifica e come sia preferibile l'impiego del termine «interpretazione».
   9) Al fine di dare attuazione all'articolo 2, par. 3, della Direttiva, che si riferisce all'assistenza a favore di persone con problemi di udito o con difficoltà di linguaggio, appare opportuno modificare l'articolo 119 c.p.p., recependo espressamente il dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 341 del 1999. Si tratterebbe di cogliere l'occasione per recepire nel testo e dare quindi maggiore visibilità a un diritto riconosciuto all'imputato sordo, muto o sordomuto.
   10) La direttiva 2010/64/UE non si applica solo ai procedimenti penali, ma estende l'assistenza linguistica anche al procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo.
  Non si condivide la valutazione sulla conformità dell'ordinamento italiano alla direttiva. Sembra che, per attuare la direttiva, si debba intervenire sulla legge n. 22 aprile 2005, n. 69.
  Quanto all'interpretazione: è vero che la legge richiama più volte la figura dell'interprete (articoli 12 comma 1, 13 comma 1, 14, comma 1, 15, comma 2), ma sarebbe ugualmente opportuno stabilire che la nomina dell'interprete avviene in forza della norma del codice di procedura che dovrebbe vincolare ad affidare l'incarico a un interprete qualificato (il nuovo articolo 146 proposto in precedenza), onde evitare che, nel procedimento di esecuzione del MAE, si continui a utilizzare interpreti non professionisti.
  Con riguardo alla traduzione, invece, l'articolo 3, par. 6, della Direttiva contempla l'obbligo per lo Stato membro di esecuzione del MAE di fornire una traduzione scritta dello stesso, nel caso in cui il suo destinatario non comprenda la lingua in cui il mandato d'arresto europeo è redatto oppure è stato tradotto. Al riguardo, potrebbe essere dunque sufficiente integrare l'articolo 6, comma 7, legge n. 69 del 2005, stabilendo espressamente che, laddove la persona interessata non conosce la lingua italiana, né la lingua nella quale è redatto l'originale MAE, il provvedimento venga tradotto nella sua lingua madre oppure in una lingua veicolare, sempre che sia da lui adeguatamente conosciuta.
   11) Nel dare attuazione all'articolo 2, par. 6, della direttiva sarebbe opportuno contemplare anche la possibilità di impiegare tecnologie che consentano l'interpretazione a distanza, quali «la videoconferenza, il telefono o Internet, a meno che la presenza fisica dell'interprete non sia necessaria al fine di tutelare l'equità del procedimento». Sulla base di diversi progetti finanziati dalla Commissione europea (AVIDICUS I, II e III), si sono dimostrate le potenzialità della c.d. remote interpreting, anche in termini di contenimento delle spese. Da questo punto di vista, non sembrano assolutamente sufficienti le disposizioni degli articoli 147-bis e 205-ter disp. att. che si riferiscono a fattispecie specifiche. Si potrebbe, quindi, inserire nella disposizione dedicata all'interpretazione una norma che richiami l'articolo 2, par. 6, della direttiva: «Al fine di garantire un'assistenza linguistica di qualità è possibile utilizzare tecnologie di comunicazione quali la videoconferenza, il telefono o Internet, a meno che la presenza fisica dell'interprete non sia necessaria al fine di tutelare l'equità del procedimento»,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   a) all'articolo 1, comma 1, lettera b), capoverso «Art. 142», al comma 4, valuti il Governo l'opportunità di sostituire il primo periodo con il seguente: «L'autorità procedente accerta che l'imputato comprenda e parli la lingua italiana»;
   b) all'articolo 1, comma 1, lettera b), capoverso «Art. 142», al comma 4, valuti il Governo l'opportunità di aggiungere, in fine, il seguente periodo: «L'interpretazione e la traduzione degli atti devono Pag. 47essere fornite nella lingua madre dell'imputato o in qualsiasi altra lingua che egli parla o comprende in modo sufficiente da garantire l'esercizio dei diritti della difesa»;
   c) valuti il Governo l'opportunità di modificare l'articolo 146 c.p.p., inserendo una norma dedicata alla nomina dell'interprete e del traduttore del seguente tenore: «L'autorità procedente nomina l'interprete o il traduttore scegliendolo tra quelli iscritti negli appositi albi e, solo in caso di indisponibilità di un esperto per la relativa lingua, tra persone fornite di particolare competenza nell'interpretazione o traduzione giudiziaria»;
   d) valuti il Governo l'opportunità di modificare l'articolo 146, comma 2, c.p.p. come segue: «Lo ammonisce poi sull'obbligo di adempiere in modo accurato e imparziale l'incarico e di mantenere il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza»;
   e) valuti il Governo l'opportunità di inserire la figura dell'interprete tra quelle contemplate dall'articolo 200 c.p.p. con riguardo al segreto professionale;
   f) in attuazione dell'articolo 2, par. 3, della Direttiva, che si riferisce all'assistenza a favore di persone con problemi di udito o con difficoltà di linguaggio, valuti il Governo l'opportunità di modificare l'articolo 119 c.p.p., recependo il dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 341 del 1999.