CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 29 ottobre 2013
113.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO

ALLEGATO

Sulle tematiche oggetto del Messaggio del Presidente della Repubblica trasmesso alle Camere il 7 ottobre 2013.

PROPOSTA DI RELAZIONE DEL RELATORE

1. Introduzione

  La presente relazione è diretta ad approfondire le tematiche oggetto del messaggio sulla questione carceraria, inviato alle Camere il 7 ottobre scorso dal Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 87, secondo comma, della Costituzione.
  La Conferenza dei Presidenti di Gruppo, ravvisando l'opportunità di dare un seguito parlamentare al messaggio del Capo dello Stato, ha convenuto di chiedere alla Commissione Giustizia di procedere ad un approfondimento delle tematiche oggetto del documento, al fine di predisporre per l'Assemblea una relazione ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, che dovrà essere propedeutica ad un successivo esame da parte dell'Aula dei predetti argomenti, nelle forme e nei modi che potranno essere definiti successivamente dalla stessa Conferenza dei Presidenti di Gruppo.
  Come ha avuto modo di precisare il Presidente della Commissione in data 15 ottobre 2013, in occasione della prima seduta della Commissione dedicata all'esame delle predette tematiche, il messaggio non può costituire, neanche indirettamente, oggetto della relazione della Commissione. Non si tratta quindi di esprimere valutazioni sul messaggio del Capo dello Stato, ma di approfondire le tematiche che sono state affrontate nel messaggio. Si ricorda, a tale proposito il messaggio del Presidente della Repubblica non può essere oggetto di dibattito parlamentare, che potrà invece focalizzarsi sugli argomenti contenuti nel messaggio e, pertanto, sottoposti al Parlamento.
  Per quanto attiene al lavoro svolto in Commissione, l'esame è stato avviato il 15 ottobre e sono stati sentiti in audizione il Ministro della giustizia, Annamaria Cancellieri, (17 ottobre) ed il Commissario Straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie (22 ottobre), al fine di acquisire dati ed informazioni relativamente a specifiche tematiche del messaggio.
  In merito all'organizzazione dei lavori della Commissione, si segnala che il Presidente della Commissione, quale organo rappresentativo della Commissione, ai sensi dell'articolo 21, comma 1, del Regolamento, ha introdotto la discussione. Nella seduta del 15 ottobre, a seguito di espressa richiesta del rappresentante del gruppo PDL, ha proceduto alla nomina di un relatore. Al fine di evitare che a tale nomina potesse essere date una lettura di natura politica, considerando, ad esempio, il relatore come un relatore di maggioranza.

2. Tematiche oggetto del messaggio

  Come si è già precisato, l'oggetto della presente relazione è stato definito dalla Conferenza dei presidenti di gruppo nel momento in cui ha conferito alla Commissione Giustizia il compito di procedere a un approfondimento delle tematiche contenute nel messaggio del Presidente della Repubblica sulla questione carceraria.Pag. 42
  In primo luogo, quindi, occorre individuare tale tematiche nell'ambito dell'oggetto del messaggio, che è dato della questione carceraria. Per procedere in tal senso si è tenuto conto che in realtà oggetto del messaggio non è tanto e solo la questione carceraria nel suo complesso, quanto, piuttosto, la questione carceraria alla luce della cosiddetta sentenza Torregiani, approvata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo l'8 gennaio 2013, secondo la procedura della sentenza pilota (sette ricorsi riuniti e decisi con una unica sentenza), che ha fissato in un anno il termine entro il quale l'Italia deve conformarsi alla sentenza stessa. Il termine scadrà il 28 maggio 2014.
  Entro il predetto termine, quindi, l'Italia dovrà porre fine alle violazioni della Convenzioni accertate dalla sentenza. Secondo questa, l'Italia, a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i sette ricorrenti si sono trovati, ha violato l'articolo 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica «proibizione della tortura», pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti. La Corte ha affermato, in particolare, che «la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone» e che «la situazione constatata nel caso di specie è costitutiva di una prassi incompatibile con la Convenzione».
  Il messaggio, quindi, pone all'attenzione del Parlamento non solo la questione carceraria, che peraltro era stata già evidenziata più volte in passato dalla Corte europea oltre che dal Capo dello Stato, ma anche, come espressamente sottolineato, «l'inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all'Italia dalla Corte di Strasburgo».
  Il messaggio, quindi, non si limita a mettere in evidenza i dati relativi al sovraffollamento carcerario, ma raffigura anche diversi rimedi in relazione alle distinte tematiche, che possono essere utilizzati anche congiuntamente per dare una risposta a quanto – e nei tempi – l'Europa ci chiede con la sentenza Torreggiani.
  Le tematiche oggetto del messaggio sono affrontate dalla relazione prendendo come spunto proprio dagli specifici rimedi individuati nel messaggio. Questi sono stati suddivisi in tre gruppi: a) la riduzione del numero complessivo dei detenuti attraverso innovazioni di carattere strutturale; b) l'aumento della capienza complessiva degli istituti penitenziari; c) il ricorso a rimedi straordinari.
  Prima di soffermarci sulle specifiche tematiche oggetto del messaggio è opportuno fare riferimento ai dati numerici relativi al sovraffollamento carcerario, che costituisce l'oggetto del messaggio.
  In occasione dell'audizione del 17 ottobre 2013, il Ministro della Giustizia ha comunicato che la «presenza di detenuti, rilevata al 14 ottobre 2013, è di 64.564 unità a fronte di capienza regolamentare di 47.599 posti». Quest'ultimo dato, come ha sottolineato il Ministro, «subisce una flessione abbastanza rilevante per effetto del mancato utilizzo di spazi (quantificabile in circa 4.500 posti regolamentari) dipendente in massima parte dalle necessità di interventi di manutenzione o di ristrutturazione edilizia».
  Dei 64.564, i detenuti condannati definitivamente sono 38.625. I detenuti in custodia cautelare sono 24.744. A queste due categorie vanno aggiunti 1.195 internati.
  Per quanto riguarda i detenuti in custodia cautelare è possibile individuare una ulteriore distinzione con riferimento al grado di giudizio: 12.348 sono i detenuti ancora in attesa del primo grado di giudizio; 6.355 sono stati condannati in primo grado e sono in attesa della decisione di appello; 4.387 sono condannati in uno od entrambi i gradi di giudizio di merito e sono in attesa della decisione della Cassazione». Si rinvia alla parte relativa alla custodia cautelare per una ulteriore specificazione di questi dati.Pag. 43
  Per quanto riguarda la tipologia dei reati per i quali le persone sono ristrette in carcere, il Ministro ha ritenuto opportunamente fare una premessa sul metodo di ricerca utilizzata, facendo presente che al numero totale dei reati non corrisponde il numero dei detenuti presenti, in quanto un detenuto, specialmente se definitivo (spesso interessati da cumuli di varie sentenze), raramente risponde di un solo reato (con una media approssimativa di circa 3 reati per ogni detenuto). Il Ministro evidenzia come sia «altamente probabile, infatti, che dalle posizioni giuridiche risultino reati minori che vanno a costituire titolo di detenzione solo (o anche) perché associati ad altri fatti di maggiore gravità. Se si vuole sapere, ad esempio, quante persone sono detenute per il reato di furto la risposta sarà 13.774, ma la gran parte dei detenuti per tale reato presentano nella loro posizione giuridica anche reati più gravi. Per evitare questa difficoltà di lettura dei dati, l'analisi viene condotta sul reato più grave ascritto a ciascun detenuto. In tal modo si ricava un dato univoco (un detenuto/un reato) e, per restare all'esempio del furto, si rileva che i detenuti che hanno in posizione giuridica questo reato (come reato più grave) sono 3.853».
  Ciò posto, «il reato per il quale è ristretto il maggior numero di detenuti è quello di produzione e spaccio di stupefacenti. Per tali fattispecie sono ristrette ben 23.094 persone (di queste 14.378 sono condannate definitivamente mentre 8.657 sono in custodia cautelare e 59 internate); il secondo reato è la rapina con 9.473 presenze (5.801 sono i definitivi, 3.564 i giudicabili e 108 gli internati); il terzo reato è l'omicidio volontario con 9.077 presenze (6.049 sono i definitivi, 2.792 i giudicabili e 236 gli internati); il quarto è l'estorsione con 4.238 presenze (2.180 sono i definitivi mentre 1.982 sono i giudicabili e 76 gli internati); il quinto reato, come detto, è il furto con 3.853 presenze (1.952 sono i definitivi, 1.824 i giudicabili e 77 gli internati); il sesto reato è la violenza sessuale con 2.755 presenze (2.001 sono i definitivi, 709 i giudicabili e 45 gli internati); il settimo è la ricettazione con 2.732 presenze (1.897 sono i definitivi, 809 i giudicabili e 26 gli internati). Sono 1.424 i detenuti per associazione di stampo mafioso (si tratta di un numero basso trattandosi di reato spesso associato a fattispecie di maggiore gravità come l'estorsione o l'omicidio). Seguono, con circa 500 detenuti, il sequestro di persona, l'associazione per delinquere, la violenza privata, violenza e resistenza a pubblico ufficiale, maltrattamenti in famiglia, atti sessuali con minorenni».

2.1 Innovazioni di carattere strutturale

  Il primo rimedio al sovraffollamento è dato, quindi, dalle innovazioni di carattere strutturale dirette a ridurre il numero complessivo dei detenuti. Tale rimedio viene suddiviso in ulteriori sei punti (introduzione di meccanismi di probation, pene detentive non carcerarie, riduzione dell'area applicativa della custodia cautelare in carcere, espiazione della pena nel Paese di origine, attenuazione degli effetti della recidiva, depenalizzazione), su alcuni dei quali incidono proposte di legge che si trovano attualmente all'esame di uno dei due rami del Parlamento.

2.1.1 Introduzione di meccanismi di probation

  La Camera dei deputati ha approvato il 4 luglio 2013, in prima lettura, il testo unificato delle proposte di legge n. 331-927, recante «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», che attualmente si trova all'esame del Senato (A.S. 925). Il testo si basa su tre cardini: una delega al Governo per l'introduzione di pene principali detentive non carcerarie ovvero da eseguire presso il domicilio; l'introduzione della probation (messa alla prova) nel processo penale; una nuova disciplina del processo a carico di imputati irreperibili. Considerato che la Commissione Giustizia del Senato ha approvato in Pag. 44sede referente un testo, il cui esame in Assemblea non è stato ancora avviato, che contiene alcune modifiche al testo della Camera, tra cui l'introduzione di una delega in materia di depenalizzazione, con molta probabilità vi sarà una seconda lettura della Camera.
  In particolare, gli articoli da 2 a 7 del provvedimento disciplinano la sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell'imputato.
  L'istituto troverebbe applicazione in relazione a reati puniti con pena pecuniaria ovvero con la reclusione fino a 4 anni nonché ai reati di violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale, oltraggio aggravato a un magistrato in udienza, violazione di sigilli aggravata, rissa aggravata, furto aggravato e ricettazione. L'applicazione della misura – che comporta condotte riparatorie volte all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, consiste nell'affidamento dell'imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può implicare la prestazione di un lavoro di pubblica utilità.
  La misura del lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita a favore della collettività della durata minima di 30 giorni, anche non continuativi, da svolgere presso lo Stato, regioni, le province, i comuni e le Onlus; la sua durata giornaliera non può essere oltrepassare le 8 ore e le modalità di svolgimento della prestazione non devono pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato.
  La sospensione del processo con messa alla prova può essere richiesta non più di due volte; non più di una volta se si tratta di reato della stessa indole.
  L'esito positivo della prova estingue il reato.

2.1.2 Pene detentive non carcerarie

  Anche su questo profilo incide il testo unificato delle proposte di legge n. 331-927, che ora si trova all'esame del Senato (A.S. 925), laddove è diretto ad introdurre la pena principale – irrogabile direttamente dal giudice della cognizione con la sentenza di condanna – della «reclusione presso il domicilio».
  L'articolo 1 del testo approvato dalla Camera dei deputati lo scorso 4 luglio contiene una delega al Governo per l'introduzione di pene detentive non carcerarie, ovvero da eseguire presso il domicilio. Il Governo dovrà disciplinare la reclusione domiciliare prevedendone l'applicazione, in misura pari alla pena irrogata, per i delitti puniti con la reclusione fino a 6 anni e l'arresto domiciliare come pena detentiva principale per tutte le contravvenzioni. Spetterà poi al giudice, tenuto conto degli indici di gravità concreta del reato, decidere quale pena detentiva (se carceraria o domiciliare) applicare.
  I principi e criteri direttivi della delega specificano che per le indicate detenzioni domiciliari dovrà essere possibile l'utilizzo delle particolari modalità di controllo di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale, tra le quali si ricordano i c.d. braccialetti elettronici, ed escludono dall'applicazione delle nuove pene detentive dei delinquenti e contravventori abituali, professionali e per tendenza.
  A tale proposito, si sottolinea che la pena della detenzione domiciliare o le c.d. pene detentive non carcerarie cui fa riferimento il provvedimento all'esame del Senato, non devono essere confuse con quanto previsto dalla legge n. 199 del 26 novembre 2010, che ha introdotto la possibilità di scontare presso la propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza la pena detentiva non superiore a 12 mesi (poi aumentata a 18 mesi dalla legge n. 9 del 17 febbraio 2012), anche residua di pena maggiore. L'istituto non opera a regime ma ha natura di misura temporanea, essendo applicabile fino alla completa attuazione del Piano carceri, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, e comunque non oltre il 31 dicembre 2013. La decisione sull'esecuzione domiciliare della pena detentiva breve è attribuita alla competenza del magistrato di sorveglianza. La legge prevede precise condizioni ostative alla Pag. 45concessione del beneficio. L'esecuzione domiciliare non è, infatti, applicabile: in relazione alla commissione dei delitti di particolare allarme sociale previsti dall'articolo 4-bis (riduzione in schiavitù, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile, tratta di persone, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga o al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975); ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza; ai soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare in carcere, ai sensi dell'articolo 14-bis dell'ordinamento penitenziario (salvo che sia stato accolto dal tribunale di sorveglianza il reclamo di cui all'articolo 14-ter avverso il provvedimento che lo dispone o lo proroga); se vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga; se sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti; in caso di insussistenza di un domicilio idoneo ed effettivo, anche in funzione delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato.
  Il Ministro della giustizia, in occasione dell'audizione del 17 ottobre 2013, si è soffermato sugli effetti deflattivi delle predette leggi. In particolare, il Ministro ha precisato che «per quanto attiene agli effetti della legge n. 199 del 26 novembre 2010 e successive modifiche, risulta, dalla rilevazione costantemente aggiornata, che a partire dalla data di entrata in vigore della norma sono 12.109 i detenuti ammessi alla specifica forma di detenzione domiciliare prevista da questa legge. È ovvio che al numero delle persone ammesse alla misura non corrisponde un pari decremento del numero delle presenze in carcere trattandosi di strumento che anticipa, però in modo diluito nel tempo, una uscita dal carcere nei confronti dei beneficiari della misura. È tuttavia chiaro che lo strumento produce un positivo effetto sul sovraffollamento.
  Per quanto riguarda la legge n. 9 del 17 febbraio 2012 va rilevato come in parte abbia prodotto un aumento degli effetti della legge 199 avendo ampliato da un anno a 18 mesi il residuo pena che consente l'accesso alla detenzione domiciliare. Altro effetto particolarmente rilevante prodotto dalla stessa legge attiene al fenomeno delle detenzioni brevi (in genere definito delle “porte girevoli”) prodotto, prevalentemente, da arresti con la procedura di giudizio per direttissima che hanno storicamente pesato in modo consistente sulle strutture penitenziarie. La riduzione rilevante del numero degli ingressi in carcere (63.000 nel 2012 a fronte degli oltre 80.000 degli anni precedenti) e la riduzione di quasi due terzi del numero di persone che permangono meno di tre giorni in carcere a seguito dell'arresto, depongono nel senso di un importante effetto sul sistema dell'intervento normativo. Per completezza va rilevato che negli ultimi 4 anni vi è stato un calo graduale (che invece a seguito dell'entrata in vigore della legge è stato più consistente) degli ingressi in carcere che è possibile leggere unitamente al calo delle presenze di detenuti in custodia cautelare. Tuttavia l'aumento dei definitivi e l'incidenza della legge solo sulle detenzioni brevi non ha permesso un abbattimento consistente delle presenze complessive
».
  Il ministro si è soffermato anche sui possibili effetti deflattivi del testo unificato C. 331-927 (A.S. 925), relativamente ai nuovi istituti della messa alla prova e della detenzione non carceraria, premettendo «che è particolarmente difficile fare una previsione quando, come in questo caso, l'applicazione di un istituto dipende dalla valutazione discrezionale del Giudice. È invece possibile indicare quante sono le persone attualmente detenute potenziali beneficiarie degli istituti che si vorrebbero introdurre. Al momento della presentazione della proposta di legge furono estrapolati tutti i reati per i quali è prevista una pena superiore nel massimo a 4 anni (era questo il tetto iniziale previsto per l'accesso ai due principali strumenti alternativi al carcere: messa alla prova e reclusione domiciliare) e da quel catalogo fu ricavato un numero molto basso di possibili utenti (circa 500). Successivamente, nel corso del dibattito parlamentare il limite di ammissibilità è Pag. 46stato spostato prima a cinque e poi a sei anni come pena edittale massima. Il lavoro di analisi è stato eseguito sul catalogo ampliato ai cinque anni ed è stato ricavato un numero di potenziali utenti di 1.294 persone. Lo spostamento a sei anni, tenuto conto dei dati sopra riportati in ordine ai reati per i quali le persone si trovano ristrette, potrebbe avere un importante effetto soltanto limitatamente al reato di cui all'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 309/90 in materia di produzione, traffico e cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope».

2.1.3 Riduzione dell'area applicativa della custodia cautelare in carcere

  Altro tema toccato nel messaggio è quello relativo alle misure cautelari in carcere.
  Nel messaggio sono riportati i dati del DAP dai quali «risulta che, sul totale dei detenuti, quelli “in attesa di primo giudizio” sono circa il 19 per cento; quelli condannati in primo e secondo grado complessivamente anch'essi circa il 19 per cento; il restante 62 per cento sono “definitivi” cioè raggiunti da una condanna irrevocabile». Viene altresì ricordato, «nella condivisibile ottica di ridurre l'ambito applicativo della custodia carceraria», che la legge n. 94 del 2013, di conversione del decreto-legge n. 78 del 2013, ha già modificato l'articolo 280 del codice di procedura penale, elevando da quattro a cinque anni di reclusione il limite di pena che può giustificare l'applicazione della custodia in carcere.
  Come sopra riportato, il Ministro della giustizia, nel corso dell'audizione del 17 ottobre 2013, ha fornito i dati relativi ai detenuti in assenza di sentenza definitiva. Questi dati sono stati ulteriormente dettagliati con una nota trasmessa alla Commissione giustizia in data 25 ottobre 2013, a firma del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.
  In questa nota si specifica che, al 22 ottobre 2013, «i detenuti imputati attualmente ristretti, in custodia cautelare, sono 24.715 e costituiscono il 38 per cento della popolazione detenuta complessiva a fronte di una media Europea che si assesta intorno al 25 per cento. Con riferimento ai reati risalta immediatamente il numero dei ristretti per violazione della legge sugli stupefacenti: sui 12.377 detenuti in attesa di primo giudizio ben 4.280 (il 34.6 per cento del totale) sono ristretti per tale reato. Seguono 2.800 (il 22.6 per cento del totale) per rapina, 1.498 (il 12.1 per cento del totale) per ricettazione, 1.335 (il 10.8 per cento del totale) per estorsione, 1.327 (il 10.7 per cento del totale) per lesioni personali volontarie, 1.319 (il 10.7 per cento del totale) per furto, 1.244 (il 10.1 per cento del totale) per associazione mafiosa, 1.233 (il 10 per cento del totale) per omicidio volontario, 989 (l'8 per cento del totale) per violenza privata e minaccia; 726 (il 5.9 per cento del totale) per violenza resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, 658 (il 5.3 per cento del totale) per associazione a delinquere e così via con numeri inferiori alle 500 unità per altri reati».
  I numeri sopra riportati aventi ad oggetto il tipo di crimini commessi da coloro che entrano in stato di custodia cautelare in carcere, consentono comunque di affermare che «”una complessiva rivalutazione dell'impianto repressivo in materia di stupefacenti avrebbe un impatto rilevantissimo sul carcere in generale e sulle misure cautelari in particolare».
  Alla luce di tali elementi risulta evidente che la riduzione dell'ambito applicativo della custodia cautelare in carcere rappresenta quindi un rimedio per ridurre il sovraffollamento carcerario.
  Questo tema già ad inizio legislatura è stato considerato dalla Commissione Giustizia come una delle priorità da affrontare, avviando il 30 maggio scorso l'esame della proposta di legge n. 631 Ferranti ed altri, recante modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali, alla quale è stata da ultimo abbinata la proposta n. 980 Gozi ed altri. A causa di una serie di urgenze dovute dall'inserimento nel calendario dell'Assemblea di altri provvedimenti di competenza della Commissione giustizia (l'ultimo Pag. 47è stato il decreto-legge sul femminicidio esaminato in congiunta con la I Commissione), l'iter legislativo ha subito un rallentamento, che è stato oramai superato con l'effettuazione di una serie di audizione e l'adozione del testo base per poter quindi esaminare gli emendamenti con l'obiettivo di concludere l'esame in sede referente entro il mese di novembre.
  Nel corso dell'esame finora effettuato è emerso chiaramente quanto sia inaccettabile in uno Stato di diritto che circa il quaranta per cento dei detenuti sia in attesa di giudizio, anche se non può non considerarsi raffrontando i dati con gli altri Paesi europei che in molti di essi le sentenze di primo grado sono immediatamente esecutive ed in altri non esiste l'appello.
  Nel momento in cui viene posto l'obiettivo di ridurre il numero dei detenuti non si può non considerare, sempre tenendo conto delle esigenze di sicurezza pubblica e di quelle giudiziarie, l'opzione di ridurre in primo luogo il numero di coloro che si trovano in carcere in assenza di una condanna definitiva e nonostante il principio costituzionale di presunzione di innocenza. Lo stesso dato percentuale prima richiamato è di per sé sintomo di una patologia dovuta a diversi fattori. Come ha avuto modo di sottolineare l'allora Primo Presidente della Corte di cassazione, Ernesto Lupo, nella Relazione dell'amministrazione della giustizia per l'anno 2012, svolta il 25 gennaio 2013, l'elevato numero di detenuti non definitivi rappresenta un sintomo perdurante dei gravi squilibri del sistema processuale penale italiano. Da un lato, vi sono i condannati in primo o secondo grado che attendono anni per avere una sentenza definitiva, che spesso giunge quando il reato è oramai prescritto, dall'altro, come sottolineato, nella predetta relazione, «le ordinanze cautelari e i provvedimenti di riesame continuano a essere caratterizzati da assoluto squilibrio tra la parte dedicata alla gravità indiziaria e la motivazione in punto di necessità cautelare, troppo spesso dedicando poche stereotipate parole alla valutazione d'inadeguatezza di misure attenuate, che di fatto continuano ad essere adottate in misura percentuale significativamente ridotta (in particolare per stranieri e indigenti)».
  Nell'ambito dell'esame in Commissione Giustizia delle richiamate proposte di legge C. 631 e C. 980, si è svolta una indagine conoscitiva nel corso della quale sono stai sentiti il dottor Giovanni Canzio, presidente della Corte d'Appello di Milano, ed il professor Glauco Giostra, componente del Csm, quali presidenti rispettivamente della Commissione di studio in tema di processo penale e della Commissione di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative, istituite dal Ministro della giustizia. Entrambi le Commissioni di studio, come rilevato anche dal Ministro della giustizia nel corso dell'audizione del 17 ottobre, «si sono orientate: al rafforzamento degli obblighi di specificità della motivazione, per richiamare il giudice, specie nel momento dell'applicazione, alla stringente considerazione della residualità della cautela carceraria; alla eliminazione, quanto più possibile, di ogni automatismo applicativo, che comprime oltre misura la discrezionalità valutativa del giudice; all'ampliamento degli ambiti applicativi delle misure interdittive e la loro cumulatività».
  Sul tema dell'impiego della misura della custodia cautelare, per i riflessi che questa ha sull'attuale sovraffollamento carcerario è intervenuta la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella già citata sentenza 8 gennaio 2013. Secondo la Corte «l'applicazione della custodia cautelare e la sua durata dovrebbero essere ridotte al minimo compatibile con gli interessi della giustizia. Gli Stati membri dovrebbero, al riguardo, assicurarsi che la loro legislazione e la loro prassi siano conformi alle disposizioni pertinenti della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo ed alla giurisprudenza dei suoi organi di controllo e lasciarsi guidare dai principi enunciati nella Raccomandazione n. R (80) 11 in materia di custodia cautelare per quanto riguarda, in particolare, i motivi che consentono l'applicazione della custodia cautelare». La CEDU ritiene «opportuno fare un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare quali ad esempio l'obbligo, per l'indagato, di risiedere ad Pag. 48un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall'autorità giudiziaria. A tale proposito è opportuno valutare attentamente la possibilità di controllare tramite sistemi di sorveglianza elettronici l'obbligo di dimorare nel luogo precisato. Per sostenere il ricorso efficace e umano alla custodia cautelare, è necessario impegnare le risorse economiche e umane necessarie e, eventualmente, mettere a punto i mezzi procedurali e tecnici di gestione appropriati».

2.1.4 Espiazione della pena nel Paese di origine

  Vi è poi il tema dell'ingente presenza di detenuti stranieri nelle carcere italiane. Si ricorda nel messaggio che, in base ai dati del DAP, la percentuale dei cittadini stranieri sul totale dei detenuti è circa il 35 per cento. Più in particolare, al 30 settembre 2013, su 38.845 condannati definitivi reclusi negli istituti penitenziari, 12.509 sono stranieri. Più in generale, comprendendo anche i detenuti in assenza di sentenza definitiva, gli stranieri che il 30 giugno si trovavano nelle carceri italiane erano 23.233. Di questi, 9.527 provengono dall'Europa (5.037 dall'UE, 993 dall'ex Jugoslavia, 2.882 dall'Albania, 615 da altri Paesi d'Europa), 10.931 dall'Africa (2.834 dalla Tunisia, 4.384 dal Marocco, 592 dall'Algeria, 980 dalla Nigeria, 2.141 da altri Paesi dell'Africa), 1.265 dall'Asia (255 dal Medio oriente e 1.010 dal altre parti dell'Asia), 1.490 dall'America (27 dal nord, 359 dal Centro e 1.104 dal Sud), 20 da altri Paesi.
  Nel messaggio si rileva la difficoltà che a livello internazionale si incontrano nel dare seguito agli accordi internazionali che consentirebbero, almeno per i reati meno gravi, di far espiare la pena all'estero. Nel corso del 2012 solo 131 detenuti stranieri sono stati trasferiti nei propri Paesi (mentre nei primi sei mesi del 2013 il numero è di 82 trasferimenti).
  Per quanto riguarda l'esecuzione di sentenze penali emesse in Italia in altri Stati dell'Unione europea, si segnala che il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, ha attuato nel nostro ordinamento la Decisione Quadro 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea. Lo strumento ha la finalità di consentire l'esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione Europea nello Stato membro di cittadinanza della persona condannata o in un altro Stato membro che abbia espresso il consenso a riceverla. Il riconoscimento della sentenza non presuppone la condizione di detenzione del soggetto. L'eventuale trasferimento, a sua volta, non presuppone il consenso della persona condannata, almeno nella maggior parte dei casi (v. articolo 10, comma 4, d.lgs. cit.). Unico presupposto indefettibile della procedura è quello della presenza del soggetto nello Stato membro di emissione della sentenza o in quello di esecuzione della stessa. Nella procedura attiva, l'autorità italiana competente a chiedere l'esecuzione all'estero della sentenza di condanna è il pubblico ministero presso il giudice indicato all'articolo 665 c.p.p. per quanto attiene all'esecuzione delle pene detentive e quello individuato ai sensi dell'articolo 658 c.p.p. per l'esecuzione di misure di sicurezza personali detentive (v. articolo 4 d.lgs. cit.). Nella procedura passiva, invece, competente a decidere sulla richiesta di esecuzione in Italia di una sentenza straniera è la Corte di Appello del distretto in cui è avvenuto l'arresto della persona condannata oppure di quello del luogo di residenza, dimora o domicilio della stessa (v. articolo 9 d.lgs. cit.). La decisione è soggetta a ricorso per cassazione.
  La scarsa applicazione dell'istituto è determinata in primo luogo dalla complessità delle procedure di omologazione, da parte delle autorità straniere, delle condanne emesse in Italia. Il capo dello Stato Pag. 49evidenzia come tra i fattori di criticità del meccanismo di trasferimento dei detenuti stranieri, vada annoverata anche la difficoltà, sul piano giuridico, di disporre tale misura nei confronti degli stranieri non ancora condannati in via definitiva, che rappresentano circa il 45 per cento del totale dei detenuti stranieri.
  Nel corso dell'audizione del 17 ottobre, il Ministro della giustizia ha dichiarato che «sono in avanzata fase di elaborazione alcune proposte di modifica della normativa in materia di espulsioni dei detenuti stranieri autori di reati non gravi. Esse mirano alla semplificazione delle procedure, attraverso una rapida identificazione dei detenuti stranieri da avviarsi già al momento del loro ingresso in carcere, in vista di una sollecita adozione del decreto di espulsione da parte della magistratura di sorveglianza».

2.1.5 Attenuazione degli effetti della recidiva

  Penultimo rimedio di carattere strutturale individuato nel messaggio è dato dall'attenuazione degli effetti della recidiva quale presupposto ostativo per l'ammissione dei condannati alle misure alternative alla detenzione carceraria. Nel messaggio si ricorda che un primo passo è stato compiuto a seguito dell'approvazione della citata legge n. 94 del 2013, che ha anche introdotto modifiche all'istituto della liberazione anticipata.
  Con riferimento a questa legge il Ministro ha dichiarato nel corso dell'audizione del 17 ottobre che «sono stati rilevati i dati relativi alla modifica dell'articolo 656 c.p.p. relativamente alla eliminazione della recidiva (ex articolo 99, comma quarto, c.p.) come ostacolo alla sospensione dell'ordine di esecuzione pena. Nel periodo antecedente all'entrata in vigore della norma, a fronte di una media mensile di ingressi superiore alle 900 unità si è registrata, invece, a partire dal mese di luglio, una riduzione prima di un terzo e poi di circa la metà. Se questo trend rimanesse costante in un anno si realizzerebbe un mancato ingresso in esecuzione pena di oltre 4.000 persone. Questa proiezione meramente statistica nella pratica impatterà, però, con le valutazioni dei giudici di sorveglianza che potrebbero ridurre, anche in maniera consistente, quella media. Un'altra novità introdotta dalla legge n. 94 del 2013 riguarda la modifica dell'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario che ha eliminato la preclusione della recidiva come condizione di accesso alla detenzione domiciliare ordinaria. Considerati i tempi di valutazione dei Tribunali di Sorveglianza è presumibile che tra qualche mese si inizieranno a produrre effetti sull'aumento di questa misura alternativa».

2.1.6 Depenalizzazione dei reati

  Ultimo rimedio strutturale indicato è quello di una incisiva depenalizzazione dei reati. Nel messaggio non si fa riferimento ai cosiddetti reati minori, come spesso invece avviene quando si affronta il tema della depenalizzazione, quanto piuttosto a quei reati per i quali una sanzione diversa, pecuniaria, da quella penale potrebbe avere una efficacia preventiva maggiore rispetto a quella penale. Così come vi sono illeciti per i quali una sanzione interdittiva o prescrittiva, sostitutiva di quella detentiva sarebbe sicuramente più incisiva. A tale proposito si segnala che la Commissione Giustizia del Senato ha introdotto nel già richiamato progetto di legge A.S. 925 anche una delega per la riforma della disciplina sanzionatoria, attraverso la quale si intende trasformare in illeciti amministrativi alcuni delitti e contravvenzioni.
  Occorre comunque tener presente, anche alla luce delle depenalizzazioni effettuate in passato, che la trasformazione di un illecito penale in illecito amministrativo di norma si riferisce a fattispecie penali che non destano un particolare allarme sociale e non rientrano, se non in maniera estremamente marginale, tra quelle per le quali le persone sono ristrette in carcere. In sostanza, la depenalizzazione produce effetti deflattivi del carico di lavoro dei giudici e quindi può avere un effetto solo indiretto sul sovraffollamento carcerario.Pag. 50
  Un effetto deflattivo carcerario si potrebbe avere riducendo sotto alcune soglie le pene edittali massime previste per alcuni reati puniti attualmente con una pena che può sembrare eccessiva rispetto alla concreta e reale lesività del fatto. La riduzione della pena edittale consentirebbe di applicare una serie di misure alternative al carcere previste dall'ordinamento vigente e inciderebbe anche sull'applicabilità della custodia cautelare in carcere per la quale è previsto un limite di pena di cinque anni.
  In questo contesto è stato chiesto al Ministro della giustizia, in un'ottica di riduzione del sovraffollamento carcerario, attraverso uno sfoltimento delle fattispecie di reato connesse alla normativa sugli stupefacenti, connesse con il piccolo spaccio, se sia possibile conoscere quanti dei soggetti detenuti (in via definitiva e non definitiva) ai sensi del comma 5 dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, lo siano anche ad altro titolo. In riferimento alla fattispecie di cui al predetto comma 5 dell'articolo 73, è stato chiesto anche se sia possibile fare una proiezione relativa all'impatto sui flussi della popolazione carceraria in relazione ad una eventuale riduzione della pena da sei a tre anni, (v. sul punto la pdl 631).
  Il Ministro ha osservato che «è molto difficile quantificare il numero delle persone detenute ai sensi di questa norma che lo siano anche ad altro titolo. Come è noto, infatti, l'articolo 73, comma 5 non costituisce un'ipotesi autonoma di reato ma solo un'attenuante del reato base – che tiene conto delle circostanze di lieve entità in cui lo stesso è stato commesso. Per tale ragione nelle posizioni giuridiche dei detenuti per il reato di cui all'articolo 73, spesso non vi è il riferimento al comma 5. C’è da dire inoltre che spesso la contestazione di cui al comma 5 per fatti di lieve entità viene superata dalla presenza di circostanze aggravanti (per esempio la recidiva) che comportano, nel bilanciamento, il ritorno all'ipotesi base del reato più grave. Pur con questi limiti, dall'esame dei dati in possesso dell'amministrazione sono circa 3.000 le persone detenute per il citato comma 5. In realtà i numeri potrebbero essere più alti, ma come detto è impossibile, per come è costruita la fattispecie, avere dati certi».
  In ogni caso il dato verificato dal Ministro è il seguente: «i detenuti che hanno una posizione giuridica per la violazione dell'articolo 73 sono 24.236; tra questi quelli che hanno solo il 73 senza altri reati più gravi sono 19.119. È chiaro che la trasformazione dell'attuale circostanza attenuante del V comma dell'articolo 73 in fattispecie autonoma di reato avrebbe un effetto positivo sia per ridurre il ricorso alla custodia cautelare sia per il calcolo della pena».
  In particolare, sempre a proposito dei reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendente, sono stati chiesti al Ministro i dati relativi alla concreta applicazione dell'affidamento in prova terapeutico ex articolo 94 decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, ritenendo che una efficace applicazione dell'istituto possa costituire anche un rimedio per contrastare il sovraffollamento carcerario e realizzare la finalità di recupero sociale della pena.
  Il Ministro ha dichiarato che «i casi di concessione dell'affidamento terapeutico ex articolo 94 dal 2010 ad oggi sono abbastanza costanti come si ricava dalla tabella allegata. Al 30 settembre 2013 risultano in carico agli Ufficio dell'Esecuzione Penale Esterna 3.313 affidati in prova terapeutica ex articolo 94 T.U. stupefacenti. Di questi gli stranieri sono circa 500. Se si tiene conto dei detenuti definitivi accertati quali tossico o alcool dipendenti (circa 8.000 su 15.000, compresi i non definitivi) le concessioni rappresentano poco più di un terzo dei potenziali beneficiari. Si registra, quindi, uno scarso ricorso all'istituto, il che appare sorprendente se si pensa che la legge intendeva riconoscere la specificità del tossicodipendente guardando con favore alla soluzione extracarceraria, come è dimostrato dal fatto che, rispetto all'affidamento ordinario ex articolo 47 Ordinamento Penitenziario, l'articolo 94 T.U. stupefacenti prevede la concessione della misura per pene detentive fino a 6 anni. I motivi che Pag. 51determinano questo dato sono, in sintesi, le scarse risorse rese disponibili alle Asl/SERT responsabili della presa in carico dei detenuti alcool o tossico dipendenti e della elaborazione di un programma di trattamento che poi deve essere valutato dalla Magistratura di Sorveglianza ai fini della concessione; risorse che, peraltro, vanno impiegate anche per i detenuti imputati che potrebbero essere beneficiari di analoghe misure extracarcerarie nel corso del giudizio. La carenza di risorse umane e finanziarie porta a una selezione dei detenuti da prendere in carico, con esclusione quasi completa dei detenuti stranieri e spesso optando per gli italiani che hanno una pena breve da scontare. Altro problema rilevato, è l'aumento di soggetti con problematiche psichiatriche (soggetti a “doppia diagnosi”) quale causa derivante o scatenante la tossico/alcool dipendenza, ciò che può rendere ulteriormente problematica la concessione della misura».

2.2 L'aumento della capienza complessiva degli istituti penitenziari

  Altro tema toccato dal messaggio è quello relativo all'aumento della capienza complessiva degli istituti penitenziari. A tale proposito viene fatto riferimento al Piano carceri, al quale è stato dato nuovo impulso dal già richiamato decreto-legge n. 78 del 2013. Come evidenziato nel Messaggio gli interventi del Piano dovrebbero concludersi prevedibilmente entro la fine del 2015 con l'aumento di circa 10.000 nuovi posti, di cui 2.500 entro la fine del 2013, 4.000 entro il mese di maggio 2014 e i rimanenti entro la fine del 2015.
  È apparso quindi opportuno alla Commissione di procedere, in data 22 ottobre 2013, all'audizione del Commissario Straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie, il prefetto Angelo Sinesio, al fine di acquisire i dati relativi all'incremento dei posti detentivi con riferimento alle diverse cadenze temporali ed alle strutture penitenziarie interessate.
  Nel corso dell'audizione il commissario straordinario ha illustrato il Piano Carceri soffermandosi sia sulle modalità di attuazione che sui tempi di completamento, facendo riferimento anche alla rimodulazione del Piano originario. Per quanto attiene ai dati richiesti espressamente dalla Commissione, il prefetto Sinesio ha depositato una nota dove espressamente si dichiara che «Con 468 milioni di euro assegnati al Piano carceri sono in corso di realizzazione in corso di affidamento n. 12.324 posti detentivi così suddivisi: n. 4 nuovi istituti penitenziari per 3.100 posti detentivi; n. 13 nuovi padiglioni per 3.000 posti; n. 16 completamenti nuovi padiglioni già avviati dal DAP per n. 3.347 posti detentivi; n. 9 interventi di recupero su istituti penitenziari esistenti per n. 1.212 posti detentivi; n. 3 interventi su nuovi istituti penitenziari già avviati dal Ministero delle infrastrutture per 1.665 posti detentivi. Si osserva che dei 12.324 posti: nell'anno 2012 sono stati consegnati 750 nuovi posti detentivi; entro l'anno 2013 è prevista l'ultimazione di lavori che daranno 3.962 posti detentivi (dei quali 1.365 dal completamento di nuovi istituti già avviati dal Ministero delle infrastrutture e 2.597 dal completamento di nuovi padiglioni detentivi già avviati dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria); entro l'anno 2014 è prevista l'ultimazione di lavori che daranno 2.060 posti detentivi (dei quali 1.800 da nuovi padiglioni detentivi e 260 da recupero di istituti esistenti); entro l'anno 2015 è prevista l'ultimazione di lavori che daranno 2.452 posti detentivi (dei quali 1.500 da nuovi padiglioni detentivi e 952 da recupero di istituti esistenti); entro l'anno 2016 è prevista l'ultimazione di lavori che daranno 3.100 posti detentivi (n. 3.100 da nuovi istituti penitenziari da realizzarsi)».
  È necessario evidenziare che il problema non consiste solo nell'aumento dei posti delle strutture carcerarie, ma nella necessità di recuperare l'intero sistema penitenziario gravemente depauperato in termini di risorse umane ed economiche, tanto da mettere in seria crisi le opportunità trattamentali.
  Dalla relazione del Ministro è emerso che «il capitolo 7361 “Industria” – destinato Pag. 52a retribuire i detenuti che lavorano nelle officine gestite dall'amministrazione ed all'acquisto di macchinari e materie prime – è stato decurtato nel 2012 a euro 3.168.177 (a fronte di euro 11.000.000,00 del 2010, con una riduzione pari ad oltre il 71 per cento in due anni), in un momento nel quale le esigenze di arredo e dotazione di biancheria dei nuovi padiglioni realizzati, avrebbero reso necessario un incremento delle produzioni. Pertanto, i detenuti impiegati alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria in attività di tipo industriale risultano essere, al 30.6.2013, ultimo dato disponibile, 436 (erano 336 al 31.12.2012; 559 al 31 dicembre 2011; 603 al 31 dicembre 2010). Dagli stessi dati risulta che il numero totale dei detenuti lavoranti è pari a 13.727 unità».
  Dal totale del numero dei detenuti lavoranti sopra riportato, quelli impegnati nella gestione quotidiana dell'istituto, al 30.6.2013, risultano essere 9.645.
  Ciò, nonostante il lavoro penitenziario sia l'elemento fondamentale del trattamento e strumento privilegiato di reinserimento sociale secondo le finalità dell'articolo 27 della Costituzione.
  Sul punto il Ministro ha rappresentato che la Commissione di studio presieduta dal prof. Mauro Palma presso il Ministero sta lavorando a proposte operative in questo delicato ed importante settore.
  Sempre in riferimento alla qualità del trattamento penitenziario, sono state chieste al Ministro informazioni relativamente al personale che lavora nelle carceri.
  Il Ministro ha evidenziato che «si registrano significative carenze nel profilo professionale degli assistenti sociali e dei funzionari giuridico pedagogici c.d. educatori. Tale aspetto si presenta ancora più problematico a fronte della diffusione di modelli di funzionamento delle strutture caratterizzate da una maggiore apertura che il Dipartimento già da tempo sta cercando di realizzare. Per quanto riguarda la Polizia penitenziaria, la carenza di organico è particolarmente grave per i ruoli intermedi dei sovrintendenti e degli ispettori, di minore entità nel ruolo agenti-assistenti. Tuttavia, per un'analisi completa del dato relativo al personale occorre evidenziare la molteplicità delle attività di servizio demandate alla Polizia penitenziaria per il funzionamento del sistema. Si pensi che tra le attività essenziali di un penitenziario, oltre al servizio di vigilanza, osservazione e partecipazione al trattamento rieducativo, vi sono la gestione degli Uffici: Matricola, Conto Correnti, Casellario ecc., e che il medesimo personale assolve il gravoso compito delle traduzioni e piantonamenti dei detenuti e degli internati. A ciò si aggiunga che per diminuire gli effetti del sovraffollamento, si sta investendo nella costruzione e/o ampliamento di strutture detentive, con tutto ciò che ne consegue in termini di necessità di altre risorse umane. Anche sotto tale profilo le figure intermedie sono di fondamentale importanza per il coordinamento del lavoro soprattutto nei nuovi modelli organizzativi che si stanno proponendo. Ulteriori difficoltà derivano dall'incidenza dei provvedimenti previsti dalle leggi finanziarie in materia di turn-over del personale di Polizia penitenziaria, poiché solo il 20 per cento delle vacanze che si creano vengono colmate con nuove assunzioni; analoga complessità è determinata dalla mancanza di un contratto della dirigenza penitenziaria e dalla possibile applicazione di ulteriori tagli a seguito della spending review».

2.3 Rimedi straordinari

  Dopo i due rimedi di natura ordinaria, nel messaggio si passa ai rimedi straordinari dell'amnistia ed indulto. Si tratta di rimedi che esplicano i loro effetti deflattivi con specifico riferimento a determinati reati commessi entro una particolare data e purchè non ricorrano specifiche esclusioni oggettive e soggettive. Alla straordinarietà del rimedio consegue anche l'immediatezza dell'effetto deflattivo, che naturalmente diminuisce nel tempo, considerato che i predetti benefici si applicano ad un numero determinato di reati. Quanto agli effetti dell'indulto del 2006, ad esempio, si segnala che il 31 luglio 2006 Pag. 53erano presenti nelle carceri italiane 60.710 reclusi (a fronte di una capienza regolamentare di 43.213 unità); un mese dopo, il 31 luglio 2006 i reclusi erano 38.326 (e la capienza regolamentare era di 42.233 unità). Un anno dopo, il 30 giugno 2007, erano 43.957; due anni dopo, il 30 giugno 2008, erano 55.057. Il dato iniziale preindulto è stato pertanto raggiunto prima dello scadere del terzo anno dal provvedimento di clemenza.
  L'effetto deflattivo è, quindi, strettamente connesso alla «perimetrazione» da parte del legislatore dei reati ai quali poter applicare il beneficio.
  Come ricorda il Capo dello Stato nel messaggio, dal 193 al 1990 sono intervenuti tredici provvedimenti con i quali è stata concessa l'amnistia (sola o unitamente all'indulto). In media, dunque, per quasi quaranta anni sono state varate amnistie con cadenza inferiore a tre anni. Dopo l'ultimo provvedimento di amnistia (d.P.R. n. 75 del 1990) è stata, approvata dal Parlamento soltanto una legge di clemenza, relativa al solo indulto (legge n. 241 del 2006). Tale circostanza non è dovuta unicamente alla modifica costituzionale che ha previsto per le leggi di clemenza un quorum rafforzato, ma anche in una «ostilità» agli atti di clemenza diffusasi nell'opinione pubblica. Una volta che sia stata superata questa ostilità di fondo, che dipende da preoccupazioni legate alla sicurezza pubblica e, in particolare al pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da parte di condannati scarcerati per indulto o di imputati prosciolti per l'amnistia, si pone la questione della «perimetrazione», alla quale si è sopra fatto riferimento. Si tratta di una questione meramente politica che il legislatore effettua tenendo conto della gravità dei reati e dell'allarme sociale da questi suscitato. Attraverso le esclusioni soggettive (di natura generale ed astratta) si potrà tenere conto anche della pericolosità del condannato o dell'imputato.
  Sempre con la finalità di ridurre sensibilmente il rischio di ricadute il provvedimento di clemenza potrebbe essere accompagnato da idonee misure, soprattutto amministrative, finalizzate all'effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione.
  Si segnala che presso la Commissione Giustizia del Senato è stato avviato in data 15 ottobre 2013 l'esame dei progetti di legge A.S. 20 Manconi ed altri e A.S. 21 Compagna e Manconi, in materia di concessione di amnistia e indulto.
  Al fine di poter valutare gli eventuali effetti deflattivi di un provvedimento di indulto sono stati chiesti al Ministro della giustizia i dati relativi alle pene residue. Con riferimento a questa richiesta il Ministro ha rilevato che «a fronte dei 38.625 condannati 9.598 hanno pena residua inferiore ad un anno, 7.735 tra uno e due anni e 5.689 da due a tre anni. Complessivamente sono quindi 23.022 quelli che devono scontare una pena residua inferiore ai tre anni. Come richiesto, anche in questo caso, si è provveduto ad una verifica per titoli di reato, seguendo il metodo di analisi prima descritto». È stata quindi trasmessa la seguente tabella dalla quale risulta che i reati per i quali si registra una maggiore presenza in carcere (scaglionata per residui di pena che vanno da 0 a 1, da 1 a 2; da 2 a 3, da 3 a 4 e superiore a 4 anni) sono la produzione e spaccio stupefacenti, la rapina, il furto, la ricettazione, l'estorsione, le violenze sessuali, l'omicidio volontario ed i reati di resistenza ed oltraggio.

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