Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 905 di mercoledì 17 gennaio 2018

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

La seduta comincia alle 10,35.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 dicembre 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Boschi, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Causin, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, Damiano, Dellai, Epifani, Faraone, Fedriga, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Guerra, Laforgia, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Mannino, Marazziti, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Piepoli, Pisicchio, Portas, Ravetto, Francesco Saverio Romano, Rughetti, Sanga, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sottanelli, Tabacci, Valeria Valente, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifiche nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che la deputata Valentina La Terza, proclamata in data 9 gennaio 2018, ha dichiarato, con lettera pervenuta in data 11 gennaio 2018, di aderire al gruppo parlamentare Partito Democratico.

Comunico che, con lettera pervenuta in data 11 gennaio 2018, il deputato Adriano Zaccagnini, già iscritto al gruppo parlamentare Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista-Liberi e Uguali, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risulta pertanto iscritto.

Cessazione dal mandato parlamentare del deputato Riccardo Gallo.

PRESIDENTE. Comunico che in data 16 gennaio 2018 è pervenuta alla Presidenza la seguente lettera del deputato Riccardo Gallo: “ Onorevole Presidente, in risposta alla richiesta di opzione di cui alla Sua lettera del 21 dicembre 2017, che ha fatto seguito alla dichiarazione di incompatibilità da parte della Giunta delle elezioni della mia carica di deputato regionale siciliano, rassegno le mie dimissioni dal mandato parlamentare, al fine di optare per la predetta carica. La saluto con viva cordialità e formulo a Lei e a tutti i colleghi deputati i miei più sentiti auguri di buon lavoro. Cordialmente. Firmato: On. Riccardo Gallo Afflitto”.

Trattandosi di un caso di incompatibilità, accertato dalla Giunta delle elezioni nella seduta del 20 dicembre 2017, la Camera prende atto, a norma dell'articolo 17-bis, comma 2, del Regolamento, di questa comunicazione e della conseguente cessazione del deputato Riccardo Gallo dal mandato parlamentare.

Proclamazione di un deputato subentrante.

PRESIDENTE. Dovendosi procedere alla proclamazione di un deputato, a seguito della presa d'atto delle dimissioni dal mandato parlamentare del deputato Riccardo Gallo, comunico che la Giunta delle elezioni ha accertato - ai sensi dell'articolo 86, comma 1, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera deputati - che il candidato che, nell'ordine progressivo della lista n. 12 - Il Popolo della Libertà nella XXIV Circoscrizione Sicilia 1, segue immediatamente l'ultimo degli eletti risulta essere Giulio Tantillo.

Do atto alla Giunta di questo accertamento e proclamo deputato, a norma dell'articolo 17-bis, comma 3, del Regolamento, per la XXIV Circoscrizione Sicilia 1, Giulio Tantillo.

S'intende che da oggi decorre il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali ricorsi.

Discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione in merito alla partecipazione dell'Italia a missioni internazionali da avviare nell'anno 2018 (Doc. CCL, n. 3) e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione (Doc. CCL-bis, n. 1), entrambe adottate dal Consiglio dei Ministri il 28 dicembre 2017 (Doc. XVI, n. 5) (ore 10,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione in merito alla partecipazione dell'Italia a missioni internazionali da avviare nell'anno 2018 e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, entrambe adottate dal Consiglio dei Ministri il 28 dicembre 2017 (Doc. XVI, n. 5).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 9 gennaio 2018 (Vedi l'allegato A della seduta del 9 gennaio 2018).

Avverto, inoltre, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione – Doc. XVI, n. 5)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione Affari esteri, deputato Andrea Manciulli.

ANDREA MANCIULLI, Relatore per la III Commissione. Grazie, illustre Presidente, onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo. Voglio premettere che svolgerò questa relazione anche a nome del collega Moscatt della IV Commissione. L'Aula della Camera si appresta a deliberare per la terza volta in tema di missioni internazionali da quando è entrata in vigore la legge n. 145 del 2016, nota come legge-quadro sulle missioni internazionali.

Rivendico con orgoglio il risultato conseguito grazie a questo nuovo strumento di riordino normativo, che permette di contemperare il doveroso carattere democratico della dinamica decisionale su una materia tanto delicata anche sul piano dell'impatto finanziario alla necessaria celerità del relativo processo decisionale, nel superiore interesse alla tutela della pace nonché della vita e dell'integrità degli uomini e delle donne, militari e civili, impegnati sul terreno dei numerosi teatri operativi.

Sul piano del metodo sono orgoglioso anche della decisione assunta dalla Conferenza dei capigruppo, lo scorso 9 gennaio, che ha deciso di affidare al plenum dell'Aula una deliberazione dovuta, necessaria e urgente - in passato costituiva, infatti, materia di decreti-legge - e assai delicata per la sicurezza dei connazionali impegnati all'estero.

L'anno appena trascorso è stato particolarmente intenso per l'Italia e la sua azione nelle missioni internazionali e negli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e stabilizzazione. Pur rimanendo tale impegno in linea di continuità con gli anni precedenti, il 2017 è stato un anno denso di appuntamenti importanti, come la Presidenza italiana del G7, il mandato in Consiglio di sicurezza, il nostro ruolo per la sicurezza del Mediterraneo, indubbiamente cresciuto, che hanno posto il nostro Paese al centro di un'agenda globale e ne hanno valorizzato la vocazione multilaterale.

Abbiamo operato in una situazione internazionale scossa da cambiamenti di portata epocale, che stanno riscrivendo gli assetti economici, sociali e democratici in prossimità dei confini nazionali e dell'Europa, i cui effetti ricadono direttamente sul nostro Paese. L'impegno internazionale che il nostro Paese profonde, ricorrendo allo strumento delle missioni militari e degli interventi di natura civile negli scenari di crisi, costituisce la necessaria risposta a persistenti minacce di carattere transnazionale ed asimmetrico - il terrorismo, la radicalizzazione, l'insicurezza cibernetica, i traffici illeciti - e a fenomeni di instabilità potenzialmente pericolosi per la pace e la sicurezza della regione euromediterranea.

Tale impegno si fonda su un approccio omnicomprensivo alle crisi, proprio dell'Unione europea e pienamente condiviso dall'Italia, che correla l'intervento di carattere militare ad iniziative civili tese alla protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, all'investimento nell'istruzione e nella cultura, alla protezione e attenzione alle donne, ai giovani e alle minoranze. Anche alla luce delle missioni e degli interventi autorizzati e in corso di svolgimento nel 2017, la Presidenza italiana del G7, il mandato in Consiglio di sicurezza dell'ONU e l'impegno per la stabilità del Mediterraneo hanno confermato la vocazione multilaterale della politica estera e di difesa del nostro Paese, il convinto sostegno al processo di integrazione europea e al legame transatlantico, l'impegno per la difesa dei diritti umani nel solco di quella vocazione mediterranea che guida tradizionalmente l'azione internazionale del nostro Paese.

Il Mediterraneo è stato parte essenziale della nostra Presidenza del G7 e del mandato in Consiglio di sicurezza, oltre che della nostra azione nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e della NATO, facendo sì che tali organizzazioni proseguissero l'impegno comune nella lotta contro il terrorismo, per una condivisione più equa e responsabile delle conseguenze del fenomeno migratorio, come pure di tutte quelle altre sfide, come tragedie umanitarie e odio settario, che contribuiscono a rendere l'area del Mediterraneo allargato uno degli epicentri reali del disordine globale.

Il collasso della Libia, i flussi migratori dall'Africa, i massicci arrivi di rifugiati dalla Siria, la diffusione di Daesh dalla Tunisia all'Iraq, sono stati schock di cui pochi in Europa hanno immediatamente compreso le dimensioni. Si è nutrita a lungo l'illusione che il destino dell'Europa fosse separato da queste sfide e dal futuro del Mediterraneo.

L'Italia prosegue quindi, anche nel 2018, la propria convinta e solida collaborazione in sede UE e NATO ed in piena conformità con il diritto internazionale, per proiettare stabilità al di là dei propri confini, grazie agli strumenti del dialogo politico, dell'assistenza alle istituzioni militari e civili di Stati fragili e della prevenzione delle crisi, rafforzando partenariati e l'attività di sicurezza cooperativa, nel segno della difesa europea e dell'Alleanza atlantica, quali dimensioni complementari nella tutela della pace e della sicurezza internazionali e regionali.

L'UE ha lanciato un programma ambizioso sul rafforzamento della difesa e sicurezza europea, per il quale un gran lavoro è stato fatto dal nostro Ministro della difesa e dal nostro Ministero degli esteri. In tale contesto sono state avviate iniziative, con l'obiettivo di creare uno stimolo politico e un'architettura istituzionale, volte al raggiungimento di tale scopo.

Il lavoro si è concentrato lungo tre direttrici: potenziare lo sviluppo e le sinergie di capacità militari e civili; creare degli incentivi a forme di cooperazione intensificata, mettendo a fattor comune le risorse degli Stati membri; rafforzare ed incentivare la base industriale e tecnologica della difesa europea.

Negli ultimi mesi del 2017 abbiamo raggiunto risultati incoraggianti, gettando le basi della futura difesa europea, attraverso la notifica e l'imminente lancio della cooperazione strutturata permanente (Pesco) e istituendo il primo centro di comando unico per le missioni militari di formazione e consultive dell'UE. Si tratta di progressi importanti, ma che consideriamo solo punti di partenza verso obiettivi più ambiziosi.

In corrispondenza di tale avanzamento, occorre richiamare anche l'impegno del nostro Paese al consolidamento alla dimensione della PSDC civile. Nelle dieci missioni operative in tale dimensione l'Italia partecipa con circa una quarantina di esperti, variabili nel corso dell'anno, e intende mantenere tale livello di partecipazione anche per il 2018, con eventuali aggiustamenti nella distribuzione geografica degli esperti.

Questo profilo non implica un ridimensionamento del ruolo della NATO o della posizione dell'Italia all'interno dell'Alleanza atlantica. Al contrario, la NATO rimane il caposaldo del nostro sistema di sicurezza, che alla fine della seconda guerra mondiale ha contribuito a sessant'anni di pace in Europa e a un periodo di pace e prosperità senza precedenti. La centralità del legame transatlantico e il nostro sostegno all'Alleanza sono oggi come ieri fuori discussione. Riteniamo, però, necessario che l'alleanza abbandoni le proprie logiche da guerra fredda, rilanciando le proprie priorità e risorse, adattandosi a una nuova realtà dei rapporti internazionali e alle nuove sfide, la maggior parte delle quali legate a minacce non più solo convenzionali, ma soprattutto asimmetriche con attori non statuali e complessi traffici illeciti. Riteniamo che solo proiettando stabilità oltre i propri confini, attraverso dialogo politico e assistenza delle istituzioni, militari e civili, di Stati fragili, solo rafforzando i partenariati e l'attività di sicurezza cooperativa in complementarietà con l'azione dell'Unione europea, la NATO potrà assolvere alla sua funzione storica di stabilizzazione.

Le missioni da prorogare e le nuove missioni che il Governo intende avviare nel 2018 trovano, peraltro, fondamento nell'attuale quadro politico militare, che si conferma complesso, in rapida e costante evoluzione, instabile e caratterizzato da un deterioramento complessivo delle condizioni di sicurezza.

Per quanto attiene alle nuove missioni, esse si concentrano in un'area geografica, l'Africa, nello specifico il Sahel, che riveste interesse strategico prioritario per la sicurezza dell'Italia, che oltre a dover gestire i flussi migratori provenienti da tale continente, deve affrontare il rischio che un rallentamento del processo di pacificazione e di consolidamento delle istituzioni politiche della Libia sfoci in un nuovo fattore di minaccia per i propri interessi nazionali e per la sicurezza del bacino del Mediterraneo.

Nella regione del Sahel, molti Paesi continuano ad incontrare difficoltà nel controllo dei rispettivi territori e frontiere e si trovano a far fronte a una minaccia terroristica, che si salda purtroppo con i traffici criminali e con il disagio sociale ed economico di ampie fasce della popolazione. Persiste la minaccia di Boko Haram nella regione del lago Ciad, malgrado il maggior coordinamento tra Paesi impegnati nel suo contrasto.

La situazione nel Mali resta precaria, nel nord e nel sud del Paese e nella stessa capitale, oggetto di attentati e l'instabilità del Mali si riverbera anche sul Paesi confinanti.

Nel Corno d'Africa la minaccia di al Shabaab rimane sempre molto alta e impedisce un avvio più deciso di una ripresa in Somalia. La situazione in Sud Sudan resta drammatica e preoccupano le tensioni esistenti tra l'Eritrea e i Paesi confinanti, come la diatriba tra Egitto ed Etiopia a causa della diga che quest' ultima sta costruendo sul Nilo. In tale contesto, l'operato delle missioni civili UE in ambito PSDC ha rivestito un ruolo di rilievo.

Il rafforzamento della nostra presenza nelle operazioni già attive in tale teatro - EUCAP Niger, EUCAP Mali, EUTM Mali - cui va aggiunto anche il comando della Cellula di coordinamento regionale delle tre missioni stesse, testimoniano la rilevanza che il nostro Paese attribuisce alla pace e alla stabilità in questo quadrante.

Il 2017 e il 2018 si connotano come gli anni del rilancio dell'impegno dell'Italia per l'Africa, inaugurato con l'istituzione del Fondo Africa. I dati sui risultati del nostro impegno in Africa sono stati efficacemente riferiti dal Ministro Alfano alle Commissioni riunite esteri e difesa, nelle comunicazioni rese lunedì 15 gennaio: abbiamo aumentato la nostra presenza diplomatica nel continente africano, riattivando le ambasciate in Libia e aprendo nuove ambasciate in Niger, Guinea e Burkina Faso; abbiamo incrementato gli aiuti di cooperazione all'Africa, dai 140 milioni di euro del 2016 ai 180 milioni nel 2017.

Al Niger sono stati destinati 50 milioni di euro per il rafforzamento del controllo delle frontiere con la Libia (ottenendo un abbattimento dei flussi migratori dai 70 mila del maggio 2016 ai 4 mila del luglio 2017), 15 milioni per contribuire ai programmi dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni di rimpatrio volontario e 31 milioni di euro per migliorare le condizioni delle popolazioni locali.

Nel valutare questo impegno teniamo conto che, da qui al 2050, in Africa la popolazione giovanile raddoppierà, da circa 230 milioni ad oltre 450 milioni. Per tanti Paesi africani è essenziale che alla crescita demografica corrispondano adeguati sbocchi occupazionali. E l'istruzione e la cultura restano i nostri migliori alleati per sostenere lo sviluppo e contenere i flussi migratori. Essenziale è dunque la presenza e il nostro impegno sul terreno civile, che non inizia certo oggi, ma è risalente e deve essere continuata a praticare. L'Africa è la nostra profondità strategica. Non in molti sanno che nel 2016 siamo stati il terzo Paese nella quota di investimenti privati, dopo Cina ed Emirati.

Per quanto riguarda la cooperazione italiana, essa è ormai sempre più strumento indispensabile della politica estera. Terrorismo globale, conflitti etnico-religiosi, flussi migratori, spesso disordinati e massicci, sono le problematiche con le quali il nostro Paese deve confrontarsi, anche per i profili di sicurezza, interna ed internazionale, che esse rivestono.

L'azione della cooperazione allo sviluppo si inquadra nel mutato contesto internazionale, imperniato sull'attuazione dell'Agenda 2030 e sul raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, e in un contesto nazionale, rinnovato dalla legge n. 125 del 2014 di riforma della cooperazione allo sviluppo.

Gli interventi previsti in Africa si concentrano su attività utili a incrementare la sicurezza e la stabilità internazionali, a favore di Paesi impegnati nella lotta al terrorismo e ai traffici illegali internazionali. A parte questo, viene confermato il contributo nazionale all'attività di polizia aerea della NATO sullo spazio aereo europeo dell'Alleanza.

La riorganizzazione degli impieghi italiani nella nuova missione militare su base bilaterale in Libia ha l'obiettivo di rendere l'azione italiana di assistenza e supporto del Governo nazionale libico più incisiva ed efficace.

L'ulteriore nuova linea di impegno militare dell'Italia, rivolta al Niger, avviene nel contesto di un complessivo innalzamento di livello delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, legati tra loro da una solida alleanza di tipo strategico corroborata da un impegno di lungo corso nella regione saheliana e nello stesso Niger attraverso gli strumenti della cooperazione allo sviluppo, anche grazie alle risorse stanziate dal Fondo per l'Africa, nell'obiettivo di promuovere il controllo del territorio e il contrasto dei traffici illeciti, a partire da quello di esseri umani.

L'impegno italiano in Libia e in Niger è intimamente connesso, sul piano strategico, alla fondamentale azione a tutela dei diritti umani e della protezione civile di migranti e di profughi esercitata dalle organizzazioni internazionali presenti nello specifico e che l'Italia sostiene convintamente. Non occorre ricordare ai colleghi delle Commissioni affari esteri e difesa che da tempo in quell'area operano gruppi terroristici come AQIM e Al-Morabitum, che traggono nuovi fondamentali canali di finanziamento dal traffico di migranti - purtroppo - e da altre forme di traffico. L'Italia può inoltre vantare un bagaglio interessante in termini di politica africana anche grazie all'azione di prestigiosi attori della società civile particolarmente impegnati per lo sviluppo dell'Africa. L'interesse italiano per l'Africa deriva da ragioni prima di tutto di prossimità geografica e si è accresciuto nella consapevolezza che le principali sfide attuali rendono questa cosa ancora più urgente.

In un quadro regionale estremamente complesso, gli accordi bilaterali e i consessi internazionali nei quali il Governo Gentiloni ha recentemente consolidato le relazioni con i Paesi del Nord Africa e del Sahel evidenziano la consapevolezza italiana del nesso tra sviluppo e sicurezza. La deliberazione del Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2017 contribuisce altresì a valorizzare le linee programmatiche della presidenza di turno dell'Italia per il 2018 dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), secondo il motto “Dialogue, Ownership, Responsability”, nel segno del rilancio dello spirito di Helsinki per la promozione del dialogo con la Russia. In questo quadro il nostro Paese affronta come principale banco di prova la ricerca di una soluzione alla crisi ucraina che non può che essere basata sulla ricostruzione di condizioni di fiducia tra le parti sugli sforzi negoziali del quadro del Formato Normandia e del Gruppo Trilaterale di Contatto nell'obiettivo della piena attuazione degli accordi di Minsk. In tale ottica, è essenziale garantire la sicurezza degli osservatori e degli operatori umanitari, anche grazie a risorse adeguate certe e prevedibili, i quali devono essere messi in condizione di svolgere il proprio mandato e le proprie funzioni con il minor rischio possibile. Anche in tale prospettiva si colloca l'impegno dell'Italia nel quadro delle missioni NATO finalizzate a rafforzare le condizioni di sicurezza sui versanti orientali e meridionali dell'Alleanza in chiave difensiva, preventiva ed in modo coordinato con l'impegno politico-diplomatico profuso soprattutto in sede UE e OSCE per la soluzione delle ulteriori crisi in Transnistria, in Georgia, in Nagorno-Karabakh, in Medio Oriente e nel Mediterraneo allargato.

Mi preme soprattutto ribadire il concetto dell'indivisibilità della sicurezza euromediterranea e della natura globale e non regionale delle questioni che insistono su tale area. Buona parte della sicurezza e della prosperità mondiali dipendono dalle dinamiche del Mediterraneo. Da ciò deriva l'esigenza di costruire un nuovo partenariato euromediterraneo, basato su più dialogo, responsabilità condivisa e solidarietà diffusa, su più concrete collaborazioni a livello di sicurezza per il controllo delle rotte migratorie, anche alla luce del possibile rientro in Europa di foreignfighters dall'area siro-irachena, nonché su più investimenti in cultura per prevenire fanatismo, estremismo violento e terrorismo.

Alla luce di tali riflessioni rilevo che la liberazione del 28 dicembre scorso, in attuazione della legge n. 145 del 2016, realizzata l'obiettivo di distinguere tra missioni in corso e missioni ex novo; permette di registrare un considerevole progresso sul terreno dello sforzo informativo da parte delle amministrazioni coinvolte nella stesura delle schede concernenti le missioni, insieme al quadro degli investimenti di cooperazione allo sviluppo per il sostegno ai processi di pace e di stabilizzazione. Appaiono innovativi e di particolare interesse i contenuti che emergono sull'andamento delle missioni, corredati da valutazioni sui risultati allo stato conseguiti e da importanti aggiornamenti, anche assai dettagliati, sul terreno delle operazioni svolte e dell'ampliamento in taluni casi delle basi giuridiche, come pure sulle percentuali di coinvolgimento delle donne nei teatri operativi.

Emerge, d'altra parte, l'esigenza che un ulteriore sforzo di approfondimento informativo possa in futuro caratterizzare in termini di maggiore leggibilità le schede concernenti gli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. Come è emerso durante i lavori in Commissione, appare doveroso incrementare i dati concernenti la presenza di donne nei contingenti impegnati nelle missioni, in linea con i richiami delle Nazioni Unite.

Tutto ciò premesso, auspico un consenso ampio sugli atti di indirizzo che saranno oggetto di deliberazione, nella consapevolezza dell'importanza, anche in termini di sicurezza, di un sostegno coeso da parte delle forze politiche all'impegno dei nostri connazionali militari impegnati in queste operazioni, che sono senza dubbio un orgoglio per il Nostro Paese.

PRESIDENTE. La ringrazio, deputato Manciulli, che ha parlato anche per conto del deputato Moscatt. È iscritto a parlare il deputato Luca Frusone. Ne ha facoltà.

LUCA FRUSONE. Presidente, in un certo senso finiamo dove abbiamo iniziato, perché, siccome queste saranno probabilmente le ultime parole di questa legislatura, ricordo che nel primo intervento, nella prima discussione che abbiamo avuto in questo Parlamento si parlava di marò, e subito dopo si è parlato di “decreto missioni”. Quindi, in un certo senso abbiamo avuto un andamento piuttosto ciclico in questa legislatura. Però, una novità in questo caso c'è, per questo nuovo impegno dell'Italia per queste missioni internazionali: al di là della legge quadro che è stata approvata e quindi di questa nuova procedura, non possiamo che sottolineare una stortura proprio della nuova legge, perché ricordo che comunque siamo una Camera dimissionaria e da Regolamento non potremmo adottare atti di indirizzo, cosa che invece la legge stabilisce proprio per autorizzare le missioni. In poche parole, abbiamo una legge che come strumento utilizza gli atti di indirizzo per autorizzare le missioni e in realtà questa Camera oggi non potrebbe adottare atti di indirizzo. Quindi, in un certo senso, l'elemento di novità sarà questo precedente che creerete andando appunto contro il Regolamento; ma non è la prima volta che si creano nuovi precedenti.

PRESIDENTE. Deputato Frusone, ho il dovere di stopparla su questo, perché noi siamo in linea con quanto deciso in Ufficio di Presidenza, quindi non stiamo andando contro il Regolamento. Ci tenevo a dirle questo.

LUCA FRUSONE. Presidente, io sto dicendo quello che dice il Regolamento, poi so che ci sono state altre assemblee. Comunque, come dicevo, ci sarà anche questa novità. Ma al di là di questo cavillo - se vogliamo definirlo così -, c'è un altro aspetto politico, che va al di là del Regolamento, cioè quello di un Governo dimissionario che sta per approvare degli impegni…

PRESIDENTE. Deputato Frusone…

LUCA FRUSONE. Presidente, sto parlando di un'altra cosa! Sto parlando di un Governo dimissionario che impegnerà per i prossimi mesi tutta questa nazione. Non c'entra niente con il Regolamento, è un altro aspetto! Mi faccia finire di parlare, per favore. In poche parole, noi stiamo impegnando anche il futuro Governo, a prescindere dal Regolamento, per delle missioni che avranno una valenza se non annuale almeno per nove mesi: questo sto dicendo, Presidente. Quindi, anche il futuro Governo, se sarà di colore completamente diverso, avrà delle missioni per cui magari oggi si esprimerà in maniera contraria e per le quali non potrà fare nulla. Quindi, sinceramente sarebbe stato più corretto, dal nostro punto di vista, magari prorogare le missioni in atto, magari fino a giugno, dopodiché dare la palla al nuovo Governo e vedere poi che cosa il nuovo Governo vuole fare in politica estera.

Questa sarebbe stata una scelta più etica, sarebbe stata una scelta anche di rispetto per un eventuale nuovo Governo di colore diverso. Purtroppo non è stato fatto. Addirittura, si sono inserite nuove missioni che vincoleranno appunto chi vincerà le prossime elezioni. Questo è un dato di fatto, al di là del Regolamento, al di là della legge quadro e tutto il resto. È un dato politico, questo non si può assolutamente negare. E c'è un problema: il problema di fondo è che noi in questi cinque anni ci siamo accorti di una cosa, proprio quello di cui dicevo prima, cioè che l'Italia manca di una politica estera.

Purtroppo, in questi cinque anni abbiamo capito che non c'è, effettivamente, una linea, un percorso da seguire per l'Italia in politica estera e i decreti in materia di missioni che avete approvato in tutti questi anni ne sono la prova, tant'è che, ormai, l'unico strumento di politica estera è l'Esercito, sono le Forze armate. Non potendo dare qualcosa agli altri Paesi per sedersi ai tavoli dei potenti, ecco che mettiamo in campo i nostri soldati, le nostre strumentazioni e le nostre competenze. Noi utilizziamo, ormai, le Forze armate come strumento di politica estera e, purtroppo, è l'unico strumento, il famoso soft power ormai lo abbiamo perso. Naturalmente non è da questa legislatura che si è perso, è un percorso lungo, quindi anche i Governi precedenti sono responsabili di tutto questo.

E poi, se proprio parliamo di difesa, la carenza maggiore che abbiamo riscontrato in questi cinque anni sono le minacce, nel senso: qual è la minaccia dell'Italia? Naturalmente la difesa deve essere costruita in base a delle eventuali minacce. In cinque anni non siete stati in grado di individuare veramente queste minacce. Sì, si parla di terrorismo, si parla di foreign fighters, ma è naturale che una difesa si costruisce in base alle minacce. Le strumentazioni, gli strumenti d'arma vengono acquistati in base alle minacce e in base ai livelli di ambizione: che cosa vuole fare l'Italia da grande? Qual è il fronte su cui vuole impegnarsi maggiormente? Sì, timidamente si è accennato al Mediterraneo e devo dire anche che ci sono parlamentari di altri partiti che in questi anni, comunque, hanno profuso uno sforzo per centrare l'attenzione geopolitica mondiale sul Mediterraneo, questo non lo posso mettere in dubbio. Io faccio parte di una delegazione internazionale che ha lavorato in questo senso, anche se i risultati non sono quelli che io stesso speravo e questo impegno per le missioni internazionali ne è anche, in un certo senso, la prova.

Quindi, purtroppo, quello che abbiamo riscontrato in questi cinque anni è l'assenza di programmazione, la mancanza di una presa forte su quelle che sono le necessità dell'Italia e le esigenze dell'Italia, quasi come se non fosse più uno Stato sovrano, ma in realtà - e purtroppo questo è vero - si mette sempre in scia ad altri Paesi. C'è stato, in questi anni, qualche tentativo di ribaltare tutto questo, ma purtroppo è da dire: siamo ancora in balia di Paesi più grandi di noi e non riusciamo ad incidere quanto dovremmo, soprattutto in aree così interessanti per noi come il Mediterraneo. Questo è un dato di fatto e, se andiamo ad analizzare un pochino più nel merito questo provvedimento, lo vediamo.

Innanzitutto, diciamolo chiaramente, le spese totali per queste missioni rispetto all'anno scorso sono aumentate, poi paradossalmente abbiamo un fondo che andrà a coprire solamente per nove mesi tutto questo e, quindi, ci chiediamo un pochino cosa accadrà dopo, cioè le autorizziamo però non abbiamo ancora le coperture, quindi come al solito si fanno le cose un po' alla carlona. Ma parliamo, comunque, di un miliardo e mezzo totali, un miliardo per nove mesi, un miliardo e mezzo totale all'incirca. E se analizziamo le singole missioni, potrei fare l'esempio, ma lo abbiamo fatto mille volte, dell'Afghanistan, quella è una missione - parlavo prima di esigenze dell'Italia, di impegni dell'Italia all'estero - necessaria all'Italia? Quali sono le esigenze, quali sono le necessità dell'Italia in Afghanistan? Siamo lì, ormai, da una marea di tempo, abbiamo speso miliardi e miliardi di euro per quella missione, quella missione è chiaramente un do ut des con gli Stati Uniti. Ed ecco che riprendiamo il discorso di prima: come dicevo, l'Italia non è in grado di farsi carico delle proprie esigenze, ma utilizza lo strumento militare per potersi sedere al tavolo dei potenti. Questo è quello che abbiamo visto per cinque anni in questo Parlamento. Poi per quanto riguarda tutte le missioni, bene o male sono quasi tutte le stesse da cinque anni, sono state poche le novità, quindi non bisogna fare l'elenco di quelle su cui ci troviamo d'accordo e quelle su cui non ci troviamo d'accordo, perché basta riprendere anche la risoluzione che depositiamo oggi per capire qual è la linea politica chiara del MoVimento 5 Stelle. Ma ci sono delle nuove missioni, come per esempio quella in Niger, su cui tanto si è parlato.

Anche lì, purtroppo, ci dobbiamo trovare in disaccordo: non in disaccordo di un impegno dell'Italia in Niger, perché effettivamente l'Italia ha bisogno di dialogare con altri Paesi, ha bisogno di dialogare con l'Africa, ma ci troviamo in disaccordo nel merito, innanzitutto con alcune dichiarazioni. Pensare che questa missione nasca in funzione di contrasto ai flussi migratori è paradossale. In un certo senso noi andiamo a presidiare il deserto, quindi pensare che, bloccando una ad una, i flussi si fermino è impossibile. Già i trafficanti di esseri umani sanno che basterà aggirare, cambiare leggermente la rotta e tutto rimarrà com'è. Sarebbe stato più interessante, invece, andare a presidiare i confini meridionali della Libia, al sud della Libia, che è la porta d'ingresso, quindi non tanto la partenza, anche considerando che all'incirca solo il 18 per cento dei migranti che passano per il Niger arrivano in Europa, vogliono arrivare in Europa, perché dobbiamo anche considerare i flussi di migranti intra-Africa, che passano da un Paese all'altro dell'Africa: è forse uno degli spazi di libera circolazione più grandi del mondo. Quindi, non possiamo parlare di contrasto di flussi migratori quando si parla del Niger, sarebbe stato più interessante andare nel sud della Libia, ma ecco che ritorna il discorso della politica estera: la Francia non vuole. E allora, magari, è più interessante dare una mano alla Francia in Niger, alleggerire un po' il peso di Macron in quei Paesi, che è impelagato da anni in quella zona e, quindi, ecco che l'Italia corre in soccorso: come dicevo, di nuovo, lo strumento è quello militare utilizzato come strumento di politica estera, ma non per fare gli interessi dell'Italia, ma per un semplice do ut des. Questo è quello che succede.

Poi, come ho detto, ci sono tantissime altre missioni che ci trovano in disaccordo, ci sono altre missioni che, invece, andrebbero studiate meglio e alcune anche prese come caso di studio per far vedere al mondo che delle cose siamo veramente bravi a farle. In un certo senso, in questi anni abbiamo visto che molte missioni si sono indirizzate verso l'addestramento delle forze di Polizia di quei Paesi, cosa che effettivamente siamo bravissimi a fare, ma questo non è merito della politica, è merito dei militari, i militari che con impegno hanno continuato questo percorso di professionalizzazione delle Forze armate ed effettivamente possiamo dire che siamo veramente molto bravi. Dovremmo specializzarci ancora di più e potremmo ritagliarci quel ruolo, che comunque è anche in linea con l'articolo 11 della Costituzione, semplicemente di supporto, di addestramento delle Forze armate e non di intervento mirato a patteggiare per quella parte piuttosto che quell'altra in uno Stato che già di per sé è destabilizzato. Questo è quello che noi ci auspichiamo l'Italia faccia nel futuro: prenda quello che sa già fare, migliori in quelle competenze e, invece, si dimentichi di altre missioni che in realtà non hanno portato nulla al nostro Paese, servivano solo per uno scambio politico con altri Paesi, e che in realtà hanno semplicemente aggravato il peso sulle casse dello Stato. Quindi, il sunto di tutto questo, di questi cinque anni delle missioni internazionali sono queste parole che io oggi ho qui pronunciato. Speriamo che l'Italia possa cambiare in futuro tutto l'impianto di politica estera e dell'utilizzo dello strumento militare, perché purtroppo abbiamo visto che non possiamo rimanere a traino di altri Paesi, soprattutto se sono Paesi vicini a noi, come la Francia e la Germania, ma l'Italia deve sempre con più forza ritagliarsi questo ruolo nella politica estera mondiale, perché non possiamo essere più succursale di altri Stati.

PRESIDENTE. La ringrazio. Solo perché rimanga agli atti, il Governo non è dimissionario e, dunque, quanto affermato non risponde a verità. È iscritto a parlare il deputato Michele Nicoletti. Ne ha facoltà.

MICHELE NICOLETTI. Grazie, Presidente. Il relatore ha già illustrato in modo assai efficace le ragioni che stanno alla base del provvedimento in oggetto che, come si è detto, tocca aspetti relativi alla pace e alla sicurezza ma anche aspetti relativi alla tutela dei diritti umani e della dignità delle persone, e vorrei, in particolare, soffermarmi su questo secondo aspetto. Ho ascoltato l'intervento che mi ha preceduto e confesso che ho avuto l'impressione di aver vissuto un'altra legislatura. Si è detto che non abbiamo una politica estera e che questo ultimo provvedimento è la dimostrazione di questa assenza, di questa confusione. Al contrario, a me pare che il nostro Paese ha dovuto fronteggiare, in questi cinque anni, sfide incredibili: la grande tragedia delle migrazioni al centro del Mediterraneo, il terrorismo, i conflitti, e si è mosso con una incredibile coerenza e determinazione. La prima cosa che abbiamo fatto è stato rispondere immediatamente a quello che stava avvenendo nel Mediterraneo con l'operazione Mare Nostrum in drammatica solitudine. Non ci siamo tirati indietro e, a detta di tutti gli osservatori internazionali, abbiamo salvato non solo migliaia di persone ma anche l'onore non solo del nostro Paese ma anche dell'Europa. Accanto a questa azione abbiamo impegnato tutte le nostre forze per richiamare l'attenzione e l'impegno delle organizzazioni internazionali e dell'Unione europea su quanto stava avvenendo perché venisse assunto un impegno collettivo.

Ora, se guardo a quello che è successo in questi cinque anni, all'azione del nostro Governo in sede di Nazioni Unite, di Unione europea, di Consiglio d'Europa, di NATO - e qui dobbiamo dare atto all'impegno straordinario del presidente Manciulli -, il Mediterraneo e l'Africa sono al centro dell'attenzione internazionale ed europea. Abbiamo parlato per primi della necessità di un Piano Marshall per l'Africa ed oggi ne parlano in molti altri; questo è un orgoglio. Per primi abbiamo detto di pensare a come sono state ricostruite le democrazie in Europa dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, quando sono crollati i regimi autoritari, non solo ripristinando dei meccanismi di formazione di istituzioni rappresentative ma con forti politiche di sviluppo e di cooperazione. Era impensabile assistere alle primavere arabe e pensare che la democrazia nascesse da sola per il semplice crollo delle dittature senza avere delle strategie di cooperazione e di sviluppo. Certo, l'Italia da sola non può farlo, ma questa era la direzione e oggi in molti Paesi - e anche a livello internazionale e europeo - c'è questa consapevolezza. Addirittura, in questa legislatura abbiamo cambiato la denominazione del nostro Ministero degli affari esteri, inserendo la cooperazione internazionale, per dire che il nostro modo di stare nel mondo è quello di cooperare, è quello di aiutare lo sviluppo degli altri Paesi. Da questo punto di vista, c'è una forte politica estera del nostro Paese, coerente e che ha raccolto dei risultati importanti. Penso al tema della difesa comune europea, una parola che era addirittura impronunciabile fino a qualche anno fa perché racchiudeva in sé il nocciolo duro della sovranità nazionale, cioè il tema della difesa.

Tuttavia, oggi questo tema, anche grazie all'impegno del nostro Paese, lo possiamo affrontare, lo possiamo discutere e lo possiamo cercare di attuare, e anche queste missioni, che noi oggi andiamo ad approvare, si inseriscono non nel quadro di un'iniziativa individuale del nostro Paese ma dentro un quadro di un'iniziativa europea. C'è stata, quindi, una continuità, ci sono stati dei successi in un quadro difficilissimo e c'è stato, appunto, un riorientamento anche della nostra iniziativa verso questo grande scenario dell'Africa e del Mediterraneo.

Ho addirittura sentito parlare che non avremmo saputo prendere sul serio e individuare con coerenza le questioni della sicurezza e della difesa del nostro Paese. Vorrei che rileggessimo la stampa di questi cinque anni, con la drammatica sfida del terrorismo in tutte le maggiori capitali europee. Come facciamo a dire che noi abbiamo sottovalutato la questione della sicurezza e non siamo stati capaci di garantirla quando, grazie al cielo, per carità, non solo agli sforzi, ma anche grazie agli sforzi di questo Governo e delle nostre forze dell'ordine, il nostro Paese non ha conosciuto, nelle forme drammatiche che altri Paesi hanno conosciuto, la sfida del terrorismo dentro i propri confini.

Voglio infine ricordare, per quanto riguarda la questione della legittimità di quanto stiamo facendo, che proprio chi rivendica la necessità di una politica estera dovrebbe essere preoccupato di sottrarre la politica estera all'alternarsi dei Governi. Politiche estere efficaci possono funzionare solo se non appartengono a un Governo di destra o di sinistra ma appartengono a un Paese e noi stiamo compiendo esattamente questo e stiamo dando continuità ad una linea e lo stiamo facendo non in qualche anticamera ma nella Camera, così come abbiamo voluto noi, parlamentarizzando ogni singolo momento del nostro impegno internazionale, ogni singolo momento che impegna la vita e le risorse del nostro Paese al di fuori dei confini nazionali.

Una seconda riflessione che vorrei fare riguarda le modalità di intervento di fronte a queste grandi sfide e tragedie. Abbiamo detto che non è solo sicurezza e assistenza di cui noi dobbiamo preoccuparci - e l'abbiamo fatto - ma dobbiamo anche cercare di rimuovere le cause di quello che sta avvenendo, soprattutto della tragedia delle migrazioni, e dobbiamo, in quei Paesi, sostenere non solo politiche di sviluppo ma anche politiche di costruzione di istituzioni. Questo è quello che abbiamo fatto e anche queste missioni si iscrivono in questa prospettiva; non ci preoccupiamo solo di tamponare quello che sta avvenendo, ma ci preoccupiamo di costruire un futuro per noi e per gli altri Paesi. Questo vale, anche e soprattutto, per il contrasto al traffico di esseri umani. Nel 2011 è entrata in vigore, anche per il nostro Paese, la Convenzione del Consiglio d'Europa sul contrasto al traffico degli esseri umani, che è una delle vere piaghe del nostro tempo, e che impegna tutti i Paesi, dentro e fuori i loro confini, ad azioni di prevenzione (articolo 5) e di controllo dei confini (articolo 7). Questo è esattamente quello che stiamo cercando di fare anche attraverso queste missioni, in particolare con gli interventi in Libia e in Niger.

Il gruppo di Stati che è nato da questa Convenzione ci ha richiamato più volte a considerare che gli esseri umani che vengono trafficati nel Mediterraneo sono il frutto di traffici che provengono dalla Nigeria, attraverso il Niger e attraverso la Libia, e le vittime più tipiche di questi traffici - pensiamo alle donne - subiscono queste violenze esattamente in questi territori, attraversando questi chilometri di regioni desertiche, e questo è qualche cosa che non ci può lasciare indifferenti. Per questo dobbiamo associare all'accoglienza, all'assistenza, all'aiuto sul nostro territorio nazionale, che già stiamo facendo, ogni sforzo per evitare che la violenza si compia alla radice nei Paesi di origine e nei Paesi di transito. Questo tema è stato richiamato non solo dalle organizzazioni internazionali, ma anche da tante nostre associazioni non governative. Penso al rapporto di Be Free, per citare un'associazione italiana, del 2016, che ha richiamato con forza questo tema della violenza sulle donne nell'esperienza del traffico di esseri umani e delle migrazioni del Mediterraneo.

In questo quadro a me pare che noi possiamo rivendicare con orgoglio questo impegno del nostro Paese, che da ogni parte ci viene riconosciuto come un contributo fondamentale, non a una politica espansionistica o a una politica coloniale. È giusto, è serio, è legittimo anche preoccuparsi di questo, quando si vedono dei soldati di una potenza europea entrare su un territorio, come il continente africano, che è stato oggetto per tanti secoli di violenze coloniali, ma non di questo stiamo parlando. Noi stiamo intervenendo perché un Governo africano amico ci ha chiesto un aiuto per tutelare i confini, per addestrare le forze dell'ordine, per garantire possibilità di vita migliore per gli esseri umani. E, dunque, non è una strategia di colonialismo: se c'è un Paese che oggi, nell'orizzonte internazionale, non è sospetto di operazioni di questo genere, è il nostro. Casomai, si caratterizza per un forte accento umanitario, per una sottolineatura della importanza delle organizzazioni internazionali rivolte a una più forte tutela della vita umana.

E questo è il modo di stare nel mondo che noi abbiamo scelto, questo è il modo di costruire la pace che noi abbiamo scelto, attraverso il diritto, attraverso il rafforzamento delle organizzazioni internazionali, con uno sguardo fondamentale, sempre, non ai diritti umani concepiti come dei principi astratti, ma alla realtà in carne e ossa delle persone che soffrono ogni giorno e che guardano a noi, come all'Europa, come a una speranza per una vita migliore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palazzotto. Ne ha facoltà.

ERASMO PALAZZOTTO. Grazie, signora Presidente. Vorrei, nell'occasione di questa discussione generale, approfondire intanto la questione del metodo utilizzato per la proroga delle missioni internazionali nel nostro Paese e l'istituzione di diverse nuove missioni militari a cui il Governo ha dato vita il 28 dicembre. C'è un tema vero, che riguarda - lo diceva prima l'onorevole Frusone - non tanto una questione di regolamenti, ma una questione politica, ovvero se è normale che un Governo a fine mandato e un Parlamento a Camere sciolte deliberi l'istituzione di nuove missioni militari, che non sono semplici adempimenti a obblighi internazionali, ma che, a fine legislatura, mettono in campo un cambio radicale di strategia della politica estera e di difesa del nostro Paese.

Non si può dire che l'investimento che si sta facendo sul Niger è un atto dovuto. L'investimento che si sta facendo sul Niger è un cambio radicale di politica estera dal punto di vista strategico del nostro Paese. Questa non è una valutazione che faccio io dal punto di vista degli atti delle missioni: questa è una valutazione che è stata esplicitamente fatta in questi giorni dal Ministro degli affari esteri e dalla Ministra della difesa, che hanno specificato come l'investimento sull'Africa corrisponderà gradualmente a un disinvestimento in altri scenari, come quello mediorientale. E, per un Paese che, invece, in questi anni, in questo Parlamento, ha continuamente approvato missioni che dicevano come l'investimento sul Medioriente fosse strategico, arrivare a un cambio di strategia di queste dimensioni a fine mandato, a fine legislatura, e chiedere a un Parlamento con le Camere sciolte, a un Parlamento che ha finito il suo ruolo istituzionale e che, a norma della Costituzione, non dovrebbe pronunciarsi su questioni di questo tipo, è un atto che io ritengo di prepotenza istituzionale da parte di un Governo a fine mandato.

Infatti, una scelta strategica di questo tipo condizionerà la politica estera di questo Paese per i prossimi dieci anni, probabilmente, non solo per l'arco della prossima legislatura. E, quindi, all'onorevole Nicoletti vorrei dire che è vero che la politica estera deve avere una sua continuità, ma è vero anche che, nel momento in cui si fanno nuove scelte strategiche, quella continuità dovrebbe essere garantita da un Parlamento nel pieno delle sue funzioni istituzionali. Questo è il punto che noi poniamo, che è di metodo, ma che diventa di sostanza, che riguarda il funzionamento della nostra democrazia. L'idea che un Parlamento che ha finito, per cui tecnicamente l'articolo 77 della Costituzione dice chiaramente che il Parlamento può essere convocato a Camere sciolte soltanto per atti straordinari e urgenti. E, anche se avessimo voluto dire che la nuova legge quadro sulle missioni internazionali richiede al Governo entro la fine dell'anno di portare la relazione tecnica e l'approvazione alle missioni, diceva bene l'onorevole Frusone, si sarebbe potuto quantomeno ragionare della proroga delle missioni in corso e non istituire nuove missioni della rilevanza strategica come quella in Niger e, in particolar modo, come quella in Libia.

Nel merito di queste missioni - questo lo dico perché noi abbiamo proposto in tutte le sedi che questa discussione si concludesse non con l'autorizzazione delle missioni, ma con il rinvio al prossimo Parlamento, nel pieno delle sue funzioni politiche e democratiche, della decisione se autorizzare o meno le nuove missioni in Africa - il cambio di strategia politica del nostro Governo è un cambio non di poco conto. È vero che viene da lontano, specificatamente per la missione in Libia: ci è stato detto qui che, in realtà, la missione in Libia è una ricomposizione dei vari interventi che c'erano già in Libia a proposito dell'operazione Ippocrate, e quindi del famoso ospedale da campo a Misurata in piena zona di combattimenti. Ecco, questa scelta strategica ha intanto un elemento di ipocrisia che vorrei che noi affrontassimo, è utile rispetto a una discussione che dice realmente quali sono gli interessi strategici di questo Paese. Il tema delle migrazioni, che è la causa giustificatrice delle nuove missioni in Africa, a detta di questo Governo, è un tema marginale rispetto ai reali interessi che stanno dietro queste missioni.

La questione della Libia, e parto da lì, su cui il nostro Paese ha sacrificato anche un terreno valoriale del rispetto dei diritti umani, chiudendo gli occhi sulle torture che avvengono lì ad opera dei nostri partner, quelli con cui abbiamo firmato gli accordi in funzione di cui mandiamo i nostri soldati, ne parleremo dopo e meglio nel corso della discussione generale, ma il tema della missione in Libia è la competizione, la concorrenza in quel territorio e complessivamente in Africa - anche in Niger la missione ha la stessa valenza - con il nostro partner europeo francese su chi ha un'influenza strategica geopolitica più importante in quel territorio, perché lì si giocano interessi strategici. Mettiamola così: il conflitto che in Libia si è combattuto in questi anni tra Tripoli e Haftar è il conflitto che economicamente hanno combattuto l'ENI e la Total e che strategicamente hanno combattuto il nostro Paese e la Francia sul terreno libico.

Non a caso ogni volta che le trattative per il processo di pace si arenavano era per un'iniziativa francese che scavalcava quella italiana o viceversa. Qualcuno ci dovrebbe spiegare che cosa fanno i nostri soldati in Libia.

Perché, dopo che i combattimenti a Misurata sono finiti e il pericolo jihadista a Misurata è stato sconfitto, noi decidiamo di continuare a investire, aumentando la presenza militare in quel Paese, di fatto essendo noi l'unica cosa che sorregge il Governo di Serraj, che, come abbiamo visto, noi continuiamo a ritenere un partner internazionale, un interlocutore credibile, ma non è in grado di controllare attualmente neanche il perimetro della capitale Tripoli, per cui in realtà, forse, controlliamo più noi le milizie che oggi governano il traffico dei migranti e la cosiddetta Guardia costiera libica di quanto non lo faccia il Governo centrale di Serraj.

Questa è la verità e io vorrei che noi discutessimo nel merito di questo, perché uno può avere valutazioni differenti, però, almeno, non copriamoci di ridicolo sostenendo che il nostro interesse in Libia è quello di fermare i flussi migratori. I flussi migratori li avete fermati sacrificando sull'altare della propaganda becera il nostro rispetto dei diritti umani, facendo accordi con i peggiori trafficanti della storia, e avete già risolto il problema in questo modo. Oggi state andando lì ad incassare il bottino di un controllo strategico su Paesi i cui processi di neo-colonizzazione, che l'Europa sta mettendo in campo e a cui l'Italia non si sta sottraendo, aumenteranno le cause che sono all'origine dei flussi migratori.

E chiudo su questo. La dimostrazione di quanto sto dicendo è che la maggior parte dei fondi destinati al fondo Africa e che servivano alla cooperazione internazionale sono finiti nelle casse del Ministero degli interni del Governo del Niger e l'apertura dell'ambasciata a Niamey è servita non a dimostrare l'impegno e l'interesse dell'Italia per l'Africa, è servita, perché quello è l'unico modo per trasferire fondi direttamente nelle casse di un Governo africano, che abbiamo comprato per fare mettere i piedi sul terreno ai nostri soldati. Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-PossibileLiberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signora Presidente, onorevole sottosegretario, confesso di dare una lettura delle questioni che stiamo discutendo di segno esattamente opposto a quella dell'onorevole Frusone e dell'onorevole Palazzotto; dell'onorevole Frusone, perché francamente a me, nel corso di tutti questi anni, non è sembrato che la politica estera italiana si sia basata solo su interventi dell'esercito che quello, in sostanza, è stato l'unico nostro strumento.

Vorrei dire all'onorevole Frusone che c'è un uso del soft power anche per quello che riguarda l'intervento dell'esercito e l'intervento militare, quale è stato il nostro. Il nostro è stato un intervento dell'esercito sempre di tipo “soffice”, di sostegno, di addestramento, ovviamente andando in posti molto pericolosi con tutta la strumentazione possibile e realista.

Quindi, non è vero che non c'è stata una politica estera dell'Italia; la si può contestare, evidentemente, alla radice, ma c'è stata una politica estera dell'Italia in rapporto, in connessione, con le nostre alleanze storiche - la NATO per un verso e per un altro verso l'Unione europea - e sul campo noi abbiamo lavorato per – diciamo così - allentare le tensioni, per intervenire proprio sul terreno del soft power nei confronti delle tensioni che si venivano a determinare. In questo modo abbiamo irradiato una nostra presenza che è tutta sul terreno di una ispirazione multilaterale, multiculturale e di attenuazione, di riassorbimento delle tensioni, e poi, per quello che riguarda la lotta al terrorismo, facendola in un modo preventivo, che finora ha fatto sì che il nostro sia l'unico Paese dell'Europa il quale, in questa azione, ha avuto dei rilevanti successi. Certo è che, quando si ottengono dei successi sul terreno preventivo, non è che ci stanno i titoli sui giornali, e ciò è quello che il centrodestra del nostro Paese ha sempre dimenticato, non riconoscendo ai Governi che ci sono stati nel corso di questi anni questo risultato straordinario, che ci rende unici in Europa.

Vista la mancanza di solidarietà, la mancanza del minimo di solidarietà che caratterizza alcune forze del centrodestra, certamente non sarebbe avvenuto in Italia quello che è avvenuto in Francia, quando, di fronte a tragici fatti di terrorismo, derivanti anche da errori delle forze operative, noi abbiamo visto tutti i membri del Parlamento francese, compresa la Le Pen, che forse è un po' meglio di Salvini - certamente è più colta -, che hanno applaudito un bel discorso di Hollande e hanno cantato tutti quanti la Marsigliese, per dare una risposta in termini di unità nazionale. Noi non l'avremmo certamente avuta questa, viste le cose che abbiamo sentito in questi giorni da parte di settori del centrodestra, che adesso poi ci vengono anche a parlare della razza bianca.

Detto questo, vorrei dire all'onorevole Palazzotto che io non colgo l'elemento di rottura di continuità fra l'intervento in Niger di oggi e tutto quello che abbiamo fatto nel passato. Casomai, se c'è una critica da fare o un'autocritica da fare, è che probabilmente in Niger bisognava cercare di intervenire prima, ma noi arriviamo in Niger attraverso un complesso lavoro politico-diplomatico, perché solo con un accordo con il Governo del Niger noi andiamo lì a svolgere un'azione di sostegno. Nessuno pretende con 450 nostri soldati di andare a controllare un territorio enorme -, un lavoro di addestramento, che si può fare soltanto con il consenso dei Governi. Da questo punto di vista, quindi, c'è una filiera di coerenza con quello che abbiamo fatto sul terreno dei salvataggi, pagando dei prezzi altissimi, anche in termini politici, di consenso politico all'interno del nostro Paese, per una sordità di una parte dell'Europa e, aggiungo, anche per un patto di Dublino fatto nel 2003 e firmato anche da coloro che adesso fanno tante lezioni su questo terreno.

Quindi, abbiamo svolto una funzione di salvataggio e, sul terreno del salvataggio, abbiamo dimostrato delle straordinarie qualità; sul terreno dell'accoglienza abbiamo avuto dei chiari-scuri. Poi, abbiamo agito su un terreno tutto segnato dall'ultima fase dell'attività del Governo, quella di intervenire in Libia, per cercare di ricostruire quel Paese, dando un contributo a quel Paese, e fare dei filtri e, infine, l'intervento sul Niger significa fare un filtro del filtro, cioè lavorare e intervenire in modo tale che a monte si possano determinare delle nuove situazioni.

È evidente che tutto questo deve essere accompagnato da altro, deve essere accompagnato da un'azione di economia sulla società, che purtroppo finora è mancata. Ma questo è il filo del ragionamento strategico che percorre anche quest'ultima nuova missione, che quindi io non vedo in alternativa alle precedenti, ma vedo in perfetta coerenza con quello che è avvenuto, per cui certamente confrontiamoci e discutiamo di questo, però di quello stiamo parlando. Stiamo parlando di un'azione che è in perfetta continuità con quello che è avvenuto precedentemente. A conclusione di questo intervento, voglio solo affermare una cosa che è in parte fuori tema, anche se ci rientra totalmente.

Ieri, meritoriamente, il nostro Ministro degli esteri è andato in Tunisia, Tunisia che, come Commissione esteri, noi conosciamo bene, e, devo dire la verità, ogni qualvolta sento parlare di Tunisia, mi viene, diciamo così, una crisi di coscienza, nel senso che quello è un Paese nel quale la primavera araba ha avuto un successo positivo, attraverso anche un percorso politico molto singolare, perché basato sull'incontro tra un partito moderato-tradizionale e Ennahda, cioè una formazione che è della Fratellanza musulmana, ma che però ha dato un esito sul terreno democratico ad una tendenza che è tutt'altro che democratica e che ha forti propaggini anche con il terrorismo.

Ebbene, l'Italia deve sempre avere un rapporto con la Tunisia, ma dobbiamo dire, come Italia, come Unione europea, come mondo occidentale nel suo complesso, che questo Paese lo abbiamo abbandonato. Siamo intervenuti forse sul terreno del terrorismo, ma lo abbiamo lasciato abbandonato a sé stesso oppure non lo abbiamo sostenuto abbastanza sul terreno economico e sociale. Oggi le manifestazioni in Tunisia, le manifestazioni che avvengono in Tunisia, non sono di carattere politico nel senso tradizionale del termine, ma sono manifestazioni che avvengono per una crisi economica e sociale. E su questo terreno bene ha fatto il Governo italiano ad andare in questi giorni in Tunisia, ma io mi auguro che questa visita sia il modo attraverso il quale l'Unione europea dà alla Tunisia l'aiuto di cui la Tunisia ha bisogno.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Duranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA DURANTI. Grazie, signora Presidente. Siamo esaminando la deliberazione che il 28 dicembre scorso, nello stesso giorno in cui il Presidente della Repubblica firmava il decreto di scioglimento delle Camere, il Governo ha adottato in merito alla partecipazione dell'Italia a missioni internazionali da avviare nel 2018, in particolare Niger, Libia e Tunisia, e sulla prosecuzione delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo per il sostegno ai processi di pace e stabilizzazione.

In quella stessa data, come dicevo, il Presidente della Repubblica ha appunto firmato il decreto di scioglimento delle Camere, che dunque, come è stato già detto dai colleghi che mi hanno preceduto - in particolare il collega Frusone e il collega Palazzotto - operano attualmente in un regime di prorogatio, cioè al Parlamento sono attribuiti poteri di natura circoscritta. Il Parlamento e il Governo non possono più svolgere una funzione di piena iniziativa politica, essendo essa rimandata al corpo elettorale, che con le prossime elezioni sceglierà i programmi proposti dalle forze politiche.

Peraltro, voglio ricordare che la nostra Costituzione, appunto all'articolo 77, prevede un obbligo di convocazione del Parlamento solo in casi straordinari di necessità ed urgenza. A mio giudizio la deliberazione all'esame non presenta ragioni di urgenza né ha natura di atto dovuto. Diversamente il Governo avrebbe potuto ricorrere alla decretazione d'urgenza, cosa che non ha fatto. E voglio ricordare che in altri casi i provvedimenti di proroga delle missioni internazionali sono stati adottati con diversi mesi di ritardo. L'urgenza sembra essere soltanto in questo momento. Peraltro, la legge n. 145 del 2016, che ha innovato il procedimento autorizzatorio delle missioni internazionali, ha sì trasferito al Governo la scelta delle missioni da avviare o da prorogare, ma ha lasciato nella piena disponibilità delle Camere la fase decisionale, Camere che oggi, appunto, sono in regime di prorogatio. Quindi, anche io penso che questo provvedimento non andrebbe adottato.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 11,55)

DONATELLA DURANTI. In più voglio ricordare che, per continuare le missioni internazionali fino a dicembre 2018, visto che l'attuale deliberazione prevede una loro proroga e un loro finanziamento solo fino a settembre 2018, serviranno ulteriori 491 milioni di euro, che ovviamente dovranno essere reperiti dal nuovo Parlamento.

Purtroppo, però, la maggioranza e il Governo, con il sostegno pieno del Centrodestra, hanno deciso di andare avanti e approvare la deliberazione nella giornata odierna, proseguendo sulla strada che viene percorsa da decenni dal nostro Paese e che, a mio giudizio, si è dimostrata nella maggioranza dei casi fallimentare, confermando per di più, con questa deliberazione, l'esternalizzazione dell'intervento militare e del controllo delle frontiere, esclusivamente in chiave antimigranti. E lo squilibrio è oramai strutturale tra risorse finanziarie per la cooperazione internazionale e l'aiuto allo sviluppo e quelle militari, a tutto vantaggio di quest'ultime, che - ricordo - ne assorbono circa il 90 per cento, cioè un modello, a mio giudizio, che andrebbe completamente cambiato, se davvero il nostro Paese volesse contribuire alla stabilizzazione dei Paesi in conflitto e al loro sviluppo e al miglioramento delle condizioni di vita di milioni di persone che scappano da guerre e fame.

Sottolineo che una parte consistente delle risorse per l'aiuto allo sviluppo sono utilizzate dai donatori all'interno dei propri Paesi e non già, appunto, per favorire progetti di sviluppo nei Paesi che ne avrebbero un grande bisogno. Al contrario, appunto, esso è un modello consolidato, che non tiene conto dei risultati fin qui ottenuti. Allora, si dice e si è sempre detto che le missioni internazionali debbano servire alla stabilizzazione e alla pace e al miglioramento di vita delle popolazioni, ma l'Afghanistan, l'Iraq e la Libia sono Paesi che dimostrano, invece, nonostante decenni di missioni internazionali e miliardi di euro spesi per gli interventi militari, che non solo non si sono raggiunte la stabilizzazione e la pace, ma che addirittura le condizioni di vita delle popolazioni sono peggiorate.

Peraltro, io dico che c'è un fattore che aggrava la situazione. L'Europa e l'Italia continuano ad esportare armamenti nei Paesi del Medio Oriente e dell'Africa, con aumenti sempre più crescenti negli anni, che determinano un'enorme disponibilità di strumenti di morte in quelle regioni, sia per i Governi - per la maggior parte si tratta di regimi dittatoriali - che per le organizzazioni terroristiche. Nonostante tutto questo, si continua a proporre missioni vecchie e nuove, che, secondo me, hanno al fondo un'impostazione pericolosamente ipocrita e che continuano ad avere al centro della politica estera del nostro Paese quasi esclusivamente lo strumento militare.

Faccio alcuni esempi, in riferimento soprattutto alle nuove missioni che si vogliono avviare nel 2018. La missione in Niger inciderà in una regione in cui vi è un'assenza crescente dello Stato e un suo uso privatistico da parte della classe dirigente, in cui metà della popolazione è sotto la soglia di povertà, sono già presenti contingenti di forze militari di altri Paesi, segnatamente USA, Germania e Francia, cui si aggiungeranno le nostre. In quel Paese sono presenti diversi campi profughi, che ospitano 166 mila rifugiati, cioè quella parte di profughi che vogliono restare nel territorio, con la speranza di tornare nei loro Paesi quando le condizioni lo consentiranno, e altre migliaia di profughi, che invece transitano per raggiungere il Mediterraneo. C'è una situazione gravissima di grande povertà e di mancanza di rispetto dei diritti umani, in cui si vanno consolidando sempre più gli strumenti e gli interessi economici e strategici di potenze occidentali, come nel caso della Francia, che si arricchiscono con lo sfruttamento, per esempio, dell'uranio.

In Niger, per combattere veramente terrorismo e povertà, a mio giudizio, servirebbe altro. Bisognerebbe investire in concreti aiuti allo sviluppo in quel Paese, mentre l'utilizzo dei contingenti militari ha chiaramente lo scopo di agire contro i migranti, che da lì si muovono e che si vogliono bloccare, per arginare il loro arrivo sulle coste del Mediterraneo. Così come avviene già ora con le missioni in Libia, dove la Guardia costiera - che noi assistiamo e sosteniamo - ha riportato e continua a riportare sul proprio suolo migliaia di persone condannate all'inferno.

L'Italia utilizza le missioni militari, da un lato, per risolvere il fenomeno delle migrazioni, chiudendo gli occhi sulla negazione dei diritti umani, dall'altro, per rispondere alla pancia del Paese e alle paure, che vengono alimentate e fomentate dalle destre, e per accreditarsi nei confronti dei partner europei, per garantirsi cioè un posto al sole da protagonista tra i Paesi che contano economicamente e militarmente, venendo meno quindi a un dovere, che è quello del rispetto dell'articolo 11 e dell'articolo 10 della nostra Costituzione. Perché, voglio ricordare che, ogni volta che noi fermiamo un migrante per evitare che arrivi sulle coste del Mediterraneo, noi mettiamo in discussione il diritto previsto costituzionalmente al riconoscimento appunto del diritto d'asilo a rifugiati aventi diritto, i quali, invece, vengono fermati laddove sono condannati all'inferno.

Voglio ricordare che l'articolo 11 della nostra Costituzione prevede il ripudio della guerra; non solo il ripudio della guerra all'interno del nostro Paese ma anche l'utilizzo di strumenti di guerra in maniera esternalizzata, cioè lontano dalle nostre frontiere e dai nostri confini, provando a far credere all'opinione pubblica che noi abbiamo un interesse primario, che è quello di fermare con le armi e con la forza i migranti perché non arrivino da questa parte del Mediterraneo, in questa maniera disconoscendo il ripudio della guerra e l'utilizzo delle armi, che invece dovrebbe essere previsto solo per la difesa del nostro territorio.

Per tutte queste ragioni, senza entrare nel merito delle missioni che saranno prorogate con questa deliberazione, penso che non si possa votare a favore. Penso che, come è già stato detto, questo cambio di strategia nella politica estera del nostro Paese sia un cambio pericoloso, una modifica che cambierà profondamente il nostro Paese e l'Europa intera, e che ci vede ancora una volta in posizione di subordinazione rispetto a potenze occidentali più grandi della nostra e più forti economicamente che hanno un unico scopo: mantenere e rafforzare i loro interessi strategici in Africa, soprattutto in quella parte dell'Africa subsahariana, senza tener conto assolutamente del diritto delle popolazioni ad avere una possibilità di accedere agli strumenti dello sviluppo e della pace, continuando invece in una politica europea di rafforzamento dello strumento militare priva di qualsiasi altro strumento e soprattutto della capacità di comprendere quello che accade nel mondo e che il terrorismo stesso è frutto di quello che è accaduto in questi anni. Soltanto provando a sconfiggere la povertà in quei Paesi si può sconfiggere anche il terrorismo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Trifone Altieri. Ne ha facoltà.

TRIFONE ALTIERI. Presidente, signora Ministro, in questi anni il nostro Paese ha dimostrato quanto gli uomini e le donne delle Forze armate siano utili e apprezzati in tutto il mondo. La Lega ha sempre sostenuto questi uomini e queste donne: a loro va il nostro riconoscimento e ringraziamento per quello che fanno ogni giorno in tutto il mondo, dal teatro più grande a quello più piccolo, da quello più rischioso a quello dove sono richieste maggiori competenze tecniche, da quello più lontano a quello più vicino. Sono 6.700, tra uomini e donne, le persone delle Forze impegnate in tutto il mondo per difendere la pace e gli interessi nazionali del nostro Paese. È a loro che va il nostro più convinto sostegno, è a loro che va il nostro plauso, è a loro che va il nostro ringraziamento.

Signora Ministro, alla stessa maniera, in questi anni, però, abbiamo ripetuto più di una volta che lo strumento militare fa benissimo il proprio mestiere e il proprio lavoro, con grande apprezzamento, la stessa cosa non possiamo dire per come questo Governo ha utilizzato questo strumento all'interno di una visione di politica estera, che è stata assolutamente mancante, come lo si dimostra anche in questo ultimo decreto sulle missioni militari internazionali, che viene approvato lo stesso giorno dello scioglimento delle Camere.

Per carità, è possibile, anzi doveroso, dobbiamo prorogare le nostre missioni, però a Camere sciolte vengono assunte decisioni per impostare nuove missioni in nuovi teatri internazionali: una competenza che forse andrebbe lasciata al nuovo Governo, o forse, signora Ministro, andrebbe meglio chiarito e specificato il perché, per quali ragioni, e non solo dopo un incontro internazionale con un Presidente di un altro Stato europeo che viene in Italia e chiede all'Italia di sostenere una missione nazionale di un altro Paese. Ma ci arriverò a questo, signora Ministro, per spiegare meglio qual è la nostra visione, qual è la visione della Lega, che è quella che metteremo in campo tra pochi mesi al Governo dell'Italia.

Come strumento di politica estera, quindi, qual è la visione che ancora oggi lascia molti uomini, la maggior parte degli uomini e delle donne che l'Italia ha in Afghanistan, in quel teatro? In questi anni abbiamo dibattuto di questa missione, in questi anni anche lo stesso Governo ha detto che ci sarebbe stata quanto prima una rimodulazione della missione. Forse è terminato il nostro impegno in quell'area - i più dicono che è terminato – eppure, quella missione viene ancora mantenuta da questo Governo in quel teatro, con la stragrande parte degli uomini e delle donne mandati dal nostro Paese. Noi chiediamo perché. Alla stessa maniera, chiediamo, signora Ministro, perché in Libia, alla stessa maniera, si parla dal 2016 della terza fase di Eunavfor Med, una missione che ha visto la prima e la seconda fase. Dal 2016 siamo pronti ad entrare nella terza fase, ovvero quella di contrasto dei criminali scafisti nelle acque libiche. È dal 2016 che in quest'Aula vengono approvate mozioni e ordini del giorno che richiedono, con la quasi unanimità di questo Parlamento, l'avvio della fase 3 di Eunavfor Med. Ricordo che proprio dalle coste libiche è arrivata in Italia la maggioranza degli immigrati in questi anni: 300.000 negli ultimi due anni; 300.000 sono partiti da quelle coste. Non sono partiti in maniera autonoma: partono dalle coste della Libia grazie a una potentissima organizzazione criminale che controlla la tratta degli esseri umani, che mette questi uomini e queste donne in schiavitù, che fa pagare a questi uomini e a queste donne una cifra esorbitante per fare un viaggio della speranza che, negli ultimi due anni, è costato la vita a 8 mila persone, le quali sono morte durante il viaggio. Durante questo viaggio ormai i criminali scafisti non rischiano più nemmeno il motore delle proprie imbarcazioni, ma lo tolgono e fanno affondare i barconi. In questa procedura muoiono tantissimi uomini e donne, prima che i soccorsi possano arrivare per portarli sulle coste italiane.

Allora, la fase 3 di Eunavfor Med era quella che avrebbe consentito, in collaborazione anche con la Guardia costiera libica, i respingimenti sulle coste libiche; attraverso la Guardia costiera libica si sarebbero riportati i migranti salvati sotto costa nel Paese di partenza, cioè in Libia.

Questo è lo strumento vincente per contrastare quei criminali scafisti che sul traffico degli esseri umani stanno guadagnando miliardi e miliardi di dollari, che non utilizzeranno per comprare vaccini per l'Africa, ma per comprare armi, per rafforzare il terrorismo che proviene da quell'area. Per questo noi chiediamo come mai, in una visione strategica in cui oggi si dice “andiamo in Niger a contrastare i terroristi, a contrastare i criminali della tratta degli esseri umani” (benissimo, noi condividiamo questa ratio, siamo stati i primi a chiedere un intervento deciso per contrastare questi criminali e fermare questo triste fenomeno e questo orrendo business), oggi si vada a monitorare una parte del deserto e, invece, ancora non si riesca a procedere su un intervento ormai maturo e richiesto da due anni in acque libiche per fermare definitivamente gli scafisti, in maniera definitiva e in maniera strutturale. Perché anche il racconto di una riduzione in questi ultimi mesi delle partenze dalla Libia, chiaramente, signor Ministro, non si basa su un contrasto reale degli scafisti - sono tutti là, non sono stati combattuti, non sono stati sconfitti, non è stata normalizzata la situazione in quel Paese -, ma attraverso accordi non ci sono più le partenze. Quanto durerà questa fase, come si è raggiunta questa fase, a nessuno è dato saperlo.

Per questo noi chiediamo che lo strumento militare venga utilizzato ove necessario ed è necessario utilizzarlo per la difesa degli interessi nazionali e in questo momento è necessario utilizzarlo per combattere il terrorismo e per combattere gli scafisti criminali. Allora, utilizziamolo con una visione strategica: partiamo dalla Libia, chiediamo che Eunavfor Med possa procedere alla fase 3, perché noi al Governo porremo all'attenzione dell'Europa i problemi che interessano l'Italia e gli italiani. Non possiamo proseguire con una politica estera dove rispondiamo puntualmente alle richieste che ci arrivano dall'Europa o da altri Stati europei e noi non siamo capaci di chiedere quello che serve al nostro Paese. E in questo momento all'Italia serve procedere con la fase 3 di Eunavfor Med e su quello poi possiamo anche ragionare in una visione strategica dove c'è un corridoio che va monitorato e messo in salvaguardia, e quindi procedere con le missioni in Niger, procedere con il contrasto ai criminali, sia nei luoghi di partenza sulle coste, che nei luoghi di partenza dei migranti dal centro Africa. Ma tutto questo avviene improvvisamente. Noi oggi ci troviamo una missione che dai giornali abbiamo saputo è stata richiesta dalla Francia. In quel Paese c'è già una missione francese, i nostri militari andranno a fare addestramento in Niger, inserendosi in una missione che è a guida francese e dalla quale dipenderemo in buona parte anche nella logistica; una missione che è stata descritta di addestramento, ma, signora Ministro, in un contesto del genere, dove anche negli atti parlamentari è evidenziata la particolarità della missione e i rischi a cui si va incontro, chiaramente ci troviamo in un territorio dove bisognerà contrastare o, forse, ci sarà la circostanza di contrastare dei terroristi; è normale che quella non può essere solo una missione di addestramento, ma è doveroso che il nostro contingente abbia regole di ingaggio combat, perché è assai probabile che si possano trovare a dover rispondere a offese in un territorio che in questo momento chiaramente è in buona parte dominato da terroristi.

Quindi, questo serve a dire come noi siamo assolutamente convinti dell'utilizzo dello strumento militare e della richiesta all'Unione europea di fare di più nel Nord Africa, in Africa, per combattere le organizzazioni criminali legate alla tratta degli esseri umani e per combattere i terroristi, ma vorremmo - e lo faremo, signora Ministro - che il nostro Paese sia protagonista di queste richieste, perché sono gli interessi nazionali che dobbiamo difendere e non andare sempre a rimorchio di altri che chiedono l'utilizzo dei nostri militari.

Infatti, oggi, ci troviamo - e concludo, signor Presidente - con 31 missioni militari, con 6400 uomini e donne in 21 Stati e in 3 continenti, quando sarebbe importante, anche in un quadro di difesa dell'Italia e quindi dell'Europa, avere maggiore specificità, avere cura e leadership in alcune missioni, occuparci di quello che è più vicino ai nostri interessi, piuttosto che fare come ha fatto questo Governo per cinque anni, di seguire altri interessi, che in parte sono anche nostri, perché l'Italia è da sempre uno dei Paesi alleati che ha risposto in maniera sempre assidua e positiva, e questo chiaramente è necessario. Però, proprio all'interno di quelle alleanze, a cui noi abbiamo sempre risposto positivamente, è arrivato il momento che anche l'Italia, a quelle alleanze, chieda quello che è veramente necessario per il nostro Paese. Ed è questo che noi faremo al Governo ed è questo che, purtroppo, non è stato fatto in questi cinque anni di Governo (Applausidei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Andrea Maestri. Ne ha facoltà.

ANDREA MAESTRI. Grazie, Presidente. In questo mio ultimo intervento alla Camera, convocata dopo lo scioglimento per autorizzare la proroga delle missioni militari e l'invio di truppe armate in nuovi teatri come il Niger, vorrei compiere una rilettura critica della legislatura che si chiude attraverso la lente del rispetto o meglio del mancato rispetto dei diritti umani.

In tutte le democrazie liberali troviamo tra i principi fondamentali delle Costituzioni quello del riconoscimento e della garanzia dei diritti fondamentali della persona umana. E la nostra Costituzione fa dell'articolo 2 una vera e propria Grundnorm, che illumina e dirige il percorso di tutte le altre norme positive. Rileggiamo insieme, onorevoli colleghi, l'articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Ebbene, in questa legislatura un Governo di centrosinistra sedicente e la sua ossequiosa maggioranza parlamentare hanno approvato una legge sull'introduzione del reato di tortura per finta: sì, perché si tratta di una norma che rende non punibile il singolo atto del pubblico ufficiale e la tortura che non comporti un trauma psichico verificabile. Una tragica beffa dopo la sentenza di condanna inflitta all'Italia dalla Corte di Strasburgo per il massacro alla scuola Diaz.

La stessa legge che ha introdotto per finta nell'ordinamento italiano il reato di tortura ha opportunamente modificato il testo unico sull'immigrazione, aggiungendo ai divieti legali di espulsione e respingimento già previsti, il divieto di rimandare indietro i migranti verso Stati dove rischino, appunto, di essere sottoposti a tortura, tenendo conto dell'esistenza in tali Stati di violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani; eppure, il Governo italiano è il primo a non rispettare questa norma.

Nonostante il diritto di asilo scolpito dall'articolo 10 della Costituzione, nonostante la Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati, nonostante la Convenzione di Montego Bay e il diritto internazionale del mare, un Governo di centrosinistra sedicente e la sua ossequiosa maggioranza parlamentare hanno trovato il modo di subappaltare il lavoro sporco alla Libia delle tribù tripolitane dei Dabashi, prima trafficanti di esseri umani e poi delegati dalla fortezza Europa a regolare quello stesso traffico.

Avete fatto accordi con un Paese, la Libia, che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951, avete dirottato tanta parte dei fondi della cooperazione allo sviluppo per finanziare gli accordi destinati a rafforzare proprio la guardia costiera libica. Avete espulso collettivamente, contro l'espresso divieto di espulsioni collettive e contro il principio di non-refoulement, cittadini sudanesi verso il regime di al-Bashir, accusato di crimini contro l'umanità, genocidio e crimini di guerra. Ricordo a tutti che il Governo italiano dovrà rendere conto alla Corte CEDU, entro il 30 marzo prossimo, a seguito del ricorso presentato da alcuni cittadini sudanesi arrestati a Ventimiglia e trasferiti in condizioni disumane nello spot di Taranto - gli hotspot, a proposito, altro buco nero che non avete voluto eliminare - e, quindi, rispediti illegalmente in Sudan. Avete tolto le navi delle ONG dal Mediterraneo rendendo più insicura la traversata di migranti, di donne e di bambini, perché oggi l'attività di ricerca e salvataggio in mare è di fatto appannaggio della guardia costiera libica, la stessa di cui sono stati documentati interventi chiaramente ostili al soccorso di vite umane e di dispersi. Dal bene di Mare Nostrum al male di Mare Sicuro una parabola discendente sui diritti umani.

Con la missione in Niger, che oggi proponete a un Parlamento sciolto e limitato nei suoi poteri, continuate nel disegno di esternalizzazione dei confini e di militarizzazione delle frontiere. Sostituirete un cimitero di acqua con uno sterminato cimitero di sabbia. Con i decreti “Minniti-Orlando”, che hanno consacrato il binomio malato immigrazione e sicurezza e introdotto il diritto diseguale per i richiedenti asilo, questo PD ha avuto la sua bella “Bossi-Fini” da usare in campagna elettorale. Ma sviluppando la “Bossi-Fini”, invece di abrogarla, avete preparato il terreno al ritorno della peggiore destra, quella dei parcheggi rosa riservati alle donne bianche e sposate, quella delle ordinanze anti-clochard e della difesa della razza bianca, quella che se la ride davanti alle donne rom frugatrici rinchiuse e umiliate, quella dei “bangla tour” e del razzismo praticato e ostentato.

Abbiamo contrastato con tutte le nostre forze questa cupa deriva, che è culturale prima ancora che politica, e vi abbiamo sempre proposto alternative concrete, serie e praticabili, improntate a rigore e umanità: la riapertura di canali di ingresso regolare per ricerca lavoro, la cancellazione del reato di clandestinità per togliere il terreno da sotto ai piedi ai trafficanti di esseri umani e alle mafie, l'introduzione di veri canali umanitari e di visti d'ingresso per asilo. Novello Minosse, giudice di anime dell'inferno dantesco, il Ministro dell'interno e, insieme a lui, il Ministro della difesa sono divenuti coloro che dirigono il traffico dei disperati in fuga da guerre, povertà e persecuzioni, dal limbo libico fino alle sponde inospitali dell'Europa. Con il decreto n. 13 i cerchi infernali, che una volta si chiamavano CIE, hanno solo cambiato nome in CPR e si sono moltiplicati: da 4 a 20, uno in ogni regione, per un totale di 1.600 dannati, come i cerchi disegnati nell'aria dalla coda mostruosa di Minosse, appunto. Avete deprezzato la materia più delicate e preziosa, i diritti umani, quelli attraverso i quali si misura il livello di civiltà di un Paese. La banalità del male, direbbe Hannah Arendt, passa attraverso azioni ed omissioni individuali e collettive, azioni ed omissioni individuali e collettive. Beatevi pure della flessione del numero degli sbarchi. I morti nel mare, i migranti prigionieri…

PRESIDENTE. Concluda…

ANDREA MAESTRI. …nei campi di concentramento libici e i morti che presto saranno divorati dalla sabbia del deserto nigerino sono il prezzo della vostra sfrontata beatitudine, della vostra ipocrisia e del vostro cinismo. La storia vi giudicherà (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile – Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Daniele Capezzone. Ne ha facoltà per tre minuti.

DANIELE CAPEZZONE. Grazie, signor Presidente. Signora Ministro, signori rappresentanti del Governo e pochi, pochissimi colleghi, mi sia consentito partire da qui. Sappiamo tutti che è partita una campagna elettorale, sappiamo tutti che tante persone sono doverosamente impegnate sui territori, ma che una discussione così delicata avvenga con un numero di persone presenti tra le 14 e le 28 dà la misura, ahimè, di un problema che riguarda tutti, Governo e Parlamento. Intervengo da occidentale, intervengo da non pacifista per annunciare il mio voto contrario rispetto a ciò che Governo e maggioranza ci propongono. Lo faccio naturalmente a titolo personale, senza impegnare altri colleghi. Nei giorni scorsi ho cercato come ho potuto, con pochissime altre voci fuori da quest'Aula - ripeto: da parte occidentale e da parte non pacifista - di suscitare un minimo di discussione pubblica su questa vicenda della missione in Niger senza avere alcuna risposta da Governo e maggioranza.

Ci vengono dette delle cose che sono tecnicamente esatte. È esatto che nell'Africa centrale e centro-settentrionale ci sia qualcosa di cruciale rispetto a flussi che possono arrivare alle coste settentrionali dell'Africa e, quindi, interessare poi i flussi migratori. È tutto vero, è tutto esatto, ma questa esattezza si allontana dal nocciolo di verità della questione. Questa è una missione in cui noi andiamo a proteggere interessi strategici francesi a partire dall'uranio in Niger - è inutile girarci intorno - nel quadro di una complessiva torsione di assoggettamento del nostro Paese a Parigi e, su un altro piano, a Berlino, nel quadro di un nostro complessivo errore che è quello di dimenticare che siamo membri importanti di una cosa che si chiama NATO e invece scegliamo, sempre più sistematicamente, una via di assoggettamento a una realtà franco-tedesca che quando crede ricorda l'esistenza della NATO e quando non crede sceglie percorsi alternativi, distinti e distanti da quelli della NATO, e a me pare un errore drammatico per il futuro del nostro Paese.

Aggiungo un ultimo elemento molto concreto. Questa è una missione seria, nella quale i nostri soldati possono andare sotto attacco. Voi non ci avete detto una parola sulle regole di ingaggio, non ci avete detto una parola su quale sarà o sarebbe la protezione anche aerea - elicotteri o di altro tipo, come i droni - se questo accadesse. Ma come si fa ad affrontare una discussione di questo tipo senza dire una parola su questo punto e - lo ripeto - questo lo dice qualcuno che ha posizioni occidentali e tutt'altro che pacifiste e, a maggior ragione, vorrebbe una discussione seria che, ahimè, è mancata ancora una volta su queste questioni decisive per il futuro del nostro Paese.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Annunzio di risoluzioni - Doc. XVI, n. 5)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, Palazzotto, Scotto ed altri n. 6-00383, Frusone ed altri n. 6-00384, Pili n. 6-00385 e Artini n. 6-00386 (Vedi l'allegato A), che sono in distribuzione.

(Parere del Governo - Doc. XVI, n. 5)

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che invito anche ad esprimere il parere sulle risoluzioni presentate.

VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Esprimo i pareri: sulla risoluzione a prima firma Garofani n. 6-00382 parere favorevole e parere contrario su tutte le altre risoluzioni presentate.

PRESIDENTE. Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 14,30 con lo svolgimento delle dichiarazioni di voto e la votazione degli atti di indirizzo presentati.

La seduta, sospesa alle 12,30, è ripresa alle 14,35.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Di Gioia, Ferrara, Fico, Lorenzo Guerini, La Russa, Rosato, Speranza, Tofalo e Villecco Calipari sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 14,38).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Per richiami al Regolamento (ore 14,39).

DAVIDE CRIPPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DAVIDE CRIPPA. Grazie, Presidente. Siamo alla seconda volta che ci troviamo a trattare la legge quadro sulle missioni. La legge prevede un passaggio parlamentare, in questo caso, con un impegno al Governo. Abbiamo fatto la scorsa settimana una Conferenza dei presidenti di gruppo, da lei presieduta, in cui è stato chiesto da tutti i gruppi, compreso il nostro, di portare in Aula quella che altrimenti sarebbe stata una discussione limitata a un ambito di Commissione. Quindi, il tentativo di diverse minoranze era quello di portare il tema di attualità, quanto meno di diffondere che cosa stavamo trattando e votando. Quello che le volevo chiedere è che suona un po' strano che il Governo, il 28 dicembre, adotti la legge quadro come se non sapesse minimamente che il 29 dicembre ci sarebbe stato lo scioglimento delle Camere. Ricordiamo che la legge quadro ha una ventina di giorni per poter essere votata. Quello che non capiamo è dove stiamo infrangendo un Regolamento e dove stiamo istituendo una nuova prassi. Le spiego perché: il testo della legge quadro, ovviamente, non l'abbiamo scritto noi, ma l'ha scritto, di fatto, il Governo, per cui è difficile che non sapesse, il 28 dicembre, in che pasticcio si andava a buttare, o meglio, forse aveva la netta consapevolezza che voleva entrare in quella decisione, cioè in quella che la Commissione avrebbe potuto esaminare il provvedimento senza portare il tema in Aula.

Perché senza portare il tema in Aula? Perché nello speech che è stato letto dal Presidente la scorsa settimana rispetto a quelli che sono i compiti e le funzioni parlamentari durante il periodo di prorogatio viene proprio espressamente detto che, per prassi costante, sono preclusi la presentazione e l'esame di atti di indirizzo. Quello a cui oggi assisteremo dopo le dichiarazioni di voto sarà, di fatto, un atto di indirizzo al Governo.

Allora qui, Presidente, volevo capire, dato che la legge quadro è nuova, per cui non c'è uno storico o una prassi, mi sembra un po' strano che chi ha pensato alla creazione di questa legge quadro non si sia nemmeno chiesto se avrebbe fatto in tempo ad adempiere alla legge quadro, e quindi a portarla, entro i venti giorni dal suo termine di approvazione previsto, a compimento, prima dello scioglimento delle Camere, cosa che presumibilmente imponeva al Governo di presentare l'atto diversi giorni prima rispetto allo scioglimento delle Camere, cosa che non mi sembra una notizia arrivata a bomba, quella del 29 dicembre, ma qualcosa che veniva preannunciato da diverse settimane, se non mesi.

Allora, quello che le chiedo è: oggi noi, di fatto, stiamo dicendo che alcune discussioni potranno terminare, come quella odierna, con degli atti di indirizzo. E qui vorrei chiedere: ci sono altre questioni su cui credo che ci sia anche qui un interesse parlamentare cospicuo, come, le cito ad esempio, la faccenda dell'Alitalia, per cui sembra che questo Governo abbia una fretta pazzesca di chiudere prima delle votazioni.

Credo, ad esempio, che questo sia un altro tema su cui a noi piacerebbe tantissimo - non solo a noi, credo anche ad altre minoranze - interrogare il Governo su cosa stia facendo e su come lo intenda fare. Allora, qual è il limite rispetto ad alcuni atti di indirizzo, come questo, che, ribadisco, abbiamo chiesto anche noi di portare all'esame dell'Aula, perché ci sembrava veramente un corto circuito quello che si chiudesse tutto in Commissione, e, dall'altro lato, abbiamo che o si infrangeva la legge quadro o si andava a violare il Regolamento, e quindi la prassi di questo Parlamento che durante il periodo di prorogatio non si potessero fare degli atti di indirizzo. Vorrei capire da lei su questo punto quale potrebbe essere l'interpretazione sugli atti di indirizzo, perché a noi sembra un comportamento scorrettissimo quello del Governo di portare la legge quadro il 28 dicembre, sapendo che il 29 si sarebbero sciolte, di fatto, le Camere.

Forse comprendiamo meglio anche il contenuto di quel provvedimento alla luce di queste tempistiche, che, ancora una volta, denotano come non ci sia una volontà di rispettare i termini istituzionali che sono stati da loro scritti nelle leggi, perché, altrimenti, quei venti giorni se li sarebbero presi per tempo e avrebbero depositato un mesetto prima quel provvedimento, così che la legge quadro sarebbe stata rispettata; invece no, ci hanno costretto oggi, secondo me, ad una violazione e a una prassi parlamentare nuova. Per questo, le chiedo un'interpretazione su questo punto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Onorevole Crippa, allora, intanto questa mattina ne avevamo già parlato; poi, se lei ha delle obiezioni sulla data della deliberazione, il Governo è presente e ne prende atto.

Per quanto riguarda, invece, il resto, ricordo che, come lei ha menzionato, c'è stata una riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo lo scorso 9 gennaio - quindi, già la deliberazione era stata decisa - e si è convenuto sulla natura di atto dovuto - quindi, abbiamo convenuto che si trattava di un atto dovuto - della deliberazione parlamentare in merito alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali da avviare nell'anno 2018, e anche sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso, documenti entrambi deliberati dal Consiglio dei ministri, come lei ricordava, il 28 dicembre.

La doverosità di procedere alla deliberazione sull'autorizzazione delle missioni anche in periodo di prorogatio, che non è stata contestata da alcuno dei presidenti di gruppo, discende dal quadro complessivo degli impegni assunti dall'Italia sul piano internazionale in relazione a ciascuna missione, come confermato anche dalla Ministra per i rapporti con il Parlamento. Peraltro, la circostanza che il Senato abbia già provveduto al medesimo adempimento lo scorso 15 gennaio costituisce una conferma dell'orientamento assunto presso questo ramo del Parlamento. Quindi, alla luce del complesso di tutti questi elementi, sussistono senz'altro i presupposti per l'esame dell'argomento che è stato iscritto all'ordine del giorno dell'odierna seduta. Noi, a differenza del Senato, abbiamo solo deciso di portare la discussione in Aula come elemento di garanzia per quelle opposizioni che volevano fare una discussione più ampia e approfondita.

Quindi, a questo punto, darei la parola al deputato Artini, che ha chiesto di intervenire sempre sul tema; però, penso di averlo chiarito. Dov'è il deputato Artini?

MASSIMO ARTINI. C'è un appunto, Presidente, se posso permettermi.

PRESIDENTE. No, deputato, per dire che, se è sul tema, penso di avere ampiamente chiarito.

MASSIMO ARTINI. Infatti, le avevo chiesto la parola prima che lei ci desse risposta, perché c'è un appunto in più, se mi può permettere, che riguarda sempre questo tema, e io mi rammarico che da parte delle opposizioni nessuno dei capigruppo non abbia capito il passaggio logico tra l'accettare questo come atto dovuto e poi, una volta accettato come Conferenza dei presidenti di gruppo, decidere se portarlo in Aula o meno.

Detto questo, chiedo a lei, Presidente, perché non è stata fatta una richiesta formale alla Giunta per il Regolamento per la valutazione di un atto che a mio modo di vedere - è una valutazione che avrei fatto avessi avuto l'opportunità di essere in quella sede - non è automaticamente un atto dovuto.

Le spiego: l'articolo 77 della Costituzione indica come gli unici atti del Governo discutibili da queste Camere in fase di prorogatio siano quelli che abbiano direttamente forza di legge, è espressamente indicato nell'articolo 77. Non mi pare che tutte le risoluzioni che abbiamo approvato in questi ultimi cinque anni abbiano direttamente forza di legge.

Questo è, a mio modo di vedere, da un punto di vista di sistema istituzionale, un momento di vera superficialità. Infatti, questa che è forma, implica un passaggio di sostanza politica fondamentale. Noi oggi con una Camera, che non è nei suoi pieni poteri, diamo a un Governo, che è attivo e funzionante legittimamente, ma con una scadenza ben chiara, e quindi diamo un mandato, non su un argomento qualsiasi - non è un atto su cui dare un parere, quello sarebbe anche plausibile e consentito dalle norme - ma stiamo trattando di quella che è la nostra presenza internazionale in teatri di guerra, in teatri dove c'è un impegno di cooperazione, in teatri dove c'è una scelta politica forte. E una maggioranza oggi presente probabilmente potrà avere una valutazione diversa da chi sarà eletto nella prossima legislatura. E questo è un passaggio fondamentale, questo è il punto superficiale che quella Conferenza dei presidenti di gruppo ha sbagliato, perché prendere come atto dovuto questo passaggio, senza relazionarsi con gli altri organi dello Stato, e considerare che, anche solo formalmente, sarebbe stato un qualcosa da non creare come precedente sarebbe stato, a mio modo di vedere, importante. Per questo le chiedo, come punto, rispetto al richiamo al Regolamento, all'articolo 24 del Regolamento, come mai in quella sede non è stata fatta fare una votazione alla Giunta per il Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Artini, io ho presieduto una Conferenza dei presidenti di gruppo in cui c'è stata l'unanimità e non ho ritenuto, dunque, di dovere fare nessun altro ulteriore accertamento, essendoci l'unanimità (magari ci fosse sempre) e, dunque, il Senato ha fatto esattamente la stessa cosa. Non vedo quale sia il motivo del contendere. Quindi, se mi permettete, vorrei andare avanti.

Si riprende la discussione (ore 14,48).

PRESIDENTE. Riprendiamo il seguito della discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione in merito alla partecipazione dell'Italia a missioni internazionali da avviare nell'anno 2018 e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso.

Ricordo che, nella parte antimeridiana della seduta, sono state presentate le risoluzioni Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, Palazzotto, Scotto ed altri n. 6-00383, Frusone ed altri n. 6-00384, Pili n. 6-00385 e Artini ed altri n. 6-00386, sulle quali il rappresentante del Governo ha espresso il parere.

Avverto che sono in distribuzione le versioni corrette delle risoluzioni Frusone ed altri 6-00384 e Artini ed altri n. 6-00386 (Vedi l'allegato A).

(Dichiarazioni di voto - Doc. XVI, n. 5)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Locatelli. Ne ha facoltà.

PIA ELDA LOCATELLI. Grazie signora Presidente. La premessa, che è opportuno fare, è che queste missioni vanno inquadrate negli sforzi che l'Italia va facendo - e non da ieri - per contrastare il traffico di uomini e donne, i traffici criminali di ogni genere ed il terrorismo internazionale.

Che se ne debba occupare il Parlamento è fuori discussione, come è indiscutibile che questa Assemblea sia in carica nel pieno dei suoi poteri, decreti senza delegazione delle Camere a parte, come recita l'articolo 61 della Carta. D'altra parte, il voto che ci accingiamo ad esprimere non riguarda soltanto le nuove missioni da avviare per il 2018 - in Niger, in Libia, (missione nuova solo in parte perché integra le attività delle precedenti missioni) in Tunisia, la Minurso per il referendum del Sahara occidentale - ma anche il proseguo delle missioni internazionali e delle iniziative di cooperazione allo sviluppo già in corso.

Nessuno può immaginare che all'improvviso vi sia un totale capovolgimento delle linee fin qui seguite a salvaguardia dell'interesse nazionale, né tantomeno del quadro di alleanze che l'Italia, dal dopoguerra ad oggi, ha mantenuto.

Per quanto riguarda, in particolare, il nuovo impegno in Niger e la parziale modifica di quello in Libia, essi rientrano nell'opera di contrasto al traffico di esseri umani e al terrorismo internazionale. E, pure accettando in via di principio l'idea che possano essere stati commessi errori nell'opera di contrasto, è indiscutibile che è solo grazie ad essa che oggi vi sia una maggiore e più efficace presenza degli organismi internazionali sul posto.

Il voto favorevole dei socialisti, che ci accingiamo a dare, poggia sulla consapevolezza che l'Italia abbia sempre mantenuto fede alle decisioni assunte in sede ONU, di coniugare la sicurezza con il rispetto dei diritti umani e l'impegno militare con quello civile e che l'Italia sia tra i Paesi impegnati a implementare la risoluzione ONU 1325 (2000) e successive, sul coinvolgimento e la partecipazione delle donne al processo di pace e di sicurezza. Infine, ringrazio i due relatori per l'accoglimento, nella premessa della risoluzione, della proposta socialista di riportare nella prossima relazione annuale i dati relativi alla presenza delle donne all'interno del personale impiegato in tutte e ciascuna delle missioni internazionali.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Artini. Ne ha facoltà.

MASSIMO ARTINI. Grazie Presidente. Io mi soffermerò esclusivamente su quelle missioni, che, come Alternativa Libera, abbiamo indicato da non rinnovare e da non autorizzare, in particolare perché sembrano due missioni di cui non si parla assolutamente più. Sulle altre missioni che andiamo ad affrontare, la nuova missione in Niger o le altre in Tunisia e via dicendo, altri avranno indubbiamente più spazio in Aula per poter fare discussione. Io mi riferisco, in particolare, alla missione in Afghanistan, che sembra ormai sia diventata un qualcosa che potremo rinnovare così, senza nemmeno una mera valutazione. Questa volta, a differenza delle altre volte, non abbiamo neanche contezza di quella che è la situazione sul campo e di quello che, al netto del mandato che viene indicato nelle schede analitiche, stiamo facendo.

La situazione è immutata. È immutata perché è comunque non variato il numero di quella che è la nostra presenza, il che mi fa supporre che non sia variata la situazione sul territorio afgano, ovvero che la Resolute Support è una missione che, pur nascendo nell'idea di dovere fare solamente addestramento agli addestratori, risulta essere una missione in cui la nostra presenza è soprattutto di force protection, cioè di esclusivo mantenimento del controllo del territorio, né più né meno come era fatto con ISAF in precedenza. Di questa missione non c'è report. Io ricordo esattamente la signora Ministro, nella precedente comunicazione, indicarci i numeri esatti di quelli che erano i morti e le situazioni critiche che stavamo affrontando in Afghanistan. Questa volta non è successo niente di tutto questo.

Questa cosa è preoccupante, preoccupante perché questa missione al solito e negli ultimi cinque anni non ha fatto altro che drenare risorse per un interesse che non è nostro, ma che è dell'alleato e che ci richiede quel tipo di passaggio.

Un ultimo spunto - e concludo Presidente - riguarda un'altra missione di cui non si comprende il motivo dell'esistenza, cioè la Active Fence, quella missione in Turchia che è tuttora attiva e che era nata per una difesa nei confronti di quella che era la situazione siriana, che non è più presente da un punto di vista di quel tipo di rischio. Quindi, questo è un passaggio che era ineludibile.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Monchiero. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MONCHIERO. Grazie Presidente. Questa seduta postuma della Camera dei deputati ha delle motivazioni che condivido e condivido l'interpretazione anche tecnica, che lei ha dato in risposta all'obiezione che è stata prima formulata, ma mi pare soprattutto che abbia un'opportunità politica. E certamente è stata saggia la decisione della Conferenza dei presidenti di gruppo di portare la discussione in Aula e di non limitarla alla Commissione, perché si tratta di un argomento politicamente molto impegnativo, di un argomento sul quale periodicamente ogni anno si sollevano inevitabili contrasti e disparità di vedute.

La legge n. 145 del 2016, però, ha fornito ulteriori elementi di chiarezza nella procedura da adottare per autorizzare le missioni, per cui mi pare che, anche sotto questo profilo, una maggiore trasparenza e una maggiore conoscenza dei dati sia oggi a corredo della proposta governativa di continuare le missioni.

Dato al Governo quello che è del Governo sul piano della correttezza formale, sul piano sostanziale direi che esiste una opportunità di fondo nel continuare le missioni che ci vedono impegnati all'estero. L'opportunità di fondo è di una semplicità estrema ed è quella di mantenere gli impegni presi con i Paesi amici, con i Paesi con cui siamo anche militarmente alleati. Rispettare gli impegni assunti è una qualificazione importante per chiunque, per un singolo cittadino, ma anche per una nazione, anche per uno Stato. Per cui, sulla prosecuzione delle missioni già in atto, credo che tutt'al più possiamo esprimere qualche perplessità sulla durata di alcune di queste missioni che si ripetono di anno in anno e che sembrano non essere destinate a finire, ma in questo momento, in questo contesto, credo che questa obiezione possa essere serenamente superata.

Quanto al nuovo intervento in Libia e in Niger, che strategicamente appare essere l'elemento qualificante, l'elemento anche più divisivo rispetto alla scelta proposta dal Governo, credo che un maggiore nostro impegno, anche militare, una presenza armata in Africa, dia un segno alle politiche intraprese con successo dal Governo Gentiloni, nel tentativo di contrastare l'azione di coloro che speculano sulla volontà migratoria di masse di popolazione africana. Questi speculatori non sono soltanto persone che intendono arricchirsi, sono spesso persone che costituiscono per il nostro Paese una minaccia anche armata. Quindi, contrastando quel traffico, ci si muove in due direzioni: una, limitare appunto la speculazione su chi desidera venire qui, l'altra, anche limitare fonti di introito per organizzazioni che in qualche caso sono dichiaratamente terroristiche e in altri comunque sono organizzazioni certamente non pacifiche e non animate da buone intenzioni.

Per queste ragioni ritengo coerente con le strategie sin qui seguite l'estensione della nostra presenza sul territorio africano e annuncio il voto favorevole sulla risoluzione Garofani ed altri, sottoscritta anche dal collega Quintarelli del nostro gruppo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie, signor Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, i deputati dell'UDC voteranno a favore di questo provvedimento, anche se non senza qualche perplessità. Il voto a favore si giustifica con il fatto che sembra che il Governo abbia finalmente preso in mano un progetto ampio per l'affronto dei problemi dell'immigrazione; come ho detto già in questa Aula altre volte, la politica dell'immigrazione non esiste, è impossibile, non si può fare una politica dell'immigrazione in se stessa. La politica dell'immigrazione è la conseguenza di una politica di vicinato. Quando l'Europa era forte e sicura di sé, noi avevamo un progetto per una politica di vicinato. La Conferenza di Barcellona nel 2000 ne dà testimonianza. Quel processo si è interrotto. Molti dei mali che abbiamo sofferto derivano dall'interruzione di quel processo.

Oggi sembra che l'Europa voglia riprendere una politica di vicinato, perché i militari che noi mandiamo hanno - io credo - anche evidentemente la funzione di ripristinare un minimo di statualità e, quindi, di controllo del territorio e dei confini lungo le rotte attraverso cui i migranti vengono a noi. È giusto, ma è importante che questo sia solo un elemento di una politica più complessiva: dobbiamo ricostruire una statualità, il rispetto dei diritti umani fondamentali, il rispetto della legge in quei Paesi nei quali adesso mandiamo i nostri soldati. Tutti elementi che sono lì carenti.

Noi voteremo a favore, ma nella convinzione che questo, o il Governo che verrà dopo, debba partecipare a un'iniziativa europea di più ampio respiro per garantire la ricostruzione dello Stato e, quindi, anche la possibilità di una politica economica la quale crei posti di lavoro lì e dia alla gente la libertà di non emigrare. Solo questo consente poi di gestire in modo umano e legittimo i flussi migratori che rimarrebbero egualmente opportuni. Queste sono le ragioni del nostro gruppo, per queste ragioni voteremo a favore del provvedimento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Santerini. Ne ha facoltà.

MILENA SANTERINI. Grazie, Presidente. Il provvedimento che stiamo per votare meritava sicuramente una discussione in Aula, e non certamente soltanto in Commissione. Devo ringraziare i Ministri che l'altro ieri, nelle due Commissioni riunite, hanno meglio illustrato le modalità, le cause e gli obiettivi delle missioni. Anticipo naturalmente il voto favorevole di Democrazia Solidale-Centro Democratico perché ritengo, senza retorica, che ci sia una visione dietro questa proposta.

Non è soltanto una proposta puntuale, non è soltanto un atto di routine, fa parte di una strategia. Strategia che può essere criticata, che può essere messa alla prova, e quindi poi dopo eventualmente verificata, ma che comunque esiste. Per noi, quindi, questo è l'aspetto più importante, perché abbiamo apprezzato il nuovo impegno del Governo in Africa, non perché non siano importanti altri scenari, non perché non siano importanti i Balcani, non perché non sono importanti - lo sappiamo bene - l'Iraq, l'Afghanistan, per non parlare del Libano, ma proprio per questo, confermando tutto il lavoro e le missioni che abbiamo già in atto.

Si è aperto uno scenario nuovo e il G5 Sahel è una novità strategica. È una novità strategica perché è un abbozzo di cooperazione tra Paesi, Paesi molto poveri, molto difficili. In particolare, e adesso lo dirò per quanto riguarda il Niger, se non stabilizziamo quell'area, potremmo rischiare di avere una nuova Libia.

Quindi, noi abbiamo interesse ad avere un Niger più stabilizzato, così come certamente questo aspetto riguarda, e lo sappiamo bene, anche il traffico di persone umane. Su questo, chiaramente, quello che abbiamo chiesto sempre al Governo è una maggiore energia nella tutela delle persone che in questo momento, soprattutto se rafforzeremo il confine sud (dato che abbiamo già in qualche modo bene o male - io dico forse, in qualche aspetto, più male che bene - chiuso invece la frontiera nord, cioè il mare), rimangono intrappolate nei territori in situazioni di violazione di diritti umani che non voglio neanche ripetere tanto credo tutti ne siamo veramente sconvolti e colpiti. Le proposte che ci vengono fatte nei documenti del Governo noi le approviamo proprio per questo interesse strategico prioritario in Africa, per la strategia di addestramento, di stabilizzazione e naturalmente anche per il rafforzamento della missione in Libia, seppure - lo ripeto - chiedendo una maggiore vigilanza soprattutto sull'operato della Guardia costiera libica, su cui abbiamo delle testimonianze che ci fanno veramente temere per i diritti umani dei migranti.

Circa la missione bilaterale di supporto al Niger, non vogliamo credere alle versioni di retropalco sugli accordi con la Francia e così via. L'impegno nell'area geografica del G5 Sahel secondo noi avrà degli aspetti comunque positivi, lo abbiamo detto: la stabilizzazione del Paese, la lotta al terrorismo e così via.

Naturalmente, con l'impegno da parte del Governo di relazionarci anche su questo progressivo aumento dei soldati da 120 a 470.

Credo che, in qualche modo, questo ci consentirà anche di rientrare sulla scena europea, è già successo con Francia e Germania, con un - chiamiamolo - polo strategico antiterrorismo, di cui abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di essere interlocutori credibili e, quindi, in questo senso, richiamo le parole di Gentiloni, prima di Natale, quando il Presidente del Consiglio ha ricordato che l'Italia tutela il suo interesse nazionale, ma mai - mai! - contro gli altri Paesi e, quindi, questo impegno di stabilizzazione dell'Africa è, secondo noi, molto importante.

Vorrei aggiungere un'osservazione sui rinforzi alla cooperazione internazionale. Abbiamo approvato qui, in questa Aula, in questo Parlamento, la riforma della cooperazione. È un elemento molto importante della politica estera del nostro Paese. Guardiamo con favore all'aumento dei fondi, soprattutto per la gestione e la struttura, perché è chiaro che più aumenta l'impegno dei fondi, ancora troppo pochi, e più, naturalmente, deve essere potenziata la struttura amministrativa che la sorregge. E quindi chiediamo ancora con più convinzione, apprezziamo l'aumento delle risorse sulla cooperazione e, naturalmente, diciamo che è soltanto un primo passo.

Sappiamo benissimo che dobbiamo riallineare l'Italia agli standard internazionali e alla media OCSE, siamo ancora - lo sappiamo benissimo - abbastanza lontano. Quindi, incrementi di risorse, investimenti strategici, l'ho già detto, in particolare sull'Africa e, naturalmente, una cooperazione che non è altro che una cooperazione per la pace. Certo, la cooperazione è cooperazione per lo sviluppo, è cooperazione per i Paesi che la attendono, è una cooperazione che naturalmente ha anche degli obiettivi di incremento commerciale del nostro Paese, ma, mai come ora, facendo cooperazione, facciamo pace, uscendo quindi anche da una logica di emergenza.

E quindi, in un tempo come il nostro, caratterizzato da crisi umanitarie, da ondate migratorie, dalla radicalizzazione, che ormai investe soprattutto in particolare il Sahel e non solo l'Asia, investire nella cooperazione internazionale rappresenta, secondo noi, una delle sfide più coraggiose e spero che anche in questa campagna elettorale sia un elemento che farà la differenza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Edmondo Cirielli. Ne ha facoltà.

EDMONDO CIRIELLI. Grazie signora Presidente, colleghi, signora Ministra, Fratelli d'Italia voterà a favore del decreto e dell'impegno delle nostre Forze armate a garantire la pace, la sicurezza e la stabilità internazionale, ma anche a garantire in questo scenario gli interessi e, soprattutto, la sicurezza dell'Italia.

Non condividiamo la linea della politica estera italiana, prima col Ministro, oggi Presidente del Consiglio, Gentiloni, e a maggior ragione oggi con l'ondivago Ministro Alfano, ma dobbiamo riconoscere che c'è una concordanza non tanto di visione, ma anche di fini ultimi per come si configura, poi, la politica estera italiana rispetto anche al quadro di riferimento.

Riteniamo che le nostre Forze armate - e faccio i complimenti, per questo, a loro tramite la Ministra - abbiano saputo, paradossalmente, con la loro azione di efficienza e di capacità diplomatica, garantire gli interessi, la legittimità dell'operato e, soprattutto, la dignità della politica estera italiana meglio di come abbia fatto la parte politica.

Anche per questo credo che sia necessario continuare su una strada che per altri versi è obbligata, e mi spiego. È obbligata perché noi viviamo, chiaramente, in un clima di grande instabilità, di fluidità, con una minaccia sempre più forte del terrorismo internazionale, minacce asimmetriche. È evidente che l'Italia, di per sé, non può agire da sola, perché crediamo in un approccio multilaterale, crediamo nell'ONU, crediamo nel diritto internazionale e, d'altro canto, non abbiamo neanche in campo uno strumento politico-militare capace di svolgere un'azione di politica estera da soli o un'iniziativa forte.

È chiaro che il nostro quadro di riferimento deve essere l'alleanza della NATO, innanzitutto perché sono settant'anni che gli Stati Uniti e la NATO garantiscono la pace e soprattutto la sicurezza e la libertà dell'Italia, ma anche perché è un quadro di riferimento importante di democrazia, che difende la sicurezza nel mondo. In questo quadro è evidente che bisogna appoggiare l'azione della NATO. Allo stesso tempo è necessario continuare ad implementare la politica di sicurezza e di difesa comune da parte dell'Unione europea. In questo quadro dobbiamo cercare di fare entrare qualche interesse più specifico dell'Italia. L'interesse specifico potrebbe essere, per esempio, quello di non andare allo scontro frontale, come hanno fatto sinora gli Stati Uniti di Barack Obama o la Germania della Merkel con la Russia, e quindi dovremo cercare - e da questo punto di vista credo che stiamo facendo bene - di mantenere una presenza sul fronte orientale, ma garantire sempre più, tramite la nostra azione diplomatica, una soluzione che veda un confronto positivo tra la Russia e la nostra alleanza, e l'Italia può giocare un ruolo importante come ha sempre fatto.

D'altro canto, dobbiamo cercare di spostare l'interesse dell'Unione europea e della NATO sempre più - non per motivi di interessi economici, ma di sicurezza e di stabilità - sul quadro, da una parte, del Mediterraneo allargato, considerando anche Medioriente, Palestina, Libano e Israele, e, da un'altra parte, del piano dell'Africa.

Per quanto riguarda la vicenda della crisi palestinese, penso che per giocoforza noi abbiamo il dovere di difendere l'esistenza e il diritto alla vita e alla libertà di Israele, quindi da questo punto di vista credo che il Governo debba essere meno titubante; d'altra parte, dobbiamo anche garantire la legittima aspirazione di due popoli in due Stati, ma questo può avvenire soltanto in un quadro di rafforzamento di Israele, non di delegittimazione e di indebolimento di quello Stato. Quindi l'Italia deve continuare a considerare come alleato strategico Israele in quell'area e la nostra presenza in Libano serve anche a questo, anche usufruendo della nostra proverbiale capacità diplomatica che ci ha sempre fatto essere amici un po' di tutti in quell'area.

Per quanto riguarda questo rinnovato impegno in Africa, dopo i disastri dell'intervento militare in Libia e, soprattutto, in Siria da parte degli americani di Barack Obama e che hanno provocato indirettamente l'avvento del Daesh (o dell'Isis, come lo vogliamo chiamare) e la destabilizzazione di tutta l'area, credo che noi dobbiamo stare molto attenti.

Facciamo bene ad essere presenti in Libia, facciamo bene ad appoggiare in questo momento quello che il diritto internazionale e l'ONU sostengono con Al-Farraji, ma dobbiamo intensificare la nostra linea di azione diplomatica con l'Egitto, perché altrimenti ci troveremmo a mal partito. Credo che l'impegno in questo senso del Governo vada appoggiato e che la presenza italiana debba essere sempre forte, attenta, vigile, considerando anche la sicurezza piena dei militari. Da questo punto di vista, probabilmente, il dispositivo andrebbe rafforzato, non soltanto dal punto di vista quantitativo delle risorse umane, ma anche dal punto di vista tecnologico e dell'impegno militare.

Per quanto riguarda la vicenda del Niger, capiamo le preoccupazioni di chi sostiene che Renzi e Gentiloni vogliano fare un favore a Macron e alla Francia, e probabilmente sarà anche questa una delle motivazioni che ha spinto i nostri attuali, ancora per poco, governanti. Ma, d'altro canto, non è sbagliato immaginare di avere una presenza diplomatica con l'area del Niger, oltre che con lo Stato stesso. L'Italia sta facendo un lavoro importante sul piano finanziario, ma deve fare di più.

La nostra presenza militare, con la premessa che ho detto, con la capacità diplomatica che il nostro strumento militare, il nostro Ministero dalla difesa ha sempre saputo garantire, rappresenta un elemento importante di un avvio di relazioni pacifiche, durature e importanti. Essere vicini a questi Stati che sono in grande difficoltà, che non hanno la capacità di essere stabili, che non hanno la capacità di contrastare efficacemente il terrorismo e non hanno la capacità di controllare le proprie frontiere, rappresenta sicuramente un elemento che ci consente, anche in futuro, di avviare importanti relazioni diplomatiche, per cui è un primo passo.

Una volta si diceva che la guerra era la prosecuzione, con altri mezzi, della diplomazia, lo diceva Von Clausewitz. Noi diciamo che invece, al contrario, l'aiuto militare è il primo elemento per iniziare un'efficace campagna diplomatica di pace e di relazioni importanti. Credo che da questo punto di vista la nostra presenza debba avvenire, ovviamente, in un quadro di sicurezza assoluta dei militari e anche qui, signora Ministra, ciò si può garantire con uno strumento non solo quantitativo ma con uno strumento qualitativamente di garanzia assoluta per i militari e oggi la tecnologia, spendendo i soldi, ci dà la possibilità di attenuare i rischi per i nostri militari. Sappiamo bene che i nostri alleati francesi sono alleati ma non ci amano molto e che in quell'area credono che gli altri debbano fare soltanto i figuranti ma noi, se ci dobbiamo andare, non possiamo fare i figuranti e, soprattutto, dobbiamo essere certi che i nostri militari non siano messi in condizione di esporsi a rischi inutili. Questo è un dato che so che è facile a dirsi e difficile a farsi, ma penso che credendoci e mettendoci le risorse adeguate, con la professionalità e le capacità dei nostri stati maggiori e dei nostri uomini e donne sul campo, può essere assolutamente raggiunto.

Termino dicendo che certamente non approviamo il rinnovo della missione in Turchia. La Turchia per noi si sta comportando e sta diventando sempre più uno Stato canaglia che gioca sporco nei confronti dell'alleanza, che ha fatto passare probabilmente o ha chiuso gli occhi o non è stata efficace nel controllo del rientro dei foreign fighters. Sicuramente gioca una partita scorretta contro i curdi, sicuramente gioca una partita ambivalente nello scenario NATO-Russia e sicuramente è un Paese che comincia sempre di più a violare i diritti umani. Io credo che sia sbagliato in questo momento continuare a sostenere militarmente la Turchia o, quanto meno, bisogna porre dei paletti chiari. Dunque, concludo dicendo che proprio per questo le missioni dovrebbero averi dei voti singoli. Noi votiamo perché nel complesso ci rendiamo conto che questo strumento è il male minore per sostenere gli interessi nazionali nel quadro del Trattato Nord Atlantico, nel quadro dell'Unione europea, nel quadro dell'ONU e del diritto internazionale, nel quadro, ovviamente, degli interessi legittimi di sicurezza dell'Italia, ma ci rendiamo conto che è sbagliato votare insieme un pacchetto quando ci sono delle differenze rispetto alle singole missioni. Ma nel complesso, siccome noi siamo, come diciamo sempre, un'opposizione patriottica, Fratelli d'Italia magari si turerà il naso per qualche cosa e voterà a favore di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Nicola Fratoianni. Ne ha facoltà.

NICOLA FRATOIANNI. Grazie, signora Presidente. Signora Ministra, signor Vice Ministro, voteremo contro questo provvedimento e lo facciamo per ragioni di metodo e per ragioni di merito. Voglio cominciare dal metodo che però, come accade spesso, diventa sostanza e che ha a che fare con il modo con cui, per la verità durante tutta questa legislatura, i Governi che si sono succeduti, in un incedere costante, hanno trattato il Parlamento della Repubblica e ha a che fare con quale idea di democrazia e con quale idea della politica perfino. È stata ricordata questa questione anche negli interventi che hanno aperto questa seduta pomeridiana. Mi interessa poco per la verità discutere sul tema del Regolamento; mi interessa discutere della sostanza di una scelta, quella che chiama le Camere - la Camera dei deputati, in questo caso - ad approvare non il frutto di una scelta dettata dalla improrogabile urgenza o straordinarietà di un evento imprevedibile ma che chiama la Camera dei deputati, sciolta dal Presidente della Repubblica, ad essere riconvocata per approvare un atto politico, un atto politico di primaria importanza, un atto politico che coinvolge direttamente la politica estera del nostro Paese, un atto politico che era estremamente prevedibile e che avrebbe potuto essere gestito in modo completamente diverso. Con questo atto il nostro Paese - così è stato dichiarato - ridefinisce e articola in modo nuovo una parte della nostra politica estera e orienta, come ci è stato detto e ricordato anche qui, verso l'Africa l'attenzione della nostra politica estera e - ripeto - questa scelta, fatta in questo modo e in questi tempi, rappresenta l'ennesima violazione della centralità del Parlamento della Repubblica, l'ennesima forzatura istituzionale. È per certi versi, a legislatura conclusa, la degna conclusione, in una riconvocazione un po' surreale, di una modalità di comportamento che ha caratterizzato, per tutto il tempo, i cinque anni che abbiamo alle spalle.

E poi, però, c'è una questione di merito altrettanto se non più importante a motivare il nostro giudizio, la nostra valutazione e il nostro voto contrario. Questa ragione di merito ha a che fare con la natura di queste missioni, in particolare delle due nuove missioni che caratterizzano la discussione che stiamo facendo, quella in Libia e quella in Niger. Queste due missioni segnalano, insieme alle altre, da un lato l'ennesimo aumento delle spese per le missioni internazionali, spese che complessivamente, ancora una volta, confermano come l'enorme maggioranza delle risorse sia rivolta ad investimenti di tipo militare invece che ad investimenti rivolti alla cooperazione e allo sviluppo, cioè a quell'aiutiamoli a casa loro particolarmente infelice ma che almeno avrebbe voluto la conseguenza di qualche scelta concreta e che, invece, anche nell'articolazione di queste missioni si mostra per quello che è, cioè per uno slogan dietro il quale si cela la vocazione del nostro Paese, sempre più spiccata, a trasformarsi nel gendarme d'Europa, in un Paese che utilizza i propri strumenti militari per fermare i migranti, per respingere i migranti, per riconsegnare i migranti alla condizione perenne di barbarie e di violazione dei diritti umani a cui, come sappiamo, sono sottoposti oggi sulle coste libiche o in molti Paesi africani dai quali cercano di fuggire.

La verità è che queste missioni confermano l'evoluzione della politica italiana su questo fronte, certificano l'evoluzione di una politica che è passata dall'esperimento importante di Mare Nostrum alla scelta di chiudere le frontiere, che confermano il passaggio della nostra politica estera dalla politica estera di un Paese che aveva fatto del salvataggio delle vite umane il principale punto di riferimento della propria azione a un Paese che oggi mutua le politiche che la destra italiana ha sempre costruito su questo fronte e cerca di esternalizzare il problema dei migranti chiudendo le frontiere al di là del Mediterraneo, senza neanche la dignità di fare i conti con quello che succede al di là del Mediterraneo. La verità è che queste missioni confermano le scelte che il Ministro dell'Interno ha assunto siglando quell'ignobile accordo con la Libia, quell'ignobile accordo su cui le telecamere della CNN hanno gettato la luce che questo Paese non ha avuto il coraggio di gettare, quella luce che ci ha raccontato di come lì, in quei campi, torni oggi l'asta degli schiavi, la violenza, lo stupro sistematico. Una politica estera che ha trasformato i trafficanti di uomini in gendarmi, in controllori di quegli stessi uomini, sottoposti, però, alle stesse, se non peggiori, angherie. La verità è che queste missioni mascherano, dietro la dichiarazione e la volontà di combattere il terrorismo, di combattere il traffico di esseri umani, di stabilizzare quei Paesi, l'interesse vero, che è quello che ha a che fare con gli interessi energetici del nostro Paese, con il conflitto che su questo terreno si sviluppa sempre di più anche in questa Europa.

Insomma, missioni che, dal punto di vista della finalità degli obiettivi, dei risultati e del rischio che peraltro moltiplicano per le nostre truppe sul terreno e anche per il nostro Paese, sono per noi completamente irricevibili. Per questo, confermo il nostro voto negativo a questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paolo Alli. Ne ha facoltà.

PAOLO ALLI. Signora Presidente, è chiaro che è importante il voto che ci accingiamo a esprimere, oggi, in quest'Aula, su un tema molto sensibile; sappiamo quanto il tema della sicurezza internazionale sia, ormai, determinante anche nella percezione dei nostri cittadini e possiamo dire che l'approccio che la legge n. 145 del 2016 ha consentito finalmente al tema delle missioni internazionali è un approccio che coniuga trasparenza e razionalità. L'impegno che l'Italia ha sempre garantito nel supporto alle missioni internazionali delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e della NATO è qui fortemente ribadito. Noi siamo i secondi contributori mondiali, in termini di truppe, alle missioni internazionali; questo è un dibattito importante anche perché deve sottolineare nuovamente che tutto il tema dell'incremento delle spese per la difesa non può prescindere da una misura, anche, dell'efficacia e dell'effettivo ritorno in termini concreti e operativi che ciascun Paese dà alle missioni internazionali. Detto in altri termini, veniamo sollecitati a raggiungere il famoso 2 per cento del Pil in termini di investimenti per la difesa, ebbene la misurazione dell'effettivo output in termini di sicurezza globale non appartiene a questa logica; è un dibattito che anche in sede NATO si sta facendo e noi vediamo Paesi nel mondo che investono più del 2 per cento del proprio prodotto interno lordo, ma che non mandano neppure un loro uomo nei teatri di crisi, nei teatri dove è richiesta la solidarietà della comunità internazionale.

Noi siamo, da questo punto di vista, un Paese estremamente virtuoso, questo ci è riconosciuto ampiamente a livello internazionale. Dobbiamo fare in modo che questa efficacia del contributo italiano venga sempre più riconosciuta anche a livello nazionale. Ci sono stati anche recentemente importanti articoli di opinionisti stranieri che hanno sottolineato come il nostro Paese sia un maestro da questo punto di vista rispetto all'effettivo contributo alla sicurezza internazionale, alla sicurezza globale. Questo tema deve anche investire l'Unione europea. Noi, come Paese, siamo sempre stati e continuiamo ad essere profondamente protagonisti e profondamente legati all'Alleanza transatlantica, così come siamo profondamente legati all'Unione europea e tutto questo tema della difesa, che anche a livello europeo si sta finalmente articolando in un modo più efficace che nel passato, è un tema che deve tenere in considerazione gli sforzi che ciascun Paese fa per la difesa collettiva e per la sicurezza globale e noi siamo certamente all'avanguardia tra questi Paesi.

Detto questo, vorrei sottolineare come quella che noi oggi andiamo ad autorizzare - e il mio gruppo voterà convintamente a favore di questo provvedimento - è una tipologia di missioni che privilegia gli aspetti umanitari, privilegia ampiamente gli aspetti legati alle operazioni di peacekeeping a livello internazionale e, direi, elemento molto importante, quegli interventi di capacity building che si articolano attorno ad azioni di training, di addestramento delle forze locali che si stanno espandendo soprattutto in Africa, dove anche la stessa NATO si sta impegnando in questo settore.

Perché è solo facendo crescere la capacità, in ogni singolo Paese, di garantire le condizioni di sicurezza che si può equilibrare questa tematica molto complessa della sicurezza internazionale, alla radice della quale c'è, poi, tutto il tema del terrorismo che si sviluppa proprio laddove non esiste questa capacità dei governi locali di controllare in modo efficace le situazioni territoriali, nazionali e regionali.

Andando un po' più sul puntuale, mi permetta signora Presidente qualche considerazione su singoli interventi. Sull'operazione Resolute Support in Afghanistan, c'è una narrativa, ormai da tempo, che dice che noi dobbiamo uscire da queste missioni in Afghanistan e così via. Il problema è che ci si era anche impegnati in passato a fare un phasing out, come dire, di un certo tipo, ma poi la realtà delle cose cambia, a prescindere dalla nostra volontà, e, purtroppo, il riemergere dei fenomeni terroristici e il ritorno in auge dei talebani in Afghanistan impone alla comunità internazionale la responsabilità di continuare questa presenza che è l'unica che, ancora oggi, può garantire un minimo di stabilità e di pace a quel Paese tormentato. Quindi, io credo che la continuazione della missione in Afghanistan sia importante, anche sotto il profilo del controllo di quel fenomeno dei rifugiati che da quella regione tendono ad arrivare, proprio perché, dopo la fine della parte violenta dei conflitti e la ripresa del potere da parte dei talebani, molte persone si sentono a rischio e, quindi, tendono a fuggire dall'Afghanistan. Quindi, l'Afghanistan è un punto di assoluta importanza.

Abbiamo poi le operazioni in Medioriente, in particolare la coalizione internazionale anti Daesh, che continua a dimostrare il nostro impegno nella lotta al terrorismo. Vorrei, da questo punto di vista, mettere in evidenza che non è estraneo a questo tema anche l'impegno nei Balcani occidentali, perché sappiamo che quella è una regione che, purtroppo, in questo momento, favorisce per situazioni economiche e sociali i fenomeni di radicalizzazione di tipo islamista e, quindi, anche lì, la presenza nostra, la presenza delle coalizioni internazionali è un elemento che può garantire un miglior controllo di questi fenomeni.

Mi permetto di spendere una parola per il sostegno alla missione EFP, Enhanced Forward Presence, in Lettonia che ho avuto l'onore di visitare qualche mese fa; noi chiediamo spesso, chiediamo sempre all'Europa di considerare i confini sud dell'Europa, cioè i nostri confini sud, come confini dell'Europa e non solo dell'Italia; beh, chi ha avuto e ha la possibilità di frequentare i Paesi baltici, i Paesi dell'Est europeo sa che a loro volta questi Paesi chiedono alla comunità internazionale, all'Europa in particolare, di considerare i confini est dei loro Paesi, come i confini a est dell'intera Europa, perché la minaccia di conflitti sul fronte orientale con la Russia è, purtroppo, ancora molto presente. Quindi, io credo che la presenza di nostri militari, di nostre forze anche sul fronte est sia un segnale di solidarietà importante che, ancora una volta, dimostra come l'Italia non faccia problemi di nord, sud, est e ovest, ma è pronta a spendersi in qualsiasi regione, in qualsiasi Paese dove sia necessario un contributo alla sicurezza.

Da ultimo, la mia ultima considerazione è sull'Africa. Mi pare che l'impegno sempre più forte a favore dell'Africa sia perfettamente coerente e in linea con le politiche che il nostro Paese ha sollecitato in questi anni all'Unione europea; finalmente, si vede una nuova e diversa attenzione da parte dell'Europa allo sviluppo dell'Africa, agli investimenti sul futuro di questo grande continente, che sono l'unico modo, non solo per controllare i flussi migratori nel lungo periodo, ma anche per assicurare lo sviluppo equilibrato di un continente che sarà, in futuro, una grande risorsa per l'intera umanità.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Gianluca Pini. Ne ha facoltà.

GIANLUCA PINI. Signora Presidente, signora Ministro, colleghi, devo dire che la coda di questa legislatura, anche se ormai a Camere sciolte, è abbastanza inconsueta, inusuale, però questo è il nostro impegno istituzionale, di esaminare quello che il Governo propone e dare anche non solo degli atti di indirizzo, ma delle valutazioni di carattere politico e pratico. Ci troviamo oggi ad analizzare il prosieguo di alcune missioni, la partenza di altre, altre operazioni legate alla cooperazione internazionale in scenari che devono avere in qualche modo una sorta di stabilizzazione. Diciamo che il quadro, purtroppo, resta quello di sempre, un quadro abbastanza frammentato, un quadro abbastanza confuso, una regia non proprio puntuale, devo dire, di quelle che sono le missioni sul piano internazionale.

C'è una dispersione enorme di quelle che sono le professionalità, non solo dei militari, ma anche di tutte le altre persone delle istituzioni che noi mandiamo in giro per il mondo in una miriade di scenari senza che questo porti dei risultati concreti in termini di interessi diretti dell'intero Paese. Questo, purtroppo, ripeto, è un quadro che non è mai mutato negli ultimi anni, soprattutto con gli ultimi Governi a guida di centrosinistra. Sembra quasi che ci sia una volontà di cercare una benevolenza a tutti i costi nei confronti di potenziali partner, cercando, appunto, di compiacere, cercando di trovare degli equilibri internazionali, spedendo due poliziotti da una parte, tre finanzieri dall'altra, un magistrato, magari, in posti dimenticati da Dio, senza avere, ripeto, una regia su quelli che sono effettivamente i benefici di questa enorme frammentazione.

Spendiamo soldi, e tanti soldi, in scenari che non hanno nessun tipo di riscontro effettivo, oggettivo, negli interessi del Paese, e dimentichiamo, magari, di concentrarci su quegli scenari che sono a noi più vicini, più interessanti, e sui quali, magari, potremmo dare un apporto molto più efficiente rispetto ad altri Paesi, perché - questo è un dato di fatto - quando ci muoviamo noi, lo facciamo sì, chiaramente, perché lo deve fare ogni Paese sugli scenari internazionali, in maniera interessata per il proprio tornaconto, non solo di carattere economico, ma anche di stabilizzazione, ma, rispetto ad altri, teniamo conto anche di quelli che sono aspetti sociali, aspetti umanitari.

Ecco, questa impostazione, purtroppo, non la vediamo neanche questa volta. Abbiamo cercato, in qualche modo, con degli emendamenti, pochi devo dire, non sono sicuramente di natura ostruzionistica, e poi sarebbe stato veramente ipocrita farlo in questa situazione particolare qui, però per accelerare in qualche modo quella che era un'inversione di tendenza, cioè passare da una frammentazione a una programmazione specifica, a una programmazione effettiva. Chiaro, qualcuno - ho sentito anche in fase di dibattito in Commissione - ha voluto ironizzare sul nostro scetticismo sull'impostazione generale, che ci porterà - e questo glielo anticipo - ad astenerci rispetto ai testi che sono stati depositati per il voto dell'Aula; ironizzare sul fatto che, comunque, noi ci presentiamo alle imminenti elezioni politiche con altre forze politiche che sono qui presenti in Parlamento, che, invece, daranno un voto favorevole.

Questo è già successo in passato, per noi è un fatto di coerenza. Ci sono state delle missioni sulle quali noi eravamo assolutamente d'accordo, altre, a partire dal Libano, a partire dall'Afghanistan, a partire da tante altre missioni, su cui eravamo molto più scettici, ma non abbiamo mai fatto mancare comunque un supporto o non abbiamo mai comunque messo in discussione quella che era la stabilità di un Governo che faceva delle scelte sul piano internazionale, e non lo faremo neanche stavolta.

Però, permetteteci di essere molto scettici su determinate missioni, permetteteci di essere molto scettici su alcuni comportamenti bipolari che ci sono da parte del Governo, quando si parla, per esempio, di dare un segnale di cancellazione di quelle che le sono le sanzioni alla Russia, e poi, però, contestualmente, si spinge al massimo per partecipare ad esercitazioni militari insieme alla NATO proprio a ridosso del confine russo, non facendo altro che irrigidire le posizioni che, invece, dovrebbero essere molto più ammorbidite proprio se si vuole andare in quella direzione. O, altro caso, si grida in qualche modo, anzi, mi scusi, signora Presidente, si chiede in qualche modo un coinvolgimento di Erdogan nel processo di integrazione europea; poi, però, ci si rende conto che è a tutti gli effetti un pericolo per la stabilità della stessa Europa, si mantengono dei missili balistici particolari sul territorio.

Ora, ripeto, a noi non piace questo atteggiamento bipolare che alcuni colleghi, alcuni gruppi parlamentari, in quest'Aula, hanno solo ed esclusivamente trincerandosi dietro il fatto che comunque le missioni militari servono e vanno fatte. Certo, servono e vanno fatte se c'è in qualche modo un'efficacia per gli interessi del nostro Paese e se c'è, soprattutto, un'efficacia nella stabilizzazione di quegli scenari dove si va a intervenire; se non c'è, compiacere a tutti i costi qualche alleato è semplicemente una perdita di tempo, di soldi e anche di credibilità sul piano internazionale.

Questo non vuol dire che non siamo d'accordo su alcune delle missioni che sono dentro. Siamo stati d'accordo, e chiaramente lo saremo sempre, su quella che abbiamo votato tempo fa del contrasto a Daesh, siamo assolutamente convinti che debba essere esercitata un'azione militare, e di conseguenza anche diplomatica, di carattere geopolitico, nello scenario libico, anche se siamo abbastanza preoccupati del partner che ci siamo scelti, perché ci sembra abbastanza debole. Siamo assolutamente convinti della validità dell'azione che andiamo a svolgere e per la quale siamo stati chiamati qui prevalentemente come nuova iniziativa in Niger, anche se, anche qui, dobbiamo rilevare la bipolarità, la schizofrenia di certi colleghi che si preoccupano degli interessi del Presidente Macron, e poi, però, si dimenticano totalmente quando lui fa solo ed esclusivamente gli interessi a danno dell'Italia, girano la testa dall'altra parte, come, per esempio, quelle acquisizioni di aziende strategiche che vengono fatte in danno dell'Italia.

Ora, noi siamo, ripeto, chiamati ad esprimere un parere. Le ho giustificato prima il perché, in qualche modo, noi non ci opporremo a tutta questa serie di rinnovi di missioni e a queste nuove missioni, ma lo facciamo, e questo lo vogliamo far emergere in tutta la sua forza, per un fatto di coerenza. È, ripeto, un'astensione, la nostra, assolutamente responsabile, fatta da parte di un gruppo politico che rappresenta un movimento politico anche al di fuori di queste Aule che non ha assolutamente nulla da dimostrare, se non, ecco, quella sì, la propria coerenza (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Scotto. Ne ha facoltà.

ARTURO SCOTTO. Signora Presidente, signori colleghi, votiamo il rinnovo delle missioni internazionali e l'ingresso nel carnet delle missioni internazionali di altri interventi molto significativi e importanti; e li votiamo in una condizione abbastanza inusuale, quando le Camere sono già sciolte. Si vota il 4 marzo prossimo e alcuni provvedimenti sono stati depennati dall'agenda politica del Parlamento e del Paese perché occorreva andare in fretta alle elezioni anticipate. Avrei voluto che il Parlamento, oltre questa riunione straordinaria sulle missioni internazionali in Niger, avesse vissuto anche un'altra emergenza.

E quell'emergenza stava in quel voto mancato che c'è stato a fine dicembre su una questione che era entrata nel dibattito pubblico italiano e che riguardava 800 mila persone che vivono, lavorano e sono nate qui e che non avranno neanche quest'anno la loro cittadinanza.

Se c'era un'urgenza per votare le missioni internazionali, c'era un'urgenza anche per votare lo ius culturae(Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista–Liberi e Uguali).

Ora siamo qui, e occorre dopo cinque anni stilare anche un rendiconto del tempo che è trascorso e di questi anni difficili. Abbiamo scolpiti nella memoria alcuni avvenimenti tutt'altro che secondari, che hanno sconvolto la vita di milioni di persone, hanno cambiato la natura delle nostre città, hanno modificato la percezione della nostra vita quotidiana. Sono stati gli anni timbrati Daesh, sono stati gli anni che hanno sconvolto nazioni, la Siria e l'Iraq, con la nascita dello Stato islamico; sono stati gli anni in cui il terrorismo ci è entrato in casa e la frontiera è diventata anche casa nostra, Parigi, Londra, Barcellona, Tunisi. Vedete, oltre al cordoglio per quelle vittime e per quelle popolazioni, occorre anche una riflessione più di fondo, politica: probabilmente la gestione dei conflitti è stata sbagliata, è stata insufficiente, non c'è stato uno sforzo da parte della comunità internazionale per stabilizzare politicamente quei Paesi, e anche per arginare davvero la crescita del terrorismo.

C'è una missione che non viene mai citata tra tutte quelle che dovremmo votare: si chiama Active Fence e parla della Turchia. La Turchia è una frontiera fondamentale, è un Paese fondamentale sulla frontiera siriana: è di questi giorni il fatto che la Turchia, membro della NATO, insidi, attraverso bombardamenti, i cantoni curdi, e che nei prossimi giorni - parole di Erdogan - si tenterà di schiacciare l'anomalia curda, l'anomalia della Rojava che è l'unico territorio democratico in quell'area mediorientale. Ora la Turchia, dopo anni in cui foreign fighter bucavano la frontiera turca e attraversavano l'autostrada della Jihad, è probabilmente il Paese che più di tutti ha contribuito ad alimentare il mostro del Daesh; e anziché intervenire lì si sono costruiti degli accordi sui migranti con Paesi che non garantivano adeguatamente la lotta al terrorismo, perché molto spesso l'aiutavano.

Abbiamo immaginato invece di dirottare i nostri interessi geostrategici in altre aree. Per motivazioni anche molto semplici: siamo la frontiera naturale del Mediterraneo, ed è chiaro che l'Italia è quella più esposta rispetto alle migrazioni. Abbiamo in questa relazione ridimensionato la nostra presenza in Afghanistan, il Resolute Support; anche se forse occorrerebbe, cara Ministra Pinotti, caro sottosegretario Amendola, dopo oltre 15 anni fare un bilancio sulla stabilizzazione dell'Afghanistan: perché, come è evidente a tutti, quel Paese non è stabilizzato e oggi, insieme all'Iraq, è il Paese più pericoloso del mondo, tant'è che sono stati ben due nel corso degli ultimi 20 giorni gli attentati che hanno prodotto decine e decine di vittime.

Occorrerebbe allo stesso tempo, però, compiere un'analisi rispetto a quello che sta accadendo in Libia, a quello che sta accadendo su quella frontiera. Noi investiamo lì: investiamo con uomini per una missione che non ha contorni definiti, perché il supporto all'ospedale di Misurata e il supporto alla guardia costiera libica non hanno implicazioni esclusivamente di addestramento e di sostegno in un territorio che è attraversato, come dire, da una guerra strisciante a bassa intensità, e perché (ed è una domanda che poniamo ormai da sei mesi) la Guardia costiera libica non garantisce adeguatamente il rispetto dei diritti umani per chi migra e per chi arriva lì (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista-Liberi e Uguali).

Non lo diciamo noi: lo dice il Tribunale internazionale dell'Aja, che ha messo sotto inchiesta la guardia costiera libica e la sua funzione; lo dicono i video che sono stati diffusi da organizzazioni non governative e anche da organizzazioni, diciamo, ufficiali dei Paesi costieri. Abbiamo visto quelle facce di migranti impauriti, respinti verso la Libia. Ma respinti verso dove, signora Ministra? Respinti verso il vuoto, respinti verso il rischio molto concreto di essere esposti a torture e alla morte certa (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista- Liberi e Uguali).

E poi c'è il Niger. Il Niger, Paese molto difficile: noi mandiamo 400 uomini nel deserto del Ténéré, e li mandiamo per una missione certo no combat, ma li mandiamo lì per svolgere ruoli tutt'altro che facilmente descrivibili come di esclusivo sostegno. Quando mandi un centinaio di paracadutisti a controllare una frontiera di centinaia e centinaia di chilometri, probabilmente stai mettendo un piede in uno scenario di guerra, senza neanche garantire un vincolo sul terreno dei diritti umani, e senza neanche accertarti che vi siano organizzazioni sovranazionali lì in quel territorio in grado di garantire i diritti umani per chi migra.

E contemporaneamente, signora Ministra, andiamo a compiere questa operazione nel momento in cui abbiamo descritto il nostro interesse per l'Africa a partire dal tema della cooperazione. Tutti hanno ascoltato le parole del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Alfano, quando ha detto, con una certa nonchalance, alle Commissioni riunite che il cosiddetto Fondo Africa viene utilizzato non per misure di sostegno allo sviluppo in quell'area, ma per operazioni di carattere securitario. E se noi immaginiamo di iniziare da lì, secondo me facciamo un errore molto grave, e che pagheremo nel corso degli prossimi anni.

Ho terminato. Nel luglio 2017, signora Presidente, compare un post su Facebook, poi cancellato: “Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo, ma abbiamo il dovere morale di aiutarli, e di aiutarli davvero a casa loro”. Non era un post dei colleghi della Lega, non era un post di Salvini, non era un post del razzista Fontana: era il post di un esponente del campo dei progressisti di questo Paese. Se la traduzione “aiutiamoli a casa loro” è mettere i soldi solo sulla sicurezza e sulla chiusura delle frontiere, e non sulla cooperazione allo sviluppo e sulla difesa dei diritti umani, la mia impressione è che il rischio della matrioska, che apri Renzi ma dentro ti trovi o Salvini o Di Maio, è molto grande, e penso che sia un pericolo che questo Paese non deve correre (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista-Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Elio Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signora Presidente, signora Ministra, onorevoli colleghi, il gruppo di Forza Italia voterà a favore, come peraltro ha sempre fatto in questa legislatura, e non solo in questa legislatura, della partecipazione del nostro Paese alle missioni internazionali. È un voto favorevole che Forza Italia fa nell'interesse dell'Italia e nell'interesse dei nostri militari impegnati in Italia e all'estero. Essere una forza politica, un gruppo parlamentare, che, pur nel momentaneo esercizio di ruolo di opposizione, vuole manifestare in questo modo la propria responsabilità nei confronti degli interessi generali del Paese, non vuol dire essere una forza di opposizione a favore del Governo, della sua politica estera, della sua politica di difesa. Politica estera e di difesa rispetto alle quali, invece, nutriamo forti perplessità e numerose critiche, che cercherò di rappresentare.

È proprio sul terreno della politica estera, dell'immagine del nostro Paese, del ruolo del nostro Paese presso le istituzioni internazionali, e sui vari fronti che riguardano la politica internazionale, che si misura la grandezza di un Paese. È per questo che noi riteniamo di dover anteporre l'interesse generale del nostro Paese e del ruolo stesso che il nostro Paese deve avere all'estero, rispetto alle ragioni di critiche e di perplessità che pure abbiamo nei confronti della politica estera e di difesa del Governo.

Preoccupa piuttosto, ma non sorprende, che altre forze di opposizione abbiano manifestato anche in questo dibattito, in questa sede, la loro contrarietà non solo a delle missioni internazionali che sono strategiche per il contrasto al terrorismo internazionale, per la lotta all'immigrazione clandestina, ma che con la loro opposizione e la loro posizione distruttiva nei confronti di queste missioni internazionali, mostrino anche di non avere a cuore l'interesse nazionale. Mi domando, ad esempio: quei gruppi - abbiamo sentito poco fa il collega della Sinistra o anche il gruppo che parlerà dopo di me, il MoVimento 5 Stelle - che dichiarano apertamente la loro contrarietà a queste missioni, come collocherebbero il nostro Paese dal punto di vista delle alleanze internazionali? Io credo che sia irresponsabile politicamente e istituzionalmente assumere queste posizioni, che porterebbero il nostro Paese al di fuori della tradizione, che l'Italia ha sempre avuto, di partecipazione agli organismi occidentali, atlantici, che appartengono appunto alla tradizione storica del nostro Paese nella politica estera e sugli scenari internazionali.

Preoccupa che queste forze possano pensare di candidarsi al Governo del Paese. La politica estera è una cosa seria, la politica di difesa è una cosa seria, lasciamola ai partiti seri (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

Dicevo delle perplessità e delle critiche alla politica del Governo. La prima è sicuramente sul fronte orientale, quello che riguarda il confine orientale della NATO con la Russia, peraltro ripresa anche dalla partecipazione del nostro Paese alle missioni attualmente in corso e confermate in Lettonia e in altri Paesi del confine orientale. Noi voteremo a favore della partecipazione - come ho detto - del nostro Paese anche a queste missioni, ma nutriamo forti dubbi che questa possa essere l'unica politica che l'Italia, l'Unione europea e la NATO possano avere nei confronti del grande attore della politica internazionale che è la Russia oggi. Vorremmo, proprio richiamando lo spirito di Pratica di Mare (quando il Presidente Berlusconi, in quella storica occasione, portò la Russia a sedere al tavolo della NATO, al tavolo dei grandi, dei vertici internazionali), che oggi, in una linea di continuità della politica estera, il nostro attuale Governo si facesse interprete di questa esigenza, che non è solo dell'Italia, ma dell'Europa e del mondo intero: avere con la Russia una politica di collaborazione e non una politica di contrapposizione.

La Russia è un partner troppo importante, un attore troppo importante sugli scenari internazionali, per poter pensare di ridurre il confronto con la Russia alla nostra partecipazione alle missioni della NATO sul confine orientale dell'Europa. Su questo il Governo deve fare di più e deve interpretare quella politica estera del Governo Berlusconi, richiamando appunto la stessa continuità che noi, con il nostro voto, vogliamo oggi interpretare.

L'altro aspetto sul quale siamo fortemente critici è la politica di contrasto all'immigrazione clandestina. Le missioni che riguardano la nostra partecipazione in Libia, quella nuova che si innesta oggi sul Niger, ci vedono sicuramente a favore, ma con questo spirito: devono essere delle missioni che abbiano come loro primo obiettivo quello di servire a combattere l'arrivo degli immigrati clandestini nel nostro Paese. Ciò non per ragioni di indisponibilità umanitaria, ma per ragioni di contrasto al traffico criminale che c'è dietro a questi viaggi della morte, non della speranza, ma di finanziamento del terrorismo internazionale, della possibilità stessa che terroristi internazionali di rientro dalla Siria, dall'Iraq, arrivino nel nostro Paese e, tramite il nostro Paese, in Europa.

È una questione troppo importante per poter essere gestita o lasciata alla improvvisazioni o ai sentimenti umanitari. Il nostro Paese non ne può più accogliere; l'interesse del nostro Paese e dell'Europa è che non ne arrivino più.

Altro fronte, che non riguarda la politica estera, ma che pure dovremmo affrontare, è quello dell'espulsione degli immigrati clandestini irregolari che ci sono nel nostro Paese. Oggi quello che riguarda queste missioni internazionali è fare in modo che non ne arrivino più. Accanto alla partecipazione militare del nostro Paese alle missioni internazionali va anche qui ripresa con decisione la politica del Presidente Berlusconi, dei Governi Berlusconi, di fare degli accordi efficaci con i Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, Libia e Tunisia in primis.

Vorrei anche ricordare all'ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che polemizza con noi per quanto riguarda le politiche dell'accoglienza, che è stato il suo attuale partner, l'ex Ministro della politica estera del Governo Letta, onorevole Emma Bonino, a chiarire come siano stati gli accordi sbagliati, sottoscritti dai Governi di centrosinistra, a fare in modo che tutti debbano arrivare in Italia, che l'Italia debba accogliere tutti i migranti che si perdono nel Mar Mediterraneo e che debba gestire tutte le loro pratiche (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente). Sono stati gli accordi sottoscritti dai Governi di centrosinistra; non lo diciamo solo noi, lo ha detto il suo alleato Emma Bonino.

Mi avvio a concludere ricordando quello che dicevo all'inizio: non c'è solo una ragione di interesse generale del nostro Paese di continuità della politica estera, che ci porta a votare a favore, ma c'è anche una ragione di vicinanza e di gratitudine ai nostri militari, che sono impegnati concretamente in queste missioni, migliaia di persone impegnate in decine e decine di Paesi, in tutti i continenti del mondo.

Vi sono tra questi anche i militari impegnati nella missione antipirateria Atalanta. Concludo ricordando una vicenda che non si è ancora conclusa, che ha visto il Parlamento protagonista: i due nostri militari che hanno partecipato alle missioni antipirateria, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente), sui quali il Parlamento ha fatto sì che il Governo assumesse finalmente, dopo quattro anni di ingiusta prigionia, la strada dell'arbitrato internazionale, che li ha riportati in Italia (stanno in Italia provvisoriamente), in attesa delle decisioni del tribunale internazionale, al quale ci siamo finalmente rivolti dopo che anche il Governo Renzi ha perso tempo in inutili trattative con l'India, che deciderà di chi è la competenza.

Il nostro voto a favore è anche un voto di vicinanza ai militari impegnati nelle missioni internazionali (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente), nelle missioni antipirateria e anche ai nostri due fucilieri di marina, che hanno diritto a veder riconosciute le loro ragioni di innocenza e le ragioni del nostro Paese nel rivendicare l'autonomia e il diritto di giudicare i nostri militari quando sono impegnati in missioni all'estero (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Manlio Di Stefano. Ne ha facoltà.

MANLIO DI STEFANO. Grazie, Presidente. L'Assemblea di oggi, per uno strano scherzo del destino, segna un ponte immaginario tra l'inizio e la fine di questa legislatura, fatta di false promesse. Sì, perché il primo atto politico del MoVimento 5 Stelle in quest'Aula è stato la presentazione di una mozione che chiedeva il ritiro immediato delle nostre truppe dall'Afghanistan. La bocciaste dicendo che il rientro delle truppe fosse già previsto entro un anno. Sono passati cinque anni e le nostre truppe sono ancora a Kabul, insomma era solo la prima di una serie di bugie che avremmo vissuto negli anni a seguire. Questa risoluzione che portate oggi rappresenta quindi il triste addio di un Governo che sarà ricordato tra i peggiori della nostra Repubblica, soprattutto in materia di politica estera e di vicinato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

È incredibile persino a dirsi, ma dopo anni che vi sentivamo dire “Per le missioni sarà tutto lineare quando avremo una legge quadro”, quando finalmente siamo riusciti ad avere una legge quadro, approvandola, siete stati voi stessi a violarla, portando in Aula un atto di indirizzo a Camere sciolte, cosa proibita o dalla Costituzione o dalla legge quadro, perché le due siete riusciti a farle anche in contraddizione una con l'altra.

Come se non bastasse, avete pure l'arroganza di prorogare le missioni già in essere di nove mesi, dando quindi un onere pure al nuovo Governo, anche se quel nuovo Governo magari la vede in maniera diametralmente opposta da come la vedete voi.

Questo è solo l'aspetto tecnico, ora però passiamo al merito di questa risoluzione, che è persino peggiore dell'aspetto tecnico: non mi soffermerò sulle missioni che abbiamo già discusso per tante volte (Afghanistan e tutte le altre), perché sapete già come la pensiamo.

Vorrei invece focalizzarmi sulla nuova missione, quella per la quale, in fin dei conti e in realtà, siamo qui oggi: la missione che vi ha chiesto la Francia, la missione in Niger.

Quello che molti italiani non sanno dal dibattito pubblico - ed è anche il motivo per il quale persino Papa Francesco, tramite gli organi della Chiesa, quindi la CEI e gli altri, è contrario e si è espresso apertamente - è che questa probabilmente è la missione militare più complicata degli ultimi cinquant'anni a livello tecnico-logistico, dato che i nostri militari si troveranno a dover attrezzare e strutturare da zero un fortino della Legione straniera francese degli anni Trenta, sperduto nel deserto montagnoso, nell'avamposto di Madamà, a 100 chilometri dal confine sud della Libia e a 800 chilometri da Agadez.

Intorno, sui monti, le tribù Toubou a sinistra, a destra Algeria e Ciad, due polveriere dello jihadismo. Qualcuno dirà che una situazione simile l'abbiamo vissuta e la viviamo ancora in Afghanistan, ma le due cose sono totalmente differenti l'una con l'altra, dato che in Afghanistan, volenti o nolenti, abbiamo sempre avuto il sostegno della NATO, mentre in Niger saremo da soli o, al massimo, con un leggero supporto francese e tedesco.

Cosa accadrà quindi - e questa è la più grande contraddizione - nel caso di un attacco alla base, visto che vi prodigate a dire che la missione è no combat? Ma se è no combat, chi difenderà i nostri uomini e il nostro contingente in Niger (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)?

I costi: i costi sono poi esorbitanti, basti pensare che l'unico modo per ottenere mezzi, rifornimenti, truppe e materiali è per via aerea e che per soli nove mesi stiamo stanziando ben 31 milioni di euro - non vorrei fare la solita retorica, ma è così - soldi che non trovate mai quando c'è da approvare qualche finanziamento per quello che riguarda il welfare e il bene pubblico.

Gli scopi che dite di avere sulla carta sono due principali: addestrare le truppe nigerine - e quindi non si capisce perché posizionarci in mezzo al deserto, dove certamente non addestreremo nessuno - e il secondo, quello per il quale altri gruppi di teorica opposizione vi stanno venendo dietro, bloccare i flussi migratori illegali…

PRESIDENTE. Colleghi, per favore, potete abbassare il tono della voce? Prego.

MANLIO DI STEFANO. …che da Agadez vanno verso la Libia. Su questo secondo punto l'errore è palese e non ci vuole certamente il MoVimento 5 Stelle per capirlo: in un'area così vasta – ripeto: siamo in mezzo al deserto montagnoso - non è difficile immaginare che i trafficanti possano aggirare il controllo, sconfinando in Algeria per entrare a sud di Ghat o in Ciad e, in entrambi i casi, si può entrare in Libia agevolmente. È quello che fanno già oggi tra l'altro i trafficanti, ma noi ci andiamo a piazzare proprio lì.

Trovandosi in pieno deserto, oltretutto, ci mettiamo davanti a un ulteriore problema, per il quale io ho parlato direttamente con membri sia di Frontex che dell'OIM, che operano già in Niger: ovvero, avendo una visione, una visuale a chilometri, si permetterebbe sostanzialmente ai trafficanti di uomini di vedere da lontano le colonne di militari che fanno il pattugliamento nel deserto, di conseguenza si permetterebbe ai trafficanti di mollare i migranti in mezzo al deserto, costringendoci quindi ovviamente e giustamente a fermarci per soccorrerli, lasciando quindi ai trafficanti via libera per scappare e a noi l'onere di recuperare, in una situazione complicata, i migranti abbandonati, onde evitare di lasciarli morire nel deserto.

Una missione quindi oggettivamente, a una prima analisi, senza alcun senso. E dire che due soluzioni migliori ci sono e noi ne parliamo da almeno due anni: la prima, che avete fatto finta di avviare con le grandi opere del nostro Ministro Minniti in Libia, consiste nel monitorare la costa libica; avete provato a farlo, in realtà quello che abbiamo creato è un accordo simile a quello di Berlusconi, che poi non portò a nulla di risolutivo nel lungo periodo.

La seconda, quella più efficace, di cui parliamo da tanto tempo in realtà, sarebbe quella di pattugliare il fiume Niger, che è il confine naturale del Niger a sud, da dove tutti i migranti sono costretti a passare: pensate che, secondo alcune stime, basterebbe una dozzina di barche diciamo a monitorare il fiume per bloccare l'intero flusso.

In compenso, la Francia ottiene tre risultati immediati: uno, un enorme risparmio economico dopo decenni di post colonialismo pagato a caro prezzo; due, la cessione all'Italia della responsabilità di nuove tragedie nel deserto e, come si sa, fa più effetto un morto fotografato nel deserto che cento negli abissi del Mediterraneo; tre, Macron non sarà colui che ha rovinato gli affari d'oro dei regimi africani amici suoi e amici storici dell'Internazionale socialista, non a caso Hollande faceva grandi affari e grandi accordi con il Presidente nigerino Issoufou, che da decenni alimentano il loro sistema corruttivo e speculano con l'Europa proprio grazie ai flussi migratori.

E qui diamo un dato su tutti, lo ripetiamo da anni: sono 200 i miliardi che ritornano come rimesse dei migranti africani in Africa, a fronte dei 50 che mettiamo come cooperazione in Unione europea verso i Paesi africani. È evidente che ai presidenti africani non convenga bloccare i flussi migratori. D'altronde, era stato proprio Macron ad affermare recentemente che la Françafrique andasse superata in favore di una normale politica estera nei confronti dei Paesi africani. Difficile, però, credere che in questa frase vi fosse la reale idea di lasciar liberi e indipendenti quei Paesi post-colonie e non, invece, la necessità francese di ridurre i costi dell'influenza in quei territori, in un periodo di vacche magre anche per loro. La domanda a questo punto è scontata: cosa spinge il nostro Governo a sostenere questo accordo, che è quello che dovrebbe interessare gli italiani?

Qualche risposta ce la danno subito le parole di Macron in visita a Roma qualche giorno fa, quando ha affermato due cose chiave: l'Europa ha avuto molta fortuna ad avere Paolo Gentiloni in questi ultimi mesi e un'Italia che crede nell'Europa è buona e positiva per l'Europa.

In buona sostanza, tre concetti chiave: sostegno elettorale a Gentiloni, briciole di quel che avanza dall'accordo e dall'asse franco-tedesco a questo Governo e sostegno post-elettorale per un Gentiloni-bis in caso di stallo nella formazione di un nuovo Governo.

In poche parole, la linea europea la detteranno ancora e sempre Merkel e Macron, ma se li aiutate in Niger il sistema di potere che vi sostiene sarà garantito anche in futuro, con quei tristemente famosi “ce lo chiede l'Europa”.

Avremmo avuto bisogno di tanto altro: di ricostruire i rapporti di vicinato nel Mediterraneo, centrandoli sul mutuo rispetto e sulla reciproca convenienza. Avremmo avuto bisogno di far crescere la nostra Italia e renderla protagonista in Europa, anziché suddita degli interessi altrui, ma tutto questo non è mai stato la vostra missione, tanto meno quella di chi vi manovra.

In un Paese con 18 milioni di poveri o a rischio povertà, 11 milioni di persone che non si curano più per motivi economici, 3 milioni di disoccupati, 2 milioni e mezzo di precari, 14 milioni di abitanti nelle periferie, 700 mila senza casa, quasi 5 milioni di emigrati all'estero e con salari di chi lavora tornati al livello del 1995 - dati del Fondo Monetario Internazionale - è facile fare la voce grossa, in Libia come in Niger, come sulla questione dei migranti. È, quindi, normale e del tutto comprensibile che Macron sarebbe contento di rivedere, dopo il 4 marzo, un Gentiloni, non per forza Paolo, sia chiaro, un Gentiloni qualunque a Palazzo Chigi.

Più l'Italia affonda e più la Francia e la Germania comandano; è questa la missione chiara. Purtroppo per loro, però Presidente, questa volta la storia andrà diversamente. Il fallimento che avete seminato in questi cinque anni di lungo e triste mandato per i troppi e tanti Gentiloni qualunque che hanno governato dall'era Monti in avanti ha piegato la schiena degli italiani, che hanno capito quello che la vostra politica sta creando in Italia. Allora, è evidente che il vincolo esterno che ci ha governato in questi anni debba e possa cadere. Deve cadere la nostra sudditanza dall'asse Macron-Merkel e la sorpresa a queste persone e soprattutto a voi, che credete di fare ancora i vostri giochi di potere grazie agli endorsement di queste persone, arriverà dopo il 4 marzo quando, per la prima volta, ci sarà un Governo in grado di dettare, autonomamente e in piena libertà, la propria linea politica estera e interna, in difesa degli interessi strategici nazionali e a tutela dei diritti degli italiani, un Governo fatto di persone libere, con le mani libere di agire per questi interessi, un Governo del MoVimento 5 Stelle (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Moscatt. Ne ha facoltà.

ANTONINO MOSCATT. Grazie, Presidente. Ministri, gentili colleghi, mi dispiace deludere qualcuno ma io sono francamente onorato di concludere questa legislatura con la dichiarazione di voto sulle missioni internazionali. Ci tengo particolarmente perché voglio ribadire, anche se l'ho detto spesso, molto spesso, che le missioni internazionali sono un fiore all'occhiello della nostra politica estera e di difesa e mi permetto in quest'occasione di ringraziare la Ministra Pinotti, il sottosegretario Amendola e il Governo tutto per l'eccellente lavoro svolto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Le missioni italiane all'estero dunque rappresentano un momento fondamentale della politica italiana. Infatti, basta pensare alle cifre: nel 2017 il personale delle Forze armate impiegato nei teatri operativi è stato di circa 6.700 unità; nel 2018 l'Italia sarà attiva in 35 operazioni dispiegate in 22 Stati e in tre continenti, Europa, Africa e Asia. L'impegno è concentrato soprattutto ai confini dell'Europa e nelle aree del Mediterraneo allargato, ovvero in quelle zone dove tensioni e disordini stanno causando grandi crisi interne e certamente rischiano di causare in futuro effetti più o meno diretti o immediati anche per il nostro Paese. Infatti, il dibattito sulle missioni internazionali deve essere anche il momento della chiarezza e della franchezza. Siamo di fronte a un vero cambiamento nel tema della sicurezza; il mondo è cambiato in questo senso, il modo di fare la guerra è cambiato, il modo di minare la sicurezza e la democrazia degli altri Stati è cambiato e sono in gioco ormai anche la nostra sicurezza, il nostro stile di vita di Paese libero e di società aperta.

Vorrei ricordare all'Aula, però, che oggi noi non arriviamo dal nulla e ciò che proponiamo non è una cosa nuova. I numeri che ho elencato non sono vuoti ma fanno parte di una strategia complessiva, una strategia di lungo corso che ci ha visti impegnati, in questi ultimi anni, e che ci ha fatto conquistare la stima e la fiducia della comunità internazionale. Siamo stati impegnati e presenti nel Mediterraneo, prima con Mare Nostrum e poi con le operazioni Sophia e Mare Sicuro, per evitare tragedie umane derivanti dal traffico di uomini, donne e bambini e per poter svolgere l'attività di supporto alla guardia costiera e alla marina militare libica. La nostra presenza ha contribuito all'arresto di trafficanti, ha neutralizzato oltre 255 imbarcazioni ma, soprattutto, ha permesso di salvare migliaia di vite umane. Siamo presenti in Libano con attività straordinariamente condotte da uomini e donne, da militari che hanno mostrato e si muovono con grande competenza, con grande capacità e, soprattutto, con grande umanità. Siamo presenti nei Balcani, in Somalia, in Mali, in Niger, in Egitto e a Gibuti. Siamo presenti anche in Turchia, dove abbiamo prolungato solo per un semestre, ovvero per i tempi tecnici di sostituzione da parte della NATO.

Ora, non voglio dilungarmi nei dettagli del provvedimento, dato che lo ha fatto in maniera eccellente il relatore così come lo hanno fatto in maniera eccellente gli altri colleghi. Io voglio pormi e porvi una domanda: che cos'è la sicurezza?

PRESIDENTE. Colleghi, per favore potete abbassare il tono della voce? Per favore. Prego, deputato, continui.

ANTONINO MOSCATT. Ripropongo, Presidente, all'Aula la domanda: che cosa è la sicurezza? Come si raggiunge questa sicurezza? Come si conquista questa sicurezza? Dopo i tragici fatti di Parigi, Nizza e Londra - e potrei, purtroppo, continuare con gli esempi - come ci si difende? Come ci si difende da questi attacchi? Dovremmo forse richiamare le nostre truppe sparse per il mondo e piazzarle ai confini del nostro Paese? Oppure, rafforzare quell'azione integrata di interventi, quell'azione di concertazione internazionale per intervenire nei luoghi di crisi del mondo? Ebbene, noi siamo stati e siamo convinti della seconda soluzione. Per questo il mosaico di interventi che ho testé enunciato oggi e che oggi riconfermiamo si arricchisce ora di altri e nuovi tasselli: in Libia, dove attiveremo una nuova missione di assistenza e supporto al Governo nazionale libico che assorbirà le missioni già presenti in una cornice unitaria e per questo più agevole a rendere l'azione italiana di assistenza e supporto più incisiva ed efficace; in Tunisia, nell'ambito della missione NATO; infine, quella che forse consideriamo la più importante, in Niger. Si tratta di una missione nazionale, attivata su richiesta delle autorità nigerine e regolata da accordi bilaterali. L'intervento vedrà l'Italia inserirsi nell'azione coordinata di più attori locali e internazionali. L'obiettivo è supportare lo sviluppo delle forze di sicurezza nigerine e l'azione dei Paesi del G5 Sahel nonché di concorrere alla sorveglianza delle frontiere e del territorio.

Queste missioni, colleghi, non mascherano nulla. Con queste missioni contribuiamo a produrre sicurezza perché se non c'è sicurezza e se non aiutiamo queste popolazioni a migliorare le loro condizioni di vita non potremo scongiurare il terrorismo né, tanto meno, il dramma dei grandi flussi migratori. Noi stiamo facendo molto in tal senso e il nostro Governo si è battuto per una nuova idea di cooperazione internazionale allo sviluppo e proprio per questo sotto la nostra legislatura è nata l'Agenzia per la cooperazione allo sviluppo. Nell'anno appena trascorso si è segnato un grande risultato: Daesh è stato sconfitto nel terreno e anche questo con il determinante contributo italiano, sia militare sia politico. Ma sappiamo anche che questo non vuol dire aver sconfitto il terrorismo. Infatti, questo non ci mette al riparo dai foreign fighters e non ci fa dimenticare i nostri obblighi come membri della comunità internazionale, ma certamente ci permette di rimodulare le risorse dei nostri contingenti in Iraq e in Afghanistan, dove siamo stati determinanti. Infatti, basti pensare che abbiamo formato più di 30 mila militari e più di 10 mila forze di polizia. Apriamo un nuovo fronte in aree di crisi più geograficamente vicine a noi e, di conseguenza, in aree che hanno un impatto più strategico per il nostro Paese. E, dunque, il Niger, la Libia e il Mediterraneo più allargato sono proprio questo: un investimento politico, economico e diplomatico prima ancora che militare.

Colleghi, questi sono i fatti. Oggi invece alcuni hanno provato a riproporre il rewind di azioni ed atteggiamenti…

PRESIDENTE. Colleghi, per favore. È veramente molto difficile parlare in queste condizioni. È possibile avere un po' di silenzio, un po' di rispetto da parte di quest'Aula per favore? Possiamo evitare di parlare tutti insieme? C'è qualcuno che ha la parola in quest'Aula. Per favore. Prego, deputato.

ANTONINO MOSCATT. Grazie. Dicevo, Presidente, che oggi ai fatti qualcuno ha riproposto il rewind di atteggiamenti e modi di fare attività politica del passato, dove era tutto giusto o sbagliato a prescindere dai punti di vista degli altri, senza provare a capire quali punti di convergenza e quali punti di contatto o di dialogo si potevano trovare, così come è stato fatto in questi anni. Però, questi anni mi hanno insegnato una cosa importante - e permettetemi la metafora -, cioè che non si può vedere tutto cielo o tutto mare ma è provando a scrutare quella sottile linea di congiunzione tra il cielo e il mare che si costruisce l'orizzonte della democrazia.

Viviamo in tempi complessi, Presidente, in una società composta da pezzi frangibili; è soltanto creando cuscinetti di buonsenso e promuovendo e ascoltando le ragioni dell'altro che si riesce a non mandare tutto a frantumi.

Avete ribadito, in quest'Aula, che ci stiamo assumendo una grande responsabilità, ed è vero, ci stiamo assumendo una grande responsabilità, ma noi lo facciamo con vanto e non con colpa; ci stiamo assumendo la responsabilità di rispondere all'appello, alla richiesta di Stati in condizione di bisogno che lottano ogni giorno per garantire ai propri cittadini sicurezza, stabilità, pace e democrazia. Ci stiamo assumendo la responsabilità con determinazione e coerenza, così come con determinazione e coerenza ci siamo assunti la responsabilità di approvare provvedimenti in questi anni, di correggerli, se era il caso, ma sempre di difenderli fuori dalle Aule parlamentari, senza ripensamenti, senza tornare indietro come qualche gruppo, oggi, sta facendo. Ci siamo assunti la responsabilità della scelta e lo abbiamo fatto perché siamo convinti che uno Stato può essere considerato grande, solo quando le istituzioni che lo governano e la classe politica che lo governa sono nelle condizioni di difendere i diritti, di promuovere i diritti e di non fare la lotta contro i diritti, di lanciare nuovi linguaggi, rifuggendo dal disseminare paura, di lanciare nuovi linguaggi, rifuggendo dal riproporre temi e concetti come quello della razza. Ci assumiamo la responsabilità, perché quando ci si assume la responsabilità, in un grande Paese, lo si fa, perché si è convinti che per essere grandi bisogna guardare oltre i propri confini, sia fisici che mentali, e si sta bene, c'è sicurezza, dentro i propri confini, solo quando popoli lontani riescono a emanciparsi dalla disperazione, dalla miseria e dalla paura. Siamo alla fine di questa legislatura; noi abbiamo fatto tutto questo e permettetemi di dire che - e chiudo, Presidente - sono fiero di aver fatto parte di un gruppo di uomini e donne che ha svolto il proprio compito con competenza, sacrificio e passione viva. Certo, probabilmente abbiamo commesso qualche errore, ma sicuramente lasciamo un Paese migliore di come l'abbiamo trovato, lasciamo un Paese migliore e più credibile di come l'abbiamo trovato e di questo siamo orgogliosi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Per tutti questi motivi e per tutte quelle buone ragioni che probabilmente la storia un giorno ci narrerà, dichiaro il voto favorevole del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Maurizio Bianconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BIANCONI. Presidente, sono contrario alle nostre missioni militari all'estero; esse, sempre circondate da parole politicamente corrette e da riconoscimenti di ogni genere, nella realtà, sono pressoché sempre causate da azioni promosse per scopi e vantaggi a noi estranei e, spesso, addirittura contrari all'interesse nazionale, come l'intervento in Libia, voluto, soprattutto, dalla Francia, che si è risolto per noi in un disastro generale. Oggi, ormai avviati ad un declino inglorioso, sigilliamo, con la missione in Niger, la nostra collocazione internazionale come gregaria e subalterna alla Francia e ai suoi interessi; Francia che, per suo conto, ha tenuto a ribadire come l'asse franco-tedesco fosse strutturale, con evidente avvilimento degli interessi, della posizione e del prestigio dell'Italia. Ribadisco, dunque, il mio voto contrario, espresso proprio a tutela del prestigio della nostra nazione e a tutela dell'interesse nazionale e della nostra dignità.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

Sul grave incidente sul lavoro verificatosi a Milano (ore 16,30).

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lei, l'intera Assemblea e i membri del Governo). Colleghe e colleghi, prima di passare ai voti, vorrei l'attenzione di quest'Aula. Come sapete ieri si è verificato a Milano, presso un'azienda specializzata nella produzione di acciaio e titanio, un incidente nel quale sono morti tre lavoratori, mentre altri tre sono ricoverati, uno dei quali in gravissime condizioni. Certamente, occorre fare piena luce, in tempi rapidi, sulle cause e sulle responsabilità di questa inammissibile tragedia; al tempo stesso, al di là di quanto sarà accertato dall'autorità giudiziaria, è forte l'amarezza nel constatare come nel nostro Paese, dieci anni dopo la strage della Thyssenkrupp e malgrado gli interventi legislativi adottati dal Parlamento, la sicurezza sul lavoro resti un grande problema irrisolto. È quanto confermano, nella loro cruda realtà, anche i dati ufficiali che evidenziano nel 2017, dopo un lungo periodo di riduzione, un aumento sia degli infortuni sul lavoro denunciati, sia dei morti, ben 952. Il tema della sicurezza sul lavoro deve, dunque, essere sempre più al centro dell'attenzione di tutte le istituzioni competenti e, soprattutto, del sistema produttivo, affinché tali tragedie non si ripetano più.

Desidero ora rivolgere, a nome mio e dell'intera Assemblea, un commosso omaggio alle vittime di questa tragedia nonché l'espressione del più sentito cordoglio ai loro familiari e voglio, inoltre, augurare una pronta guarigione ai lavoratori che sono rimasti feriti. Invito, dunque, l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio).

Si riprende la discussione.

(Votazioni - Doc. XVI, n. 5)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Come da prassi le risoluzioni saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.

Passiamo alla votazione della risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, sulla quale il Governo ha espresso parere favorevole.

Avverto che ne è stata chiesta la votazione per parti separate. In particolare, i presentatori delle altre risoluzioni, ad eccezione del deputato Pili, hanno avanzato richieste di votazione per parti separate corrispondenti alle missioni per le quali, nell'ambito delle rispettive risoluzioni, hanno proposto di negare l'autorizzazione.

Poiché le varie richieste formulate si intersecano tra loro, la Presidenza ha ritenuto di accoglierle in modo da renderle reciprocamente compatibili.

Quindi, si procederà alle seguenti votazioni per parti separati della risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382: dapprima la premessa, insieme alla parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 1, 8, 21, 23, 25, 26, 27, 28, 29 e 36, unitamente all'autorizzazione delle nuove missioni relative alle schede nn. 5/2018 e 6/2018; quindi, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione e alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede 2, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 30, 31, 34, 43, 44, 45, 46, 47 e 49, unitamente all'autorizzazione della nuova missione relativa alla scheda n. 4/2018. Successivamente, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 9, 24, 32 e 35. A seguire, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 11, 37 e 38. Quindi, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 33, 39 e 40, unitamente all'autorizzazione delle nuove missioni relative alle schede nn. 1/2018, 2/2018 e 3/2018. Infine, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione della missione in corso che è relativa alla scheda n. 48.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, limitatamente alla premessa e alla parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 1, 8, 21, 23, 25, 26, 27, 28, 29 e 36, unitamente all'autorizzazione delle nuove missioni relative alle schede nn. 5/2018 e 6/2018, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera approva (Vedi votazione n. 1).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, limitatamente alla parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 30, 31, 34, 43, 44, 45, 46, 47 e 49, unitamente all'autorizzazione della nuova missione relativa alla scheda n. 4/2018, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera approva (Vedi votazione n. 2).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, limitatamente alla parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 9, 24, 32 e 35, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera approva (Vedi votazione n. 3).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, limitatamente alla parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 11, 37 e 38, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera approva (Vedi votazione n. 4).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, limitatamente alla parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione delle missioni in corso relative alle schede nn. 33, 39 e 40, unitamente all'autorizzazione delle nuove missioni relative alle schede nn. 1/2018, 2/2018 e 3/2018, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera approva (Vedi votazione n. 5).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382, limitatamente alla parte dispositiva relativa all'autorizzazione alla prosecuzione della missione in corso relativa alla scheda n. 48, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera approva (Vedi votazione n. 6).

Avverto che, a seguito dell'approvazione della risoluzione Garofani, Cicchitto, Santerini, Locatelli, Quintarelli ed altri n. 6-00382 nel suo complesso, risultano assorbite o precluse le parti dei dispositivi delle altre risoluzione volte rispettivamente a concedere o a negare l'autorizzazione alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali per l'anno 2018. Risulta altresì interamente precluso anche il dispositivo della risoluzioni Pili n. 6-00385: conseguentemente, non si porrà in votazione la relativa premessa.

Passiamo allora alla votazione della risoluzione Palazzotto, Scotto ed altri n. 6-00383, nell'ambito della cui parte dispositiva l'autorizzazione o il diniego di tutte le missioni internazionali risultano rispettivamente assorbiti o preclusi. Ne pongo dunque in votazione la premessa, unitamente ai due impegni al Governo non assorbiti o preclusi. Il Governo ha espresso parere contrario.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla premessa e sui due impegni al Governo non assorbiti o preclusi della risoluzione Palazzotto, Scotto ed altri n. 6-00383.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera respinge (Vedi votazione n. 7).

Passiamo adesso alla risoluzione Frusone ed altri n. 6-00384 (Versione corretta). Poiché la parte dispositiva risulta in parte assorbita e in parte preclusa dalle precedenti deliberazioni, ne verrà posta in votazione solo la premessa.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla premessa della risoluzione Frusone ed altri n. 6-00384 (Versione corretta), su cui il Governo ha espresso parere contrario.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera respinge (Vedi votazione n. 8).

Passiamo alla risoluzione Artini ed altri n. 6-00386 (Versione corretta), nell'ambito della cui parte dispositiva l'autorizzazione o il diniego di tutte le missioni internazionali risultano rispettivamente assorbiti o preclusi. Quindi ne pongo in votazione la premessa, unitamente agli impegni al Governo non assorbiti o preclusi. il Governo ha espresso parere contrario.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla premessa e gli impegni al Governo non assorbiti o preclusi della risoluzione Artini ed altri n. 6-00386 (Versione corretta).

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera respinge (Vedi votazione n. 9).

Avverto che la Camera sarà convocata a domicilio, come si dice, e dunque la seduta è tolta. Arrivederci a tutti i colleghi e le colleghe.

La seduta termina alle 16,50.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: ANDREA MANCIULLI (DOC. XVI, N. 5)

ANDREA MANCIULLI, Relatore per la III Commissione. (Relazione – Doc. XVI, n. 5). Illustre Presidente, onorevoli colleghi e illustre rappresentanti del Governo, l'Aula della Camera si appresta a deliberare per la terza volta in tema di missioni internazionali da quando è entrata in vigore la legge n. 145 del 2016, nota come legge quadro sulle missioni internazionali.

Rivendico con orgoglio il risultato conseguito grazie a questo nuovo strumento di riordino normativo che permette di contemperare il doveroso carattere democratico della dinamica decisionale su una materia tanto delicata anche sul piano dell'impatto finanziario, alla necessaria celerità del relativo processo decisionale, nel superiore interesse alla tutela della pace, nonché della vita e dell'integrità degli uomini e delle donne, militari e civili, impegnati sul terreno nei numerosi teatri operativi.

Sul piano del metodo sono orgoglioso anche della decisione assunta dalla Conferenza dei capigruppo lo scorso 9 gennaio che ha deciso di affidare al plenum dell'Aula una deliberazione dovuta, necessaria e urgente (in passato costituiva infatti materia di decreti legge) e assai delicata per la sicurezza dei connazionali impegnati all'estero, tanto più in regime di prorogatio.

L'anno appena trascorso è stato particolarmente intenso per l'Italia e la sua azione nelle missioni internazionali, negli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e stabilizzazione.

Pur rimanendo tale impegno in linea di continuità con gli anni precedenti, il 2017 è stato un anno denso di appuntamenti importanti, come la Presidenza italiana del G7, il mandato in Consiglio di Sicurezza, il nostro ruolo per la sicurezza del Mediterraneo, che hanno posto il nostro Paese al centro di un'agenda globale e ne hanno valorizzato la vocazione multilaterale.

Abbiamo operato in una situazione internazionale scossa da cambiamenti di portata epocale che stanno riscrivendo gli assetti economici, sociali e demografici in prossimità dei confini nazionali, i cui effetti ricadono direttamente sul nostro Paese.

L'impegno internazionale che il nostro Paese profonde ricorrendo allo strumento delle missioni militari e degli interventi di natura civile negli scenari di crisi costituisce la necessaria risposta a persistenti minacce di carattere transnazionale ed asimmetrico - il terrorismo, la radicalizzazione, l'insicurezza cibernetica, i traffici illeciti - e a fenomeni di instabilità potenzialmente pericolosi per la pace e la sicurezza della regione euro-mediterranea.

Tale impegno si fonda su un approccio onnicomprensivo alle crisi, proprio dell'Unione europea e pienamente condiviso dall'Italia, che correla l'intervento di carattere militare ad iniziative civili tese alla protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, all'investimento nell'istruzione e nella cultura, alla protezione e attenzione alle donne, ai giovani e alle minoranze.

Anche alla luce delle missioni e degli interventi autorizzati e in corso di svolgimento nel 2017, la presidenza italiana del G7, il mandato in Consiglio di Sicurezza dell'ONU e l'impegno per la stabilità del Mediterraneo hanno confermato la vocazione multilaterale della politica estera e di difesa dell'Italia, il convinto sostegno al processo di integrazione europea e al legame transatlantico, l'impegno per la difesa dei diritti umani, nel solco di quella vocazione mediterranea che guida tradizionalmente l'azione internazionale del nostro Paese.

Il Mediterraneo è stato parte essenziale della nostra Presidenza del G7 e del mandato in Consiglio di Sicurezza, oltre che della nostra azione nell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e nella NATO, facendo sì che tali organizzazioni perseguissero l'impegno comune nella lotta contro il terrorismo e per una condivisione più equa e responsabile delle conseguenze del fenomeno migratorio, come pure di tutte quelle altre sfide (come tragedie umanitarie e odio settario) che contribuiscono a rendere l'area del Mediterraneo allargato uno degli epicentri del disordine globale.

Il collasso della Libia, i flussi migratori dall'Africa, i massicci arrivi di rifugiati dalla Siria, la diffusione di Daesh dalla Tunisia all'Iraq, sono stati shock di cui pochi, in Europa, hanno immediatamente compreso le dimensioni. Si è nutrita a lungo l'illusione che il destino dell'Europa fosse separato da queste sfide e dal futuro del Mediterraneo.

L'Italia prosegue, quindi, anche nel 2018 la propria convinta e solida collaborazione in sede UE e NATO ed in piena conformità con il diritto internazionale per proiettare stabilità al di là dei propri confini grazie agli strumenti del dialogo politico, dell'assistenza alle istituzioni militari e civili di Stati fragili e della prevenzione delle crisi, rafforzando partenariati ed attività di sicurezza cooperativa nel segno della difesa europea e dell'Alleanza Atlantica quali dimensioni complementari nella tutela della pace e della sicurezza internazionali e regionali.

L'Unione europea ha lanciato un programma ambizioso sul rafforzamento della difesa e sicurezza europea. In tale contesto, sono state avviate iniziative con l'obiettivo di creare uno stimolo politico e un'architettura istituzionale volte al raggiungimento di tale scopo. Il lavoro si è concentrato lungo tre direttrici: potenziare lo sviluppo e le sinergie di capacità militari e civili, creare degli incentivi a forme di cooperazione intensificata mettendo a fattor comune le risorse degli Stati membri, rafforzare ed incentivare la base industriale e tecnologica de11a difesa europea.

Negli ultimi mesi del 2017 abbiamo raggiunto risultati incoraggianti, gettando le basi della futura difesa europea attraverso la notifica e l'imminente lancio della cooperazione strutturata permanente (PESCO) e istituendo il primo centro di comando unico per le missioni militari di formazione e consultive dell'Unione europea (Military Planning and Conduct Capability).

Si tratta di progressi importanti ma che consideriamo solo punti di partenza verso obiettivi più ambiziosi. In corrispondenza di tale avanzamento, occorre richiamare anche l'impegno del nostro Paese al consolidamento alla dimensione della PSDC civile.

Nelle 10 missioni operative in tale dimensione, l'Italia partecipa con circa una quarantina di esperti (variabili nel corso dell'anno) e intende mantenere tale livello di partecipazione anche per il 2018, con eventuali aggiustamenti nella distribuzione geografica degli esperti. Questo profilo non implica un ridimensionamento del ruolo della NATO o della posizione dell'Italia all'interno dell'Alleanza atlantica.

Al contrario, la NATO rimane il caposaldo del nostro sistema di sicurezza che - dalla fine della seconda Guerra Mondiale - ha contribuito a sessant'anni di pace in Europa e a un periodo di pace e prosperità senza precedenti. La centralità del legame transatlantico e il nostro sostegno all'Alleanza sono, oggi come ieri, fuori discussione. Riteniamo però necessario che l'Alleanza abbandoni le logiche da Guerra Fredda, ricalibrando le proprie priorità e risorse, adattandosi alla nuova realtà dei rapporti internazionali e alle nuove sfide, la maggior parte delle quali legata a minacce non più solo convenzionali, ma soprattutto asimmetriche, con attori non statuali e complessi traffici illeciti.

Riteniamo che solo ‘‘proiettando stabilità" oltre i propri confini attraverso dialogo politico e assistenza alle istituzioni (militari e civili) di stati fragili, solo rafforzando i partenariati e le attività di sicurezza cooperativa - in complementarietà con l'azione dell'Unione europea - la NATO potrà assolvere alla sua funzione storica di stabilizzazione. Le missioni da prorogare e le nuove missioni che il Governo intende avviare nel 2018 trovano, peraltro, fondamento nell'attuale quadro politico-militare, che si conferma complesso, in rapida e costante evoluzione, instabile e caratterizzato da un deterioramento complessivo delle condizioni di sicurezza.

Per quanto attiene alle nuove missioni, esse si concentrano in un'area geografica – l'Africa e nello specifico il Sahel – che riveste interesse strategico prioritario per la sicurezza dell'Italia, che, oltre a dover gestire i flussi migratori provenienti da tale continente, deve affrontare il rischio che un rallentamento del processo di pacificazione e di consolidamento delle istituzioni politiche della Libia sfoci in un nuovo fattore di minaccia per i propri interessi nazionali e per la sicurezza del bacino del Mar Mediterraneo.

Nella regione del Sahel molti Paesi continuano ad incontrare difficoltà nel controllo dei rispettivi territori e frontiere e si trovano a far fronte con una minaccia terroristica che si salda con traffici criminali e disagio sociale ed economico di ampie fasce di popolazione.

Persiste la minaccia di Boko Haram nella regione del lago Ciad, malgrado il maggior coordinamento tra i Paesi impegnati nel suo contrasto. La situazione nel Mali resta precaria, nel nord e nel sud del Paese e nella stessa capitale, oggetto di attentati. L'instabilità del Mali si riverbera anche sui Paesi confinanti.

Nel Corno d'Africa la minaccia di al Shabab rimane sempre molto alta e impedisce un avvio più deciso di una ripresa in Somalia. La situazione in Sud Sudan resta drammatica e preoccupano le tensioni esistenti tra l'Eritrea e i Paesi confinanti, come la diatriba tra Egitto ed Etiopia a causa della diga che quest'ultima sta costruendo sul Nilo In tale contesto, l'operato delle missioni civili UE in ambito PSDC ha rivestito un ruolo di rilievo.

Il rafforzamento della nostra presenza nelle operazioni già attive in tale teatro - EUCAP Niger, EUCAP Mali, EUTM Mali - cui va aggiunto anche il comando della Cellula di Coordinamento Regionale delle tre missioni stesse, testimoniano la rilevanza che il nostro Paese attribuisce alla pace e la stabilità in questo quadrante.

Il 2017 e il 2018 si connotano come gli anni del rilancio dell'impegno dell'Italia per l'Africa, inaugurato con l'istituzione del Fondo Africa. I dati sui risultati del nostro impegno in Africa sono stati efficacemente riferiti dal Ministro Alfano alle Commissioni riunite esteri e difesa nelle comunicazioni rese lunedì 15 gennaio: abbiamo aumentato la nostra presenza diplomatica nel continente africano, riattivando le ambasciate in Libia e aprendo nuove ambasciate in Niger, Guinea e Burkina Faso; abbiamo incrementato gli aiuti di cooperazione all'Africa, dai 140 milioni di euro del 2016 ai 180 milioni nel 2017.

Al Niger sono stati destinati 50 milioni di euro per il rafforzamento del controllo delle frontiere con la Libia - ottenendo un abbattimento dei flussi migratori dai 70.000 del maggio 2016 ai 4.000 del luglio 2017 -,15 milioni per contribuire ai programmi dell'Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) di rimpatrio volontario e 31 milioni di euro per migliorare le condizioni delle popolazioni locali.

Nel valutare questo impegno teniamo conto che da qui al 2050 in Africa la popolazione giovanile raddoppierà, da circa 230 milioni ad oltre 450 milioni. Per tanti Paesi africani è essenziale che alla crescita demografica corrispondano adeguati sbocchi occupazionali. E l'istruzione e la cultura restano i nostri migliori alleati per sostenere lo sviluppo e contenere i flussi migratori. Essenziale è dunque la presenza e il nostro impegno sul terreno civile, che non inizia certo oggi ma è risalente. L'Africa è la nostra profondità strategica. Non in molti sanno che nel 2016 siamo stati il terzo Paese nella quota di investimenti privati, dopo Cina ed Emirati.

Per quanto riguarda la Cooperazione italiana, essa è ormai sempre più strumento indispensabile della politica estera italiana. Terrorismo globale, conflitti etnico-religiosi, flussi migratori spesso disordinati e massicci sono le problematiche con le quali il nostro Paese deve confrontarsi, anche per i profili di sicurezza - interna ed internazionale - che esse rivestono.

L'azione della cooperazione allo sviluppo si inquadra nel mutato contesto internazionale, imperniato sull'attuazione dell'Agenda 2030 e sul raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, e in un contesto nazionale rinnovato dalla Legge 125/2014 di riforma della cooperazione allo sviluppo.

Gli interventi previsti in Africa si concentrano su attività utili a incrementare la sicurezza e la stabilità internazionali (costruzione di capacità, capacity building) a favore di Paesi impegnati nella lotta al terrorismo e ai traffici illegali internazionali. A parte questo, viene confermato il contributo nazionale all'attività di polizia aerea (air policing) della NATO sullo spazio aereo europeo dell'Alleanza.

La riorganizzazione degli impieghi italiani nella nuova missione militare su base bilaterale in Libia ha l'obiettivo di rendere l'azione italiana di assistenza e supporto del Governo nazionale libico più incisiva ed efficace.

L'ulteriore nuova linea di impegno militare dell'Italia, rivolta al Niger, avviene nel contesto di un complessivo innalzamento di livello delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, legati tra loro da una solida alleanza di tipo strategico corroborata da un impegno di lungo corso nella regione saheliana e nello stesso Niger attraverso gli strumenti della cooperazione allo sviluppo, anche grazie alle risorse stanziate con il cosiddetto Fondo Africa, nell'obiettivo di promuovere il controllo del territorio ed il contrasto dei traffici illeciti, a partire da quello di essere umani.

L'impegno italiano in Libia e Niger è intimamente connesso sul piano strategico alla fondamentale azione a tutela dei diritti umani della popolazione civile, di migranti e di profughi esercitata dalle organizzazioni internazionali presenti, nello specifico l'OIM e l'UNHCR, che l'Italia sostiene convintamente.

Non occorre ricordare ai colleghi delle Commissioni Affari esteri e Difesa che da tempo in quell'area operano gruppi terroristici jihadisti come Al-Quaeda nel Maghreb arabo (AQIM) e Al-Morabitun che traggono nuovi fondamentali canali di finanziamento grazie al traffico di migranti: le missioni in Libia ed in Niger sono quindi strategicamente rivolto a recidere questo tipo di legame tra cellule terroristiche ed economia criminale.

L'Italia può inoltre vantare un bagaglio interessante in termini di politica africana anche grazie all'azione di prestigiosi attori della società civile, particolarmente impegnati per lo sviluppo e la stabilizzazione dell'Africa

L'interesse italiano per l'Africa deriva da ragioni prima di tutto di prossimità geografica e si è col tempo accresciuto nella consapevolezza che le principali sfide attuali e future tendano a cristallizzarsi lungo la parte settentrionale e centrale del continente.

In un quadro regionale estremamente complesso, gli accordi bilaterali e i consessi internazionali nei quali il Governo Gentiloni ha recentemente consolidato le relazioni con i paesi del Nord Africa e del Sahel evidenziano la consapevolezza italiana del nesso tra sviluppo e sicurezza, che funge da matrice nelle attività di contrasto dei traffici illeciti e dei flussi migratori irregolari che transitano dal Sahel, e dal Niger in particolare, per raggiungere la Libia e quindi le coste italiane. È in questo scenario di fragilità, depressione dell'economia legale e di precarie condizioni di sicurezza che l'Italia non cessa di apportare il proprio contributo di pace e sicurezza.

La deliberazione del Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2017 contribuisce altresì a valorizzare le linee programmatiche della Presidenza di turno dell'Italia per il 2018 dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), secondo il motto “Dialogue, Ownership, Responsability” e nel segno del rilancio dello spirito di Helsinki per la promozione del dialogo con la Russia;

In questo quadro il nostro Paese affronta come principale banco di prova la ricerca di una soluzione alla crisi ucraina, che non può che essere basata sulla ricostruzione di condizioni di fiducia tra le Parti, sugli sforzi negoziali nel quadro del Formato Normandia e del Gruppo Trilaterale di Contatto nell'obiettivo della piena attuazione degli Accordi di Minsk. In tale ottica è essenziale garantire la sicurezza degli osservatori e degli operatori umanitari – anche grazie a risorse adeguate, certe e prevedibili - i quali devono essere messi in condizione di svolgere il proprio mandato e le proprie funzioni con il minor rischio possibile;

Anche in tale prospettiva si colloca l'impegno dell'Italia nel quadro delle missioni NATO finalizzate a rafforzare le condizioni di sicurezza sui versanti orientale e meridionale dell'Alleanza in chiave difensiva, preventiva e in modo coordinato con l'impegno politico-diplomatico, profuso soprattutto in sede UE ed OSCE, per la soluzione delle ulteriori crisi in Transnistria, in Georgia, in Nagorno-Karabakh, in Medioriente e nel Mediterraneo allargato.

Mi preme soprattutto ribadire il concetto dell'indivisibilità della sicurezza euro-mediterranea e della natura globale e non regionale delle questioni che insistono su tale area: buona parte della sicurezza e della prosperità mondiali dipendono dalle dinamiche mediterranee.

Da ciò deriva l'esigenza di costruire un nuovo partenariato euro-mediterraneo basato su più dialogo politico, responsabilità condivisa e solidarietà diffusa, su più concrete collaborazioni a livello di sicurezza, per il controllo delle rotte migratorie, anche alla luce del rischio del possibile rientro in Europa dei Foreign Fighters dall'area siro-irachena, nonché su più investimenti in cultura, per prevenire fanatismo, estremismo violento e terrorismo;

Alla luce di tali riflessioni, rilevo che la deliberazione del 28 dicembre scorso, che in attuazione della legge n. 145 del 2016 realizza l'obiettivo di distinguere tra missioni in corso, da prorogare e da deliberare ex novo, permette di registrare un considerevole progresso sul terreno dello sforzo informativo da parte delle Amministrazioni coinvolte nella stesura delle schede concernenti le missioni, insieme al quadro degli interventi di cooperazione allo sviluppo per il sostegno ai processi di pace e di stabilizzazione.

Appaiono innovativi e di particolare interesse i contenuti che emergono sull'andamento delle missioni, corredati da valutazioni sui risultati allo stato conseguiti e da importanti aggiornamenti, anche assai dettagliati, sul terreno delle operazioni svolte o dell'ampliamento in taluni casi delle basi giuridiche, come pure sulle percentuali di coinvolgimento delle donne nei teatri operativi, in adempimento del dettato della legge n. 145 del 2016 e in attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 1325 del 2000 e delle successive risoluzioni, nonché dei piani d'azione nazionale su donne pace e sicurezza.

Emerge, d'altra parte, l'esigenza che un ulteriore sforzo di approfondimento informativo possa in futuro caratterizzare in termini di maggiore leggibilità le schede concernenti gli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, ad oggi aggregati per tipologie e per estese aree geografiche, al fine di consentire, laddove possibile, una trattazione integrata, scenario per scenario, del contestuale impegno di natura militare e di natura civile rivolto alla soluzione o prevenzione delle crisi.

Come emerso durante i lavori in Commissione appare doveroso incrementare i dati concernenti la presenza di donne nei contingenti impegnati nelle missioni, in linea con i richiami della legge n. 145 del 2016 alla risoluzione dell'Onu n. 1325 del 2000 su donne pace e sicurezza e i nostri piani d'azione nazionale sul tema.

Tutto ciò premesso, auspico un ampio consenso sugli atti di indirizzo che saranno oggetto di deliberazione nella consapevolezza dell'importanza, anche in termini di sicurezza, di un sostegno coeso da parte delle forze politiche all'impegno dei nostri connazionali militari e civili impegnati nei teatri operativi.

SEGNALAZIONI RELATIVE ALLE VOTAZIONI EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA

  Nel corso della seduta sono pervenute le seguenti segnalazioni in ordine a votazioni qualificate effettuate mediante procedimento elettronico (vedi Elenchi seguenti):

  nelle votazioni dalla n. 2 alla n. 9 la deputata Bonomo ha segnalato che non è riuscita a votare;

  nella votazione n. 4 la deputata Nicchi ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario;

  nelle votazioni nn. 5 e 6 la deputata Piccione ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 9)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nominale Doc. XVI n. 5 - ris. 6-382 I p. 510 485 25 243 351 134 51 Appr.
2 Nominale Ris. Garofani e a. 6-382 II p. 508 483 25 242 481 2 51 Appr.
3 Nominale Ris. Garofani e a. 6-382 III p. 512 488 24 245 432 56 51 Appr.
4 Nominale Ris. Garofani e a. 6-382 IV p. 508 483 25 242 351 132 51 Appr.
5 Nominale Ris. Garofani e a. 6-382 V p. 507 483 24 242 355 128 51 Appr.
6 Nominale Ris. Garofani e a. 6-382 VI p. 506 482 24 242 402 80 51 Appr.
7 Nominale Ris. Palazzotto e a. 6-383 504 426 78 214 58 368 51 Resp.
8 Nominale Ris. Frusone e a. 6-384 506 447 59 224 78 369 51 Resp.
9 Nominale Ris. Artini e a. 6-386 505 401 104 201 5 396 51 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.