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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 881 di lunedì 6 novembre 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

La seduta comincia alle 14.05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 23 ottobre 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Bellanova, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bosco, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Antimo Cesaro, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Frusone, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Orlando, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Rughetti, Sanga, Scalfarotto, Tabacci, Simone Valente, Valeria Valente e Zolezzi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna. I deputati in missione sono complessivamente settantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio di un messaggio del Presidente della Repubblica per il riesame della proposta di legge n. 4096.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Repubblica, a norma dell'articolo 74 della Costituzione, con messaggio in data 27 ottobre 2017, ha chiesto alle Camere una nuova deliberazione sulla proposta di legge S. 57. - Senatori AMATI ed altri: «Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo» (atto Camera n. 4096).

Il messaggio è del seguente tenore:

«Onorevoli Parlamentari, mi è stata sottoposta, per la promulgazione, la legge recante "Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo".

Il provvedimento (che si compone di sette articoli) è stato approvato dalla 6a Commissione permanente del Senato in sede deliberante il 6 ottobre 2016 e, in via definitiva, dalla Camera dei deputati il 3 ottobre 2017. Con esso, si introduce, all'articolo 1, per gli intermediari abilitati (come definiti dall'articolo 2), il divieto totale al finanziamento di società, le quali, in Italia o all'estero, direttamente o tramite società controllate o collegate, svolgano attività in qualsiasi modo connesse alla produzione ovvero alla distribuzione o commercializzazione di mine antipersona, munizioni e submunizioni cluster.

La legge contiene aspetti innovativi, che risultano indubbiamente positivi giacché potenziano le misure di contrasto alla produzione di tali pericolosi e insidiosi ordigni bellici, prevedendo, tra l'altro, la responsabilità amministrativa a carico degli enti. Al contempo, deve rilevarsi la presenza al suo interno di una disposizione che risulta in evidente contraddizione con le dichiarate finalità dell'intervento normativo e che appare connotata da rilevanti profili di criticità.

Mi riferisco all'articolo 6, rubricato "Sanzioni", che al comma 2 priva di rilevanza penale le operazioni di finanziamento alle imprese produttrici di mine antipersona e di bombe a grappolo, se effettuate da soggetti che rivestono posizioni apicali all'interno degli enti intermediari abilitati.

In tale comma, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 a 250.000 euro per le persone fisiche che rivestono ruoli di amministrazione o di direzione degli intermediari abilitati o che, per loro conto, svolgono funzioni di controllo, nel caso di violazione del divieto di finanziare società operanti nel settore delle mine antipersona e delle munizioni a grappolo.

La materia oggetto della citata disposizione è già regolata, in via generale, da norme penali contenute nella legge n. 374 del 1997 e nella legge n. 95 del 2011. Quest'ultima prevede la messa al bando delle munizioni a grappolo e ratifica e dà esecuzione alla Convenzione di Oslo (fatta a Dublino il 30 maggio 2008), incriminando all'articolo 7 l'assistenza finanziaria in favore di chiunque impiega, sviluppa, produce, acquisisce in qualsiasi modo, stocca, conserva o trasferisce, direttamente o indirettamente, munizioni a grappolo o parti di esse e sanzionando tali comportamenti con la reclusione da tre a dodici anni e la multa da euro 258.228 a euro 516.456. La condotta di "assistenza finanziaria" (contemplata tra quelle vietate dall'articolo 1 della Convenzione di Oslo) è quindi perfettamente sovrapponibile a quella proibita dall'articolo 1 della legge in esame, per la quale viene prevista soltanto la sanzione amministrativa dall'articolo 6, comma 2, se realizzata dai soggetti qualificati sopra indicati.

Per ciò che riguarda le mine antipersona, l'articolo 7 della legge n. 374 del 1997 sanziona, con le medesime pene, chiunque usa, vende, cede a qualsiasi titolo, esporta, importa, detiene le stesse mine antipersona o parti di esse, ovvero ne utilizza o cede, direttamente o indirettamente, diritti di brevetto o tecnologie per la fabbricazione, in Italia o all'estero. Tale disciplina è espressamente fatta salva dall'articolo 9 della legge n. 106 del 1999 che ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione sul divieto d'impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione, firmata a Ottawa il 3 dicembre 1997. Il finanziamento concesso per le attività vietate dal suddetto articolo 7 integra uno dei comportamenti contemplati dall'articolo 1, comma 1, della Convenzione di Ottawa, che impegna in modo esplicito gli Stati a vietare, tra l'altro, di "assistere, incoraggiare o indurre, in qualsiasi modo, chiunque ad intraprendere" le attività proibite dalla stessa Convenzione.

Le due previsioni incriminatrici sono il frutto dell'attuazione di obblighi internazionali contenuti nelle Convenzioni, ratificate dall'Italia, le quali esplicitamente richiedono, entrambe all'articolo 9, l'imposizione di sanzioni penali per prevenire e reprimere qualsiasi attività vietata dalle stesse.

Pertanto, il loro nucleo normativo non può venire modificato senza che ne risulti leso direttamente il principio tutelato dall'articolo 117 della Costituzione, il quale prevede l'obbligo di esercitare la potestà legislativa "nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali".

La Corte costituzionale sin dalle sentenze numeri 348 e 349 del 2007 ha chiarito che l'articolo 117 della Costituzione è idoneo ad attribuire una posizione particolare nel sistema delle fonti alle norme internazionali quali norme interposte in un eventuale giudizio di costituzionalità, sicché le leggi che contrastino con Trattati internazionali che hanno già avuto esecuzione nell'ordinamento interno sono viziate per incostituzionalità.

Da ciò deriva una forza delle leggi di esecuzione dei menzionati Trattati tale da escludere che le condotte di assistenza finanziaria alle attività proibite possano rimanere prive di sanzione penale e ciò al fine di assicurare che la violazione del divieto sia efficacemente contrastata.

Sul descritto quadro normativo interviene la disciplina contenuta nell'articolo 6, comma 2, della legge in esame il quale non contempla la "clausola di salvaguardia penale" (salvo che il fatto costituisca reato). Ciò produrrebbe, in virtù del principio di specialità dell'illecito amministrativo dettato dall'articolo 9 della legge n. 689 del 1981, l'effetto di privare di rilievo penale le condotte dolose di finanziamento, poste in essere dai soggetti qualificati, che risulterebbero sanzionate solo in via amministrativa, in contrasto con gli obblighi internazionali. Tale effetto riguarderebbe non soltanto le future condotte di violazione del divieto di finanziamento, ma anche quelle commesse prima dell'entrata in vigore della presente legge, rispetto alle quali, mancando una disciplina transitoria, non sarebbero applicabili neppure gli illeciti amministrativi (Cassazione penale, sezioni unite, sentenza n. 25457 del 2012).

Sotto diverso, ma connesso aspetto, debbo ancora segnalare che il venir in essere, per la medesima condotta di finanziamento, di due regimi punitivi diversi – l'uno penale, l'altro amministrativo – in ragione soltanto dell'incarico ricoperto dal soggetto agente nell'ambito di un intermediario abilitato o della natura del fruitore (società e non imprenditore individuale), pone profili di dubbia compatibilità costituzionale in relazione all'articolo 3 della Costituzione. Infatti, le persone fisiche che esercitano funzioni di amministrazione e di direzione degli intermediari abilitati o che, per loro conto, svolgono funzioni di controllo, beneficerebbero, per effetto della disciplina contenuta nell'articolo 6, comma 2, di un regime sanzionatorio solo amministrativo. Viceversa, tutti gli altri soggetti che prestino assistenza finanziaria al di fuori del circuito degli intermediari abilitati (quindi in ragione dell'assenza di un atto amministrativo di autorizzazione) resterebbero soggetti alle sanzioni penali sopra illustrate.

Per i motivi innanzi esposti, l'articolo 6, comma 2, del provvedimento presenta evidenti profili di illegittimità costituzionale. Questi possono essere superati soltanto attraverso un intervento limitato, ma necessario, che assicuri la rilevanza penale delle condotte di assistenza finanziaria, da chiunque realizzate, alle attività proibite dall'articolo 1; rilevanza che, per converso, verrebbe irrimediabilmente meno con l'entrata in vigore della legge.

Pertanto, chiedo alle Camere – a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione – una nuova deliberazione in ordine alla legge approvata il 3 ottobre 2017.

                Firmato: Sergio Mattarella

                Controfirmato: Paolo Gentiloni».

Ai sensi dell'articolo 71 del Regolamento, il messaggio (Doc. I, n. 2) è stato stampato e distribuito e trasmesso alla VI Commissione (Finanze).

Discussione del disegno di legge: S. 2287-bis - Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia (Approvato dal Senato; risultante dallo stralcio, deliberato dal Senato il 6 ottobre 2016, dell'articolo 34 del disegno di legge n. 2287) (A.C. 4652); e delle abbinate proposte di legge: Caparini ed altri; Brambilla; Brambilla; Cesa; Battelli ed altri; Gagnarli ed altri; D'Ottavio ed altri; Rizzetto ed altri; Borghese e Merlo; Rampi ed altri; Lodolini ed altri; Ricciatti ed altri; Zanin ed altri (A.C. 417-454-800-964-1102-1702-2861-2989-3636-3842-3931-4086-4520) (ore 14,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, risultante dallo stralcio, deliberato dal Senato il 6 ottobre 2016, dell'articolo 34 del disegno di legge n. 2287, n. 4652: Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia; e delle abbinate proposte di legge nn. 417-454-800-964-1102-1702-2861-2989-3636-3842-3931-4086-4520.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4652)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Roberto Rampi.

ROBERTO RAMPI, Relatore. Grazie, signor Presidente. Signor sottosegretario, colleghe e colleghi, quello che oggi andiamo ad affrontare è un tema veramente importante, lo dimostra anche il numero importante di disegni di legge che sono abbinati, perché le diverse forze politiche e diversi colleghi parlamentari hanno voluto su questo provare a legiferare. È da un certo numero di legislature che si cerca di arrivare ad una conclusione, che noi vediamo finalmente prossima nel voto dei prossimi giorni, perché crediamo che questo disegno di legge, così come è stato elaborato dal Senato, così come abbiamo avuto modo, lavorando con i colleghi del Senato, di dare anche noi il nostro contributo, davvero contenga quello che serve al mondo dello spettacolo.

Allora, signor Presidente, io, pensando all'intervento di oggi, alla relazione, vorrei veramente che, attraverso le mie parole, da queste porte potessero entrare in quest'Aula le donne e gli uomini che tutti i giorni lavorano nel settore dello spettacolo. La prima parola che mi viene in mente è quella dei viaggiatori della luna, una delle parole che ho imparato in questo lungo percorso di quasi due anni di confronto con queste persone, quelli che, tutte le settimane, tutti i giorni, tutti i fine settimana, nelle feste di paese o nelle nostre piazze, fanno sorridere una bambina o un bambino. Penso ai commedianti, a quelli che sul palco ci tendono la mano e ci trasportano con una parola in una foresta o in un oceano, senza magari bisogno, neanche, di un effetto speciale. Penso a tutti quei musicisti che, con la loro arte, accompagnano la nostra vita e, facendoci incrociare una canzone, sono in grado di cambiarci l'umore della giornata.

Ecco, una democrazia ha bisogno esattamente di questo, ha bisogno di loro e ha bisogno di tutti quelli che stanno dietro a loro; ha bisogno dei danzatori, ha bisogno dei tecnici delle luci, ha bisogno dei tecnici del suono, dei grafici che raccontano queste storie, di chi organizza le date, di chi le promuove, di chi le vende, dei luoghi dove realizzare lo spettacolo.

Perché - e questo è il nodo dell'articolo 1 di questo provvedimento - la Repubblica dovrebbe riconoscere chi lavora in questo settore? Perché noi sappiamo - e oggi è una giornata particolare per dirlo - che la democrazia nasce con il teatro, la democrazia nasce con la cultura diffusa, la democrazia nasce se ci sono i luoghi dello stare insieme e i luoghi dove si vivono delle emozioni condivise, non solitarie, non solipsistiche, ma condivise, nello stesso momento si vive la stessa emozione; questa è la prima base di un'aggregazione, che poi diventa democrazia, in tante forme, si trasforma nel corso dei tempi, prende strade differenti, però questa è la base, è il sale di una democrazia.

Per questo il Parlamento italiano, oggi, innanzitutto riconosce - tra l'altro, con un impegno che abbiamo preso, colleghi, in quest'Aula, tanto tempo fa, quando abbiamo votato una mozione e abbiamo provato a ipotizzare di fare finalmente un intervento - a queste persone che svolgono questo lavoro il fatto di essere, al tempo stesso, persone che, lavorando, provano ad ottenere il loro reddito e anche un guadagno. Perché sottolineo questa cosa? Perché per tanto tempo questo è stato un tabù, come se operare nella cultura dovesse essere necessariamente separato dalla dimensione economica, come se le due cose non dovessero mai incrociarsi, come se la cultura fosse un che di angelico che, quando incontra il denaro, perde la sua dimensione spirituale e importante.

E invece non è così, anzi, la dimensione economica - il mercato dello spettacolo, la possibilità di far tornare i conti, di guadagnarci, di vivere dignitosamente - è una dimensione rilevante e oggi è una strategia di politica economica e di politica di sviluppo di questo Paese; cioè, noi pensiamo, con questo disegno di legge, di sostenere un pezzo dell'economia del Paese e un pezzo delle attività industriali e produttive di questo Paese che sono collegate nell'industria dello spettacolo.

Però, come dicevo, quest'industria non produce solo economia, la produce ed è importante; non produce solo lavoro, e anche quello è importante. Questa industria produce - guardate, è un termine non mio, ma che in uno dei tanti incontri è emerso -, è l'industria della felicità, cioè produce, appunto, quelle emozioni condivise e prova a creare le condizioni per stare bene, per vivere meglio, per avere degli effetti positivi nella vita delle persone di ogni giorno.

Qualcuno ha studiato - io sono convinto di questo - che ci sia un elemento collegato alla salute, e in questo tempo in cui siamo diventati così bravi a curare le malattie del corpo, ma in cui emergono sempre con più forza le malattie dell'anima, una delle cure fondamentali delle malattie dell'anima è esattamente la cultura e in particolare lo spettacolo, che produce qualche cosa di unico ogni volta, di unico e irripetibile. Pensate quanto abbiamo bisogno, in questo tempo in cui tutto rimbalza e in cui tutto si ripete, di qualche cosa di unico e di irripetibile: questo è lo spettacolo dal vivo.

Ed è questa la ragione per cui, nell'articolato di legge, noi ci organizziamo per dare sostegno a questo settore e, quindi, pensiamo, ad esempio, con le deleghe al Governo, di rivedere tutto l'articolato normativo per la prima volta, perché questo è un settore che subisce il fatto di essere normato da normative indirette e, quindi, in alcuni campi, di avere la normativa che riguarda il trasporto, come se trasportare i pomodori e trasportare il palco per uno spettacolo fossero la stessa cosa, oppure subisce le normative dell'edilizia, perché montare un palco è considerato nient'altro che un cantiere, ma noi sappiamo che non è così, oppure subisce - e questo è molto importante - il testo unico di pubblica sicurezza, cioè delle normative ancora valide e create durante un regime per evitare che lo spettacolo diventasse il luogo per l'incontro e, quindi, per l'adunanza sediziosa. Guardate, non è un caso che durante un regime, cioè nel momento in cui viene sospesa la democrazia si interviene esattamente sullo spettacolo per mettere nel controllo delle forze di pubblica sicurezza la possibilità o meno delle persone di riunirsi e di incontrarsi, perché, è chiaro, questo fa capire che è l'essenza della democrazia.

Noi pensiamo che oggi tutto questo vada superato e che questo settore possa avere, come previsto dalle deleghe al Governo, una sua legislazione ordinata, dedicata, che tenga veramente presente qual è la sua realtà; tra l'altro, producendo un aggiornamento di legge che, nella migliore delle ipotesi, riguarda quarant'anni e, nella peggiore, ne riguarda addirittura ottanta, quindi la possibilità di parlare del contemporaneo e di dare a queste persone quella semplificazione normativa, quel sostegno normativo, che permetta di fare il loro lavoro in maniera semplice, senza che lo Stato sia qualche cosa che complica loro la vita, ma, anzi, diventando qualcuno che tende loro una mano; e da qui, tutte le norme di semplificazione previste nel provvedimento.

Ma c'è poi - ne citerò solo qualcuna - una delle deleghe che io ritengo particolarmente fondamentali, che è quella che riguarda i lavoratori di questo settore e che dice in maniera molto chiara, delegando al Governo l'attuazione di questo principio, che questi lavoratori hanno una specificità nella loro attività, che sta nella discontinuità del loro lavoro, perché è evidente che, non solo un musicista - noi pensiamo sempre a chi sta sotto il palcoscenico, a chi sta sotto i riflettori, ma io vorrei ricordare anche tutti quelli che stanno dietro -, ma tutti svolgono la loro attività non solo nel momento finale realizzativo, quello che vediamo tutti, ma svolgono un'attività importante in tutta la fase di preparazione; anzi, i professionisti dello spettacolo, la qualità dello spettacolo è data esattamente da quel lavoro oscuro dietro le quinte, che, però, è tutto il lavoro di preparazione.

Noi riteniamo che questo lavoro vada riconosciuto ai fini pensionistici, che vada riconosciuto sostenendo i periodi di non lavoro, i periodi di non attività.

Riteniamo che questo sia possibile perché, in realtà, questo settore oggi contribuisce in maniera significativa alla tenuta del sistema pensionistico così come alle normative di sicurezza sul lavoro, dove esistono delle disomogeneità importanti, ad esempio, tra i lavoratori autonomi e quelli subordinati; disomogeneità che vanno sicuramente superate, e questo disegno di legge ci permette di farlo.

Seconda cosa che citerò velocemente: il tema della relazione con la scuola. Noi introduciamo con una norma, quella del 3 per cento del FUS dedicato a questo, un principio che avevamo già introdotto nella legge n. 107 - quindi i due provvedimenti si incrociano - che dice però qualcosa di fondamentale: mettendo a disposizione delle risorse concrete, finalmente diciamo che l'arte non è una perdita di tempo nella scuola, che l'obiettivo della scuola non è solo quello di trasferire delle conoscenze. Vorrei citare qui Luigi Berlinguer, che su questo ha fatto una battaglia nella sua giovanissima età e continua a farla, una battaglia straordinaria per ribadire questo principio: l'arte nella scuola è un elemento fondamentale e, mentre la cultura razionale è quella che produce l'obbedienza, l'omogeneità e l'omologazione, l'arte favorisce la differenza, produce il pensiero critico, quindi diventa un elemento davvero fondamentale per la democrazia, per l'emancipazione di ognuno, e anche un elemento che permette ai ragazzi, nelle loro differenze, come arrivano nella nostra scuola, di emergere dove meglio sono capaci, dove il loro talento si applica meglio. Questo è un elemento fondamentale che è contenuto nella legge, tra l'altro è una miglioria importante portata dal Senato.

Naturalmente, se vogliamo sostenere tutto questo, è necessario anche un aumento delle risorse, e qui è previsto un aumento delle risorse del FUS. Per tanti anni questo settore è stato oggetto di tagli, perché si riteneva che fosse un settore improduttivo, uno spreco, ma per tanto tempo, anche in una cultura diffusa in tutte le parti politiche, è stato considerato un settore sovrastrutturale: l'economia è ciò che è importante e la cultura è qualche cosa di sovrastrutturale. Noi non la pensiamo così, e con questo provvedimento diciamo che non è più così: diciamo che la cultura è un elemento fondamentale su cui è necessario investire. Certo, il cammino è lungo. Noi abbiamo trovato un baratro, abbiamo trovato dei tagli che avevano prodotto - l'ho detto in un'altra occasione - qualche cosa di simile al Gran Canyon, scavato non dal Colorado ma da chi ha governato precedentemente questo Paese, e stiamo invertendo la rotta rimettendo risorse, ma soprattutto stiamo facendo passare un principio che è fondamentale dal punto di vista culturale, cioè l'importanza di questo settore e l'idea - voglio usare una parola precisa - che questo settore è un investimento. Che cos'è un investimento? Un investimento in economia è quel concetto secondo cui, quando metti una risorsa, quella risorsa non solo ti ritorna ma tendenzialmente ti ritorna aumentata. Questo, nel settore dello spettacolo, è vero da un punto di vista economico, è vero anche da un punto di vista economico, ma soprattutto è vero perché davvero ogni euro investito in cultura produce sicurezza, produce democrazia, produce arricchimento delle persone, produce arricchimento dei cervelli. E su cosa deve investire un Paese, se non sul cervello dei suoi cittadini? In particolare, il nostro Paese, l'Italia, che davvero è una superpotenza culturale, che ha vissuto negli anni - questa è un'altra cosa che ritengo fondamentale sottolineare - il peso del proprio straordinario patrimonio culturale per cui per tanto tempo c'è stato un disequilibrio tra il patrimonio culturale e le attività culturali, perché il patrimonio, richiamando così tanta attenzione su di sé proprio per la sua assoluta straordinarietà, sottraeva però attenzione e risorse alle attività culturali; ma le due cose vanno insieme. Tutto è stato davvero, a suo tempo, contemporaneo, ed è davvero fondamentale che anche il nostro patrimonio viva attraverso lo spettacolo e che attraverso lo spettacolo si realizzi quella cultura che è la cultura del nostro tempo.

Se noi vogliamo essere - come siamo - quella superpotenza culturale che siamo nel mondo, se vogliamo produrre quella diplomazia della cultura che ci ha portato negli anni a scommettere sul tema dei Caschi blu della cultura, ad essere quelli che producono relazioni con gli altri Paesi e con le culture differenti proprio attraverso la fascinazione e il rispetto che la nostra cultura produce. Pensate che cos'è oggi un universo di Paese come la Cina, e guardate come la Cina guarda all'opera italiana, alla musica italiana, cioè con rispetto, perché, proveniente da una cultura millenaria, riconosce a noi una dignità culturale altrettanto rilevante.

Siamo uno dei pochi Paesi che ha questa possibilità, siamo uno dei pochi Paesi che può confrontare il proprio teatro con la straordinaria tradizione del teatro indiano o la propria cultura della danza con le danze dei Paesi del mondo che di questo fanno uno degli elementi centrali. Noi siamo questo, quindi investire vuol dire davvero mettere risorse, come facciamo con l'aumento del FUS, ma come facciamo con gli sgravi fiscali, come facciamo con la scelta fondamentale di applicare anche a questo settore il concetto dell'art bonus, che non è solo - lo è rilevantemente - risorse concrete (65 per cento di sgravio fiscale), ma è la possibilità reale di dire: se tu investi in cultura stai già sostanzialmente pagando un pezzo delle tasse, perché ogni investimento in cultura è un investimento che fa bene al Paese, quindi il 65 per cento di quello che investi in cultura io te lo sgravio perché ti riconosco che hai già contribuito alla leva fiscale con la tua azione.

Io credo che tutti questi elementi e tanti altri che sono contenuti nel provvedimento fanno sì che questa norma possa essere davvero, come è stato in parte al Senato, una norma ampiamente condivisa, naturalmente condividendola nelle forme più diverse. Molti diranno - ho avuto modo di vedere le proposte emendative - gli elementi che si potevano migliorare, che provo a riassumere così. Sono migliorie di tre tipi, e alcune di esse vanno a specificare gli indirizzi che noi diamo al Governo. Nella gran parte di queste specifiche, devo dire sono assolutamente d'accordo, credo che si possa specificare, credo che vadano nella stessa direzione. Ho suggerito ai colleghi, proprio perché la legislatura si avvia alla conclusione, proprio perché in tante legislature si è tentati di arrivare a questo traguardo ma non lo si è mai tagliato, di contribuire al taglio di questo traguardo e di trasformare quegli emendamenti in ordini del giorno, che hanno un valore in una legge che contiene delle deleghe, perché specificano ulteriormente degli indirizzi, peraltro molto ben contenuti in questa legge. Naturalmente esiste qualche proposta emendativa che propone giustamente anche degli aumenti di risorse, e figurarsi se noi non saremmo favorevoli, ma riteniamo di essere arrivati ad un traguardo importante con quello che abbiamo fatto. Abbiamo combattuto anche al Senato, naturalmente, è sempre un braccio di ferro per provare ad aumentare alcune risorse, per introdurre sgravi ulteriori, crediamo di aver raggiunto un punto di mediazione, un punto di caduta particolarmente rilevante. A me ha colpito che tutte le proposte emendative, però, riconoscano il tracciato di questa legge, l'importanza fondamentale che questa legge rappresenta, allora dico: diamo a questo settore la possibilità di ripartire, non dal 1965, non dal 1985, ma dal 2017, andando a dare concretamente, da dopodomani, quegli sgravi fiscali, quell'art bonus, quell'aumento del Fondo unico dello spettacolo, andando a dare quelle deleghe che permetteranno il riordino normativo, la semplificazione e una maggior tutela della professionalità dei lavoratori di questo settore, e andando ad attuare poi insieme queste deleghe; e chissà, qualunque sia la maggioranza della prossima legislatura, qualunque sia il Governo, anche eventualmente intervenendo su questa legge con ulteriori elementi. Ma finalmente - finalmente! - possiamo dire a questo settore: guardate che il Parlamento italiano, la politica, non è indifferente al lavoro che voi fate, si è accorta dell'importanza del settore che voi rappresentate e vi produce una normativa contemporanea rispetto ai tempi. Concludo, Presidente, dicendo che il testo di questa legge l'hanno scritto i senatori, l'ha scritto la Commissione cultura del Senato; hanno contribuito a scriverla molti di noi, interloquendo con quei colleghi, ma l'hanno scritto concretamente migliaia di persone che davvero, in alcune centinaia di incontri in tutto il Paese, nel territorio, nelle notti passate a discutere, hanno dato la loro opinione. Questo elemento di metodo, questo elemento di confronto è un elemento importante: questa è una legge che non partorisce dall'idea o dal sogno di qualcuno ma dal lavoro comune di un intero settore.

Questo è particolarmente rilevante, perché finalmente davvero la fotografia che è contenuta in questa legge corrisponde alla realtà fuori da quest'Aula; cioè la ricostruzione di una relazione positiva tra quello che succede qui dentro e quello che succede fuori nel Paese è uno degli elementi fondamentali. Per queste ragioni, chiedo ai colleghi, propongo ai colleghi di fare un lavoro ordinato nella discussione di oggi, nel voto dei prossimi giorni, ma di provare tutti insieme a superare questo traguardo e a dare a queste donne e a questi uomini che davvero lavorano, come hanno detto loro, per la nostra felicità, gli strumenti di farlo in maniera adeguata e forte.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, ma non credo che intenda, vero? Non intende. È iscritta a parlare l'onorevole Bonaccorsi. Ne ha facoltà.

LORENZA BONACCORSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il collegato spettacolo, come è stato accennato, è lo stralcio della legge sul cinema e audiovisivo, la n. 220 del 2016, di cui proprio in questi giorni, ci tengo a sottolinearlo, stiamo esaminando gli aspetti attuativi nelle Commissioni competenti, ed è con particolare orgoglio, risottolineo, che ci apprestiamo a varare anche questo provvedimento sullo spettacolo dal vivo, dopo quello sul cinema e l'audiovisivo. Con orgoglio, sì, per il fondamentale lavoro di riforma su tutti e due i comparti, i due pilastri della nostra cultura: cinema, audiovisivo e spettacolo dal vivo. In questi ultimi vent'anni la classe politica che ha governato il nostro Paese si era un po', come ricordava prima il mio collega Rampi, dimenticato il sistema culturale nel suo complesso. Non stiamo a riaprire brutti capitoli degli anni passati, ne sono già state tristemente piene le cronache politiche del nostro Paese.

Invece, prima con il Governo Renzi, e Gentiloni poi, abbiamo fatto un lavoro importante, di cui siamo orgogliosi, di cui il PD è orgoglioso, perché noi abbiamo rimesso il giusto accento dove andava messo, perché crediamo davvero che la cultura è sviluppo, la cultura è ricchezza, la cultura è progresso, e una società che investe in cultura è una società più giusta, più aperta, più inclusiva e più dinamica. Ci siamo presi l'impegno e lo stiamo portando avanti con convinzione, e lo voglio dire forte che da qui non si torna indietro, dal traguardo che raggiungeremo in questi giorni insieme non si torna indietro, e comunque noi non lo permetteremo. Solo un aneddoto: il 27 marzo 2010 l'Italia celebrò per la prima volta la Giornata mondiale del teatro. Peccato che tale manifestazione era stata lanciata dall'UNESCO, a Vienna, nel 1961. Ecco, questo per dire che non perderemo più tutto questo tempo, e lo diciamo con grande convinzione. Cinquant'anni di ritardi sulle politiche culturali non ce li possiamo più permettere. Veniamo al provvedimento: nell'articolo 1 della legge al nostro esame sono contenuti i principi sullo spettacolo dal vivo, come ricordava sempre il collega Rampi, sui quali sarebbe ben difficile dissentire. Chiunque può riconoscervisi, visto che la loro enunciazione si ancora ai valori della nostra Costituzione, facendo tesoro della grande tradizione culturale italiana nel teatro, nella musica, nella produzione spettacolistica popolare dei territori e nelle rievocazioni storiche.

Il comma 1 precisa che la Repubblica promuove e sostiene lo spettacolo come fattore indispensabile per lo sviluppo della cultura ed elemento di coesione e di identità nazionale. Si fa riferimento anche al valore educativo e formativo di queste forme di espressione, che hanno - è persino banale ricordarlo - profondità storica e tradizione. Il comma 2, oltre a fornire una definizione generale delle attività di spettacolo che la Repubblica intende promuovere e sostenere, elenca anche settori di attività con alcune integrazioni importanti di cui si sentiva particolare bisogno, come, ad esempio, uno per tutti, le attività di musica popolare contemporanea, e poi anche le attività circensi, di spettacolo viaggiante e i carnevali storici, che, per chi vive in una città dove si svolgono, sa quanta importanza hanno sia come espressione artistica sia dal punto di vista turistico, data l'enorme affluenza di pubblico che essi procurano.

Sempre con questo articolo si delega il Governo alla redazione di un codice dello spettacolo, testo che dovrà razionalizzare e semplificare, come sempre ricordava molto bene Rampi, uno degli obiettivi principi di tutto il provvedimento, e dare organicità e omogeneità a tutte le norme che in questi vent'anni si sono susseguite, che hanno creato un sistema ad oggi complesso, poco accessibile e poco comprensibile. Il comma 4 precisa e promuove le finalità dell'intervento pubblico a sostegno delle attività di spettacolo, intervento che deve favorire e promuovere prima di tutto la qualità dell'offerta artistica, i progetti innovativi e la trasmissione dei saperi. Intervento pubblico che deve essere sempre più investimento, ci tengo anch'io a ritornare su questo concetto dell'investimento, investimento sul futuro.

Interventi pubblici, quindi, come investimento sulla qualità e sull'offerta artistica. In questo comma si interviene anche su un altro aspetto che riteniamo centrale: le modalità di collaborazione fra Stato ed enti locali per l'individuazione di spazi e di immobili non utilizzati o di beni confiscati da concedere per le attività di spettacolo. Gli spazi per gli artisti sono una nota dolente nel nostro Paese, come in altre parti del mondo, ma, dove si sono fatte politiche, anche molto incisive, volte proprio a favorire la nascita di spazi polifunzionali, si è assistito alla nascita di veri e propri distretti delle arti. Un intervento, però, in cui dovranno collaborare molto anche gli enti locali, quindi una scommessa anche per i nostri comuni. Il comma 4, lettera i), riguarda l'introduzione, che veniva sempre ricordata da Rampi, di norme per l'avvicinamento dei giovani alle attività di spettacolo, attraverso promozione di programmi di educazione, destinando almeno il 3 per cento della dotazione del Fondo unico per lo spettacolo, FUS, a tali programmi.

Ecco, questa è un'altra norma fondamentale, e nella già citata legge sul cinema e l'audiovisivo abbiamo introdotto un medesimo meccanismo: il 3 per cento del Fondo per l'audiovisivo, infatti, viene destinato a programmi di formazione. Questo è un grande investimento sulla formazione dei nostri ragazzi, dei cittadini del futuro, che, grazie a questo intervento, acquisiranno più consapevolezze, più sensibilità, più conoscenze, più strumenti, più curiosità per la cultura, per il cinema, come per il teatro, la musica, la danza, e servirà loro a crescere meglio e a far crescere meglio anche tutta l'Italia. Un grande investimento sul pubblico del futuro, ma su questo tema del pubblico e della domanda ci tornerò più avanti. In ultimo, sempre con questa stessa filosofia, salutiamo con favore anche la nuova disciplina degli incentivi fiscali e di sostegno ai giovani artisti contenuta nell'articolo 5. Ecco, interventi organici che hanno un filo conduttore: giovani, formazione, futuro; così come anche la delega, che veniva ricordata, sui lavoratori, su cui non torno.

Sempre connesso con questo filo rosso è l'attivazione di piani straordinari per la strutturazione e l'aggiornamento tecnologico dei teatri, punto, anche questo, molto importante. Ormai gli spettacoli hanno un livello tecnologico alto e non sempre possono essere realizzati in ogni sede; pertanto, noi diamo delle risorse per l'aggiornamento proprio tecnologico dei teatri. Le forme espressive contemporanee si nutrono sempre di più di nuovi linguaggi, di nuove tecnologie, di nuove modalità di fruizione, distribuzione e consumo. Siamo comunque sempre nell'era della convergenza, e i nostri luoghi, invece, sono ancora luoghi analogici, tranne alcune eccezioni eccellenti; così come tutta l'impalcatura normativa era fino a questo punto, e speriamo che da domani sarà diversamente, una normativa ferma alla fine dell'Ottocento, forse con qualche inserzione di Novecento. Abbiamo così previsto, come nella legge cinema - cito sempre la legge cinema - un grande piano per la digitalizzazione delle sale, anche in questo caso interveniamo sull'adeguamento dei teatri. Siamo consapevoli che, però, non c'è futuro senza conoscenze delle proprie radici, della propria storia. E, allora, se da una parte introduciamo una categoria da cui non si poteva più prescindere, cioè l'organizzazione e la produzione di musica popolare contemporanea, dall'altra interveniamo anche sulle fondazioni lirico-sinfoniche.

È importante che la musica popolare contemporanea e le figure che afferiscono all'organizzazione e alla produzione di questa musica popolare vengano prese in considerazione; diciamo finalmente, non se ne può più prescindere. Il mondo fuori viaggia veloce e oggi riusciamo, grazie a questo provvedimento, a tenere il passo. Nella nostra impalcatura normativa, infatti, buona parte delle risorse delle leggi sono volte al funzionamento delle fondazioni lirico-sinfoniche. Per capirci, non c'era il jazz, ma c'era tanto sulle fondazioni lirico-sinfoniche. Ora stiamo introducendo, invece, e intervenendo su questo squilibrio, ed era doveroso farlo. Sulle fondazioni lirico-sinfoniche, invece, si è detto tanto, abbiamo discusso tantissimo in questi anni. Il mio pensiero è che ormai improcrastinabile una riflessione coraggiosa sulla loro sostenibilità, sui loro modelli organizzativi. Noi abbiamo avuto nel corso degli anni diversi enti commissariati i quali, con le gestioni commissariali, si sono rialzati, non perché vi fossero norme diverse, ma perché venivano introdotte buone pratiche, oculatezza, managerialità, innovazione nei rapporti di lavoro, negli acquisti e nelle produzioni.

Mi sia permesso, a questo punto, aprire una parentesi, che, però, non viene a sproposito: la Commissione cultura della Camera dei deputati sta conducendo un'indagine conoscitiva sulla diffusione culturale e sulle buone pratiche. Guardate, colleghi, forse si tratta di una delle cose più dense e vitali che la Commissione di cui faccio parte - e mi onoro di farne parte - abbia fatto nell'arco dell'intera legislatura. Stiamo tastando il polso del Paese in un modo nuovo, genuino e sotto un profilo inedito e innovativo.

Ebbene il dottor Carlo Fuortes già amministratore delegato di Auditorium Parco della Musica e ora sovrintendente del Teatro dell'Opera di Roma è venuto a dirci cose importantissime sulla gestione degli enti lirici. Ha sostenuto che gli enti lirici devono porsi il problema della domanda dei consumi culturali. Solo il 20 per cento degli italiani va una volta l'anno in un teatro: non sono certo abbonati. Se ci limitiamo alla musica classica e all'opera la percentuale scende all'8 per cento. Diciamo allora che un italiano su cinque frequenta un servizio culturale finanziato dal pubblico e l'incredibile deduzione logica è che la cultura è pagata da chi non la frequenta. Noi dobbiamo allora smetterla con l'economia dell'offerta e guardare il problema dal punto di vista della domanda: il mondo è totalmente cambiato e la domanda di pubblico è totalmente cambiata. La risposta dell'offerta culturale pubblica è rimasta però quella ottocentesca. Il provvedimento che stiamo esaminando è volto a introdurre innovazioni che sono un passo avanti gigantesco per così come lo stiamo presentando. Fuortes ha anche detto un'altra cosa molto importante: nello spettacolo dal vivo è il fattore tempo l'elemento essenziale. Tutti questi servizi, a differenza dei prodotti di consumo, non possono essere ponderati come beni di consumo, come anche Rampi diceva prima. Non posso ovviamente acquistare più di quello che consumo come è tipico di altri beni di consumo. Forse solo i libri lo consentono: quanti libri sono stati venduti che non sono stati letti; il cibo lo consente; l'abbigliamento lo consente ma i servizi culturali no, a meno che non ci siano dei matti che vanno a comprare i biglietti del teatro, dell'opera e del cinema e poi non ci vanno. C'è quindi un'enorme competizione sul tempo libero: è su questo terreno che ci si misura. Il tempo libero aumenta e la fruizione acquista nuove dimensioni grazie alle nuove tecnologie: tutte sfide in cui siamo immersi, sfide che possiamo vincere applicando paradigmi adeguati e non fermi al secolo scorso. Per concludere, lo sforzo fatto con il disegno di legge è grande e serio e va proprio in questa direzione e per questo ha tutto il sostegno del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battelli. Ne ha facoltà.

SERGIO BATTELLI. Grazie, Presidente. Oggi iniziamo la discussione del disegno di legge n. 4652 recante delega al Governo per il codice dello spettacolo che nasce dallo stralcio dell'articolo 34 del disegno di legge di disciplina del settore del cinema e dell'audiovisivo divenuto legge nell'ottobre del 2016. Se capiamo che lo stralcio ha voluto creare uno spazio autonomo di discussione creando un disegno di legge apposito per disciplinare le attività teatrali, liriche, concertistiche, circensi e dello spettacolo viaggiante, tenendolo ben distinto dalle disposizioni riguardanti il settore cinematografico, non capiamo perché poi questo spazio non vi sia effettivamente stato. Oggi ci troviamo a discutere una delega. Pertanto ci limitiamo a discutere i principi e i criteri direttivi per indirizzare l'Esecutivo che, come ben sappiamo, utilizzerà piuttosto arbitrariamente. Tra l'altro, sarebbe opportuno fare una riflessione più ampia, come abbiamo già fatto in diverse situazioni, del significato di una delega a così breve scadenza dal mandato del Governo. Ricordiamo non ultima la direttiva sul riordino delle concessioni marittime. Invece ancora una volta, come per il disegno di legge sul cinema, dovremo attendere i decreti attuativi per comprendere l'impatto che tali norme avranno sul settore. Di questa circostanza ci rattristiamo dato che la materia avrebbe meritato una riforma condivisa che aspettava da lungo tempo. Ricordo, infatti, che con la legge 30 aprile 1985, n. 163, il legislatore interveniva in materia con l'istituzione di un Fondo unico per lo spettacolo, il cosiddetto FUS, allo scopo di ricondurre a un quadro unitario il sostegno statale ai diversi settori dello spettacolo disciplinato da leggi specifiche tra cui, per citare le più importanti, la legge 4 novembre 1965, n. 1213, sulla cinematografia, e la legge 14 agosto 1967, n. 800, sugli enti lirici e le attività musicali. A questo intervento sarebbe dovuta seguire una riforma organica dei diversi settori prevista dalle stesse disposizioni transitorie dettate dall'articolo 13, che testualmente stabiliva: “fino all'entrata in vigore delle leggi di riforma della musica, del cinema, della prosa, delle attività circensi e dello spettacolo viaggiante, i criteri e le procedure per l'assegnazione dei contributi e dei finanziamenti ai destinatari degli stessi rimangono quelli previsti dalle leggi vigenti per ciascuno dei settori medesimi”. Tale riforma purtroppo, nonostante sia stata annunciata più di trent'anni fa non è ancora stata portata a compimento. Vi sono state delle leggi approvate in materia ma piuttosto parziali. Si cita tra tutte la “legge Veltroni” del 1996 che è quella che ha creato il mostro giuridico delle fondazioni lirico-sinfoniche la cui natura è di diritto privato ma la cui finalità consiste nel perseguimento di un interesse pubblico oppure, in epoca più recente, si può citare il decreto del Ministro Franceschini del 2014 che ha stabilito i criteri di riparto del Fondo unico dello spettacolo e sappiamo tutti quale scompiglio abbia portato tra gli operatori culturali molti dei quali hanno adito le vie giudiziarie impugnando lo stesso decreto. Unica nota positiva consiste nel fatto che l'attuale disegno di legge ha comunque mantenuto la natura di collegato alla manovra di finanza pubblica. Vorrei inoltre porre l'accento su due questioni estremamente importanti su cui noi, come MoVimento 5 Stelle, stiamo puntando da svariati anni e solo recentemente il Governo ha iniziato ad affrontare. In primo luogo il monopolio SIAE: sono anni che, come dimostrato anche dalla proposta di legge depositata a mio nome, stiamo tentando di portare avanti questa novità che dovrebbe essere quasi un provvedimento naturale e che, invece, oggi il Governo ha posto come un piccolo cambiamento di norme nel decreto-legge fiscale. Quindi, sappiamo benissimo come oggi sulla SIAE il Governo stia provando a fare, per così dire, buon viso a cattivo gioco. Quindi sappiamo benissimo che quello che ha scritto il Governo non porterà da nessuna parte. Oggi invece, di seguito al nostro modello, il Governo sembra interessato ad aprire il mercato solo per gli operatori dell'UE che è uno scopo difficile da raggiungere con la conseguente finta apertura e nessuna ricaduta occupazionale nel nostro Paese.

Altro importantissimo tema che ci si è rifiutati di trattare in questa sede respingendo anche in questo caso tutti i nostri emendamenti, è il secondary ticketing, un'altra questione che noi abbiamo portato avanti quando si era posto il problema del secondaryticketing - ma il problema sappiamo che c'è sempre e non è mai stato risolto -, il mercato secondario dei biglietti. Se ne è parlato solo quando sono usciti i casi più emblematici e poi tutto è stato lasciato nel dimenticatoio. Anche su ciò il MoVimento 5 Stelle ha una proposta di legge pronta e depositata che potrebbe risolvere il problema immediatamente ma, di fatto, il Governo non ne vuole sapere. Infine, prima di esaminare i singoli articoli, vorrei soffermarmi sui toni trionfalistici usati dal Governo per presentare e approvare il testo in Senato. È stato detto che la cultura è stata posta in primo piano, che si sono fatti ingenti investimenti e che ciò ha permesso di ampliare il numero di fruitori della cultura. In realtà devo dire che gli investimenti nella cultura sono diminuiti e il gran numero di visitatori di cui si parla è stato registrato in occasione di giornate di accesso gratuito dove le condizioni di sicurezza per le persone, oltre che per i beni culturali, sono risultate quanto meno a rischio. Perciò vorrei precisare che, a nostro avviso, una buona politica culturale non passa per il raggiungimento di cifre record poiché la gestione dei beni culturali deve avvenire in maniera sostenibile. L'economicità di tale gestione non può costituire l'obiettivo della promozione della cultura ma un mezzo utile per la sua conservazione e diffusione. Viene previsto lo scorporo del Fondo unico per lo spettacolo dalle risorse destinate alle fondazioni e il riordino dei criteri di finanziamento e dei principi di riparto previsti dalla finanziaria di quest'anno. Si dovrà tenere conto della regola che impone di erogare risorse assicurando prioritariamente a ciascun ente una quota pari, o comunque proporzionalmente commisurata, all'ammontare dei contributi provenienti dai soggetti privati. Il MoVimento 5 stelle si è dato molto da fare per cercare di richiamare l'attenzione in particolare sulla questione della nomina del sovrintendente e delle sue responsabilità di gestione. Nel testo di legge originario si riconosceva l'attribuzione della responsabilità dell'equilibrio di bilancio al sovrintendente quale unico organo di gestione. Tale disposizione è poi scomparsa dal testo. Successivamente, grazie alla capacità dei nostri senatori di interloquire con i relatori dei provvedimenti e in questo particolare caso della senatrice Montevecchi, è ricomparsa una norma che dispone che, nei casi di responsabilità accertata del sovraintendente per lo scorretto svolgimento delle funzioni relative alla gestione economico-finanziaria, allo stesso è preclusa la possibilità di essere nominato per lo stesso ruolo o per ruoli affini anche in altre fondazioni lirico-sinfoniche. Infatti, sappiamo che a molti sovraintendenti è imputabile la mala gestione delle fondazioni e il loro dissesto e, in alcuni casi, invece di procedere con la rimozione degli stessi si è proceduto ad attribuire uno stesso incarico ma in altra fondazione. Il meccanismo della nomina politica è sbagliato perché vi è la cattiva abitudine di considerare i ruoli apicali, quindi soprattutto i ruoli di sovraintendente all'interno delle fondazioni, di direttore artistico ma anche di tutti i vari direttori amministrativi come un parking per accontentare amici politicamente vicini, anche se questi amici non hanno dimostrato in occasioni precedenti di essere bravi nella gestione o anche se gli stessi non hanno un curriculum vitae adatto a motivare la loro nomina in quelle posizioni. La cosa più triste è che spesso a farne le spese sono i lavoratori dello spettacolo che sono costretti a rinunciare al loro lavoro e al loro stipendio. Sicuramente incentivare l'intervento del privato nel settore dello spettacolo dal vivo è importante, però tale intervento dovrebbe essere meglio indirizzato. Altrimenti lascerà sempre scoperte e prive di tutela le aree più svantaggiate del nostro Paese e finirà per avvantaggiare quelle più sviluppate e appetibili economicamente.

Un'ultima questione su cui vorrei soffermarmi riguarda la situazione dei lavoratori dello spettacolo, su cui si è fatto poco anche in questo disegno di legge. Da un sondaggio compiuto dagli artisti, dagli stessi artisti, si è avuto modo di notare come tra di loro solo il 4,2 per cento supera un reddito annuale di 25 mila euro, mentre il 51 per cento non arriva a 5 mila euro. Il lavoro dello spettacolo ha un carattere intermittente, per cui a livello previdenziale è equiparato ad un lavoratore stagionale, quasi come se fosse un raccoglitore di pomodori.

Al contrario, si dovrebbe dare rilievo e considerare come lavoro anche il periodo delle prove, e non solo quello di messa in scena dinanzi al pubblico: per questo dovrebbe essere proposto il riconoscimento di premi e incentivi per quei teatri che garantiscano la puntualità dei pagamenti, e, di contro, sanzioni per i teatri che ritardano l'erogazione di stipendi; l'introduzione di una specifica disciplina volta a riconoscere le prove di spettacolo come periodo lavorativo effettivo, con obbligo di retribuzione; nonché una rimodulazione ed estensione degli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori dello spettacolo, e più in generale alla professione artistica.

Un altro aspetto di cui si è parlato poco è il lavoro nero e tutto il sommerso che caratterizza purtroppo questo settore. Considerato che tra di essi vi sono anche minorenni, è importante mettere in luce questa situazione e porvi tutela: dovrebbero essere approntati dei sistemi di emersione del nero.

Concludo con una battuta sulla danza, perché non siamo noi in realtà a dire che in questo provvedimento non si è fatto abbastanza, e che in Italia, patria della danza, questa rischia di scomparire. È stato il grande ballerino ed interprete Roberto Bolle a dire che, in questo Paese, la danza viene ignorata e maltrattata. In effetti, il Maggio Musicale fiorentino e l'Arena di Verona, due istituzioni che potevano vantare un corpo di ballo di alto livello, se lo sono visto smantellare proprio quest'anno. Perciò, se pur riconosciamo i miglioramenti apportati grazie al ruolo delle opposizioni rispetto al testo originario, non possiamo definirci contenti pienamente dei principi come oggi approvati in questo disegno di legge delega (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sandra Savino. Ne ha facoltà.

SANDRA SAVINO. Presidente, onorevoli colleghi, oggi esaminiamo in quest'Aula l'ennesima legge delega che questo Governo ci sottopone: un provvedimento che deriva dallo stralcio di alcuni articoli del disegno di legge in materia di cinema approvato alla fine dello scorso anno, la legge n. 220 del 2016. Anche quello conteneva una delega al Governo: proprio in questi giorni le Commissioni stanno esaminando alcuni schemi di decreto legislativo attuativo della legge.

Colleghe e colleghi, il nostro è un Paese straordinario dal punto di vista del paesaggio e ricco dal punto di vista del patrimonio culturale. Ricco certamente dal punto di vista quantitativo, e questo è noto; ma voglio richiamare e sottolineare, in questa sede, il fatto che tale ricchezza si trova soprattutto nella varietà e nella qualità della nostra tradizione culturale. Siamo storicamente il Paese delle arti: il teatro, la danza, la musica, lo spettacolo si affiancano a pieno titolo al panorama archeologico, architettonico e delle arti figurative in genere, che il mondo ci riconosce e conosce. Potremmo richiamare, in tal senso, molti esempi di eventi culturali di rilevanza internazionale che si svolgono a livello nazionale e anche locale, promossi indistintamente da amministrazioni di centrodestra o di sinistra.

La cultura è importante: predispone e forma le persone alla bellezza ed appartiene a tutti. A tal proposito, possiamo dire che questo provvedimento contiene alcune dichiarazioni di principio che noi di Forza Italia certamente apprezziamo. Infatti, per quanto riguarda lo spettacolo dal vivo, così definito per la sua unicità e non ripetibilità, molto hanno fatto in passato i Governi di centrodestra. Sul cinema, per esempio, mi preme ricordare a questa Assemblea che nel 2004, durante il Governo Berlusconi, fu emanato il decreto legislativo n. 28, la famosa legge cinema Urbani, che modificò completamente il quadro normativo allora vigente, introducendo il sistema automatico a punteggio ed una commissione di valutazione dei progetti, al fine di evitare che giungessero finanziamenti a progetti che non sarebbero mai stati realizzati: abbiamo assicurato il minimo garantito e introdotto il reference system.

Il sistema è ancora vigente: perché se è vero, infatti, che la legge cosiddetta Franceschini ha semplificato la commissione così come disciplinata in quel provvedimento, il sistema di valutazione per punteggio, che verifica la qualità del prodotto, la sua appetibilità internazionale, il suo collegamento con i mercati in un momento precedente l'esecuzione, è un sistema berlusconiano. E, sempre nel 2004, ma qualche mese prima della legge cosiddetta cinema, il Governo di centrodestra approvò il cosiddetto codice Urbani sul paesaggio e i beni culturali.

Con questa premessa, colleghe e colleghi, intendo sottolineare che Forza Italia ha a cuore la tutela del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese: abbiamo a cuore la tutela di una tradizione di spettacolo di qualità, capace di affermarsi nel mondo.

Il disegno di legge in esame presenta approcci positivi, in alcuni casi condivisibili, ma siamo di fronte a dichiarazioni generiche, che partono dall'affermazione dell'importanza degli spettacoli dal vivo: come si fa a non essere d'accordo? È di una nuova legge delega che stiamo parlando, una delega nella quale, a nostro parere, troviamo criteri che appaiono precisi solo nella teoria, ma che sono in realtà molto generici. Dopo le affermazioni generiche, non fa seguito un'uguale chiarezza, per esempio, in merito alle risorse da destinare a tali settori.

Questo codice dello spettacolo è costituito da sette articoli. Si introduce con delega la riforma, la revisione e il riassetto della vigente disciplina nel settore del teatro, della musica, della danza, degli spettacoli viaggianti, delle attività circensi, e poi si aggiunge, come novità, dei carnevali storici e delle rievocazioni storiche. Si tratta, cioè, di una maxi-delega al Governo, una scatola chiusa che introduce la riforma di un settore estremamente ampio. I criteri adottati sono generici: favorire la promozione internazionale delle opere dello spettacolo italiano, aiutare i giovani, favorire la cittadinanza, l'integrazione culturale, il credito agevolato, l'accesso alla disabilità nello spettacolo, l'associazionismo, la musica popolare contemporanea, la partecipazione del privato, il 3 per cento per le scuole di ogni ordine e grado; tutti principi importanti, ma appunto fumosi, non adeguatamente definiti. Ci ritroviamo a doverci esprimere sulla base di enunciazioni generiche.

Il provvedimento, inoltre, arriva dal Senato blindato, sottraendo in tal modo al Parlamento la possibilità di discutere, affrontare e approvare norme concrete: non ci sembrano chiari, per esempio, i rapporti in merito che il Ministero dovrebbe avere con gli enti territoriali, per quanto riconosciamo la novità e la rilevanza della previsione che i decreti del Ministro debbano essere concertati con le regioni in sede di Conferenza unificata. C'è, quindi, una più stringente collaborazione con le regioni; ci sembra, però, che la struttura del provvedimento preveda un discutibile accentramento di poteri al Ministro.

Ma tra le criticità maggiori indichiamo il fatto che ci troviamo ad affrontare ancora una volta l'ennesimo intervento in materia di fondazioni lirico-sinfoniche: un problema di cui non si riesce a venire a capo, e che ad oggi ha prodotto debiti fino a 300-350 milioni di euro. Stiamo definendo un codice dello spettacolo per consentire l'ennesimo intervento a sostegno delle fondazioni lirico-sinfoniche: ci è chiaro l'intento di fondo derivante dalla necessità di intervenire, al fine di prevedere dinamiche virtuose di amministrazione di tali fondazioni di diritto privato, che non sono più enti lirici di diritto pubblico. Le fondazioni lirico-sinfoniche sono diventate tali con la legge cosiddetta Veltroni, nel 1996. Sono state trasformate in enti ibridi, dei quali non si capisce esattamente la natura: un sistema giuridico in cui non è chiaro quali e di chi siano le competenze tra Stato, intervento pubblico e intervento privato; e il risultato è la situazione in cui ci troviamo e che conosciamo bene.

Sulle fondazioni lirico-sinfoniche il Governo Berlusconi era intervenuto nel 2010, approvando la legge Bondi, che era una legge di sistema: una legge che abbiamo voluto per salvare la lirica italiana. Proprio per affrontare la situazione debitoria del settore, abbiamo ritenuto doveroso introdurre criteri di trasparenza amministrativa. Dopo la legge cosiddetta Bondi del 2010, legge che in sede di approvazione fu depotenziata rispetto alla versione iniziale nella ricerca di una dialettica parlamentare di posizioni quanto più possibili condivise, sulle fondazioni lirico-sinfoniche sono stati successivamente approvati il decreto-legge cosiddetto Bray del 2013 e il decreto-legge cosiddetto Franceschini del 2014; adesso siamo di nuovo qui a discutere di un provvedimento in materia.

Le fondazioni lirico-sinfoniche rappresentano oltre il 50 per cento delle spese sostenute dal Fondo unico per lo spettacolo: chi fa teatro, chi fa danza, chi organizza concerti in tutta Italia, sa che la lirica ha prevalenza sia nella strategia del Governo, sia nella spesa che il Governo, l'amministrazione centrale e le regioni dovranno sostenere per favorire lo spettacolo in Italia. Noi con la legge n. 100 del 2010, la cosiddetta legge Bondi, avevamo favorito una spinta verso l'efficienza, l'economicità, l'imprenditorialità e l'autonomia di tutte le fondazioni. Al momento, però, il settore si trova ad affrontare una situazione debitoria consistente: debiti che faticano ad essere riassorbiti, e che siamo qui per fronteggiare nuovamente cercando una soluzione di risanamento. La legge cosiddetta Bondi è intervenuta per sanare, il decreto-legge cosiddetto Bray è intervenuto per sanare, il decreto-legge cosiddetto Franceschini ha operato per sanare, ma continuiamo ad avere il problema delle fondazioni.

In questo contesto si continua a penalizzare il teatro italiano, la danza italiana, le accademie. Il Governo, a nostro parere, sta perdendo un'occasione per fare qualcosa di più per lo spettacolo italiano.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4652)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il Governo rinunciano alle repliche.

Il seguito del dibattito è, dunque, rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di inchiesta parlamentare: Coppola ed altri: Proroga del termine per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Doc. XXII, n. 81) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di inchiesta parlamentare:

Proroga del termine per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Doc. XXII, n. 81).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione – Doc. XXII, n. 81)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la Commissione I (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente Coppola.

PAOLO COPPOLA, Relatore. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il documento che ci accingiamo a discutere dispone la proroga, fino a fine legislatura, per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

La Commissione è stata istituita con delibera della Camera dei deputati il 14 giugno del 2016, nonostante la proposta fosse stata depositata a febbraio del 2015 e durante la trattazione in Commissione fu introdotta la durata di un anno, che, invece, in questo momento, noi chiediamo di prorogare. La Commissione si è costituita con l'Ufficio di Presidenza il 3 novembre del 2016, con i seguenti compiti: verificare le risorse finanziarie stanziate ed il loro utilizzo, nonché la quantità, la tipologia e l'efficacia degli investimenti effettuati nel corso degli anni nel settore delle ICT, da parte delle pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, anche al fine di individuare possibili sprechi ed investimenti errati; effettuare una comparazione tra spesa pubblica nel settore delle ICT nei maggiori Paesi europei e in Italia; esaminare, anche verificando i titoli di studio e il livello di competenza dei diversi responsabili del settore delle ICT nelle pubbliche amministrazioni, lo stato di informatizzazione attuale e il livello di dotazione tecnologica raggiunto dalle pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, con riferimento, tra l'altro, al livello di reingegnerizzazione e automazione dei processi e dei procedimenti amministrativi, all'utilizzo del software open source, all'apertura dei dati e al loro utilizzo, all'interoperabilità, all'interconnessione delle banche dati, al livello di sicurezza e allo stato di attuazione del disaster recovery e al livello di accettazione dei pagamenti elettronici; monitorare il livello di digitalizzazione e investimento delle singole realtà regionali; esaminare l'esistenza di possibili interventi di razionalizzazione della spesa nel settore ICT. La Commissione ha iniziato i lavori dopo l'approvazione del proprio regolamento interno, avvenuta nella seduta del 15 novembre del 2016. Da quella data, la Commissione ha svolto 67 audizioni, per un totale di più di 80 ore, oltre ad avere eseguito una missione presso il data center della società generale di informatica Sogei Spa. Inoltre, è stato acquisito materiale documentale per circa un terabyte, tutto raccolto in formato digitale e depositato presso l'archivio della Commissione, disponibile per la consultazione secondo il rispettivo regime di riservatezza.

I lavori della Commissione, come si deduce dalla relazione introduttiva, hanno riguardato, prima di tutto, una ricostruzione storico-legislativa del processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, relativa quindi all'Agenzia per l'Italia digitale e ai predecessori dell'Agenzia. Successivamente, la Commissione ha deciso di seguire alcuni filoni di indagine, visto il tempo limitato, nel tentativo di cercare di trovare degli esempi di problemi generali alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, perché il punto di partenza dell'indagine era proprio il fatto che, nonostante una spesa stimata in 5 miliardi e 700 milioni di euro all'anno, i livelli di digitalizzazione del nostro Paese, misurati da tutte le classifiche internazionali, sono oggettivamente bassi e insufficienti.

Da qui, un primo filone di indagine è stato relativo all'Anagrafe nazionale della popolazione residente, un progetto paradigmatico del fatto che alcuni dei grandi progetti di digitalizzazione della pubblica amministrazione si trascinano negli anni e la Commissione aveva interesse a capire i motivi di questo trascinarsi e i motivi per cui la spesa stanziata per questo progetto non ha ancora adesso portato alla costruzione di un'anagrafe digitale unica della popolazione residente.

Successivamente, un altro filone di indagine ha riguardato il sistema informativo dell'agricoltura, che è un sistema esistente dal 1984, che purtroppo non ha ancora dato i risultati sperati e vengono segnalati regolarmente ogni anno una serie di malfunzionamenti e, soprattutto, una serie di ritardi nella erogazione dei contributi agli agricoltori.

Altri filoni d'indagine hanno riguardato il Ministero dell'università e della ricerca, in particolare approfondendo le motivazioni per cui, in alcuni casi, il MIUR non fa riferimento a convenzioni Consip per l'acquisto di materiale informatico, ma fa riferimento a un contratto separato. Abbiamo analizzato l'utilizzo delle cifre spese con gli accordi di programma quadro, soprattutto i motivi per cui risultano ancora centinaia di milioni di euro come residui su questi progetti. Infine, la Commissione ha approfondito il livello di adempimenti rispetto al codice dell'amministrazione digitale da parte dei ministeri, da parte delle regioni e da parte dei maggiori comuni italiani.

La Commissione, purtroppo, ha bisogno di ulteriore tempo, innanzitutto per approfondire l'ingente quantità di documenti e atti acquisiti; successivamente, non è stato ancora possibile definire, rispetto al sistema informativo agricolo nazionale, le motivazioni sottostanti ad alcuni malfunzionamenti che sono stati rilevati sulla base di documenti acquisiti dalla Commissione. Inoltre, ampi settori della digitalizzazione della nostra pubblica amministrazione non sono stati approfonditi a sufficienza, come, ad esempio, il settore relativo al fascicolo sanitario elettronico, che, anche qui, vede nel nostro Paese un grave ritardo. Dai lavori di quest'anno, risulta evidente che, purtroppo, nella nostra pubblica amministrazione i ritardi sono dovuti a vari motivi, ma sicuramente alla assenza o, comunque, alla scarsa presenza di competenze nei settori apicali della dirigenza pubblica, competenze tecniche manageriali e di informatica giuridica, che, peraltro, sono previste dalla norma, dall'articolo 17 del codice dell'amministrazione digitale, così come è stato modificato dal recente decreto legislativo n. 179 del 2016.

Purtroppo, dalle analisi, dalle audizioni portate avanti dalla Commissione, appare evidente che il rispetto di questo articolo, e non solo di questo articolo, non è molto diffuso, tant'è che un aspetto imprevisto, però positivo, delle audizioni è stato proprio un sottoprodotto del fatto di richiedere alle pubbliche amministrazioni il riferimento al responsabile della transazione digitale, perché in questa attività la Commissione ha prodotto un impulso nelle pubbliche amministrazioni, che si sono attivate e hanno iniziato a nominare i responsabili. Chiaramente non è solo questa la mancanza relativa al codice dell'amministrazione digitale, e il quadro che emerge, purtroppo, è quello di una pubblica amministrazione digitalizzata solo in parte, che non rispetta completamente la normativa prevista dal decreto legislativo n. 82 del 2005. È interesse della Commissione continuare a monitorare e a cercare di capire quali sono i motivi per cui questa scarsa conoscenza della norma o questa scarsa applicazione della norma fa sì che la pubblica amministrazione continui a utilizzare in modo non efficiente la spesa pubblica. Per queste ragioni la proposta chiede la proroga dei lavori della Commissione fino al termine della XVII legislatura. La I Commissione ha avviato l'esame in sede referente del Doc. XXII, n. 81, nella seduta del 12 ottobre 2017; sul testo, al quale non sono state presentate proposte emendative, la V Commissione ha espresso un parere di nulla osta e, nella seduta del 26 ottobre, la I Commissione ha conferito al relatore il mandato di riferire in senso favorevole al provvedimento in esame.

PRESIDENTE. Il Governo, immagino, non intende intervenire, giusto? È iscritto a parlare l'onorevole D'Incà. Ne ha facoltà.

FEDERICO D'INCA'. Presidente, oggi trattiamo la proroga della Commissione d'inchiesta sul livello di digitalizzazione della pubblica amministrazione; una proroga dovuta, importante, perché permette alla Commissione di poter continuare i suoi lavori, che hanno visto, fino ad oggi, svolgere 67 audizioni e 127 invitati, appunto, alle audizioni. Quindi, un anno di lavoro - nemmeno un anno - sicuramente produttivo e costruttivo nei confronti di un Paese che ha assoluto bisogno di poter passare dall'analogico al digitale, da una situazione che ci vede in gravissimo ritardo ad un futuro in cui dobbiamo tutti quanti renderci conto che il digitale sicuramente avrà un impatto straordinario all'interno della pubblica amministrazione. Parto da una considerazione rispetto al digitale nel nostro Paese: da anni l'Italia si trova in coda nelle classifiche del Digital economy and society index (DESI); siamo al venticinquesimo posto, e, in particolare, il ritardo è all'interno della digitalizzazione della pubblica amministrazione. In particolare, secondo tutte quante le agende comunitarie e locali, ci vuole uno sviluppo maggiore dell'e-government, perché nel nostro Paese questo significherebbe l'aumento di mezzo punto percentuale del nostro PIL, quindi immaginiamo cosa vuol dire in questo momento riuscire ad avere un miglioramento di quello che è il digitale nella pubblica amministrazione e nel governo del nostro Paese. Oggi la pubblica amministrazione, Presidente, sembra nemica del cittadino. È di pochi giorni orsono la notizia, apparsa in un articolo di uno dei principali quotidiani, che il rilascio dei certificati online nei diversi comuni vede una differenza enorme tra Milano, dove si può avere il 50 per cento dei certificati online, e Napoli, dove siamo pari a zero, quindi una differenza incredibile all'interno del nostro Paese.

La normativa, tra l'altro, prevede poi varie strutture, che partono dall'Europa, quindi attraverso l'Agenda digitale europea, e con degli obiettivi predefiniti al 2020. L'Agenda propone di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione ICT, per favorire l'innovazione, la crescita economica e il progresso, e contiene 101 azioni. Oltre a questo, nell'Agenda si ritiene appunto di accompagnare le persone a orientarsi nel mondo del digitale, e in particolare si dice che, nel complesso, ICT rappresenta circa il 5 per cento dell'economia dell'Unione europea, il 25 per cento della spesa totale delle imprese, mentre gli investimenti in questo settore sono responsabili del 50 per cento dell'aumento della produttività in tutta l'Unione; quindi immaginiamo cosa vuol dire come impatto appunto all'interno della pubblica amministrazione. Se andiamo invece a fare una valutazione all'interno del nostro Paese, passiamo per l'AgID, quindi l'Agenzia per l'Italia digitale, che ha il compito di garantire, in definitiva, la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana in coerenza con l'Agenda digitale europea, e dopo vi è appunto il codice dell'amministrazione digitale, il CAD, il quale, riformato nel 2016, prevede una serie di importanti riforme e di attuazioni.

Il CAD è sicuramente un codice importantissimo all'interno della pubblica amministrazione, spesso non considerato nella sua pienezza. Al suo interno vi è la Carta della cittadinanza digitale e, in particolare, l'implementazione di alcuni sistemi che sono fondamentali per il nostro Paese, quali ad esempio lo SPID, che è il sistema pubblico di identità digitale e la ANPR, l'anagrafe nazionale della popolazione residente, che rappresentano passaggi importantissimi per poter realizzare un Paese competitivo. Nel CAD è anche inserita una trasformazione, quella di una nuova figura, che è il commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenzia digitale, e il team per la trasformazione digitale, il cui commissario è appunto Diego Piacentini. È un team che sicuramente ha accelerato il processo di digitalizzazione nel nostro Paese, e vi è piena consapevolezza da parte del Parlamento che la conoscenza e la preparazione che queste persone hanno avuto in questo percorso di tre anni, che terminerà nel 2018, non deve andare perso, altrimenti è sempre la storia antica di questo Paese che di volta in volta riparte da zero.

Oltre a questi dati, sicuramente sono molto interessanti i contesti dei costi dell'ICT nel nostro Paese. Il piano triennale dei costi per l'informatica nella pubblica amministrazione, redatto dall'Agenzia per l'Italia digitale, stima in 5,7 miliardi di euro la spesa esterna ICT nel nostro Paese. È una spesa frammentata, molto complessa, sono infatti 32 mila i dipendenti pubblici che lavorano nel campo dell'ICT, suddivisi fra pubbliche amministrazioni centrali, con 18 mila persone, e pubbliche amministrazioni locali, con 14 mila persone, ai quali si aggiungono altri 10 mila dipendenti delle società in house centrali e locali, quindi parliamo di cifre assolutamente importanti. Il piano stima anche l'esistenza di circa 11 mila datacenter nelle pubbliche amministrazioni, 25 mila siti web e circa 160 mila base dati, sui quali si appoggiano oltre 200 mila applicazioni: numeri incredibili, che devono farci ragionare su come questa enorme quantità di lavoro fatto negli anni sia realmente produttivo o diversamente sia di intralcio e di ostacolo.

Ma se appunto dobbiamo semplificare e puntare verso obiettivi importanti per la trasformazione digitale del nostro Paese, ci domandiamo: vi sono dei punti di riferimento in Europa, nel mondo? Sicuramente ve n'è uno, si chiama Estonia. Lì si è fatta la rivoluzione all'interno della pubblica amministrazione per il digitale, ed è un punto di arrivo importantissimo su cui il nostro Paese deve riuscire a puntare. La Commissione d'inchiesta ha avuto nel corso di questo percorso di un anno la capacità e la forza di mettere sotto la lente, sotto i riflettori, le difficoltà che invece il nostro Paese ha all'interno della pubblica amministrazione per il digitale. Oltre a questo - lo continuo a ripetere -, la pubblica amministrazione è al servizio del cittadino, non è nemica del cittadino. La burocrazia avrà per sempre il suo più profondo nemico all'interno del digitale, quindi il digitale è amico del cittadino. Quando appunto parliamo di una trasformazione, questo sì vuol dire la riduzione dei datacenter da 10.000, quali oggi sono, a 10 - lo ripeto, da 10.000 a 10 -, che può far risparmiare milioni di minuti di lavoro, che si trasformano in grandi risparmi di spesa per il contribuente, ma non è solo questo. Digitale vuol dire appunto semplificare la vita ai cittadini e alle imprese; è un cambio radicale di prospettiva, che mette al centro il cittadino, con maggiore trasparenza e quindi con meno spazio alla corruzione - un tema su cui torneremo dopo -, e ribalta il rapporto tra Stato e persone in un'ottica di servizio. Per poterci arrivare occorrono delle piattaforme abilitanti, che nel corso del tempo abbiamo avuto la possibilità, come Commissione d'inchiesta, di analizzare e di cercare di definire al meglio. Vi sono sì piattaforme, come la CIE, la carta di identità elettronica, documento di identità munito di elementi per l'identificazione fisica del titolare; poi vi è lo SPID, citato prima, che è il sistema pubblico di identità digitale, che autentica, attraverso delle credenziali che siano efficaci su tre livelli di sicurezza, e abilita per poter accedere a una serie di servizi importantissimi; poi vi è la “pagoPA”, che è la gestione elettronica dei pagamenti verso la pubblica amministrazione, che interconnette tutti i prestatori di servizi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e rende assolutamente più facile la rendicontazione e i flussi per la pubblica amministrazione di rendicontazione e la riconciliazione automatica.

Poi vi è la fatturazione elettronica, che gestisce la fatturazione passiva della pubblica amministrazione; e l'ANPR che, appunto, è l'Anagrafe nazionale della popolazione residente, l'anagrafe centrale di tutti i cittadini e i residenti nel nostro Paese, di cui sentiamo parlare da molti anni e che presenta notevolissimi ritardi. Poi vi sono delle piattaforme abilitanti che sono, ad esempio, come ComproPA, sistemi di avvisi e notifiche di cortesia, SIOPE, NoiPA, Poli di conservazione e altre ancora. Credo che, nei prossimi tre anni, dobbiamo realizzare quello che, oggi, sembra un sogno, cioè riuscire a portare il 90 per cento degli italiani ad avere un'identità digitale; oggi siamo fermi a 1,8 milioni di cittadini nel nostro Paese. Si aprirebbe un mondo completamente diverso e questo è un nostro punto di arrivo e la Commissione d'inchiesta ha messo in luce la problematica dei ritardi all'interno dell'ANPR, ma non solo. L'ANPR, tra l'altro, appunto, fino a oggi, è stata praticamente portata avanti soltanto da diciannove comuni su ottomila e, quindi, abbiamo soltanto 435.000 persone che possono utilizzare l'anagrafe nazionale digitale; questi sono numeri ancora troppo bassi. Si è avuta un'accelerazione - merito, moltissimo, anche del team per la trasformazione digitale e del commissario -, però siamo ancora in forte ritardo rispetto, insomma, a quello che dovremmo noi, tutti quanti, auspicare, anche in Parlamento, dove, spesso, il digitale è una di quelle opportunità non comprese e non capite, anche perché, forse, vi è una relativa poca conoscenza, da parte dei colleghi parlamentari, dell'importanza del digitale. Ad esempio ci sono degli strumenti, come il PagoPA dove dovremmo arrivare a centinaia di milioni di transazioni in un anno e dove, oggi, invece siamo a pochi milioni.

Tutto questo per avere un risultato a cui noi, tutti quanti, vogliamo giungere, cioè che vi siano accesso e open data dinamici. Dobbiamo dire basta ai silos privati, cioè banche dati private di un'amministrazione o dell'altra. I dati pubblici sono un bene comune e vanno gestiti come un giacimento minerario importante; deve essere sfruttato da parte di chi può esplorarlo e trarne grande valore per il nostro Paese. Noi vogliamo una pubblica amministrazione diversa, un'amministrazione che diventi abilitatrice per nuove aziende che offrono servizi complementari, cosa che oggi non esiste. L'esperienza dei dati aperti, open data, dimostra che si può usare il patrimonio informativo della PA per offrire nuovi servizi utili a cittadini ed imprese. Immaginiamo per un attimo cosa si potrebbe ottenere e cosa si potrebbe abilitare se l'accesso ai dati non avvenisse solo per l'insieme di dati consolidati a consuntivo, ma per singoli dati di singoli procedimenti in tempo reale, una rivoluzione completamente diversa.

Vogliamo andare oltre al paradigma dell'opendata statico, ma vogliamo passare ad un open data dinamico e personalizzato, in modo tale che l'accesso ai dati e il loro monitoraggio avvenga in tempo reale da parte del singolo interessato. Nuove start-up, in questa maniera, potranno usare queste funzioni di open data dinamici, per realizzare applicazioni che consentano di integrare funzionalità e servizi erogati da amministrazioni diverse; è un concetto completamente diverso. Dal basso verso l'alto si possono creare grandi opportunità per i nostri giovani e questo la Commissione d'inchiesta lo sta mettendo in luce ogni giorno.

C'è un motivo, però, che si pone come una problematica alla realizzazione di questa pubblica amministrazione finalmente digitale; probabilmente la corruzione. Dietro alla mancanza di trasparenza, alla mancanza di un'accelerazione positiva nei confronti del digitale nella pubblica amministrazione si nasconde anche la corruzione; dietro alla mancanza di trasparenza si nascondono interessi che non sono a favore della collettività.

Bene, l'abbiamo più volte ripetuto, anche all'interno della Commissione, e non è una novità che, appunto, bisogna riuscire a sconfiggere uno dei motivi, anche di corruzione umana, che esiste, l'inerzia e la difficoltà al cambiamento di cui, invece, questo Paese ha assolutamente bisogno. Non è una novità scoprire che il problema principale è, appunto, la mancanza di cultura, la scarsa professionalità, più volte evidenziata all'interno della Commissione, un'insufficienza dei meccanismi meritocratici; questa è un po' la grande sofferenza del nostro Paese; serve una trasformazione culturale che è, appunto, una trasformazione digitale.

Per tutti questi motivi che ho elencato, facendo un'analisi aperta, di orizzonte, del digitale nel nostro Paese, dobbiamo permettere alla Commissione di inchiesta di poter proseguire i lavori fino al termine dell'attuale legislatura, ma non solo.

Se questo Parlamento ne avrà l'opportunità, nella prossima legislatura, questa Commissione - che ha, insomma, cercato di capire le problematiche all'interno della pubblica amministrazione, ma non solo, con una visione anche allargata all'innovazione in generale del nostro Paese - dovrebbe essere trasformata da una Commissione d'inchiesta a una Commissione permanente. Questo significherebbe un grande cambiamento per il nostro Paese, perché in questa maniera potremo andare a concludere e a poter risolvere i grandi problemi che, poi, passano per l'attuazione del CAD, passano per una vigilanza più attenta all'interno della pubblica amministrazione, per veri e propri indici di performance che oggi mancano e per l'acquisizione di capitale umano, capitale umano di conoscenza che, in questo momento, è assente o, comunque, in grave deficit all'interno della pubblica amministrazione.

Oltre a questo, credo che occorra aggiungere una considerazione nell'ambito di questa discussione, credo che sia importantissimo anche capire che il nostro Paese ha assolutamente bisogno di un Ministero per l'innovazione digitale, collegato, appunto, ad una Commissione permanente sul digitale e sull'innovazione. Per questo motivo, la conclusione che voglio trarre per poter dare una via futura per la gestione del digitale nella pubblica amministrazione, è che credo che il primo passo sia, appunto, la proroga della Commissione d'inchiesta per il digitale nella pubblica amministrazione in modo che possiamo continuare il lavoro partendo, magari, da quel fascicolo sanitario elettronico che, in questo momento, procede assolutamente a rilento.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - Doc. XXII, n. 81)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il Governo non intendono replicare.

A questo punto, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Prima di passare al punto successivo all'ordine del giorno, sospendo la seduta che riprenderà alle ore 15,40.

La seduta, sospesa alle 15,30, è ripresa alle 15,45.

Discussione del disegno di legge: Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017 (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 4505-B).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato, n. 4505-B: Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4505-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Marina Berlinghieri.

Prima, però, salutiamo studenti e insegnanti dell'Istituto comprensivo “Isola del Liri” di Isola del Liri, in provincia di Frosinone, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna (Applausi).

MARINA BERLINGHIERI, Relatrice. Presidente, onorevoli colleghi, ci apprestiamo oggi ad avviare l'esame in seconda lettura del disegno di legge europea 2017 che il Senato ha approvato con modificazioni nella seduta del 10 ottobre scorso. Provvedimento, pertanto, sottoposto all'esame della Camera limitatamente alle modifiche apportate nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento.

Segnalo, al riguardo, che l'Assemblea del Senato ha modificato gli articoli 12 e 16 del provvedimento, mentre i restanti articoli del disegno di legge sono stati approvati in testo identico a quello approvato da questa Camera nella seduta del 20 luglio 2017. Procederò, quindi, all'illustrazione dei soli contenuti del provvedimento che sono stati oggetto di modifiche.

Come ricordato, la prima modifica approvata dal Senato ha come oggetto l'articolo 12, riguardante la sicurezza dei prodotti alimentari a base di caseina, che prevede disposizioni di attuazione della direttiva n. 2015/2203 del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva n. 83/417 del Consiglio.

In particolare, nel corso dell'esame al Senato è stato soppresso l'originario comma 5 che prevedeva la possibilità di deroga per alcune delle indicazioni obbligatorie. Ricordo che il soppresso comma 5 contemplava, come indicato nella direttiva, la possibilità di deroga per alcune delle indicazioni obbligatorie, quali l'indicazione del tenore di proteine per le miscele contenenti caseinati alimentari, la quantità netta di prodotti espressa in kg, il nome o ragione sociale dell'operatore del settore alimentare e l'indicazione del Paese di origine nel caso di provenienza da un Paese terzo, che potrebbero essere inserite solo nel documento di accompagnamento.

Nella versione attuale, l'articolo 12 adegua la normativa vigente alle nuove disposizioni attualmente in vigore anche in tema di etichettatura contenute nel regolamento n. 1169 del 2011, ma, soprattutto, esso è volto a dare recepimento alla direttiva n. 2203 del 2015, avente lo scopo di allineare i poteri conferiti alla Commissione dalla nuova distinzione introdotta dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e tenere conto della nuova legislazione adottata nel frattempo, segnatamente per quanto riguarda l'alimentazione umana.

Per quanto riguarda la direttiva oggetto del recepimento, rilevo che l'obiettivo è quello di facilitare la libera circolazione delle caseine e dei caseinati destinati all'alimentazione umana, garantendo, al contempo, un elevato livello di tutela della salute, nonché allineare le disposizioni vigenti nei singoli Stati alla legislazione generale dell'Unione e a quella internazionale. Ricordo che la legge di delegazione europea 2014 aveva autorizzato il Governo a dare attuazione alla predetta direttiva mediante regolamento, ma, considerata l'esigenza di dettare anche una disciplina sanzionatoria, si è ritenuto necessario adottare, mediante recepimento diretto, un provvedimento di rango primario. Ricordo che l'articolo 12 è finalizzato all'archiviazione della procedura di infrazione n. 2017/0129 allo stadio di messa in mora ex articolo 258 del TFUE, avviata dalla Commissione europea il 24 gennaio del 2017 per mancato recepimento della direttiva entro il termine in essa contenuto.

Quanto alla seconda modifica approvata dal Senato, essa concerne l'articolo 16, che integra le disposizioni dettate dall'articolo 78-sexies del codice dell'ambiente, relative ai metodi di analisi utilizzati per il monitoraggio dello stato delle acque al fine di garantire l'intercomparabilità, a livello di distretto idrografico, dei risultati del monitoraggio medesimo, nonché la valutazione delle tendenze ascendenti e di inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee, onde pervenire al superamento di alcune delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 7304 del 2015. A tal fine, viene previsto che le autorità di bacino distrettuali promuovano intese con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza.

La norma precisa, altresì, che l'intercomparabilità che le intese dovranno perseguire a livello di distretto idrografico dovrà riguardare i dati del monitoraggio delle sostanze prioritarie di cui alle tabelle 1/A e 2/A dell'allegato 1 alla parte terza del codice e delle sostanze non prioritarie di cui alla tabella 1/B del medesimo allegato. L'articolo in esame prescrive, altresì, che, ai fini del monitoraggio e della valutazione dello stato di qualità delle acque, le autorità di bacino distrettuali promuovano intese finalizzate all'adozione di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e di inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee. Per garantire il raggiungimento delle finalità indicate, viene altresì previsto che l'ISPRA provveda alla pubblicazione sul proprio sito web, entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge, dell'elenco dei laboratori del sistema agenziale dotati delle metodiche analitiche disponibili a costi sostenibili.

Faccio osservare che, nel corso dell'esame al Senato, l'articolo 16 è stato integrato mediante l'aggiunta di un periodo volto a prevedere che le autorità di bacino distrettuali rendano disponibili nel proprio sito Internet istituzionale, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 195 del 2005, i dati dei monitoraggi periodici come ottenuti dalle analisi effettuate dai citati laboratori.

Da ultimo, ricordo che secondo la Commissione europea vi sarebbero numerosi esempi di cattiva e incompleta applicazione della direttiva n. 60 del 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque. In particolare, la Commissione europea, nell'ambito del caso EU Pilot 7304/15, avrebbe chiesto di ricevere chiarimenti e informazioni in merito ad alcune specifiche questioni: insufficiente coordinamento nell'implementazione della direttiva, incompleto monitoraggio e incompleta valutazione dello stato della qualità delle acque, assenza di metodologie per la valutazione delle tendenze ascendenti e di inversione della concentrazione degli inquinanti delle acque sotterranee, mancanza di giustificazione delle esenzioni, identificazione di programmi di misure, prezzi dell'acqua in agricoltura ed altre questioni legate al settore agricolo.

Come già ricordato in sede di primo esame della norma, la disposizione è finalizzata a superare una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 7304/15. In particolare, l'intervento è volto ad assicurare l'intercomparabilità, a livello di distretto idrografico, dei dati di monitoraggio delle sostanze chimiche, e di conseguenza dello stato ecologico e chimico dei corpi idrici superficiali. La disposizione mira, altresì, a rispondere a un'ulteriore contestazione del caso EU Pilot 7304/15 circa la mancanza di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e di inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia ad intervenire.

È iscritto a parlare l'onorevole Battelli. Ne ha facoltà.

SERGIO BATTELLI. Grazie, Presidente. Il disegno di legge europea 2017, recante “Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017”, già approvato dalla Camera e poi modificato dal Senato, è all'esame della Camera in seconda lettura per ragioni puramente politiche e niente affatto contenutistiche. Questo è chiaro e bisogna metterlo subito agli atti.

Negli scorsi anni, così come poche settimane fa, abbiamo provato ad intavolare una discussione seria su proposte concrete di miglioramento dei temi e degli interventi normativi disposti dalla legge di delegazione o dalla legge europea. Il Governo, per voce della maggioranza, ha sempre risposto che approvare le norme velocemente era meglio che renderle ottimali. E anche questa volta l'intenzione era questa: basti vedere le dichiarazione governative dopo che le modifiche al Senato hanno impedito l'approvazione definitiva. Mi ricordo ancora il sottosegretario Gozi quanto si arrabbiò in quell'occasione.

Ci troviamo, dunque, qui, oggi, a discutere non di come migliorare una norma, o, anzi, come riparare meglio a errori normativi di tutte le forze politiche che nel passato hanno governato questo Paese. Siamo qui oggi a discutere questa legge europea perché al Senato si stava facendo la conta dei numeri sulla legge elettorale, con emendamenti, proprio su questo provvedimento, usati come merce di scambio. Voi ragionate così: se tu non mi dai quel che voglio, io ti mando sotto e ti faccio vacillare il Governo.

Questa seconda lettura alla Camera è arrivata per un regolamento di conti interno alla maggioranza, un gioco di forza tra un Governo giunto alla fine del mandato e il Senato vittima di ricatti interni. Appare, dunque, scontato interrogarsi sul senso di questo passaggio qui alla Camera, nuovamente blindato come in passato; così come sarebbe opportuno confrontarsi sulla scellerata pratica governativa volta a svuotare il Parlamento delle proprie prerogative, invece di cogliere la portata diversificatrice e benefica del sistema di far ricomporre interessi plurimi e non solo legati alla maggioranza. Ma dato che questa siffatta riflessione appare preclusa, dato che stiamo parlando del nulla in quest'Aula oggi, mi fermo qui.

Questo passaggio parlamentare non ha alcun senso: non abbiamo potuto modificare la passata lettura e oggi ci torna ancora più blindato. Questo Governo e la sua maggioranza non stanno più in piedi come dimostrano i risultati seppur parziali della Sicilia di queste ore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il presidente Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, il disegno di legge arriva in una nuova lettura, cosa che si sarebbe dovuto evitare. Da sempre il disegno di legge europea è stato approvato in due letture e, anche in questo caso, sarebbe stato il percorso giusto. Non è una ragione per fare le polemiche che ho sentito fare adesso dal MoVimento 5 Stelle ma è indubbio che il modo in cui la discussione è avvenuta non è quello che noi avevamo auspicato. Detto questo, si arriva velocemente all'approvazione che consente un'ulteriore riduzione delle procedure di infrazione a danno dell'Italia che arrivano a 64 - se non sbaglio - circa la metà della situazione in cui ci trovavamo un paio d'anni fa. Quindi sicuramente c'è un andamento positivo e sicuramente c'è una serie di norme e di principi che vengono adottati e che vanno nella direzione giusta. Spesso accade di sentire grandissime polemiche sugli interventi europei, sulla disciplina europea, sul fatto che l'Europa ci impone cose strane, norme assurde: la verità è che quasi sempre i principi che noi o riflettiamo direttamente in disciplina nazionale o recepiamo successivamente correggendo e rimediando alle procedure di infrazione sono interventi corretti. Nel disegno di legge c'è una serie di norme in materia di ambiente, ad esempio, che sono importanti. È il settore nel quale l'Italia ha ancora più procedure di infrazione da risolvere perché in passato, sia a livello statale sia a livello di amministrazione regionale, la conformità alla disciplina ambientale europea è stata scarsa e va ricordato che quasi tutti i progressi in materia di ambiente fatti in questo Paese sono il risultato di disciplina europea, che ci piaccia o no. In particolare è significativo l'intervento che consente di rendere più coordinato, più efficiente e più omogeneo il sistema di monitoraggio dell'inquinamento delle acque che è un problema importante sul quale, per essere chiari, regioni e bacini di ambito andavano per i fatti propri, nella convinzione politica a livello locale che tanto non ci fosse il problema. Mentre è evidente che, se una politica delle acque, che per definizione scorrono lungo un Paese, non viene fatta, coordinando i controlli, non serve a niente e non funziona. C'è voluta l'Europa per intervenire giustamente. Il Governo è intervenuto perché è un campo importante. Anche altri interventi sono importanti: penso a quelli sul roaming e a quelli su Internet aperto. Sono più perplesso sui poteri dell'Agcom riguardanti il diritto d'autore su Internet perché credo che il ricorso all'autorità giudiziaria sarebbe stata la soluzione migliore ma ci sono altre norme, come quelle sui rimborsi IVA, rispetto alle quali spesso la tutela del contribuente è passata per norme europee ed era stata ignorata dai legislatori di diversi Governi, anche quelli che oggi si lamentano continuamente dell'Europa e in generale su una serie di campi - dai diritti all'energia, ai rifiuti alla qualità del nostro ambiente - gli interventi europei hanno consentito dei progressi che non ci sarebbero stati e che non c'erano stati. Per non parlare di settori come la concorrenza, la libertà di stabilimento, in generale il recupero di competitività che il Paese faticosamente sta cercando di portare avanti. Ciò non significa ovviamente che non vi siano difetti sia nella normativa europea in alcuni settori, perché ovviamente ci sono norme che non sono condivisibili e accade, sia nell'applicazione dei Trattati e non ritorno sulle costanti polemiche sul tema del pareggio di bilancio e della gestione del deficit, temi sui quali però qualcuno dovrebbe spiegare a cosa dovrebbe servire una spesa maggiore. Io su questo faccio solo un inciso: spesso si discute dei famosi decimali, del fatto che l'Europa ci controlla, del fatto che l'Europa sta lì a contare i decimali e non fa interventi di sistema e molte affermazioni di questo tipo paradossalmente quasi sempre vengono fatte da parte degli stessi partiti che poi dicono che bisogna tagliare la spesa pubblica.

E allora non si capisce che cosa dovremmo fare con il deficit aggiuntivo. Da sinistra posso capirlo perché alcuni partiti di sinistra propagandano la spesa pubblica e il deficit come strumenti di economia; da parte dei partiti di centrodestra spesso non capisco su cosa si concentri la polemica perché di quello spazio di deficit non c'è bisogno, se si taglia la spesa come dicono di voler fare. La verità è che in passato la spesa non è stata tagliata e se c'è stato un minimo di intervento sulla spesa pubblica che ha riportato i conti di questo Paese in avanzo primario e i conti più o meno sotto controllo è stato proprio per effetto delle politiche europee. La verità è che abbiamo bisogno di più rispetto della disciplina europea proprio nei settori che incontrano più resistenza cioè la concorrenza e della libertà di stabilimento. Tra le procedure di infrazione ce ne sono cinque o sei in materia di concorrenza e ancora una quindicina in materia di ambiente. Ritorno su questo perché l'ambiente è il settore in cui l'Italia è più indietro: tutti parlano di politiche verdi e nello stesso tempo criticano l'Europa. Se noi facciamo progressi in quel campo è perché esiste una disciplina nell'Unione europea e una sollecitazione continua da parte dell'Europa. Il vero problema è che i nostri partiti non partecipano alla formazione degli atti europei; non si occupano dei provvedimenti europei in fase ascendente; in Commissione quando si parla di atti europei, di bozze di regolamenti e di direttive tendenzialmente la presenza è scarsa per usare un eufemismo; l'interesse è ancora minore, salvo che poi, quando quegli stessi provvedimenti tornano, si viene qui a urlare contro l'Europa mentre magari un intervento per sollecitare qualche modifica si può anche fare, affinché il Parlamento lo trasmetta al Governo che, a sua volta, lo trasmette alle autorità comunitarie. Interventi utili in questo senso ci sono stati: penso alla disciplina sull'immigrazione e alle recenti modifiche al regolamento di Dublino dove il Parlamento, in Commissione, all'unanimità ha preso una posizione che il Governo ha trasferito nelle discussioni attualmente in corso. Invece il dibattito sulla legge di delegazione europea e la legge europea è abbastanza triste. Devo dire che, avendo visto, per preparare questo intervento, il percorso parlamentare al Senato, gli ultimi interventi fatti, che mi vengono in mente, sono quello del rappresentante della Lega, che ha parlato credo per un quarto d'ora della Catalogna e non credo che fosse esattamente l'oggetto del disegno di legge o, almeno, non ho trovato la norma, e un intervento del rappresentante di Forza Italia, che diceva che sarebbe stato necessario adottare gli emendamenti sulla direttiva Bolkestein probabilmente per avviare una procedura d'infrazione e non per chiuderla, considerando che abbiamo abbia appena preso una mazzata nel 2016 sull'argomento esattamente per le politiche fatte da Forza Italia e dai suoi Governi in passato sull'argomento ed evidentemente la proposta era di tornare a quella disciplina. Sarebbe il caso di essere un po' più realistici sui temi europei: è evidente che si deve stare in Europa in maniera sempre più attenta, partecipando sempre di più, magari cominciando dai parlamentari che dovrebbero evitare di lamentarsi sempre ex post, come dicevo, molte volte del fatto che bisogna correggere la disciplina, altre volte intervenire, altre volte discutere ma che, in linea generale, dalla partecipazione dell'Italia all'Unione europea e dall'attuazione delle direttive comunitarie e dei principi comunitari il Paese abbia ottenuto progressi, che prima non si erano fatti in termini di trasparenza, di libertà di mercato, di qualità dell'ambiente - ripeto - di sviluppo delle tecnologie rinnovabili, di apertura del mercato di Internet, di sviluppo tecnologico è indubitabile; si dovrebbe credo valutare come sarebbe messa l'Italia oggi in quei settori se le politiche, in tali settori, fossero state affidate a chi oggi, invece di interessarsi dei problemi, viene qui in Aula o in Aula al Senato a parlare della Catalogna o di come violare la direttiva Bolkestein.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Elvira Savino. Ne ha facoltà.

ELVIRA SAVINO. Grazie, signor Presidente, colleghi, come è noto la legge europea, insieme alla legge di delegazione europea, è uno dei due strumenti predisposti dalla legge n. 234 del 2012 al fine di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea.

Il Senato ha modificato il provvedimento approvato dalla Camera lo scorso mese di luglio; una delle modifiche in particolare è stata condivisa dal nostro gruppo parlamentare al Senato, che ha votato a favore di un emendamento che sopprime un comma dell'articolo 12, ovvero l'articolo che recepisce la direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine ed ai caseinati destinati all'alimentazione umana. Il soppresso comma 5 contemplava, come indicato nella direttiva, la possibilità di derogare per alcune delle indicazioni obbligatorie, quali l'indicazione del tenore di proteine per le miscele contenenti caseinati alimentari, la quantità netta di prodotti espressa in chilogrammi, il nome o ragione sociale dell'operatore del settore alimentare e l'indicazione del Paese di origine, nel caso di provenienza da un Paese terzo, che potrebbero essere inserite, appunto in ragione della deroga, solo nel documento di accompagnamento. Tale disposizione costituiva in effetti un vulnus ed una minor difesa del consumatore e dei piccoli imprenditori, prevedendo quindi che le suddette specifiche potessero essere riportate soltanto sui documenti di accompagnamento - e quindi non riportate sugli imballaggi, sui recipienti e sulle etichette - con indicazioni in caratteri ben visibili, chiaramente leggibili e indelebili.

La battaglia per l'etichettatura trasparente ha una lunga storia in Forza Italia, soprattutto per quanto concerne i prodotti agricoli: basti ricordare la lunga discussione che ha riguardato l'olio di oliva. Ovviamente sta poi al Governo tradurre gli effetti di questo articolo con regolamenti di attuazione, che ci auguriamo saranno all'altezza delle tutele che ci aspettiamo sui prodotti in questione.

Al Governo chiediamo due cose in particolare, approfittando della discussione generale su questo provvedimento. La prima è di tenere la barra dritta sulla direttiva Bolkestein; e quando parliamo di tenere la barra dritta ci riferiamo alle promesse di soluzione della questione delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, che il Governo, con l'approvazione della legge delega in questa Assemblea, si è impegnato a dirimere. Ne abbiamo discusso alla Camera dieci giorni fa, e Forza Italia ha riportato in quest'Aula grosse preoccupazioni in merito al suddetto disegno di legge: non sappiamo infatti se l'approvazione del disegno di legge delega, ora all'esame del Senato, sarà sufficiente a negoziare la posizione dell'Italia in sede europea, se sarà preso sul serio ed eviterà una procedura di infrazione.

Noi volevamo venisse approvato un testo meno generico, più circostanziato; volevamo presentarci in Europa con una legge che desse reali tutele alle 200 mila piccole imprese coinvolte ed ai 400 mila posti di lavoro collegati, per non parlare dell'indotto, con delle richieste di specifico riconoscimento della peculiarità geografica del nostro Paese, i cui confini sono per la gran parte, circa 8 mila chilometri, situati proprio sulle coste.

Coste che - e qui veniamo al secondo tema su cui continuiamo a chiedere risolutezza da parte del Governo italiano - sono protagoniste degli enormi flussi migratori che comportano una spesa per il nostro Paese di più di 4 miliardi di euro. Il tema delle migrazioni infatti continua ad imporsi sugli altri presenti nell'agenda politica dei Paesi membri, permanendo le difficoltà interne all'Unione nel trovare una politica comune di gestione dei flussi in entrata, di difesa dei confini e di accoglienza. Chiediamo quindi al Governo fermezza in Europa, ma anche direttamente nel nostro Paese, a partire dalla normativa nazionale: non è sostenibile infatti, sulla delicatissima questione dei migranti, proporre da una parte un “aiutiamoli a casa loro”, insistendo però contemporaneamente sull'approvazione di una legge come lo ius soli che non farebbe altro che suscitare illusioni e false speranze per quelli che arrivano.

Ad ogni modo, se i rapporti dell'Italia con l'Unione europea sono così buoni come sostenuto da più parti, e se è ormai riconosciuto il fatto che l'immigrazione è una questione che riguarda l'intera Unione, noi chiediamo che l'Unione europea se ne faccia carico con risorse che non devono uscire dallo Stato italiano, ma devono provenire appunto dall'Unione europea.

Tornando più propriamente al contenuto del provvedimento in esame, tengo a ribadire che noi non abbiamo alcun pregiudizio sulla legge europea, che rappresenta uno strumento qualificante del processo di partecipazione dell'Italia all'adempimento dell'obbligo e all'esercizio dei poteri derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, e che riteniamo uno strumento opportuno per recepire questi stessi obblighi comunitari, evitando così costose procedure d'infrazione con conseguenti oneri per lo Stato, e quindi per i cittadini. Procedure di infrazione che - e di questo abbiamo dato atto al Governo e al Parlamento, che ha lavorato moltissimo su questo fronte - sono sicuramente diminuite.

La riduzione delle infrazioni deve dunque permettere all'Italia di essere più esigente quando negozia a livello europeo: non possiamo essere dei partner affidabili in Europa, e poi non pretendere con la giusta forza la necessità da parte della stessa Unione di uscire dall'orizzonte limitato in cui si è rinchiusa, costringendo i Paesi membri a muoversi dentro perimetri stretti, limitandosi a normative di dettaglio, e tralasciando colpevolmente le questioni più importanti. L'Europa non può essere solo quella che scorriamo dalle disposizioni di questo provvedimento: non può occuparsi solo di etichette, imballaggi, roaming, mangimi, ma invece deve guardare lontano, guardare lontano per affrontare i conflitti che purtroppo ancora vivono al suo interno.

Il riferimento non è solo al caos legato all'assenza di una politica comune in materia di accoglienza di migranti, ma anche a quelle carenze in termini di sostegno, sviluppo, potenziamento ed armonizzazione nelle strategie dell'Unione europea per le politiche indirizzate alla crescita. L'Europa deve insistere sulla crescita economica che passa per il lavoro e per le imprese, specialmente quelle di piccola e media dimensione, dove l'incidenza delle aziende finanziariamente fragili è aumentata anche per le difficili condizioni di accesso al credito: per avere delle imprese innovative e concorrenziali, è necessario che l'Unione europea operi affinché le PMI godano di un livello di accesso al credito adeguato alle loro necessità.

Ad ogni modo ci auguriamo che l'Europa, su impulso dell'Italia, sappia ben presto cogliere al meglio la sfida sulle politiche per la crescita, sulla necessità di aumentare le risorse europee per l'occupazione, sulle politiche per il Mediterraneo, e quindi anche per il Mezzogiorno d'Italia, e sull'Agenda europea per l'immigrazione. Questi sono i tavoli su cui l'Italia e l'Europa dovranno misurarsi nei prossimi mesi, e su cui dovranno dare risposte concrete ed adeguate.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4505-B)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice non intende replicare, mentre il Governo intende farlo. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Presidente, ringrazio innanzitutto la relatrice e ringrazio tutti gli intervenuti, perché dimostrano che ormai siamo riusciti a diffondere una cultura condivisa in queste Aule. La cultura condivisa è quella della lotta alle infrazioni, non solo perché bisogna rispettare la legalità europea, ma perché la lotta contro le infrazioni, cambiando completamente rotta rispetto al passato - perché il nostro Paese era sempre stato maglia nera per le infrazioni fino al 2014 ed è maglia rosa oggi in termini relativi, e facciamo meglio di tutti i grandi Paesi -, è importante per essere più credibili, e quindi più esigenti sulle norme europee e nei negoziati delle politiche europee.

Questo intervento, che oggi ho sentito dai banchi dell'opposizione, mi conforta sul fatto che nel rapporto Governo-Parlamento abbiamo fatto grandi passi avanti, perché è esattamente, onorevole Savino, la linea che il Governo ha sempre portato avanti dal 2014: non solo lotta alle infrazioni perché l'illegalità va ridotta e perché si pagano sanzioni e perché si perde in credibilità, ma lotta alle infrazioni perché più noi siamo affidabili nel rispettare gli impegni, più noi possiamo richiedere all'Europa nuovi impegni; e questa assolutamente è sempre stata, col Governo Renzi e poi il Governo Gentiloni, la nostra linea, e i risultati li avete citati voi, non ho bisogno di citarli io. Siamo a 64 infrazioni, io auspico che grazie al contributo del Parlamento possano ulteriormente ridursi di qui alla fine della legislatura, e questo è un patrimonio condiviso, patrimonio comune: noi del Governo ne abbiamo fatto una priorità, ma è grazie al gioco di squadra ed ai buoni rapporti tra i gruppi politici di Camera e Senato che siamo riusciti a raggiungere questi obiettivi.

Ovviamente, il Governo rispetta la decisione del Senato di modificare in seconda lettura; il fatto di rispettare la decisione del Senato non mi impedisce di dire anche a voi quello che ho detto al Senato: perfettamente inutili quelle modifiche, perfettamente inutili, motivate da ragioni politiche del tutto estranee all'oggetto. L'onorevole Battelli parla di responsabilità: se volevano essere responsabili potevano - visto che quelle ragioni politiche non muovevano il voto del gruppo MoVimento 5 Stelle - votare contro quegli emendamenti; ma vedo che l'onorevole Battelli ha imparato una brutta pratica parlamentare, perché interviene e poi va via, e non aspetta la replica del Governo. Anche perché il Governo aveva chiaramente spiegato al Senato come si poteva raggiungere l'obiettivo attraverso il decreto attuativo, non c'era bisogno di modificare rispetto alle etichette, e la disposizione relativa all'informazione in materia ambientale è già prevista dal cosiddetto codice dell'ambiente. Però, ovviamente il Senato è sovrano, il Parlamento è sovrano, e qui siamo in terza lettura. Io auspico ovviamente che questa sia una terza lettura definitiva, per le ragioni che avete invocato voi.

Gli ultimi due punti. La necessità di procedere rapidamente, che avevo sottolineato anche davanti agli onorevoli senatori. Sono delle norme che sono tutte di grande importanza per chiudere il contenzioso con l'Unione Europea, ma ci sono delle norme relative alle imprese a forte consumo di energia elettrica che sono di grande importanza, di grande interesse per i lavoratori e per le imprese della Sardegna. Io credo che, anche alla luce di questo, anche alla luce delle grandissime attese che giustamente ci sono in quella regione, e in generale in Italia - ma in quella regione in particolare - per l'introduzione di una normativa che riorganizzi veramente il sistema degli incentivi, delle bollette e dell'attività delle imprese energivore, sia veramente auspicabile un'approvazione rapida di questa legge.

L'ultimo punto è la fase ascendente. Questo Governo - non ho le cifre oggi qui con me, ma vado a memoria - penso che abbia almeno triplicato il numero degli atti proposti al Parlamento da discutere in fase ascendente. Ogni qual volta il Parlamento ha voluto impegnarsi, concentrarsi, in Commissione, per dare degli orientamenti e degli indirizzi politici al Governo, non solo il Governo ha contribuito a questo, ma li ha seguiti. Veniva citato prima il caso della revisione del Regolamento Dublino III. Io da parlamentare, nella passata legislatura, essendo stato tra coloro che hanno lavorato per la legge n. 234 del 2012, non posso che auspicare che anche in questo scorcio finale di legislatura il Parlamento voglia utilizzare le sue prerogative. Il Parlamento le prerogative le ha, può incidere fortemente sulla politica europea, dipende da quanto il Parlamento deciderà e vorrà incidere veramente sulla politica europea dell'Italia.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 951-1082 - D'iniziativa dei senatori: De Monte; Bellot ed altri: Distacco del comune di Sappada dalla regione Veneto e aggregazione alla regione Friuli Venezia Giulia (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (A.C. 4653) (ore 16,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dal Senato, n. 4653: Distacco del comune di Sappada dalla regione Veneto e aggregazione alla regione Friuli Venezia Giulia.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A della seduta del 6 novembre 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4653)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente, Mazziotti Di Celso.

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO, Relatore. Grazie Presidente. Signor sottosegretario, onorevoli colleghi, con questa proposta di legge, che è stata approvata il 21 settembre 2017 dal Senato, si prevede il distacco del comune di Sappada dalla regione Veneto e la sua aggregazione alla regione Friuli Venezia Giulia È un testo unificato di due proposte di legge originarie. Sappada è un comune di 1.306 abitanti, passato dalla provincia di Udine a quella di Belluno nel 1852, quindi prima dell'Unità, ed è un'isola linguistica germanofona.

La proposta di legge si compone di un unico articolo. Il primo comma dispone il distacco del comune dalla regione Veneto e, appunto, il passaggio alla regione Friuli Venezia Giulia, nell'ambito della provincia di Udine. Il comma 2 prevede che, dalla data di entrata in vigore della legge, ogni riferimento alla regione e alla provincia di appartenenza del comune di Sappada presente in disposizioni legislative riguarderà il Friuli Venezia Giulia e Udine e non più il Veneto e Belluno. Va ricordato in merito al passaggio del comune al Friuli che, con legge costituzionale n. 1 del 2016 è stato modificato lo Statuto speciale della regione Friuli, prevedendo la soppressione del livello di governo delle province. In attuazione della modifica statutaria è stata approvata una legge regionale che ha completato e ha previsto le norme per il completamento di questo processo. La provincia di Udine è, tuttavia, ancora operativa in Friuli, in quanto la soppressione diverrà efficace il giorno successivo alla scadenza del mandato che è prevista per il 2018.

Il comma 3 demanda a un regolamento le modalità di attuazione, mentre il comma 4 quantifica in 705 mila euro i costi del provvedimento che sono posti a carico del Fondo speciale di parte corrente, iscritto nel bilancio triennale, nel programma Fondi di riserva e speciali della missione Fondi da ripartire dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017.

Infine, il comma 5, prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Ricordo che il procedimento di trasferimento di un comune da una regione all'altra è regolato dall'articolo 132 della Costituzione, che prevede la richiesta degli enti locali interessati, previa approvazione della stessa con un referendum da parte della maggioranza delle popolazioni interessate, l'adozione di una legge della Repubblica, sentiti i consigli regionali coinvolti. Le disposizioni attuative della norma dell'articolo 132 della Costituzione sono contenute nella legge n. 352 del 1970.

Secondo la disciplina vigente, su cui ha inciso la sentenza della Corte n. 334 del 2004, quando ci si riferisce alle deliberazioni dei consigli provinciali e comunali delle province o dei comuni di cui si propone il distacco, si intende le popolazioni della provincia o delle province, o del comune o dei comuni interessati, con riferimento ai cittadini degli enti locali direttamente coinvolti. La proposta sottoposta a referendum è dichiarata approvata se il numero dei voti attribuiti alla risposta affermativa al quesito non è inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni in cui il referendum è stato indetto.

Nel caso di specie, tutti i requisiti previsti dalla Costituzione sono stati rispettati. Infatti, con delibera del consiglio comunale di Sappada del 13 luglio 2007, è stata formulata la richiesta di referendum, referendum che è stato indetto con decreto del Presidente della Repubblica del 21 dicembre 2007 e si è svolto con esito favorevole il 9 e 10 marzo 2008. I consigli regionali di entrambe le regioni si sono espressi in senso favorevole rispetto al trasferimento del comune e al distacco del comune dalla regione Veneto e all'aggregazione alla regione Friuli Venezia Giulia con due diverse deliberazioni. La I Commissione ha avviato l'esame della proposta di legge il 25 ottobre 2017, nella seduta del 31 ottobre ha esaminato le proposte emendative senza apportare modifiche. Il presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali ha comunicato che la Commissione non avrebbe espresso un nuovo parere, mentre la Commissione bilancio esprimerà il suo parere direttamente per questo esame in Assemblea. Sempre il 31 ottobre, la Commissione, come convenuto in sede di ufficio di presidenza, nella riunione di giovedì 26 ottobre, ha proceduto al conferimento del mandato al sottoscritto come relatore a riferire all'Assemblea in senso favorevole sul provvedimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo; prendo atto che vi rinuncia. È iscritta a parlare l'onorevole Malisani. Ne ha facoltà.

GIANNA MALISANI. Grazie Presidente. Le origini di Sappada non sono certe, l'ipotesi più probabile è che nell'XI secolo alcune famiglie provenienti dalla vicina Austria si insediarono nella valle con l'autorizzazione del patriarca di Aquileia, su invito dei conti di Gorizia, dietro pagamento di una somma annuale. Si tratta, quindi, di un'isola linguistica, che ha conosciuto successive ulteriori migrazioni di famiglie dalla Val Pusteria.

La valle era disabitata e incolta, e i sappadini iniziarono una paziente opera di coltivazione e di costruzione di un piccolo paese formato da masi sviluppatosi nel tempo in borgate. Oggi Sappada, Plodn nel dialetto tedesco, Bladen in tedesco, Sapade o Ploden in friulano e Sapada in ladino (il toponimo italiano sembra risalire al verbo “zappare”, in friulano “sapà” e il toponimo germanico è collegato al fiume Piave - Plat) è un comune di circa 1.300 abitanti e attualmente fa parte della provincia di Belluno. Si sviluppa lungo una valle attraversata dal fiume Piave e si trova a 1.245 metri di altitudine nell'estremità nord orientale delle Dolomiti, al confine tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Austria. Sappada è collocata, quindi, nell'area geografica delle Dolomiti orientali, in quel territorio montano che si estende dalla provincia di Belluno al Friuli, ed è proprio nel territorio montano del Friuli che si protende verso la Carnia che Sappada ha sempre trovato il suo naturale e storico punto di riferimento.

Se, dal punto di vista geografico e naturalistico, sono evidenti i contatti con l'area friulana, anche sul piano storico, i legami con il Friuli sono forti e radicati. Nel corso dei secoli, infatti, il territorio di Sappada è stato legato a quello friulano sul piano amministrativo, a partire dall'origine, dall'XI secolo, sotto il patriarcato di Aquileia. Da quel momento Sappada appartenne alla Gastaldia della Carnia, e nel 1420, assieme a tutti i territori del patriarcato, fu incorporata nel dominio della Repubblica di Venezia. Tale legame politico e amministrativo si mantenne intatto fino al passaggio, dopo una breve dominazione francese, sotto il governo degli Asburgo. Solo dopo la metà dell'Ottocento la cittadina fu staccata dalla provincia di Udine per passare a quella di Belluno, che a sua volta, qualche anno dopo, veniva annessa all'Italia, nel 1866. Dopo l'ingresso dell'amministrazione bellunese, Sappada scelse di aderire alla Magnifica comunità di Cadore, pur non essendo parte del territorio storico del Cadore. Tale passaggio, tuttavia, lasciò intatti i diversi legami con il Friuli, a partire dall'appartenenza della parrocchia cittadina all'Arcidiocesi di Udine. Tuttora la parrocchia di Sappada fa parte della Pieve di Gorto, arcidiocesi di Udine.

È da ricordare inoltre che, nella Grande Guerra, le donne sappadine parteciparono al rifornimento delle truppe sul fronte orientale con il movimento passato alla storia come quello delle “portatrici carniche”, che rischiavano la vita salendo sul fronte a foraggiare le truppe. E ancora, nel secondo conflitto mondiale, nel 1944, Sappada, prima dell'arrivo delle truppe alleate, fece parte della Repubblica libera della Carnia.

Signor Presidente, tratto peculiare della comunità di Sappada è la lingua: i sappadini infatti parlano un dialetto germanico, il quale rappresenta il maggiore elemento identitario di quella comunità. Si tratta dello stesso tipo di dialetto di ceppo germanico parlato nelle comunità di Sauris e Timau nel Friuli-Venezia Giulia. Anche su questo piano, dunque, il passaggio di Sappada al Friuli-Venezia Giulia si configurerebbe come la naturale ricomposizione di una storica oasi linguistica che troverebbe ulteriori possibilità di promozione e tutela nell'ambito delle norme esistenti nella regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Per venire ad oggi, evidenzio che i rapporti culturali ed economici di Sappada, orientati nettamente al Friuli-Venezia Giulia, sono forti e quotidiani. È da evidenziare, per quanto attiene alle motivazioni più vicine a noi, che anche in ambito sportivo Sappada vive un'integrazione con il Friuli-Venezia Giulia piuttosto che con il Veneto; basti pensare che l'Associazione sportiva di sci nordico, da cui sono usciti noti campioni internazionali, olimpionici del calibro di Silvio Fauner e Pietro Piller Cottrer, Marina Piller, Lisa Vittozzi e molti altri, ha sempre fatto parte del Comitato Friuli-Venezia Giulia; lo stesso dicasi per lo Sci Club Sappada, sodalizio di sci alpino che fa parte del Comitato Friuli-Venezia Giulia. Anche dal punto di vista strategico e militare, Sappada è parte del Friuli: fino a pochi anni fa vi era infatti a Sappada una caserma della Brigata alpina Julia (non del Cadore), la caserma Fasil, ora dismessa.

Non si può quindi che esprimere soddisfazione per la discussione in Aula del disegno di legge relativo al distacco del comune di Sappada dalla regione Veneto e relativa aggregazione alla regione Friuli-Venezia Giulia. Il testo di legge trae origine da un iter procedurale molto articolato, che ha visto nella storia della comunità di Sappada diverse mobilitazioni di iniziativa popolare. Cito due esempi particolarmente significativi, come la raccolta di firme promossa dal parroco sappadino di allora presso i capi famiglia a metà degli anni Sessanta, e il già citato referendum consultivo del 2008, entrambi con percentuali di partecipazione molto alte (75 per cento) e un pressoché totale favore (95 per cento, nel 2008) per il passaggio di Sappada al Friuli-Venezia Giulia. Le stesse due amministrazioni regionali, Veneto, nel 2012, e Friuli-Venezia Giulia, nel 2010, caso più unico che raro, come ha osservato il sottosegretario Pizzetti, si sono espresse positivamente sul passaggio, avallato peraltro dalle province e dai ventotto sindaci dei comuni della Carnia. Ridurre questo moto e afflato di popolo a una ricerca di vantaggi fiscali mi sembra sinceramente un tentativo maldestro e sbagliato di immiserire l'esigenza di dare visibilità e sostanza a un legame in cui da decenni ci si riconosce, anche se finora non ha avuto sbocchi sul piano amministrativo; né ci si può entusiasmare per il successo al referendum sull'autonomia veneta quale grande espressione di volontà popolare da ascoltare e, nello stesso tempo, restare sordi alle numerose manifestazioni di volontà popolare dei cittadini di Sappada.

Credo quindi che debba essere rispettata la volontà dei cittadini, che sono stati molto chiari e decisi per molti anni nella loro intenzione di voto; cittadini le cui aspettative non possono essere deluse. Il problema non è quello di allargare la regione Friuli-Venezia Giulia ma di attingere alla storia di quelle terre per tradurla in una doverosa scelta legislativa. Non è una fuga dal Veneto ma un ritorno a quella che viene considerata la propria casa-regione. A chi chiede una pausa di riflessione non si può rispondere - pur rispettandone le motivazioni - che il tempo trascorso, 9 anni dal referendum consultivo del 2008, che ha indicato una scelta successivamente mai contraddetta, dovrebbe dire a tutti che c'è stato tutto il tempo per riflettere: oggi è venuto il momento di decidere. Signor Presidente, oggi abbiamo come Parlamento l'occasione di metterci in sintonia con tante persone che non chiedono altro che di ritornare ai loro luoghi dell'anima e del sentire comune.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Incà. Ne ha facoltà.

FEDERICO D'INCA'. Presidente, il MoVimento 5 Stelle voterà “sì” al passaggio di Sappada al Friuli-Venezia Giulia. Lo si deve ad una comunità che ha voluto esprimere il 9 e 10 marzo 2008 la volontà, attraverso un referendum permesso dalla Costituzione, attraverso l'articolo 132, di voler passare in Friuli-Venezia Giulia per motivi sicuramente importanti quali quelli culturali e anche per altri motivi che magari di seguito vorrò elencare. Sappada, come abbiamo detto prima, è una comunità di una minoranza linguistica, si sente friulana, e ha voluto appunto esprimere attraverso la Costituzione questa volontà di poter ritornare in Friuli-Venezia Giulia. Ma Sappada non è l'unico dei comuni - in particolare bellunesi e veneti - che ha voluto nel corso del tempo esprimere, attraverso la Costituzione, il passaggio ad un'altra regione, spesso e volentieri in una regione a statuto speciale o in una provincia a statuto speciale, quali quelle di Trento e Bolzano. Mi piacerebbe fare un riferimento a questi comuni che volevano passare dal Veneto ad altre regioni, visto che sono 8 i comuni che volevano andare verso il Fiuli-Venezia Giulia e 25 verso Trento e Bolzano. Questi comuni sono: San Michele al Tagliamento, Lamon, Pramaggiore, Gruaro, Teglio Veneto, Cinto Caomaggiore, Sovramonte, Asiago, Conco, Enego, Foza, Gallio, Lusiana, Roana, Rotzo, Cortina d'Ampezzo, Livinallongo del Col di Lana, Colle Santa Lucia, Sappada, Pedemonte, Meduna di Livenza, Arsiè, Canale d'Agordo, Cesiomaggiore, Falcade, Feltre, Gosaldo, Rocca Pietore, Pieve di Cadore, Taibon Agordino, Comelico Superiore, Voltago Agordino, Auronzo di Cadore. Quindi, come si può notare, vi è una serie di comuni che hanno richiesto nel corso del tempo il passaggio in una regione vicino. Stranamente la Costituzione ha voluto far sì che il bellunese fosse un cuneo messo tra il Friuli-Venezia Giulia, appunto a statuto speciale, e Trento e Bolzano, province autonome. Da una parte, vi sono sicuramente degli aspetti culturali che legano altri comuni del bellunese, come Cortina, Livinallongo del Col di Lana e Colle Santa Lucia, di matrice ladina, a voler tornare insieme a delle altre minoranze linguistiche, perché diversamente sul territorio Veneto queste minoranze linguistiche morirebbero, ma tutti gli altri? E qui c'è la grande domanda. Vi è un malessere enorme nel territorio bellunese. Io trovo finalmente la possibilità di poterlo esprimere all'interno di quest'Aula parlamentare. È un malessere che si porta avanti da anni, ed è aumentato nel corso degli ultimi anni per colpa anche di una gravissima crisi economica che ha colpito in principal modo la parte alta della nostra provincia, anche perché nella vicinanza turistica si esprime tutta una concorrenza completamente sleale tra cittadini dello stesso Paese. La gravità di questa crisi si identifica in una parola chiave: spopolamento. Lo spopolamento uccide cultura, storia, uccide un territorio intero, ed è una situazione simile ed uguale in molte aree interne del nostro Paese, perché mancano politiche adeguate che questo Paese non ha mai preso in considerazione nei suoi continui litigi parlamentari, quando invece vi sono culture, storie di persone e di tradizioni che stanno morendo nelle aree interne.

Ricordo alcuni dati che, secondo me, sono importanti per la provincia di Belluno: la popolazione bellunese, oggi, è di 206 mila persone, perde ogni anno mille abitanti, si rischia l'estinzione in meno di cento anni; perdiamo il 5,2 per cento della popolazione ogni anno e, non solo, la provincia di Belluno ha perso 1,2 milioni di presenze turistiche dal 2000, anche se ha il 60 per cento delle Dolomiti che sono patrimonio UNESCO, un 30 per cento, poi, ce l'hanno Trento e Bolzano e un 5 per cento il Friuli Venezia Giulia. In provincia di Belluno sono state costruite 50.000 seconde case, contro le 9.000 di Bolzano, e in Alto Adige vi sono 5.000 alberghi contro i 400 alberghi del bellunese.

Dal Veneto se ne sono andati, in generale, 14 mila giovani nel 2016, giovani su cui abbiamo investito otto mila euro di formazione, ogni anno. Questi giovani, spesso e volentieri bellunesi, sono fuggiti per trovare opportunità in luoghi diversi. Questa montagna, questa bellissima montagna dove molte persone, anche di quest'Aula, vengono a fare le ferie si trova in via d'estinzione, credo che sia la parola più giusta. Però, non è che tutte le Dolomiti sono uguali, non sono tutte uguali, perché vi sono aree contermini che hanno avuto la possibilità di essere a statuto speciale, che hanno fatto politiche per la montagna completamente diverse, come l'Alto Adige che ha avuto, nell'ultimo anno, un aumento di popolazione pari a 1.198 persone. L'Alto Adige ha il tasso di demografia migliore di tutto il nostro Paese. Vi sono 1,76 figli per donna, è un qualcosa d'incredibile, visto che è di pari difficoltà territoriale, di montagna, come il bellunese, dove, invece, nella parte alta della nostra provincia, vi è uno dei trend peggiori di spopolamento, con meno di un figlio per donna, poi questi figli vanno anche via e, quindi, praticamente, non resta nessuno. Il caso emblematico è Cencenighe, dove, nel 2015, sono mancate, sono decedute venti persone e sono nati quattro bambini. Questo è un dato, anche perché Cencenighe, tra l'altro, non è neanche riuscito ad esprimere un sindaco, perché nessuno si è voluto candidare nel 2017, tanto per dare un insieme di cosa vuol dire la moria di un territorio, e oggi è commissariato.

Bene, se da una parte, appunto, si evidenzia, come ha fatto chi prima è intervenuta, che vi sono delle motivazioni culturali, beh, non ci prendiamo in giro, vi sono anche delle motivazioni economiche e vi sono motivazioni di differenze tra cittadini dello stesso Stato che si trovano contermini; cioè praticamente, di là di un metro inizia una regione diversa con possibilità completamente diverse. Ma il dato emblematico è all'interno del comma 4 della legge. All'interno del comma 4 vi è una cifra: 705.000 euro, cioè i soldi che lo Stato, in qualche maniera, ha dato al Friuli Venezia Giulia per questo passaggio. Ebbene, è un dato strano questo, perché, di fatto, insomma, nessuno se lo aspettava o, almeno, non si aspettava una contabilizzazione così specifica; 705.000 euro diviso 1.306 abitanti fa 540 euro che sembra esattamente la differenza tra essere un cittadino bellunese e veneto ed essere un cittadino friulano, non mettendo sul piatto una forma di invidia verso il cittadino friulano che, sicuramente, ha diritto di poter avere e di poter utilizzare al meglio questi soldi, ma di fatto il problema è la differenza, è la differenza che esiste tra un ordinario ed uno speciale, e sono persone che abitano di qua e di là di un metro nella stessa nazione. Se, tra l'altro, tutti i 206.000 abitanti bellunesi volessero passare con tutti i comuni in Friuli Venezia Giulia, il costo sarebbe di 110 milioni di euro, niente di più facile, 206.000 per 540 euro; questo è il costo per il 2017 e questo, forse, dà un sistema e da un'identificazione della differenza economica che si è avuta non soltanto per un anno, ma per tutti gli anni passati.

E i cittadini veneti, in particolare, bellunesi, cos'hanno fatto, allora? Nel corso del tempo hanno risposto con la Costituzione; visto che la politica non ascoltava, lo Stato non ascoltava, in regione non venivano ascoltati, hanno preso in mano l'articolo 132 della Costituzione e hanno deciso di poter esprimere, nel corso del tempo, da Lamon, dal famoso Lamon, nel 2007, in poi, questa volontà di appellarsi alla Costituzione come alla Carta, unica, che potesse difenderli ed, infatti, hanno messo in campo tutta una serie di referendum, che oggi, finalmente, arrivano in Aula, arrivano finalmente in Aula. Arrivano in Aula dopo che, chiaramente, per poter rispondere a questi comuni, è stato, correttamente anche, creato un fondo di confine, finanziato dalle province autonome di Trento e di Bolzano e, in base a questo, insomma, si è cercato di aiutare i comuni che sono sul confine col Trentino Alto Adige, mentre nella parte del Friuli dove inizialmente vi era il Fondo, il Fondo Letta, oggi, non c'è più nulla.

Ebbene, questo passaggio che alle persone sembra, così, semplicemente, un comune che passa dal Veneto al Friuli, non ci rendiamo conto - e io invece ne sono assolutamente felice – che, invece, è una valanga istituzionale che andrà probabilmente a seppellire le differenze tra regioni ordinarie e regioni speciali, finalmente. Perché io credo che dal momento in cui, finalmente, potremo votare il passaggio, i 26 comuni che sono lungo il confine col Friuli Venezia Giulia, finalmente, seguiranno; c'è chi lo ha già fatto e chi prenderà in mano, finalmente, la volontà di farlo; mi pare d'aver capito che nel comune di Fregona si vogliano già fare dei passi avanti, vi saranno altri referendum. I comuni confinanti con il Friuli Venezia Giulia sono, poi, in provincia di Treviso: Fregona, Gaiarine, Mansuè, Meduna di Livenza, Portobuffolè, Sarmede, Cordignano; in provincia di Belluno: Chies d'Alpago, Longarone, Lorenzago e Alpago, che sono tre comuni che si sono uniti ultimamente, Farra, Puos e Pieve, Tambre, Domegge, Pieve di Cadore, Santo Stefano, Vigo, Ospitale, Soverzene e Perarolo; in provincia di Venezia: Annone Veneto, Cinto Caomaggiore, Gruaro, Pramaggiore, Teglio Veneto, San Michele al Tagliamento e Fossalta di Portogruaro. Questi, tutti quanti, dal giorno successivo in cui Sappada passerà, si metteranno all'opera per poter richiedere il passaggio.

E, poi, qualcuno oggi in Commissione rideva dicendo: eh, va beh, comunque ci vuole il parere, ci vuole “sentite le regioni”, ci vuole che vengano sentiti il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. Ma questo conterà poco, alla fin dei conti, questi cittadini, che ne hanno il diritto, faranno il referendum e porteranno avanti la grande differenza che esiste tra comuni che sono a un passo uno dall'altro. Poi, potremo parlare di cultura, di storia e di tutto quello che volete, ma sarà fatto in questa maniera e busseranno alla porta del Parlamento. Arriveranno a chiedere ai parlamentari, giustamente, chiederanno in Commissione affari costituzionali, cercheranno di poter avere i propri diritti che sono, appunto, affermati nell'articolo 132 della Costituzione. Ed è una rivoluzione dal basso, un cambiamento istituzionale che porterà con sé, finalmente, forse, un cambiamento della differenza tra regioni a statuto ordinario e quelle speciali.

Poi, non per ultimo, non pensate che tutto, anche gli ultimi referendum per l'autonomia del Veneto e della provincia di Belluno, non nascano dalla capacità e dalla volontà specifica di questi cittadini che si sono presi in mano la Costituzione, perché, siccome, in fondo, in fondo, la Costituzione è l'argine principale ai soprusi nei confronti delle popolazioni, anche, appunto, il referendum per l'autonomia del Veneto, attraverso il 116 della Costituzione e il 117, è chiaramente un referendum consultivo, ma rafforzativo della posizione, e ha visto votare in Lombardia e in Veneto, soprattutto in Veneto, in tutto, 5,5 milioni di cittadini; alle ultime urne in Sicilia sono andate a votare poco più di due milioni di persone. Questo per darvi anche la potenza e la forza della volontà di poter avere maggiore autonomia, ma anche di limare delle differenze che, oggi, sono enormi soprattutto per chi è comune di confine.

Allora, poi, chiaramente è interessante capire perché per Lamon, per passare in Trentino, ci voleva una legge costituzionale, mentre dal punto di vista legislativo ci vuole una legge ordinaria per poter passare in Friuli, ma questo, insomma, diventerà, probabilmente una prassi e, quindi, sarà più semplice per i comuni che oggi confinano col Trentino Alto Adige, che sono un numero ancora maggiore, poter chiedere il passaggio in Trentino Alto Adige.

Ebbene, sto andando a concludere. In Commissione ho fatto anche una proposta, ho proposto la creazione di un fondo di confine - come in questo momento è presente il fondo di confine per il Trentino Alto Adige -, anche un fondo di confine con il Friuli Venezia Giulia, un fondo di confine alimentato con i soldi dello Stato, in questo caso; io avevo chiesto, appunto, una certa cifra che potesse andare, in questo momento, a fermare quello che sarà poi un esodo, perché, alla fin dei conti, giustamente, diversi comuni veneti vorranno passare in Friuli Venezia Giulia o, altrimenti, accettiamo anche la provocazione di dare finalmente all'Alto Adige lo sbocco al mare e, quindi, tutti i comuni, altrimenti, passeranno con il Trentino Alto Adige.

Questa sembra una provocazione, ma ricorre spesso nelle valli, visto che io sono bellunese, nelle valli dove sono nato e dove si sente sempre più forte la mancanza dello Stato, perché uno la vede nelle periferie la mancanza dello Stato, che siano le periferie delle città, come anche le periferie del nostro Paese, all'interno delle valli alpine. Bene, allora, chiedendo appunto questa responsabilità da parte del Parlamento, vi è stata la condivisione, almeno a parole, da parte del capogruppo del Partito Democratico Fiano e anche di Gigli di Democrazia Solidale. Questo fondo deve essere un fondo valido per tre anni, fino a quando non avremo i primi risultati della trattativa tra Stato e regione Veneto per il referendum sull'autonomia del 22 ottobre. Tra l'altro, all'interno di questo vi era anche il referendum per l'autonomia, per la maggiore autonomia della provincia di Belluno. Bene, in questo caso credo che ci debba essere da parte dell'Aula - lo dirò anche all'interno della dichiarazione di voto - la presa di posizione. Non basta semplicemente esprimersi in Commissione perché, magari, si spera di non essere ascoltati e sentiti, ma che di fatto vi sia la costituzione di un fondo per i comuni di confine almeno fino a quando non vedremo all'opera quella che sarà la trattativa, quindi le maggiori materie, l'autonomia locale data alla regione Veneto, e quindi anche alla provincia di Belluno.

Se, di fatto, queste promesse fatte in Commissione affari costituzionali non verranno mantenute, allora i cittadini ancora di più avranno il diritto di poter combattere per il passaggio in una regione che ha qualche, e non solo qualche, fortuna in più. Chiudo dicendo che il Paese ha assolutamente la necessità di una maggiore valutazione delle aree interne. Nel passato è stato fatto qualcosa, dopodiché non si è più riusciti a verificare il disagio, perché si chiama disagio, il mal di vivere, il fatto che alla fine queste valli bellissime vengono lasciate, vengono abbandonate, e rimangono soltanto le persone anziane, e rimangono anche con la tristezza di vedere scomparire tradizione e cultura storica. Credo che questo Parlamento finalmente forse ha la possibilità di poter fare una riflessione e credo che finalmente il territorio bellunese, che di fatto è l'esempio lampante delle difficoltà enormi di queste zone montane, bellissime, bellissime, ma, di fatto, isolate per la conformità territoriale, possa finalmente essere preso in considerazione, perché, di fatto, ha sofferto come nessun altro la vicinanza di province e regioni a statuto speciale. Queste differenze non ci possano più essere nel 2017, dove, di fatto, i confini che c'erano una volta con altri Paesi sono inclusi in un'Europa che, di fatto, è l'Europa di tutti, e quindi anche tra ordinari e speciali.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sandra Savino. Ne ha facoltà.

SANDRA SAVINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame disciplina la procedura per il distacco del comune di Sappada dal Veneto e la sua aggregazione alla regione Friuli-Venezia Giulia, conformemente al procedimento di cui all'articolo 132, comma 2, della Costituzione La storia di Sappada parte dal X secolo ed è prevalentemente legata alla provincia di Udine, che lascia nel 1852 per passare a quella di Belluno. Sappada ha comunque mantenuto forti legami con il Friuli e tuttora la sua parrocchia fa parte dell'arcidiocesi di Udine. Si tratta, quindi, di realtà attiva, che, considerata la proprio origine, la propria cultura e la propria storia civile e religiosa è assai più vicina alla realtà friulana piuttosto che a quella veneta. Ma, al di là delle caratteristiche, della storia e della cultura di Sappada, il provvedimento che aggrega questo comune alla regione Friuli-Venezia Giulia nasce comunque da una precisa volontà espressa formalmente dai suoi cittadini, che, quasi dieci anni fa, attraverso il referendum consultivo del marzo 2008, con ben il 95 per cento dei voti a favore, ha scelto di aderire alla regione con cui confina, lasciando la regione Veneto, cui attualmente appartiene.

Forza Italia, dunque, non può che avere il massimo rispetto nei confronti della volontà dei cittadini della comunità di Sappada, che, con la stragrande maggioranza dei consensi, hanno espresso una scelta definita. Si tratta, infatti, della richiesta sacrosanta di una piccola comunità che si è sempre mostrata rispettosa delle regole e che ha seguito tutti i passaggi previsti dalla Costituzione, arrivando oggi all'ultimo passo di un percorso condotto con determinazione e in maniera cristallina per dieci lunghi anni.

Del resto, anche le due regioni coinvolte nella variazione territoriale hanno manifestato il proprio parere favorevole, come richiesto dalla norma costituzionale, offrendo in questo modo al Parlamento un ulteriore elemento, sia pure non vincolante, così come in senso favorevole si sono pronunciate le province di Belluno e di Udine. Alla luce delle manifestazioni dei cittadini e degli enti coinvolti, anche a seguito del consenso pressoché unanime raggiunto al Senato, l'approvazione del provvedimento in esame è un atto dovuto. Ad ogni modo, sarebbe un grave errore non allungare lo sguardo e, più in generale, valutare nel complesso il tema della richiesta di autonomia da parte dei territori. Questa discussione non può infatti prescindere da una riflessione sicuramente più complessa, che va ben oltre il singolo comune di Sappada. La richiesta degli abitanti di Sappada è, infatti, solo uno di quei campanelli d'allarme che riporta il disagio economico e sociale vissuto quotidianamente in particolare dai territori ordinari adiacenti ad aree di regioni a ordinamento differenziato.

La richiesta di Sappada, nello specifico, riporta all'esigenza concreta di un territorio montano attivo, che fornisce servizi soprattutto turistici e che chiede strumenti di maggiore autonomia in grado di soddisfare le proprie esigenze di crescita; ma non si tratta di un'esigenza isolata, perché riguarda la vita quotidiana di tanti cittadini, imprese ed enti che chiedono la possibilità di disporre di adeguati strumenti amministrativi e finanziari a supporto dello sviluppo del territorio. Questa esigenza, questa specifica volontà ha trovato particolare forza a seguito della consultazione referendaria dello scorso ottobre in Lombardia e Veneto, dove i cittadini si sono espressi per una maggiore autonomia proprio per poter godere di condizioni economiche, amministrative e legislative più favorevoli allo sviluppo dei territori. È, dunque, necessario aprire una seria riflessione sul perché c'è questa evidente esigenza di autonomia e su quali siano gli strumenti più adeguati per rispondere ad una richiesta che è quanto mai preponderante. C'è quindi un'istanza più generale, che non può essere sottovalutata, che riguarda non solo i comuni confinanti con regioni a statuto speciale, ma coinvolge tantissime realtà locali che hanno fortemente risentito di una congiuntura economica sfavorevole che ha gravato in particolare su famiglie ed imprese, determinando spopolamento ed impoverimento economico-sociale.

Continuare a sottovalutare la questione rischia di produrre un progressivo sfaldamento degli enti e dell'intero sistema territoriale. È quanto mai necessario, quindi, affrontare il disegno di un nuovo ed efficiente governo del territorio. I Governi di centrosinistra in questa legislatura hanno minato il sistema delle autonomie con arroganza e con assoluta mancanza di volontà nell'ascoltare i territori. È più che mai evidente che al nostro Paese serve una nuova stagione di federalismo, e noi lavoreremo su questa strada in assoluta continuità rispetto a quanto abbiamo già fatto al Governo, in particolare nel corso della scorsa legislatura. Noi siamo pronti a recuperare il lavoro di una grande riforma costituzionale del federalismo per ricollocare il principio dell'autonomia nel nostro Paese senza privilegi ed offrire ai territori e ai cittadini le dovute risposte per garantire equità e parità nelle loro possibilità competitive.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rubinato. Ne ha facoltà.

SIMONETTA RUBINATO. Grazie, Presidente. Diceva nel 1958 Eleanor Roosevelt: dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti, vicino casa…

PRESIDENTE. Mi perdoni, onorevole Rubinato. Siccome c'è un problema, probabilmente c'è qualche contatto, e quindi c'è uno strano effetto audio nel microfono, le domando la cortesia di poter prendere il microfono alla sua destra. La ringrazio.

SIMONETTA RUBINATO. Sarà fatto. Grazie, Presidente. Facevo una citazione, per cominciare il mio intervento, che mi ha sempre molto colpito e sulla quale ho giurato come sindaco nel periodo in cui ho fatto l'amministratore locale. Nel 1958 si chiedeva Eleanor Roosevelt, dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo, ma essi sono il mondo di ogni singola persona, il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, uguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini e istituzioni per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemmo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi, noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità.

Ecco, i principi e i diritti delle persone vivono nei territori, nelle comunità: se lì i cittadini, le famiglie, chi fa impresa trova la risposta ai suoi bisogni, alle sue istanze e alla sua vocazione di fare e di crescere, ecco che lì si creano le vere occasioni di crescita e di progresso. Se non si trova invece lì la risposta, allora la si cerca altrove: è per questo che le persone migrano, si spostano in territori che sono più competitivi, cioè che offrono loro maggiori opportunità. Ma in Veneto - in particolare in Veneto - non c'è solo la migrazione delle persone e delle imprese, pure in una regione ricca, un motore economico del Paese. Negli ultimi tredici anni in Veneto, lungo i confini con le autonomie speciali, si è sviluppata anche un'altra dinamica di desiderio di migrazione che ha visto lo svolgersi, come è già stato ricordato, di referendum in ben trentatré comuni veneti di confine per chiedere di emigrare come comunità dalla regione Veneto nel territorio delle vicine autonomie speciali che godono di vantaggi competitivi sul piano istituzionale, finanziario e fiscale di gran lunga superiori. Per questo motivo, in tale contesto - non faccio l'elenco di queste comunità che hanno chiesto di migrare perché è già stato fatto - la discussione in sede parlamentare, nella quale dobbiamo portare alla nostra attenzione l'interesse nazionale, non può limitarsi al singolo caso di Sappada, per quanto esso vada indubbiamente rispettato e valutato anche per il voto espresso da quella comunità.

Un'analisi però non superficiale del contesto territoriale impone al Parlamento, ai sensi dell'articolo 132 della Costituzione, di valutare tutti gli interessi in gioco ed è quanto ci ha chiesto con una lettera-appello del 6 ottobre scorso, dopo il voto al Senato, il presidente della provincia di Belluno - lettera indirizzata anche a lei, Presidente - in cui Roberto Padrin si è fatto portavoce dell'interesse della comunità bellunese fortemente allarmata dal rischio di un effetto domino che potenzialmente può portare alla scomparsa della provincia stessa. Egli scrive: “Sappada è solo la punta di un iceberg ma il calendario dei lavori parlamentari sembra orientato a privilegiare solo Sappada quando anche altri numerosi comuni sono parimenti interessati ad aggregarsi al Friuli Venezia Giulia o alle province autonome di Trento e Bolzano, territori tutti a statuto speciale con maggiori capacità di spesa di qualsiasi regione a statuto ordinario. Se questo processo di separazione dal Veneto iniziasse è facile prevedere - conclude il presidente Padrin - che una palla di neve diventerà ben presto una valanga” e quindi per questo il presidente della provincia di Belluno ha chiesto una pausa di riflessione da parte della Camera dei deputati tanto più opportuna, io credo e lo dico umilmente, dopo che in Veneto, domenica 22 ottobre scorso, si sono svolti i due referendum il cui risultato più che positivo conferma l'esistenza, da un lato, di una questione veneta e bellunese ma impone ora alle classi di governo nazionale e regionale di dare finalmente un'adeguata risposta in spirito di leale collaborazione alla domanda di autogoverno di un territorio rimasta per colpa della politica irrisolta da decenni, andando oltre gli strumenti sin qui sperimentati, cioè i fondi per la valorizzazione e la promozione delle aree territoriali svantaggiate confinanti con le regioni a Statuto speciale che, tuttavia, non hanno risolto il problema in via strutturale e hanno anzi creato nuove disparità, a seconda che il confine fosse quello del Trentino-Alto Adige oppure quello del Friuli-Venezia Giulia, a seconda che il comune fosse direttamente confinante oppure non direttamente confinante.

Invece, a fronte di tutto ciò e di tutto quanto è accaduto anche dopo il voto al Senato, mentre la discussione del provvedimento al Senato ha avuto spazi e tempi assai ampi di discussione, gli stessi sono stati invece oltremodo limitati qui, alla Camera, con la calendarizzazione in Aula dopo soli dodici giorni dall'avvio dell'esame in discussione senza neppure svolgere le pur richieste audizioni dei presidenti di giunta e consiglio regionale del Veneto e della provincia di Belluno, pur non considerando in alcun modo che un tema così delicato e dirompente, che causa pure divergenze di interessi territoriali anche all'interno degli stessi gruppi politici richiede, invece, un ulteriore approfondimento e una riflessione per evitare anche uno sviamento della funzione parlamentare perché, nel caso di specie, non si è seguito alcun criterio oggettivo di priorità nell'esame delle richieste come, ad esempio, quello dell'ordine cronologico di svolgimento dei referendum, tenuto conto che due anni prima di Sappada, oltre a Lamon nel 2005, Cinto Caomaggiore si era espresso per il passaggio a favore del Friuli-Venezia Giulia ma di esso però non stiamo assolutamente parlando.

Inoltre si sta procedendo in questo caso con uno strumento di legge ordinaria mentre in precedenza lo stesso Governo e il legislatore - è il caso di Lamon trattato in precedenti legislature - hanno considerato imprescindibile procedere con lo strumento di legge costituzionale. Ancora, la sussistenza dei pareri favorevoli di entrambe le regioni interessate non è vincolante per il Parlamento tanto più che significherebbe nel caso del Veneto, che ha sempre dato pareri favorevoli al distacco dei comuni per il passaggio alle regioni speciali anche per motivi politici strumentali, cioè per denunciare un disagio e la forte pressione dei territori interni penalizzati dal divario socio-economico con le aree confinanti autonome, quindi, ripeto, proprio per tutti i pareri positivi del Veneto in questi anni, significherebbe che le autonomie speciali confinanti sarebbero messe in condizione di scegliere con ampia discrezionalità quali sono i comuni più attrattivi da aggregare per il loro interesse socio-economico.

Dunque a mio parere ci sono tutti gli elementi per raccogliere la richiesta di una pausa di riflessione avanzata anche alla Camera dei deputati dal presidente della provincia di Belluno. Certo, c'è un tema molto delicato che è stato ricordato anche da chi mi ha preceduto: c'è stata una manifestazione di volontà popolare da parte dei cittadini di Sappada nel 2008, i quali in grande maggioranza hanno dichiarato la volontà di andare in Friuli-Venezia Giulia. Io ho grande rispetto per questo ma, nello stesso tempo, essendo stata sia interpellata da ex amministratori locali di quel comune sia da cittadini che sono preoccupati perché quello che per loro era uno strumento di denuncia di un disagio sta diventando ora concretamente la possibilità di cambiare regione con tutto quello che comporta, vorrei ricordare che Sappada fa parte della provincia di Belluno dal 1852 quindi c'è un'unità nella comunità bellunese da questo punto di vista e, dovendo io qui rappresentare l'interesse più ampio regionale e nazionale, non posso non assumermi la responsabilità di prendere una decisione rispetto al voto….

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SIMONETTA RUBINATO. E la domanda - concludo, Presidente - che mi faccio e mi fa veramente dubitare della possibilità di aderire alla manifestazione di volontà dei sappadini che pure rispetto - è una località meravigliosa che merita di essere visitata - è la seguente. Mi chiedo: se il Veneto avesse gli stessi strumenti, se il territorio bellunese avesse gli stessi strumenti di governo di sviluppo del territorio che ci sono in Friuli-Venezia Giulia, nel 2008 ci sarebbe stato un referendum? E se ci fosse stato, i sappadini avrebbero votato come hanno votato? Questa è la domanda che mi fa sperare che ci possa essere la possibilità di una verifica della volontà proprio adesso che comincia un percorso di autonomia rafforzata anche per il Veneto e, come diceva l'onorevole Savino in precedenza, partendo dal basso, dai territori, dai bisogni delle comunità, dai bisogni concreti delle persone, è ora di mettere mano a un riassetto istituzionale adeguato alle sfide che il nostro Paese deve affrontare. Questa è la domanda che da quindici anni viene in particolare dai territori di Belluno e che colpevolmente la politica regionale…

PRESIDENTE. Onorevole Rubinato, per cortesia concluda.

SIMONETTA RUBINATO. … e quella nazionale hanno disatteso. Non ci si può lavare le mani semplicemente con un voto favorevole per una sola di queste comunità.

PRESIDENTE. Invito i colleghi a mantenere i tempi perché essi sono divisi in base al contingentamento e alla disponibilità dei gruppi. Se i gruppi vi danno un certo tempo, la Presidenza ha il dovere di richiamarvi ad essi, anche se è antipatico interrompervi.

È iscritto a parlare l'onorevole De Menech. Ne ha facoltà.

ROGER DE MENECH. Grazie, Presidente. È con grande tristezza e anche con una dolorosa consapevolezza che oggi intervengo in Aula sul tema di Sappada. Lo dico: la politica ogni tanto è anche sentimento perché credo che con il provvedimento in esame perdiamo tutti. Ripeto: perdiamo tutti, questa è la verità.

Ho grande rispetto degli amici di Sappada e di coloro che hanno sostenuto fortemente il referendum ma anche di coloro che in questi giorni hanno raccolto le firme contro il passaggio: oggi, alle ore 15, presso la sede della provincia, c'è stata una conferenza stampa con molti ex amministratori che hanno portato le firme in perfetta buona fede, come erano in buona fede coloro che nel 2008 hanno fatto la battaglia invece per la rivendicazione del passaggio. Per tale motivo dico e rafforzo il concetto che qui con tale provvedimento rischiamo di far perdere tutti: far perdere i cittadini di Sappada, gli uni contro gli altri, divisi dal tentativo di raggiungere una regione a Statuto speciale, e poi lo dirò nei numeri.

Lo dico anche ai colleghi della regione a statuto speciale: ci sono 24 comuni iscritti nell'elenco delle attività parlamentari. Sapete quanti di questi 24 comuni che hanno tenuto il referendum chiedono un passaggio ad una regione a statuto speciale: 23! C'è un unico caso, che è quello del passaggio fra le Marche e l'Emilia; il resto, guarda caso, chiedono tutti di passare da una regione ordinaria ad una speciale. Adesso non so, ma io credo che la statistica e la matematica abbiano un pezzo delle loro ragioni, se tutti questi comuni chiedono di passare a regioni a statuto speciale.

Perché questo è il centro della questione bellunese: Belluno è l'unica provincia d'Italia che è incuneata fortissimamente in mezzo a due regioni a statuto speciale, che si chiamano Trentino-Alto Adige, Trento e Bolzano, e Friuli-Venezia Giulia. È chiaro che questa situazione di disparità di trattamento e di competitività dei territori è un grido d'allarme. Oggi qui noi poniamo, io con tristezza, la questione bellunese, come alcune settimane fa con un referendum è stata posta a livello nazionale la questione del Veneto nella sua interezza.

Io avevo proposto due emendamenti, per provocare: se tutti gli otto comuni che hanno già un referendum passato dovessero passare, ciò costerebbe allo Stato 9 milioni; e lo ha detto il collega D'Incà: se tutti i comuni della provincia passassero, ci vorrebbero 110 milioni. Noi oggi siamo nelle condizioni di dire a questi comuni che domani possono fare questa operazione? Se la risposta è sì allora affronto con più tranquillità Sappada; se la risposta è no, per me c'è una grande tristezza, perché corriamo il rischio di creare figli e figliastri.

Nel passato, dal 2010 con il centrodestra, rafforzato nel 2014, il Governo e lo Stato hanno cercato di mettere in campo dei fondi di perequazione e di solidarietà dei territori, non solo per distribuire risorse economiche, lo dico io, ma anche per far collaborare territori praticamente identici nelle politiche di sviluppo. Ecco, quel fondo ha un unico grande difetto: può intervenire su 40 comuni su 65. E io vi posso garantire che nella mia attività (e lo dico qui con la testa alta), nella mia attività di parlamentare sicuramente dal 2014 ad oggi ho tentato di attuare questa collaborazione anche con la regione Friuli-Venezia Giulia: ahimè, non ci siamo riusciti, e questa è un'altra sconfitta. E allora ho detto la sconfitta dei sappadini, la sconfitta dei bellunesi, la sconfitta dei veneti, e la sconfitta anche del Governo e dello Stato: perché è chiaro che, se dal 2005, anno in cui Lamon per la prima volta (era l'ottobre del 2005) pone questo grido d'allarme, fino all'ultimo dei referendum, che è quello di Voltago nel 2014, ecco, noi non siamo riusciti ad intervenire in maniera forte. E ripeto, guardate che sulle regioni storiche la nostra provincia potrebbe scrivere libri, perché noi abbiamo i tre comuni ladini che sono in attesa, e dal punto di vista della graduatoria i comuni ladini di Cortina, Livinallongo e Colle sono il diciottesimo comune, Sappada ricordo a tutti che è il diciannovesimo, arriva dopo. E poi potremo parlare delle ragioni storiche dei comuni vicino alla provincia autonoma di Treviso, eccetera eccetera; sappiamo però, se vogliamo essere seri legislatori, che questo oggi non è il problema centrale. Il problema centrale è l'altro: è questa sperequazione.

Lo dico perché sul tema dell'applicazione dell'articolo 132 della Costituzione, come sappiamo, ci sono state negli anni, da quando i comuni hanno iniziato ad intervenire con il referendum, versioni contrastanti. Io ricordo un episodio che questo Parlamento, che quest'Aula hanno vissuto: 27 marzo 2017, discussione generale in Aula del passaggio del comune di Montecopiolo e di Sassofeltrio dalle Marche verso l'Emilia, questi sono gli unici comuni che passano da una regione ordinaria ad un'altra regione ordinaria. Ecco, la difficoltà dell'applicazione dell'articolo 132 della Costituzione ha fatto sì che quel provvedimento fosse rispedito in Commissione; e stavamo parlando di un provvedimento molto meno complicato! C'è stato allora un supplemento di indagine, perché anche lì le comunità locali si sono scatenate le une contro le altre. Io credo, ed è per quello che ho parlato di una tristezza personale e politica, che noi dovremmo riflettere se è corretto che noi mettiamo le comunità le une contro le altre per riuscire ad avere un trattamento equo nei confronti dello Stato. Questa è la domanda che mi faccio per davvero, e questa è una domanda tutta politica, e che riguarda in particolare il mio territorio.

In questi anni io ho allora depositato numerosi provvedimenti per cercare di farlo capire al Parlamento tutto, per una nuova forma di governo delle province e delle zone alpine del nostro continente, per forme di finanziamento che possano essere emergenziali, e quindi costruzioni di fondo.

Vanno benissimo, io ho la responsabilità di cercare di dare un po' di indirizzo politico ad uno di questi; ma non sono sufficienti: noi abbiamo bisogno di provvedimenti strutturali che intervengano in quelle zone e che ne fermino il vero problema, lo spopolamento, lo ha detto bene chi mi ha preceduto. Perché è chiaro che livelli di servizio di qualità provocano - e lo vediamo con i numeri delle province soprattutto di Trento e Bolzano - il fatto che quelle località tanto stupende, di Patrimonio dell'Umanità stiamo parlando, quindi splendide ed uniche siano anche tanto complicate da vivere. Allora ecco perché abbiamo bisogno di fondi sicuramente per un primo approccio, ma poi di interventi strutturali.

Abbiamo bisogno quindi di province montane, che sono già state riconosciute dalla legge cosiddetta Delrio, che abbiano forme di governo forte per affrontare le sfide del futuro, che abbiano possibilità di finanziamento dei servizi, non solo delle opere e delle spese di investimento: dei servizi! Lo scuolabus! La scuola! La sanità! Ecco, questo abbiamo. Ed io credo che con interventi francobollo noi non andiamo in quella direzione: possiamo risolvere il problema di coscienza, di dire di sì al fatto che gli amici di Sappada (e continuo a chiamarli amici) hanno votato nel 2008, ma non possiamo rispondere altrettanto agli amici di Lamon, che hanno votato nel 2005, agli amici di Sovramonte, che hanno votato nel 2005, agli amici che ci sono a Cortina, Colle Santa Lucia e Livinallongo del Col di Lana, esattamente come quelli di Taibon e di Voltago; magari comuni meno noti da un punto di vista turistico, ma altrettanto importanti.

È per questo che ho iniziato con la tristezza della politica: perché io credo che qui nessuno vuole andare contro le intenzioni e la volontà dei sappadini, che hanno votato nel 2008, ma la politica seria è quella che affronta i temi con caratteristiche generali. Allora, se io ho la certezza, e dalla discussione in Aula venisse fuori che noi trattiamo da domani tutti questi comuni alla stessa maniera, voterei tranquillamente; ma siccome questa certezza in questi anni non ce l'abbiamo mai avuta, io interrogo il Parlamento: possiamo continuare a creare figli e figliastri in questo Paese, oppure l'Italia giusta è anche un'Italia che tratta tutti i cittadini alla stessa maniera? È su queste considerazioni che io svolgo il mio intervento in discussione generale, sperando che da un turbamento che ho definito triste e doloroso ci possano essere però al centro le politiche per l'intero Paese della nostra montanità: partendo come ho detto dal caso di Belluno, che potrebbe essere un caso da studiare fino in fondo, ma su cui intervenire a livello generale e porre rimedio a situazioni obiettivamente sperequate.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Coppola. Ne ha facoltà.

PAOLO COPPOLA. Presidente, onorevoli colleghi, le motivazioni ed i temi espressi dai colleghi della regione Veneto sono temi importanti, che vanno affrontati con serietà: il tema dello spopolamento della montagna, delle difficoltà delle popolazioni che vivono in comuni montani sono temi importantissimi; ed è evidente, da quanto ci raccontano i colleghi della regione Veneto, anche il fallimento delle politiche del governatore Zaia rispetto ai temi della montagna.

D'altra parte non è questo però il tema che stiamo discutendo: bisogna essere seri. E il motivo per cui noi parliamo del distacco del comune di Sappada non ha a che fare, come è stato detto, con delle motivazioni economiche; altrimenti è vero, sarebbe giusto seguire il percorso di ordine con cui sono state presentate le tante altre richieste. Qui noi parliamo invece del diritto di una popolazione di vedere riconosciuto quanto la Costituzione prevede: all'articolo 132 della Costituzione, al secondo comma noi leggiamo che si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della provincia o delle province interessate o del comune interessato espressa mediante referendum, e questo è stato fatto nel 2008 come ricordato, e con legge della Repubblica, non legge costituzionale come è stato detto ma con legge della Repubblica, sentiti i consigli regionali, e questi sono stati sentiti, consentire che i comuni che ne facciano richiesta siano staccati da una regione ed aggregati ad un'altra.

La popolazione del comune di Sappada chiede semplicemente questo, ed è questo che noi stiamo discutendo. Ha diritto la popolazione del comune di Sappada a vedere applicato l'articolo 132? Ha seguito l'iter previsto dall'articolo 132 della Costituzione? Sì. I cittadini del comune di Sappada lo aspettano anche da un numero di giorni probabilmente eccessivo ed è giusto che il Parlamento, finalmente, dia una risposta. Tanto più che, come è stato ricordato, i consigli regionali sia della regione Veneto, sia della regione Friuli Venezia Giulia, hanno espresso parere favorevole. Ora ci sono motivazioni di carattere economico nelle delibere che danno parere favorevole? Ci sono motivazioni di carattere economico nella richiesta del referendum? No.

Allora cerchiamo di nuovo di essere seri: se si vuole lanciare un grido d'allarme, si fa una conferenza stampa e il consiglio regionale del Veneto, il governatore del Veneto, non hanno sicuramente problemi a chiamare i giornalisti per lanciare grida d'allarme. Probabilmente non lo fanno - soprattutto il governatore - perché bisognerebbe chiedergli “come mai?”, che cosa ha fatto, che cosa poteva fare e non ha fatto. Nelle delibere, invece, si mettono le motivazioni. Leggo le motivazioni delle delibere della regione Veneto, del consiglio regionale del Veneto; nella delibera n. 90 del 28 giugno 2012 si scrive: fatte proprie le motivazioni di carattere storico, culturale, religioso e linguistico, sostenute dai promotori del referendum a favore del passaggio alla regione Friuli Venezia Giulia, che sottolineano le affinità con la provincia di Udine, piuttosto che con quella di Belluno, messe in risalto anche dall'appartenenza mai venuta meno di Sappada all'arcidiocesi di Udine. È questo che scrive il consiglio regionale della regione Veneto, non parla di motivazioni economiche. Non che queste non ci siano. È chiaro che c'è un problema relativo allo spopolamento della montagna, ma qui parliamo di altro, qui parliamo di un comune che, come è stato detto, era già nel Friuli Venezia Giulia ed passato poi alla regione Veneto. Parliamo di un comune che ha delle specificità nella lingua tipiche di comuni che stanno in Friuli Venezia Giulia. Parliamo, come è stato detto, di un comune che fa parte della diocesi di Udine. È notizia di oggi che il parroco di Sappada sarà lo stesso del parroco di Forni Avoltri che è il comune che sta dall'altra parte del confine. Parliamo di un comune, come è stato detto precedentemente, che ha rapporti economici e sociali, testimoniati anche dall'appartenenza delle associazioni sportive al territorio del Friuli Venezia Giulia. Parliamo di un comune in cui la popolazione durante le guerre ha partecipato ad attività come, per esempio, il movimento delle portatrici carniche, oppure che nel 1944 fece parte della Repubblica libera della Carnia. È per questo che parliamo di Sappada e non del resto. È per questo che non è vero che questo è la punta di un iceberg, perché tutti gli altri comuni che hanno fatto il referendum non hanno queste caratteristiche. È questa la motivazione per cui oggi parliamo del distacco del comune di Sappada.

Ed è per questo che è giusto che il comune di Sappada, come hanno chiesto i cittadini, per motivi - utilizzando le parole del consiglio regionale Veneto - di carattere storico, culturale religioso e linguistico, passi alla regione Friuli Venezia Giulia. È giusto che il Parlamento si pronunci in modo affermativo, riconoscendo il diritto che la Costituzione prevede. Di sicuro la popolazione del Friuli Venezia Giulia non può non rispondere positivamente a questa richiesta solo per la ventilata minaccia poi di affrontare il tema della specialità. La specialità del Friuli Venezia Giulia ha motivazioni assai più profonde e non è di sicuro un privilegio; non è di sicuro un privilegio! È riconosciuta dalla Costituzione e le motivazioni non sono di sicuro dovute al fatto che la popolazione del Friuli Venezia Giulia debba essere in qualche modo privilegiata rispetto ad altri. Come è un altro tema quello dell'autonomia.

Un tema assolutamente importante e relativo al referendum da poco approvato, che è però previsto da un altro articolo della Costituzione. Qui parliamo di un altro diritto, un diritto che la popolazione del comune di Sappada aspetta da più di dieci anni. È giusto che il Parlamento dia una risposta rispettosa di questi cittadini.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4653)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo non intendono replicare.

(Annunzio di una questione sospensiva – A.C. 4653)

PRESIDENTE. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, è stata presentata la questione sospensiva n. 1 Menorello, Rubinato e Secco, che sarà esaminata e posta in votazione prima di passare al seguito dell'esame del provvedimento.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Martedì 7 novembre 2017, alle 11:

1.  Svolgimento di interrogazioni.

  (ore 15,30)

2.  Seguito della discussione delle mozioni Martelli ed altri n. 1-01716, Carfagna ed altri n. 1-01727, Binetti ed altri n. 1-01732, Saltamartini ed altri n. 1-01733, Brignone ed altri n. 1-01734, Vezzali ed altri n. 1-01735, Galgano ed altri n. 1-01736, Spadoni ed altri n. 1-01737, Rizzetto ed altri n. 1-01739, Bechis ed altri n. 1-01740, Di Salvo, Gebhard, Scopelliti ed altri n. 1-01742 e Santerini e Dellai n. 1-01745 concernenti iniziative per prevenire e contrastare la violenza contro le donne.

3.  Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 2287-bis - Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia (Approvato dal Senato; risultante dallo stralcio, deliberato dal Senato il 6 ottobre 2016, dell'articolo 34 del disegno di legge n. 2287). (C. 4652)

e delle abbinate proposte di legge: CAPARINI ed altri; BRAMBILLA; BRAMBILLA; CESA; BATTELLI ed altri; GAGNARLI ed altri; D'OTTAVIO ed altri; RIZZETTO ed altri; BORGHESE e MERLO; RAMPI ed altri; LODOLINI ed altri; RICCIATTI ed altri; ZANIN ed altri. (C. 417-454-800-964-1102-1702-2861-2989-3636-3842-3931-4086-4520)

Relatore: RAMPI.

4.  Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:

COPPOLA ed altri: Proroga del termine per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. (Doc. XXII, n. 81)

Relatore: COPPOLA.

5.  Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017 (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato). (C. 4505-B)

Relatrice: BERLINGHIERI.

6.  Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione della questione sospensiva presentata): S. 951-1082 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: DE MONTE; BELLOT ed altri: Distacco del comune di Sappada dalla regione Veneto e aggregazione alla regione Friuli Venezia Giulia (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 4653)

Relatore: MAZZIOTTI DI CELSO.

La seduta termina alle 17,20.