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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 820 di lunedì 26 giugno 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

La seduta comincia alle 13.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 22 giugno 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Aiello, Alli, Amendola, Amici, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Blazina, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Centemero, Antimo Cesaro, Cimbro, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Manlio Di Stefano, Faraone, Fava, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Marca, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Pisicchio, Portas, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Santerini, Scalfarotto, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali e Zampa sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente novantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. La Ministra per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 25 giugno 2017, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla VI Commissione (Finanze):

“Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, recante disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.” (4565) – Parere delle Commissioni I, II, V, VII, VIII, X, XI, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 22 giugno 2017, la deputata Fucsia Fitzgerald Nissoli, già iscritta al gruppo parlamentare Democrazia Solidale-Centro Democratico, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente.

La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Approvazione in Commissione.

PRESIDENTE. Comunico che, nella seduta di giovedì 22 giugno 2017, la II Commissione (Giustizia) ha approvato, in sede legislativa, la seguente proposta di legge:

  C. 4439 approvata dalla 2^ Commissione permanente del Senato recante: “Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi”.

Discussione sulle linee generali del disegno di legge: Legge annuale per il mercato e la concorrenza (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 3012-C).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato, n. 3012-C: Legge annuale per il mercato e la concorrenza.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è in distribuzione e sarà pubblicato in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3012-C)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che le Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione Attività produttive, onorevole Andrea Martella.

ANDREA MARTELLA, Relatore per la X Commissione. Grazie, signor Presidente. Signor sottosegretario, onorevoli colleghi, giunge finalmente in Aula uno dei provvedimenti più complessi dell'intera legislatura, più difficili dal punto di vista dell'iter parlamentare.

Si è trattato e si tratta della prima legge annuale sulla concorrenza, ma anche di una legge, la cui ampiezza dei temi trattati ha interessato per molto tempo - forse troppo tempo - il percorso parlamentare. Sono passati, infatti, due anni e, mentre inizio questa breve illustrazione del provvedimento, rivolgo a tutti noi l'auspicio che questa terza lettura si possa concludere costruttivamente e che, in tempi rapidi, ci sia l'approvazione definitiva al Senato. Lo dico perché, nonostante il tempo passato e i cambiamenti avvenuti nell'impianto originario, ritengo ancora che questo sia un provvedimento importante, utile a stimolare la crescita economica dell'Italia, utile ad innalzare il livello di concorrenza in alcuni settori produttivi e nel vasto campo dei servizi professionali.

Infatti, rimangono attuali le ragioni per le quali questa legge annuale per la concorrenza è stata presentata al Parlamento, rimangono assolutamente attuali gli obiettivi che ci si deve porre nell'approvare una legge di questo genere: da un lato, quello di avere un mercato con regole più fluide, più aperte e più innovative; dall'altra parte, la possibilità di tutelare meglio i consumatori, che devono poter attingere a servizi e prodotti a più basso costo e con maggiore qualità.

Tutto questo ci è stato chiaro fin dall'inizio, tutto questo è ancora chiaro, ed è per questa ragione che abbiamo voluto, nonostante il tempo trascorso e le tante difficoltà, fare in modo che il provvedimento superasse ogni ostacolo e potesse andare finalmente in porto.

Il nostro Paese, nel corso degli anni, ha fatto sicuramente passi in avanti, ma ci sono tanti ostacoli ancora da rimuovere, per cui sarà necessaria una legge annuale sulla concorrenza che intervenga in altri settori, di cui qui non si è potuto trattare, ma già gli ostacoli che vengono rimossi in questa legge annuale, nel settore dei trasporti o nel settore del credito, delle assicurazioni, nel mondo dei servizi e delle professioni, fino al tema dell'energia, rappresentano alcuni passi in avanti ulteriori, che si fanno per rendere il nostro mercato un mercato più aperto e dinamico.

Sono molte le questioni - come ho detto - che affrontiamo in questo provvedimento così corposo; mi limiterò a fare cenno alle più importanti e poi a rimandare al testo scritto l'analisi puntuale del provvedimento, con le trasformazioni e le modifiche che sono intervenute anche nel corso della lettura al Senato.

Tra i punti più qualificanti del disegno di legge, vi è senza dubbio quello del settore dell'energia, rispetto al quale si introducono importanti innovazioni. In particolare, si determina la cessazione del regime di maggior tutela nel settore del gas naturale, abrogando, a partire dal 1° luglio 2019, la disciplina che prevede la definizione, da parte dell'Autorità per l'energia, delle tariffe del gas per i consumatori che non abbiano ancora scelto un fornitore sul mercato libero.

È inoltre eliminato il regime di maggior tutela nel settore dell'energia elettrica. Nel corso dell'esame in Senato, sono state introdotte modifiche a tali disposizioni: in primo luogo, è stata fissata al 1° luglio 2019 la data dalla quale decorre l'abrogazione del regime di maggior tutela, mentre quella che era stata prevista da noi inizialmente era il 30 giugno 2017. Inoltre, il testo approvato dalla Camera prevedeva che l'Autorità disciplinasse le misure rivolte a garantire la fornitura del servizio universale; nel corso dell'esame in Senato è stato specificato che la medesima Autorità adotta disposizioni per assicurare il servizio di salvaguardia ai clienti finali domestici e alle imprese connesse in bassa tensione con meno di cinquanta dipendenti.

Nel corso dell'esame - mi pare importante riferire questo ulteriore cambiamento rispetto a quanto approvato al Senato -, in sede referente presso le Commissione riunite VI e X, è stato soppresso il riferimento ai clienti che, alla scadenza del mercato tutelato, non abbiano scelto il proprio fornitore, i quali sono dunque sottratti al regime delle aste per aree territoriali. Questo è uno dei cambiamenti avvenuti nel corso dell'esame in Commissione.

A tutela del consumatore sono previste diverse misure; queste misure rimangono intatte e sono state anche migliorate dal Senato, e rimando al testo scritto la loro illustrazione.

Nel corso dell'esame nelle Commissioni riunite è avvenuto un altro importante cambiamento relativo alle disposizioni in materia di comunicazioni: si prevede, al comma 41, di eliminare una serie di vincoli, che oggi sono presenti nei contratti con i fornitori di servizi di telefonia, televisivi e di comunicazioni elettroniche.

Il comma 44, introdotto nel corso dell'esame, è stato soppresso nel corso dell'esame in sede referente presso le Commissioni VI e X della Camera. Tale disposizione fissava alcuni contenuti necessari dei contatti vocali non sollecitati da parte di operatori nei confronti degli abbonati, non risultando, però, chiara la possibilità, con riferimento alle comunicazioni indesiderate, di consentire agli utenti di respingere eventuali chiamate non desiderate, la cosiddetta pratica del telemarketing selvaggio. Questo comma è stato soppresso nel corso dell'esame nelle Commissioni, si tratta di uno dei cambiamenti avvenuti nel corso dell'esame in sede referente.

Molte altre sono le disposizioni contenute nel provvedimento in materia ambientale, in materia di servizi professionali e, in proposito di servizi professionali, voglio riferire un'altra modifica avvenuta nel corso dell'esame in sede referente delle Commissione VI e X, ed è stato esplicitato chiaramente a proposito delle attività odontoiatriche in forma societaria: nell'esercizio dell'attività odontoiatrica in forma societaria, deve essere garantito che tutte le prestazioni che formano oggetto della professione di odontoiatra siano erogate esclusivamente dai soggetti in possesso di titoli abilitanti. Inoltre, con una modifica al comma 156, è stato reso da facoltativo ad obbligatorio lo svolgimento della funzione di direttore responsabile dei servizi odontoiatrici in una sola struttura facente capo a società operanti nel settore odontoiatrico. Questa è la terza delle quattro modifiche che abbiamo fatto nel corso della sede referente; della quarta riferirà, poi, la collega Fregolent perché riguarda il tema delle assicurazioni, ma, come detto, ci siamo limitati, rispetto alla lettura del Senato, a prevedere queste quattro modifiche che ci sono sembrate utili per migliorare ulteriormente il provvedimento rispetto a quanto era stato deciso e legiferato al Senato.

Il provvedimento contiene altre importanti misure a proposito di servizi professionali, di servizi che riguardano il trasporto, di servizi che riguardano i beni culturali. Mi limito solo a elencarli e a rimandare, poi, al testo scritto per una loro puntuale illustrazione. Alla fine di questo breve intervento, avendo dato conto delle modifiche intervenute e dei cambiamenti più importanti avvenuti soprattutto nel settore dell'energia, credo che, assieme all'auspicio di veder presto approvata questa legge sulla concorrenza, dobbiamo pensare, anche, che in futuro una legge sulla concorrenza dovrà, forse, essere meno complessa, meno ambiziosa, più puntuale nei suoi interventi, ma sicuramente incisiva, perché questa dell'apertura dei mercati e della liberalizzazione della concorrenza rimane una delle riforme principali di cui il nostro Paese ha bisogno.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la Commissione Finanze, onorevole Silvia Fregolent.

SILVIA FREGOLENT, Relatrice per la VI Commissione. Grazie, signor Presidente. Molto di quanto volevo e dovevo dire è stato già accennato dal mio collega Martella. In questi giorni, si è molto parlato di concorrenza, con un'ansia di approvazione di un provvedimento; probabilmente l'ansia è dovuta al fatto che dal 2009 si attende un provvedimento del genere. Questa legislatura, da molti criticata, da molti anche un po' avvilita, talvolta, nei commenti, evidentemente, ha avuto più coraggio di altre, perché una legge sulla concorrenza è dal 2015 che viene esaminata da questo Parlamento. Noi l'approvammo nell'ottobre 2015, il Senato ce l'ha restituita soltanto qualche settimane fa e noi ci siamo trovati di fronte ad un bivio: far finta che alcune storture che c'erano e che, secondo me, non andavano, secondo noi, come relatori non andavano bene, per l'interesse che questo provvedimento ha, cioè quello di rendere il mercato della concorrenza più aperto e, quindi, più utile ai consumatori, ecco, secondo noi questo obiettivo non veniva raggiunto.

Non veniva raggiunto, come ha prima indicato il collega, per l'energia, per il telemarketing, per le società di odontoiatria e anche per le polizze assicurative, perché veniva evitata la possibilità di un rinnovo tacito alla scadenza dell'assicurazione; noi abbiamo previsto che questo potesse avvenire, così come era stato già previsto nella prima lettura della Camera; se noi avessimo voluto avere un atteggiamento ostruzionistico, per evitare l'approvazione di questo provvedimento, avremmo fatto ben numerose modifiche e io mi riferisco, in particolar modo, a quanto accaduto per la parte di competenza della Commissione finanze. Noi facemmo un lavoro molto lungo, sei mesi, con un grande numero di audizioni e anche di molte modifiche condivise che avevano portato a delle decisioni che a noi sembravano sagge ed eque. Ne cito due per comprenderne l'importanza: una era quella che viene considerata e chiamata: le assicurazioni del sud, cioè le assicurazioni di aree particolarmente sinistrose dove, oggi, le assicurazioni sono molto care, molto più care rispetto al resto del Paese. Noi abbiamo, grazie all'opera di tutti i gruppi parlamentari e dell'allora sottosegretaria Vicari, fatto un testo che prevedeva praticamente che il prezzo venisse imposto alle assicurazioni dall'IVASS. L'IVASS, subito dopo l'approvazione della legge, si oppose a questo modo di legiferare, perché disse che non competeva all'IVASS determinare il prezzo delle assicurazioni, perché questo non era libero mercato e perché si rischiava una procedura di infrazione europea e il Senato ha riscritto questa norma, prevedendo la possibilità per l'IVASS di fare un regolamento che individua all'interno dei criteri per far sì che, nelle zone di particolare sinistrosità, si possa addivenire a ulteriori sconti rispetto a quello che il testo prevede per il resto del Paese.

Noi, come relatori, vigileremo affinché le rassicurazioni che l'IVASS ci ha dato vengano applicate e, quindi, valuteremo se, effettivamente, questa soluzione sarà veramente risolutiva per un pezzo di Paese, ma se avessimo voluto cambiare e fare ostruzionismo avremmo riportato la formulazione originaria; come alcuni colleghi anche del mio gruppo, il Partito Democratico, sono relatrice e non ho un gruppo, ma alcuni parlamentari del Partito Democratico, tra cui l'onorevole Impegno e l'onorevole Bruno Bossio, hanno presentato degli emendamenti esattamente riproponendo la formulazione originale della Camera. Noi abbiamo voluto evitare questa modifica semplicemente perché avrebbe voluto dire aprire un contenzioso con il Senato che impediva quella lettura veloce che le stesse dichiarazioni di pezzi del Governo ci hanno chiesto e con la rassicurazione del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, che ha detto che in breve tempo si può calendarizzare la lettura definitiva del Senato, proprio perché le modifiche sono state poche.

Un altro elemento di perplessità è, per esempio, la norma che riguarda i testimoni; è stata riportata al Senato la stesura che era prevista originalmente al testo che ci era venuto dal Governo, sul fatto che, qualora ci sia un sinistro con danni alle cose senza danni alle persone, i testimoni abbiano pochissimo tempo per essere individuati, cioè al primo atto utile, lasciando così una discrepanza tra quello che può fare l'assicurato e quello che può fare l'assicurazione. Anche questa formulazione non ci convince, ma se avessimo voluto far ritornare l'ipotesi originaria, sicuramente si sarebbe aperto un contenzioso con il Senato e saremmo ritornati ad un punto morto.

Questi sono due esempi che ho fatto nel mio settore per dire che c'è tutta la volontà, da parte di questo Parlamento, da parte di questa Camera, di addivenire al più presto ad una lettura definitiva del provvedimento, perché possiamo individuare degli elementi di luce. Non tutte, probabilmente, le cose che sono scritte ci convincono, ma ci sono alcuni elementi di bontà; sempre nell'ambito delle assicurazioni, per prevedere finalmente le tabelle risarcitorie, la famosa tabella di Milano, che viene estesa a tutto il territorio nazionale, soprattutto per le macrolesioni, è un elemento di civiltà che non ci può che vedere gioire, perché sappiamo che il Paese, anche da questo punto di vista, era spaccato.

Tutte le normative che riguardano l'antifrode, dalla scatola nera alla possibilità di avere sconti, anche sostanziali, attraverso una messa in concorrenza delle varie assicurazioni, non ci può che vedere felici, perché finalmente i cittadini avranno e percepiranno una scontistica maggiore per quello che rimane ancora un elemento di discriminazione rispetto al resto d'Europa.

Tutti noi, quindi, non vediamo l'ora che questo provvedimento arrivi alla conclusione e respingiamo al mittente il fatto che aver provocato quattro modifiche sia un elemento per evitare l'approvazione. Queste quattro modifiche erano in cura già al Senato volerle fare, probabilmente se fossero state autorizzate e fatte al Senato, e non messa la fiducia in tutta fretta, a quest'ora avremmo dato la lettura definitiva. Oggi ne abbiamo fatte poche, per evitare che si riapra tutta la partita al Senato e che il Senato, con una lettura rapidissima, possa approvare definitivamente il provvedimento di questa prima legge sulla concorrenza.

Concludo - consegnando poi il mio intervento nella interezza - con l'auspicio dell'onorevole Martella: che forse le prossime leggi sulla concorrenza, invece di prevedere così tante materie difformi l'una dall'altra, si concentrino sui vari settori, dal trasporto a tutte quelle materie che ancora devono essere toccate, per evitare che una così tanta quantità di norme, di fatto, invece di accelerare il procedimento conclusivo, sia di ostacolo. Oggi ci arriva dal Senato un provvedimento con 193 commi, perché è stata posta la fiducia, quindi articolo unico, e penso che i futuri avvocati e studiosi in legge ci odieranno nel momento in cui dovranno studiare un simile papocchio; ci perdoneranno ma era la prima legge e speriamo che le prossime ci vengano meglio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Crippa.

DAVIDE CRIPPA, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Ci ritroviamo dopo due anni dall'approvazione del passaggio alla Camera e quella che dovrebbe essere una legge annuale della concorrenza oggi viene sollecitata dai relatori come un qualcosa che è indispensabile e serva e nessuno si ricorda che teoricamente è un collegato alla legge finanziaria 2015. Ed essendo un collegato, ci sono tutte le complicazioni legate anche alle possibilità emendative, per cui devono avere delle coperture legate sempre alla finanziaria, che in questo caso è evidentemente superata. I temi che oggi ci ritroviamo qui a discutere, dopo le modifiche fatte al Senato, sono sempre i soliti. Peccato che in questi due anni la logica del consumatore, aggredito da parte delle società di fornitura di energia, è stata una logica di aggressione vera e propria, nel senso che ci sono ormai agli atti telefonate che evidenziano come la maggior tutela fosse già finita due anni fa. E invece, ancora oggi, stiamo parlando che, se il provvedimento dovesse essere licenziato oggi dalla Camera così come è scritto, ci sarebbe ancora un passaggio tale per cui la maggior tutela ancora non avrebbe la certezza di essere abolita rispetto a quanto preventivato due anni fa. Questo cosa ha comportato? Ha comportato un pasticcio di natura, se vogliamo, interpretativa da parte dei consumatori, che spesso non sono troppo informati su questi temi, che si vedono costantemente ricercati al telefono per cambiare la propria fornitura di energia e passare al famoso e auspicato mercato libero.

Innanzitutto, ricordiamo che salta il servizio universale; quindi all'interno del provvedimento, nonostante ci sia stato un emendamento del MoVimento 5 Stelle che cercava di reinserire, proprio laddove i relatori sono intervenuti, quindi non in un contesto avulso e lontano, ma proprio tre parole prima rispetto a dove sono intervenuti i relatori con le modifiche che hanno annunciato poc'anzi, il servizio universale, perché, ahimè, ci sono sempre delle condizioni socio-economiche da tenere in considerazione. Quello che è il servizio universale - cioè per gli utenti deboli o con difficoltà, da un lato, se vogliamo, anche economiche, ma, dall'altro, di accessibilità - non è chiaro. Oggi alcuni clienti che sono al servizio universale sono quelli che abitano sul cucuzzolo della montagna: come io a un certo punto porterò l'energia a quei punti e come la farò pagare? Tutto ciò, evidentemente, essendo abolito il servizio universale, rimarrà nel limbo forse di un decreto che dovrà ancora essere scritto e pensato. Dico ‘pensato' perché, evidentemente, se qualcuno aveva un'idea chiara, lo poteva inserire all'interno della concorrenza e invece, in realtà, questo punto non c'è.

Parliamo del regime di salvaguardia, cioè quel regime che, teoricamente, oggi interviene quando la società fornitrice di energia viene meno ai suoi patti e interrompe l'erogazione del servizio. È successo a un emendamento che ha voluto il Partito Democratico sulle gare Consip con Gala, un emendamento del Partito Democratico nella legge di stabilità che consentiva a Gala di modificare addirittura i prezzi di fornitura nell'appalto Consip e a un cento punto poi Gala si è sfilata dalla fornitura di quel tipo di servizio. E alcuni di quei clienti ricadono nel servizio di salvaguardia. Cosa vuol dire? Prezzi più alti. Vuol dire che nel regime di salvaguardia ci sono prezzi più alti perché l'utente deve essere incentivato a uscirne il più in fretta possibile per andare al servizio di mercato libero. Ma questo mercato libero perché non ci piace? Perché non funziona, secondo noi? Secondo noi è evidente che le regole del gioco non sono chiare. Non sono chiare perché, ancora oggi, noi - e lo leggiamo anche all'interno del dossier della Camera, ma lo avevamo già denunciato diverse volte con diverse interrogazioni - abbiamo 36 milioni di utenze del mercato elettrico e 22 milioni di utenze del mercato del gas. E con questa maggior tutela, perché la gente non cambia? È vietato? No, non è vietato, già oggi è possibile passare al mercato libero, perché non lo fa? Perché alla fine, al cliente finale, il signor Mario e la signora Maria, non conviene da un punto di vista economico fare questo passaggio. Perché? Perché va incontro, magari, ad un risparmio irrisorio da 10, 20, 30 euro l'anno, per cui preferisce rimanere con lo stesso servizio di fornitura che gli consente un prezzo calmierato.

Ma allora, cerchiamo di capire, lo vogliamo abolire perché? Perché dobbiamo aumentare il mercato della concorrenza che potrebbe, in qualche modo, agevolare e abbassare i prezzi. Ma quali sono le regole del gioco? Non le sa nessuno, perché le regole del gioco non sono scritte. Oggi c'è il servizio di maggior tutela e, sostanzialmente, viene detto da un'indagine dell'Antitrust che il 67 per cento dei clienti che abbandonano il servizio di maggior tutela e vanno al mercato libero, si vanno a rifornire dallo stesso soggetto che gli forniva il servizio di maggior tutela. E di questo, tra l'altro, si sta occupando oggi anche una istruttoria aperta dall'Antitrust su Enel, Acea e A2A, per spostare i clienti dalla maggior tutela al mercato libero, con telefonate tragicomiche che, a un certo punto, segnalavano che anche alcuni operatori di energia, in virtù del nome inglese della società di fornitura, visto che c'era la Brexit, dovevano uscire e non erano più fornitori del mercato italiano. Queste non sono invenzioni, sono testimonianze telefoniche che rappresentano come quei meccanismi non regolamentati di modalità di gestione di vendita telefonica frodano il consumatore.

E allora continuiamo ad andare in quella direzione, perché non interessa a questo Governo mettere un freno, mettere un punto fermo sul fatto che ci debba essere un tetto massimo a un fornitore del mercato libero e che non possa essere, per più del 50 per cento, lo stesso fornitore del servizio di maggior tutela. Cioè, dobbiamo rendere trasparenti questi passaggi. Perché? Perché noi, ancora una volta, vediamo che all'interno dell'ex monopolista Enel, sul proprio sito, nonostante le politiche di debranding, a un certo punto trovavamo scritto, sotto il sito di E- distribuzione, che dovrebbe teoricamente districarsi e uscire dal servizio Enel di fornitura energetica e gas, una frase del tipo: cambia solo il nome, non l'appartenenza al gruppo Enel, oppure, è quello che facciamo. Per cui noi, ancora una volta, non riusciamo a capire che, fino a quando non andiamo a risolvere queste storture del mercato che permettono a una società, e lo fa ovviamente nel suo interesse, non dico che lo fa in maniera illecita, ma è una società che si beffa dello Stato italiano fintanto che si permette di dire: siamo sempre gli stessi, facciamo sempre quello che facevamo prima, anche domani lo faremo, e per di più l'Autorità gli chiede di riconoscere i costi per il debranding, cioè gli extracosti per il debranding, più le politiche di comunicazione, legati al fatto che hanno dovuto cambiare il marchio.

Marchio che, ricordo a tutti, ha la stessa “E” come ce l'aveva prima e, quindi, alla signora Maria quella “E” piace sempre e crea sempre un po' di confusione. Ovviamente, su questo punto gli emendamenti non sono stati recepiti e non vogliono essere recepiti.

Sono stati due anni di mercato selvaggio, come vi dicevo, e un anno e mezzo fa veniva già annunciato che il Servizio di maggior tutela veniva abolito. È evidente che qualcuno non vuole nemmeno prendere coscienza del fatto che i consumatori non sono contro un mercato libero: sono contro la gestione che oggi caratterizza il mercato libero e la gestione che oggi caratterizza il passaggio da maggior tutela al mercato libero, perché è qui che se io metto delle regole certe, in un perimetro perfettamente controllato, il primo che sbaglia con un'offerta telefonica aggressiva e non in linea con quelli che sono gli standard esce dal perimetro di fornitura e non può più fare quello che faceva prima. È l'unica regola possibile che possiamo scrivere, ma nessuno la scriverà mai, perché tutti si avvalgono di quei servizi di telefonia, spesso anche ubicati fuori dai nostri confini nazionali, che passano la loro giornata a tempestare di telefonate i consumatori.

Arriviamo ad altri aspetti. Si è accennato dell'aspetto legato alle assicurazioni. Io vorrei soltanto ricordare a quest'Aula le dichiarazioni della collega Fregolent, relatrice, e del collega Impegno di allora, in cui veniva detto con una certa enfasi che, da un lato - hanno spiegato ai tempi con l'approvazione dell'emendamento di reale concorrenza -, si introduceva la novità straordinaria che si premiavano i comportamenti virtuosi. Ecco, questi comportamenti virtuosi sono stati bocciati, giovedì scorso, in Commissione, con la bocciatura di un emendamento, che, tra l'altro, recava la firma al Partito Democratico, per ripristinare quanto era stato inserito alla Camera in prima lettura; e, ancora una volta, è lo stesso Partito Democratico che lo boccia. Quindi, in realtà, il consumatore virtuoso, l'automobilista virtuoso, che abita in alcune zone in città congestionate dal traffico, non avrà lo stesso livello di scontistica che potrà avere quello che abita in un paesino isolato. Questo perché, secondo delle logiche di mercato, non è possibile intervenire su questi punti.

Presidente, chiudo, se mi è consentito, con un ultimo punto: le società di professionisti. Fortunatamente, si è tornati indietro sulla questione degli odontoiatri, si è cercato di dare un punto fermo. Io segnalo che sulla questione degli odontoiatri, forse, è più evidente a tutti il fatto che, all'interno di una società, chi ti possa mettere le mani in bocca dovrebbe essere iscritto all'albo. Io segnalo che, invece, sotto l'aspetto professionale, non avete mai aperto gli occhi sulla questione degli avvocati e sulla questione, soprattutto, degli ingegneri, degli architetti nelle società di professionisti tecnici. Perché quando io, iscritto all'albo, ho soltanto il capofila e ho sotto dei dipendenti da 100-150 persone che mi realizzano calcoli strutturali sui ponti dove passate poi tutti, voglio proprio vedere, anche se il potere di firma spetta al primo della catena, che quei calcoli siano stati evidentemente rivisti nella maniera corretta.

Allora, la tutela della professione deve essere anche tutela deontologica di quelle parti: noi non possiamo pensare che la concorrenza all'interno del settore delle professioni debba passare per un livello e un gradino più basso della tutela del consumatore. Attenzione, perché il baratro è dietro l'angolo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

ANTONIO GENTILE, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico. Poche battute. Innanzitutto, grazie Presidente, grazie onorevoli deputati. Questo disegno di legge comincia ad essere un risultato importante, sino a quando non si chiude, sia per gli investimenti che per l'occupazione nel nostro Paese. Quindi, ci sono elementi nella programmazione nazionale di riforma del Governo che con questo provvedimento, se anche con notevole ritardo, vengono rispettati.

L'iter di questa legge è stato lungo, travagliato, laborioso, a volte vi sono state ragioni esterne: a volte, nel Parlamento le vecchie lobby si sono mosse per rallentare il provvedimento, altre volte, diciamo la verità, anche la politica ha dovuto ammettere i propri ritardi. Ma quella fase è, in qualche modo, conclusa e io mi auguro che si concluda con l'approvazione, in questi giorni, del provvedimento alla Camera per riportarlo veramente celermente al Senato e far diventare il disegno di legge sulla concorrenza legge dello Stato. I ritardi sono notevoli, conoscete bene le difficoltà che abbiamo e che avremo ancora con l'Unione europea, atteso che questi provvedimenti dovevano essere già stati approvati dal Parlamento alcuni anni fa; siamo fuori tempo massimo, ma diciamo che, nella sostanza, si può arrivare ad una conclusione che sia la più unitaria possibile. Io lo chiedo e lo chiedo a nome del Governo: l'unità delle decisioni, soprattutto per evitare che si riapra una discussione su alcuni punti sui quali, anche in Commissione, non si è trovata la medesima unità. Mi riferisco non soltanto ai quattro emendamenti presentati dai due relatori, che ringrazio - che sono stati veramente diligenti ed hanno fatto in tempi rapidissimi il loro dovere - ma, lo dico anche alle altre forze politiche, cerchiamo di produrre tutti insieme uno sforzo perché questo provvedimento venga portato a conclusione.

Non possiamo più perdere ulteriore tempo, atteso che vi è anche una richiesta ufficiale da parte del Ministero per i rapporti con il Parlamento, che ribadisce che questo provvedimento ritornerà in Senato e che, nella prossima settimana o nei prossimi giorni, riusciremo a far approvare dal Senato anche queste quattro modifiche. Il mio auspicio è soprattutto quello di dire a tutti voi del Parlamento: facciamo in fretta, una fretta che non sia cattiva consigliera, ma questo tema, questo provvedimento è stato discusso a iosa, in tutte le circostanze, nelle Commissioni, nelle Aule del Parlamento. Credo che non abbiamo più tempo da perdere, perché, anche in questo, la politica deve fare la sua parte. La politica istituzionale del Paese non può sempre fermarsi ai tatticismi o ai retroscena: la politica del Parlamento su questi temi che assumono grande priorità deve dare delle risposte immediate.

Pertanto - lo ripeto a tutti i gruppi parlamentari -, il mio invito e quello del Governo è di fare presto, è di dimostrare soprattutto competenza e serietà sulla materia. Siamo un po' indietro rispetto agli altri Paesi europei, però io dico che, ancora una volta, l'Italia ce la farà, perché questa legge si inserisce in un quadro di riforme ben definito da parte del Governo attuale, che sta portando avanti, a volte, anche con difficoltà, ma credo che ci siano le basi e i presupposti, attesa la lunga discussione che vi è stata in Commissione con delle grande responsabilità, diciamo la verità, da parte di tutti i gruppi politici. La medesima responsabilità io vi richiedo nell'Aula del Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Russo. Ne ha facoltà.

PAOLO RUSSO. Grazie, Presidente. Leggendo il testo di questo provvedimento mi sono imbattuto, e tanti di noi si sono imbattuti, in un comportamento schizofrenico, strabico del Governo e del PD. Un PD sordo? Un PD distratto? Un PD abulico, apatico, inconcludente, incerto, autolesionista a tratti, miope, incline alla ingiustizia ed illogicità? Può darsi, ma vorrei essere certo di tutto questo. Vorrei, insomma, essere persuaso che di incapacità e sciatteria si tratta. E, invece, la vicenda RC-auto, con la cancellazione al Senato della norma “salva automobilisti virtuosi” - vicenda che andrebbe più correttamente appellata come “la tassa sul Sud” -, è una vicenda dai troppi aspetti opachi ed incomprensibili, che lascia piuttosto sottendere la connivenza di maggioranza, PD e Governo con il sistema lobbistico, affaristico delle compagnie di assicurazione.

Avete, senza tentennamenti, senza batter ciglio, affossato la norma “salva automobilisti virtuosi” e neppure i recenti dati Istat sulle differenze che aumentano tra Nord e Sud vi hanno indotto a più miti consigli. Un cittadino su due al Sud è a rischio povertà e voi consentite a potenti ed assicurazioni di scaricare inefficienze e complicità proprio sui più deboli, ignari ed onesti automobilisti. Avevate lasciato intendere la necessità, l'urgenza, la fretta di approvare questa norma che attendeva il varo da tre anni, ma la colpa di chi è? Questi tre anni come sono passati?

Tra elezioni regionali, in cui avete promesso che passasse questa norma esattamente come era stata approvata alla Camera; poi elezioni comunali nella città di Napoli, referendum, e pure le primarie: avete celebrato sempre su questa medesima materia, certi di poter turlupinare i cittadini campani. Avete sempre garantito, però, che questa modifica non ci sarebbe stata, poi d'un colpo, questa modifica al Senato c'è stata. Eppure, ritornati qui alla Camera, ci aspettavamo un atto di buonsenso, per rimettere a posto un po' di cose, ma voi ci avete detto che non era possibile, perché si andava di fretta, e, invece, per vostre scaramucce interne, per dispettucoli al vostro interno, alcune modifiche le avete fatte. Le avete fatte espungendo ed evitando di modificare quanto, viceversa, era necessario per le imprese, le famiglie e gli automobilisti di metà di questo Paese!

Alla Camera avevamo approvato un testo a larghissima maggioranza: nemmeno la condivisione con tutte le opposizioni avete rispettato. Al Senato, a colpi di fiducia, avete cambiato la norma rendendola: inefficace? Neutra? Volontaria? Discrezionale? Insomma, inutile. Era scritto - quindi, mi rivolgo agli autorevoli relatori, soprattutto nella speranza che non dicano più inesattezze, perché tutto possiamo rappresentare tranne che gravissime inesattezze - che in presenza di almeno una delle seguenti condizioni, da verificare in precedenza o contestualmente alla stipulazione del contratto o dei suoi rinnovi, le imprese di assicurazioni dovevano praticare uno sconto determinato dall'impresa nei limiti stabiliti dal comma 2: che c'entra? Che c'entra? L'Ivass non lo vuole fare. L'Ivass nulla avrebbe dovuto fare, se non parametrare, misurare esattamente ciò che oggi dice di voler fare; soltanto che oggi lo fa con un aggettivo strepitoso, con un aggettivo irripetibile, con un aggettivo che solo voi potevate immaginare, l'aggettivo di sconti “significativi”. Poi qualcuno di voi me lo spiegherà, ma lo spiegherà soprattutto ai cittadini del Sud, che significa “significativi”. A quanto ammontano gli sconti significativi? Quanto significano questi sconti? Quanto valgono questi sconti? Ditecelo!

Questo provvedimento è un regalo a chi truffa e alle assicurazioni, che ovviamente non troveranno, come finora non hanno trovato, nessuna ragione utile per contrastare il malaffare, preferendo pagare a piè di lista dubbi sinistri. È come se dei malviventi rapinassero una banca e questa, invece di mettere in campo i migliori sistemi di difesa e di sicurezza, invece di isolare qualche mela marcia interna che fa da palo, preferisse spalmare la perdita sui conti dei correntisti, rei solo di avere aperto il conto in quella banca. Ma il conto si apre liberamente e volontariamente, viceversa, l'assicurazione è obbligatoria per legge. Cosa pretendete di più da quell'automobilista nato a Crotone? La scatola nera? Il comportamento irreprensibile? Il saluto al potente di turno? L'ossequio all'assicuratore? Le impronte digitali? Cos'altro pretendete con questa norma, per provare a rispondere a quell'automobilista del Sud, calabrese o campano che sia?

Eppure, avevamo approvato qui, insieme, una norma, per quanto non esaustiva, di buonsenso, che rendeva giustizia a quell'automobilista che da cinque anni non era responsabile di incidenti, che consentiva l'installazione della scatola nera, che avrebbe avuto nientepopodimeno che uno sconto pari alla differenza con la media delle tariffe nazionali. Si sarebbe posta, cioè, una pezza alla discriminazione territoriale, per quanto permanesse un pregiudizio ontologico negativo. Questo lo avevamo digerito, supportato, superato, archiviato, ma prontamente arriva il diktat delle assicurazioni e vi siete piegati, vi siete inginocchiati, vi siete genuflessi, lasciando che milioni di cittadini paghino la tassa sulla nascita.

Ma vi pare che un giovane neo-patentato, per la stessa vettura, paga 800 euro a Milano e 2.300 euro a Napoli? Che lo stesso ragazzo paga 300 euro per il motorino a Trento e 1.700 a Caserta? Ma in quale parte del mondo è consentita una simile discriminazione? Una gabella che vale per una famiglia, in trent'anni, 200.000 euro: il valore di una casa, l'investimento per un'attività di impresa! Siete diventati una sorta di Robin Hood al contrario: togliete a Catanzaro per dare a Como; sottraete a Taranto per dare a Busto Arsizio; penalizzate Prato e Giugliano per premiare Desenzano.

Noi non vogliamo una gara tra comunità, non ci interessa questo: pretendiamo giustizia, vogliamo che i cittadini siano considerati eguali di fronte alla legge, nei doveri come nei diritti; in RC auto, in sanità, nei trasporti. Ma queste sono altre storie.

Ci dite: è il mercato. Ma che mercato e mercato! Se l'RC auto è obbligatoria per legge, di fatto il risultato sarà che si moltiplicheranno le truffe - come le vogliamo chiamare - difensive o di necessità. I mandanti siete voi, però; induttori voi e complici le assicurazioni. Capisco, ma nonostante tutto, non giustifico queste truffe. Penalizzati saranno sempre quei cittadini virtuosi, colpiti due volte. Non volete ridurre le truffe, perché è troppo comodo per voi colpire quegli onesti cittadini vessati ormai fino all'inverosimile.

Paga sempre quel giovane diciottenne appena patentato, a cui voi del PD dovrete un giorno spiegare perché questa differenza, perché questa discriminazione, perché questa ingiustizia. Sarà questo un altro buon motivo per ricacciarvi all'opposizione. Noi proponiamo, promettiamo e, come solo il presidente Berlusconi sa fare, manterremo: mai più tasse sulla prima casa, mai più tasse sulla prima auto! E questa per noi è una tassa ingiusta, insopportabile, un balzello ingiustificato. Alimentate le migrazioni delle residenze fittizie, riducendo così anche il gettito per le province - ah, le province, quelle dimenticate e abbandonate! -, quindi riducete la manutenzione stradale in numerose aree del nostro Paese. Sempre più risorse a chi ha di più.

Aumentano sempre di più i veicoli privi di assicurazione, tanto a pagare sarà sempre quella famiglia virtuosa del Sud, di Reggio Calabria o di Caserta, di Ragusa o di Foggia. Siete stati inamovibili, tetragoni, sordi, maldestri, rispetto ad ogni nostra sollecitazione. Niente da fare!

Vi chiediamo che l'Ivass stabilisca uno sconto non “significativo”: uno sconto tale da commisurare la tariffa per quell'assicurato con le medesime caratteristiche soggettive e collocato nella medesima classe di merito, residente nelle province omogenee per parametri territoriali, con un costo medio del premio inferiore alla media nazionale. Siamo rivoluzionari? Siamo visionari? Siamo illogici? Non mi sembra.

Domandatelo a quei giovani, a quei ragazzi, a quelle ragazze, a quelle famiglie, a quelle imprese di Castellammare e di Prato, di Molfetta o di Giugliano. Lotteremo fino in fondo. Vi aspettiamo con gli emendamenti già presentati e proveremo, ancora una volta, a convincervi che avete torto, che non potete tradire così mezza Italia.

Non ci sottrarremo alla battaglia, qui in Parlamento e tra la gente, nelle piazze, perché riguarda una tassa, una gabella, un balzello odioso per la mia gente e per la mia terra, per le nostre imprese, costrette talvolta a emigrare anche per questo. Per quale ragione credete che le flotte delle compagnie di autonoleggio sono tutte immatricolate al nord? Perché siete più bravi? Perché siete più capaci? Perché siete più belli? No! No! No! Semplicemente perché lì non si paga la tassa sulla residenza! La tassa sul Sud! La tassa sulla nascita, che voi avete introdotto e volete evitare che si tolga! Risarcite banche e banchieri, quando risarcite quei cittadini virtuosi del Sud? Quando risarcite quelle imprese non inclini a sotterfugi e a finzioni, che rimangono al Sud pur pagando un sovra costo irragionevole?

Vi aspettiamo nei prossimi giorni in quest'Aula: sosterremo emendamento per emendamento le nostre ragioni; spiegheremo fuori da qui quello che sta accadendo, quello che state facendo. Lo faremo senza sconti, perché in ballo ci sono principi, più che soldi, principi: l'eguaglianza e la giustizia. E sui principi non si deroga, non si transige.

Pretendiamo di essere uguali e avremo la giustizia che meritiamo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Scuvera. Ne ha facoltà.

CHIARA SCUVERA. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, come hanno detto i relatori Fregolent e Martella, che ringrazio veramente per il lavoro così paziente e così approfondito su questo provvedimento dall'iter così difficile, questa è la prima proposta di legge annuale per il mercato e la concorrenza e questo provvedimento - lo dico all'onorevole Russo per tramite suo - è stato per la prima volta realizzato, presentato e concretizzato da un Governo del Partito Democratico.

D'altronde, il centrosinistra è stato sempre all'avanguardia sul tema della concorrenza e pensiamo alle liberalizzazioni che fece Pier Luigi Bersani. E, sempre all'onorevole Russo, per suo tramite, dico che credo che questo non sia casuale. Su questo c'è una ragione politica, perché noi, Presidente, riteniamo che sia necessario portare a termine, in modo molto rapido e in tempi molto rapidi, questo provvedimento non soltanto per una ragione di contributo all'integrazione europea, che poi è un concetto diverso dal “ce lo chiede l'Europa”, che, come dire, spesso cela questo antieuropeismo di maniera che spesso si sente anche in queste Aule, ma è una ragione anche di un'esigenza particolare di giustizia che c'è in questo Paese, in cui noi sappiamo quanto sia grave e radicato il corporativismo.

Quindi, il tema è consentire l'accesso al mercato a quel giovane professionista che ha studiato e non riesce ad esercitare la propria professione o che non riesce ad avviare un proprio studio professionale perché non ha il reddito; il tema è consentire al piccolo imprenditore di competere con chi ha dei grandi capitali e consentire al consumatore, soprattutto al consumatore povero, al cittadino povero - e ancora sappiamo che gli effetti della crisi sono molto, molto gravi e si fanno sentire - di accedere ai beni e ai servizi ad un prezzo non discriminatorio.

Quindi, c'è una ragione politica profonda per cui noi, come forza progressista, portiamo avanti con determinazione e con serietà, nei fatti, un intervento legislativo sulla concorrenza e questo obiettivo politico di maggiore equità e di inclusione ci ha guidati nel lavoro emendativo alla Camera, anche, come ricordava l'onorevole Fregolent, con un lavoro di collaborazione con le altre forze politiche, perché l'obiettivo non è il mercato in sé, non è di applicare una legge sulla concorrenza purché sia, ma di fare in modo che in un mercato in cui c'è la libera concorrenza, in un'economia non pianificata, nessuno venga escluso, cioè non vi siano delle fasce di esclusione e la concentrazione dei profitti e delle opportunità in mano a pochi.

Quindi, vogliamo dare la possibilità al giovane professionista di competere realmente e in tal senso le disposizioni sulle società tra professionisti possono aiutare, stando al paio anche con lo statuto del lavoro autonomo, che è stato approvato in via definitiva al Senato, anche se naturalmente bisognerà ancora intervenire sul tema del salario.

Bisogna fare in modo, appunto, che il piccolo imprenditore non venga schiacciato dalla grandissima e grande impresa, non perché si demonizzi la piccola impresa. Io sono d'accordo che ci sia stata probabilmente una retorica del “piccolo è bello” in questo Paese, ma penso anche che ci sia stata una retorica e una logica un po' di omologazione, di semplificazione e di mortificazione rispetto alle specificità del nostro tessuto produttivo, che è costituito, per oltre il 90 per cento, di piccole imprese e che, naturalmente, vanta delle punte di qualità, di eccellenza e di innovazione che rappresentano anche un'unicità in Europa.

E proprio questa logica, questa omologazione di pensiero sul nostro tessuto produttivo nel passato ha portato anche all'applicazione acritica di alcune norme a situazioni difformi. Penso al recepimento acritico - e anche qui lo dico, per il tramite del Presidente, all'onorevole Russo - della “direttiva Bolkestein”, che oggi presenta moltissime criticità e che, ahimè, avvenne ad opera di Governi di centrodestra. E, ancora, noi facciamo questo intervento perché un gruppo di acquisto solidale abbia la possibilità di accedere all'energia - e va bene in questo senso la norma ulteriormente specificata dal Senato - e affinché un cittadino acceda ai beni di prima necessità, dalle cure all'energia. Quindi, è importante.

È vero che i tempi sono stati molto, molto lunghi per questa prima “legge sulla concorrenza”, ma è importante che il Parlamento ponderi le scelte che fa in questo momento, perché saranno delle scelte strategiche per i prossimi anni e che incideranno sulla vita quotidiana delle famiglie e dei consumatori.

È vero che questa prima legge è stata molto faticosa; probabilmente c'è stata una concentrazione di materie, ma, come diceva l'onorevole Martella, questo è un primo corpus, con interventi, tra l'altro, attesi da anni e che richiedevano anche un dialogo e una concertazione con le parti sociali, un dialogo con le rappresentanze, che noi rivendichiamo, che riteniamo necessario e che abbiamo fatto anche in terza lettura.

Tuttavia, questo primo corpus consentirà poi di avere delle “leggi concorrenza” davvero annuali, più snelle, più mirate e con interventi più specifici su singole materie.

Quindi, questo intervento - e ringraziamo il Governo non solo per il lavoro che si è fatto in Commissione e, quindi, per l'atteggiamento molto aperto nei confronti della Commissione, ma anche per l'impegno già assunto di sollecitazione e di pronta calendarizzazione in Senato - ci consente di aggiungere un ulteriore tassello rispetto alle riforme che abbiamo fatto in economia e agli interventi che abbiamo fatto per sostenere il dinamismo del tessuto produttivo del nostro Paese. Penso a provvedimenti come Investment Compact e penso chiaramente ad Industria 4.0.

Ora, veniamo ad alcuni temi di cui hanno già parlato i relatori e di cui hanno parlato anche i colleghi, che sono stati oggetto di una modifica, a nostro avviso, migliorativa per legiferare al meglio possibile. Noi abbiamo ascoltato i sindacati in Commissione, CGIL, CISL e UIL nonché diverse associazioni di consumatori, che ci hanno detto che naturalmente la diffusione del libero mercato in energia è necessaria. Dunque, si prende atto di questo passaggio dal mercato tutelato al mercato libero e probabilmente il Senato ha anche fatto bene a mettere una scadenza precisa al 2019 e a non consentire delle ulteriori proroghe, ma, naturalmente, è un passaggio giusto e utile al Paese se si riducono i prezzi per i consumatori.

Come rilevava anche il collega del MoVimento 5 Stelle - ma questo ci è noto - la maggior parte dei consumatori domestici - si calcola circa il 68 per cento - sta nel mercato tutelato e quelli che abbandonano il mercato tutelato per andare nel mercato libero hanno addirittura scelto di tornare nel mercato tutelato. Quindi, c'è scarsa fiducia, naturalmente paura dei rincari e paura di una lesione dei propri diritti.

E, quindi, sono necessarie quelle azioni di informazione e di comunicazione che ci richiede anche l'Autorità, che noi abbiamo sentito in Commissione. Oltre alle azioni di comunicazione e di informazione, che sono previste nel testo e che sono sicuramente buone, andrà, secondo me, vista anche questa proposta dell'Autorità di un piano di comunicazione istituzionale, attraverso radio, TV, stampa, Internet, che consenta davvero di raggiungere, in modo semplice e immediato, i consumatori e i cittadini - diciamo così - meno attrezzati su delle questioni che sappiamo essere molto tecniche.

Così come sono importanti le norme che abbiamo introdotto, che il Governo ha anche proposto, sulla confrontabilità delle offerte, perché questa confrontabilità avvenga nel modo più semplice possibile e anche in modo telematico.

Naturalmente abbiamo ritenuto di superare, come dicevano i relatori, il meccanismo delle procedure territoriali per l'assegnazione, che è un termine che non mi piace, dei clienti - perché si tratta comunque di persone - che non avessero scelto il proprio fornitore alla scadenza del cosiddetto mercato tutelato. Su questo ci hanno convinto anche le audizioni e le associazioni dei consumatori, gli operatori e le audizioni delle rappresentanze per due motivi: primo, perché anche in un mercato libero sarebbe paradossale che un consumatore non possa scegliere di fatto il proprio fornitore e che, senza aver concluso alcun contratto, si trovi poi assegnato ad un fornitore. Quindi, noi dobbiamo lavorare molto sulla parte prima, su questa comunicazione istituzionale, che suggerisce l'Autorità, anche per garantire questa terzietà, questa trasparenza della comunicazione, che avviene direttamente dalla parte pubblica.

In secondo luogo, perché questo avrebbe comportato un rincaro per le famiglie e per i cittadini, quindi per gli utenti domestici fondamentalmente, perché la previsione è che siano questi che si troverebbero probabilmente a non aver scelto, e che si calcolava addirittura del 20 per cento in più all'anno. Quindi, Presidente, questa è una miglioria che noi ci siamo sentiti di fare proprio in quest'ottica di equità.

Rispetto poi alle domande che venivano poste dall'onorevole Crippa, cioè che cosa succederà e quindi come verrà regolato questo passaggio dal regime tutelato al mercato libero, sappiamo che ci sarà un decreto avente ad oggetto le modalità per favorire il passaggio al mercato libero. Io credo che qui venga tenuto in grandissima considerazione - anzi, penso proprio che sia la strada giusta - che questa fase di vera e propria programmazione venga strutturata con una forte partecipazione delle rappresentanze, delle forze sociali, che poi sono proiettate all'interconnessione europea, perché sappiamo che la sfida è fondamentalmente questa: il mercato unico europeo, ma anche l'interconnessione nell'energia.

Abbiamo messo al centro il consumatore, soprattutto le fasce più deboli, quando abbiamo abrogato quel comma 44 di cui parlava l'onorevole Martella in materia di telemarketing: evitare un contatto generalizzato, senza preventivo consenso, rispetto al quale il Garante della privacy ha palesato il rischio di liberalizzare di fatto la possibilità di comunicazioni indesiderate.

Vero è che, sulla materia, si deve riflettere, ossia si deve riflettere probabilmente sul fatto di strutturare un consenso preventivo, anziché un consenso ex-post, però ricordiamoci che, sempre in questo disegno di legge, con il comma 55, viene previsto anche l'aggiornamento, la riforma del Registro delle opposizioni, che quindi guarda anche all'invio di posta cartacea.

Abbiamo detto della modernizzazione delle professioni: rompere i monopoli, evitare le concentrazioni, consentire ai giovani di accedere al mercato delle professioni. Sulle società avvocati è stata fatta, proprio rafforzando la governance professionale con interventi sia alla Camera che al Senato - quindi rafforzando l'autonomia dei professionisti, cioè evitando che venisse compromessa l'autonomia dei professionisti -, un'operazione che consentirà - io credo - a diversi giovani, e non solo, di associarsi, di dar vita a delle nuove esperienze professionali e di fare in modo, tra l'altro, che i nostri studi professionali siano competitivi in Europa, dove sappiamo che le forme societarie sono molto diffuse, così come le forme di aggregazione tra professionisti. E ciò credo sia un risultato importante.

Proprio per questo, per tutelare i professionisti, la libera concorrenza nelle professioni, e naturalmente anche la salute dei cittadini, abbiamo ritenuto importante specificare, nella norma sulle società di odontoiatria, che nelle società non soltanto il direttore, ma anche il soggetto che operi, chiunque materialmente operi sul paziente, debba avere il titolo abilitante. Quindi, anche questa è una modifica che ci siamo sentiti di fare, proprio per rafforzare la concorrenza, la leale concorrenza, e tutelare la salute dei cittadini.

Io credo, Presidente, che, con queste modifiche puntuali, limitate, il provvedimento possa avere un esito veloce. Ringrazio ancora il sottosegretario Gentili, anche per la disponibilità alla sensibilizzazione nella pronta calendarizzazione al Senato.

Penso anche che questo spirito di dialogo e di concertazione, che era così importante nella definizione di queste strategie per la concorrenza in questi settori, non debba essere smarrito dopo l'approvazione definitiva del provvedimento, rispetto a cui nutriamo grande fiducia, ma anche nell'applicazione. Quindi la fase della vigilanza sarà molto importante, per esempio, nel settore delle assicurazioni. La collega Fregolent ha già detto che noi, sulla premialità dei cittadini virtuosi del Sud, avremmo preferito rimanere nella versione originaria, ma ricordiamoci che ci sono delle norme importanti, anche in questo testo, rispetto al contrasto delle frodi e rispetto ai meccanismi di premialità dei cittadini virtuosi. Quindi è chiaro che è molto importante l'attuazione, anche con gli atti di attuazione, e poi la vigilanza sul rispetto delle norme.

PRESIDENTE. La ringrazio. A questo punto sospendiamo la seduta, che riprenderà alle ore 14,45.

La seduta, sospesa alle 14,15, è ripresa alle 14,45.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente novantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato Aal resoconto della seduta odierna).

Si riprende la discussione (ore 14,46).

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 3012-C)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il presidente Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie, Presidente; signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, oggi, torniamo a parlare di concorrenza, dopo moltissimo tempo; è un argomento raro in queste Aule di cui si parla, soltanto, quasi soltanto, in occasione della discussione della legge sulla concorrenza. In questo senso, ho sentito dire molte volte che questo istituto non serve, che sarebbe meglio avere interventi più settoriali, liberalizzare i mercati uno per volta, regolamentarli e liberalizzarli; sarebbe meglio, è indubbio che sarebbe meglio. La realtà è che, quando vediamo gli interventi settoriali, questi sono quasi sempre, lo ripeto, quasi sempre promossi con degli obiettivi opposti, ossia regolamentare i settori per consolidarli. Se io penso ad esperienze passate, fin da altre legislature, dalla legge forense - io faccio l'avvocato - ad altre leggi, adesso abbiamo in discussione quella sulla riforma, ad esempio, degli stabilimenti balneari, vi è una serie di norme di settore che, in realtà, sono quasi sempre gestite in via anticoncorrenziale, non concorrenziale.

In questo caso, essendo la legge destinata ad attuare, dovrebbe esserlo almeno, le indicazioni dell'Autorità garante della concorrenza, quanto meno, una parte di queste viene effettivamente inserita nella legge. Questo non vuol dire che siano tutte norme pro concorrenziali, tutt'altro, spesso ne entrano altre, ma almeno si finisce per parlare di concorrenza in maniera concreta e si parla di quello che l'Autorità antitrust ha detto; poi, magari, non lo si condivide, ma la finalità è quella. Quindi, io ritengo che, finché non cambierà la mentalità del Parlamento e finché non vi sarà un numero maggiore di parlamentari che tengono realmente alla liberalizzazione e hanno attenzione all'interesse dei consumatori più che a quello delle singole categorie, fino a quel momento, questa legge ben venga, perché il Governo sarà tenuto a presentare un disegno di legge ai sensi della legge istitutiva per l'appunto di questo provvedimento. Di questo va dato atto al Governo Renzi.

Come gruppo, non siamo, purtroppo, mai soddisfatti nel nostro desiderio che sarebbe quello di vedere un'attuazione più completa delle indicazioni dell'Autorità, più coraggiosa; noi ci siamo astenuti nel primo voto alla Camera su questo provvedimento, perché lo ritenevamo troppo poco coraggioso su una serie di argomenti, a partire da quello dei farmaci. Ecco, adesso ci troviamo a votare la seconda volta e ci troviamo a votare un provvedimento che non avremmo voluto votare, perché noi avremmo voluto votare il testo uscito dal Senato. Riteniamo che sarebbe stato giusto non apportare modifiche, abbiamo chiesto anche che il Governo mettesse la fiducia, è stata messa su altri provvedimenti che non rientravano direttamente nel programma del Governo, nel piano di riforme, mentre la legge sulla concorrenza è nel piano di riforme dal 2015, con indicazioni importanti di valorizzazione. Nel 2015 si parlava dell'1,2 di PIL come impatto sull'economia, ce lo siamo perso, sono tantissimi soldi per un percorso ridicolo, ridicolo, in particolare al Senato. Devo dire, in questo senso, che riaprire il provvedimento per quattro norme, in senso numerico, a questo punto, è un'assunzione di responsabilità molto grave, perché io ho sentito dire prima dall'onorevole Fregolent, dalla relatrice, che l'auspicio è che si faccia presto e che la ragione delle modifiche è stata che la fiducia è stata messa in tutta fretta al Senato; ora, al Senato, il provvedimento è arrivato in Aula il 4 agosto del 2016, è stato approvato lo scorso - non mi ricordo più - maggio o giugno; se questo è il concetto di fretta del Senato… perché quei problemi si potevano risolvere al Senato, nel percorso d'Aula, vogliamo togliere la Commissione, diciamo d'Aula; ecco se quello è il concetto di fretta, non siamo messi benissimo, perché siamo già fuori dalla legislatura; vedremo cosa succede; io spero di essere smentito, spero che la capigruppo che si terrà al Senato fissi immediatamente la legge sulla concorrenza in Aula e che sia votata velocemente. Se dico che ci conto, vado un po' oltre quelle che sono le mie reali aspettative, perché è evidente, dal mio punto di vista, che la scelta che è stata fatta qui è stata una scelta politica e credo che il contenuto dei quattro emendamenti lo dimostri, perché erano quattro questioni che potevano benissimo essere risolte in altro modo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 14,48)

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Esaminandole rapidamente, la prima riguarda gli interventi sul passaggio dalla maggior tutela al mercato libero. Ecco, qui si è detto: bisogna tutelare i consumatori, perché c'è il rischio che vadano in salvaguardia e c'è il rischio che, all'esito della liberalizzazione, i prezzi possano aumentare. Benissimo, a luglio 2019, stiamo dicendo che è urgente intervenire e se non si interviene in un prossimo provvedimento - ad esempio, con riferimento alla disciplina che riguarderà la strategia energetica nazionale, nella prossima legge di stabilità e chissà in quanti altri provvedimenti che ci saranno - stiamo dicendo che tra oggi e luglio 2019 non c'era tempo di intervenire. Tra l'altro, la modifica non è che ha eliminato la vera sostanza e cioè che il passaggio al mercato libero sarà regolamentato da un decreto del MISE, che potrebbe benissimo riproporre le aste e tutti questi meccanismi, perché non è che la legge lo vieti, oggi; quindi, si sta dicendo che questo intervento è fondamentale oggi, però, poi, si lascia una delega assoluta al Ministero dello sviluppo, quello stesso Ministero dello sviluppo che aveva garantito che nei prossimi provvedimenti avremmo cambiato la legge. Allora, delle due l'una, o ci si fida sul cambiamento o non ci si fida del Ministero dello sviluppo che avrà discrezionalità assoluta nel decidere se si faranno le aste oppure no, tutto in vista di un provvedimento di luglio 2019, nel nome dei consumatori, poi, negli interventi di chi ha parlato in questi giorni, si è visto che i consumatori erano strani rappresentanti, perché se si legge, ad esempio, la recente presa di posizione dell'onorevole Brunetta di Forza Italia che sosteneva la stessa linea, ha detto sì, sì, ce l'hanno detto anche l'Enel e le utilities che così si avvantaggiano i concorrenti nostri. Ora, sicuramente l'Enel e le utilities sono affezionate ai loro consumatori, ma, magari, non sono proprio il punto di riferimento tipico di chi vuole occuparsi di tutela dei consumatori in un mercato sostanzialmente monopolizzato. Quindi, questo intervento era inutile, si poteva benissimo rinviare, non lo si è fatto e per ragioni che non sono davvero chiare. Si è deciso di sopprimere le norme sul telemarketing; anche lì, adesso, arriveranno le telefonate a casa da parte degli operatori; c'era la disciplina sul registro degli operatori che era in discussione al Senato in legislativa, all'inizio di questo mese, e tutti i gruppi avevano detto: lo risolviamo lì; poi, i partiti se ne sono dimenticati, in particolare il Partito Democratico che su questa legge ha un ruolo particolare per aver approvato questi emendamenti, perché li ha votati con l'opposizione, perché il resto della maggioranza era contrario. Quindi, un conto è l'alleanza lodevole con le opposizioni, lodevole non nel merito, perché ero contrario, ma lodevole nel metodo, sulla legge elettorale e un conto è l'alleanza contro il Governo, sulla legge sulla concorrenza con i 5 Stelle e Forza Italia, misteri di questa legge che sollecita spesso atteggiamenti strani da parte del Partito Democratico.

Poi, c'era la norma sulle società per l'esercizio della professione odontoiatrica, società che esistono già; la legge ha introdotto il requisito del direttore sanitario, che è un requisito in più; ovviamente non ha liberalizzato l'esercizio delle prestazioni sanitarie ed era evidente che fosse così, persino chi si è lamentato del testo della legge - alcune associazioni - aveva scritto: guardate, noi siamo contrari alle società perché acquistano i prodotti, perché acquistano le attrezzature e nessuno si è mai sognato di pensare che quella legge avesse come effetto di consentire a un non dentista di mettere le mani in bocca, come ha detto prima l'onorevole Crippa, a un suo utente, quindi altra norma che non serviva a niente.

Poi, c'era il tema del rinnovo automatico di determinate categorie di contratti assicurativi, che viene vietato dal disegno di legge sulla concorrenza e che, si è detto, può avere degli effetti non positivi in taluni casi in cui un rinnovo non automatico può portare a dei costi maggiori. Sì, ma abbiamo fatto provvedimenti e disposizioni sulle assicurazioni in mille provvedimenti in questa legislatura, non c'era bisogno di fermare tutta la legge per una specifica categoria di contratti. Adesso la situazione è che andiamo al Senato, abbiamo scelto, anzi, il Partito Democratico ha scelto di rimandare il testo al Senato, dove ricordo che la legge è stata per oltre un anno, poiché è andata nel 2015 sicuramente, si è fatta tutto il 2016 e un pezzo del 2017. Quindi, speriamo che la situazione cambi, io ripeto, speriamo. Se questo non dovesse avvenire, la responsabilità del fallimento di questa legge, oggi, se la assume in toto il Partito Democratico.

Ed è una cosa incomprensibile come il Partito Democratico, che è stato sempre molto severo nei giudizi sugli alleati riguardo alle posizioni del Governo, perché ogni volta in cui noi o Alternativa Popolare o altri hanno preso posizioni contro il Governo si sono sentite prese di posizione molto dure, come se fosse un tradimento della maggioranza, quando si parla di concorrenza, improvvisamente abbia un atteggiamento quasi da opposizione. Lo abbiamo vissuto sulla vicenda surreale di Flixbus, dove il PD ha votato due volte cose sulle quali il Governo la prima volta era contrario, la seconda volta aveva fatto addirittura un decreto apposta, è stato ricambiato in Commissione con una procedura stranissima, sulla quale è meglio non entrare per la tutela della onorabilità del Parlamento, e lì però si è detto: sì, ma non si corregge adesso, questa è la manovra sulla quale si mette la fiducia; mica possiamo bloccare il resto solo perché si rischia di chiudere un'azienda che serve 3 milioni di viaggiatori, una norma che entrava in vigore subito.

Allora, questo atteggiamento stranamente non vale quando si tratta di liberalizzare i mercati, adesso invece il concetto è: fermiamo tutto e poi vediamo. Io ho fatto il paragone di una nave che fa un viaggio di tre anni e, di fronte al porto, si scopre che ci sono quattro passeggeri senza biglietto e si dice torniamo tutti indietro, perché non si può consentire a questi quattro intrusi di infilarsi e di scendere. Ecco, qui stiamo facendo la stessa cosa: per quattro norme inutili - inutili! -, come ho già avuto modo di dire, si decide di fermare il provvedimento. Ripeto, se a luglio avremo chiuso, saremo i primi a festeggiare, ma crediamo che ci si stia prendendo un rischio inaccettabile.

Un rischio inaccettabile anche perché il Governo Renzi, il Partito Democratico e il Governo Gentiloni hanno scelto di essere i Governi delle riforme, noi abbiamo sostenuto il Governo Renzi e sosteniamo il Governo Gentiloni sulle riforme, perché pensiamo che questo Paese ne abbia una enorme necessità.

Il Governo sta cercando di continuare a farle, con fatica, con difficoltà, con una maggioranza che ha sicuramente dei problemi, ma sta cercando di continuare a portare avanti le riforme nel percorso che era stato avviato precedentemente. Non si capisce come mai, improvvisamente, ci siano esitazioni e timori.

Io, ovviamente, ripeto, spero di essere smentito, ma trovo talmente irragionevole la scelta fatta in questa occasione, che il dubbio che questa legge non arrivi in fondo ce l'ho. E sarebbe gravissimo, perché l'Italia ha un gap nella concorrenza, nella libertà di mercato, accumulato in decine di anni di consolidamento delle corporazioni, di rifiuto dell'innovazione, di situazioni in cui vengono sbandierati pericoli tipo le infiltrazioni mafiose per opporsi alle società di professionisti, in cui si dice che, se si fa una società di professionisti - è un tema a me particolarmente caro -, poi entrano le banche e le assicurazioni e condizionano la qualità del servizio.

Io sfido qualcuno a trovare una banca o un'assicurazione che prenda una partecipazione in uno studio legale - adesso vedremo, magari sarò smentito anche lì -, ma, se si parla con società bancarie e assicurative, ti dicono che non se lo sognano neanche. Sono scuse su scuse per tutelare le categorie che oggi beneficiano delle mancate liberalizzazioni.

Scontiamo un ritardo terribile, un ritardo che va a danno dell'innovazione, va a danno della possibilità di avere risorse da destinare al welfare, perché la crescita porta maggiori risorse che possono essere utilizzate per i più deboli e la nostra crescita è, secondo tutti gli studi, arginata e bloccata da un mercato ingessato.

Ci sono settori, come i servizi pubblici locali, dove questa situazione di blocco ha sempre fatto comodo a chiunque abbia governato amministrazioni locali di destra o di sinistra, si sono tutti sempre opposti. Il “decreto Madia” è, come sappiamo, oramai saltato, superato, non se ne parla più, non sappiamo cosa succederà. Ecco, noi pensiamo che questo percorso di riforme, invece, debba andare avanti, perché se c'è una cosa di cui l'Italia ha bisogno sono nuove energie, nuove energie nell'economia, giovani che decidano di intraprendere in settori importanti come quelli che sono, invece, bloccati.

Oggi, rallentando questo percorso - lo ha detto prima l'onorevole Scuvera, citando l'importanza di alcune norme proprio per i giovani e per chi si affaccia ai mercati -, rallentando questo provvedimento, si tiene fuori, si tiene ai margini di una serie di mercati importanti una gran parte delle nuove generazioni.

Io per questo spero davvero intanto che questo testo, almeno in Aula, non venga modificato e che non si riaprano altre norme: ripeto che avrei voluto la fiducia persino su questa versione del testo, pur di chiuderlo. Non è stata messa la fiducia o almeno ho sentito dire che non sarà messa la fiducia.

Adesso andiamo avanti, bocciamo tutti gli emendamenti, approviamo questo testo e poi il Partito Democratico si faccia attore principale del passaggio al Senato con una determinazione diversa da quella che c'è stata nella precedente lettura, che, ripeto, è stata ridicola e non esiste nessun'altro modo di definirla. Credo che, essendosi presi la responsabilità di votare sostanzialmente contro il Governo e di staccarsi dalle altre forze di maggioranza per modificare il testo qui, il Partito Democratico si debba assumere la responsabilità di assicurare che questo testo al Senato passi, altrimenti la responsabilità di un eventuale fallimento della legge se la assumerà in toto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Simone Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. La ringrazio, Presidente Di Maio. Noi stiamo svolgendo una discussione generale su un provvedimento collegato alla manovra per il 2015, giusto per ricordarlo anche all'Assemblea, seppur non gremita, ma certamente tutte le migliaia, decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di cittadini che hanno la facoltà di ascoltarci almeno dal canale web dalla Camera possono prendere atto di questo dato e, soprattutto, del dato che sembra in qualche modo sfuggito anche al presidente Mazziotti Di Celso e che, diciamo per dovere d'appartenenza, è stato ovviamente non sottolineato dai due relatori che hanno affrontato questo provvedimento in questa lettura alla Camera: non è che in questi due anni e mezzo il Senato abbia lavorato alacremente sulle possibili modifiche normative, tra l'altro peggiorative, che sono state introdotte dal Senato, e basta; su questo testo si è perso tanto tempo - ricordando come la legge sulla concorrenza sia un elemento che dovrebbe almeno nella teoria essere ciclico e annuale - perché, da quando è stata varata questa norma e approvata da questa Assemblea, è cambiato il Presidente del Consiglio, è cambiato il Ministro delle attività produttive e, se non ricordo male, è cambiato anche il sottosegretario alle attività produttive; io ricordavo, seduta su quei banchi parlando di temi molto inerenti al disegno di legge sulla concorrenza che oggi esaminiamo, la sottosegretaria Vicari; oggi c'è il sottosegretario Gentile con le stesse deleghe, tra l'altro, anche molto importanti, ai consumatori.

Quindi, diciamo che grossa parte del ritardo lo si ascrive a questioni di natura politica, che hanno riguardato la maggioranza attuale e precedente.

Qui evito di dilungarmi sull'avventura delle riforme, sull'avventura referendaria, su cui Matteo Renzi ha portato la maggioranza e il Governo a sbattere e, probabilmente, ha messo da parte tante altre vicende che potevano, e forse dovevano, essere portate avanti.

Un'ulteriore annotazione non secondaria è il fatto che una delle ragioni per cui si è deciso di riaprire, seppur limitatamente a quattro aspetti, questo provvedimento - quattro aspetti che, per ragioni di forza numerica, sono stati imposti dal PD al Governo e all'Assemblea e a quelle quattro ragioni si è voluto circoscrivere -, almeno una di quelle ragioni, mi permetto di sottolinearlo, quella che riguarda la tutela dei consumatori nel passaggio dal mercato tutelato al mercato libero, è una ragione condivisa. Almeno questo vorrei che rimanesse agli atti di questa Assemblea: quello stesso emendamento che il collega Benamati ha presentato in Commissione e che è stato accolto era un emendamento identico ad almeno un altro emendamento a prima firma del capogruppo di Forza Italia, onorevole professor Brunetta, che è qui alla mia sinistra, e degli altri colleghi appartenenti alle Commissioni attività produttive e finanze che hanno seguito i lavori delle Commissioni congiunte e, per lo meno, ad altri due emendamenti identici sottoscritti da altri due gruppi. Quindi, almeno su quello c'era un elemento di condivisione che oltrepassava il perimetro della maggioranza di Governo, e per fortuna.

Più specificamente, sempre in tema di consumatori, ricordo a quest'Assemblea e ai relatori che, ad onor del vero lo sanno benissimo, tanto è vero che hanno dato atto di una formulazione coerente e congrua dell'emendamento che ho voluto presentare nelle Commissioni, che ho voluto porre in votazione e che è stato respinto - lo sottolineo anche nei confronti del Governo che, anch'esso, ci ha dato, nella figura del sottosegretario Gentile, conferma della necessità di intervento su questo tema – e che ho voluto ripresentare in quest'Aula.

Quell'emendamento di tutela dei consumatori, infatti, riprende il dispositivo di una mozione che quest'Assemblea ha approvato, sostanzialmente, all'unanimità e che difendeva i consumatori, sempre in relazione al mercato dell'energia; un mercato che vale, nelle sue identiche formulazioni e nelle sue identiche tutele a favore del cittadino consumatore, sia per il mercato idrico che per il mercato del gas. Una mozione e un dispositivo approvati, che stabilivano la moratoria per i maxi-conguagli che arrivano ad un numero “x” di migliaia - noi riteniamo che siano decine, forse centinaia di migliaia - di utenti: famiglie, studi professionali, attività commerciali; conguagli pluriennali di portata assai rilevante, che mettono in crisi strutturalmente i bilanci familiari e/o aziendali di chi ha difficoltà a giungere alla fine del mese facendo quadrare i conti.

Allora, quando l'Aula di Montecitorio, con il parere favorevole del Governo - perché non è che il Governo è andato sotto, il Governo ha contribuito alla riformulazione di quel testo di mozione -, stabilisce che si faccia una moratoria per i conguagli pluriennali, perché si tratta di conguagli pluriennali che non arrivano ad utenti morosi, ma ad utenti che, attraverso la comunicazione della lettura dei contatori o la telelettura, danno all'azienda che fornisce il servizio elettrico di gas o dell'acqua i numeri precisi del consumo; quando l'utente incolpevole si ritrova a pagare maxi-conguagli di migliaia di euro, noi abbiamo voluto portare in questo Parlamento il grido d'allarme, perché sappiamo che in questo caso il Governo deve fare qualcosa. Deve mettere intorno al tavolo le aziende fornitrici e dire a questi signori: signori, così non può funzionare; intanto, sospendiamo i pagamenti per queste persone, verifichiamo se le condizioni che si sono applicate sono delle condizioni di rispetto del Codice del consumatore, di tutela del mercato nel senso di non essere pratiche aggressive.

Perché quando si manda ad un cittadino un conguaglio pluriennale di migliaia di euro e gli si intima di pagarlo perché, altrimenti, gli si stacca la corrente, gli si stacca l'acqua, gli si stacca il gas - famiglie che hanno bambini, famiglie che vivono nelle case dove queste utenze sono attive -, gli si fa un ricatto e una prepotenza vergognosa. Il Governo ha il dovere di caricarsi della responsabilità di proteggere i cittadini da queste violenze e da queste prepotenze fatte da chi distribuisce, su una concessione governativa, elettricità, acqua, luce, gas, altrimenti il Governo non fa il proprio dovere. Il Governo si può occupare di mille altre cose, ma deve occuparsi anche di questo.

Abbiamo fatto un emendamento, che dice delle cose banali, ovvie, eppure, tuttavia, questo emendamento rischiamo che sarà respinto in quest'Assemblea. Quando si dice fatture superiori ai due anni: è una pratica commerciale contraria ai principi di buona fede, correttezza e lealtà. Non si possono fare conguagli pluriennali di dieci anni: è ingiusto, è illegittimo e non si può sulla base di quei conguagli intimare la sospensione di un servizio fondamentale per la vita delle famiglie e delle persone.

Tra l'altro, su questo sono state aperte non dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, che avrebbe dovuto invece farlo, ma dalla stessa Autorità da cui, in fondo, origina il disegno di legge sulla concorrenza, cioè l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha la tutela del consumatore, sono state intraprese delle azioni di accertamento e sono state condannate le società elettriche a pagare 14 milioni di euro; quegli stessi 14 milioni di euro che, poi, il Governo Renzi ha ben pensato di ridargli sotto forma di contributo per la riscossione del canone in bolletta: 14 milioni di euro all'anno restituiti a quelle società attraverso l'appalto su quest'altro servizio, su cui pure ci sarebbe da dire, ma è capitolo altro dalla nostra sede.

Qualora l'Autorità accerti che ci sono stati comportamenti sleali, che ci sono stati comportamenti aggressivi, ebbene si mettano i cittadini nelle condizioni di non dover pagare questi conguagli. Solo questo chiediamo: un atto di giustizia, di equità, su cui il Parlamento si è già impegnato. L'unica cosa che chiediamo è che il Parlamento, questo ramo del Parlamento, sia coerente con quell'impegno: che il Governo lo sia, che il Parlamento lo sia, perché va a vantaggio dei consumatori, va a vantaggio dei cittadini. Perché, poi, è facile lamentarsi dello scollamento tra politica e cittadini, quando non si è in grado di venire incontro alle benché minime esigenze quotidiane del cittadino. Qualora questo dovesse essere respinto, io mi auguro, anche per la sensibilità che diversi autorevoli colleghi che conoscono questa materia hanno già dimostrato nei lavori delle Commissioni, che si riesca ad avviare veramente, prima dell'estate, in Commissione attività produttive un esame, magari in sede legislativa, se ci fossero le condizioni e i numeri, di questa proposta di legge, perché credo che faremmo un servizio a tante famiglie, a tante persone, a tanti utenti, ma lo faremmo anche alla buona politica (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 3012-C)

PRESIDENTE. Il relatore di minoranza, onorevole Crippa, ha già comunicato che rinuncia a replicare.

Ha facoltà di replicare la relatrice per la maggioranza, deputata Fregolent. Prego, ha due minuti.

SILVIA FREGOLENT, Relatrice per la maggioranza per la VI Commissione. Grazie, signor Presidente. Solo per fare una precisazione, tramite lei, al collega Mazziotti Di Celso: i relatori non hanno contravvenuto a nessuna indicazione contraria del Governo e non sono contro il Governo. Il sottosegretario si è rimesso alle Commissioni e le Commissioni hanno votato gli emendamenti. Questo, perché dal discorso dell'onorevole Mazziotti Di Celso sembrava che i relatori fossero addivenuti ad una decisione contraria rispetto a quella ricevuta dal Governo. Tutti i Ministri, a partire dalla Ministra per i rapporti con il Parlamento per finire al sottosegretario, hanno dato via libera a queste modifiche, quindi nessuno dei relatori è contrario all'azione di Governo. Era una precisazione, perché poteva sembrare, per chi ci ascolta da casa, che, ad un certo punto, i relatori fossero impazziti e avessero deciso di andare in minoranza rispetto al Governo.

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la maggioranza per la X Commissione, deputato Martella, e il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 15,15)

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Biondelli ed altri; Zolezzi ed altri; Baroni ed altri; Vargiu ed altri; Amato ed altri; Paola Boldrini ed altri; Binetti: Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione (A.C. 913-2983-3115-3483-3490-3555-3556-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge n. 913-2983-3115-3483-3490-3555-3556-A: Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è in distribuzione e sarà pubblicato nell'Allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 913-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Giovanni Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE, Relatore. Presidente, dopo un significativo dibattito in Commissione, dopo un confronto molto importante con il mondo scientifico e il mondo accademico, attraverso le audizioni, arriva in Aula un provvedimento delicato per la nostra comunità: il provvedimento che prevede la Rete nazionale dei registri tumori e il referto epidemiologico dello stato di salute dei nostri territori.

I registri tumori operano ormai da tempo nella nostra comunità: sono registri che sono stati avviati negli anni scorsi. Ricordo che nel 1978 fu istituito il registro a Varese, poi a Parma, e nel 1981 quello di Ragusa. Negli anni Ottanta e Novanta abbiamo visto progressivamente l'istituzione dei vari registri in gran parte del territorio del nostro Paese. Non c'è dubbio, però, che la rete è stata frammentata, piuttosto eterogenea; c'è stata un'accelerazione nel momento in cui si è istituita l'Airtum, l'Associazione italiana registri tumori, nel 1997, che ha messo le basi per creare i registri tumori in quasi il 70 per cento del territorio nazionale. È uno strumento, però - mi si permetta di dire -, che opera in un settore delicato della sanità, per una patologia che l'Organizzazione mondiale della sanità, dopo le malattie cardiovascolari, individua come tra le principali cause di mortalità. In Italia sono circa 360.000 - se si fa eccezione per i tumori della pelle - i casi che vengono diagnosticati.

Non c'è dubbio che si sono fatti grandi passi in avanti nelle terapie oncologiche - oggi possiamo dire che di tumore si guarisce - e nel nostro Paese sono stati messi in campo strumenti significativi: il Piano nazionale per l'Oncologia 2011-2013 e il Piano di prevenzione nel campo oncologico 2014-2018, con circa 200 milioni di euro. Però non c'è dubbio, Presidente, che noi abbiamo bisogno di questo strumento epidemiologico, quindi la Commissione ha lavorato per creare questa rete diffusa in tutto il territorio nazionale, perché può avere obiettivi - lo dirò alla fine - significativi anche sul piano delle strategie da mettere in campo. Come funzioneranno i registri tumori? Innanzitutto, avranno il compito di rilevare i nuovi tumori che vengono diagnosticati, sia benigni che maligni, e dovranno essere codificati.

La classificazione avviene seguendo le procedure previste dalla terza edizione per la classificazione dei tumori, che è stata varata in sede internazionale nel 2000. I tumori vanno classificati innanzitutto guardando ad un territorio, ad un tempo specifico, e vanno codificati tenendo conto dell'incidenza, della prevalenza e della sopravvivenza di coloro i quali vengono colpiti da questa patologia. Avere, quindi, la possibilità di creare questa rete diffusa in tutto il territorio nazionale permetterà di avere dei dati epidemiologici e statistici significativi, signor Presidente, che serviranno per gli studi, per le ricerche.

Non c'è dubbio che l'oncologia ha fatto passi in avanti importanti sul piano delle terapie; bisogna andare avanti nella ricerca dal punto di vista eziologico, perché sappiamo che c'è bisogno di conoscere le cause. Su questo, Presidente, a volte c'è troppa preoccupazione, è vero, a volte ci sono anche allarmismi, quindi avere dei dati attendibili su tutto il territorio nazionale potrà permettere di fare un attento esame di quella che è la condizione presente nel nostro Paese. Poi, questi dati aiuteranno le politiche di prevenzione primaria e secondaria, il rilancio delle iniziative sanitarie per gli screening, in particolare - lo voglio sottolineare - per la mammella, ma non va trascurato neppure lo screening per il tumore del colon.

I dati servono pure per avere una chiara identificazione delle risorse che sono necessarie per affrontare questa patologia, così avvertita con preoccupazione nella nostra comunità. Tra l'altro, può emergere, dall'analisi profonda di questi dati, anche quello che è un qualcosa che è da sottolineare, cioè che c'è una mobilità di cittadini da una parte all'altra del Paese, che a volte è una mobilità inappropriata. Perché? Per esempio, per le terapie ormai ci sono delle linee guida internazionali, e i farmaci vengono forniti in maniera adeguata in tutto il territorio nazionale, quindi non c'è questa necessità di una mobilità in questo senso. Invece, la mobilità può essere utile nel momento in cui, attraverso anche questo strumento, si individuano dei centri di eccellenza su cui far convergere non soltanto quelli che sono vicini al territorio dove questo centro ha sede, ma centri d'eccellenza che debbono essere messi a disposizione di tutti i cittadini italiani. Parlo soprattutto dei centri di eccellenza per i tumori pediatrici, per i tumori della testa, per i tumori del colon, per i sarcomi.

Allora, credo che sia importante questa legge proposta, discussa in maniera adeguata in Commissione. Credo che abbiamo fatto un buon lavoro con il collega Baroni, e da relatori credo che proponiamo un qualcosa che non deve essere visto come la ricerca di freddi dati: dietro i dati ci sono persone, ci sono famiglie che soffrono, che si preoccupano. Noi dobbiamo dare delle informazioni precise, adeguate, anche perché attraverso il web girano a volte delle notizie sbagliate: c'è l'indirizzo a voler seguire strade che poi sono dannose, dal punto di vista della salute; c'è il fai da te; alcuni santoni che indicano terapie miracolistiche.

Noi dobbiamo avere, invece, una base epidemiologica significativa, per poi portare avanti quelle strategie terapeutiche di ricerca che credo siano fondamentali per far fare passi in avanti alla nostra comunità.

Abbiamo - lo dicevo prima - affrontato questa patologia con gli interventi già predisposti dai precedenti Governi, però bisogna fare ancora di più. Ecco perché - e concludo signor Presidente - siamo davanti ad una legge che consideriamo eticamente sensibile.

C'è bisogno di dare una risposta alle nostre comunità. Lo dobbiamo fare per superare facili allarmismi, ma anche per avere prontezza di quello che avviene nei nostri territori, perché non c'è dubbio che nell'eziologia di questa patologia incide l'ambiente, incidono gli stili di vita e, quindi, va fatto un attento esame dei dati. Inoltre, questi dati devono essere codificati nella maniera giusta, devono essere trascritti con la riservatezza prevista dalle norme e devono essere utilizzati con tempestività, perché non c'è dubbio che anche questo è un requisito fondamentale, perché gli strumenti che vengono utilizzati sono proprio le lettere di dimissioni, le cartelle cliniche e, quindi, gli esami di anatomia patologica e gli esami radiologici, tutti strumenti che, se poi messi in campo nella maniera giusta e opportuna, potranno essere utili per portare avanti una politica sanitaria seria anche in questo difficile campo, in questa frontiera che allarma fortemente le nostre comunità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Baroni.

MASSIMO ENRICO BARONI, Relatore. Grazie, Presidente. Facciamo una breve premessa. L'istituzione relativa alla disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori, dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione risponde a una palese inefficienza della governance sanitaria, che si è rivelata negli anni come un male cronicamente attivo, difficile da invertire per mancanza proprio di elementi minimi conoscitivi per poter investire efficacemente in prevenzione primaria. Prevenzione primaria, signor Presidente, significa evitare che le persone si ammalino. Questa colpevole e dolosa assenza di una programmazione, che risponde ad un ordine di priorità ben preciso, crea una filiera di inefficienze e di sprechi nel tentativo di porre rimedio al fatto che lo Stato, in assenza di questi strumenti o in presenza parziale o eterogenea di tali strumenti, sia fortemente depotenziato nella sua possibilità di intervenire con politiche sanitarie efficaci a beneficio della salute dei cittadini italiani.

La calendarizzazione della proposta di legge in quota opposizione, in quota al MoVimento 5 Stelle, ha permesso di dare un forte impulso a quanto già prevedeva il “decreto Balduzzi” nel 2012. Se lo stesso Balduzzi nel 2012 dovette dichiarare che si era dovuto scontrare con la lobby del gioco d'azzardo impedendo di mettere il distanziometro, io credo che dal 2012 al 2017, in assenza dell'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo proprio al Registro dei tumori, ci sia stata un'inerzia e una colpevolezza a fronte del fatto che, comunque, era un testo normativo estremamente complesso. Quindi, questa calendarizzazione ha permesso di dare un impulso e, infatti, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è uscito durante la discussione alla Camera, creando quello che proprio l'Associazione internazionale per la ricerca sul cancro ha definito i LEA del registro tumori, ovvero questo “benedetto” decreto che ha emanato le nuove normative per definire i registri tumori, ovvero un'emanazione di rango inferiore che desse concretezza ad un bisogno relativo ad un monitoraggio delle malattie tra le più mortali e le più diffuse, a loro volta causa di suicidi, signor Presidente, di un gran numero di persone che si considerano poi un peso per la società oppure dei malati terminali a carico dei loro cari e delle loro famiglie.

Ebbene, ho bisogno di esprimere alcuni dati per riuscire a capire cosa significa mettere le mani nel fondo, nel profondo della sofferenza, anche con una rappresentazione di dati di ciò che può essere un nucleo di sofferenza del popolo italiano. Dobbiamo ricordarci che 3 milioni 100 mila persone in Italia sono malate di tumore. Questi sono i dati di prevalenza e sono, quindi, il 5 per cento della popolazione italiana.

Presidente, in genere i politici ne hanno molti di più, ma c'è uno studio americano che afferma che è impossibile avere rapporti continuativi e significativi con più di 250 persone alla volta, perché se lei prova ad averne di più escono alcune persone e ne entrano di nuove. Questo significa che ognuno di noi dovrebbe conoscere almeno circa 15 persone malate di tumore. Nell'ambito di queste, ogni anno entrano altri 365 mila malati di tumore, quindi circa due persone. Noi dovremmo conoscere circa due persone nuove malate di tumore e tra queste - un altro dato che va innestato in questa analisi - ne muore una. Infatti, vi sono circa 180 mila persone che ogni anno muoiono di tumore. Questo è un dato, perché io non so se ognuno di noi nella propria vita sarà un sommerso o un salvato, se dovrà piangere maggiormente per se stesso, per la propria malattia o per la malattia di un proprio caro. Ma questo per il MoVimento 5 Stelle, il registro dei tumori, così come hanno fatto tanti enti regionali e tante leggi regionali - e delibere di giunta in Puglia e in Veneto - era un bisogno che veniva dal basso e per quanto ci riguarda il fatto che sia uscito all'unanimità un testo dalla Commissione affari sociali è un risultato straordinario, perché darà veramente maggiore impulso a una prevenzione primaria, a un'organizzazione e a una programmazione che, per quanto ci riguarda, è assolutamente indefettibile e ineluttabile.

Non è possibile che solo in un anno siano diminuite solo di mille unità le persone che si sono ammalate di cancro. Ricordo che in Italia nel 2010 i registri tumori erano 29 e coprivano il 35 per cento della popolazione italiana; oggi i registri accreditati sono 40, con una copertura del 51 per cento, e ve ne sono altri 20 che sono in fase di accreditamento, per raggiungere il 70 per cento. La percentuale di popolazione coperta è al massimo ovviamente al nord: al nord est è al 69 per cento; al nord ovest è il 55. È intermedia al sud - ovvero un 40 per cento - e minima - un 26 per cento - proprio al centro Italia.

Ebbene, io ho bisogno di prendere tutto il tempo necessario, signor Presidente, perché dobbiamo ricordare il lavoro straordinario che è stato fatto, anche grazie al Ministero della Salute che, effettivamente, è venuto in Commissione a controllare riga per riga e parola per parola che effettivamente venisse dato impulso e venisse data la possibilità, come prevede questa legge, al registro tumori, alla Rete nazionale dei registri tumori, perché prevediamo di mettere in rete tutte queste informazioni parcellizzate e diffuse in maniera eterogenea, con dei flussi di dati informativi che vengono attentamente regolamentati in questo provvedimento e che verranno pubblicati sul sito del Ministero della Salute. Il titolare dei dati sarà il Ministero della Salute e sarà possibile permettere praticamente degli accordi attraverso le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale più rappresentative ed attive nella tutela della salute umana. Ricordiamo prima di tutto l'Airtum che, grazie al suo lavoro proattivo e di presa in carico, ha permesso queste coperture che ho citato in precedenza. E non dimentichiamo le associazioni attive nell'assistenza socio-sanitaria.

È stato istituito per la prima volta nella storia il referto epidemiologico, ovvero ciò che è stato fatto nel 2012 col “decreto Balduzzi”. Il registro tumori è stato inserito e poi demandato alla possibilità, da parte del Ministero o del Governo, di fare un DPCM. Facciamo la stessa cosa con un altro strumento potentissimo di prevenzione primaria, ovvero il referto epidemiologico che prevede un dato aggregato, un macrodato, che corrisponde alla valutazione dello stato di salute complessivo di una comunità che si ottiene da un esame epidemiologico delle principali informazioni relative a tutti i malati e a tutti gli eventi sanitari di una popolazione in uno specifico ambito territoriale e in un ambito territoriale circoscritto.

Ovviamente, Presidente, a tutti noi viene in mente la Terra dei Fuochi e, paradossalmente, proprio quel territorio è un territorio “cieco” a livello della possibilità di riuscire ad attingere ai dati, ai macrodati e ai dati aggregati di quel particolare territorio sui tumori e sulle patologie che prevede il referto epidemiologico.

Ovviamente questo è stato un lavoro che ha visto la condiscendenza e la grande calma del MoVimento 5 Stelle, nel farsi accompagnare da parte della maggioranza in un percorso difficile, perché è stato un combinato disposto tra un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha avuto l'impulso della Camera, e la Camera stessa che ha messo una cornice normativa ed estensiva ad una norma di rango inferiore. Questa maggioranza ha permesso alle idee della minoranza meno esperta, minoranza del MoVimento 5 Stelle, di riuscire a farsi accompagnare in un lavoro che è stato fino a questo momento straordinario.

Unica pecca che dobbiamo denunciare, Presidente, è che a fronte dei tanti miliardi e dei tanti soldi che vengono stanziati e vengono erogati nelle leggi finanziarie, nei provvedimenti d'urgenza, nei decreti-legge “salva banche”, o anche in tante altre situazioni in cui evidentemente i soldi entrano e arrivano, purtroppo la maggioranza non ha avuto la forza in questa fase, in questo momento di riuscire a dare una copertura finanziaria, un minimo di copertura finanziaria; mentre, per esempio nel Lazio, è prevista una copertura finanziaria con una legge della Regione Lazio, copertura finanziaria che però Zingaretti non ha mai dato, e quindi risulta una legge inattuata, vuota.

Noi stiamo andando avanti insieme, tutti quanti insieme, perché sul dolore, sulla morte e sulla malattia non si può fare altro che spingere tutti avanti insieme, per evitare che le persone domani si ammalino di tumore. E grazie ad una conoscenza attenta e specifica sul territorio e sulle singole popolazioni, uno strumento conoscitivo così importante salverà molte vite umane.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Prendo atto che si riserva di farlo nel prosieguo. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Presidente, le malattie oncologiche, nonostante si sia ridotta la mortalità, rappresentano un aspetto rilevante nella domanda di assistenza cui il nostro Sistema sanitario deve far fronte. Per questo, particolarmente nell'ultimo decennio, abbiamo assistito ad un impegno delle istituzioni statali e regionali, sul versante innanzitutto della programmazione, di grande rilievo. Per affrontare innanzitutto la questione strategica della prevenzione, passando poi alla continuità di cura in fase diagnostica e terapeutica, compresa l'assistenza domiciliare e le cure palliative, si è reso necessario predisporre un Piano oncologico nazionale, allo scopo di offrire standard diagnostico-terapeutici sempre più elevati, riducendo nel contempo il divario esistente fra le diverse aree del Paese. La pianificazione nazionale si è avvalsa del lavoro di qualificati gruppi di lavoro, che hanno prodotto documenti tecnici di indirizzo, l'ultimo, relativo al periodo 2014-2016, con lo scopo di individuare priorità di azioni ed obiettivi comuni nel rafforzamento dei compiti del Ministero e delle regioni; in particolare, nella costituzione delle reti oncologiche regionali, nel buon uso delle risorse in oncologia e nel ricorso all'health technology assessment.

Questi tre obiettivi sono stati fatti propri dal Piano nazionale della prevenzione 2014-2018, recepito dal Patto per la salute 2014-2016. In tali documenti è stata riconosciuta l'importanza fondamentale della genesi e della fruizione della conoscenza; e perciò è stata riconosciuta l'indispensabile messa a regime di registri e sorveglianze come elementi infrastrutturali essenziali per il raggiungimento degli obiettivi di salute. In nessuna struttura ospedaliera italiana, pubblica o privata, c'era l'obbligo di archiviare i dati relativi alla diagnosi e alla cura dei tumori: se si vuole sorvegliare l'andamento della patologia oncologica, occorre invece che qualcuno si assuma il compito di andare a ricercare attivamente le informazioni, le codifichi, le archivi, le renda disponibili per studi e ricerche.

I registri tumori italiani si sono assunti questo compito. Sapere come sta una comunità, passare dalla statistica sanitaria all'epidemiologia, consente di descrivere il profilo di salute di una popolazione: ed è uno degli obiettivi che il progetto di legge di cui stiamo discutendo si propone.

Elemento fondamentale di questa conoscenza, dicevo, sono i registri tumori. È già stato ricordato, ma lo voglio sottolineare anch'io: i registri tumori in Italia sono nati su base volontaristica, per iniziativa spontanea di singoli clinici, epidemiologi, patologi, operatori della sanità pubblica, che hanno inizialmente costituito piccoli nuclei di sorveglianza. Il registro dei tumori infantili del Piemonte è stato il primo registro ad essere costituito nel 1967; successivamente sono sorti i registri di Varese e Parma, nel 1976. La loro attività ha ampiamente dimostrato l'utilità di un sistema di sorveglianza della malattia oncologica: i registri tumori raccolgono, valutano, organizzano, archiviano in modo continuativo e sistematico le informazioni più importanti su tutti i casi di neoplasia, le relative variazioni territoriali e temporali, attraverso misure di incidenza, sopravvivenza per le diverse neoplasie, mortalità, fornendo così un indicatore fondamentale della qualità dei servizi diagnostici e terapeutici nei diversi territori. Inoltre, fornendo dati di prevalenza a livello locale e stime di prevalenza a livello nazionale, i registri tumori sono strumenti indispensabili per l'organizzazione e la valutazione dell'efficacia degli interventi di prevenzione primaria in aree o popolazioni ad alto rischio, e per indicare in modo dinamico quali aree della prevenzione primaria rafforzare.

Nel 2010 i registri tumori presenti in Italia erano 29, coprivano il 35 per cento della popolazione italiana; come riferisce il terzo rapporto Airtum pubblicato nel 2016, oggi siamo a 44 registi accreditati che coprono il 57 per cento del territorio, altri 16 sono in attività per una copertura virtuale che raggiunge il 74 per cento della popolazione residente in Italia. La percentuale di popolazione coperta è massima nel Nord Est, 69 per cento, nel Nord Ovest, 55 per cento, intermedia nel Sud, 40 per cento, minima al Centro, 26 per cento. Le informazioni raccolte dai registri tumori includono dati anagrafici e sanitari essenziali per lo studio dei percorsi diagnostico-terapeutici, per la ricerca sulle cause del cancro, per la valutazione dei trattamenti più efficaci, per la progettazione di interventi di prevenzione, per la programmazione delle spese sanitarie.

L'esigenza di un sistema efficace di raccolta sistematica di dati anagrafici, sanitari ed epidemiologici, finalizzato a registrare e caratterizzare tutti i casi di rischio per la salute, ovvero di una particolare malattia o di una condizione di salute rilevanti in una popolazione definita, è stata raccolta dal legislatore con una norma considerata fondamentale per il riconoscimento dei registri tumori in Italia: si tratta dell'articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012, che al comma 10 contiene norme che istituiscono fascicolo sanitario elettronico e sistemi di sorveglianza nel settore sanitario, registri di mortalità, tumori e altre patologie, trattamenti, ai fini della prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione, programmazione sanitaria, verifica della qualità delle cure, valutazione dell'assistenza sanitaria di ricerca scientifica in ambito medico, biomedico, epidemiologico, allo scopo di garantire un sistema attivo di raccolta sistematica dei dati anagrafici, sanitari, epidemiologici, per registrare e caratterizzare tutti i casi di rischio per la salute di una particolare malattia o di una condizione di salute rilevanti in una popolazione definita (così recita il comma 10).

Il comma 11 del citato articolo 12 prevede l'adozione, su proposta del Ministro della salute, di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per istituire i sistemi di sorveglianza e i registri di mortalità, di tumori, di altre patologie, di trattamenti costituiti da trapianti di cellule e tessuti e trattamenti a base di medicinali per terapie avanzate, o prodotti di ingegneria tessutale ed impianti protesici.

Il comma 13, dello stesso articolo 12, dispone l'adozione di un regolamento che individui i soggetti che possono avere accesso ai predetti registri, i dati che si possono conoscere, nonché le misure per la custodia e la sicurezza dei dati, in conformità alle disposizioni di cui agli articoli 20, 22 e 154 in materia di protezione dei dati personali del codice in materia di protezione dei dati, decreto n. 196.

Il primo decreto, il DPCM 3 marzo 2017, dopo quattro anni di attesa, è stato approvato in via definitiva e pubblicato in Gazzetta (n. 109 del 12 maggio 2017). Con esso si individuano e disciplinano sistemi di sorveglianza e registri di mortalità, tumori e altre patologie, 31 sistemi di sorveglianza, 15 registri di patologie di rilevanza nazionale. Ora siamo in attesa del regolamento che andrà sottoposto al parere del Garante della privacy che, in sede di audizione, ha già precisato come esso assuma un ruolo essenziale in quanto è tenuto a delineare le garanzie fondamentali per la protezione dei dati trattati nei registri. L'esame del garante sarà volto a evidenziare i presupposti soggettivi e oggettivi di legittimazione all'accesso ai registri, le categorie dei dati suscettibili di consultazione, le misure di sicurezza da adottare per scongiurare ogni tipo di trattamento illecito.

Come ben si comprende, si tratta di un adempimento di grandissima importanza ai fini dell'effettiva entrata in vigore delle norme già previste dal decreto n. 179 del 2012. Con questa proposta di legge creiamo la rete dei registri nazionali e regionali, nonché dei sistemi di sorveglianza, completando quindi il disegno che già nel 2012 aveva preso avvio. Come è evidente il percorso non sarà di breve durata, ma con la legge che ci apprestiamo a votare avremmo dato un impulso decisivo per far sì che strumenti di conoscenza essenziali per la programmazione siano a disposizioni di tutti, in primis del Sistema sanitario, ma anche dei cittadini di questo Paese, che potranno finalmente sapere se le disuguaglianze di trattamento o di sopravvivenza siano o no state ridotte, se i programmi di screening siano efficaci, se chi vive vicino a una discarica o sotto una linea elettrica ad alta tensione o lavora in ambiente insalubre corre un rischio serio o più alto di ammalarsi di tumore. Per questo, il fattore tempo è determinante e noi vorremmo recuperare i ritardi del passato.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Labriola. Ne ha facoltà.

VINCENZA LABRIOLA. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, il provvedimento in esame istituisce la Rete nazionale del registro di tumori e dei sistemi di sorveglianza. Si tratta di un tema di particolare rilevanza e delicatezza sul quale ritengo doveroso fare una premessa. Negli ultimi anni si è venuta sempre più consolidando l'idea che la metodologia biostatistica ed epidemiologica possa rappresentare un approccio razionale quantitativo alle decisioni strategiche del Sistema sanitario nazionale. L'informazione epidemiologica, per lungo tempo focalizzata sulla quantizzazione dei fenomeni sanitari emergenti nell'ambito del quadro nosologico generale, con il precipuo scopo di orientare i processi di prevenzione e di assistenza, ha più di recente ampliato i suoi ambiti di fruibilità sia nel campo della programmazione sanitaria, sia della valutazione dei servizi e degli esiti, consentendo un'impostazione della programmazione basata sulla realistica lettura dei bisogni sanitari della popolazione piuttosto che sulla domanda espressa. L'epidemiologia, dunque, ha oggi il ruolo di pilotare le scelte strategiche del Sistema sanitario nazionale non più verso l'efficienza dei servizi, ma verso obiettivi di salute misurabili.

In questo contesto il registro tumori, rendendo possibili studi sull'incidenza di tumori maligni, si colloca quale strumento migliore per la programmazione di interventi sanitari nel campo delle patologie neoplastiche e per la conseguente organizzazione e controllo dei servizi che tali interventi devono realizzare. Peraltro il registro tumori rappresenta il più comune registro di patologia attivato in molte realtà sanitarie mondiali.

I principali obiettivi di un registro tumori possono essere riassunti in conoscenza delle aree, entità e distribuzione della patologia tumorale nell'area territoriale di competenza. Tale conoscenza è importante ai fini delle politiche di programmazione sanitaria, in quanto la quantizzazione e la distribuzione della patologia risulta utile per la pianificazione dei servizi. Inoltre, identifica i fattori legati all'insorgenza della patologia oncologica e alla valutazione dell'efficacia delle misure che sono state prese per contrastare, con strumenti preventivi e terapeutici, la patologia oncologica.

Fino ad oggi, in Italia, i registri tumori sono nati su base volontaria per iniziative spontanee di singoli, clinici, epidemiologi, patologi o operatori della sanità pubblica, che hanno inizialmente portato alla costituzione dei nuclei di sorveglianza di dimensioni medio-piccole. Il registro dei tumori infantili del Piemonte è stato il primo ad essere costituito nel lontano 1967, successivamente sono sorti i registri di Varese e Parma nel 1976. Solo nel 2012, con il “decreto crescita 2.0”, sono stati istituiti per la prima volta i sistemi di sorveglianza e i registri di mortalità per tumore o altre patologie, per trattamenti legati a trapianti di cellule e tessuti, trattamenti a base di medicinali per terapie avanzate o prodotti di ingegneria tissutale, per impianti protesici. Tutto questo ai fini di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione, programmazione sanitaria, verifica della qualità della cura e valutazione dell'assistenza sanitaria e di ricerca scientifica in ambito medico, biomedico ed epidemiologico, allo scopo di garantire un sistema attivo di raccolta sistematica di dati anagrafici, sanitari ed epidemiologici, per registrare e caratterizzare tutti i casi di rischi per la salute di una particolare malattia o di una condizione di salute rilevante per una popolazione definitiva.

Si tratta di un progetto che però a distanza di quattro anni resta ancora in gran parte sulla carta, un buon proposito al quale non si è dato colpevolmente seguito; in assenza delle norme attuative indispensabili è infatti impossibile dare seguito al progetto. Nonostante le numerose difficoltà in questi anni, l'utilità di un sistema di sorveglianza della malattia oncologica è stata ampiamente dimostrata, i registri tumori infatti raccolgono, valutano, organizzano e archiviano, in modo continuativo e sistematico, le informazioni più importanti su tutti i casi di neoplasia, nonché le relative variazioni territoriali e temporali, sotto indagine di misure di incidenza (la sopravvivenza e la mortalità per le diverse neoplasie), al fine di fornire un indicatore fondamentale della qualità dei servizi diagnostici e terapeutici nei diversi territori. Inoltre, fornendo dati di prevalenza a livello locale e stime di prevalenza a livello nazionale, i registri possono diventare strumenti indispensabili per l'organizzazione e la valutazione dell'efficacia degli interventi di prevenzione primaria in area o tra popolazioni ad alto rischio, indicando in modo dinamico quali aree della prevenzione primaria sia necessario rafforzare. Mettere a sistema queste informazioni può condurre a importanti risultati nella gestione delle patologie oncologiche e nel monitoraggio della qualità del processo diagnostico e terapeutico grazie a un insieme di indicatori clinici il cui target di riferimento è definito dalla letteratura scientifica.

La rilevanza della messa in rete delle informazioni è attestata da alcuni studi che mostrano come la sopravvivenza dei pazienti seguiti in centri che hanno implementato simili progetti sia sensibilmente più alta, dal 5 al 15 per cento. Nel 2010 i registri tumori attivi in Italia erano 29 e coprivano il 35 per cento della popolazione. Oggi quelli accreditati sono oltre 40, con una copertura di circa il 57 per cento del territorio. La percentuale di popolazione coperta è al massimo al Nord-Est, 69 per cento, nel Nord-Ovest è al 55 per cento, intermedia al Sud, con il 40 per cento, e minima al Centro, 26 per cento.

Il provvedimento in esame potrebbe rappresentare una chiave di volta perché il fatto di disciplinare la Rete nazionale dei registri dei tumori e di sistemi di sorveglianza si pone il più che condivisibile obiettivo di riempire un vuoto normativo inaccettabile in un Paese civile. Numerose sono le critiche che provengono dagli epidemiologi incaricati di raccogliere le informazioni sanitarie dei malati di cancro. Il problema principale riguarda la privacy: non esiste al momento un regolamento nazionale sull'accesso ai dati sensibili dei pazienti ai fini dell'indagine, cosa che rischia di intrappolare quotidianamente in una palude burocratica i registri di tumori in Italia. Inoltre, se un cittadino sceglie di curarsi fuori regione, non può esservi nessuno scambio ufficiale di dati tra gli ospedali. Sono gli stessi medici a parlare di una rete sotterranea di scambi informali che consente di ottenere informazioni legate alla scheda di dimissione ospedaliera, alla cartella clinica, agli accertamenti diagnostici, al consumo di farmaci e, nel peggiore dei casi, alle cause di morte. Sono sempre i sanitari a descrivere una situazione differente da regione a regione, con registri che vengono aggiornati mediamente con dieci anni di ritardo.

È peraltro indispensabile offrire strumenti adeguati ai medici e ai cittadini, essendo in grado di fornire risposte riguardo all'andamento dei tumori sull'intero territorio nazionale, dai tempi di sopravvivenza all'indice di mortalità, all'aumento o alla diminuzione di una determinata patologia oncologica rispetto agli anni precedenti. Parliamo di strumenti propedeutici necessari per porre in essere interventi di prevenzione primaria in aree o popolazioni ad alto rischio o per indicare in modo dinamico quali aree della prevenzione primaria debbano essere rafforzate. Emblematico è il caso di Taranto dove i vari registri parlano di malattie connesse all'inquinamento così distribuite: tumore pleura più 424 per cento; tumore al polmone più 55 per cento; ricoveri bambini per malattie respiratorie più 24 per cento. I dati sulla mortalità parlano invece di uomini morti per tumori maligni più 39 per cento; donne morte per tumori maligni più 33 per cento; bambini sotto il primo anno di vita più 21 per cento; bambini tra 0 e 14 anni più 23 per cento. Penso che di fronte a questi dati raccolti attraverso i vari studi effettuati dai vari Ministeri si sia voltata la faccia dall'altra parte, nascondendo la polvere sotto il tappeto, non mettendo le mani sul sistema sanitario che è deficitario. Non ci dimentichiamo - chi è intervenuto prima di me lo ha ricordato - che i dati raccolti richiederanno molto tempo per essere elaborati. Non sono dati che nel breve tempo ci danno delle risposte e comunque penso che un passo avanti si sia fatto ma un passo avanti che deve essere anche inquadrato nell'ottica delle competenze Stato-regioni perché non basta raccogliere dati, non basta sapere quanti nostri cittadini muoiono ma bisognerebbe far entrare il Sistema sanitario nazionale direttamente, quando ci sono problematiche così ampie che non hanno più bisogno di essere studiate o di essere approfondite o di essere monitorate. Per Taranto, come per la Terra dei fuochi, bisogna prendere oggi una decisione di intervento prima che la situazione scappi di mano. Ricordiamoci che nel dossier della Camera c'è scritto che a Taranto, come nella Terra dei fuochi, anche se oggi il pericolo finisse e si chiudessero o si eliminassero le fonti inquinanti, le ripercussioni ambientali e territoriali in quella zona si avrebbero per almeno cento anni. Quindi cosa si aspetta ad intervenire su una situazione ormai ampiamente - ripeto: ampiamente - monitorata, ampiamente registrata e ampiamente ormai approfondita in tutti i campi e da tutti gli enti istituzionali. Anche la regione Puglia ha fatto i propri studi attestando che l'incidenza dell'inquinamento è derivata dall'Ilva. Tuttavia, se da una parte si salva l'Ilva, dall'altra parte non si salva la sanità, con un rimpallo di responsabilità tra regioni e Stato e lo scaricabarile che c'è sempre. Ricordiamoci, come diceva chi mi ha preceduto, che dietro un numero, dietro una cartella clinica c'è una famiglia, ci sono dei figli, ci sono dei genitori, ci sono dei nonni, ci sono degli amici che, nella peggiore delle ipotesi, muoiono e l'aspetto più brutto che ho vissuto e che costantemente vedo con i miei occhi quando vado in un reparto oncologico è vedersi trasformare. Date ad un malato di tumore uno specchio e vedete la sua reazione dopo che si guarda allo stesso. Il presente provvedimento, pur essendo indispensabile per disegnare una mappa nazionale che indichi l'incidenza, la tipologia e la quantità dei tumori onde consentire un maggiore e mirato intervento da parte della sanità pubblica e garantire il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione, non è sufficiente contro la lotta ai tumori. Infatti, trattasi di un atto che mira a curare il problema, ma come si usa comunemente dire sarebbe meglio prevenire. Ciò implica un'attenta politica di risanamento ambientale partendo dai siti più inquinati dove la mortalità infantile per carcinoma è in aumento. Ricordo - l'ho fatto poc'anzi - parliamo di Taranto e Terra dei fuochi: sono alcuni esempi emblematici dei nostri giorni. Il problema è a monte: bisognerebbe intervenire con bonifiche ambientali serie, non limitandosi alla messa in sicurezza con la copertura o le limitazioni delle fonti inquinanti, perché è ampiamente dimostrato che gli effetti dell'inquinamento ambientale non si esauriscono con la sospensione o chiusura della fonte inquinante.

Gli effetti durano per decenni e inoltre abbiamo i malati sottoposti ad amianto, le cui malattie si manifestano dopo molti anni dall'esposizione stessa all'amianto. L'istituzione e la disciplina della Rete nazionale dei registri tumori e del referto epidemiologico nel controllo sanitario della popolazione non ucciderà il male ma sicuramente potrà servire per studiarne cause ed effetti, aiutare i medici a debellarne le forme e speriamo che arrivi il tempo in cui lo Stato metta mano sia alle bonifiche sia alla sanità (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Il provvedimento in esame istituisce e disciplina la Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e per di più inserisce una riflessione del tutto nuova sul referto epidemiologico. Appariva del tutto paradossale che in Italia, dove esiste da tempo un Istituto nazionale dei tumori, non esistesse ancora un registro nazionale dei tumori mentre si potevano trovare diversi registri regionali costruiti con parametri di riferimento solo in parte uguali o convergenti, con l'ovvia difficoltà quindi di aggregare i dati in modo significativo ed efficace sia per l'attività di ricerca sia di assistenza. Il testo unificato oggi in discussione, oltre a rappresentare un punto di sintesi tra tutti i testi presentati, tiene conto di quello che è il recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri approvato il 3 marzo scorso. In esso si definiscono i criteri con cui elaborare i sistemi di sorveglianza e i registri di mortalità dei tumori e di altre patologie e quindi evidentemente lo stesso registro nazionale. Si tratta, come è stato detto già dai colleghi, di un sistema molto articolato che comprende 31 sistemi di sorveglianza istituiti presso l'Istituto superiore di sanità, a cui si aggiungono altri sistemi che fanno capo invece direttamente al Ministero della salute. Ci sono inoltre altri 15 registri di patologie di rilevanza nazionale. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri stabilisce chiaramente il tipo di dati che si possono raccogliere; chi può avervi accesso; le misure necessarie per garantirne la sicurezza indispensabile per prevenire possibili attacchi informatici. Con i registri costituiti in modo uniforme e condiviso sarà possibile avere una raccolta sistematica di dati anagrafici, sanitari ed epidemiologici trattati tutti nel rispetto della riservatezza. Il problema diventa particolarmente complesso poi quando ci si occupa di tumori rari. Soltanto nel 2013, su sollecitazione dell'allora Ministro della Salute Roberto Balduzzi, venne istituito un tavolo di lavoro per affrontare le principali problematiche riguardanti i tumori rari. Tra gli obiettivi del gruppo di lavoro c'era anche quello di stabilire criteri e metodi per la classificazione nosologica dei tumori rari in modo da poter creare una sorta di registro nazionale. Solo in tal modo diventava possibile formulare proposte per il pieno raggiungimento degli scopi della Rete dei tumori, raccogliendo informazioni sul suo effettivo funzionamento, sullo sviluppo degli strumenti necessari a favorire gli scambi tra i nodi della Rete, per condividere i percorsi diagnostico-terapeutico e assistenziali attraverso le reti informatiche. L'inclusione dei tumori rari nel Registro nazionale tumori supporrà quindi un grande aiuto per medici e pazienti sia sotto il profilo della ricerca sia dell'assistenza. I dati da inserire nel registro nazionale devono essere validati scientificamente secondo gli standard qualitativi previsti in sede internazionale dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'OMS relativi ai casi che sono stati diagnosticati proprio come neoplasia e devono essere trattati esclusivamente allo scopo di individuare misure sull'incidenza, la mortalità, la sopravvivenza, la tipologia e la prevalenza dei tumori. Servono a descrivere il rischio della malattia per sede e per tipo di tumore, per età, per genere: in questo modo diventa possibile contribuire attraverso i dati prodotti alla rilevazione di eventuali differenze nell'accesso alle cure erogate al paziente oncologico in relazione alle condizioni socio-economiche e all'area geografica di provenienza per poter identificare cause di malattie derivanti da inquinamento ambientale e in questo modo si potranno effettuare analisi statistiche-epidemiologiche anche con riferimento a situazioni finora non perfettamente messe a fuoco. Due sono in definitiva le caratteristiche principali del registro nazionale: il suo rigore scientifico e l'esclusivo interesse dei pazienti in fatto di diagnosi e cura.

Nel provvedimento c'è un terzo elemento che merita di essere messo in evidenza ed è quello che riguarda la possibilità di stabilire protocolli di collaborazione con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale più rappresentative ed attive nella tutela della salute umana e della prevenzione oncologica, nonché con le associazioni attive nel campo dell'assistenza socio-sanitaria. È un modo concreto per porre il paziente al centro del sistema sanitario nazionale, facendolo partecipare alle decisioni che lo riguardano anche in sede istituzionale.

Sono spesso i pazienti, almeno i cosiddetti pazienti esperti, ad avere le antenne per cogliere nessi e relazioni che potrebbero sfuggire al clinico; sono loro che posseggono strumenti a carattere prevalentemente soggettivo per valutare non solo i trattamenti che ricevono, ma anche l'insieme organizzativo-gestionale in cui sono inseriti.

Un accenno speciale, infine, merita l'articolo 4…

PRESIDENTE. Deve concludere.

PAOLA BINETTI. …che istituisce - un minuto solo, Presidente - e disciplina il referto epidemiologico, un elemento innovativo di grande interesse. Il referto epidemiologico viene definito, ai fini della presente legge, come il dato aggregato o macrodato corrispondente alla valutazione dello stato di salute complessivo di una comunità. Lo si ottiene attraverso un esame epidemiologico delle principali informazioni relative a tutti i malati e a tutti gli eventi sanitari di una popolazione in uno specifico ambito temporale e in un concreto ambito geografico. La valutazione dell'incidenza delle malattie, del numero e delle cause dei decessi rilevate dalle schede di dimissioni ospedaliere e dalle cartelle cliniche consente di individuare la diffusione e l'andamento di specifiche patologie, e identificare, quindi, eventuali criticità di origine ambientale, professionale e sociosanitaria.

Voglio soltanto concludere dicendo che è stato un buon lavoro, e credo che questo sarà uno strumento efficace che questa legislatura lascerà sia al mondo dei pazienti raccolti nelle loro associazioni specifiche sia al mondo della ricerca e della qualità dell'assistenza. Penso che possa essere davvero un punto di cui essere orgogliosi in questa legislatura.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 913-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Burtone.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE, Relatore. Presidente, per ribadire che lo strumento che si mette in campo….

PRESIDENTE. Ha un minuto, perché avreste finito i tempi.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE, Relatore. …è uno strumento che non guarda ai freddi numeri, ma alle persone, alle famiglie che soffrono, e che, grazie anche ai nuovi farmaci che sono in campo, possono essere aiutate a guarire. È una malattia grave, però si può anche guarire. Inoltre, lo strumento è utile per dare risposta a coloro i quali si trovano in territori in difficoltà, e quindi indica anche la strada per superare le differenze che ci sono nel nostro Paese.

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore Baroni e il rappresentante del Governo non intendono intervenire in sede di replica.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 10-362-388-395-849-874-B - D'iniziativa dei senatori: Manconi ed altri; Casson ed altri; Barani; De Petris e De Cristofaro; Buccarella ed altri; Torrisi: Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano (Approvata, in un testo unificato, dal Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato) (A.C. 2168-B) (ore 16,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dal Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato, n. 2168-B: Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2168-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire, per la Commissione giustizia, il relatore per la maggioranza, onorevole Vazio.

FRANCO VAZIO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, l'Assemblea si trova oggi ad esaminare un provvedimento atteso ormai da anni, introducendo anche nell'ordinamento italiano il delitto di tortura. Tale proposta torna all'esame della Camera in seconda lettura e complessivamente, per noi, in assoluto si tratta della quarta lettura.

Sono numerosi gli atti internazionali che prevedono che nessuno possa essere sottoposto a tortura né a pene e trattamenti inumani e degradanti. Tra questi ricordiamo la Convenzione di Ginevra del 1949, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, la Convenzione ONU del 1984, la cosiddetta CAT, ratificata dall'Italia nel 1988, lo Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale del 1988.

Come appena detto, l'Italia ha ratificato nel 1988 la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura, ma, tuttavia, non si era ritenuto di dovere allora introdurre lo specifico reato di tortura, in quanto si era creduta sufficiente la riconducibilità delle varie condotte alla nozione di tortura sancita dalla Convenzione ONU, e quindi attraverso i reati specifici come le lesioni, violenza privata, minaccia, arresto illegale e ancora altro. Questo elenco di reati, tuttavia, per quanto ampio, non appare esaustivo, come dimostra la complessità anche tecnico-giuridica del tema tortura. Infatti, si tratta di reati che non prevedono, al contrario di quanto statuito dai richiamati atti internazionali, la possibile sofferenza mentale, ed in cui, a volte, manca il dolo nell'infliggere la sofferenza alla vittima. Si tratta di reati per lo più procedibili a querela di parte e con termini di prescrizione brevi.

Nell'articolo 1 della CAT la tortura è individuata come reato proprio del pubblico ufficiale, ma è opportuno sottolineare che, peraltro, non si può considerare in contrasto con la Convenzione ONU la previsione di un reato comune di tortura affiancato al reato proprio. E, infatti, nello Statuto della Corte internazionale penale la tortura viene configurata proprio come reato comune; è assente qualsiasi riferimento ad altro.

Per completare l'excursus sul quadro normativo sovranazionale, la Corte EDU, nella sua giurisprudenza, ha precisato preliminarmente come, per verificare se vi sia stata o meno una violazione dell'articolo 3, occorre che la condotta in questione raggiunga un livello minimo di gravità.

La Corte ha chiarito che la tortura è il trattamento disumano o degradante che causa le sofferenze più intense; ogni atto di tortura è, dunque, al contempo anche un trattamento disumano e degradante. A tal riguardo, rammento che il dibattito in terza lettura presso il Senato si è sostanzialmente concentrato sulla formulazione del reato alla luce della Convenzione ONU e sulla scelta del reato proprio o del reato comune, e anche si è dibattuto molto sulla necessità della reiterazione delle condotte ai fini della configurazione del reato.

Passo all'esame del provvedimento, che si compone di sei articoli, limitando il mio esame soprattutto alle parti che sono state oggetto di discussione prevalente nell'ambito del consesso del Senato e anche attraverso lettere che ci sono state poi successivamente inviate e di cui dirò. Ebbene, l'articolo 1 definisce il reato di tortura, introducendo gli articoli 613-bis e 613-ter.

Perché si realizzi il reato di tortura deve sussistere un nesso di causalità tra l'azione posta in essere dall'agente e le acute sofferenze fisiche ovvero il verificabile trauma psichico. La condotta deve essere connotata da almeno uno dei seguenti elementi: violenze, minacce gravi e crudeltà. La vittima deve trovarsi in almeno una delle seguenti condizioni: essere persona privata della libertà personale, essere affidata alla custodia dell'autore del reato, trovarsi in una situazione di minorata difesa. Il fatto deve essere stato commesso secondo almeno una delle seguenti modalità: pluralità di condotte oppure trattamento inumano e degradante per la dignità delle persone.

Il reato, caratterizzato dal dolo generico, viene costruito come reato di evento, e cioè sofferenze acute inflitte alla vittima o verificabile trauma psichico. L'articolo 613-bis prevede, poi, specifiche fattispecie formulate sotto forma di fattispecie aggravate del reato di tortura. La prima interessa la qualifica di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio e prevede una pena della reclusione da cinque a dodici anni. Viene precisato dal terzo comma dell'articolo 613-bis che la fattispecie in questione non si applica se le sofferenze per la tortura derivano unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative dei diritti.

Il secondo gruppo di fattispecie aggravate riguardano se alla tortura seguano lesioni personali gravi e gravissime, se interviene la morte, voluta o non voluta, per effetto della tortura, prevedendo aggravanti di un terzo, della metà, trent'anni e, quindi, anche l'ergastolo.

In relazione alla formulazione della fattispecie, è opportuno ribadire che, da parte della Commissione giustizia, si è ritenuto che questa formulazione sia conforme alla giurisprudenza della Corte penale internazionale e della Corte EDU, alle raccomandazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani e degradanti e alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura.

Questa precisazione è opportuna anche alla luce di alcune perplessità avanzate dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, attraverso una lettera inviata, tra gli altri, alla Presidente dalla Camera e al presidente dalla Commissione giustizia.

Esamino brevemente le osservazioni, ma do anche contezza della risoluzione interna interpretativa: si tratta di preoccupazioni che possono essere superate appunto attraverso una corretta interpretazione delle norme introdotte, senza necessità di modificare il testo.

Per quanto attiene alla previsione di una necessaria pluralità di condotte - preoccupazione del Commissario - si rileva che in realtà ci si trova innanzi a un reato a condotta plurima: esso infatti può essere commesso attraverso diverse condotte tra loro alternative, come risulta chiaramente dall'utilizzo della congiunzione disgiuntiva “ovvero”, proprio nelle due parti della formulazione descrittiva della condotta stessa,

L'uso plurale dei termini “violenze” e “minacce” e l'uso singolare del termine “crudeltà” descrivono solo una parte delle condotte costitutive del reato.

La disposizione deve essere letta nel senso che il reato sussiste quando di fronte ad atti di violenze o minacce gravi o crudeltà le condotte siano plurime, oppure nel caso di un solo atto di violenza, minaccia grave o crudeltà, quando esso comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità umana.

Considerato che si precisa che il fatto deve essere commesso mediante più condotte ovvero deve comportare un trattamento inumano e degradante per la dignità umana, è da ritenere che la seconda alternativa si riferisca ovviamente proprio al caso in cui la condotta sia unica, in quanto altrimenti non avrebbe senso prevedere un'ipotesi alternativa rispetto a quella della pluralità delle condotte.

In merito alla seconda osservazione, quindi alla previsione congiunta, anziché alternativa delle caratteristiche di inumanità e degradazione della dignità umana, per quanto attiene il trattamento derivante dalla tortura, si ritiene che si tratti di un falso problema, benché la Convenzione unisca tali caratteristiche.

A ben vedere ci troviamo infatti di fronte a un concetto unitario, ad un'endiadi, non sussistendo un trattamento inumano che allo stesso tempo non sia anche degradante per la dignità umana e viceversa.

Il fatto che la tortura psicologica sia limitata ai casi in cui il trauma psicologico sia verificabile non rappresenta in alcun modo una limitazione dell'ambito applicativo del reato di tortura, trattandosi di una precisazione che non è altro che applicazione del principio generale secondo cui gli elementi costitutivi di un reato, in sede processuale, devono essere ancorati a elementi riscontrabili - testimonianze, perizie o in altro modo - e non invece riferirsi a dichiarazioni di principio o a impalpabili valutazioni soggettive.

Per tale ragione, si potrebbe addirittura considerare superflua la precisazione che il trauma psicologico debba essere verificabile: è ovvio infatti che il trama debba trovare un riscontro processuale; diversamente non sarebbe provato e quindi il reato non sussisterebbe.

La previsione di un reato comune base o di una fattispecie punita più gravemente, nel caso in cui il fatto sia stato commesso da un pubblico ufficiale, è la quarta osservazione che ci viene rivolta e che non può essere considerata in alcun modo in contrasto con la Convenzione ONU: la proposta di legge recepisce la filosofia dello Statuto della Corte penale internazionale, dove la tortura viene configurata come un reato comune.

Non si limita quindi a prevedere un aumento di pena proporzionato alla pena base, ma proprio in considerazione della plurioffensività della condotta del pubblico ufficiale, prevede una pena specificatamente individuata e di portata più grave, in conformità alle previsioni convenzionali.

Inoltre il reato, così configurato, consente di punire la tortura anche se commessa non da pubblici ufficiali ovvero laddove trae ragione e forza in posizioni di predominio che magari trovano causa in pregresse condotte illecite, come per esempio potrebbe accadere ad un ex pubblico ufficiale.

Riguardo alla mancata previsione dell'imprescrittibilità del reato di tortura, mi preme segnalare che la proposta di legge scongiura decisamente il rischio che questi reati si possano prescrivere: è appena il caso di evidenziare che la pena massima è stabilita in 12 anni di reclusione se il fatto è compiuto da un pubblico ufficiale, ulteriormente aumentata di un terzo o della metà se derivano lesioni gravi o gravissime con conseguenti effetti sul termine di prescrizione, che va da un minimo di 15 anni ad un massimo, senza sospensione, di 22 anni e mezzo.

Nel caso in cui il colpevole cagiona volontariamente la morte, tra l'altro, il reato, punito con l'ergastolo, è comunque imprescrittibile.

Si deve poi tenere presente che la recente legge sul processo penale, approvata il 14 giugno scorso, ha ulteriormente aumentato il termine ordinario di prescrizione, prevedendo che, se interviene la condanna, si verifica la sospensione e quindi parliamo di due periodi di sospensione sia in grado d'appello che poi in attesa del processo di Cassazione.

Nel parere favorevole espresso dalla Commissione affari costituzionali sono stati espressi alcuni rilievi nella formulazione della fattispecie del reato di tortura, una condizione ed alcune osservazioni.

La condizione riguarda la necessità di valutare se la previsione della pena fissa di trent'anni di reclusione, stabilita per la circostanza aggravante derivante dall'aver provocato come conseguenza non voluta la morte della persona offesa, sia coerente con la giurisprudenza in tema di pene fisse e sia ragionevolmente proporzionata.

A tale proposito, si ricorda che la previsione di una pena fissa da parte della legge non è una novità per il nostro ordinamento: l'articolo 630, secondo comma, del codice penale prevede la reclusione di trent'anni nel caso in cui dal sequestro derivi, come conseguenza non voluta, la morte della persona sequestrata.

Nel caso che interessa occorre quindi verificare se siano soddisfatte le condizioni richieste dalla Corte costituzionale per considerare legittima la previsione di una pena unica.

La risposta non può che essere affermativa, come lo è nel caso del sequestro di persona: la natura particolarmente e peculiarmente grave della condotta di tortura e la gravità dell'evento che ne è derivato, cioè la morte, sono tali per i legislatori da giustificare una pena fissa che corrisponde al massimo che l'ordinamento prevede per la pena della reclusione, cioè di trent'anni. Si ricorda infatti che si prevede l'ergastolo nei casi in cui la morte sia conseguenza voluta della tortura.

Inoltre, una pena più bassa sarebbe contraddittoria in relazione alla morte come conseguenza non voluta del sequestro e per tali ragioni appare opportuno confermare la previsione della pena fissa della reclusione di trent'anni.

Un'osservazione che viene svolta dalla I Commissione riguarda il requisito della gravità e cioè se esso si riferisce alle sole minacce oppure alle violenze e quindi circa l'opportunità di chiarire se la locuzione “violenze o minacce gravi” consenta o meno di riferire la gravità anche alla violenza.

La formulazione sembra chiara al sottoscritto, nel senso che il requisito della gravità debba riferirsi alle sole minacce; del resto, un atto di violenza è grave a prescindere e quindi una sua graduazione in termini di gravità apparirebbe davvero complessa, soprattutto con riferimento alla nozione di tortura risultante dai diversi atti internazionali sopra richiamati.

Alla seconda e alla terza osservazione ho già risposto nell'ambito della controdeduzione alla lettera del Commissario europeo.

La quarta osservazione si riferisce all'opportunità di uniformare le locuzioni utilizzate nel far riferimento agli effetti dalla condotta criminale, laddove si utilizza una locuzione diversa, “sofferenze”, da quella prevista dall'articolo 1, capoverso, articolo 613-bis, primo comma: “sofferenze fisiche” e “trauma psichico”.

Per quanto sarebbe allo stato auspicabile forse una piena corrispondenza tra il primo e il terzo comma dell'articolo 613-bis, anche in questo caso non appare opportuno modificare il testo, poiché una corretta interpretazione – l'interpretazione deve essere, come dicevo già in precedenza, costituzionalmente orientata, fin quanto la lettera della disposizione lo consente - raggiunge il medesimo auspicato obiettivo.

Inoltre, si deve tener conto che il terzo comma non fa altro che esplicitare un principio generale dell'ordinamento, che avrebbe trovato applicazione anche in assenza del terzo comma stesso.

Tornando all'articolato, l'articolo 1 aggiunge poi al codice penale l'articolo 613-ter, con cui si punisce il reato proprio consistente nell'istigazione a commettere tortura commesso dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio.

Rispetto al testo della Camera è stato introdotto il riferimento alle modalità concretamente idonee proprio dell'istigazione alla tortura, è soppressa la clausola di specialità del reato di cui al 613-ter, rispetto all'istigazione a delinquere di cui all'articolo 414 del codice penale.

La Commissione affari costituzionali ha chiesto di chiarire a cosa sia riferito il requisito della concreta idoneità all'istigazione alla tortura: ebbene, io credo che, a tale proposito, si deve precisare che la diversità, la diversa gravità dei due reati dipenda dalla circostanza che l'istigazione, di cui al 414, è pubblica, a differenza di quella punita dal 613. Proprio per la mancanza istigativa dell'articolo 613, prevedendo il requisito della pubblicità, è apparso opportuno rafforzare i requisiti della condotta istigativa dell'articolo 613, prevedendo la concreta idoneità della condotta. Dal diverso ambito applicativo delle due condotte di istigazione deriva, come conseguenza, la soppressione della clausola, fuori dei casi previsti dall'articolo 414.

La I Commissione (Affari costituzionali) ha chiesto, infine, di esplicitare le disposizioni in tema di esclusione dell'immunità e di estradizione nei casi di tortura ivi contenuti, che siano in ogni caso applicabili nel rispetto del diritto internazionale. Anche in questo caso, non appare opportuno modificare il testo, considerando che la preoccupazione della Commissione affari costituzionali ha risolto dei principi generali e, in particolare, da quanto previsto dall'articolo 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e agli obblighi internazionali.

L'articolo 4, pertanto, non può essere interpretato in contrasto con il diritto internazionale, per quanto esso non sia espressamente richiamato. Dopo tanto tempo, dopo troppo tempo, si attende che il Parlamento introduca il reato di tortura. Questo testo, secondo il sottoscritto, risponde con efficacia e coerenza alle aspettative esistenti. Ulteriori ritardi o nuovi ripensamenti sarebbero difficilmente compresi dal Paese e dalla comunità internazionale.

Signor Presidente, ho limitato il mio intervento, per contenerlo all'interno dei tempi a me assegnati, ma chiedo che mi sia consentito depositare la relazione nella versione integrale, che consegno ai funzionari.

PRESIDENTE. Agli uffici. Grazie, chiaramente è autorizzato.

Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Ferraresi.

VITTORIO FERRARESI , Relatore di minoranza.    Grazie Presidente. Siamo, quindi, alla seconda lettura della Camera, la quarta in totale, per questa proposta di legge, l'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento.

L'introduzione di questo reato è attesa da quel fatidico 1984, in cui abbiamo sottoscritto come Paese, a New York, la Convenzione dell'ONU. Ma da quel momento si è caduti, per così dire, nell'oblio più totale, fino ad arrivare a questa legislatura con un obiettivo ben preciso del Ministro Orlando, di approvare questa proposta di legge. Peccato che non basta introdurre il reato di tortura per punire chi tortura nel nostro Paese: si deve avere una buona legge sul reato di tortura per punire chi tortura nel nostro Paese.

Quindi, non mettendomi ovviamente a leggere tutto il testo, in quanto è sotto già ripreso dal relatore per la maggioranza, inizierò con alcune puntuali, a mio avviso, criticità del testo. Innanzitutto è vero che la Convenzione dell'ONU riporta un delitto proprio. Perché riporta un delitto proprio? Perché è vero che ci sono tanti reati nel nostro ordinamento, che possono coprire determinati fatti delittuosi, ma li possono coprire giusto per i privati. Infatti, in ambito pubblico, ci sono tante operazioni in cui la legge, appunto, fa affidamento a funzionari pubblici che esercitano le loro funzioni e che però non potrebbero essere coperti, salvo appunto alcuni accertamenti di reati molto gravi.

Quindi, in questo caso, la tortura va oltre a quel paletto ulteriore che permette di accertare determinate violazioni, in ambiti appunto in cui si parte da una determinata legalità (principio di legalità), non certo da un'immediata violazione. Per esempio, se una persona sequestra un cittadino per poi torturarlo e ottenere informazioni, è diverso da una persona che arresta magari illegittimamente un cittadino, perché ha commesso qualcosa, e poi lo tortura successivamente. C'è un ambito molto, molto, molto tenue tra le condotte legali e le condotte non legali. È per questo che si voleva applicare una specificità del reato nei confronti di pubblici ufficiali, ma questo non cambia così tanto, perché comunque l'introduzione del reato vale per tutti.

Si va sulle violenze o le minacce gravi. Ecco, questo già, invece, è un criterio un po' più pericoloso, perché questa pluralità è negativa, dal mio punto di vista. Una violenza non qualifica un reato di tortura? Ovvero, io posso applicare anche solo una violenza o un comportamento violento e questo non integrare il reato di tortura? Oppure, io posso fare anche delle minacce, anche se gravi? Non capisco perché poi “gravi”. Se ci sono delle minacce o una minaccia, che consiste anche magari in una sottile minaccia, soprattutto nelle carceri, come chiudere l'acqua oppure passare le chiavi nei confronti delle celle dei detenuti, oppure minacciare di un fatto grave anche un detenuto una volta, non consiste in tortura quest'azione? Rimangono molti dubbi su questo.

“…ovvero agendo con crudeltà”. Certo, c'è poi l'ovvero agendo con crudeltà, ma “agendo con crudeltà” vuol dire tutto e vuol dire niente. La crudeltà è parametrata a cosa, a quali comportamenti crudeli o non? Si dovrà vedere la crudeltà del soggetto? Anche qui lasciano un po' il tempo che trovano queste definizioni.

“…cagiona acute sofferenze”. Ripeto la parola “gravi” o “acute” non è sbagliata in sé, è sbagliata in un testo che pone tanti paletti e li pone all'accertamento del reato. Non è tanto l'avere una parola come “gravi” o una parola come “acute” piuttosto che un'altra. Il problema è che c'è una somma di parole che, di fatto, renderanno difficile l'accertamento di questi reati. Lo sappiamo bene che un conto è scrivere norme e un conto è andare in un processo e accertare un determinato reato. Già è difficile, figuriamoci con questa somma di paletti che il legislatore inserisce in questa norma.

Poi c'è ovviamente, come al solito accade, una vera e propria aberrazione, dal mio punto di vista: “sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico”. Fantastico! “Un verificabile trauma psichico”! Non bastava una sofferenza psichica, già riconosciuta dall'ordinamento, che deve essere accertata. Certo che deve essere accertata in un processo la sofferenza psichica. Non è che uno dice: “ah, mi ha turbato la psiche” e viene condannata per torture una persona. Ci deve essere un accertamento, l'accertamento nel processo penale, l'accertamento nel processo civile per il risarcimento del danno. È ovvio che deve essere provata! Ma cosa vuol dire un “verificabile trauma psichico”? Perché, una sofferenza psichica non è verificabile? Oppure ci vuole un trauma? Anche qua una pessima scrittura, che ci ha fatto rendere ridicoli, almeno nell'istituzione Parlamento, agli occhi anche della dottrina e dei professori, che hanno iniziato già a commentare questa norma.

E poi vi è un allargamento delle condizioni, la privata libertà personale, la potestà, la vigilanza. Qui si è fatto un passo in avanti, perché si sono inserite alcune fattispecie che prima mancavano. Quindi forse è l'unico punto positivo.

Poi si arriva a un'altra parte, dal mio punto di vista, assolutamente inutile se non dannosa: “se il fatto è commesso mediante più condotte”. Si va a ribadire la pluralità delle condotte, non si capisce perché, forse per ribadire due volte quello che si era già detto prima e, quindi, è assolutamente dannoso perché ripetiamo. Non si capisce il perché una condotta non possa integrare il reato di tortura e bisogna che uno lo faccia più volte e torturi più volte. Questo ci lascia veramente perplessi.

“…ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. Ecco, questo vuol dire tutto e niente ovviamente, perché è un altro paletto che, in alternativa alle “più condotte” inserito prima, ci fa dire che anche qua si dovrà vedere la giurisprudenza e si dovrà vedere sia l'interpretazione dei giudici sia poi l'applicazione. Infatti, molte volte - ripetiamo - in luoghi come le carceri è già impossibile tirare fuori qualche informazione e qualche prova, figuriamoci con questa scritta, se si potrà andare a vedere veramente se il trattamento è inumano o se c'è la crudeltà o non c'è. Stiamo parlando veramente di un livello di difficoltà di accertamento di un reato così grave, che lascia il tempo che trova.

Poi vi è l'inserimento, che abbiamo già criticato nella prima lettura: “il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”. Nel migliore dei casi, questo comma sarà inutile; nel peggiore, sarà dannoso, sempre per l'accertamento del reato. È ovvio che, se un ufficiale e se un agente si muove nel rispetto della legge, non sarà punito. Questa non è una legge che punisce chi fa il suo dovere: è una legge che punisce chi non fa il suo dovere e chi tortura.

E quindi è ovvio che se si muove nell'ambito della legge e non la “sfora”, non sarà assolutamente punito già per legge; inserirlo è un ulteriore tassello probatorio assolutamente non dovuto all'interno della norma.

Poi, ancora, se dai fatti di cui al primo comma, si riportano solo al primo comma e non al secondo, ma comunque può andare bene perché la pena è aumentata. E poi interviene anche l'articolo 1 alla fine, in cui si dice che l'istigazione del pubblico ufficiale a commettere reato di tortura deve essere effettuata in modo concretamente idoneo: un'altra formulazione geniale apportata dal Senato, come se il reato di istigazione non fosse già così. È ovvio che l'istigazione dev'essere concreta, dev'essere provata, dev'essere offensiva, deve portare una persona a commettere un reato; se non è idonea a commettere un reato, non c'è istigazione, è inutile che lo mettiamo. Cioè, sembra che si sia voluto proprio “pasticciarla” apposta su norme che erano già chiare, perché il nostro ordinamento è già chiaro, quello penale; lo andiamo a rendere più difficile noi, è già così. “Concretamente idoneo”: mah!

E poi, ancora, sulla prescrizione. Siamo intervenuti per la prescrizione: c'era un aumento dei termini di prescrizione, prontamente eliminato dal Senato. Il problema non è i 12 anni, i 15 anni: il problema è che il reato di tortura, come altri reati molto gravi, compresi quelli di corruzione, di strage, di omicidio, potrebbe volere tantissimo tempo non per fare il processo, ma per arrivare a capire che è stato commesso un reato, per iscrivere una notizia di reato. È questo il problema! Che molte volte si arriva in una fase in cui non c'è sospensione che tenga, non c'è allungamento della prescrizione che tenga, perché, di fatto, si arriva troppo tardi solo a scoprirlo, il reato; figuriamoci ad accertarlo.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

VITTORIO FERRARESI, Relatore di minoranza. E, allora, anche rispetto ai tanti torturati e vittime che stanno nei Paesi del Sud America, che ci chiedevano l'imprescrittibilità: l'imprescrittibilità per estradare dei torturatori nei loro Paesi d'origine; perché il problema è che senza questa norma sull'imprescrittibilità, noi non possiamo rimandare dei torturatori quando ce li chiedono in via diplomatica. È questo il problema!

Presidente, le criticità di questo testo sono state elencate: sono molto gravi, dal nostro punto di vista. Sappiamo anche che sono trent'anni, più di trent'anni, che aspettiamo questa norma: a maggior ragione, visto il tempo passato prima di approvare questa norma, doveva essere introdotta una buona legge per contrastare la tortura, non una semplice legge. Non possiamo dire che abbiamo introdotto il reato di tortura: bisogna guardare cosa è contenuto nella legge; e la legge così fatta dopo trent'anni è assolutamente insufficiente a garantire le esigenze e le aspettative delle tante vittime in Italia, nel nostro Paese, ma anche a livello internazionale, che si aspettavano l'introduzione di questo reato. Questo testo è quindi assolutamente insufficiente, anche in vista delle due condanne che abbiamo ricevuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo sulla tortura, e di un'altra che potremmo ricevere sempre per violenze, questa volta all'interno delle carceri. Tutte queste aspettative sono state assolutamente tradite, dal nostro punto di vista, a livello tecnico-legislativo e a livello politico da una maggioranza che ovviamente, per motivi di alleanze, ha fatto, come molte volte succede, uscire un testo che non soddisfa pienamente le sue aspettative.

PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.

VITTORIO FERRARESI, Relatore di minoranza. Questa è una legge, la tortura, che non va a punire chi fa giustamente il suo dovere: va a punire quelle persone, come ci sono in tutti gli ambiti, politici, magistratura, forze dell'ordine, cittadini, imprenditori…

PRESIDENTE. Onorevole Ferraresi, la devo invitare a concludere: siamo fuori già di oltre un minuto.

VITTORIO FERRARESI, Relatore di minoranza. Chiudo, certo. …che delinquono. Questi ci sono dappertutto, in tutti i mondi; e non si deve aver paura, perché i primi che debbono avere la necessità di mostrare la propria buona fede sono proprio gli appartenenti alle forze dell'ordine, che fanno in modo dignitoso e coerente ed efficiente il loro lavoro, e non vogliono assolutamente essere mischiati a quelli che non lo fanno.

PRESIDENTE. Prego tutti di stare nei tempi. Tra l'altro, i colleghi che intervengono in discussione sulle linee generali, quando hanno i tempi, hanno un massimo di 30 minuti, i relatori hanno 10 minuti. Però, se si intende prendere più tempo, si può intervenire nella discussione sulle linee generali normale, anziché in altre vesti.

Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Mi pare di capire che sia intenzionato a intervenire magari in sede di replica. È iscritta a parlare l'onorevole Giuliani. Ne ha facoltà.

FABRIZIA GIULIANI. Presidente, il Partito Democratico ritiene necessario introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura, questo è il primo dato che io voglio sottolineare; e darò anche a questo mio intervento un carattere eminentemente politico, perché siamo assolutamente consapevoli che con questo atto si va a colmare non solo un vulnus legislativo, ma un vuoto di natura politica, un vuoto di natura morale e un vuoto di natura civile. I dati che mi portano a trarre queste conclusioni sono stati richiamati dal relatore Vazio: sono trascorsi esattamente 29 anni, dico 29 anni, dalla ratifica italiana, avvenuta 4 anni dopo l'adozione della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti adottata dalle Nazioni Unite nel 1984. Un lasso di tempo enorme, un lasso di tempo molto lungo, superiore, tanto per avere un ordine di grandezza condiviso, all'età di alcuni dei nostri colleghi più giovani in questa legislatura. È stato senza alcun dubbio un tempo sufficiente a mostrare a noi, all'Europa e al mondo l'esigenza di colmare un vuoto non tollerabile, data la natura del reato e il suo nesso con la qualità di vita democratica.

Questo dato lo testimoniano i numerosi richiami internazionali, mossi in relazione ad episodi molto specifici, lo hanno richiamato anche altri prima di me: come è accaduto con l'ultima condanna della Corte europea dei diritti umani al nostro Paese per i fatti accaduti a Genova (anche qui parliamo ormai di 16 anni fa); e come diffusamente sollecitano l'opinione pubblica e le associazioni da sempre schierate a difesa dei diritti umani. Noi crediamo che il punto sia abbastanza semplice: è tempo di porre fine a questa attesa, è tempo di definire il reato e inserirlo nel nostro corpus legislativo, di mettere un punto fermo dopo i tanti tentativi andati a vuoto nelle scorse legislature, come anche noi rischiamo di fare, dato che siamo già, ormai, in quarta lettura.

Le polemiche che hanno accompagnato questo lungo ping-pong tra le due Camere le conosciamo: alcune di queste ragioni sono fondate, altre decisamente meno. Ho voluto ricordare la storia, il quadro di questo provvedimento a coloro i quali, anche con le migliori intenzioni, hanno chiesto nei giorni scorsi alla Camera di apportare nuove ed ulteriori modifiche per migliorare il testo di legge. Ma io credo che serva un senso di responsabilità molto forte, un senso di responsabilità di tutti, per dotarsi di una norma che consenta di spezzare una ripetizione e ci consenta di affrontare e di avere degli strumenti per affrontare situazioni gravi, di avere strumenti adeguati per farlo e, soprattutto, di levarci la maglia nera in Europa, che ci addita come un Paese che non riesce a trovare una sintesi politica su una materia tanto delicata. Non introdurre il reato - vorrei ricordarlo anche al collega del MoVimento 5 Stelle che ha parlato prima di me - non è una sconfitta di qualcuno: non è additando i cattivi che ci si ritrae dalle proprie responsabilità. Non introdurre questo reato è una sconfitta di tutta la politica: fermarsi solo alla pars destruens, quando sono in gioco materie di questa levatura, davvero non fa onore al lavoro che svolgiamo in quest'Aula.

Ricordo del resto (e non voglio tirare la maglia a nessuno) che ha sollecitato l'intensificazione a condurre in porto questa norma, con la voce autorevole che lo contraddistingue, il Presidente Mattarella questa mattina: oggi, lo vogliamo ricordare (cade molto puntualmente questa discussione), è proprio la giornata dedicata alle vittime della tortura. Ecco, il Presidente Mattarella questa mattina ha sollecitato ogni sforzo per arrivare ad un punto fermo: ha ricordato come, quando sono in gioco questi reati, sono in gioco la libertà personale e la dignità umana, qualcosa che la nostra Costituzione prevede con molta chiarezza nel suo articolo 2; sono in gioco le conquiste civili più importanti di questo secolo. Ecco, su queste materie va messa nero su bianco una parola ferma, e va tenuta ferma.

Potrei aggiungere, e lo aggiungo, che forse non è questo il testo che noi avremmo auspicato, non è quello a cui abbiamo lavorato nella Commissione giustizia in questo ramo della Camera; ma, appunto, con la stessa franchezza dico che non è un ulteriore rinvio a rendere questo testo migliorabile.

Non è necessaria nessuna iniezione di realismo per arrivare ad affermazioni di questo tipo. È testimoniato fattualmente quanto dico da quello che è accaduto a tante altre norme in materia di diritti che hanno avuto letture diverse nei due rami del Parlamento; forse non avremmo mai avuto una norma sulle unioni civili se avessimo continuato un eterno gioco al miglioramento.

Proprio la presidente Ferranti nelle scorse settimane ha ricordato come il meglio spesso è nemico del bene e concordo con lei. Dobbiamo prenderci la responsabilità di far fare un passo in avanti al nostro Paese, perché - questo è il punto - per quanto si possa oggi criticare il testo in Aula, esso rappresenta senza dubbio un passo avanti per l'Italia sul tema del contrasto alla tortura e soprattutto alla tutela delle vittime, perché se non c'è nessun reato di tortura, non disponiamo neanche degli strumenti per potere tutelare le vittime.

Nei mesi scorsi abbiamo avuto modo e tempo di confrontarci molto serratamente, anche in maniera accesa, sugli aspetti negativi e positivi del bicameralismo perfetto; vorrei dire che personalmente proprio di fronte a iter di questo tipo, continuo a nutrire le stesse convinzioni circa la necessità di modificare l'attuale assetto legislativo. Però, questo è lo stato dell'arte, qui stiamo, e in questo caso l'iter tra le due Camere ha prodotto un compromesso che abbiamo il dovere di approvare e non di rimandare oltre, di sottrarre al nulla - sottrarre al nulla, voglio ripeterlo - una norma indispensabile alla vita dei nostri sistemi democratici e alla tutela della vita umana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, la ringrazio. Dall'ascolto degli interventi che mi hanno preceduto, della rappresentante del Partito Democratico e del rappresentante del MoVimento 5 Stelle, si capisce bene qual è il tono di questo dibattito e un po' anche la ragione di questo dibattito un po' surreale, signor Presidente, che giunge in quest'Aula il giorno successivo ai risultati delle elezioni amministrative che hanno visto pesantemente penalizzati proprio i partiti che rappresentano la maggioranza di Governo, a partire dal Partito Democratico, ma anche quelli che rappresentano l'opposizione fatta dal MoVimento 5 Stelle, non certo quella responsabile e di merito rappresentata da Forza Italia.

Che cosa c'è di surreale? Poche ore fa, al centro Cara di Bari, le forze dell'ordine sono state vittime per l'ennesima volta (cosa che accade ormai abitualmente in Italia e sembra quasi non suscitare questo scandalo) di aggressione da parte degli immigrati, dei richiedenti asilo, solo perché le forze dell'ordine stavano facendo il loro lavoro e, nel fare il loro lavoro, hanno dovuto subire questa aggressione. C'è stato un ferito al quale naturalmente va la mia solidarietà, come va a tutte le forze dell'ordine che quotidianamente svolgono il loro lavoro a difesa della sicurezza, per il rispetto dei principi di legalità, per il rispetto dell'ordine. Ancora la settimana scorsa, episodi altrettanto gravi, ben più gravi, comunque erano successi a Torino, dove semplicemente le forze dell'ordine cercavano di fare il loro dovere e, nel fare il loro dovere, hanno dovuto subire delle aggressioni, delle violenze.

Invece, ad ascoltare il dibattito, gli interventi di quest'oggi, sembra che il problema principale del nostro Paese sia, al contrario, sanzionare preventivamente, o impedire, o comunque che ci sia nel nostro Paese questo gravissimo problema del comportamento da parte delle forze dell'ordine nei confronti di altre persone.

Ebbene, dico subito che il testo al nostro esame è un testo che va ben oltre quella che è la Convenzione, che pure il nostro Paese ha condiviso, delle Nazioni Unite contro il reato di tortura, che nel nostro ordinamento già esistono delle norme specifiche nel codice di procedura penale che giustamente sanzionano i casi di violenze, di minacce, e che la necessità che il Partito Democratico e il MoVimento 5 Stelle (che critica perché non si fa abbastanza in Parlamento con questa legge) hanno sentito, è la stessa che noi abbiamo avvertito in tanti altri provvedimenti in discussione in questa legislatura, quella cioè, purtroppo, di avere registrato un sentimento anti polizia, anti forze dell'ordine, anti lavoro per stabilire sicurezza e legalità, che invece sono necessarie.

Io invece credo che il Parlamento, e il Governo naturalmente, dovrebbero atteggiarsi ad uno sforzo esattamente contrario. Ancora oggi le forze dell'ordine attendono il rinnovo del contratto, il Parlamento aveva all'unanimità votato una mozione che noi avevamo presentato. Ancora oggi le forze dell'ordine lavorano in condizioni di non sicurezza per quanto riguarda quelle che sono le loro dotazioni. Occorre stanziare di più e fare in modo che possano lavorare meglio. Ancora oggi non vi è la percezione, da parte di tutto il Parlamento e di tutte le forze politiche, dell'allarme sicurezza, che è un allarme che si registra su più gradi e su più livelli. Nel nostro Paese, vi è quello della criminalità comune, purtroppo ancora molto diffusa, quello della criminalità organizzata (tanto è stato fatto, ma tanto occorre ancora fare, io ricordo che i risultati maggiori su questo fronte furono ottenuti proprio dal Governo Berlusconi con l'arresto dei principali latitanti, con il rendere permanente e definitivo il 41-bis), e l'allarme sicurezza derivante dalla questione del terrorismo internazionale.

Rispetto a tutto questo, le nostre forze dell'ordine e le nostre Forze armate sono chiamate a svolgere un lavoro straordinario, un lavoro aggiuntivo, un lavoro sottopagato. Il Parlamento si preoccupa di rendere in qualche modo più difficile questo loro lavoro, si preoccupa di introdurre il reato di tortura o, come aggravante, se commesso da un pubblico ufficiale, se commesso dalle forze dell'ordine. Il collega del MoVimento 5 Stelle precisa pure “chi certo non ha nulla da temere è chi svolge …”. Le forze dell'ordine certo che non hanno nulla da temere, svolgono il loro lavoro in condizioni di grande difficoltà e di disagio, per i motivi che ho richiamato, e lo svolgono sempre con correttezza. Il problema è che nel nostro Paese ci sono manifestazioni non autorizzate, il problema è che nel nostro Paese c'è un allarme sicurezza, il problema è che nel nostro Paese le forze dell'ordine, ad esempio, non sono dotate, come noi proponiamo da sempre, dei taser, cioè di strumenti che possono immobilizzare un aggressore potenziale che si sta manifestando in quel modo e quindi sono costretti a correre dei rischi. Il problema del nostro Paese è che il numero delle forze dell'ordine non corrisponde alle esigenze, siamo sotto organico, e non vi è oggi la possibilità di poter reintegrare le persone che terminano il loro servizio o che sono collocate in pensione. Questa è la realtà della questione dell'allarme sicurezza.

Allora mi fa un po' sorridere che, da una parte, qualche settimana fa, abbiamo discusso di misure che noi abbiamo criticato per la loro insufficienza, ma che comunque avevano lo spirito di voler innestare nel Parlamento, nel Paese, un dibattito, delle misure per dare una maggiore sicurezza alle nostre città (mi riferisco ai provvedimenti del Ministro dell'Interno Minniti), e oggi invece stiamo a discutere di provvedimenti che renderanno di fatto più difficile il lavoro delle forze nell'ordine. Io non voglio entrare adesso nel merito puntuale delle modifiche che sono state introdotte al Senato, che in alcuni punti anche accolgono delle perplessità e delle critiche che noi avevamo sollevato qui alla Camera, e della scelta che la maggioranza ha annunciato di voler fare di non modificare il testo qui alla Camera e renderlo quindi definitivo. Io mi auguro che invece la maggioranza in queste ore si renda conto che sono altre le priorità del Paese piuttosto che introdurre un reato che rende più difficile il lavoro delle forze dell'ordine: sicuramente l'occupazione, il lavoro. Poco fa abbiamo discusso del disegno di legge sulla concorrenza che non mi pare renderà più facile la possibilità da parte delle imprese di assumere.

Io credo che, nei mesi conclusivi della legislatura, il Governo e la maggioranza dovrebbero atteggiarsi e limitare la loro attività nel prendere quei provvedimenti che sono strettamente necessari a creare maggiore occupazione, a ridurre le tasse, ad assicurare maggiore sicurezza al nostro Paese e a migliorare le condizioni di lavoro e lo stipendio delle forze dell'ordine. Questo provvedimento invece va in tutt'altra direzione ed è per questa ragione che io esprimo le perplessità del gruppo di Forza Italia su questo testo. Non perché ci sia qualcuno che voglia difendere degli atteggiamenti illeciti o voglia incoraggiare a compiere dei reati di tortura, il punto non è questo.

Naturalmente, ripeto, ci sono già oggi nel nostro codice norme che consentono di sanzionare perfettamente tali reati, qualora vengano commessi. Il punto è che, dall'inizio della legislatura, stiamo assistendo invece ad un tentativo di criminalizzare le forze dell'ordine, di oscurare i loro meriti, il loro lavoro, la loro abnegazione, la loro difficoltà. Questo è un provvedimento simbolo della sinistra del Parlamento e di Governo di questa legislatura e non so se, portando a casa questo simbolo di provvedimento, il Governo possa manifestare poi qualche forma di vanto nei confronti dell'elettorato; non sicuramente nei confronti del personale delle forze dell'ordine al quale dovrebbe invece consegnare, ripeto, un ben altro simbolo: il rinnovo del contratto con un cospicuo aumento dei loro stipendi. Credo che questo sarebbe il provvedimento giusto di fine legislatura che le forze dell'ordine attendono. Quindi, noi diciamo che alle forze dell'ordine va la nostra gratitudine, va il nostro rispetto, va la nostra solidarietà e vicinanza quando, come, ancora una volta, è accaduto oggi a Bari, sono loro vittime di violenza e di aggressioni che rendono difficile l'esercizio del loro lavoro e che è un ben strano Parlamento quello che, per mesi, si occupa invece di discutere di possibili eventuali reati, aggravanti che vengono commessi dalle forze dell'ordine nell'esercizio del loro lavoro. Per tale ragione, il gruppo di Forza Italia manifesta tutte le proprie perplessità e la propria contrarietà alla discussione della proposta di legge che, ripeto, è anche un po' surreale che venga inserita all'ordine del giorno della Camera proprio oggi, giorno successivo al risultato delle elezioni amministrative che hanno visto così pesantemente penalizzata la maggioranza di governo e il Partito Democratico, da una parte, ma, dall'altra, anche il MoVimento 5 Stelle che pure sostiene l'introduzione delle norme, anzi - l'abbiamo sentito - dice che così non sono sufficienti, che il Senato le ha peggiorate e occorre che il reato di tortura sia previsto in maniera ancora più pesante. Noi a questo diciamo no; naturalmente lo diremo anche quando si passerà - se si passerà purtroppo - alla fase di votazione degli emendamenti e del testo nelle prossime settimane. Per adesso, ci importava segnare la nostra linea di coerenza che vi chiede certo più sicurezza e più legalità ma che richiede più sicurezza e più legalità dalla parte delle forze dell'ordine, con le forze dell'ordine e non contro le forze dell'ordine. Il problema del nostro Paese, Presidente, e concludo per davvero - l'ho già detto una volta - è che ci sono troppe pagine social e troppe scritte sui muri contro le forze dell'ordine. Questo è il problema del nostro Paese: il fatto che vi è un'istigazione all'odio nei confronti di chi svolge il lavoro di rispetto della legge e di assicurare la sicurezza dell'Italia e di questo vorremmo che il Parlamento, il Partito Democratico, la maggioranza, i colleghi del MoVimento 5 Stelle si occupassero. Non c'è un allarme tortura nel nostro Paese: c'è un allarme sicurezza e c'è un allarme di forze dell'ordine che sono sottopagate e che sono troppo poche. Di questo vorremmo che il Governo si facesse finalmente interprete con i provvedimenti giusti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Daniele Farina. Ne ha facoltà.

DANIELE FARINA. Grazie, Presidente. “Quello che affrontiamo è l'esito naturale seppur tardivo della ratifica operata quasi vent'anni fa dal nostro Paese della Convenzione delle Nazioni Unite ma è anche un segnale a contrasto di quanti hanno legittimato la tortura in nome di un presunto conflitto di civiltà e della guerra preventiva quasi che Abu Ghraib fosse un prezzo necessario o quanto accade nelle celle di Guantanamo fosse un male minore, segnale in opposizione a quanti non hanno ravvisato nei giorni drammatici di Genova 2001 la creazione di una voragine, di un vulnus grave nei diritti fondamentali e nelle libertà costituzionalmente garantite”. Qualcuno, colleghi, avrà notato che date e nomi non tornano e infatti correva l'anno 2006, il mese di dicembre, e le frasi precedenti fanno parte della dichiarazione finale di voto dello stesso tentativo di introdurre nel nostro ordinamento il delitto di tortura.

Ricordo bene perché feci io quella dichiarazione e l'esame di questa Camera si concluse con le parole: “la Camera approva”. Accadeva quasi undici anni fa e oggi eccoci qui: questa norma è partita male dal Senato della Repubblica e va finendo peggio. Di passaggio in passaggio c'è stato raccontato che il meglio è nemico del bene al punto però che il bene oggi è una fioca luce. Ad un reato comune, piuttosto che proprio, rivolto cioè laddove logica vorrebbe, il pubblico ufficiale, si è aggiunta la pluralità delle condotte, la verificabilità del trauma psichico e, ancora, un tempo di prescrizione del reato abbreviato in totale controtendenza rispetto all'impeto mostrato solo poco giorni fa in occasione della riforma del codice penale, di procedura e dell'ordinamento penitenziario e, al contempo, un bello sbarramento all'estradizione eventuale. Si configura una sorta di reato impossibile a meno di non incontrare magistrati dotati di molto, forse troppo coraggio. Dunque non stupisce che pochi giorni fa il commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa abbia messo per iscritto la distanza del testo dalla Convenzione ONU, pure sottoscritta dall'Italia un secolo fa, e dalle successive normative di molti Paesi europei. Ma cosa ha di diverso questo Paese dagli altri d'Europa? Perché quasi trent'anni dopo si giunge al testo in esame? Ma non sarà - mi chiedo - che nelle fasi più buie della nostra storia la tortura è stato un ospite non saltuario? Ma non sarà che qualcuno pensa che, nel presente segnato dal terrorismo internazionale, possa venir buona? E perché solo qui la normalità si spaccia per una manovra contro le forze di polizia? Domande e carenze evidenti che imporrebbero modifiche. Mentre la Corte europea dei diritti dell'uomo incredula passa di condanna in condanna, l'Italia, ultima della classe sul tema, non patria del diritto ma un po' una Repubblica bananiera: altro che il punto fermo che oggi il Presidente Mattarella auspicava. Qualche “giornalone” pubblica da molti giorni la lista delle leggi da non tradire: una volta approvata, compare una sorta di spunta, un “fatto!” (con il punto esclamativo). Non dubitiamo che, anche per questo provvedimento, sarà così: “Finalmente approvata la norma sulla tortura”. Peccato che, nella sostanza, non sia così perché testo e titolo divergono con grande evidenza. Chissà cosa ne penserebbe il senatore del Partito Comunista, Nereo Battello, che, per primo, all'inizio della X legislatura, nell'aprile del 1989, propose l'introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento, disegno di legge n. 1677, un articolo, poche righe. Oggi siamo ad un articolato di due pagine che sembra scritto da Tomasi di Lampedusa ovvero, se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2168-B)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori rinunciano ad intervenire in sede di replica.

Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

GENNARO MIGLIORE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, Presidente. Intervengo nella discussione che ritengo assai importante per la vita di questa legislatura al fine di introdurre alcuni elementi che possano contribuire anche a definire meglio la posizione del Governo sulla base delle considerazioni che sono state fatte in primo luogo dal relatore Vazio e che poi sono state riprese in sede di dibattito.

Innanzitutto, vorrei chiarire che questa non è una pretestuosa richiesta, lo dico all'onorevole Vito, ossia che l'introduzione del reato di tortura, come qui è stato ricordato anche dai relatori, è un obbligo al quale non ci richiama solo autorevolmente il Presidente della Repubblica, ma anche la sottoscrizione, la libera ratifica di un trattato che ormai data il 1984. È un testo, questo, che ha subito molti rimaneggiamenti, lo vorrei dire con grande chiarezza, troppi, e anche per troppo tempo. La prima approvazione fu quella del 2014, poi vi fu un'altra in seconda lettura alla Camera dell'aprile del 2015 e poi è stata approvata dal Senato in terza lettura il 17 maggio del 2017, oltre due anni dopo, con uno stop intermedio nel luglio del 2016. Il testo è stato contestato in vari punti. Ciò che ritengo francamente fuorviante, e lo dico in particolare al relatore di minoranza e all'onorevole Farina, è ritenere che questo sia un testo che indebolisca la capacità incriminatrice che questo reato comporta.

Il testo è stato osservato in alcuni aspetti. È evidente che, ripeto, i vari rimaneggiamenti lo hanno reso forse più complesso, ma ritenere che la forma con la quale si tipizza nell'articolo 613-bis il reato e la sua capacità incriminatrice sulla base di un equivoco, o meglio, di un'interpretazione che non è quella corretta, penso che sia un errore, e, siccome anche in sede giurisprudenziale i nostri dibattiti verranno letti per comprendere qual è l'effettiva intenzione del legislatore, vorrei qui ribadire un concetto che è stato espresso dal relatore Vazio. Non è vero che le condotte debbano essere solo “più condotte”. C'è un “ovvero”, che si riferisce a una congiunzione disgiuntiva, che introduce un'ulteriore fattispecie, cioè quella che anche un singolo atto, se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona, è qualificato come tortura.

Vorrei che questo rimanesse agli atti, e, nell'esercizio reciproco della buona fede, oltre che nella corretta interpretazione dei testi normativi, si definisse questo come l'elemento dal quale partire. Non sono abituato - chi mi conosce lo sa - ad utilizzare artifici retorici. Se ci fosse stata una indicazione, frutto, anche in quel caso, di un compromesso, che avesse proposto il tema della pluralità delle condotte e basta, non avrei avuto esitazioni a sostenere che così era, ma così non è, onorevole Farina, non è.

L'ovvero inteso come congiunzione esplicativa è un'interpretazione forzata, che anche in sede europea chiariremo, visto che è stata fatta un'osservazione in questo senso, e penso che la risposta che dobbiamo dare, non solamente alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che ricordano e intimano, in qualche modo, all'Italia di approvare una normativa su un reato come quello della tortura, siano delle sentenze che ci spingono a considerare anche ciò che ha detto proprio in questa sede l'onorevole Farina, cioè quegli undici anni da quella dichiarazione di voto finale che io ben ricordo e che non portò a nessun esito, onorevole Farina. Penso che noi dobbiamo introdurre, per una questione, oserei dire, quasi di igiene linguistica, il termine “tortura” nel nostro ordinamento. Oggi è impronunciabile, e il voler considerare un ulteriore passaggio al Senato – lo dico io che ho seguito passo passo il testo anche al Senato - vuol dire consegnarlo ad un rischio di inconcludenza che credo la nostra generazione politica, prima ancora che la nostra funzione di legislatori, oggi non si possa permettere.

Penso, in questo senso, che non sia una norma vessatoria, condivido le osservazioni di merito che sono state fatte dal relatore e da chi è intervenuto ritenendo che vi debbano essere dei casi specifici. Voglio essere molto chiaro su questo punto: non si tratta, come è stato banalizzato in più parti, anche nelle Aule parlamentari, in nessun modo di un atto contro una categoria, ma di un atto legislativo, e quindi ribadisco la mia fiducia e anche rispetto, stima e riconoscenza nei confronti delle forze dell'ordine, ma di uno strumento teso a reprimere reati che oggi, anche su casi ben noti, sono andati prescritti perché non venivano, caro onorevole Vito, proprio ricoperti e ricompresi da quei reati che sono già presenti nel nostro codice: percosse, lesioni aggravate, violenza privata, riduzione in schiavitù, abuso di autorità su arrestati o detenuti.

Reati che già sono previsti nel nostro codice, ma che non hanno impedito la prescrizione di comportamenti che sarebbero stati altrimenti qualificati come tortura. Il fatto che non sia un reato proprio, ma che vi sia l'aggravante per chi li commette nella funzione di pubblico ufficiale, rappresenta una garanzia e, appunto, un principio di non contraddizione con quella che è la Convenzione dell'ONU del 1984.

E penso che alla prima applicazione, spero che ciò non avvenga, ma, qualora dovesse avvenire, saranno chiariti quei punti che oggi possono apparire più indefiniti all'occhio meno attento, a mio giudizio, di chi sta guardando questa norma non sulla base dell'istituzione di un principio generale, ma solo sulla base di un'applicazione di un concetto, quello del reato proprio, che noi, in qualche modo, estendiamo. Peraltro, non ho compreso dall'onorevole Farina anche il riferimento a quelli che sono gli aspetti relativi all'estradizione, perché a me sembra del tutto evidente che questa parte debba essere una parte a tutela e garanzia del nostro ordinamento, cioè che ciò non si possa realizzare attraverso l'estradizione verso uno Stato rispetto al quale è previsto un rischio di tortura, ma su questo, probabilmente, avremo modo di chiarirci successivamente.

Infine, un'osservazione la voglio fare anche prendendo a prestito una frase di chi è stato incaricato di essere il Garante delle persone private della libertà, Mauro Palma. A questo riguardo, vorrei ricordare che l'istituzione del Garante delle persone private della libertà personale, insieme all'avere affrontato il tema del sovraffollamento carcerario, ci ha condotti fuori dalla procedura di sanzione dalla quale il nostro Paese era stato colpito.

Ebbene Mauro Palma, in un commento relativo al testo che in questo momento ci apprestiamo a votare, ha sostenuto - e penso che il suo pensiero sia autorevole e sia anche quello di un'autorità indipendente, oltre che di comprovata esperienza in questo ambito della tutela dei diritti umani - provo a citare a memoria: questa legge non è esattamente quella che noi avremmo scritto, ma ne auspico la più rapida approvazione senza modifiche, affinché vi possa essere nel nostro ordinamento un reato come quello di tortura.

Si tratta, in questo senso, di comprendere qual è la portata non solo simbolica, ma fattuale di una prescrizione inserita all'interno dei nostri codici, del nostro codice, che garantirà certamente al nostro Paese non solo di non essere il fanalino di coda, ma anche di vedere compiuto un atto risarcitorio nei confronti delle vittime di tortura.

Penso che questo sia lo spirito giusto con il quale affrontare un tema tanto delicato e io penso che questo sia lo spirito che ha animato chi, in questa fase della discussione parlamentare, ha inteso rappresentare l'esigenza di un'approvazione definitiva in quest'aula del Parlamento.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della Relazione all'Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli statuti speciali, approvata dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali (Doc. XVI-bis, n. 11) (ore 17,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della Relazione all'Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli statuti speciali, approvata dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali (Doc. XVI-bis, n. 11).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto, altresì, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione - Doc. XVI-bis, n. 11)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.

Ha facoltà di intervenire il presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali, onorevole Gianpiero D'Alia.

GIANPIERO D'ALIA, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Grazie signor Presidente e onorevoli colleghi, la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha avviato una riflessione sullo stato del regionalismo e più in generale sull'assetto degli enti territoriali del nostro Paese, dopo l'esito non confermativo del referendum costituzionale del dicembre 2016.

La strada indicata dalla riforma costituzionale con il superamento del bicameralismo paritario e la configurazione del Senato quale Camera delle autonomie e con la revisione del Titolo V non risulta allo stato più percorribile.

Restano peraltro sul tappeto i problemi a cui il nuovo assetto istituzionale intendeva dare una risposta, in primis l'individuazione di forme di raccordo tra Stato e Autonomie territoriali, che consentano un più rapido ed efficace raggiungimento di posizioni condivise, una semplificazione del quadro dei relativi rapporti ed il superamento del contenzioso istituzionale.

Con la relazione oggi all'esame dell'Assemblea, la Commissione intende portare a compimento il percorso intrapreso negli ultimi due anni con lo svolgimento di due indagini conoscitive sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riferimento al sistema delle Conferenze e sulle problematiche concernenti l'attuazione degli Statuti delle regioni ad autonomia speciale.

Nel corso della fase istruttoria, è stata svolta un'ulteriore breve indagine conoscitiva, mirata all'individuazione di proposte concrete ed operative volte a completare il quadro istituzionale delineato dalla riforma costituzionale del 2001, che può allo stato ritenersi consolidato, adeguando finalmente ad esso le procedure parlamentari.

Richiamo solo due numeri, che fanno comprendere l'impegno profuso dalla Commissione: considerate congiuntamente le tre indagini conoscitive, la Commissione ha svolto ben 49 sedute e ha audito circa 100 personalità fra rappresentanti del Governo centrale, delle autonomie territoriali, del mondo accademico, della magistratura amministrativa e contabile e dei dirigenti della pubblica amministrazione.

Nell'ambito dell'ultima indagine conoscitiva, i soggetti auditi hanno convenuto sulla necessità di riconoscere una sede parlamentare di dibattito e confronto sulle questioni relative agli enti territoriali, individuata nella Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata da rappresentanti delle autonomie territoriali, in attuazione delle previsioni di rango costituzionale della riforma del Titolo V del 2001, recate dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

Ricordo che tale norma costituzionale prevede che, sino alla revisione delle norme del Titolo I della parte seconda della Costituzione, i Regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali (primo comma) e che quando un progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione contenga disposizioni sulle quali la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata ai sensi del comma 1, abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionato all'introduzione di modificazioni specificatamente formulate e la Commissione che ha svolto l'esame in sede referente non vi si sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto l'Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti (secondo comma del citato articolo 11).

L'integrazione della Commissione era delineata dall'articolo 11 come una soluzione-ponte, in attesa di una più ampia riforma costituzionale che trasformasse il Senato in una Camera delle autonomie, trasformazione che avrebbe costituito la via maestra per un regionalismo compiuto.

Il dibattito svoltosi dall'inizio della XIV legislatura e finalizzato all'attuazione all'articolo 11 si era infatti arrestato proprio a seguito dell'avvio dell'iter legislativo della riforma costituzionale, che configurava il Senato come una Camera federale, riforma che non ha superato il vaglio del referendum costituzionale del giugno 2006.

L'esito non confermativo del referendum, relativo alla seconda riforma costituzionale approvata dal Parlamento sul tema, impone di procedere all'attuazione dell'articolo 11, che costituisce allo stato l'unica forma di raccordo tra Stato e Autonomie territoriali prevista a livello costituzionale, in un assetto che può oramai ritenersi consolidato.

La mancata attuazione dell'articolo 11 ha costituito per il Parlamento una sostanziale rinuncia ad una funzione essenziale nell'attuale sistema di governance multilivello, la funzione di coordinamento tra i diversi livelli di governo.

Le assemblee parlamentari costituiscono invece la sede naturale per la realizzazione del principio di leale collaborazione, soprattutto - ma non solo - nell'ambito del procedimento legislativo, sede che consente di riportare nel circuito della democrazia rappresentativa l'adozione di scelte di fondamentale importanza per la vita dei cittadini.

È lo stesso articolo 5 della Costituzione che richiede alla Repubblica di adeguare i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

L'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, lungi dal costituire una soluzione anacronistica, risulta dunque quanto mai urgente, nella fase attuale, per superare l'impasse dovuta all'assenza di uno spazio parlamentare per la composizione degli interessi degli enti costitutivi della Repubblica.

Manca infatti una sede istituzionale pubblica e trasparente, dove le istanze provenienti dai territori possano confrontarsi con lo Stato centrale, al fine di elaborare soluzioni comuni, che consentano di disporre di un quadro certo e stabile di regole per gli enti territoriali, evitando interventi disorganici e disomogenei, che spesso, a prescindere dal colore delle maggioranze politiche di turno, si sono succeduti nel tempo e ciò anche al fine di assicurare il rispetto del principio di correlazione tra funzioni pubbliche e risorse, riconosciuto dalla consolidata giurisprudenza costituzionale, che costituisce un punto imprescindibile di garanzia dei diritti dei cittadini.

La Commissione parlamentare per le questioni regionali in composizione integrata potrebbe altresì costituire uno snodo fondamentale per la prevenzione del conflitto costituzionale tra Stato e regioni: il riparto di competenze legislative delineato dall'articolo 117 della Costituzione ha infatti ben presto dimostrato la sua insufficienza nella composizione degli interessi nazionali, regionali e locali, anche a causa della mancata attuazione dell'autonomia finanziaria che l'articolo 119 della Costituzione riconosce agli enti territoriali.

Come è noto, è stata conseguentemente la Corte costituzionale a dover risolvere i continui conflitti tra Stato e regioni, svolgendo di fatto un ruolo di arbitro che non dovrebbe competere ad un giudice delle leggi.

La Corte costituzionale ha del resto più volte fatto riferimento, nelle sentenze volte a dirimere i conflitti tra Stato e regioni, applicando il principio di leale collaborazione, alla perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e più in generale dei procedimenti legislativi, anche solo nei limiti di quanto previsto dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 (confronta al riguardo le sentenze n. 7 del 2016, n. 278 del 2010, n. 401 del 2007, n. 383 del 2005, n. 6 del 2004).

In assenza di tale adeguamento dei procedimenti legislativi, la legge statale, che intervenga in ambiti su cui esistono prerogative regionali, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale, solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter, in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese che devono essere condotte in base al principio di lealtà (tra le altre, le sentenze n. 7 del 2016, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003). Deve trattarsi di intese forti, non superabili con una determinazione unilaterale dello Stato, se non nell'ipotesi estrema, che si verifica allorché l'esperimento di ulteriori procedure bilaterali si sia rivelato inefficace. Le procedure concertative erano circoscritte, almeno fino alla recente sentenza n. 251 del 2016, alla fase di attuazione delle leggi.

In tale assetto un ruolo essenziale viene, dunque, svolto dal sistema delle conferenze, che costituiscono attualmente la sede del raccordo tra Stato ed autonomie territoriali, rappresentando l'unico organo in grado di assicurare il coordinamento tra i diversi livelli territoriali di governo. Le conferenze, hanno, dunque svolto un ruolo giustamente definito nel corso dell'indagine conoscitiva di supplenza benemerita. Esse costituiscono, peraltro, un luogo di concertazione degli esecutivi e non risultano la sede più appropriata, laddove si tratta di incidere sulla funzione legislativa.

Proprio l'assenza di un coinvolgimento diretto delle autonomie territoriali nel procedimento legislativo può contribuire a spiegare l'insorgere dell'elevato contenzioso costituzionale. In quest'ottica l'attuazione dell'articolo 11 consentirebbe di assicurare a monte, nell'ambito del procedimento legislativo, il rispetto del quadro delle competenze, delineato dal Titolo V della Costituzione. Tale rispetto allo stato attuale è rimesso esclusivamente alle sentenze della Corte costituzionale, che possono intervenire solo ex-post e a distanza di lungo tempo dall'approvazione della legge, collocandosi in un momento in cui la legge è spesso già in fase di avanzata attuazione e determinando frequentemente situazioni di stallo.

La recente sentenza n. 251 del 2016 ha inoltre segnato un'importante svolta nella giurisprudenza costituzionale. La Corte Costituzionale, mutando il proprio precedente orientamento, ha infatti riconosciuto l'applicabilità del principio di leale collaborazione anche nel procedimento legislativo: là dove il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali inestricabilmente connesse, sorge la necessità del ricorso all'intesa. Secondo tale sentenza, il principio di leale collaborazione è tanto più apprezzabile, se si considera ancora una volta la perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in genere, dei procedimenti legislativi e diviene dirimente nella considerazione di interessi sempre più complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori.

La relazione oggi all'esame dell'Assemblea individua proposte operative per l'attuazione del più volte richiamato articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, individuando soluzioni volte a superare le obiezioni finora incontrate per tale attuazione, legate principalmente al timore che tale attuazione possa determinare un aggravio del procedimento legislativo.

Limitandomi alle questioni più importanti, rinviando per il resto al contenuto della relazione, la relazione affronta, innanzitutto, il problema delle fonti per l'attuazione dell'articolo 11 e della determinazione del numero e delle modalità di scelta dei rappresentanti delle autonomie territoriali. Per ciò che attiene, in particolare, al numero dei componenti, partendo dal presupposto dell'opportunità che la Commissione sia composta da un eguale numero di membri del Parlamento e di rappresentanti degli enti territoriali, risulta preferibile una composizione di 60 membri: trenta parlamentari (quindici deputati e quindici senatori) e trenta rappresentanti delle autonomie.

Uno dei punti più delicati dell'attuazione dell'articolo 11 riguarda l'individuazione delle modalità di deliberazione e funzionamento della Commissione in composizione integrata. Si tratta, infatti, del primo caso in cui una Commissione parlamentare assume deliberazioni con la partecipazione di soggetti non parlamentari. Devono in proposito essere considerati i notevoli poteri riconosciuti alla Commissione dell'articolo 11 nell'ambito del procedimento legislativo e, in particolare, la previsione secondo cui il parere contrario o il parere con condizioni specificamente formulate può essere superato dall'Assemblea solo con votazione a maggioranza assoluta, quindi con una maggioranza più ampia di quella prevista per la fiducia al Governo. Al fine di assicurare il corretto funzionamento del sistema costituzionale con riguardo al rapporto Parlamento-Governo, appare necessario adottare dei correttivi che evitino che la Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata possa assumere strutturalmente decisioni sulla base di maggioranze occasionali, indotte da ragioni di mero opportunismo politico più che di merito.

Si tratta infatti di un organo che, sia per la sua natura bicamerale sia per la presenza di membri non parlamentari in rappresentanza degli enti territoriali, risulta in ultima analisi esterna al circuito fiduciario. Ciò può affermarsi anche sulla base della ratio dell'articolo 11, come ricostruita anche dalla giurisprudenza costituzionale, volta a far sì che il procedimento legislativo sia integrato con la partecipazione degli enti territoriali, cui la riforma del Titolo V ha assegnato rilevanti competenze legislative, di cui occorre tenere conto già nell'ambito dell'iter parlamentare di approvazione delle leggi.

Estranea alla logica dell'articolo 11 risulta, invece, l'introduzione di meccanismi o procedure che consentano condizionamenti dell'iter legislativo senza il consenso della maggioranza parlamentare, finendo in ultima istanza per incidere sulla stessa forma di Governo.

Può al riguardo riprendersi una soluzione già profilata nel corso del dibattito svolto nell'ambito delle Giunte per il Regolamento della Camera e del Senato nella XIV legislatura, adottando un sistema di voto per componenti. In base a tale sistema il parere della Commissione si intende approvato quando a seguito dell'effettuazione di un'unica votazione, cui partecipino contestualmente sia i parlamentari sia i rappresentanti delle autonomie, esso abbia ottenuto la maggioranza dei voti della componente parlamentare e di quella delle autonomie (complessivamente considerata), distintamente computate. Tale soluzione presente il pregio di incentivare la ricerca di soluzioni concordate tra la componente parlamentare e il sistema delle autonomie e di promuovere il raggiungimento di intese tra i diversi livelli di rappresentanza istituzionale, in quanto l'intesa costituisce l'unico modo per assicurare il funzionamento della Commissione.

Più in generale, al di là della formalità dei meccanismi di voto, la Commissione in composizione integrata dovrebbe lavorare sulla base del modello del consenso, adottato dal Comitato europeo delle regioni, cercando di addivenire per quanto possibile a decisioni condivise, che siano espressione di un metodo di lavoro di carattere cooperativo. A tale proposito, per l'attività della Commissione consistente nell'espressione di pareri, può prospettarsi come motilità ordinaria di lavoro la nomina di due relatori, un parlamentare e un rappresentante delle autonomia.

Ulteriore questione assolutamente rilevante riguarda gli effetti nell'ambito del procedimento legislativo dei pareri espressi dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Anche in tal caso le soluzioni prospettate nella relazione sono volte ad accogliere un'indicazione comune emersa nel corso dell'istruttoria svolta, nel senso di favorire un'interpretazione dell'articolo 11 tesa a limitare i casi di produzione dell'effetto del voto a maggioranza assoluta, al fine di evitare aggravi eccessivi del procedimento legislativo.

In ogni caso, ove si riuscisse nella legislatura in corso a procedere alle modifiche dei regolamenti parlamentari e della legislazione ordinaria necessarie per l'attuazione dell'articolo 11, la Commissione in composizione integrata potrebbe iniziare a lavorare solo nella XVIII legislatura.

La natura bicamerale della Commissione fa sì che essa costituisca un osservatorio privilegiato sui problemi delle autonomie territoriali. Il diretto supporto degli enti territoriali all'attività consultiva consentirebbe di individuare e apprestare soluzioni a monte, già in fase di approvazione della legge, ai numerosi problemi che ordinariamente si pongono in fase di attuazione delle norme concernenti gli enti territoriali e potrebbe svolgere anche un ruolo in funzione di prevenzione del contenzioso costituzionale.

Auspico, dunque, che si possa intervenire fin da subito con una norma transitoria, che nel rispetto dei vigenti regolamenti parlamentari consenta ai rappresentanti degli enti territoriali di collaborare con la Commissione.

Un secondo tema affrontato dalla relazione – e mi avvio alle conclusioni, signor Presidente -, e peraltro connesso con il precedente, riguarda l'esigenza di una razionalizzazione del sistema delle conferenze.

Tra le principali criticità delle conferenze intergovernative, dall'indagine conoscitiva svolta è emersa l'eterogeneità delle materie all'ordine del giorno e la conseguente necessità di concentrare l'attività sugli ambiti propri del confronto tra Governo nazionale ed esecutivi degli enti territoriali. Si segnala, inoltre, l'opportunità di sostituire le tre conferenze con una conferenza unica, articolata in una sede plenaria e in due distinte sezioni (regionale e locale).

Nell'ambito delle conferenze dovrebbe essere poi favorita una maggiore bilateralità, attenuando la posizione di supremazia del Governo con la previsione di forme di rotazione della presidenza o di una copresidenza ed assicurando una maggiore partecipazione degli enti territoriali alla formazione dell'ordine del giorno.

È emersa altresì l'esigenza di più ampie forme di trasparenza e pubblicità degli atti e delle sedute delle conferenze, al fine di rendere più agevolmente conoscibile la posizione di vari soggetti per una corretta assunzione di responsabilità.

Sotto altro profilo, si è rilevata l'assenza di una vera sede politica, in cui il Governo nazionale e gli esecutivi territoriale si confrontino sulle grandi scelte strategiche per il Paese. La relazione suggerisce l'istituzione di una Conferenza degli esecutivi, composta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai presidenti delle regioni e delle province autonome, con il compito di delineare un'agenda politica condivisa tra Governo centrale e territori.

Il terzo tema affrontato dalla Relazione riguarda le regioni a statuto speciale. Il lavoro della Commissione si è articolato su due versanti: la revisione degli statuti speciali e l'attuazione delle norme statutarie. Si tratta di due aspetti fra loro connessi: per un verso infatti l'esito non confermativo del referendum costituzionale del 2016 non ha fatto venir meno l'esigenza di un'organica revisione degli statuti speciali; per altro verso appare ineludibile una regolamentazione del procedimento di attuazione, al fine di eliminare le evidenti distonie che hanno fin qui caratterizzato i procedimenti nelle diverse regioni a statuto speciale. In quest'ambito, una specifica attenzione è stata dedicata alla questione dell'ordinamento finanziario delle regioni ad autonomia speciale.

L'ultimo tema affrontato dalla Relazione è quello del riordino degli enti di area vasta, province e città metropolitane. All'indomani del referendum costituzionale si è avviato un dibattito sulle possibili conseguenze della mancata entrata in vigore della riforma della Costituzione sulla legge n. 56 del 2014, con cui si è operato il riordino. In proposito, rimane immutata la collocazione nell'ordinamento delle province, che continuano ad essere enti costitutivi della Repubblica insieme allo Stato, le regioni, le città metropolitane e i comuni, e a vantare una propria autonomia anche in termini finanziari. Ed è proprio alla luce della posizione di equiparazione agli altri enti territoriali delle province, che deve essere rapportata ogni ipotesi di intervento ulteriore che incida sugli enti di area vasta.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIANPIERO D'ALIA, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. La Relazione ritiene auspicabile che ogni riflessione in proposito non possa non tener conto delle trasformazioni a livello territoriale nel frattempo intervenute, e in particolare della rilevante attività legislativa posta in essere dalle regioni in attuazione della legge n. 56.

Più che ad una rivisitazione della legge n. 56, l'attenzione dovrebbe essere posta in particolare su alcune misure che, come sostenuto anche dalla Corte dei Conti in audizione, hanno inciso significativamente sull'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti di area vasta, e che fondavano la loro legittimità proprio nella prospettiva della riforma costituzionale. È stata infatti l'esiguità delle risorse, risultante dalla contestualità del taglio dei trasferimenti statali e del ritardo nell'attuazione del federalismo fiscale, che ha fatto sì che non fosse sempre pienamente assicurata la corrispondenza tra funzioni affidate e risorse assegnate, principio peraltro riconosciuto dalla Corte costituzionale. Solo superando in modo strutturale le condizioni di difficoltà finanziaria, si potrà ottenere un efficace governo di area vasta: in questo senso, ritengo apprezzabili gli sforzi che Governo e Parlamento stanno compiendo in questa direzione, da ultimo anche nell'ambito del recente decreto-legge n. 50 del 2017.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Ribaudo. Ne ha facoltà.

FRANCESCO RIBAUDO. Presidente, non scenderò nei dettagli della Relazione, perché il Presidente l'ha fatto bene, e devo dire anche nel dettaglio, su tutta una serie di proposte e di ipotesi. Tocca a me comunque fare anche la mia parte, e per quanto riguarda il Partito Democratico, su quello che si potrebbe e si dovrebbe fare.

La Commissione parlamentare per le questioni regionali in questi ultimi due anni ha fatto propria l'esigenza di una riflessione sistematica sullo stato del regionalismo in Italia, con particolare riguardo alle forme di raccordo tra Stato e autonomie territoriali. Lo ha fatto con tre importanti indagini conoscitive. La prima ha riguardato le problematiche concernenti l'attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale, con specifico riferimento al ruolo e al funzionamento delle Commissioni paritetiche. Sappiamo che i cinque statuti delle cinque regioni a statuto speciale sono un po' diversi, sono state anche diverse negli anni le applicazioni, e persino il funzionamento delle Commissioni paritetiche. Un'ulteriore indagine poi è stata fatta sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con riguardo al sistema delle Conferenze: è questa che è durata un po' più a lungo, e si è incrociata con lo stesso referendum sulla riforma costituzionale. E quindi la terza commissione d'indagine. Io credo sia stata un'intuizione felice da parte del presidente all'indomani del referendum costituzionale di voler affrontare questa vicenda: che cosa avviene oggi nella nostra Repubblica, nel funzionamento delle nostre istituzioni, all'indomani della bocciatura del referendum.

Quindi abbiamo dovuto riprendere questa indagine conoscitiva, questa volta anche alla luce della sentenza n. 251, che nel frattempo, a novembre 2016, pronunciò la Corte costituzionale. Si è reso necessario quindi svolgere un lavoro di sintesi organica sulle forme di raccordo tra Stato ed enti territoriale, con l'obiettivo di portare a questa Assemblea elementi, riflessioni, nonché suggerimenti, ipotesi e proposte concrete per la piena applicazione della riforma costituzionale prevista dalla legge n. 3 del 2001.

L'attuazione degli statuti speciali: dico subito che in fase di formulazione delle riforme, in tutto il lavoro parlamentare, da parte di alcune parti politiche si era varata l'ipotesi che gli statuti speciali potessero essere cancellati. Bene, il lavoro della Commissione ha dato un esito diverso: la specialità delle regioni non va cancellata, anzi va valorizzata; e io credo questo sia l'intento poi del sunto dei lavori della Commissione, e che vada anche riconosciuta specialità con l'articolo 116 della Costituzione vigente, e quindi un'autonomia differenziata a quelle regioni oggi a statuto ordinario che avrebbero bisogno e necessità di valorizzare le proprie peculiarità.

Viene proposta la prosecuzione del confronto unitario con il coinvolgimento dell'assemblea elettiva regionale, avviato tra le regioni a tal proposito, e viene proposta la prosecuzione nel confronto unitario con il coinvolgimento delle assemblee elettive già avviato tra regioni a statuto speciale e Stato, al fine di potersi concludere poi con una convenzione che tracci le linee procedurali per un percorso comune di revisione degli statuti: come dicevo prima, gli statuti speciali sono diversi, non c'è unitarietà, e questa è una questione che dovremo affrontare prima o poi, come già è accaduto del resto con l'esperienza conclusasi con l'approvazione della riforma costituzionale n. 2 del 2001.

In tal senso, possono essere delineate soluzioni comuni, concernenti le problematiche messe a fuoco nel corso dell'indagine conoscitiva. Abbiamo convenuto, per esempio, che l'aggiornamento degli statuti, indipendentemente da quella riforma approvata o non approvata, l'aggiornamento, l'adeguamento degli statuti dovrà essere effettuato, l'armonizzazione della disciplina della composizione e del funzionamento delle commissioni paritetiche, la regolamentazione del procedimento di adozione degli schemi legislativi di attuazione degli statuti, la definizione dei principi e dei criteri direttivi comuni della disciplina dei rapporti finanziari con lo Stato: su questi punti il documento conclusivo già propone importanti soluzioni, immediatamente operative, alle quale può farsi sicuramente rinvio. Nell'ambito di procedure concordate ciascuna autonomia speciale, in base alle proprie caratteristiche, alle proprie esigenze, alla propria cultura economica e sociale, potrà organizzarsi e autodeterminarsi in un quadro condiviso di responsabilità nazionale: e quindi, altro che superamento delle specialità!

Per quanto riguarda la seconda indagine, sistema delle Conferenze e raccordo tra Stato e regioni, si premette che buona parte dei lavori sono stati svolti prima del 4 dicembre 2016, perciò l'indagine all'epoca si muoveva sulla base di due obiettivi: uno era a norme ferme, a Costituzione vigente, l'altro era nell'ipotesi appunto che il referendum venisse approvato, per poi verificare l'impatto delle nuove disposizioni costituzionali, qualora appunto il referendum fosse stato approvato.

L'altro, acquisire poi elementi anche istruttori utili per verificare se, dopo 30 anni dall'istituzione della Conferenza Stato-regioni, e dopo alcuni tentativi di riforma, sia opportuno, ed eventualmente secondo quali linee direttrici, un riordino complessivo delle Conferenze a Costituzione vigente. Nel corso dello svolgimento dell'indagine, è emerso che anche nel caso di approvazione della riforma costituzionale il sistema delle Conferenze non andasse soppresso, bensì riformato, e riformato con tutte le proposte e con tutti i suggerimenti che poco fa elencava il presidente D'Alia. Ci possono essere diverse soluzioni, ma nell'occasione non è stato detto, abbiamo anche fatto delle analisi di diritto comparato con le altre regioni europee: dove, nonostante lì esistano due Camere, una Camera bassa e una Camera alta, la Camera dei comuni, quindi la Camera degli enti territoriali, anche lì tuttavia le Conferenze esistono e funzionano.

Nel corso dello svolgimento è emerso anche che, in caso di approvazione del referendum costituzionale, il sistema delle Conferenze non andasse soppresso. L'esigenza di porre mano ad una rivisitazione dell'attuale sistema di raccordo, come è emersa nell'ambito della procedura informativa, si impone tuttavia anche a prescindere dalla riforma.

Una delle principali criticità del regionalismo italiano è riconducibile all'assenza di sedi e di istituti di cooperazione tra Stato e autonomie nella formazione della legge e nella definizione delle politiche pubbliche. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 6 del 2004, ha del resto riconosciuta alle Conferenze il ruolo di sede di raccordo e perseguimento della leale collaborazione, appunto nei casi di intervento dello Stato nelle materie di competenza concorrente e residuale delle regioni. Questo principio si fonda sulla mancata trasformazione delle istituzioni parlamentari e in generale sulla mancata modifica dei procedimenti legislativi, idonei poi a garantire l'autonomia degli enti territoriali. Assenza anche, come è noto, della attuazione della disposizione costituzionale dell'articolo 11, commi 1 e 2, della legge costituzionale n. 3, che prevede la possibilità di integrare la Commissione per le questioni regionali con rappresentanti di regioni, province autonome ed enti locali, e che attribuisce al parere reso dalla medesima Commissione, così integrata, su disegni di legge vertenti su materie di competenza concorrente attinenti alla finanza regionale e locale, un valore rinforzato (ne parlava prima il presidente nei dettagli).

Il ruolo strategico di raccordo svolto dalle Conferenze non ha tuttavia impedito finora una consistente contenzioso presso la Corte costituzionale, che ha evidenziato limiti della capacità del sistema di assicurare in talune occasioni la necessaria composizione degli interessi politici. La mancata costituzione di una Camera legislativa - come dicevo prima - in rappresentanza degli enti territoriali e la mancanza di introduzione di specifici strumenti di raccordo fra i vari livelli di governo, hanno determinato la pressoché esclusiva titolarità in capo del sistema delle Conferenze delle funzioni di coordinamento tra i diversi livelli di governo. Anche prima della riforma del 2001, la Corte costituzionale ha fatto applicazione in molteplici pronunce del principio di leale collaborazione desumendolo dal tenore dell'articolo 5 della Costituzione e in particolare dal carattere di unità e di individualità della Repubblica, che richiede l'esigenza di perseguire una composizione di interessi degli enti che ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione la costituiscono. Nella sentenza n. 242 del 1997 la Corte costituzionale riconosce che il principio di leale collaborazione deve governare i rapporti fra lo Stato e le regioni nelle materie in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrono e si intersecano, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi degli enti. Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unità, riconosce e promuove le autonomie locali, alle cui esigenze adegua i principi e i metodi della sua legislazione (articolo 5 della Costituzione), va al di là del mero riparto costituzionale delle competenze per materia, e opera dunque su tutto l'arco delle relazioni istituzionali fra Stato e regioni. Al di là delle materie concorrenziali che ci lascia il Titolo V della Costituzione (moltissime materie tra regioni e Stato sono materia concorrenziale, poi ci sono quelle residuali), persino in quelle di attrazione, di sussidiarietà, in quasi tutte le materie che riguardano interessi territoriali, c'è la necessità di un intervento istituzionale in cui ci sia unitarietà e si salvaguardino le varie parti.

Se è vero che il sistema delle conferenze ha funzionato nel raccordo e nel confronto fra Governo ed enti territoriali nella fase attuativa delle leggi (decreto attuativo, decreto amministrativo, atti di governo, fase quindi discendente), lo stesso non si può affermare per quanto attiene il coinvolgimento degli stessi enti nell'iter formativo delle leggi, cioè nella fase ascendente della legge. Da qui la mole di contenzioso che tuttora persiste tra regioni e Stato. La sentenza n. 251 del 2016 dalla Corte costituzionale, ancorché riguardi un decreto legislativo, pone l'urgenza di applicare quanto previsto della legge n. 3, commi 1 e 2, della riforma, al fine di contenere il proliferare del contenzioso; ciò eviterebbe insomma il proliferare del contenzioso, perché nella fase ascendente della legge molte cose, come diceva il presidente, in quella nuova Commissione potrebbero essere sicuramente confrontate, potrebbero avere modo anche di ricomposizione di interessi.

L'attuazione della disposizione costituzionale relativa all'integrazione della Commissione per le questioni regionali potrebbe anche rappresentare l'occasione per una riflessione organica sull'attuale forme di raccordo tra Stato e autonomie territoriali, nell'ottica di una razionalizzazione complessiva del sistema delle Conferenze mai adeguato alla riforma del Titolo V. Come evidenziato nel documento conclusivo, una delle principali criticità delle attuali Conferenze intergovernative è costituita dalla eterogeneità delle attività poste in essere e dalla conseguente difficoltà di potersi concentrare sulle attività qualificanti. Ad oggi, il sistema delle Conferenze esprime parere su quasi tutti gli argomenti che il Governo pone, quelli connessi al rapporto diretto fra Governo nazionale ed esecutivi degli enti territoriali. Con l'integrazione della Commissione, se si fa, se si riesce a fare, quest'ultima potrebbe attrarre a sé, anche al fine di evitare duplicazioni, l'attività svolta dalle Conferenze nel procedimento legislativo.

Presidente, in conclusione, la Relazione è molto dettagliata, riporta molte ipotesi, molte modalità, molte soluzioni, ed è aperta quindi anche ad essere eventualmente modificata, ad essere anche ampliata, con proposte di costituzione, di modifica e di funzionamento di questa nuova Commissione. Noi vorremmo che questa Commissione si realizzasse da subito per le cose che abbiamo detto, che ho detto prima, ma che rileviamo tutti. La sentenza n. 251 ci pone un problema che potrà essere replicato successivamente su altri atti. Modificare la Commissione e integrare la Commissione ai sensi dell'articolo 11 della riforma, credo che si potrebbe fare con un semplice Regolamento, modificando i Regolamenti parlamentari, e potrebbe evitare il contenzioso. Occorrerà probabilmente anche una legge, una legge che individui le modalità di integrazione della Commissione, quindi di elezione dei componenti. Questo spetterà poi al Parlamento, ma lo si può fare chiaramente con legge ordinaria. Una cosa è certa, ad oggi la riforma costituzionale, il processo di riforme, si è fermato con il referendum, probabilmente si intavolerà nei prossimi anni. Le prossime legislature si occuperanno di questo tema importantissimo, ma nel frattempo abbiamo la necessità, il bisogno di far funzionare bene le istituzioni.

Per quanto ci riguarda, al di là delle questioni di diritto vero e proprio, delle questioni di principio istituzionale, io credo che il coinvolgimento nella fase ascendente della legge, nella fase di formazione della legge da parte degli enti territoriali, sia un fatto di democrazia. Il Parlamento ha tutti gli elementi per poter procedere con legge o con modifiche regolamentari per rendere funzionali e democratiche la nostre istituzioni. Il PD farà la sua parte, e mi auguro che anche gli altri partiti possano lavorare in questo senso.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Annunzio di una risoluzione - Doc. XVI-bis, n. 11)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione D'Alia, Ribaudo, Kronbichler, Parisi, Gigli, Plangger ed altri n. 6-00335 (Vedi l'allegato A), che è in distribuzione.

Il rappresentante del Governo ha comunicato alla Presidenza che si riserva di esprimere il parere in altra seduta. In seguito il dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 27 giugno 2017, alle 11:

1.  Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.

  (ore 15)

2.  Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 16 giugno 2017, n. 89, recante interventi urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio.

(C. 4554)

3.  Seguito della discussione del disegno di legge:

Legge annuale per il mercato e la concorrenza (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato). (C. 3012-C)

Relatori: FREGOLENT (per la VI Commissione) e MARTELLA (per la X Commissione), per la maggioranza; CRIPPA, di minoranza.

4.  Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

BIONDELLI ed altri; ZOLEZZI ed altri; BARONI ed altri; VARGIU ed altri; AMATO ed altri; PAOLA BOLDRINI ed altri; BINETTI: Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione. (C. 913-2983-3115-3483-3490-3555-3556-A)

Relatori: BARONI e BURTONE.

5.  Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 10-362-388-395-849-874-B - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: MANCONI ed altri; CASSON ed altri; BARANI; DE PETRIS e DE CRISTOFARO; BUCCARELLA ed altri; TORRISI: Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano (Approvata, in un testo unificato, dal Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato). (C. 2168-B)

Relatori: VAZIO, per la maggioranza; FERRARESI, di minoranza.

6.  Seguito della discussione della Relazione all'Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli statuti speciali, approvata dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali. (Doc. XVI-bis, n. 11)

7.  Seguito della discussone delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-01582, Allasia ed altri n. 1-01549, Donati ed altri n. 1-01542, Della Valle ed altri n. 1-01565, Laffranco ed altri n. 1-01610, Palese ed altri n. 1-01640 e Ricciatti ed altri 1-01641 concernenti iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein.

8.  Seguito della discussione della proposta di legge:

DAMBRUOSO ed altri: Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 3558-A)

Relatori: POLLASTRINI, per la maggioranza; LA RUSSA, di minoranza.

9.  Seguito della discussione della proposta di legge:

SERENI ed altri: Modifica alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del festival Umbria Jazz. (C. 4102-A)

Relatrice: ASCANI.

10.  Seguito della discussione delle mozioni Simonetti ed altri n. 1-01553, Brunetta ed altri n. 1-01560, Civati ed altri n. 1-01646, Nesci ed altri n. 1-01647, Melilla ed altri n. 1-01648, Altieri ed altri 1-01649 e Rampelli ed altri n. 1-01650 concernenti iniziative volte a garantire il funzionamento delle province.

11.  Seguito della discussione della proposta di legge:

RICHETTI ed altri: Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali. (C. 3225-A/R)

e delle abbinate proposte di legge: VACCARO; LENZI e AMICI; GRIMOLDI; CAPELLI ed altri; VITELLI ed altri; LOMBARDI ed altri; NUTI ed altri; PIAZZONI ed altri; MANNINO ed altri; SERENI ed altri; CAPARINI ed altri; GIACOBBE ed altri; FRANCESCO SANNA; TURCO ed altri; CRISTIAN IANNUZZI; MELILLA ed altri; CIVATI ed altri; BIANCONI; GIGLI ed altri; CAPARINI ed altri.

(C. 495-661-1093-1137-1958-2354-2409-2446-2545-2562-3140-3276-3323-3326-3789-3835-4100-4131-4235-4259)

Relatori: RICHETTI, per la maggioranza; TURCO, di minoranza.

12.  Seguito della discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 e sul Programma di lavoro della Commissione per il 2017. (Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A)

Relatrice: BERLINGHIERI.

La seduta termina alle 17,55.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: ANDREA MARTELLA E SILVIA FREGOLENT (A.C. 3012-C)

ANDREA MARTELLA, Relatore per la maggioranza per la X Commissione. (Relazione – A.C. 3012-C). Tra i punti qualificanti del disegno di legge in esame, vi sono senza dubbio quelli relativi al settore dell'energia, in riferimento al quale si introducono importanti innovazioni.

Come è noto, infatti, nel testo del disegno di legge presentato dal Governo vi era un gruppo di disposizioni volte ad eliminare il regime di “maggior tutela” che opera transitoriamente nei settori del gas e dell'energia elettrica. Nel corso dell'esame alla Camera, in prima lettura, tale gruppo di disposizioni è stato modificato e integrato, soprattutto con l'inserimento di norme a tutela dei consumatori, mantenendo comunque intatta l'intenzione iniziale di liberalizzare la vendita ai clienti finali di energia in Italia, con l'eliminazione dei prezzi regolamentati. Il testo è stato ulteriormente modificato nel corso dell'esame al Senato.

In particolare si determina la cessazione del regime "di maggior tutela" nel settore del gas naturale, abrogando, a partire dal 1° luglio 2019 (secondo la modifica approvata in Senato), la disciplina che prevede la definizione da parte dell'Autorità per l'energia delle tariffe del gas per i consumatori che non abbiano ancora scelto un fornitore sul mercato libero (comma 60).

E' inoltre eliminato il regime di "maggior tutela" nel settore dell'energia elettrica (comma 61). Nel corso dell'esame in Senato, sono state introdotte alcune modifiche a tale disposizione. In primo luogo è stata fissata al 1° luglio 2019 (invece che al 30 giugno 2017) la data dalla quale decorre l'abrogazione del regime di maggior tutela. Inoltre, mentre il testo approvato dalla Camera prevedeva che l'AEEGSI disciplinasse le misure rivolte a garantire la fornitura del servizio universale, nel corso dell'esame in Senato è stato specificato che la medesima Autorità adotta disposizioni per assicurare il servizio di salvaguardia ai clienti finali domestici e le imprese connesse in bassa tensione con meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo non superiore ai 10 milioni di euro senza fornitore di energia elettrica o che non abbiano scelto il proprio fornitore, attraverso procedure concorsuali per aree territoriali e a condizioni che incentivino il passaggio al mercato libero. Nel corso dell'esame in sede referente presso le Commissioni riunite VI e X è stato soppresso il riferimento ai clienti che alla scadenza del mercato tutelato non abbiano scelto il proprio fornitore, i quali sono dunque sottratti al regime delle aste per aree territoriali.

Le modalità di superamento del regime della maggior tutela prevedono che entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge l'AEEGSI trasmetta al Ministro per lo sviluppo economico il rapporto relativo al monitoraggio dei mercati di vendita al dettaglio dell'energia e del gas. Tra gli indicatori contenuti nel rapporto vi è anche la tutela delle famiglie in condizioni di disagio economico, nonché l'accrescimento del sistema di vigilanza e di informazione a tutela dei consumatori. Sulla base dei dati contenuti nel rapporto il Ministero dello sviluppo economico, adotta un decreto che dà conto del raggiungimento degli obiettivi e definisce le misure necessarie affinché la cessazione del regime della Maggior tutela e l'ingresso consapevole nel mercato dei clienti finali avvenga secondo meccanismi che assicurino la concorrenza. A decorrere dal 1° gennaio 2018, i clienti finali di energia elettrica riforniti in maggior tutela devono ricevere adeguata informativa da parte di ciascun fornitore in relazione al superamento delle tutele di prezzo, secondo le modalità definite con provvedimento dell'AEEGSI (commi 67-71).

A tutela del consumatore sono previste ulteriori diverse misure, tra le quali: procedure finalizzate ad ottenere offerte di fornitura di energia elettrica e gas, e garantirne la confrontabilità, tramite la realizzazione e la gestione da parte del gestore del Sistema Informativo Integrato - di un portale informatico per la raccolta e la pubblicazione delle offerte sul mercato retail (commi 62-65) e l'adozione da parte dell'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, di linee guida per la promozione delle offerte commerciali di energia elettrica e gas a favore di gruppi di acquisto (comma 66); modalità stabilite dall'AEEGSI, con propri provvedimenti affinché le fatture relative alla somministrazione dell'acqua con il sistema di misura a contatore contengano, almeno una volta all'anno, l'indicazione dell'effettivo consumo dell'acqua riferito alla singola utenza, ove il contatore sia reso accessibile e la lettura sia tecnicamente possibile (comma 75); erogazione ed eventuale rimodulazione del bonus elettrico e del bonus gas, ossia dei benefici economici a sostegno dei clienti economicamente svantaggiati e dei clienti domestici presso i quali sono presenti persone che versano in gravi condizioni di salute, tali da richiedere l'utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche, alimentate ad energia elettrica, necessarie per il loro mantenimento in vita (commi 76-78); diritto dei consumatori alla rateizzazione delle bollette di energia elettrica e gas, di importo elevato (maxibollette), derivanti da ritardi, interruzioni della fatturazione o prolungata indisponibilità dei dati di consumo reali (commi 79-80); misure per la trasparenza del mercato dell'energia elettrica e del gas, tramite l'istituzione presso il MiSE di un Elenco dei soggetti abilitati alla vendita ai clienti finali (commi 81-85); norme di promozione della concorrenza, attraverso la riduzione delle asimmetrie informative, anche intersettoriali, nel rispetto delle prescrizioni stabilite dal Garante per la protezione dei dati personali (comma 86); disposizioni relative alla clausola di «close-out netting», prevista nei prodotti energetici all'ingrosso, della quale si dispone la validità e l'efficacia anche in caso di apertura di una procedura di risanamento, ristrutturazione economico-finanziaria o di liquidazione, di natura concorsuale o pre-concorsuale, con o senza spossessamento del debitore, nei confronti di una delle parti (commi da 87 a 89).

Tra le ulteriori disposizioni che rilevano nel settore dell'energia si segnalano le misure di semplificazione delle procedure relative agli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e al settore dell'efficienza energetica (commi 90 e 91); alcune specifiche misure per i sistemi di distribuzione chiusi qualificati come "reti interne d'utenza" (comma 92); le disposizioni volte a regolare la distribuzione del gas naturale, a partire dalla disciplina delle gare fino al regime della concessione di stoccaggio ( commi da 94 a 98).

Diverse misure interessano poi la distribuzione dei carburanti (commi da 99 a 120). I commi 101-120 intervengono in tema di razionalizzazione della rete di distribuzione carburanti. L'unica modifica rispetto al testo approvato dalla Camera in prima lettura concerne la soppressione della Cassa Conguaglio GPL, a decorrere dal 1° gennaio 2017. Le funzioni e competenze della Cassa conguaglio, nonché i relativi rapporti giuridici attivi e passivi rientrano – da tale data - nelle funzioni svolte da Acquirente unico S.p.a. nel suo ruolo di Organismo centrale di stoccaggio italiano (OCSIT).

Il disegno di legge in esame contiene altresì, come è noto, disposizioni afferenti diversi ambiti di intervento, del cui contenuto si darà conto nel prosieguo della relazione.

Per ciò che concerne le disposizioni in materia di comunicazioni, si prevede (comma 41) di eliminare una serie di vincoli che sono oggi presenti nei contratti con i fornitori di servizi di telefonia, televisivi e di comunicazioni elettroniche.

In particolare si prevede che: le spese di recesso e trasferimento dell'utenza siano noti e commisurati al valore del contratto e ai costi reali sopportati dall'azienda, ovvero ai costi sostenuti per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio e siano comunicati in via generale all'Agcom; le modalità di recesso siano semplici e analoghe a quelle di attivazione e sia garantito al cliente di comunicare il recesso o il cambio di gestore con modalità telematiche; nel caso di offerte promozionali, aventi ad oggetto la fornitura sia di servizi che di beni, il contratto non possa avere durata superiore a ventiquattro mesi e la penale sia equa e proporzionata al valore del contratto; i gestori debbano avere il previo consenso espresso dai clienti per l'eventuale addebito del costo di servizi in abbonamento offerti da terzi ed è fatto divieto agli operatori di telefonia e di comunicazioni elettroniche di prevedere la possibilità per il consumatore o per l'utente di ricevere servizi in abbonamento da parte dello stesso operatore, o di terzi, senza il previo consenso espresso e documentato all'attivazione di tale tipologia di servizi.

Inoltre si incrementa la sanzione pecuniaria per la violazione di taluni obblighi posti in capo alle imprese designate per la fornitura del servizio universale (comma 43).

Il comma 44, introdotto nel corso dell'esame in Senato, è stato soppresso nel corso dell'esame in sede referente presso le Commissioni VI e X della Camera. Tale disposizione fissava alcuni contenuti necessari dei contatti vocali non sollecitati da parte di operatori nei confronti degli abbonati, non risultando chiara la possibilità, con riferimento alle comunicazioni indesiderate, di consentire agli utenti di respingere eventuali chiamate non desiderate (pratica del cosiddetto telemarketing selvaggio).

Viene inoltre istituito (commi 45 e 46) il Registro dei soggetti che utilizzano indirettamente risorse nazionali di numerazione. Il registro sarà tenuto dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e con successivo decreto MISE saranno determinati i criteri per l'individuazione dei soggetti da iscrivere nel Registro.

Si prevede l'utilizzo del Sistema Pubblico dell'Identità Digitale (SPID), per semplificare le procedure di migrazione dei clienti tra operatori di telefonia mobile e le procedure per l'integrazione di SIM aggiuntive richieste da utenti già clienti di un operatore (SIM aggiuntive, upgrade di SIM, sostituzioni di SIM) attraverso l'utilizzo dell'identificazione indiretta del cliente (cioè senza bisogno di usare un documento di identità) in via telematica (comma 47).

I commi 48-54 intendono favorire i pagamenti digitali e le erogazioni liberali attraverso strumenti di pagamento in mobilità, anche con l'addebito diretto su credito telefonico. Si introduce la possibilità di utilizzare la bigliettazione elettronica attraverso strumenti di pagamento in mobilità, anche attraverso l'addebito diretto su credito telefonico, per l'acquisto di titoli d'accesso a luoghi di cultura, manifestazioni culturali e spettacoli (comma 48). Per evitare situazioni di insolvenza, si prevede (comma 49) che l'utente che intende usufruire di tale modalità di pagamento sia messo nelle condizioni di conoscere, durante l'operazione di acquisto, se il proprio credito telefonico sia sufficiente. I commi 50-53 consentono l'effettuazione mediante credito telefonico di una serie di erogazioni liberali definendone le caratteristiche ed il trattamento fiscale.

Si prevede (comma 55), che sia aggiornato, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, il Regolamento di istituzione e gestione del cosiddetto registro delle opposizioni, cioè il registro pubblico degli abbonati che si oppongono all'utilizzo del proprio numero telefonico per vendite o promozioni commerciali al fine di estendere la disciplina in essere - che attualmente disciplina il solo uso della numerazione telefonica degli abbonati con finalità commerciali - anche alle ipotesi di impiego della posta cartacea alle medesime finalità.

Si stabilisce, con riferimento alla tariffazione delle chiamate verso numerazioni non geografiche, ossia le numerazioni speciali per cui è prevista una tariffazione differenziata ed indipendente dalla collocazione geografica del chiamante, che la tariffazione abbia inizio solo dalla risposta dell'operatore (comma 56).

Con riferimento alle disposizioni concernenti la materia ambientale, avendo specifico riguardo alle novità introdotte dal Senato, in primo luogo si prevede che la determinazione di ulteriori criteri e modalità di trattamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), demandata a un decreto del Ministro dell'ambiente, avvenga anche nelle more della definizione delle norme minime di qualità da parte della Commissione europea (comma 123). I commi 124 e 125, anch'essi inseriti nel corso dell'esame al Senato, prevedono, rispettivamente, l'emanazione di un decreto del Ministero dell'ambiente, finalizzato alla definizione di modalità semplificate relative agli adempimenti per l'esercizio delle attività di raccolta e trasporto dei rifiuti di metalli ferrosi e non ferrosi, e l'individuazione da parte dell'Albo nazionale dei gestori ambientali di modalità semplificate volte all'iscrizione degli esercenti l'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti di metalli ferrosi e non ferrosi. I commi 126-130, inseriti nel corso dell'esame del Senato, introducono alcune misure in materia di trasparenza delle erogazioni di sovvenzioni pubbliche a decorrere dal 2018. Al riguardo si prevede che le associazioni di protezione ambientale e dei consumatori e degli utenti, nonché le associazioni, onlus e fondazioni che intrattengono rapporti economici con pubbliche amministrazioni o con altri soggetti pubblici, sono tenute a pubblicare, nei propri siti, le informazioni relative alle sovvenzioni ricevute superiori a 10.000 euro. Parimenti, le imprese devono pubblicare gli importi delle sovvenzioni pubbliche (sempre superiori ai 10.000 euro) nei propri bilanci. L'inosservanza di tali obblighi comporta la restituzione delle sovvenzioni ai soggetti eroganti. Inoltre, si stabilisce che gli obblighi di pubblicazione dei criteri di concessione delle sovvenzioni e dei provvedimenti stessi di erogazione delle sovvenzioni (previsti dall'articolo 26 del decreto legislativo n. 33 del 2013) si applichino anche agli enti e alle società controllati dalle amministrazioni dello Stato, ivi comprese le società quotate. Infine, si prevede che i soggetti pubblici tenuti alla pubblicazione dei provvedimenti di concessione di sovvenzioni ai sensi del medesimo articolo 26 del decreto legislativo n. 33 del 2013, devono altresì pubblicare i dati consolidati di gruppo qualora i soggetti beneficiari siano controllati dalla stessa persona fisica o giuridica.

Con riferimento ai servizi professionali, il comma 142 persegue la tutela della concorrenza nell'avvocatura intervenendo sulla legge professionale forense, in relazione all'esercizio della professione in forma associata e in forma societaria. Una specifica disposizione interviene, infine, in materia di compenso professionale.

I commi da 143 a 148 modificano alcuni articoli della legge di stabilità 2014 e della legge professionale notarile (legge n. 89 del 1913) per favorire la concorrenza nel settore.

Il comma 152, inserito dal Senato, attraverso una disposizione di interpretazione autentica, estende alla categoria professionale degli agrotecnici l'abilitazione a compiere una serie di operazioni in materia catastale. Il comma 153, inserito durante l'esame al Senato, obbliga i professionisti iscritti a ordini e collegi a indicare e comunicare i titoli posseduti e le eventuali specializzazioni.

I commi da 154 a 157 – altresì inseriti in sede referente al Senato – introducono nuove norme sull'esercizio dell'attività odontoiatrica in forma societaria.

Con una modifica introdotta nel corso dell'esame alla Camera presso le Commissioni riunite VI e X è stato esplicitato chiaramente che, nell'esercizio dell'attività odontoiatrica in forma societaria, deve essere garantito che tutte le prestazioni che formano oggetto della professione di odontoiatra, di cui all'articolo 2 della legge n. 409 del 1985, siano erogate esclusivamente dai soggetti in possesso dei titoli abilitanti di cui alla medesima legge n. 409 del 1985. Inoltre, con una modifica al comma 156 è stato reso da facoltativo ad obbligatorio lo svolgimento della funzione di direttore responsabile dei servizi odontoiatrici in una sola struttura facente capo a società operanti nel settore odontoiatrico.

Con riguardo al settore della distribuzione farmaceutica, i commi da 158 a 164: consentono l'ingresso di società di capitale nella titolarità dell'esercizio della farmacia privata; rimuovono il limite delle 4 licenze, attualmente previsto, in capo ad una identica società; pongono il divieto di controllo, diretto o indiretto da parte di un medesimo soggetto, di una quota superiore al 20 per cento delle farmacie della medesima regione o provincia autonoma. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è incaricata di assicurare il rispetto del divieto summenzionato, attraverso l'esercizio dei poteri di indagine, di istruttoria e di diffida ad essa attribuita dalla disciplina vigente; sopprimono i requisiti soggettivi per la partecipazione alle società che gestiscono farmacie; consentono che la direzione della farmacia gestita da una società sia affidata anche ad un farmacista che non sia socio; stabiliscono l'incompatibilità della partecipazione alle società di capitale nella titolarità dell'esercizio della farmacia privata con l'esercizio della professione medica, confermano il vincolo di incompatibilità già vigente con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione ed informazione scientifica del farmaco e sopprimono il riferimento alle attività di intermediazione (distribuzione) del farmaco, le quali sembrerebbero diventare, di conseguenza, compatibili; permettono, ai titolari delle farmacie ubicate nei comuni con popolazione inferiore a 6.600 abitanti, che risultino essere soprannumerarie per decremento della popolazione, di ottenere il trasferimento territoriale presso comuni della medesima regione. La domanda di trasferimento è ammessa verso i comuni che presentino un numero di farmacie inferiore a quello spettante. Il trasferimento è concesso sulla base di una graduatoria regionale per titoli e previo il pagamento di una tassa di concessione governativa una tantum pari a 5.000 euro; modificano la disciplina sulla partecipazione in forma associata ai concorsi per il conferimento di sedi farmaceutiche in riferimento all'obbligo di mantenimento della conseguente gestione associata, che passa da dieci a tre anni; consentono la fornitura dei medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero oltre che, come già previsto, da parte dei produttori e dei grossisti, anche attraverso le farmacie.

Infine, in caso di modificazioni apportate al foglietto illustrativo di un farmaco, il comma 165 - inserito al Senato – consente la vendita al pubblico delle scorte, prevedendo che il cittadino scelga di poter ritirare il foglietto sostitutivo in formato cartaceo o digitale. Il comma 166 consente, alle farmacie convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, di prestare servizio aggiuntivo oltre gli orari e i turni di apertura e chiusura stabiliti dalle autorità competenti.

Ulteriore settore interessato dal disegno di legge in esame è quello relativo ai servizi di trasporto.

In particolare, il comma 168 prevede, con riferimento specifico ai servizi di trasporto pubblico locale, l'obbligo per il concessionario di fornire un servizio di biglietteria telematica accessibile via internet. I commi 169 e 170 prevedono, a tutela degli utenti dei servizi di trasporto di linea, l'obbligo per i concessionari ed i gestori di servizi di informare i passeggeri delle modalità per accedere alla carta dei servizi e delle ipotesi che danno titolo a fruire di rimborsi e indennizzi.

I commi 180-183 delegano il Governo ad adottare un decreto legislativo per la revisione della disciplina in materia di autoservizi pubblici non di linea (Taxi, NCC, e similari), definendo principi e criteri direttivi, nonché le procedure per l'adozione delle norme.

Il comma 184 interviene in materia di locazione dei veicoli senza conducente per l'effettuazione di attività di trasporto di viaggiatori.

I commi 185-188 delegano il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, decreti legislativi per disciplinare l'installazione sui mezzi di trasporto delle cosiddette «scatole nere» o altri dispositivi elettronici similari.

I commi 189-193, introdotti dal Senato, recano misure volte a favorire lo sviluppo del sistema logistico nazionale, attraverso la creazione di un unico sistema di monitoraggio.

Diverse novità sono state introdotte al Senato con riguardo al settore dei beni culturali. Si segnala in particolare il comma 172, introdotto durante l'esame presso il Senato, che intende semplificare ulteriormente la riproduzione dei beni culturali, in particolare estendendo le ipotesi in cui la stessa non necessita di autorizzazione e ampliando i casi in cui non è dovuto alcun canone.

Il comma 176, anch'esso introdotto durante l'esame presso il Senato, è esplicitamente finalizzato a semplificare le procedure relative al controllo della circolazione internazionale delle cose antiche che interessano il mercato dell'antiquariato. In particolare, introduce la possibilità di considerare beni culturali le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico “eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della nazione”. La soglia di età al di sotto della quale tali cose non sono soggette alle disposizioni di tutela è fissata in 50 anni. Inoltre, eleva (da 50) a 70 anni la soglia di età al di sotto della quale determinate categorie di cose, in particolare relative ai beni mobili, non sono soggette alle disposizioni di tutela – o sono soggette (solo) a specifiche disposizioni di tutela – ovvero per le quali vige la presunzione di interesse culturale.

Altri interventi che innalzano la soglia di età incidono sulla disciplina dell'inalienabilità e su quella relativa alla circolazione dei beni culturali.

Infine, ulteriori previsioni riguardano l'esercizio del commercio di cose antiche o usate.

A tali fini, il comma 176 novella numerosi articoli del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004.

Il comma 177, anch'esso introdotto durante l'esame presso il Senato, riguarda il decreto con il quale sono definiti gli indirizzi di carattere generale per il rilascio dell'attestato di libera circolazione e, in particolare, prevede l'istituzione di un apposito “passaporto” per agevolare l'uscita e il rientro delle opere dal e nel territorio nazionale.

Disposizioni ulteriori sono state introdotte nel corso dell'esame in Senato. In particolare si segnalano: il comma 175, che autorizza l'adozione, entro 180 giorni, di un regolamento per l'organizzazione del Banco nazionale di prova per le armi da fuoco portatili e per le munizioni commerciali; il comma 178, che, con riferimento alle operazioni di concentrazione, modifica le condizioni e le soglie per l'obbligo di comunicazione preventiva delle operazioni di concentrazione tra imprese all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato; il comma 179, che esonera dall'obbligo di denunciare il deposito di prodotti alcolici gli esercizi pubblici, gli esercizi di intrattenimento pubblico, gli esercizi ricettivi e i rifugi alpini.

SILVIA FREGOLENT, Relatrice per la maggioranza per la VI Commissione. (Relazione – A.C. 3012-C). Signor Presidente, colleghi deputati, l'Assemblea inizia oggi l'esame disegno di legge C. 3012-C, recante la legge annuale per il mercato e la concorrenza, approvato dalla Camera, modificato dal Senato e ulteriormente modificato dalle Commissioni di merito.

Tali ulteriori limitate modifiche sono state approvate nella convinzione che fosse opportuno modificare il testo del disegno di legge su taluni specifici aspetti, i quali investono questioni particolarmente rilevanti e che hanno la finalità di tutelare i diritti dei consumatori e la salute dei cittadini: le polizze assicurative (comma 25); la pratica del cosiddetto telemarketing selvaggio (comma 44); il regime delle aste collegato alla fine del mercato tutelato (comma 61) e l'attività odontoiatrica (comma 154).

Si tratta di temi condivisi anche dai gruppi di maggioranza del Senato, il quale ha svolto su di essi un ampio dibattito, nonché dalle principali associazioni di categoria e da quelle rappresentative dei consumatori.

Pur valutando favorevolmente il lavoro svolto dalla Camera in prima lettura, all'esito del quale il testo del provvedimento era stato significativamente migliorato, riteniamo importante addivenire alla sua approvazione definitiva con le limitate modifiche approvate in Commissione, demandando la disciplina di aspetti non affrontati in questa sede ad altri atti normativi.

Più in generale, osserva che sul provvedimento in esame, che certamente ha avuto un iter lungo e assai complesso, le Camere hanno lavorato con molta serietà svolgendo un approfondito lavoro di istruttoria. Ritiene che le predette limitate modifiche non pregiudichino l'approvazione definitiva del disegno di legge prima della pausa estiva. Confida, da questo punto di vista, sulle rassicuranti e positive dichiarazioni sul provvedimento in esame rese in questi giorni dal Ministro dei rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, auspicando che possa sollecitarne la rapida calendarizzazione al Senato.

Passando all'illustrazione del disegno di legge, si rileva preliminarmente come esso sia collegato alla manovra di finanza pubblica e sia stato predisposto in attuazione dell'articolo 47 della legge n. 99 del 2009, che contempla la legge annuale per il mercato e la concorrenza quale strumento per rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all'apertura dei mercati, per promuovere lo sviluppo della concorrenza e per garantire la tutela dei consumatori.

Tali finalità sono espressamente previste al comma 1 dell'articolo unico del disegno di legge, il quale specifica che in tal modo si intende anche dare applicazione ai princìpi del diritto dell'Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza.

Passando al contenuto del disegno di legge, si ricorda che nel corso dell'esame al Senato esso è stato trasfuso in un unico articolo, suddiviso in 193 commi.

Si rileva quindi come in questa sede saranno sintetizzate, con particolare riferimento alle norme oggetto di modifica o integrazione da parte del Senato, le disposizioni attinenti gli ambiti di competenza della Commissione Finanze, contenute nell'ex Capo II, recante norme in materia di assicurazioni e fondi pensioni (composto dai commi da 2 a 40, corrispondenti agli articoli da 2 a 17 del testo esaminato in prima lettura) e nell'ex Capo VII (composto dai commi da 131 a 141, corrispondenti agli articoli da 38 a 40 del testo esaminato in prima lettura), nonché i commi 173 e 174, contenuti nell'ex Capo X del disegno di legge. Il collega Martella integrerà la relazione illustrando le questioni di competenza della Commissione Attività produttive.

Le norme in materia di assicurazioni e fondi pensione sono contenute all'articolo 1, commi dal 2 al 40. In linea generale, il disegno di legge recepisce le proposte contenute dalla segnalazione dell'AGCM, in alcuni casi introducendo norme di portata anche più ampia rispetto agli obiettivi della segnalazione.

Si interviene in primo luogo sulla disciplina dell'obbligo a contrarre in materia di RC Auto: se dalla verifica dei dati risultanti dall'attestato di rischio, dell'identità del contraente e dell'intestatario del veicolo, se persona diversa, risultano informazioni non corrette o non veritiere, le imprese di assicurazione non sono tenute ad accettare le proposte loro presentate (commi 2-5). Nel corso dell'esame parlamentare è stata elevata la sanzione prevista in caso di rifiuto ed elusione dell'obbligo a contrarre.

Gli intermediari hanno l'obbligo di informare il consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le imprese di cui sono mandatari relativamente al contratto base RC Auto (nuovo articolo 132-bis del CAP). Se il consumatore alla stipula del contratto accetta una o più condizioni determinate dalla legge, ha diritto ad uno sconto del prezzo della polizza che non può essere inferiore a una percentuale determinata dall'IVASS. In particolare danno luogo allo sconto: l'ispezione del veicolo; l'installazione della scatola nera (meccanismo elettronico che registra l'attività del veicolo) ovvero di altri dispositivi individuati con decreto ministeriale; l'installazione (o comunque la presenza) del meccanismo che impedisce l'avvio del motore per elevato tasso alcolemico (articolo 132-ter del CAP).

L'IVASS definisce, con proprio regolamento, i criteri e le modalità nell'ambito dei processi di costruzione della tariffa e di ricalcolo del premio per la determinazione da parte delle imprese di assicurazione dello sconto. Lo stesso Istituto deve inoltre definire i criteri e le modalità per la determinazione da parte delle imprese di assicurazione di uno sconto aggiuntivo e significativo da applicare ai soggetti residenti nelle province a maggiore tasso di sinistrosità e con premio medio più elevato (individuate dall'IVASS con cadenza almeno biennale) che non abbiano provocato sinistri con responsabilità esclusiva o principale o paritaria negli ultimi quattro anni e che abbiano installato o installino la scatola nera. Anche in questo caso lo sconto deve essere dettagliato nel preventivo e nel contratto. L'IVASS vigila sull'applicazione delle nuove norme e, in caso di violazioni, applica le sanzioni amministrative pecuniarie. Come i colleghi potranno ricordare la formulazione uscita dalla Camera era profondamente diversa imponeva all'IVASS l'indicazione di un prezzo. Questo formulazione è stata pesantemente contestata dall'IVASS e questo ha determinato l'attuale formulazione. Ovviamente sarà nostra cura vigilare affinché la soluzione trovata porti i frutti di una consistente ridefinizione dei prezzi nelle aree più disagiate in particolare nel Sud d'Italia.

Resta ferma la facoltà per l'assicurato di ottenere l'integrale risarcimento per la riparazione a regola d'arte del veicolo danneggiato avvalendosi di imprese abilitate di autoriparazione di propria fiducia (comma 9).

Una ulteriore ipotesi di sconto significativo sul prezzo della polizza è previsto nel caso in cui l'assicurato contragga più polizze sottoscrivendo una clausola di guida esclusiva (comma 11).

Nel caso di contratti con clausola bonus-malus, la variazione del premio, in aumento o in diminuzione rispetto alla tariffa in vigore applicata dall'impresa, deve essere indicata, in valore assoluto e in percentuale, nel preventivo del nuovo contratto o del rinnovo (comma 12).

Le imprese di assicurazione non possono differenziare la progressione e l'attribuzione delle classi di merito interne in funzione della durata del rapporto contrattuale tra l'assicurato e la medesima impresa (comma 13).

In caso di sinistri con soli danni alle cose, l'identificazione di eventuali testimoni sul luogo dell'incidente deve risultare dalla denuncia di sinistro o comunque dal primo atto formale del danneggiato nei confronti dell'impresa o, in mancanza, deve essere richiesta dall'impresa assicurativa con espresso avviso all'assicurato delle conseguenze processuali della mancata risposta. In tale caso la parte che riceve la richiesta dell'assicurazione effettua la comunicazione dei testimoni, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, nel termine di sessanta giorni. L'impresa di assicurazione deve procedere a sua volta all'individuazione ed alla comunicazione di eventuali ed ulteriori testimoni entro il termine di sessanta giorni (comma 15). Anche questa riformulazione è profondamente differente rispetto le modifiche apportate in prima lettura alla Camera.

All'IVASS è assegnato il compito di procedere ad una verifica trimestrale sui sinistri inseriti nell'apposita banca dati dalle imprese di assicurazione, per assicurare l'omogeneità dei criteri di trattamento; l'IVASS deve altresì redigere apposita relazione all'esito di tale verifica, le cui risultanze sono considerate anche per definire la significatività degli sconti sulle polizze (comma 16).

Il Governo deve emanare tabelle nazionali che fungano da parametro per il risarcimento del danno biologico, per le macrolesioni e le microlesioni, in modo che sia garantito il diritto delle vittime dei sinistri ad un pieno risarcimento del danno non patrimoniale effettivamente subito e siano razionalizzati i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori. L'ammontare complessivo riconosciuto è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche. Nei casi in cui le menomazioni accertate incidano in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati (ovvero, limitatamente alle microlesioni, abbiano causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità), il giudice può aumentare l'ammontare del risarcimento con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, entro un margine del 30 per cento per le macrolesioni e del 20 per cento per le microlesioni. La tabella unica nazionale è redatta tenendo conto dei criteri valutativi del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. È chiarito che il danno alla persona per lesioni di lieve entità può essere risarcito solo a seguito di accertamento clinico strumentale obiettivo, rimanendo escluse le diagnosi di tipo visivo, ad eccezione che per le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza strumentazione (commi 17-19).

In caso di incidente stradale, se uno dei veicoli coinvolti è dotato di scatola nera, le risultanze del dispositivo formano piena prova nei procedimenti civili dei fatti cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo. Le medesime risultanze sono rese fruibili alle parti (comma 20).

Per contrastare le frodi assicurative sono estesi i casi nei quali le imprese di assicurazione possono rifiutare il risarcimento, denunciando la frode. Gli elementi sintomatici della frode si possono ricavare: dall'archivio informatico integrato dell'IVASS; dalle scatole nere (e meccanismi equivalenti); dalla perizia, qualora risulti documentata l'incongruenza del danno dichiarato dal richiedente (commi 21-22).

La violazione dell'obbligo dell'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi può essere accertata attraverso gli appositi dispositivi o apparecchiature di rilevamento, non essendo necessaria la contestazione immediata delle violazioni del codice della strada, mediante il confronto dei dati rilevati riguardanti il luogo, il tempo e l'identificazione dei veicoli con quelli risultanti dall'apposito elenco dei veicoli a motore non assicurati verso terzi. Se la violazione dell'obbligo dell'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi è rilevata per mezzo di appositi dispositivi o apparecchiature di rilevamento non è necessaria la presenza degli organi di polizia stradale se i dispositivi o le apparecchiature sono stati omologati ovvero approvati per il funzionamento in modo completamente automatico. Essi devono essere gestiti direttamente degli organi di polizia stradale e la documentazione fotografica prodotta costituisce atto di accertamento (comma 23).

In caso di cessione del credito all'impresa di autoriparazione, la somma da corrispondere a titolo di rimborso è versata solo a fronte di presentazione della fattura (comma 24).

Il principio della durata annuale del contratto RC auto e del divieto di rinnovo tacito si applica anche ai contratti stipulati per i rischi accessori (ad esempio incendio e furto), nel caso in cui la polizza accessoria sia stata stipulata in abbinamento a quella della RC auto (con lo stesso contratto o con un contratto stipulato contestualmente).

Nel corso dell'esame al Senato il divieto di tacito rinnovo alla scadenza è stato esteso alle polizze assicurative ramo danni di ogni tipologia; successivamente, nel corso dell'esame alla Camera presso le Commissioni riunite VI e X, tale disposizione è stata eliminata (comma 25).

Le polizze per assicurazione professionale, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, devono contemplare l'assenza delle clausole che limitano la prestazione assicurativa ai sinistri denunciati nel periodo di validità del contratto. Le compagnie devono offrire prodotti che prevedano una copertura assicurativa per richieste di risarcimento presentate entro i dieci anni dalla scadenza della polizza, riferite a "errori" del professionista accaduti nel periodo di vigenza della stessa. Nel corso dell'esame parlamentare la predetta previsione è stata estesa alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della legge (comma 26).

Sono elevati i massimali minimi di garanzia per i veicoli a motore adibiti al trasporto di persone aventi più di otto posti a sedere, oltre il conducente (tra cui autobus e filoveicoli), che non devono essere inferiori a 15 milioni di euro per sinistro, in luogo dei 10 milioni previsti dal disegno di legge originario. I nuovi massimali si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge e gli importi saranno raddoppiati dall'anno successivo alla predetta data (comma 29).

Con riferimento al sistema del risarcimento diretto, si prevede che l'IVASS, entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della disposizione in esame, proceda alla revisione del criterio in base al quale sono calcolati i valori dei costi e delle eventuali franchigie per la compensazione tra le compagnie, qualora tale criterio non abbia garantito un effettivo recupero di efficienza produttiva delle compagnie, attraverso la progressiva riduzione dei costi dei rimborsi e l'individuazione delle frodi (comma 30).

L'archivio informatico integrato dell'IVASS sarà connesso anche con il casellario giudiziale istituito presso il Ministero della giustizia e, a seguito della modifica approvata in sede parlamentare, con ulteriori archivi: carichi pendenti, anagrafe tributaria, anagrafe nazionale, casellario infortuni Inail. L'archivio potrà essere consultato anche dalle imprese di assicurazione nella fase di assunzione del rischio, al fine di accertare la veridicità delle informazioni fornite dal contraente (comma 31).

Sono infine previste alcune modifiche alla disciplina delle forme pensionistiche complementari, prevedendo anche la convocazione di un tavolo di consultazione per avviarne un processo di riforma. Più nel dettaglio, il comma 38 interviene sui seguenti profili: destinazione alle forme pensionistiche complementari degli accantonamenti relativi al trattamento di fine rapporto (lettera a)); diritto all'anticipo della prestazione nel caso di cessazione dell'attività lavorativa (lettera b)); riscatti della posizione individuale maturata e del relativo regime tributario (lettera c)). Il comma 39 prevede la convocazione di un tavolo di consultazione per avviare un processo di riforma delle forme pensionistiche complementari al fine di aumentarne l'efficienza, nonché di favorire l'educazione finanziaria e previdenziale.

In materia di servizi bancari, i commi 131 e 132, modificati durante l'esame parlamentare, prevedono che gli istituti bancari, le società di carte di credito e le imprese di assicurazione assicurino l'accesso ai propri servizi di assistenza ai clienti, anche attraverso chiamata da telefono mobile, a costi telefonici non superiori rispetto alla tariffa ordinaria urbana. Si affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di vigilare sulla corretta applicazione della norma introdotta. Nel corso dell'esame parlamentare è stata introdotta, in caso di violazione della norma, una sanzione amministrativa pari a 10.000 euro inflitta dall'Autorità di vigilanza, nonché un indennizzo non inferiore a 100 euro a favore dei clienti.

I commi 133-135 prevedono, affidando tale compito a un provvedimento di rango secondario, che siano individuati i prodotti bancari maggiormente diffusi tra la clientela, per assicurare la confrontabilità delle spese addebitate a chiunque dai prestatori di servizi di pagamento, attraverso un apposito sito internet.

Il comma 136, modificato durante l'esame al Senato, interviene sulla disciplina delle polizze assicurative sottoscritte in occasione di un contratto di finanziamento. In luogo di obbligare gli intermediari a sottoporre al cliente almeno due preventivi (di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili alle banche, agli istituti di credito e agli intermediari finanziari stessi), si prevede che essi siano tenuti ad accettare, senza variare le condizioni offerte per l'erogazione del credito, la polizza che il cliente presenta o reperisce sul mercato. Tale polizza deve avere contenuti minimi corrispondenti a quelli richiesti dal finanziatore. Tali prescrizioni sono estese alle ipotesi in cui al cliente sia richiesta la sottoscrizione di un'assicurazione diversa da quella sulla vita; inoltre, esse si applicano a tutti i casi in cui l'offerta di un contratto di assicurazione sia connesso o accessorio all'erogazione del mutuo o del credito. Viene disciplinato in dettaglio il diritto di recesso del cliente ove sottoscriva una polizza proposta dal soggetto finanziatore o da un incaricato; sono previsti specifici obblighi informativi a carico dell'intermediario, riguardanti tra l'altro le polizze e le provvigioni eventualmente percepite.

Nel corso dell'esame parlamentare (commi 137-141) è stata introdotta una specifica disciplina del contratto di locazione finanziaria, di cui viene esplicitata la definizione, indicando i casi di grave inadempimento e la relativa procedura di risoluzione del contratto. In tal caso il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita, dedotte le somme a lui spettanti. A tal fine, sono specificate le modalità di vendita o di nuova collocazione del bene che deve avvenire sulla base di criteri di celerità, trasparenza e pubblicità.

Sono state quindi introdotte disposizioni che modificano l'articolo 6 del testo unico per l'edilizia (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001), inerenti agli obblighi di aggiornamento catastale in riferimento a interventi edilizi effettuati senza alcun titolo abilitativo, definiti come attività di edilizia libera. In particolare, si dispone che in tali casi gli atti di aggiornamento catastale siano presentati direttamente dall'interessato all'Agenzia delle entrate territoriale. Si introduce inoltre una disposizione transitoria per cui, nel caso in cui siano stati già avviati gli interventi edilizi prima dell'entrata in vigore della legge in esame, il possessore degli immobili provvede, ove necessario, agli atti di aggiornamento catastale, entro sei mesi dalla data di entrata della medesima legge con eventuali sanzioni ove non adempia (commi 173-174).

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: FRANCO VAZIO (A.C. 2168-B)

FRANCO VAZIO, Relatore per maggioranza. (Relazione – A.C. 2168-B). Onorevole signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, l'Assemblea si trova oggi ad esaminare un provvedimento atteso ormai da anni, introducendo anche nell'ordinamento italiano il delitto di tortura.

Tale proposta torna all'esame della Camera in seconda lettura (complessivamente si tratta della quarta lettura): dopo l'approvazione del Senato in un testo unificato il 5 marzo 2014, il provvedimento è stato approvato dalla Camera con modifiche il 9 aprile 2015. Il Senato lo ha approvato con ulteriori modifiche il 17 maggio 2017.

Sono numerosi gli atti internazionali che prevedono che nessuno possa essere sottoposto a tortura, né a pene e trattamenti inumani e degradanti.

Tra questi ricordiamo la Convenzione di Ginevra del 1949 relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 (ratificata nel 1955), la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (ratificata nel 1977), la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti (la cosiddetta CAT), ratificata dall'Italia nel 1988 ed infine lo Statuto di Roma istitutivo della Corte Penale Internazionale del 1998.

Come appena detto l'Italia ha ratificato nel 1988 la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura. Tuttavia, non si era ritenuto di dover introdurre lo specifico reato di tortura in quanto si era creduta sufficiente la riconducibilità delle varie condotte alla nozione di tortura sancita dalla Convenzione ONU; condotte che avevano, come tuttora hanno, una rilevanza penale nell'ordinamento italiano attraverso una serie di reati specifici con connesse circostanze aggravanti. Si pensi, ad esempio, alle percosse (articolo 581 c.p.) alle lesioni (articolo 582 c.p.), alla violenza privata (articolo 610 c.p.), alle minacce (articolo 612 c.p.), alle ingiurie (articolo 594 c.p.), al sequestro di persona (articolo 605 c.p.), all'arresto illegale (articolo 606 c.p.), alla indebita limitazione di libertà personale (articolo 607 c.p.), all'abuso di autorità contro arrestati o detenuti (articolo 608 c.p.), alle perquisizioni e ispezioni personali arbitrarie (articolo 609 c.p.).

Questo elenco di reati, tuttavia, per quanto ampio, non appare esaustivo, come dimostra la complessità, anche tecnico-giuridica, che negli ultimi anni ha caratterizzato il dibattito svoltosi nel nostro Paese sul tema della tortura. Dibattito che ha portato in primo piano la questione della sussistenza di un obbligo giuridico internazionale all'introduzione dello specifico reato di tortura (previsto dall'articolo 4 della CAT). Infatti, si tratta di reati che non prevedono – al contrario di quanto statuito dai richiamati atti internazionali – la possibile sofferenza mentale ed in cui, a volte, manca il dolo nell'infliggere le sofferenze alla vittima; si tratta di reati per lo più procedibili a querela di parte (fatto che espone la vittima a ritorsione) e con termini di prescrizione brevi (anche a causa della lieve entità delle pene).

Nell'articolo 1 della CAT la specificità del reato di tortura è strettamente connessa alla partecipazione agli atti di violenza, nei confronti di quanti sono sottoposti a restrizioni della libertà, di chi è titolare di una funzione pubblica. La tortura è individuata come reato proprio del pubblico ufficiale che trova la sua specifica manifestazione nell'abuso di potere e, quindi, nell'esercizio arbitrario ed illegale di una forza di per sé legittima. È opportuno sottolineare che peraltro non si può considerare in contrasto con la Convenzione ONU la previsione di un reato comune di tortura affiancato al reato proprio.

Nello Statuto della Corte Penale Internazionale la tortura viene configurata come reato comune caratterizzato da dolo generico. Rispetto alla definizione della CAT è infatti assente qualsiasi riferimento allo scopo, così come l'identificazione dell'autore della tortura come pubblico ufficiale: la vittima del reato non è più, quindi, un soggetto di cui è limitata la libertà da una pubblica autorità, bensì ogni persona di cui un'altra, a qualsiasi titolo, «abbia la custodia o il controllo».

Per completare l'excursus sul quadro normativo sovranazionale si ricorda l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che contempla espressamente la proibizione della tortura. In particolare detto articolo prevede che: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti», distinguendo dunque tre tipi di condotte: la tortura, i trattamenti o le pene inumane, i trattamenti o le pene degradanti. In estrema sintesi, la Corte EDU, nella sua giurisprudenza, ha precisato preliminarmente come, per verificare se vi sia stata o meno una violazione dell'articolo 3, occorre che la condotta in questione raggiunga un «livello minimo di gravità» (che va valutata indipendentemente dalla legittimità o meno del trattamento) accertato il quale deve poi essere qualificata e ricondotta in uno dei tre comportamenti sopra descritti. Tale livello minimo di gravità va valutato in base ad un insieme di circostanze quali il sesso, l'età, lo stato di salute della vittima, la durata del trattamento e le conseguenze fisiche e mentali.

La Corte ha quindi operato una distinzione in base al grado di sofferenze inflitte: molto gravi e crudeli nella tortura, mentali e fisiche di particolare intensità nel trattamento inumano, atte a provocare umiliazione e angoscia nel trattamento degradante. Ed ha chiarito che la tortura è il trattamento disumano o degradante che causa le sofferenze più intense: ogni atto di tortura è dunque al contempo anche un trattamento disumano e degradante. Secondo la Corte, l'articolo 3 della Convenzione impone in ogni caso allo Stato di proteggere l'integrità fisica delle persone private della libertà.

A tale riguardo, rammento che il dibattito in terza lettura presso il Senato si è sostanzialmente concentrato sull'opportunità di una formulazione del reato di tortura quanto più possibile attinente a quella della Convenzione ONU del 1984 e quindi sulla scelta o meno della tortura come reato proprio - del solo pubblico ufficiale - e a dolo specifico. Altro profilo molto dibattuto è stato quello relativo alla necessità della reiterazione delle condotte illecite ai fini della configurazione del reato.

Passo all'esame del provvedimento, che si compone di 6 articoli.

L'articolo 1 introduce nel titolo XII (Delitti contro la persona), sez. III (Delitti contro la libertà morale) del codice penale gli articoli 613-bis e 613-ter.

Il primo articolo disciplina la fattispecie incriminatrice del delitto di tortura.

L'articolo 613-bis c.p. punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

Pertanto, affinché si realizzi il reato di tortura: deve sussistere un nesso di causalità tra l'azione posta in essere dall'agente e le acute sofferenza fisiche ovvero il verificabile trauma psichico; la condotta deve essere stata connotata da almeno uno dei seguenti elementi: violenze, minacce gravi, crudeltà; la vittima deve trovarsi in almeno una delle seguenti condizioni: essere persona privata della libertà personale; essere affidata alla custodia (o potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza) dell'autore del reato; trovarsi in situazione di minorata difesa; il fatto deve essere stato commesso secondo almeno una delle seguenti modalità: pluralità di condotte; trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

Il reato, caratterizzato dal dolo generico, viene costruito come reato di evento (le sofferenze "acute" inflitte alla vittima o il verificabile trauma psichico).

L'articolo 613-bis prevede poi specifiche fattispecie formulate sotto forma di fattispecie aggravate del reato di tortura.

La prima fattispecie aggravata (secondo comma), conseguente all'opzione del delitto come reato comune, interessa la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dell'autore del reato, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio; la pena prevista è in tal caso la reclusione da 5 a 12 anni (era da 5 a 15 anni nel testo Camera).

Viene precisato dal terzo comma dell'articolo 613-bis che la fattispecie in questione ("il comma precedente") non si applica se le sofferenze per la tortura derivano unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.

Il secondo gruppo di fattispecie aggravate (quarto comma) consiste nell'avere causato lesioni personali comuni (aumento fino a 1/3 della pena), gravi (aumento di 1/3 della pena) o gravissime (aumento della metà). Le altre fattispecie aggravate (quinto comma) riguardano la morte come conseguenza della tortura nelle due diverse ipotesi: di morte non voluta, ma conseguenza dell'attività di tortura (30 anni di reclusione, mentre nel testo della Camera era previsto l'aumento di due terzi delle pene); di morte come conseguenza voluta da parte dell'autore del reato (pena dell'ergastolo).

In relazione alla formulazione della fattispecie, è opportuno ribadire che da parte della Commissione Giustizia si è ritenuto che questa sia conforme alla giurisprudenza della Corte Penale Internazionale e alla Corte EDU, alle raccomandazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti ed alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura.

Questa precisazione è opportuna anche alla luce di alcune perplessità avanzate dal Commissario per i diritti umani Consiglio d'Europa attraverso una lettera inviata, tra gli altri, alla Presidente della Camera e alla Presidente della Commissione Giustizia.

Le perplessità riguardano i seguenti punti: a) al contrario della Convenzione ONU, la proposta di legge prevederebbe che debbano concorrere "più condotte" di violenza o minacce gravi, ovvero crudeltà; b) la tortura si configurerebbe in presenza di trattamenti inumani che siano anche degradanti, mentre la Convenzione ONU prevede disgiuntamente le due qualificazioni del trattamento; c) la tortura psicologica sarebbe limitata ai casi in cui il trauma psicologico sia verificabile; d) la proposta di legge adotterebbe una definizione ampia di tortura, tale da ricomprendere anche i comportamenti di privati cittadini, a cui fa seguito il monito di non indebolire la tutela contro le torture inflitte dai pubblici ufficiali; e) la prescrittibilità del reato di tortura.

In realtà, si tratta di preoccupazioni che possono essere superate attraverso una corretta interpretazione delle norme introdotte, senza la necessità di modificare il testo.

Per quanto attiene alla previsione di una necessaria pluralità di condotte, si rileva che in realtà ci si trova innanzi a un reato a condotta plurima. Esso, infatti, può essere commesso attraverso diverse condotte tra loro alternative, come risulta chiaramente dall'utilizzo dalla congiunzione disgiuntiva “ovvero” proprio nelle due parti della formulazione descrittiva della condotta stessa.

L'uso plurale dei termini “violenza” e “minaccia” e l'uso singolare del termine “crudeltà” descrivono solo una parte delle condotte costitutive del reato. La disposizione deve essere letta nel senso che il reato sussiste, quando di fronte ad atti di “violenze” o “minacce gravi” o “crudeltà”, le condotte siano plurime, oppure, anche nel caso di un solo atto di violenza, minaccia grave o crudeltà quando esso comporti un “trattamento inumano e degradante per la dignità umana”.

Considerato che si precisa che il fatto deve essere commesso mediante più condotte “ovvero” deve comportare un trattamento inumano e degradante per la dignità umana, è da ritenere che la seconda alternativa si riferisca proprio al caso in cui la condotta sia unica, in quanto altrimenti sarebbe stato inutile prevedere una ipotesi alternativa rispetto a quella della pluralità delle condotte.

Del resto appare davvero un caso di scuola ipotizzare una tortura che nella storia si sia configurata e realizzata attraverso un solo atto di violenza o di una sola minaccia, ancorché grave.

In merito alla questione della previsione congiunta anziché alternativa delle caratteristiche di inumanità e degradazione della dignità umana, per quanto attiene il trattamento derivante dalla tortura si ritiene che si tratti di un falso problema, benché la Convenzione unisca tali caratteristiche attraverso una congiunzione disgiuntiva (“o”). A ben vedere ci troviamo infatti di fronte ad un concetto unitario, ad una endiadi, non sussistendo un trattamento inumano che allo stesso tempo non sia anche degradante per la dignità umana e viceversa.

Il fatto che la tortura psicologica sia limitata ai casi in cui il trauma psicologico sia verificabile non rappresenta in alcun modo una limitazione dell'ambito applicativo del reato di tortura, trattandosi di una precisazione che non è altro che applicazione del principio generale secondo cui gli elementi costitutivi di un reato in sede processuale devono essere ancorati a elementi riscontrabili (testimonialmente, con perizie o in altro modo) e non invece riferirsi a dichiarazioni di principio o a impalpabili valutazioni soggettive. Per tale ragione si potrebbe addirittura considerare superflua la precisazione che il trauma psicologico debba essere verificabile: è ovvio infatti che il trauma deve trovare un riscontro processuale, diversamente non sarebbe provato e quindi il reato non sussisterebbe.

La previsione di un reato base comune e di una fattispecie punita più gravemente nel caso in cui il fatto sia stato commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio non può essere considerata in alcun modo in contrasto con la Convenzione ONU che costruisce il reato di tortura come reato proprio. La proposta di legge, che recepisce la filosofia dello Statuto della Corte Penale Internazionale, dove la tortura viene configurata come reato comune caratterizzato da dolo generico, non si limita a prevedere un mero aumento di pena proporzionato alla pena base, ma, proprio in considerazione della plurioffensività della condotta del pubblico ufficiale, prevede una pena specificatamente individuata (da cinque a dodici anni) e di portata più grave, in conformità alle previsioni convenzionali. Inoltre, il reato così configurato (reato comune) consente di punire anche la tortura anche se commessa non da pubblici ufficiali ovvero là dove trae ragione e forza in posizioni di predominio che magari trovano causa in pregresse condotte illecite (l'ex pubblico ufficiale).

Riguardo alla mancata previsione dell'imprescrittibilità del reato di tortura, si segnala che la proposta di legge scongiura decisamente il rischio che reati di tortura si possano prescrivere (anche nei casi in cui conseguano solo lesioni e non la morte); infatti è appena il caso di evidenziare che la pena massima è stabilita in dodici anni di reclusione se il fatto è compiuto da un pubblico ufficiale, ulteriormente aumentata di un terzo o della metà se dal fatto derivano lesioni gravi o gravissime, con conseguenti effetti sul termine di prescrizione che va da un minimo di quindici anni ad un massimo - senza sospensione - di ventidue anni e mezzo. Nel caso in cui il colpevole cagiona volontariamente la morte della vittima, il reato, punito con la pena dell'ergastolo, è comunque imprescrittibile.

Si deve poi tenere presente che la recente legge sul processo penale, approvata il 14 giugno scorso, ha ulteriormente aumentato il termine ordinario di prescrizione, prevedendo che, se interviene la condanna, si verifica la sospensione del decorso della prescrizione per un periodo di un anno e sei mesi, dedicato al processo di appello, e di un ulteriore periodo di un anno e sei mesi, dedicato al processo di cassazione.

Nel parere favorevole espresso dalla Commissione Affari costituzionali sono stati espressi alcuni rilievi sulla formulazione della fattispecie del reato di tortura.

In particolare, rispetto a tale formulazione è stata apposta una condizione e quattro osservazioni (le altre tre osservazioni riguardano altre parti del testo che saranno esaminate successivamente), che possono essere superate senza modificare il testo.

La condizione riguarda la necessità di valutare se la previsione della pena fissa di 30 anni di reclusione, stabilita per la circostanza aggravante, derivante dall'avere provocato come conseguenza non voluta la morte della persona offesa, sia coerente con la giurisprudenza in tema di pene fisse e sia ragionevolmente «proporzionata», per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico reato di tortura, e ciò tenendo conto della sanzione base – reclusione da quattro a dieci anni – stabilita per il medesimo reato.

A tale proposito si ricorda che la previsione di una pena fissa da parte della legge non è una novità per l'ordinamento. L'articolo 630, secondo comma, del codice penale prevede la reclusione di trenta anni nel caso che dal sequestro derivi come conseguenza non voluta la morte della persona sequestrata. Anche in questa ipotesi ci troviamo innanzi alla morte della vittima, causata da una condotta che ha un'altra finalità rispetto alla morte stessa. La circostanza che la Corte costituzionale non abbia censurato la costituzionalità del secondo comma dell'articolo 630 del codice penale non costituisce una contraddizione rispetto alla giurisprudenza costituzionale richiamata nel parere della Commissione Affari costituzionali, in quanto questa giurisprudenza non considera in re ipsa incostituzionale la previsione legislativa di una pena fissa, ma prospetta il rischio che la pena possa essere irragionevole ed in contrasto con il principio della responsabilità penale personale. In particolare, come evidenziato nel richiamato parere, la Corte costituzionale ha affermato nella sentenza n. 50 del 1980 che «in linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono pertanto in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale» e che «il dubbio d'illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato». La Corte ha infatti precisato che «l'uguaglianza di fronte alla pena viene a significare, in definitiva, “proporzione” della pena rispetto alle “personali” responsabilità ed alle esigenze di risposta che ne conseguano, svolgendo una funzione che è essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potestà punitiva statuale. In questi termini, sussiste di regola l'esigenza di una articolazione legale del sistema sanzionatorio, che renda possibile tale adeguamento individualizzato, “proporzionale”, delle pene inflitte con le sentenze di condanna. Di tale esigenza, appropriati ambiti e criteri per la discrezionalità del giudice costituiscono lo strumento normale».

Nel caso che interessa, occorre quindi verificare se siano soddisfatte le condizioni richieste dalla Corte costituzionale per considerare legittima la previsione di una pena unica. La risposta non può che essere affermativa, come lo è nel caso simile del sequestro di persona. La natura particolarmente e peculiarmente grave della condotta di tortura e la gravità dell'evento (per quanto non voluto) che ne è derivato (morte) sono tali per il legislatore da giustificare una pena fissa che corrisponda al massimo che l'ordinamento prevede per la pena della reclusione (trenta anni). Si ricorda infatti che si prevede l'ergastolo nel caso in cui la morte sia conseguenza voluta della tortura. Inoltre, una pena più bassa (ad esempio, attraverso la previsione anche di una pena minima) sarebbe contraddittoria in relazione alla morte come conseguenza non voluta del sequestro. Per tali ragioni appare opportuno confermare la previsione della pena fissa della reclusione a trenta anni.

La prima osservazione riguarda il requisito della “gravità” e cioè se esso si riferisca alle sole “minacce” oppure anche alle “violenze” e quindi circa l'opportunità di chiarire se la locuzione «violenze o minacce gravi» consenta o meno di riferire la gravità anche alle violenze. La formulazione sembra essere chiara nel senso che il requisito della gravità debba riferirsi alle sole minacce. Del resto un atto di violenza è grave a prescindere e quindi una sua graduazione in termini di gravità apparirebbe davvero complessa soprattutto con riferimento alla nozione di tortura risultante dai diversi atti internazionali sopra richiamati.

La seconda osservazione si riferisce all'opportunità di sopprimere la parola «verificabile», riferita al trauma psicologico, trattandosi di una previsione superflua. Sul punto mi sono soffermato in relazione ai rilievi del Commissario Europeo per i diritti umani del Consiglio d'Europa. A tale punto pertanto faccio riferimento e rinvio.

La terza osservazione è del medesimo tenore del rilievo del Commissario per i diritti umani Consiglio d'Europa in merito alla coesistenza dei requisiti di inumanità e di degrado della dignità umana in relazione al tipo di trattamento nel quale può consistere la tortura. Anche in relazione a questo punto si rinvia a quanto sopra già precisato ed osservato.

La quarta osservazione si riferisce all'opportunità di uniformare le locuzioni utilizzate nel far riferimento agli effetti della condotta criminale, laddove si utilizza una locuzione diversa (“sofferenze”) da quella prevista nell'articolo 1, capoverso articolo 613-bis, primo comma (“sofferenze fisiche e un trauma psichico”). Per quanto sarebbe stata auspicabile una piena corrispondenza tra il primo ed il terzo comma dell'articolo 613-bis, anche in questo caso non appare opportuno modificare il testo poiché una corretta interpretazione (l'interpretazione deve essere costituzionalmente orientata fin quanto la lettera della disposizione lo consente) raggiunge il medesimo ed auspicato obiettivo. Inoltre, si deve tener conto che il terzo comma non fa altro che esplicitare un principio generale dell'ordinamento, che avrebbe trovato applicazione anche in assenza del terzo comma stesso.

Tornando all'articolato, l'articolo 1 aggiunge, poi, al codice penale l'articolo 613-ter con cui si punisce il reato proprio consistente nell'istigazione a commettere tortura commessa dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, sempre nei confronti di altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. In base all'articolo 414 c.p. chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione: con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni (primo comma). Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena da uno a cinque anni (secondo comma). Alla medesima pena soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (terzo comma). Fuori dei casi di cui all'articolo 302, se l'istigazione o l'apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (quarto comma).

La nuova fattispecie introdotta dall'articolo 613-ter non è connotata dalla pubblicità della condotta.

Rispetto al testo-Camera è stato introdotto il riferimento alle modalità concretamente idonee proprie della istigazione alla tortura; è soppressa la clausola di specialità del reato di cui all'articolo 613-ter rispetto all'istigazione a delinquere di cui all'articolo 414 c.p. ("fuori dei casi previsti dall'articolo 414”); è stata ridotta l'entità della sanzione (ora da sei mesi a tre anni, nel testo della Camera era da uno a sei anni).

L'istigazione sarà punibile sia nel caso in cui non sia accolta sia nel caso in cui sia accolta ma ad essa non segua alcun reato. Va, inoltre, segnalato che la rilevanza penale qui conferita all'istigazione pare derivare dal fatto che non si è in presenza di istigazione alla commissione di un generico reato bensì a commettere reato di tortura, che avviene in genere in un contesto caratterizzato dalla presenza di due (o più) pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.

In relazione alla fattispecie di istigazione, la Commissione Affari costituzionali ha chiesto di chiarire a cosa sia riferito il requisito della concreta idoneità della istigazione alla tortura e di valutare, a seguito della soppressione della sopra richiamata clausola di specialità del reato, il rapporto tra il nuovo articolo 613-ter e l'articolo 414 del codice penale, il quale prevede una sanzione più severa (da uno a cinque anni), oltre che una fattispecie aggravante per l'utilizzazione di strumenti informatici o telematici. A tale proposito si precisa che la diversa gravità dei due reati dipende dalla circostanza che l'istigazione di cui all'articolo 414 è pubblica a differenza di quella punita dall'articolo 613-ter. Proprio per la mancanza del requisito della pubblicità è apparso opportuno rafforzare i requisiti della condotta istigativa dell'articolo 613-ter, prevedendo la concreta idoneità della condotta. Dal diverso ambito applicativo delle due condotte di istigazione (solo per l'articolo 414 deve esservi il requisito della pubblicità) deriva come conseguenza la soppressione della clausola “Fuori dai casi previsti dall'articolo 414”).

Una ulteriore osservazione della Commissione Affari costituzionali richiama l'opportunità di valutare il rapporto tra la nuova disciplina e quella sul concorso materiale di reati o del concorso formale di norme, soprattutto in relazione alle conseguenze sull'entità della sanzione, considerando in particolare se e quando il delitto di tortura possa concorrere con quelli, ad essa connessi, già previsti dal codice (quali ad esempio percosse, minacce, lesioni, violenza privata, ecc.). Pur comprendendo le preoccupazioni sottese a tale condizioni, non si può non rilevare che spetterà al giudice verificare nel caso concreto quali siano le fattispecie penali da applicare, tenendo conto della condotta e dell'offensività del fatto.

L'articolo 2 - identico al testo-Camera - è norma procedurale che novella l'articolo 191 del codice di procedura penale, aggiungendovi un comma 2-bis che introduce il principio dell'inutilizzabilità, nel processo penale, delle dichiarazioni eventualmente ottenute per effetto di tortura. La norma fa eccezione a tale principio solo nel caso in cui tali dichiarazioni vengano utilizzate contro l'autore del fatto e solo al fine di provarne la responsabilità penale.

Il Senato ha soppresso la disposizione del testo trasmesso dalla Camera (già articolo 3) di modifica dell'articolo 157 del codice penale che inseriva anche il delitto di tortura fra i reati per i quali sono raddoppiati i termini di prescrizione.

L'articolo 3 coordina con l'introduzione del resto di tortura l'articolo 19 del TU immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998), cui è aggiunto un comma 1-bis che vieta le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni volta sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi nei confronti dei quali queste misure amministrative dovrebbero produrre i loro effetti, la persona rischi di essere sottoposta a tortura. La disposizione – sostanzialmente aderente al contenuto dell'articolo 3 della Convenzione - precisa che tale valutazione tiene conto se nel Paese in questione vi siano violazioni "sistematiche e gravi" dei diritti umani.

Diversamente, il testo-Camera integrava col riferimento alla tortura il contenuto del comma 1 dello stesso articolo 19 TU che, attualmente, prevede il divieto di espulsione e respingimento (manca il riferimento all'estradizione) ogni qualvolta, nei Paesi di provenienza degli stranieri, essi avrebbero potuto essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali. Il comma 1 era integrato dal riferimento al pericolo di tortura della persona oggetto della misura ovvero al rischio di rinvio verso un altro Stato nel quale non sarebbe protetto dalla persecuzione o dalla tortura ovvero da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani.

L'articolo 4 - i cui contenuti sono stati parzialmente riformulati durante l'esame al Senato - esclude il riconoscimento di ogni "forma di immunità" per gli stranieri che siano indagati o siano stati condannati per il delitto di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale (comma 1). Il testo trasmesso al Senato riguardava, negli stessi casi, la sola immunità dalla giurisdizione e faceva espresso riferimento al rispetto del diritto internazionale.

Il comma 2 dell'articolo 4, non modificato dal Senato, prevede l'obbligo di estradizione verso lo Stato richiedente dello straniero indagato o condannato per il reato di tortura; nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, lo straniero è estradato verso il Paese individuato in base alla normativa internazionale.

La Commissione Affari costituzionali ha chiesto infine di esplicitare che le disposizioni in tema di esclusione dall'immunità e di estradizione nei casi di tortura, ivi contenute, siano in ogni caso applicabili nel rispetto del diritto internazionale. In particolare, la Commissione Affari costituzionali ha preso atto che la disposizione richiamata esclude il riconoscimento di ogni "forma di immunità" per gli stranieri che siano indagati o siano stati condannati per il delitto di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale senza più fare espresso riferimento al rispetto del diritto internazionale, come invece era fatto nel testo della Camera. Anche in questo caso non appare opportuno modificare il testo, considerato che la preoccupazione della Commissione Affari costituzionali è risolta dai principi generali e, in particolare, da quanto previsto dagli artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in relazione alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e agli obblighi internazionali. L'articolo 4, pertanto, non può essere interpretato in contrasto con il diritto internazionale, per quanto esso non sia espressamente richiamato.

Gli articoli 5 e 6 della proposta di legge contengono, rispettivamente, la disposizione di invarianza finanziaria e quella sull'entrata in vigore della legge il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Da troppo tempo si attende che il Parlamento introduca il reato di tortura, questo testo risponde con efficacia e coerenza alle aspettative esistenti. Ulteriori ritardi o nuovi ripensamenti sarebbero difficilmente compresi dal Paese e dalla Comunità Internazionale.