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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 816 di lunedì 19 giugno 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

La seduta comincia alle 11,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 16 giugno 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Basilio, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giuliani, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Manfredi, Marantelli, Marazziti, Matarrese, Migliore, Orlando, Pagano, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Sarti, Scalfarotto, Tabacci, Valeria Valente, Vargiu, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. La Ministra per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 17 giugno 2017, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente alla VI Commissione (Finanze):

“Conversione in legge del decreto-legge 16 giugno 2017, n. 89, recante interventi urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale del settore creditizio” (4554) - Parere delle Commissioni I, II, V, X e XIV.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto al comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 16 giugno 2017, il deputato Giovanni Palladino, già iscritto al gruppo parlamentare Civici e Innovatori, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Partito Democratico. La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Comunico altresì che, con lettera pervenuta in data 16 giugno 2017, la deputata Vincenza Labriola, già iscritta al gruppo parlamentare Misto, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente. La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Discussione del disegno di legge: Disposizioni in materia di delitti contro il patrimonio culturale (A.C. 4220-A) (ore 11,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 4220-A: Disposizioni in materia di delitti contro il patrimonio culturale.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 16 giugno 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 16 giugno 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4220-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Giuseppe Berretta.

GIUSEPPE BERRETTA, Relatore. Grazie, signor Presidente. Signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, chiedo di essere autorizzato a sintetizzare la relazione depositandone la versione integrale.

PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza con gioia. Prego.

GIUSEPPE BERRETTA, Relatore. L'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge del Governo diretto a riformare le disposizioni penali a tutela del patrimonio culturale, raggruppando in un apposito titolo del codice penale le disposizioni attualmente previste nello stesso codice penale e, in particolare, nel codice dei beni culturali. Il provvedimento non si limita a una mera risistemazione di tali disposizioni ma riformula fattispecie penali già previste ovvero ne prevede di nuove. Ricordo che il tentativo di organizzare il quadro sanzionatorio penale a tutela del nostro patrimonio culturale risale ormai a due legislature fa, quando fu avviato l'iter alla Camera del disegno di legge Atto Camera n. 2806. Nella scorsa legislatura il disegno di legge del Governo, Atto Camera n. 3016, fu invece presentato al Senato. In entrambi i casi il progetto riformatore non ha superato la fase dell'esame da parte delle Commissioni parlamentari in sede referente.

La relazione illustrativa del disegno di legge oggi all'esame della Camera sottolinea che l'esigenza di un intervento normativo organico e sistematico nella materia è reso indefettibile non solo dalle rilevanti criticità emerse nella prassi applicativa in riferimento alle disposizioni legislative vigenti, ma anche e soprattutto dalla circostanza che le previsioni normative in materia di repressione dei reati contro il patrimonio culturale risultano attualmente inadeguate rispetto al sistema di valori delineato dalla nostra Carta fondamentale. La Costituzione, infatti, in base al chiaro disposto degli articoli 9 e 42, richiede che alla tutela penale del patrimonio culturale sia assegnato un rilievo preminente e differenziato nell'ambito dell'ordinamento giuridico e colloca, con tutta evidenza, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione a un livello superiore rispetto alla mera difesa del diritto all'integrità del patrimonio individuale dei singoli consociati.

Il disegno di legge al nostro esame riprende in parte i provvedimenti delle scorse legislature e, secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa, si caratterizza per i seguenti aspetti: favorire la coerenza sistematica del quadro sanzionatorio penale, attualmente ripartito tra codice penale e codice dei beni culturali; assicurare l'omogeneità terminologica di tutte le disposizioni incriminatrici, riconducendole al concetto di reati contro il patrimonio culturale; introdurre nuove fattispecie di reato e innalzare le pene edittali vigenti, così da attuare pienamente il disposto costituzionale; introdurre aggravanti quando oggetto di reati comuni siano beni culturali.

Il provvedimento, che originariamente delegava il Governo ad operare la riforma, dettando alcuni principi e criteri direttivi, è stato modificato nel corso dell'esame in sede referente. In particolare, la Commissione giustizia ha trasformato la delega in disposizioni di diretta applicazione di modifiche del codice penale, pur mantenendo sostanzialmente inalterati gli obiettivi della riforma. L'opportunità di trasformare i principi e i criteri direttivi di delega in disposizioni penali direttamente precettive, emersa nel corso di un approfondito ciclo di audizioni, è stata, quindi, all'origine di tale trasformazione.

E veniamo al contenuto del disegno di legge in questione. L'articolo 1 modifica il codice penale, in particolare inserendovi tra i delitti il titolo VIII-bis rubricato: “Dei delitti contro il patrimonio culturale”, al quale sono riconducibili le seguenti nuove fattispecie penali: il primo è il furto di beni culturali; il secondo è l'appropriazione indebita di beni culturali; il terzo è la ricettazione di beni culturali, poi il riciclaggio di beni culturali, l'illecita detenzione di beni culturali, la violazione in materia di alienazione di beni culturali, l'uscita o esportazione illecite di beni culturali, il danneggiamento, il deturpamento, l'imbrattamento e l'uso illecito di beni culturali o paesaggistici, la devastazione e il saccheggio di beni culturali, la contraffazione di opere d'arte, le attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali. Il nuovo titolo VIII-bis del codice penale prevede, inoltre, un'aggravante da applicare a qualsiasi reato che, avendo ad oggetto beni culturali o paesaggistici, cagioni un danno di rilevante gravità oppure sia commesso nell'esercizio di un'attività professionale o commerciale. Inoltre, è prevista la riduzione delle pene in caso di ravvedimento operoso; è prevista la confisca penale obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o delle cose che sono il prodotto, il profitto o il prezzo in caso di condanna o patteggiamento per uno dei delitti previsti dal nuovo titolo; è prevista l'applicabilità delle disposizioni penali a tutela dei beni culturali anche ai fatti commessi all'estero in danno del patrimonio culturale nazionale.

L'articolo 2 modifica l'articolo 51 del codice di procedura penale, per inserire il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali nel catalogo dei diritti per i quali le indagini sono di competenza della procura distrettuale.

L'articolo 3 modifica la disciplina delle attività sotto copertura per prevederne l'applicabilità anche alle indagini sul delitto di attività organizzata finalizzata al traffico dei beni culturali.

L'articolo 4 modifica il decreto legislativo n. 231 del 2001, prevedendo la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche quando i delitti contro il patrimonio culturale siano commessi da determinati soggetti nel loro interesse o a loro vantaggio. Viene a tal fine integrato il catalogo dei reati per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti.

L'articolo 5 abroga alcune disposizioni vigenti, con finalità di coordinamento del nuovo quadro sanzionatorio penale con la normativa vigente.

L'articolo 6, introdotto in accoglimento di una condizione contenuta nel parere della Commissione bilancio con riferimento all'osservanza dell'articolo 81 della Costituzione, prevede l'invarianza finanziaria della riforma.

L'articolo 7, infine, prevede l'entrata in vigore della riforma il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Presidente, il disegno di legge, già illustrato in maniera efficace dal relatore, è ispirato alla necessità di intervenire con efficacia per migliorare la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese, elemento connotativo della nostra storia e della nostra cultura e valore di primaria importanza per l'identità e per l'immagine internazionale dell'Italia. Il lavoro di oggi è giunto all'esame di questa Assemblea e porta a compimento un lavoro approfondito ed affinato nel tempo. Siamo giunti al traguardo di un percorso complesso, iniziato nelle precedenti legislature e fortemente voluto dai Ministri proponenti Franceschini e Orlando, e disegnare in modo organico e sistematico la disciplina di questa materia si impone prima di tutto perché imprescindibile è il ricorso al presidio della sanzione penale in considerazione del rango dell'interesse da tutelare.

Risponde, inoltre, all'esigenza indifferibile di ovviare alla limitata latitudine applicativa delle disposizioni vigenti, che non sono apparse adeguate alla natura, al grado e all'intensità della protezione da garantire al patrimonio culturale del nostro Paese. Alla base della necessità di questo intervento non possiamo, infine, non tener conto del carattere allarmante che il fenomeno delle condotte criminose contro il patrimonio culturale è andato assumendo anche a livello internazionale, aspetto che intendo sottolineare in questa sede e che riallinea il nostro Paese non solo a livello europeo, ma anche a livello internazionale. Il punto realmente critico della disciplina vigente risiede nel fatto che la tutela penale dei beni culturali viene oggi attuata non attraverso un'omogenea categoria di reati a cui è sotteso l'interesse esclusivo o prevalente della collettività alla conservazione dell'integrità del patrimonio culturale, bensì incriminando una serie di condotte di volta in volta riconducibili a figure di reato diverse ed eterogenee per quanto riguarda l'interesse principale protetto.

Ne consegue che un assetto normativo così poco organico non può ovviamente garantire un apparato sanzionatorio efficace sul piano della deterrenza e della repressione delle condotte. Nel dettaglio, le vigenti previsioni normative sono distribuite in modo asistematico tra il codice penale, che è antecedente alla Costituzione, e il codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato nel 2004 e modificato nel 2006 e nel 2008, il quale, pur dettando un catalogo di sanzioni penali, non ha introdotto modifiche incidenti sull'impianto complessivo della legislazione di settore, che è risalente al 1939. Il frammento normativo offerto dal codice penale tutela l'interesse culturale e paesaggistico attraverso i delitti contro il patrimonio, con un riferimento specifico ai beni di interesse storico e artistico soltanto per i reati di danneggiamento, deturpamento e imbrattamento di cosa altrui.

Vi sono, poi, due ipotesi contravvenzionali specifiche, ma punite con pene miti, perché l'interesse tutelato concerne l'attività sociale della pubblica amministrazione. All'interesse della collettività alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico il codice penale dedica, dunque, una considerazione che possiamo definire episodica e un apparato sanzionatorio poco afflittivo e dotato di scarsa efficacia deterrente, che scatta solo in presenza della concomitante esigenza di tutelare l'integrità del patrimonio del soggetto proprietario del bene che nella tradizionale impostazione codicistica è ritenuto preminente. Senza sottacere, infine, che la stratificazione delle fattispecie di reato nel codice penale e nel codice dei beni culturali ha spesso provocato questioni interpretative e dubbi esegetici in merito sia all'ambito applicativo di norme che hanno adottato nel tempo una terminologia diversa e non corrispondente alle definizioni contenute nel codice dei beni culturali sia all'eventuale ammissibilità del concorso di reati.

La finalità, quindi, del provvedimento oggi in discussione è di ridurre la materia e di armonizzarla, e viene attuata rivedendo ed imprimendo coerenza sistematica al complesso delle sanzioni penali a presidio dell'intera collettività, alla tutela del patrimonio culturale.

Si introduce uno statuto penale comune alle condotte aggressive nei confronti dei beni che presentano interesse culturale e paesaggistico. La novità è che tale interesse, in armonia con i sopra richiamati precetti costituzionali, dovrà essere presidiato da un trattamento sanzionatorio appropriato e indifferenziato. Già il relatore si è soffermato sulle novità, e quindi mi riporto a quanto ha detto, però voglio sottolineare, come ho detto all'inizio, il quadro internazionale. E non va trascurato che il presente disegno riformatore si innesta a pieno titolo nel quadro internazionale, dove si registra un'accresciuta sensibilità per la protezione dei beni culturali, testimoniata dalle linee guida per la lotta al traffico dei beni culturali predisposte in seno alla Commissione per il crimine delle Nazioni Unite e adottate dall'Assemblea generale sulla base di una risoluzione elaborata con il contributo determinante dell'Italia sul piano tecnico e politico, con l'obiettivo primario di armonizzare le legislazioni nazionali, implementare la cooperazione internazionale, promuovere l'applicazione delle convenzioni delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata - cito la Convenzione di Palermo - nello specifico ambito del contrasto al traffico dei beni culturali.

Sappiamo che più volte il Governo ha ricevuto sollecitazioni dal dibattito parlamentare ed in sede internazionale a farsi parte attiva per bloccare la vendita dai Paesi in guerra di reperti archeologici trafugati, il cui ricavo può essere utilizzato per finanziare operazioni terroristiche. Ebbene, anche a questi temi il disegno di legge in discussione intende fornire riscontro attraverso un ventaglio ampio e sistematico di interventi sul crinale dell'arricchimento degli strumenti sanzionatori e degli strumenti operativi a tutela del patrimonio culturale. Si introduce l'autonomo delitto di attività organizzata finalizzata al traffico illecito di beni culturali per colpire le operazioni di trasferimento, alienazione, scavo clandestino e gestioni illecite, continuative e organizzate di beni culturali, e si migliorano gli strumenti operativi a sostegno dell'azione di contrasto ai traffici illeciti organizzati, estendendo il ricorso alle operazioni sotto copertura anche agli ufficiali di polizia giudiziaria degli organismi specializzati nel settore di beni culturali e si incriminano le condotte di uscita e esportazioni illecite di beni culturali.

Si valorizza, infine, l'istanza di tutela dell'interesse generale alla protezione dei beni culturali, attribuendo valenza extraterritoriale alle nuove disposizioni che si applicheranno anche quando il fatto è commesso all'estero in danno del patrimonio culturale nazionale.

PRESIDENTE. Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 1932 - D'iniziativa dei senatori: Lo Moro ed altri: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e dei loro singoli componenti (Approvata dal Senato) (A.C. 3891); e delle abbinate proposte di legge: Francesco Sanna ed altri; Mura ed altri (A.C. 3174-3188) (ore 11,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 3891: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e dei loro singoli componenti; e delle abbinate proposte di legge nn. 3174-3188.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 16 giugno 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 16 giugno 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3891)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Davide Mattiello.

DAVIDE MATTIELLO, Relatore. Grazie, Presidente. La proposta di legge n. 3891, che l'Aula inizia ad esaminare, è già stata approvata, come lei richiamava, dal Senato, con ampio consenso, l'8 giugno di un anno fa. L'intenzione che manifesto a nome della maggioranza è quella di approvare senza modifiche il testo che ci è arrivato dal Senato, in modo da chiudere l'iter parlamentare e permettere la promulgazione di queste norme, che, come argomenterò tra poco, rappresentano un passo avanti dello Stato nella tutela di un bene repubblicano fondamentale: la libertà del processo attraverso cui si forma la volontà pubblica; in altre parole, l'essenza stessa della democrazia.

Con questa medesima intenzione abbiamo affrontato l'esame in Commissione giustizia. Questa proposta di legge è figlia del lavoro svolto dalla Commissione di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali presieduta dalla senatrice Lo Moro, istituita dal Senato il 3 ottobre 2013 e che ha terminato i suoi lavori il 26 febbraio 2015 con una relazione votata all'unanimità; una proposta di legge fortemente voluta dalle due associazioni che in Italia più si incaricano di rappresentare le istanze degli amministratori locali, ANCI e Avviso pubblico. Infatti, se oggi siamo qui a discutere di questa proposta, è perché il Parlamento si è fatto carico di una situazione grave, che soprattutto in alcune aree del nostro Paese costituisce una vera e propria emergenza: sindaci, assessori, consiglieri comunali, agenti di polizia municipale minacciati, colpiti nella persona o nel patrimonio nel tentativo di piegarli a fare cosa non deve essere fatto o per ritorsione rabbiosa verso ciò che è stato fatto. Avviso pubblico stima circa 500 atti del genere in un anno, facendo conto ovviamente soltanto sui dati legati alle denunce, quindi ai fatti emersi.

Perché i comuni? Perché sono l'articolazione dello Stato con cui i cittadini entrano più direttamente in contatto e, soprattutto nei centri medio-piccoli, sono la faccia dello Stato sulla quale si addensano aspettative di ogni tipo, più o meno legittime. Infatti a porre in essere minacce e violenze, oltre alla criminalità più o meno organizzata e di stampo mafioso, c'è anche un'altra tipologia di soggetti, che non va giustificata, ma che va analizzata di per sé: cittadini esasperati dalla frustrazione e dalla paura per il futuro, cittadini che arrivano purtroppo a trasformare in violenza il disagio quando curva diventando disperazione. Per questo, se è senz'altro importante che lo Stato con questa legge alzi scudi più robusti attorno ai comuni, lo è altrettanto il ricordarci quanto siano fondamentali interventi di natura sociale che alimentino la coesione e promuovano l'emancipazione dal bisogno; mentre alziamo gli scudi, insomma, dovremmo anche rafforzare le braccia dei comuni attraverso una disponibilità maggiore di risorse economiche da spendere con rigore e trasparenza.

La proposta di legge in discussione opera due scelte di fondo su cui vorrei attirare l'attenzione dell'Aula, prima di passare ad una puntuale disamina degli articoli. La prima: chi colpisce un sindaco, un assessore, un consigliere colpisce la democrazia. Avrebbe infatti potuto il legislatore prendere in considerazione le fattispecie base che normalmente integrano gli attacchi, cioè la minaccia, le lesioni, la violenza privata, il danneggiamento, l'ingiuria, la diffamazione, gli atti persecutori fino all'estorsione, e costruirci sopra un'aggravante, qualora questi attacchi fossero rivolti agli amministratori locali; oppure avrebbe potuto intervenire sull'articolo 336 del codice penale, che sanziona proprio la minaccia e la violenza contro il pubblico ufficiale. E invece ha preferito lavorare sull'articolo 338 del codice penale: scelta benedetta, perché è la fattispecie che meglio individua il bene giuridico offeso, che più qualifica la condotta, che è la libertà con la quale deve potersi formare la decisione della pubblica amministrazione, intesa in ogni sua manifestazione; libertà - sia detto per inciso ma con fermezza - che equivale a piena responsabilità: chi si assume un ruolo pubblico non deve essere indebitamente condizionato, proprio perché deve - e ribadisco, deve - poter rispondere di quello che fa e di quello che non fa senza alcun alibi. L'articolo 338 sanziona con una pena compresa tra 1 e 7 anni chi usando minaccia o violenza provi a impedire, o anche soltanto a turbare temporaneamente l'esercizio della funzione di un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o di una sua rappresentanza: un range edittale che permette la procedibilità d'ufficio, le misure cautelari e le intercettazioni in fase di indagine.

La seconda scelta di fondo è stata quella di modificare l'articolo 338 per tutti i soggetti cui l'articolo 338 si riferisce, non soltanto per gli amministratori locali. Aderisco convintamente anche a questa seconda scelta, perché è un buon legislatore quello che, spronato ad intervenire da un'emergenza contingente, rifletta pacatamente per offrire non soltanto una risposta puntuale all'emergenza considerata, ma una risposta di sistema che tenga conto della storia e si sforzi di proiettarsi con lungimiranza nel futuro. Ecco che allora lo scudo che noi rafforziamo, lo rafforziamo per tutta la platea dei soggetti considerata nell'articolo 338: corpi politici, quindi il legislatore regionale e nazionale, e corpi giudiziari. Altra scelta benedetta, perché non è meno importante ovviamente la libertà della formazione della volontà del legislatore o del giudice. Evoco su questo soltanto due episodi contemporanei: a Palermo il più importante processo in corso di dibattimento, che esplora l'ipotizzato rapporto scellerato tra Cosa Nostra e pezzi di Stato nel periodo stragista, il cosiddetto “processo trattativa”, è costruito sull'articolo 338 del codice penale. A Torino soltanto una settimana fa è stato sventato un attentato dinamitardo in tribunale, verosimilmente collegato all'apertura del dibattimento del processo cosiddetto Scripta manent, che vede imputati soggetti riconducibili all'area anarco-informale.

Invero, c'è un quarto corpo che viene giustamente tutelato nel complesso dell'articolato, soprattutto con riferimento a quanto previsto dall'articolo 5; un quarto corpo che non è espressamente richiamato dall'articolo 338: il corpo elettorale. Bene fa la proposta di legge in esame a includere anche l'articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960 sull'elezione dei consigli comunali, che per analogia rimanda all'articolo 100 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sulle elezioni delle Camere. Fa bene, perché la minaccia o la violenza possono anche essere indirizzati contro il corpo elettorale nel momento in cui si forma la più fondamentale di tutte le volontà repubblicane, quella attraverso la quale si seleziona la rappresentanza democratica. La situazione che si sta vivendo a Trapani offre da questo punto di vista preoccupanti spunti di riflessione.

Vengo infine a ripercorrere le principali novità del testo. Con l'articolo 1 aggiungiamo all'articolo 338 le parole “ai singoli componenti”: quindi non soltanto il corpo nel suo complesso o la sua rappresentanza, in modo da chiarire definitivamente che chi tocca uno tocca tutti, tocca lo Stato. Con l'articolo 2 rendiamo obbligatorio l'arresto in flagranza. Con l'articolo 3 definiamo un'aggravante ad effetto speciale, che scatta quando le condotte intimidatorie abbiano una valenza ritorsiva rispetto alle decisioni assunte. Con l'articolo 4 estendiamo la causa di non punibilità di cui all'articolo 393-bis anche all'aggravante di cui sopra, qualora l'atto assunto sia figlio di un abuso di potere. Con l'articolo 5 estendiamo la punibilità prevista a tutela del corpo elettorale anche a chi usi minaccia o violenza sul candidato, o su chi decida di spendersi a sostegno del candidato: pertanto ritengo positiva la scelta fatta nell'usare il termine “altri”, e non il termine “candidato”. Con l'articolo 6 definiamo le modalità con le quali il Ministero dell'interno debba procedere nel far funzionare l'Osservatorio sugli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali, già varato nel luglio 2015.

Ecco, Presidente e colleghi: una proposta di legge utile e illuminata, che idealmente è dedicata in particolare a quegli amministratori locali che hanno pagato con la vita la propria dedizione alla Repubblica. Fatemene ricordare uno per tutti: il sindaco di Pagani, Marcello Torre, ucciso per ordine di Cutolo l'11 dicembre 1980. E anche a quelli che non sono stati uccisi, ma mortificati quando hanno scelto la legalità anziché l'accomodamento: come accadde all'indimenticato sindaco di Torino, Diego Novelli, quando nel 1983 decise di denunciare la corruzione all'interno del comune anziché cercare criminogeni aggiustamenti politici. L'Italia spesso in affanno sul cammino della credibilità istituzionale deve molto a tutti loro.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.

È iscritta a parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà.

ROMINA MURA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, ci apprestiamo oggi con la discussione generale, e nei prossimi giorni con la votazione, e auspichiamo la definitiva approvazione, a introdurre nel nostro ordinamento, come diceva bene il relatore, una serie di integrazioni alla normativa penale, a quella materia della libera partecipazione alle competizioni elettorali, che consentiranno alle autorità preposte di intervenire in modo puntuale ed efficace, questo perlomeno è il nostro intendimento, rispetto al fenomeno diffuso, anche se non sempre adeguatamente raccontato e rappresentato sia in sede politica che comunicativa, delle minacce e degli atti intimidatori contro gli amministratori locali e coloro che concorrono per diventarlo, più in generale nei confronti di coloro che esercitano funzioni pubbliche.

L'intervento legislativo presentato e votato al Senato come atto successivo e qualificante rispetto agli esiti dell'importante e articolato lavoro svolto dalla Commissione d'inchiesta Lo Moro, che per la prima volta ha indagato a fondo in modo specifico, e non residuale come in passato, sulla sostanza e sul significato del fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, rappresenta un tassello fondamentale, tra l'altro atteso e richiesto anche nelle diverse audizioni tenute nel corso degli stessi lavori dalla Commissione, per la costruzione delle condizioni minime indispensabili affinché migliaia di donne e di uomini, nostri connazionali, mossi da profondo senso civico, continuino a mettersi al servizio in particolare delle comunità locali, di quelle di piccole e medie dimensioni, di quelle, in molti di questi casi, geograficamente e socialmente più periferiche. Con la proposta legislativa Lo Moro, come detto, già approvata dal Senato, e alla quale qui alla Camera ne sono state abbinate altre due aventi medesime finalità e contenuti similari (quella a prima firma della sottoscritta e l'altra del collega Francesco Sanna), colmiamo un vuoto normativo e mettiamo a disposizione delle autorità competenti strumenti di indagine e di intervento sulla fattispecie specifica, appunto l'atto intimidatorio e quindi la minaccia o la violenza fisica ai danni di un sindaco, di un consigliere o assessore comunale ovvero di un candidato a una qualsiasi carica amministrativa.

Novelliamo l'articolo 338, come ha detto bene il relatore, del codice penale, il 380 del codice di procedura penale, caratterizzati attualmente per l'impersonalità dell'organo pubblico di cui negli stessi si tratta, che contemplano fra l'altro solo la violenza e la minaccia a un corpo politico amministrativo o giudiziario e non ai suoi componenti singoli. Introduciamo, attraverso l'articolo 339-bis del codice penale, un'aggravante nel caso in cui i reati di lesione personale, violenza privata, minaccia o danneggiamento, siano commessi con intento ritorsivo nei confronti di un componente di un corpo politico, amministrativo e giudiziario, e inseriamo fra le ipotesi di reato di cui all'articolo 90 della decreto del Presidente della Repubblica n. 570, del 1970, quello teso, attraverso minacce e altri atti di violenza, a ostacolare la libera partecipazione alle competizioni elettorali.

La nuova impostazione legislativa dà valore alla qualifica soggettiva della persona offesa: fare il sindaco o il consigliere comunale fa la differenza per la normativa che stiamo analizzando e siccome è essenziale per il buon andamento dalla pubblica amministrazione, e al fine di esercitare il mandato democraticamente assegnato, che l'eletto non sia condizionabile nel suo agire, attraverso questa previsione e modifica normativa che prevede un'autonoma ipotesi di reato rispetto alla fattispecie considerata si costruisce una tutela proporzionata al ruolo ricoperto. Le norme così modificate definiscono finalmente una relazione fra il reato commesso e la funzione esercitata rappresentata dalla vittima, mettono sullo stesso piano la condotta offensiva nei confronti del cittadino amministratore e quella a carico dello Stato di cui quell'amministratore è rappresentante nel territorio. Contemplano la lesione del principio democratico sulla base del quale quel cittadino viene liberamente eletto affinché curi e promuova il benessere comunitario senza sottostare a pressioni e ricatti. Assumono quale elemento rilevante che attraverso la condotta offensiva nei confronti del cittadino amministratore si lede il principio costituzionale del buon andamento dell'attività amministrativa.

Si compie in tal modo un cambio di approccio rispetto agli atti intimidatori e alle minacce nei confronti degli amministratori locali, passando da una lunga fase della storia del nostro Paese in cui questi atti criminali sono sempre stati considerati come episodi e conseguenze di un contesto di illegalità più grande e articolato, con particolare riferimento alla mafia e alle altre associazioni criminali similari. Perché d'altro canto, come riportato bene nella relazione finale dei lavori della Commissione Lo Moro, che peso possono avere le cento intimidazioni ai danni di amministratori locali calabresi a fronte dei 10.000 nei confronti di qualsiasi altro cittadino in appena due province di quella regione o le 20 auto di amministratori locali bruciati in Puglia nel corso di un anno, quando ogni notte se ne registrano decine?

O cosa saranno state poche decine di omicidi di sindaci, consiglieri, assessori, quando all'epoca si viaggiava su cifre di 200 o 300 omicidi all'anno solo in alcune regioni del Meridione, del sud Italia? Ovvero, questi atti sono stati considerati come la sommatoria casuale di tutta una serie di casi singoli legati talvolta alle dinamiche dalla criminalità organizzata o a particolari recrudescenze delle culture o sottoculture locali e, in quanto tali, trattati, o mi permetto di dire sottovalutati, sia da un punto di vista politico, che in relazione alle attività investigative. I diversi operatori auditi nel corso dei lavori della Commissione hanno confermato questa prassi che sta alla base delle analisi parziali e veloci. Per esempio uno degli elementi che è stato evidenziato è che il sistema informatico del registro generale delle notizie di reato non dispone di una categoria di richiamo per visualizzare che la persona offesa è un amministratore locale. Atteggiamenti questi che accompagnati dal ritardo della politica nella costrizione di un approccio sistemico, che oggi stiamo cercando di fare, e dall'ampliarsi del perimetro di solitudine e marginalità politica talvolta anche umana di migliaia di sindaci e amministratori locali, inevitabilmente hanno determinato la silenziosa diffusione e radicamento del fenomeno. In questo modo è diventato sempre più facile e concesso identificare nel sindaco o consigliere del piccolo comune, della periferia, dell'entroterra, ma anche delle grandi città, il bersaglio ideale per la criminalità organizzata, per le pressioni indebite, sul quale scaricare qualsiasi tipo di frustrazione.

Oggi, con la legge in discussione, sanciamo invece di aver acquisito consapevolezza che tanti atti intimidatori e le minacce agli amministratori, alle loro famiglie, ai loro patrimoni, ai funzionari e al patrimonio pubblico, non sono la somma algebrica di singoli casi di violenza privata, bensì una modalità di contrapporsi allo Stato, alle decisioni e ai decisori pubblici, in alcuni casi ai tentativi di rivoluzione culturale, in quasi tutti all'affermazione e alla promozione della legalità come modalità di governo, alla buona amministrazione come intesa nella nostra Costituzione e, consentitemi, quasi sempre - quasi sempre! - alla buona politica.

L'importante scelta legislativa di cui stiamo parlando segue in particolare alla consapevolezza che gli strumenti ordinari in vigore che intendiamo modificare con questo passaggio parlamentare, a oggi, non hanno mai consentito di individuare i colpevoli degli atti di cui trattasi. I sindaci e tutti gli altri soggetti offesi dopo aver fatto denuncia contro ignoti hanno assistito nella quasi totalità dei casi alla chiusura delle indagini con i colpevoli che sono rimasti ignoti, impuniti e nell'ombra. Ignoti, pertanto incentivati, e quindi involontariamente, sia chiaro, autorizzati, a riproporre le azioni criminose per esercitare pressioni indebite, indegne nei confronti del sindaco, dall'amministratore locale, refrattario ai ricatti, alle richieste improprie e spesso ai tentativi di intromissione di ambienti malavitosi nel governo di scelte locali di particolare valenza; penso all'urbanistica, alla gestione del territorio, agli appalti attinenti il ciclo dei rifiuti, ai lavori pubblici, alle autorizzazioni per l'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, agli usi civici.

La difficoltà di individuare i colpevoli ha contribuito oltre alla delegittimazione delle istituzioni che le vittime rappresentano e rappresentavano, alla rinuncia delle stesse a denunciare comportamenti lesivi nei confronti propri o della famiglia. Così sono diventati sempre più numerosi i sindaci che essi stessi si sono voltati dall'altra parte soprassedendo alle intimidazioni di cui sono stati oggetto ovvero rassegnando le dimissioni e abbandonando in silenzio. E la resa, a volte silenziosa o giustificata da motivi personali, rimane la vera cifra oscura di questo fenomeno. A proposito diventa utile, sebbene già fatto attraverso la relazione finale della Commissione d'inchiesta e attraverso i preziosi rapporti “amministratori sotto tiro” stesi da “Avviso pubblico”, l'associazione che riunisce gli enti locali contro la mafia e la corruzione, fotografare molto brevemente il fenomeno, la portata, i numeri, la geografia delle intimidazioni agli amministratori.

Le intimidazioni agli amministratori locali sono un fenomeno tutto italiano sconosciuto nella quasi totalità degli altri Paesi europei occidentali. Fenomeni simili si riscontrano in alcune repubbliche baltiche, in Russia e poi in Colombia e Messico. Al riguardo, ricordiamo il recente e barbaro assassinio di Gisela Mota, sindaco del comune messicano di Temixco, uccisa dai narcotrafficanti il 3 gennaio 2016, a poche ore dal suo insediamento.

In Italia, a partire dal 1974, sono stati assassinati 132 rappresentanti istituzionali; ne cito alcuni, di cui ho un particolare ricordo: Angelo Vassallo sindaco di Pollica, assassinato nel 2010 e Laura Prati, sindaca di Cardano al Campo, uccisa nel luglio 2013; Giuseppe Tilocca di Burgos, in Sardegna, subì anche lui diversi atti intimidatori, fino all'attentato dinamitardo del 2004 che causò la morte del padre.

Come è riportato dalla relazione conclusiva della Commissione Lo Moro, sono 1.265 gli atti intimidatori registrati fra il gennaio 2013 e l'aprile 2014, periodo d'indagine della Commissione stessa, riferiti, nel 52 per cento dei casi, a comuni con meno di 15.000 abitanti; le regioni più colpite in ordine decrescente sono: Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna; se, però, si considera il numero di atti intimidatori ogni 100.000 abitanti, il primo posto spetta alla Sardegna, seguita dalla Calabria e dalla Sicilia. Quindi, Sud e isole rappresentano il 63 per cento di tutti i casi nazionali. Al contrario, la Valle d'Aosta, il Molise, il Trentino-Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia risultano quelle regioni in cui, ad oggi, il fenomeno appare inesistente. Solo 182 - e questo è un dato molto importante -, su 1.265, sono gli atti intimidatori per i quali, all'atto delle relazioni prefettizie fatte alla Commissione d'inchiesta, risultavano individuati i responsabili. Ci sono stati 254 decreti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni mafiose, dal 1991 a oggi; 70 sono i casi emersi di dimissioni individuali o collettive di amministratori locali rassegnate negli ultimi quarant'anni a seguito di atti intimidatori e per 21 di tali casi alle dimissioni dei singoli ha fatto seguito lo scioglimento del consiglio comunale; 341 le misure di protezione nei confronti di amministratori locali attive al 29 luglio 2014. Le principali vittime di questi atti intimidatori sono i sindaci, seguiti da assessori e consiglieri comunali, il patrimonio comunale, amministratori regionali, amministratori provinciali e, poi, un 14 per cento di altri soggetti tra cui si annoverano dipendenti pubblici per il 60 per cento, 15 per cento di candidati alle elezioni amministrative, 5 per cento di familiari o congiunti di amministratori.

Rispetto alla tipologia delle intimidazioni, nella ripartizione geografica Sud e isole, si sono verificati il 97 per cento del totale degli episodi con l'utilizzo di armi da fuoco, il 94 per cento degli episodi con utilizzo di ordigni esplosivi, l'88 per cento dei casi di incendi di autovetture e il 78 per cento delle intimidazioni tramite incendi dolosi.

Le possibili motivazioni degli atti intimidatori variano a seconda dei territori; passiamo dai movimenti antagonisti “no TAV”, “no Terzo Valico” del Nord-Est, al disagio sociale, alla rivalità politica, al tentato condizionamento dell'attività amministrativa nel Sud Italia, alla criminalità comune e organizzata in Sicilia e in Sardegna.

Nel 2015 la situazione è perfino peggiorata, con un aumento del 33 per cento degli atti intimidatori, come rappresenta bene il rapporto “Amministratori sotto tiro”: una media di 40 atti intimidatori ogni mese, due al giorno, uno ogni diciotto ore. In Sardegna, nel 2015 c'è stato un incremento del 118 per cento rispetto all'anno precedente. Il prossimo 22 giugno Avviso Pubblico presenterà il sesto rapporto di “Amministratori sotto tiro”, relativo all'andamento del fenomeno nel 2016. Possiamo, però, già dire che, nello scorso anno, le cose non sono andate meglio; ANCI documenta che, da gennaio a giugno 2016, gli atti intimidatori denunciati erano già 180 e nei primi tre mesi del 2017 altri 15. Ovviamente, i numeri ufficiali non contemplano le mancate denunce, le dimissioni per motivi personali che, spesso, come ho già detto, sono la risposta alle pressioni non più sopportabili.

La scelta legislativa di intervenire sulla formulazione di una specifica fattispecie di reato, relativamente alle intimidazioni e, conseguentemente, agli strumenti investigativi e processuali, si inserisce e, sempre più, deve inserirsi, come ha detto bene il relatore, in un contesto articolato e complessivo di messa in sicurezza del profilo, delle prerogative e dello spazio di azione del sindaco e più in generale del rappresentante istituzionale.

Occorre cancellare - concordo con il relatore - ogni cono d'ombra che possa offuscare, in modo oggettivo, rispetto alla percezione dei cittadini, la linearità, la trasparenza, l'imparzialità, la legalità dell'attività amministrativa, in ogni sua fase. Purtroppo, non possiamo trascurare la considerazione che la competenza, l'integrità morale e il buon operato di molti amministratori, spesso, è passato in secondo piano, rispetto ai comportamenti illegali di pochi altri, che, nell'immaginario collettivo, sono diventati simboli di un sistema del governo locale colluso e corrotto. E rispetto alle scelte del legislatore del passato recente, ahimè, hanno prevalso, sulla moltitudine degli amministratori onesti, quelli avvezzi a pratiche amministrative orientate al perseguimento dell'interesse personale in luogo di quello pubblico. Questo fatto è stato alla base di una produzione normativa orientata più a colpire e a sanzionare che a tutelare e promuovere le buone prassi amministrative e le condizioni ottimali d'azione amministrativa. Penso, al riguardo, alla norma contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2010 che, solo di recente e opportunamente, abbiamo modificato, rispetto alla conferibilità, per esempio, di incarichi pubblici a liberi professionisti che ricoprono cariche elettive pubbliche.

Secondo punto; questi anni sono caratterizzati dal ripensamento organizzativo del governo locale, da un punto di vista dimensionale e dei centri decisionali, con una tendenza ad aggregare, concentrare e ridurre, per semplificare e diminuire la complessità, nella direzione di una maggiore regolarità e trasparenza dei procedimenti e delle decisioni finali della pubblica amministrazione. Ecco, a questo processo occorre affiancare una seria rimodulazione delle funzioni, in modo da salvaguardare le decisioni, oltre chi deve assumerle; o si procede verso una perfetta simmetria fra funzioni attribuite e risorse trasferite o la titolarità di alcune funzioni o, meglio, alcune responsabilità amministrative e gestionali di particolare complessità e delicatezza in capo al sindaco, alla giunta, al consiglio comunale e ai funzionari comunali, devono essere trasferite ad altri livelli istituzionali maggiormente strutturati.

I comuni, i sindaci in particolare, catalizzano sulla propria attività tutta una serie di aspettative; su di loro si concentrano funzioni e prerogative decisionali che si intersecano con i principali diritti di cittadinanza e con gli interessi economici della comunità. Quando le aspettative vanno deluse, i diritti di cittadinanza ridimensionati e gli interessi economici messi in discussione, il rappresentante istituzionale, il sindaco, diviene bersaglio, perde credibilità e attenzione positiva da parte della comunità. L'importanza anche simbolica di questa proposta di legge sta proprio nella volontà di suggellare questo cambio d'approccio, non solo rispetto agli atti intimidatori a danno degli amministratori locali, ma anche rispetto al loro ruolo.

Su questo aspetto vorrei soffermarmi, avviandomi alla conclusione, perché in un momento in cui prevale l'antipolitica, accompagnata da un pericoloso qualunquismo che annovero fra le cause dell'affievolimento del senso delle istituzioni e del senso civico nel nostro Paese, dovremmo moltiplicare la rappresentazione e il supporto delle esperienze, la maggior parte di buona politica, diffuse in tutte le regioni italiane; buone prassi e onestà che troviamo nei piani alti della politica, come nei territori, dove mettersi al servizio e amministrare è davvero una missione, perché, colleghi, dobbiamo avere chiaro che cosa significa, oggi, amministrare un comune, in particolare, cosa significa amministrare uno dei tanti comuni italiani medio-piccoli: donne e uomini di buona volontà si mettono al servizio delle proprie comunità a governare paure e speranze in uno dei momenti più complessi della nostra vita repubblicana; donne e uomini che spesso sono liberi professionisti, lavoratori autonomi, piccoli imprenditori che in quei cinque anni di mandato rinunceranno, oltre che alla loro vita privata, perché quando fai il sindaco è così, al lavoro e alla crescita professionale; donne e uomini che, a differenza nostra, cari colleghi, non percepiscono un'indennità dignitosa, perché anche questo dobbiamo dire, la maggior parte dei sindaci, per non parlare poi dei vicesindaci, degli assessori e dei consiglieri comunali, come ben sapete, svolgono il loro mandato quasi gratis, consapevoli che saranno, nel bene e nel male, l'istituzione di maggiore prossimità dei loro cittadini, quelli di cui i cittadini conosceranno l'indirizzo, dove risiedono con le loro famiglie, il numero di telefono e le dinamiche di vita. Quelli che i cittadini raggiungeranno facilmente e direttamente, ogni qual volta avranno bisogno e ogni qual volta, a torto o a ragione, riterranno opportuno.

La mia non è e non vuole essere una narrazione romantica della figura del sindaco e dell'amministratore locale, non è questa la sede, ma, semplicemente, è un richiamo a quest'Aula di cui mi onoro di far parte, a tutti i gruppi politici qui presenti, in particolare al mio e a quelli di maggioranza, a continuare nella difficile, ma sacrosanta battaglia per la riabilitazione della politica.

Se un sindaco o un qualsiasi soggetto che svolge una funzione pubblica delinque, si fa corrompere o corrompe deve essere perseguito in modo esemplare e puntuale, senza alcuna attenuante. Occorre essere attenti e severi nella selezione della classe dirigente; occorre implementare sempre più il numero e la qualità degli strumenti anticorruzione che attengono alla trasparenza e al totale accesso dei cittadini alla vita e alle scelte della pubblica amministrazione; ma occorre battersi con la stessa forza e determinazione contro la criminalizzazione generalizzata e davvero fuori luogo dei politici e degli amministratori locali.

L'approvazione di questa norma segna in tal senso la definitiva presa d'atto circa la specificità della funzione istituzionale svolta da sindaci e amministratori locali; segna la raggiunta consapevolezza che la resistenza e il rafforzamento della democrazia rappresentativa, della nostra esperienza repubblicana, che si attua attraverso il riconoscimento delle autonomie locali e il decentramento amministrativo, necessitano di condizioni senza le quali si rischia di retrocedere.

I sindaci e gli amministratori locali sono un pezzo fondamentale dello Stato, come ha detto bene il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella; sono il volto della Repubblica che si presenta ai cittadini nella vita di tutti i giorni: in quanto tali devono essere tutelati, messi nelle condizioni di poter decidere senza rischiare la serenità propria e della famiglia, non essere costretti a ritrarsi innanzi alle pressioni indebite, non essere criminalizzati.

È vero, la politica è passione, quando la si fa nelle comunità locali è missione: non deve e non può, però, trasformarsi in un vicolo cieco alla mercé di violenti e detrattori. Solo costruendo queste condizioni il civismo e le migliori risorse del Paese e dei territori possono contribuire a moltiplicare le esperienze e le buone prassi di rinascita. Perché non può sfuggire la graduale e costante compressione del confronto democratico, il restringimento, anno dopo anno più rilevante, delle maglie democratiche: si riduce il numero dei cittadini che partecipa al voto - sia esso politico sia esso amministrativo - e aumenta il pesante silenzio degli astenuti e, attenzione, a ogni tornata elettorale per il rinnovo dei governi locali, aumenta il numero dei comuni in cui a concorrere è un solo candidato sindaco e una sola lista di consiglieri comunali.

Vi consegno, al riguardo, come spunto di riflessione, i dati relativi al fenomeno delle liste uniche di un contesto regionale che conosco bene, il mio, la Sardegna. Alle ultime elezioni amministrative, quelle tenute lo scorso 11 giugno, su 64 comuni andati al voto, 21 avevano un solo candidato a sindaco e una sola lista. Nel 2016, i comuni con una lista sola erano 20 su 99; nel 2015, 46 su 167; nel 2011, 14 su 97; nel 2010, 21 su 176. Oggi, in Sardegna, sono ben 100 i comuni, su 377 complessivi - stiamo parlando di un comune ogni quattro -, in cui sindaco e consiglio comunale sono stati eletti attraverso la presentazione di una sola lista. Dati non così gravi, ma ugualmente allarmanti si registrano in tante altre regioni italiane.

Perché, colleghi - e concludo davvero -, si sa, in democrazia, i numeri contano e fanno la differenza e la qualità come la fattività della democrazia stessa sono direttamente proporzionali a quante e quanti decidono consapevolmente e responsabilmente di praticarla, concorrendo alla scelta di propri rappresentanti ovvero impegnandosi direttamente nella gestione della cosa pubblica. Con l'intervento legislativo di cui oggi discutiamo facciamo un altro passo importante nella giusta direzione, come ha detto bene l'onorevole Mattiello, ma la strada per recuperare la fiducia, l'affidabilità e anche la voglia di partecipare è ancora lunga (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 3891)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, ma credo che non sia intenzionato.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo. Prego.

COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Presidente, solo per dare atto di quanto anche per il Governo sia importante questo provvedimento. Vorrei sottolineare in positivo il lavoro della Commissione di inchiesta, che è stata più volte citata sia dal relatore che dalla deputata che è intervenuta, proprio perché questa proposta di legge viene arricchita e parte anche grazie al lavoro della Commissione d'inchiesta. Questo è positivo e, quindi, ringraziamo tutti, sia il presidente della Commissione di inchiesta, senatrice Lo Moro, sia tutti i componenti per il lavoro che hanno fatto.

Inoltre, il provvedimento guarda - è stato detto e lo voglio risottolineare - agli amministratori onesti: una tutela a rafforzare e a far sentire vicini le istituzioni e il legislatore a tutti quegli amministratori onesti che si impegnano giornalmente e che cercano di dare quelle risposte di trasparenza, di efficienza ai propri cittadini e alle proprie collettività.

Questo è importante, perché, da una parte, non li fa sentire soli, tutela non solo la loro incolumità personale, i loro beni e le loro famiglie, ma tutela - questa norma, questo provvedimento - anche il buon andamento della pubblica amministrazione, che è l'altro bene giuridico che serve proprio per collegare ed avvicinare sempre di più anche i cittadini alle istituzioni.

Dall'altra parte, invita ed incentiva anche altri soggetti ad affacciarsi all'attività politica-amministrativa, perché ne comprendano non solo l'importanza, ma anche il fatto di non essere soli una volta che ci si trova a svolgere un ruolo che, come è stato detto, è sempre più difficile: quello del sindaco, dell'amministratore, del vicesindaco, dell'uomo di giunta, del consigliere, che sono sempre in prima linea, vicini alle esigenze dei cittadini ma, molte volte, si sentono soli; e, in particolare, di fronte ad episodi anche di violenza intimidatoria, una violenza che può essere non solo espressa, ma anche sotto varie forme, ecco che devono avere la possibilità non solo di denunciare, ma di avere norme efficaci che diano quelle risposte davvero repressive che, da una parte e dall'altra, aiutino anche dal punto di vista della prevenzione ad evitare comportamenti come quelli che, purtroppo, nel passato ci sono stati.

È un modo, quindi, anche con questo provvedimento, per parlare di buona politica e per far capire quanto sia importante amministrare, quanto sia certamente un onore per chi svolge questi ruoli, ma anche un onere. Quindi, è giusto portare avanti questo provvedimento con forza e determinazione per ringraziare tutti quegli amministratori onesti che, ogni giorno, si impegnano nell'attività politica-amministrativa.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Sereni ed altri: Modifica alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del festival Umbria Jazz (A.C. 4102-A) (ore 12,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 4102-A: Modifica alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del festival Umbria Jazz.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4102-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole, Anna Ascani.

ANNA ASCANI, Relatrice. Grazie, Presidente. Rappresentanti del Governo, colleghi, oggi esaminiamo una proposta di legge che, da umbra, per me, assume anche una valenza affettiva, come è naturale, ma esaminiamo una proposta di legge che è frutto di un impegno che ci siamo presi in Commissione cultura, qualche mese fa, con gli umbri e con tutti coloro che all'Umbria Jazz Festival nel tempo sono stati legati, anche se non necessariamente per ragioni di appartenenza territoriale.

Ci siamo presi questo impegno quando ad un emendamento dell'onorevole Polidori, di un gruppo diverso dal mio, ma sottoscritto da diversi gruppi rappresentati in quest'Aula, abbiamo dovuto dire di no, per ragioni di tempo nella discussione all'interno di quest'Aula; ma, da allora - è qui presente e può testimoniarlo la presidente della nostra Commissione, l'onorevole Flavia Piccoli Nardelli -, avevamo detto che avremmo tentato ogni strada possibile per dare ad Umbria Jazz il sostegno e la valorizzazione che questa manifestazione merita.

Con orgoglio, quindi, presento all'Aula questa proposta di legge, che è stata sottoscritta - e lo dico perché, poi, nella discussione, avremo modo di discutere molto della posizione che, forse, alcuni gruppi parlamentari, almeno a leggere i resoconti sulla stampa hanno cambiato - da tutti i gruppi politici rappresentati in quest'Aula. Tutti gli onorevoli che sono stati eletti in Umbria hanno sottoscritto questa proposta di legge.

Questo è particolarmente importante perché, appunto, denota che quell'impegno che ci siamo presi in Commissione era un impegno non soltanto del Partito Democratico e della Vicepresidente Sereni, che è prima firmataria della proposta, ma anche di tutti coloro che hanno voluto firmare e sottoscrivere questa proposta di legge. Questa proposta legge è, come dicevo, finalizzata al sostegno e alla valorizzazione dell'Umbria Jazz Festival ed è una proposta che intende includere il Festival Umbria Jazz tra le manifestazioni musicali e operistiche di assoluto rilievo internazionale ai sensi della legge n. 238 del 2012 e, di conseguenza, garantire l'erogazione di un contributo finanziario annuo a decorrere dal 2017 in favore della Fondazione di partecipazione Umbria Jazz per l'organizzazione del Festival stesso.

La rilevanza internazionale di Umbria Jazz è un'evidenza di cui non è necessario parlare ma lo faccio in breve con piacere, appunto, per quel legame affettivo, che dicevo, e territoriale e anche per raccontare un po' la storia di un Festival che è diventato un marchio territoriale e che ha dato lustro a Perugia e a tutta l'Umbria. Era il 1973 quando l'Umbria Jazz Festival è stato costituito. In quell'occasione non si sono calcate le scene, poi diventate famose, del Teatro del Pavone o dell'oratorio Santa Cecilia, né il palco dell'Arena Santa Giuliana. Il 23 agosto 1973 le scene dell'Umbria Jazz Festival erano il teatro naturale di Villalago a Piediluco e l'orchestra di Thad Jones e Mel Lewis, nelle cui file militava una giovanissima Dee Dee Bridgewater. Poi piazza IV Novembre a Perugia, dove si esibivano per la prima volta in Italia gli Weather Report. Un esordio che ha lasciato il segno, diciamo. Poi gli sforzi di Carlo Pagnotta, commerciante perugino appassionato di jazz al quale va il nostro ringraziamento oggi, hanno fatto il resto non senza difficoltà. Sembrano cartoline da un'altra Italia, eppure è la nostra storia.

Umbria Jazz ha dovuto combattere nei suoi primi anni e nelle sue aspirazioni di crescita contro il clima degli anni di piombo, gli espropri proletari e i problemi di ordine pubblico che hanno portato all'interruzione di concerti come Chet Baker o Stan Getz, jazzisti bianchi, quindi borghesi. Alcuni anni di interruzione del Festival e infine l'addio al progetto di un festival itinerante per l'Umbria. Umbria Jazz negli anni Ottanta diventa quindi stanziale e trova casa -almeno nella sua versione più nota, quella estiva - e la sua casa diventa Perugia. Non credo ci sia un perugino che non abbia mai sentito la propria città apostrofata in perfetto italiano pronunciato da americani da un palco di Umbria Jazz, in un corso Vannucci gremito di persone. Infatti Umbria Jazz gradualmente prende la propria forma definitiva: concerti gratuiti in giro per le piazze del centro storico, che diventa un fiume di gente per almeno dieci giorni all'anno, e concerti a pagamento in luoghi dedicati, dai teatri cittadini all'Arena Santa Giuliana, poco sotto il centro storico, dove sono passati veramente tutti i grandi del jazz. Non a caso Umbria Jazz è l'unico festival italiano membro dell'International Jazz Festival Organization. Nomi come Miles Davis, Ornette Coleman, Sarah Vaughan, Art Blakey, Gil Evans, Gerry Mulligan, Chet Baker, Cecil Taylor e via dicendo, solo per citarne alcuni, si sono esibiti sul palco di Umbria Jazz e ora anche i jazzisti italiani girano per il mondo grazie all'Umbria Jazz, come hanno fatto dal 18 al 23 ottobre dello scorso anno in cui si è svolta la prima edizione di Umbria Jazz in Cina, nella capitale della provincia di Sichuan.

Il successo di questa manifestazione e l'anagrafe, che sta portando alla fine l'opportunità di vedere dal vivo i grandi del jazz, hanno portato Umbria Jazz ad aprirsi alle contaminazioni con il soul, la black music, il pop, il rock. Negli ultimi anni hanno quindi calcato le scene dell'Arena Santa Giuliana artisti del calibro di Elton John, Carlos Santana, Eric Clapton, Prince, Paolo Conte, Alicia Keys, John Legend fino a Lady Gaga e dal 7 al 16 luglio di quest'anno si terrà di nuovo una grande manifestazione che, come negli anni precedenti, sicuramente animerà il centro storico e non solo della città di Perugia. La novità di quest'anno è che questa manifestazione arriva dopo il sisma, dopo gli eventi, cioè, che hanno scosso profondamente la mia regione e che hanno prodotto un danno indiretto di cui qui a lungo si è parlato e su cui il Governo ha fatto dei primi passi importanti ma per i quali sicuramente iniziative come queste hanno un valore assoluto. Infatti, ridare vitalità a festival di questo tipo significa ridare ossigeno anche a tutti i commercianti, gli operatori e gli albergatori, cioè a tutto quell'indotto che gira attorno a un festival di questo genere e che di sicuro da Umbria Jazz ha avuto tanto ma a Umbria Jazz ha dato anche moltissimo.

Quello che colpisce di questo festival, infatti, e che ne diviene un tratto della sua edizione è il legame con il territorio, parte indissolubile e suo strumento di sviluppo, sia culturale che economico. Ormai l'Umbria è, sì, il cuore verde d'Italia, terra di gastronomia, di olio, di sagrantino, ma è anche la terra del jazz.

Tanto Umbria Jazz e Umbria sono una cosa sola che, quando il terremoto ha colpito il centro Italia, l'Umbria Jazz Festival ha saputo portare il suo contributo: per tre giorni, dal 30 settembre al 2 ottobre, si è svolta ad Assisi una vera e propria edizione straordinaria del Festival, che ha raccolto più di 40 mila euro devoluti alla Protezione civile, grazie alla collaborazione di artisti dello spessore di Gino Paoli, Bollani, Renzo Arbore e Fabrizio Bosso, che si sono esibiti al Teatro Lyrick senza alcun compenso. Oltre al risultato concreto, l'obiettivo non meno importante che quell'edizione straordinaria dell'Umbria Jazz Festival ha raggiunto è stato anche quello di far sentire a chi ha vissuto la tragedia del terremoto la vicinanza del mondo della musica e, in generale, dell'Umbria. Ma il supporto alle popolazioni terremotate e all'Umbria in generale non finisce qui. Infatti, l'1 e il 2 luglio - quindi una settimana prima dell'inizio dell'edizione 2017 del Festival - Renzo Arbore regalerà alla città di Norcia due serate indimenticabili di musica e grande spettacolo, nella doppia veste di organizzatore e performer.

Il 2017 sarà un anno importante per l'Umbria Jazz Festival e il riconoscimento che gli attribuiamo con l'approvazione di questa proposta di legge, se l'Aula vorrà, ne sarà la conferma. Il primo disco di musica jazz è stato registrato esattamente cento anni fa ed allora, anche grazie ad avvenimenti come questo, la musica jazz non ha smesso di fare innamorare il mondo. L'importanza di queste celebrazioni viene confermata dai numeri altissimi di partecipazioni che hanno spinto gli organizzatori del Festival ad affiancare all'edizione estiva di dieci giorni, con eventi e spettacoli quotidiani, un'edizione invernale che contribuisce, insieme alla festa di fine anno, ad esercitare un'attrattiva turistica importante per la città di Orvieto, sede per l'appunto dell'edizione invernale.

Ma l'Umbria Jazz Festival è anche un momento di conoscenza e diffusione della cultura jazz. L'approccio internazionale della manifestazione ha consentito collaborazioni di altissimo spessore come quello con il Berklee College of Music di Boston e con il Conservatorio di musica per organizzare corsi di formazione per giovani musicisti che intendono perfezionare il linguaggio e la cultura jazz. Ma non solo: il rapporto strettissimo tra l'Umbria e il mondo internazionale del jazz avrà una celebrazione simbolica e potentissima quest'anno nell'edizione 2017, quando Wayne Shorter farà omaggio di una performance insieme all'orchestra da camera di Perugia.

Abbiamo ritenuto, quindi, che il modo migliore per sostenere e valorizzare il Festival Umbria Jazz fosse supportare economicamente la Fondazione di partecipazione Umbria Jazz, perché dall'anno della sua costituzione è appunto la Fondazione che assicura la continuità della manifestazione attraverso le iniziative necessarie per lo sviluppo in senso internazionale della manifestazione e la sua diffusione, provvedendo anche al reperimento dei mezzi finanziari e favorendo il coinvolgimento e la partecipazione di soggetti ed enti pubblici e privati. Oggi diversi fattori rendono l'organizzazione dell'Umbria Jazz Festival più difficile: il perdurare degli effetti della crisi economica, le difficoltà finanziarie di alcuni comuni e anche gli eventi che abbiamo prima citato. Il riconoscimento di questa manifestazione, però, non dovrebbe avere colore politico e dovrebbe essere, invece, riconosciuto da tutti, appunto per le ragioni che ho prima enunciato. Questo quadro evidenzia il bisogno di una ricomposizione e di una forte riaffermazione sia del ruolo strategico di Umbria Jazz sia della visione istituzionale che l'ha sempre sostenuta. L'importo di un milione di euro, previsto dall'articolo 1 e unico di questa proposta di legge quale contributo annuale da erogare alla Fondazione, appare assolutamente proporzionato se pensiamo alla tradizione di questa manifestazione e al suo spessore internazionale.

Credo proprio che l'Aula sarà d'accordo con me e con noi in forza del fatto che, appunto, questa proposta di legge è stata sottoscritta da tutti i gruppi politici e spero lo dimostrerà nel sostenere che Umbria Jazz Festival è una manifestazione ambasciatrice di crescita economica, sviluppo territoriale, valorizzazione del patrimonio culturale e attrazione turistica. Umbria Jazz rappresenta, insomma, quello che ci diciamo spesso qui dentro, cioè che con la cultura si mangia, si mangia eccome, perché quando la cultura diventa fattore di sviluppo e tiene insieme un territorio, ma anche la sua vocazione ad andare oltre i confini di una regione e oltre i confini di una città, allora si realizza quello che l'Italia deve e può essere: appunto un punto di riferimento mondiale per la cultura.

Per questo io vi chiedo di dare una mano non soltanto a Orvieto, a Terni, che ospita l'Umbria Jazz Spring, a Perugia e all'Umbria tutta, ma di dare una mano a quel mondo della cultura che, nonostante le tante difficoltà di questi anni, ce l'ha fatta e ci chiede semplicemente di essere riconosciuto per il valore che ha. A quest'Aula, appunto, chiedo di riconoscere oggi il valore della cultura e della cultura della mia terra.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che immagino si riservi.

È iscritto a parlare l'onorevole Laffranco. Ne ha facoltà.

PIETRO LAFFRANCO. Presidente, grazie. In questa strana giornata, con quest'Aula così piena di colleghi, siamo qui per parlare di una cosa che, probabilmente, avremmo dovuto fare o si sarebbe dovuta fare un po' prima, ossia riconoscere il valore di manifestazione di interesse nazionale a Umbria Jazz. Ho ascoltato prima la collega Ascani, che ha svolto la relazione per conto anche della Commissione cultura, che ha esaminato questo testo di legge. Devo dire che le cose che la collega ha detto sono assolutamente puntuali. Non sono soltanto umbro, ma sono anche perugino, e quindi ho visto tutto il percorso, dalla nascita, di questa manifestazione. Confesso anche che inizialmente non è che la cosa proprio mi facesse morire di entusiasmo, perché Umbria Jazz è stata anche - e poi cercherò di parlarne successivamente, sia pure in modo breve - lo specchio di fenomeni sociologici, perché, alla fine degli anni Settanta, in concomitanza con le prime edizioni, essa coincise con una sorta di movimento giovanile con il quale i ragazzi under 30 cercavano di manifestare la loro capacità di essere gruppo, di essere quasi una classe, e invasero la mia città con i sacchi a pelo, dormendo ovunque e, per la verità, facendo anche cose, diciamo così, poco educate ovunque, persino sotto casa mia.

E, allora, non ero proprio tra i più grandi sponsor di Umbria Jazz quando ero ragazzino; poi ho imparato a conoscerla, non perché abbia avuto la possibilità di diventare un esperto di jazz (diciamo che i massimi critici musicali riconoscono che Umbria Jazz non è solo la principale manifestazione jazzistica italiana, una delle più importanti a livello europeo, ma certamente una delle più importanti a livello mondiale), ma perché, e mi pare lo dicesse prima la collega Ascani, questa manifestazione non ha soltanto uno straordinario valore artistico e culturale perché vengono artisti importanti e non importanti, che poi, grazie al palcoscenico di Umbria Jazz, diventano importanti e vengono lanciati nel firmamento anche dei grandi guadagni, delle grandi vendite (starei per dire di dischi, ma oggi i dischi non si vendono più, diciamo così). Ma è una manifestazione assolutamente straordinaria, nel senso di unica, perché mette e fonde insieme l'evento culturale con il luogo che la ospita. In realtà, è abbastanza improbabile trovare una manifestazione di questa natura, dove ci sono concerti in ogni angolo della città di Perugia, dove ci si siede a un bar ad ascoltare la musica che gratuitamente viene fatta dall'artista importante, che, magari, la improvvisa lì per là, piuttosto che da uno che è venuto ad ascoltare il jazz e poi si mette lui stesso a suonare e fa stare insieme 100, 200, 500 persone, magari a mezzogiorno, con il buono del caldo, come si dice dalle parti mie. È veramente una manifestazione straordinaria, è una manifestazione straordinaria anche perché - lo voglio dire perché non dobbiamo vergognarci di questo - porta migliaia e migliaia di turisti in Umbria, e segnatamente a Perugia, e poi, anche nell'edizione invernale, in provincia di Terni, in particolar modo a Orvieto.

La mia terra, l'Umbria, è una regione che, se non vive di turismo, diventa complicato capire di che cosa possa vivere. Sì, ci sono molte altre cose, stanno facendo grandi sforzi, per carità, adesso non è qui l'occasione per parlarne, però è per davvero importante, e noi abbiamo l'onore di avere nella nostra regione due straordinarie manifestazioni di livello non nazionale, ma internazionale, che sono il Festival dei Due Mondi di Spoleto e Umbria Jazz, che si svolge a Perugia e a Orvieto in momenti diversi dell'anno.

Questo non è soltanto bello per chi, come me, è umbro, ma è importante perché costituiscono dei momenti attrattivi straordinari per migliaia e migliaia di turisti, non soltanto italiani, ma anche e soprattutto stranieri, che vengono in Italia, che visitano l'Umbria, che visitano le regioni vicine all'Umbria, perché abbiamo la fortuna di essere quasi baricentrici tra quelle due meraviglie del mondo che sono Roma e Firenze. E, quindi, come pensare di non sostenere una manifestazione di questo genere. Non voglio qui ripercorrere la storia di questi, se non sbaglio, 44 anni, dovremmo essere arrivati a 44 anni dalla storia, perché mi pare fosse il 1973, siamo nel 2017, quindi 44 anni; poi ci sono state due o tre edizioni che non si sono svolte, ma, insomma, dice poco, ma credo che questo evento - e diceva anche questo la collega Ascani prima - sia anche un segnale di attenzione vera per l'economia intera di una regione che non ha solo le difficoltà di tutte le altre regioni, ma anche quella, purtroppo, dell'evento terremoto che si è riverificato diversi mesi fa; se noi pensiamo che ci sono state scuole in Italia, la grande parte delle scuole italiane - di questo qualcuno ci dovrebbe anche, in qualche modo, dare qualche risposta - che hanno eliminato l'Umbria dal circuito delle gite scolastiche per paura del terremoto, che si è fermato, per fortuna, da molte settimane, allora penso che ci sia anche un dovere morale, in qualche modo, ammesso che di morale si possa parlare, di aiutare questa regione, questi territori e le sue comunità.

Questa è un'occasione straordinaria. Ho visto che la legge, che porta la prima firma della collega Sereni, che ha così ben illustrato la collega Ascani, porta le firme dei parlamentari di tutti i gruppi presenti alla Camera eletti in Umbria. Mi voglio augurare non solo che tutti votino favorevolmente, ma che lo si faccia velocemente e che anche il Senato possa rapidamente approvare questa stringatissima proposta di legge, perché, ripeto, è uno straordinario evento di carattere culturale e musicale, è un evento peculiarissimo per il binomio cultura-territorio, o, se volete, evento e luogo di svolgimento dell'evento, per questa vicenda, diciamo così, del terremoto, per, in generale, l'aiuto che può dare allo sviluppo ulteriore, sviluppo turistico della regione Umbria, ma anche perché si tratta di un momento con il quale un territorio riesce a caratterizzarsi a livello nazionale e internazionale, cioè diventa un orgoglio poter andare, magari, a New York e trovare in un negozio la maglietta di Umbria Jazz.

Lo dico senza volere essere eccessivo, ma, insomma, altre cose in giro ci sono, non tante. A New York si svolgono eventi con cui viene promossa Umbria Jazz che riscuotono un successo clamoroso. È vero, l'America è la patria del jazz, ma, insomma, non è che è esattamente un posto uguale a tanti altri. Allora, io penso che, da questo punto di vista, noi dobbiamo semplicemente dire di essere arrivati un po' tardi, ma, per fortuna, a un certo punto è scattato un qualche cosa. Ricordo, era, mi pare, la fine di gennaio, quando la sottosegretaria, anch'essa umbra, Borletti Buitoni dette parere favorevole a un emendamento che firmammo alcuni di noi per chiedere che Umbria Jazz entrasse tra le manifestazioni di interesse nazionale, perché non era stato possibile fare altro in termini normativi. Da allora diciamo che di tempo non ne è trascorso tanto, tenuto conto della lunghezza con cui questo Parlamento talvolta lavora per approvare le leggi.

Siamo arrivati alle soglie dell'estate, siamo arrivati alle soglie della nuova edizione di Umbria Jazz, e noi confidiamo che questo Parlamento, tra questa e la prossima settimana, possa approvare questa proposta di legge e che poi il Senato rapidissimamente la approvi, se non in Aula, in sede legislativa; insomma, così come i gruppi si accorderanno. Credo che sarebbe un fatto estremamente positivo, che dimostrerebbe come a volte si riesca a collaborare tutti assieme, Governo, Parlamento, maggioranza, opposizione. Quando una cosa è chiara, limpida e oggettiva, si riescono a fare le cose insieme. Speriamo che nessuno mi smentisca.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4102-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione sulle linee generali delle mozioni Simonetti ed altri n. 1-01553 e Brunetta ed altri n. 1-01560 concernenti iniziative volte a garantire il funzionamento delle province (ore 12,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Simonetti ed altri n. 1-01553 e Brunetta ed altri n. 1-01560 concernenti iniziative volte a garantire il funzionamento delle province (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che è stata altresì presentata la mozione Civati ed altri n. 1-01646, che, vertendo su materia analoga a quella trattata nelle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare l'onorevole Roberto Simonetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01553. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Presidente, è doveroso che il Parlamento affronti la questione delle province, proprio perché l'esito referendario della riforma costituzionale del 4 dicembre scorso ha cambiato rotta, il popolo ha fatto cambiare rotta al Paese in riferimento alla cancellazione di questi enti. Perché se è vero, come è vero, che tutta la vostra politica, da quattro-cinque anni a questa parte, è quella di eliminare la possibilità di espressione da parte dei cittadini, soprattutto a livello territoriale - e mi spiego meglio: avete tolto le funzioni fondamentali alle province, avete tolto la possibilità di elezione diretta dei presidenti dei consigli provinciali, avete voluto inserire una modifica costituzionale, poi successivamente bocciata, ossia la cancellazione appunto delle province nell'assetto istituzionale - ecco che quindi, essendo stata questa vostra volontà sonoramente bocciata dall'esito referendario, significa che questa Camera e il Senato, quindi questo Parlamento, devono invertire la rotta da un punto di vista legislativo e mettere mano alla questione province.

La questione province ha due problematiche. Una è quella che ho evidenziato, che è appunto una problematica a livello istituzionale e a livello politico, quella della rappresentanza delle identità locali, che deve ritornare ad essere rappresentativa e rappresentante come era un tempo, ante legge n. 56 del 2014, la cosiddetta legge Delrio: quindi, bisogna ritornare a dare funzioni, bisogna ritornare a dare competenze, bisogna ritornare a dare dignità istituzionale a questo assetto istituzionale di area vasta, che è quel cuore, quel polmone intermedio fra i piccoli comuni e la regione, quindi con un grandissimo compito di raccordo e di raffronto fra le varie istanze del territorio.

L'altro problema è quello economico, perché se la vostra programmazione era quella appunto della cancellazione costituzionale degli assetti provinciali, è andata di pari passo la cancellazione dei trasferimenti e delle possibilità di autonomia finanziaria che questi enti avevano nel tempo. Cioè, in parte avete tagliato i trasferimenti in maniera draconiana, perché in quattro anni, dal 2013 al 2017, sono stati tagliati 5,2 miliardi di euro al settore delle istituzioni provinciali, a partire ancora dal famoso “salva Italia”: avrà salvato l'Italia, ma di fatto ha massacrato i territori; che poi abbia salvato l'Italia è tutto da verificare, quel decreto-legge famoso dell'ex Presidente, ora senatore a vita, professor Monti. Il decreto-legge n. 201 del 2011 tagliò 415 milioni nel 2013, nel 2014, nel 2015, nel 2016, nel 2017; si sommò alla spending review, si sommarono il disegno di legge n. 66 del 2014, la legge n. 190 del 2014. In totale, per il 2013, 1 miliardo e 100 milioni di tagli, 2 miliardi nel 2014, 3 miliardi e 200 milioni nel 2015, 4 miliardi e 200 milioni nel 2016, 5 miliardi e 200 milioni nel 2017, che è la sommatoria di tutti questi tagli.

In parte tagli, in parti prelievi “forzosi”, perché se è vero come è vero che embrionalmente i tagli al sistema provinciale partirono con il decreto-legge n. 78 del 2010 della scorsa legislatura, quando ancora c'era la Lega al Governo e il Ministro era Tremonti, di pari passo in quella legislatura si fece il federalismo fiscale, e si diede la possibilità alle province, che all'epoca avevano ancora funzioni proprie, di rimodulare le loro entrate attraverso una rimodulazione dell'IPT e delle RC auto, l'imposta provinciale sulle trascrizioni ed il prelievo percentuale sulle assicurazioni di responsabilità civile, che rimanevano in capo alle province stesse.

Quindi sì, è vero che i tagli iniziarono con il decreto legge n. 78 del 2010, ma nel contempo i territori avevano la possibilità di avere altre entrate, che andavano a bilanciare queste mancate entrate, di trasferimenti da parte dello Stato. Quindi, una bilancia sostanzialmente positiva, che andava nell'ottica dell'autonomia finanziaria dei territori: meno trasferimenti e più prelievo territoriale, in modo tale da avere una propria programmazione, la possibilità di programmare il proprio futuro e di determinarsi il proprio bilancio.

Queste risorse adesso, oltre a non vedersi rimpinguate le casse attraverso i mancati trasferimenti, queste risorse provenienti dall'IPT e dall'RC auto adesso lo Stato le chiede indietro: sostanzialmente le province incassano, e c'è un prelievo forzoso da parte dello Stato, del Ministero dell'Economia e delle finanze, che si fa trasferire i danari da parte delle province alle casse centrali; questo differenziale fa sì che, su 3,7 miliardi di incassi, 3 miliardi sono stati richiesti, quindi ritrasferiti allo Stato centrale.

Le province, quindi, lavorano squisitamente con solo il 3 per cento degli incassi che riescono ad ottenere. C'è una netta impossibilità materiale, economica di gestire l'ordinario; i presidenti di provincia si sono dovuti cautelare, hanno dovuto tutelare innanzitutto la loro dignità, e soprattutto l'istituzione che rappresentano, proponendo esposti cautelativi alle procure della Repubblica ed alle prefetture, alla Corte dei conti, in modo tale che tutti sappiamo che se succedono degli incidenti, se non si possono mettere in sicurezza le strade, se le scuole non possono essere messe in sicurezza, se manca il riscaldamento nelle scuole, se non c'è lo sfalcio d'erba, se non si possono realizzare nuovi tratti stradali, se non c'è la manutenzione ordinaria dei beni pubblici demaniali in capo alle province, non è colpa dei presidenti dei consigli provinciali, non è colpa dei territori, ma è colpa di questo Stato centrale che ha voluto annientare politicamente ed economicamente appunto queste istituzioni. Esposti in modo tale da cautelare anche le responsabilità, le responsabilità civili, le responsabilità penali di chi rappresenta indirettamente purtroppo questi territori, ma che nel contempo non hanno i mezzi, le strutture soprattutto economiche e anche di personale, per poter gestire quelle poche funzioni fondamentali che sono rimaste.

Questo conto non è un conto che nasce da una scaramuccia istituzionale fra territorio e Stato centrale: è certificato dalla Sose, che è la società che è costituita in seno al Ministero dell'Economia e delle finanze, che è stata realizzata, è stata voluta da parte del Ministero e viene utilizzata anche per calcolare i fabbisogni standard per il costo delle funzioni fondamentali degli enti locali. La Sose proprio tre mesi fa, in audizione alla Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, ha certificato con numeri propri un ammanco di 651 milioni per l'esercizio delle funzioni fondamentali: la Sose ha calcolato quante sono le entrate certe, quanto è il costo a fabbisogno standard, costo standard per poter adempiere alle funzioni fondamentali che le province hanno in capo ai sensi di legge, e, facendo la somma algebrica fra entrate certe e spese standard, la Sose ha calcolato che le spese sono superiori di 651 milioni rispetto alle entrate. Se, quindi, le entrate sono poche, non è perché ci sono meno entrate a livello territoriale, ma perché ci sono troppi minori trasferimenti e troppi prelievi forzosi da parte dello Stato centrale.

E questo mina che cosa? Mina il diritto allo studio. Non mina solo, tra l'altro, la possibilità di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici in capo ancora alle province, ma mina il diritto allo studio, mina il diritto alla mobilità, il diritto alla sicurezza, il diritto di poter vivere in una comunità normale, in una comunità ordinata, in una comunità in cui le strade possano essere agibili, in cui i ponti non crollino, in cui gli sfalci si possano fare, in cui il riscaldamento si possa pagare. Sostanzialmente, si è immaginato di poter risolvere il problema dalla politica in maniera populista.

Al populismo si è risposto con populismo: la piazza chiedeva una testa e il Parlamento, piuttosto che cedere la propria in termini di devoluzione verso il basso dei propri poteri, quindi decapitare il centralismo a favore delle autonomie regionali e territoriali, ha preferito decapitare i territori. Quindi, decapitare i sindaci da un punto di vista economico, decapitare le province addirittura da un punto di vista costituzionale, perché volevate addirittura cancellarle, e le regioni, che anch'esse annaspano quotidianamente.

Queste mie parole non sono di una parte politica, quindi non c'è un desiderio di contrasto prettamente ideologico e politico, perché sono le parole del presidente dell'UPI, dell'Unione province italiane, il sindaco Variati, che certo è tutto tranne che appartenente al nostro schieramento politico: sono parole di chi vive quotidianamente questa realtà.

Lo stesso presidente Variati ha chiesto di non votare la manovrina, che è stata approvata al Senato la scorsa settimana, perché non è con quelle soluzioni che si risolve il problema al nocciolo. Non è attraverso la cancellazione delle sanzioni a chi non rispetta il Patto di stabilità che si risolve il problema. Non è con questa elargizione di 180 milioni per il 2017 e di altri 170 milioni sempre nel 2017 (per le funzioni e per le strade), che si risolve il problema, perché dalla somma di 180 più 170, per arrivare ai 650 della Sose, c'è sempre un ammanco negativo di 300 milioni, che si deve sopportare ancora nell'annualità in corso, nel 2017.

Noi chiediamo sostanzialmente, quindi, attraverso questa mozione (è chiaro che la mozione non è una legge, è un impegno, vedremo poi quali saranno le risposte del Governo in merito, quali saranno i pareri), di ripristinare le funzioni fondamentali delle province, una legislazione ante Delrio.

Lo stesso Delrio, quando parlava appunto della rimodulazione delle competenze delle amministrazione provinciali, dava un cappello alla legge dicendo: in attesa delle modifiche costituzionali, le nuove funzioni delle province sono… ed elencava quelle che sarebbero rimaste. Venendo meno il cappello, perché la modifica costituzionale è stata, come dicevo prima, sonoramente bocciata dal popolo italiano, in teoria dovrebbe venire meno anche tutta la “riforma Delrio”, perché una era consequenziale all'altra. Allo stesso modo, ora, alla mancata riforma costituzionale deve essere consequenziale una riforma della “riforma Delrio”, che è una delle richieste base di questa nostra mozione.

Quindi, ridare dignità alle province, anche attraverso l'elezione diretta. L'elezione indiretta dà responsabilità, ma minori. Si sono costituite, di fatto, delle grandi comunità montane, delle realtà quasi semplicemente assembleari, consortili, che non hanno più quel contatto diretto fra rappresentante dell'istituzione e cittadino. Mancando l'elezione diretta, manca anche quel desiderio di appartenenza, manca anche quel desiderio di partecipazione dei cittadini all'attività amministrativa e istituzionale delle amministrazioni provinciali.

Chiediamo sostanzialmente un recupero di queste posizioni economiche che, strada facendo, si sono stratificate sempre più, portando a un'asfissia economica e contabile degli enti. Ci sono province in dissesto, ci sono tantissime province in pre-dissesto, ci sono altrettante province che hanno grossissime difficoltà, se non l'impossibilità, contabile di chiudere il bilancio del 2017 (impossibile quello del 2018). Quindi, bisogna intervenire in questa annualità, intervenire immediatamente, affinché ci siano risorse disponibili per le manutenzioni, anche ordinare, non solo le straordinarie. Noi chiediamo che 300 milioni degli 11 miliardi destinati all'ANAS passino alle province, sono sempre strade. Se l'ANAS gestisce 26.000 chilometri di strade nel Paese, non capiamo perché debba avere una dotazione di 11 miliardi, quando le province, che ne gestiscono 130.000, hanno una dotazione di 170 milioni. C'è uno squilibrio evidente che indica qual è il faro politico di questa maggioranza, che è quello dell'annientamento dei territori, l'annientamento delle istituzioni provinciali.

Chiediamo anche che tutti i risparmi della spending review che hanno fatto da sempre gli amministratori provinciale rimangano nel comparto dei fondi delle province e che non vengano inseriti nel calderone dello Stato italiano, perché poi qui, a livello centrale, lo Stato centrale se li mangia, sempre a scapito dei territori.

È una mozione semplice, non è complicatissima, ma ha una grande portata politica, ha una portata rivoluzionaria. Molte volte, ritornare al passato è una rivoluzione. Quando il qualunquismo, quando il populismo, quando il messaggio politico, vuole dare dei segnali alla piazza senza confrontarsi con la saggezza si danno risultati che non soddisfano la domanda, ma, anzi, ne acuiscono le arrabbiature, ne acuiscono i problemi.

Cerchiamo, attraverso un dibattito sereno all'interno di questo Parlamento, di dare una risposta concreta al settore delle province, perché ci sono situazioni drammatiche, situazioni veramente difficili, di territori che non riescono più a gestirsi, di territori che stanno perdendo la loro identità e soprattutto di amministratori che non sanno che pesci pigliare per chiudere il bilancio del 2017.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto, che illustrerà la mozione Brunetta n. 1-01560, di cui è cofirmatario.

ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, signor Presidente. Io intervengo per illustrare la mozione sulle province che il gruppo di Forza Italia, unitamente al gruppo della Lega, ha chiesto fosse calendarizzata per la discussione in Aula. Ci dispiace che questa discussione, che con ben altri risultati poteva svolgersi, si svolga oggi, dopo l'approvazione della manovrina; quella doveva essere l'occasione per recepire quanto richiesto dal presidente delle province e quanto richiesto anche in occasione di confronti con i gruppi parlamentari. Noi ci abbiamo provato nella discussione sul decreto appena licenziato dal Senato, abbiamo provato qui alla Camera a proporre degli emendamenti che andavano nella direzione di recepire per intero ciò che le province chiedevano. Purtroppo non ci siamo riusciti, perché la maggioranza, il Governo, non hanno inteso approvarli, non hanno inteso recepire per intero, per l'appunto, ciò che era stato chiesto dai presidenti delle province.

Oggi ci troviamo a svolgere una discussione su una mozione, per carità, utile, sarebbe stato però più utile che questa discussione si fosse conclusa qualche settimana fa, quando è stata approvata la manovra: una discussione sulle province per evitare che si spengano i riflettori su questi importanti enti, che hanno avuto, nel corso degli ultimi anni, una vita molto tormentata, dall'approvazione della “riforma Delrio”. La chiamiamo “riforma” con un eccesso di generosità, perché quella che era una legge che doveva portare all'abolizione della provincia, alla fine, l'unico risultato che ha conseguito è stato quello di abolire la possibilità per i cittadini di scegliere i loro rappresentanti nelle province. Non ha abolito le province, ma le ha trasformate in enti di secondo livello, governate da sindaci e da amministratori comunali.

Non ha nemmeno fatto chiarezza in ordine alle funzioni che le province avrebbero dovuto esercitare, perché ha mantenuto in capo alle province l'esercizio della pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, ha mantenuto la valorizzazione dell'ambiente, la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, l'autorizzazione del controllo in materia di trasporto privato, nonché la costruzione e la gestione di strade provinciali, molte più strade di quelle gestite, per esempio, dall'ANAS, la programmazione della rete scolastica e le competenze in materia di edilizia scolastica.

Sostanzialmente sono state mantenute in capo alle province le competenze importanti, ma sono state tagliate drasticamente le risorse per l'esercizio di queste competenze. Si è cominciato con la legge di stabilità del 2015, con un taglio di 3 miliardi, e si è proseguito anche dopo; la manovra finanziaria nei confronti delle province non ha operato solo un taglio, ma un vero e proprio prelievo di risorse dai bilanci delle province. A nostro giudizio si tratta di un prelievo incoerente, perché nega il principio dell'autonomia finanziaria degli enti, sancito all'articolo 119 della Costituzione, oppure si tratta di un taglio senza alcuna altra ragione logica: dal 2013 al 2017 alle province è stato imposto, complessivamente, un taglio di risorse pari a 5,2 miliardi di euro che derivano dall'applicazione delle disposizioni del decreto-legge n. 201 del 2011, lì il taglio era di 415 milioni di euro, del decreto-legge n. 95 del 2012, lì il taglio era di 1.250.000 euro, del decreto-legge n. 66 del 2014, lì furono tagliati 58 milioni di euro e, infine, appunto, della citata legge di bilancio del 2014, laddove il taglio fu di 3 milioni di euro. Conseguentemente, oggi, vi è uno squilibrio nei bilanci delle province di circa un miliardo 350 milioni di euro che si ridurrà a circa 700 milioni a fronte dell'assegnazione di una quota pari a 650 milioni di euro del Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli enti territoriali, previsto dall'ultima legge di bilancio, a seguito dell'approvazione in Conferenza unificata del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, così come stabilito dalla suddetta legge. Il Governo ha operato, sostanzialmente, come se le province fossero già svuotate delle loro funzioni fondamentali, come se non avessero strade, come se non avessero scuole, come se non dovessero occuparsi della tutela ambientale. Di conseguenza, per esempio, si sono generate profonde criticità ed emergenze sulla manutenzione degli edifici scolastici; vorrei ricordare che in capo alle province ci sono 5.000 edifici scolastici nel nostro Paese, per i quali le province avranno difficoltà, sia in ordine alle più elementari norme di adeguamento antincendio, sia in ordine all'acquisizione dei certificati di agibilità statico-sismica per queste scuole.

Le province, come dicevamo, hanno più strade dell'Anas, perché le province gestiscono 130.000 chilometri di strade provinciali; vorrei ricordare che, per effetto dell'approvazione della nuova normativa in materia di omicidio stradale, è in capo a chi gestisce la manutenzione anche la responsabilità colposa in caso di eventi classificabili come omicidi stradali. Che facciamo, da un lato, togliamo alle province la possibilità di far fronte agli obblighi che comunque manteniamo in capo a loro di manutenere le strade e, dall'altro però, pretendiamo che la responsabilità sia addirittura aggravata, sia una responsabilità di carattere penale? Anche la Corte dei conti è intervenuta sui tagli alle province, perché, proprio nel 2015, ha richiamato l'attenzione sull'impatto delle misure conseguenti alla legge di stabilità del 2014 e le ha ritenute suscettibili di generare forti tensioni sugli equilibri finanziari.

Insomma, è una vicenda che ciascuno di noi ha la possibilità di giudicare grottesca per i contorni che l'hanno definita e che ci è stata segnalata, come dicevo all'inizio, anche dai presidenti delle province che hanno incontrato i rappresentanti dei gruppi parlamentari, ultimamente, in occasione della discussione sulla manovra, ma anche il 16 febbraio, prima di incontrare il Presidente della Repubblica, e hanno rappresentato, a noi e anche al Presidente della Repubblica, le loro difficoltà in ordine alla manutenzione dei 130.000 chilometri di strade, in ordine alla manutenzione delle 5.000 scuole dove studiano 2.500.000 ragazzi italiani. Ecco, il risultato che è stato partorito dal Governo è un risultato davvero poco apprezzabile; erano tante le aspettative dei presidenti di provincia quando si è discusso del decreto appena approvato al Senato; quelle aspettative sono state in larga, in larghissima parte deluse.

Allora, noi, nella nostra mozione, chiediamo, signor Presidente, al Governo di impegnarsi ad individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate, in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione, perché le funzioni che le province esercitano, quelle che esercitano anche in forza della legge Delrio, sono funzioni assegnate loro, appunto, dalla Costituzione e sono funzioni dalle quali discendono i diritti di cittadinanza dei cittadini, perché stiamo parlando dei livelli essenziali delle prestazioni che, purtroppo, però non possono essere garantiti a causa dei tagli esagerati a cui sono state sottoposte le province.

Chiediamo di assegnare alle province almeno 250 milioni di euro aggiuntivi per l'esercizio delle funzioni fondamentali necessarie per garantire la sicurezza e i servizi adeguati ai cittadini; chiediamo di assegnare alle province almeno 300 milioni di euro del fondo Anas per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali, così da aprire le opere necessarie per riportare in sicurezza questa rete viaria strategica; chiediamo, tra le altre cose, di cancellare le sanzioni per le province che hanno mancato gli impegni del Patto di stabilità del 2016, in quanto lo sforamento è stato indotto dai tagli ai bilanci e dall'uso degli strumenti straordinari che il Governo ha obbligato ad usare pur di chiudere i bilanci; chiediamo di consentire alle province, in via straordinaria, anche per il 2017, così come chiedono le province stesse, di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci; chiediamo, in una prospettiva temporale più lunga, che il Governo e la maggioranza si impegnino a promuovere una revisione della legge n. 56 del 2014, della cosiddetta riforma Delrio, per disegnare un ordinamento locale delle province stabile e coerente con la Costituzione.

Questo chiediamo, come detto, in una prospettiva temporale più lunga, ma chiediamo al Governo, intanto, di farsi carico delle urgenze e delle necessità impellenti di quanti amministrano questo importante ente del nostro Paese, cercando di recuperare il terreno perduto e che, invece, poteva essere recuperato, appunto, qualche settimana fa, in occasione dell'approvazione della manovra. Noi chiediamo al Governo e alla maggioranza di impegnarsi affinché le sacrosante e legittime richieste degli amministratori delle province e, quindi, le funzioni delle province, possano essere effettivamente salvaguardate attraverso il loro integrale finanziamento (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferrari. Ne ha facoltà.

ALAN FERRARI. Grazie, Presidente. Penso che le mozioni all'ordine del giorno offrano un'occasione importante per discutere dei problemi attuali ed anche delle prospettive delle province e non uso a caso il verbo “offrono”, perché è nel pieno rispetto della legittima posizione politica di ogni gruppo e anche, se vogliamo, del tentativo di strumentalizzazione che anche su questo tema ci può essere; penso che il verbo “offrire” vada nella direzione di dare conto all'esigenza di parlare anche delle prospettive di questo organo costituzionale, tema che sarebbe valso, anche, qualora fosse passata la riforma costituzionale, bocciata poi dal referendum.

Allora, in questa logica voglio articolare il mio breve contributo, anche a nome del Partito Democratico, su tre punti: il primo, quello che riguarda la situazione finanziaria e organizzativa, già ampiamente toccata dagli interventi che mi hanno preceduto e dai proponenti delle singole mozioni; un secondo punto, sulla possibile revisione della legge n. 56 del 2014; un ultimo punto, direi più politico, che riguarda il ruolo delle province, intese davvero e fino in fondo come ambiti ottimali per l'organizzazione dei servizi e per l'attività politica delle comunità.

Parto con il primo punto: la situazione finanziaria e organizzativa. Non sfuggono a nessuno - lo dico anche ai colleghi che mi hanno preceduto di Forza Italia e Lega Nord - la sofferenza e la precarietà in cui hanno, ahimè, vissuto gli organismi provinciali in questo periodo. È ovvio anche - e mi sembra importante che lo faccia il Partito Democratico - ricordare che parte di questa precarietà è figlia di una condizione complessiva, di condizioni di bilancio, di fragilità di bilancio, che, ovviamente, se questo Parlamento e questo Paese avevano ereditato, avevano ereditato alla fine della legislatura precedente e all'inizio di questa legislatura. Tuttavia, questa fragilità e questa per carità sono da riconoscere e io penso che sia anche giusto ricordare l'impegno del Governo, quello che è stato già l'impegno del Governo e quello che ci auguriamo possa essere l'impegno del Governo che, peraltro, sarà ripreso, immagino, da una mozione che presenterà il Partito Democratico.

Nel 2017-2018 è stato aumentato il finanziamento fino a 180 milioni; sono stati previsti 12 milioni per le città metropolitane, sia per il 2017 che per il 2018, e dal 2019 occorre ricordare che sarà prevista l'esenzione dal contributo di 516 milioni di riduzione della spesa corrente, sempre per le città metropolitane; dal 2017 sono autorizzati ulteriori contributi: 170 milioni per la manutenzione delle strade e 79 milioni per gli interventi sull'edilizia scolastica.

A questo si aggiunge, come dicevo, un impegno che il Governo ha già dato la disponibilità ad esercitare e che anche noi faremo in modo di mettere in evidenza nel corso del dibattito in Aula. L'impegno è quello di proseguire con questi sforzi per trovare altre risorse, che io penso debbano essere date prioritariamente in aiuto a quelle province che stanno faticando a chiudere i propri bilanci; individuare complessivamente, come è già stato ricordato, le risorse adeguate per la copertura delle funzioni assegnate in base ai fabbisogni standard, in ottemperanza all'articolo 119 della Costituzione; avere attenzione ad un aspetto che non è ancora stato citato in questo dibattito e, cioè, al riordino delle funzioni regionali e, quindi, al rapporto tra regione e provincia, che ha avuto velocità e fluidità diverse nel corso del Paese.

In alcune regioni, le sofferenze delle province sono state amplificate anche da tentativi strumentali da parte dei governi regionali stessi: sono state amplificate, con più fatica sono riuscite a gestire questa fase; in altre regioni, invece, la situazione è stata molto più semplice. Quindi, attenzione al riordino delle funzioni regionali e al loro conseguente rapporto con le amministrazioni provinciali. Infine, sempre su questo punto, il ripristino dell'autonomia organizzativa attraverso l'abrogazione delle disposizioni previste dalla legge n. 190 del 2014.

Con riferimento al secondo punto - come dicevo prima, quello relativo alla revisione della legge n. 56 del 2014 -, io penso che anche per il PD questa sia una priorità. L'invito che io personalmente mi sento di rivolgere a questo Parlamento è che non sia rinviata questa priorità: se davvero da parte di tutti i gruppi parlamentari c'è intenzione di migliorare quella legge, anche come era logico immaginare a seguito di una fase di cantiere che si è manifestata, si è articolata in questi anni, penso che sia una disponibilità da mostrare nei fatti e, quindi, non da rinviare ad un'altra fase.

Occorre però, io credo, ripartire da quello da cui muoveva quella legge. Essa muoveva dal principio secondo il quale alle province venivano affidati prevalentemente dei compiti di pianificazione sovracomunale (vedi territorio, ambiente, viabilità, edilizia scolastica); e muoveva dall'obiettivo, condiviso da tutte le forze politiche, di superare una frammentazione istituzionale, soprattutto in alcune zone del Paese dove il numero dei comuni è davvero molto, molto significativo, se rapportato al numero degli abitanti, e anche di superare una tendenza italiana molto diffusa, che è quella dei campanilismi.

Questo in una logica che era quella di provare ad organizzare i servizi su una base ottimale, che era quella provinciale, affidando un potere più diretto e una responsabilità più diretta ai sindaci, che erano, in qualche modo, indotti a pensare non solo in modo egoistico ai confini del proprio comune, ma anche a quello che una scelta in un comune, nel proprio comune, poteva significare per il comune vicino. Più in generale, era un'organizzazione istituzionale che muoveva dall'idea che un potere più diretto ai sindaci, una responsabilità più diretta ai sindaci potesse comportare delle politiche di sviluppo e dei servizi maggiormente omogenee e utili ai territori.

Se questi erano i principi, se questi erano gli obiettivi da cui muoveva quella legge, io penso che il bilancio che possiamo fare dopo tre anni sia positivo. Io sono perché non si torni indietro rispetto all'elezione di secondo livello: l'obiettivo di dare maggiore responsabilità ai sindaci è stato raggiunto e ha raggiunto le conseguenze che noi immaginavamo. E io penso, allo stesso modo, che lo sforzo che abbiamo chiesto alle province di ridurre il numero dei propri dipendenti abbia superato la fase critica e ci stia mostrando una fase di assestamento assolutamente sostenibile.

Credo che rivedere la “legge Delrio”, però, significhi metterci coraggio, significhi individuare delle aree omogenee all'interno delle aree vaste, delle province, all'interno delle quali spingere i comuni ancora di più a svolgere insieme alcune funzioni fondamentali, come quelle di bilancio e come quelle della pianificazione urbanistica, che ha ovviamente una stretta connessione con quelle di bilancio.

E, se vogliamo stare più compiutamente su aspetti di tipo ordinamentale, c'è un tema di cui, a mio avviso, questo Parlamento può farsi carico, ossia la riflessione sull'allineamento tra il periodo di carica del presidente e il periodo di carica dei consigli. Infatti, è del tutto evidente che, comunque, per quanto si tratti di competenze prevalentemente tecniche e, quindi, con una dimensione tecnica molto elevata, ma di competenze di pianificazione, questo ente va governato. E siccome va governato e attualmente non si può fare diversamente che non assegnare a dei consiglieri delle deleghe significative, per cercare di coordinare i lavori sulle competenze previste alle singole regioni, io penso che sarebbe del tutto normale e auspicabile provare ad immaginare un periodo di quattro anni di continuità amministrativa e, quindi, anche di una continuità amministrativa, che non sia mandata allo sbaraglio ogni anno quando, inevitabilmente, con nuove elezioni politiche, possono anche cambiare gli equilibri politici nei territori. Questo credo sia un modo per salvaguardare un ente di secondo livello, che ha il compito di svolgere delle funzioni istituzionali ancor prima che politiche.

L'ultima riflessione, dicevo prima, è quella relativa a come concepiamo le province intese come ambiti ottimali. Voglio chiarire che nessuno ha mai pensato di disconoscere che le province siano un ambito ottimale vero per l'organizzazione dei servizi rivolti ai cittadini, non solo perché basta constatare la realtà - acqua, rifiuti, servizi del gas già si organizzano secondo questa scala -, non solo perché esiste un'appartenenza culturale, una dinamica politica consolidata, che vede in quel luogo, in quei confini, in quella dimensione, in quel perimetro la cassa di risonanza o, meglio dire, il punto di incontro tra istanze di più alto livello - quelle regionali e quelle dei comuni -, ma penso perché ragionare sulle province, sulle aree vaste come luoghi ottimali significhi toccare con mano un pezzo di funzionamento della nostra architettura istituzionale nel suo complesso.

Perché la Costituzione, anche se l'avessimo modificata togliendo la parola “province”, ci avrebbe consegnato -, e ci consegna tuttora quella originale - una responsabilità molto chiara, che è quella per cui, partendo dal presupposto di nessuna subordinazione tra i diversi livelli dello Stato, tutti questi livelli diversi, nel rispetto della propria autonomia, concorrono al migliorare le condizioni di vita dei cittadini in tutto il Paese.

Se è vero, tra l'altro, che metà del nostro PIL è pubblico, deve conseguire che noi dotiamo questa metà del nostro sistema complessivo di tutte le condizioni per rendere, per migliorarsi.

Allora, io penso che ci voglia davvero più coraggio, e lo dico alle altre forze che hanno pensato di presentare questa mozione. Parlare di province, parlare di prospettive di province, rivedere la legge n. 56 vuol dire avere il coraggio di ragionare sul ruolo che questi ambiti ottimali possono avere nel concorrere al raggiungimento di obiettivi nazionali. Per questo chiedo per quale motivo noi non possiamo immaginare che si possa affidare alle province o a quell'ambito ottimale un compito in più, che è quello, per esempio, di valutare quanto ogni territorio e ogni ambito ottimale concorra al raggiungimento di grandi politiche nazionali, di grandi obiettivi di politiche nazionali, misurando e quindi valutando la qualità dei servizi in quel territorio e immaginando una sorta di scomposizione di PIL per i tanti ambiti territoriali ottimali, cioè le tante province italiane, le cento province italiane, e misurando e valutando le performance territoriali in ogni singola provincia.

Se noi provassimo a fare in modo che tutte le forze istituzionali, a partire dai sindaci, si riconoscano in quest'ambito ottimale e possano riconoscersi nella misurazione di come funziona un territorio, riconoscersi nel contributo che quel territorio dà complessivamente al Paese, io penso che potremmo fare un passo in avanti molto significativo anche avendo come conseguenza una migliore relazione tra centro e periferia, altro grande tema su cui la nostra storia repubblicana ci ha insegnato che siamo stati solo capaci di seguire una sinusoidale in cui un po' si parlava di devoluzione e poco dopo di accentramento e viceversa con il passare del tempo. Io penso che, se noi riuscissimo a concepire gli ambiti ottimali con queste finalità probabilmente saremmo anche in grado di far cambiare la mentalità a un centro che non può essere concepito come chi dà la pagella ad uno o all'altro territorio, ma come chi mette nelle condizioni i territori di fare meglio anno dopo un anno e, quindi, di premiare se un territorio è stato in grado di fare meglio rispetto all'anno prima. Su cosa? Esattamente su quello che dicevo prima: il proprio contributo alle politiche nazionali, la qualità dei servizi primari che si erogano in quell'ambito ottimale e, più in generale, le performance territoriali di ogni territorio.

Allora, questo per dire che io penso che l'occasione di questa mozione sia l'occasione di ricordarci che questa deve essere una sfida di tutti, deve essere la sfida di arricchire la riflessione sulla legge n. 56 anche di questi aspetti, cioè che è come fare in modo che a partire dall'autonomia ogni istituzione, ogni livello istituzionale, concorra a migliorare le condizioni del Paese e, quindi, dei cittadini e credo sia anche l'occasione - e questo varrà soprattutto per il prosieguo della discussione in Aula - per non cadere nella trappola del vecchio detto romano: Roma locuta, causa finita, cioè Roma si è espressa e la questione è chiusa. Io penso che l'Aula non dovrà semplicemente esprimersi su questo tema, anche con un grado di strumentalità che accettiamo, ma se davvero vuole toccare con mano quel livello dei servizi, quello che arriva ai cittadini e che ha a che fare con il funzionamento delle province dovrà semplicemente essere il luogo che dà il là ad un grande coinvolgimento istituzionale nel Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simone Valente. Ne ha facoltà.

SIMONE VALENTE. Grazie, Presidente. La mozione che il MoVimento 5 Stelle depositerà e che verrà abbinata è una mozione che ha un preciso obiettivo, cioè quello di indirizzare il Governo a una presa di posizione più semplice di quanto è accaduto in passato, perché le decisioni e le misure che sono state adottate negli ultimi anni non sono sicuramente state la via più semplice, quella più immediata, quella più funzionale, a far sì che si arrivasse alla fine di questo processo. Ecco, la via più semplice sarebbe stata quella di abolire e sopprimere veramente le province con un disegno di legge costituzionale ma, ahimè, dal primo intervento di riduzione delle province - quindi con il “decreto-legge Monti”, poi dichiarato illegittimo, e passando per la cosiddetta “legge Delrio” - sono trascorsi ben sei anni e mezzo.

Segnalo che il riordino introdotto dalla stessa “legge Delrio” fu definito espressamente provvisorio nell'attesa dell'abolizione per via costituzionale nonché privo di oneri per la finanza pubblica.

E ricordo a quest'Aula che proprio la Corte dei conti su questa legge evidenziò la probabilità che il riordino prospettato potesse aggravare la spesa, creare confusione ordinamentale e moltiplicazioni di oneri e sottolineò, inoltre, che le procedure indicate male si concilierebbero, per la durata e la complessità, con la provvisorietà del disegno organizzativo perseguito dal provvedimento. Quindi, non è peregrino pensare che evidentemente, nonostante le buone parole e le buone intenzioni, nessun Governo abbia veramente avuto la volontà di abolire le province. L'unica cosa che fu veramente fatta fu l'eliminazione dell'elezione degli amministratori, ovvero i cittadini non decidono più chi eleggere ma ormai tutto si decide all'interno dei palazzi. Quindi, è stato abolito questo ma le funzioni originarie continuano a persistere e, dunque, quello che si prospetta è un quadro assolutamente drammatico, un quadro drammatico che ha visto alcune voragini in province con situazioni davvero drammatiche, in quanto non sono state trasferite le risorse finanziarie sufficienti a mantenere tutte le funzioni. I bilanci sono sostanzialmente al collasso, soffocati dai mutui, e anche nel caso in cui si siano trasferite risorse statali per il tramite del Fondo di riequilibrio queste sono trattenute dalle banche e ben poco o nulla rimane a disposizione per il pagamento degli stipendi del personale, per lo svolgimento delle funzioni proprie e dei connessi servizi ai cittadini, in particolare quelli dedicati alle scuole e alle strade, che sono due servizi fondamentali.

Allora, noi oggi in quest'Aula vogliamo impegnare il Governo a definire dei punti precisi, ovvero a dotare le province, che non sono in grado di provvedere, delle risorse necessarie a garantire in primis il pagamento delle retribuzioni al personale e lo svolgimento delle funzioni proprie, come dicevo, in particolare quelle dedicate alle scuole e alle strade. Inoltre, vorremmo che il Governo provvedesse all'ottimizzazione dell'assegnazione del personale in esubero e in mobilità, coprendo le carenze di organico nelle amministrazioni della giustizia, in particolare nelle carceri e nei tribunali. Infine, vorremmo che si adottassero misure sanzionatorie sui trasferimenti statali alle regioni nel caso di loro inadempienza in ordine al trasferimento di funzioni alle province e nel caso di mancata erogazione delle risorse dovute a ciascuna provincia per l'esercizio delle funzioni alle stesse trasferite. Ecco, noi vogliamo chiarire questi punti e ci batteremo perché ci sono degli organi che sono in confusione totale, c'è del personale che non riesce a lavorare e, quindi, qui in quest'Aula porteremo avanti questa mozione.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 14,30 con l'ulteriore argomento previsto all'ordine del giorno.

La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 14,30.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Epifani, Laffranco, Laforgia e Peluffo sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente ottantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 e sul Programma di lavoro della Commissione per il 2017 (Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A) (ore 14,32).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 e sul Programma di lavoro della Commissione per il 2017 (Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto, altresì, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione - Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.

Ha facoltà di intervenire, in sostituzione della relatrice, onorevole Marina Berlinghieri, il Vicepresidente della Commissione politiche dell'Unione europea, onorevole Paolo Tancredi.

PAOLO TANCREDI, Vicepresidente della XIV Commissione. Grazie, Presidente. Come lei ha detto, sostituisco la relatrice, onorevole Berlinghieri. La XIV Commissione politiche dell'Unione europea ha svolto l'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione per il 2017 e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017. L'audizione del sottosegretario, onorevole Sandro Gozi, e il documento elaborato dalla Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome hanno consentito di acquisire utili elementi di valutazione. Tutte le Commissioni permanenti, nonché il Comitato per la legislazione, per i profili ricadenti nell'ambito delle rispettive competenze, hanno espresso i pareri dei quali si dà conto in questa relazione.

Il Programma di lavoro della Commissione, il terzo del suo mandato, presentato il 25 ottobre 2016, si pone in una linea di continuità rispetto ai Programmi degli anni precedenti, ribadendo l'impegno a favore delle dieci priorità indicate negli orientamenti politici presentati dal presidente Juncker all'inizio del suo mandato nel luglio 2014. Unitamente al discorso sullo stato dell'Unione, il Programma della Commissione riporta lo stato dell'arte delle principali misure messe in atto finora dalla Commissione e prospetta le prossime azioni che si intendono intraprendere. In tale quadro, la Commissione europea, a partire dal titolo del Programma di lavoro, “Realizzare un'Europa che protegge, dà forza e difende”, sottolinea l'esigenza di dare risposte prioritarie ai cittadini europei su alcuni temi specifici: il primo, la disoccupazione, con particolare attenzione al lavoro giovanile, nell'ambito di una ripresa economica ancora in fase iniziale; quindi, la gestione dei flussi migratori, che hanno messo a dura prova le frontiere esterne dell'Unione; a seguire, la difesa dalla minaccia terroristica, anche affrontando la situazione di instabilità nel vicinato orientale e meridionale; infine, l'avvio e la conclusione dei negoziati per la Brexit.

Pur rivendicando alcuni importanti risultati ottenuti nel 2016 – dall'attivazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici, alla rapida attivazione della Guardia di frontiera e costiera europea – la Commissione è consapevole di dover produrre un impegno ulteriore e significativo, per realizzare un'agenda positiva e mirata che porti risultati concreti al fine di proteggere, difendere i cittadini e dare loro forza.

Con la pubblicazione del Libro bianco sul futuro dell'Europa, inoltre, la Commissione ha inteso contribuire al processo di rinnovamento in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma. Come ricordato anche dal Governo nella Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, il rilancio del processo di integrazione politica rappresenta una priorità indifferibile, tanto più nel quadro di incertezza apertosi dopo la Brexit.

Il Programma di lavoro si suddivide in 10 capitoli, corrispondenti ad altrettante priorità politiche, e reca cinque Allegati; in particolare, nel corso dell'esame in Commissione, ci si è soffermati sul primo, che raccoglie le 21 nuove iniziative legislative che saranno proposte dalla Commissione europea nell'arco del 2017.

La Relazione programmatica del Governo per l'anno 2017 è invece strutturata in cinque parti, nelle quali i capitoli seguono, in generale, il Programma di lavoro della Commissione: l'azione che il Governo intende assumere per un rilancio dell'integrazione politica europea e un rilancio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea; le priorità da adottare nel quadro delle politiche orizzontali, quali le politiche per il mercato unico dell'Unione, e settoriali, quali le strategie in materia di migrazione e le politiche per l'impresa o quelle rivolte al rafforzamento di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia; gli orientamenti del Governo in materia di politica estera e di sicurezza comune, politica di allargamento, vicinato e di collaborazione con Paesi terzi; le strategie di comunicazione e di formazione in merito all'attività dell'Unione europea e alla partecipazione italiana all'Unione europea, con particolare riguardo alle celebrazioni del 60° anniversario dei Trattati di Roma; il ruolo di coordinamento delle politiche europee, svolto dal Comitato interministeriale per gli affari europei e il tema dell'adeguamento del diritto interno al diritto dell'Unione europea, con la consueta finestra sulle attività di prevenzione e soluzione delle procedure di infrazione.

Sono, infine, allegate al testo quattro appendici con riferimenti ai documenti programmatici delle istituzioni europee e ad un prospetto dedicato alle risorse del bilancio dell'Unione.   L'esame congiunto dei richiamati documenti, insieme alle puntuali indicazioni recate nei pareri espressi dalle Commissioni permanenti nei rispettivi settori di interesse ed emerse nel corso dell'attività conoscitiva, consente di individuare, nell'ambito delle condivisibili priorità indicate dalla Commissione europea, alcune iniziative cui attribuire particolare rilevanza.

In sede di relazione per l'Assemblea, signor Presidente, onorevoli colleghi, mi preme sottolineare come l'esame dei documenti programmatici del Governo italiano e della Commissione europea rappresenti una preziosa occasione per approfondire le principali questioni che devono essere affrontate dagli Stati membri e dalle istituzioni europee, nonché per esprimere una valutazione complessiva sugli obiettivi prioritari individuati e sulle strategie messe in campo a livello nazionale e di Unione. L'esame congiunto dei documenti consente di porre in essere una vera e propria sessione parlamentare europea di fase ascendente e costituisce uno strumento particolarmente utile ai fini della qualificazione del contributo del Parlamento per la definizione di un quadro organico della politica europea del nostro Paese, articolata intorno a grandi obiettivi e a linee di intervento prioritarie. Merita, altresì, apprezzamento l'impegno profuso dal Governo per affinare, sulla base dell'esperienza progressivamente acquisita, i contenuti della Relazione programmatica, che risulta più ricca di elementi informativi e dati utili a una valutazione delle priorità da perseguire.

Non si può negare che le priorità indicate dalla Commissione si inscrivano in un contesto particolarmente difficile per il futuro dell'Unione, che oggi, oltre alla perdurante stagnazione economica, finanziaria e occupazionale, si trova ad affrontare sfide transnazionali (migrazioni, terrorismo, cambiamenti climatici) e interne di particolare gravità. Le istituzioni europee sono state sottoposte a una fortissima pressione, alla quale hanno cercato di reagire avviando alcune iniziative di carattere strategico, quali l'Agenda delle migrazioni, il cosiddetto Piano Juncker per promuovere la ripresa degli investimenti che con la crisi hanno registrato una caduta verticale, la strategia cosiddetta di rinascita industriale, la Youth Guarantee, per promuovere la formazione e l'occupazione dei giovani, l'unione bancaria, per rafforzare la sostenibilità del sistema creditizio, cui si è accompagnato il programma Quantitative Easing della Banca centrale europea, diretto ad aumentare la disponibilità di credito dell'economia reale e ad abbassare i costi sostenuti dai soggetti più indebitati. Tuttavia, non sempre le iniziative messe in campo dalle istituzioni europee sono intervenute con la necessaria tempestività e hanno potuto produrre gli effetti sperati, in primo luogo a causa delle resistenze di alcuni partner.

I ritardi e le incertezze che hanno caratterizzato l'azione dell'Unione hanno purtroppo aggravato alcuni dei problemi da affrontare e alimentato la crescente sfiducia e la disaffezione dei cittadini europei nei confronti della capacità dell'Unione di prospettare soluzioni adeguate alle sfide che si pongono. In qualche caso, l'attuazione delle strategie dell'Unione è stata frenata dall'indisponibilità di alcuni Stati membri a dar seguito agli impegni assunti; esemplare, al riguardo, la mancata adesione di alcuni Paesi agli obblighi derivanti dai problemi di relocation dei rifugiati, che soltanto recentemente la Commissione ha deciso di sanzionare, avviando vere e proprie procedure di infrazione anche su questo tema. Analogamente, non è stato possibile assicurare piena e integrale attuazione al progetto dell'unione bancaria per l'indisponibilità di alcuni partner a realizzare un sistema comune di garanzia dei depositi, il cosiddetto terzo pilastro dell'unione bancaria. Come si è detto più volte, le sfide e i problemi di dimensione globale non possono essere affrontati dai singoli Stati membri, ma richiedono necessariamente una risposta comune.

Per affrontare tali sfide occorre un'Europa più unita e nuove e più forti politiche europee, ispirate sempre al rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali che rappresentano il nucleo della comune identità europea. Per garantire pace, sicurezza e benessere ai suoi cittadini l'Unione europea deve rafforzare il suo ruolo a livello internazionale e sul fronte interno, recuperare fiducia da parte dei suoi cittadini e una piena legittimazione delle sue istituzioni. Il Programma di lavoro della Commissione europea per il 2017 è un programma molto più condiviso tra le istituzioni europee, il primo adottato in attuazione dell'accordo istituzionale “Legiferare meglio”, che, benché sia entrato in vigore nell'aprile del 2016, è frutto di un'iniziativa maturata nell'ambito del semestre di Presidenza italiana.

I documenti programmatici delle istituzioni europee, e anche la stessa dichiarazione di Roma adottata in occasione del sessantesimo anniversario dei Trattati del 25 marzo scorso, pongono come obiettivo politico primario l'Europa sociale: si avverte, infatti, sempre di più l'esigenza di riavviare il processo di integrazione europea, muovendo da una nuova e più efficace politica di coesione economico-sociale tra gli Stati membri, in luogo delle attuali situazioni di conflittualità e competizione. La realizzazione di tale politica potrebbe rappresentare un punto di svolta fondamentale per rilanciare la costruzione di una nuova Unione fondata su diversi assetti istituzionali, in grado di assicurare a tutti i cittadini europei un più equo modello di convivenza e una più efficace tutela dei diritti sociali.

PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel seguito della discussione.

È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.

ROCCO PALESE. Signor Presidente, illustro la nostra risoluzione. La Camera, esaminati congiuntamente la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 e il Programma di lavoro della Commissione Europea del 2017 - Realizzare un'Europa che protegge, dà forza e difende; preso atto della relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica relativa alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2017, premette quanto segue.

Signor Presidente, il Programma di lavoro della Commissione, il terzo del suo mandato, presentato il 25 ottobre 2016, si pone in una linea di continuità rispetto ai programmi degli anni precedenti, ribadendo l'impegno a favore delle dieci priorità indicate negli orientamenti politici presentati dal Presidente Juncker all'inizio del suo mandato, nel luglio 2014.

Le priorità per il 2017 si iscrivono in un contesto caratterizzato dalla perdurante crisi economica, finanziaria ed occupazionale, a cui si è aggiunta una crisi migratoria determinata dall'esodo di massa proveniente da Paesi colpiti da gravi conflitti interni, e una crisi di sicurezza interna all'Europa conseguente ai ripetuti attacchi terroristici di matrice islamista.

Le sfide di carattere epocale che ne conseguono sono un banco di prova decisivo per l'Europa. Il futuro dell'Unione europea dipende dalla capacità che essa dimostrerà di dare risposte comuni, e soprattutto concrete. Si misurerà proprio in questa contingenza anche la possibilità per l'Unione europea di tornare ad essere considerata dai cittadini come una risorsa e un'opportunità, e non, come è stato in questi anni, un soggetto burocratico di vincoli e ostacoli.

Non c'è dubbio che la mia generazione, signor Presidente, ha vissuto il sogno per l'Europa. Noi abbiamo vissuto un grande sogno: l'Europa doveva servire a far star meglio i cittadini. Quattrocentocinquanta milioni circa adesso sono i cittadini europei; purtroppo, però, negli ultimi anni i cittadini hanno la percezione, per non dire quasi la certezza, che l'Europa non stia inseguendo la realizzazione di quel sogno, di far star meglio i cittadini europei, ma sia orientata su altri aspetti: sulla situazione dei vincoli, su situazioni complesse dal punto di vista burocratico, sull'obiettivo di regolamentare tutto, a momenti anche l'aria che respiriamo. E soprattutto, poi, non c'è un'azione comune in riferimento a quella che può essere la difesa; e a ciò che occorre ci sia, pure in un contesto generale di una politica e di un'azione diversa rispetto, per esempio, all'affrontare il problema dei flussi migratori, per un'Europa abbastanza in ritardo, per non dire spesso e ben volentieri anche assente, che scarica sul resto… Per non parlare poi dei problemi della crescita, che è diventata un sogno e una chimera.

Nella fase in corso è necessaria, quindi, una riflessione sul futuro del progetto europeo e sull'Unione europea, sul suo assetto istituzionale, sulla sua centralità rispetto al quadro regionale ed internazionale segnato da crisi ed instabilità.

Non va trascurato il vulnus rappresentato da Brexit, strettamente collegato all'impatto sull'opinione pubblica della carente risposta istituzionale da parte europea all'emergenza migratoria connessa ai grandi conflitti mediorientali, nonché ai nodi di carattere economico-finanziario per promuovere crescita e occupazione.

Sul recesso britannico, il nostro Paese dovrà mantenere la posizione per cui non si procederà all'avvio del negoziato senza attivazione da parte di Londra dell'articolo 50 del TUE, e ribadendo il principio dell'indivisibilità delle libertà e avendo specifica cura e vigilanza sui diritti acquisiti dei nostri connazionali che risiedono, lavorano o studiano nel Regno Unito.

A sessant'anni dal Trattato d'Europa, le conquiste del percorso di integrazione europea, l'Unione europea e la moneta comune appaiono infatti molto più fragili e precarie di quanto solo alcuni anni fa si sarebbe potuto immaginare. La crescita dei movimenti anti-europei in tutta Europa è una realtà, seppur con un peso e con caratteristiche diverse nei principali Paesi dell'Eurozona.

Pertanto, immagino che possiamo veramente determinare un percorso. Quale? Quello di impegnare il Governo, in particolare il nostro Governo. L'Italia è Paese socio fondatore dell'Unione europea: noi rivendichiamo con forza questo aspetto e questo profilo.

Sul fronte del finanziamento della politica europea, impegniamo il Governo ad adottare ogni iniziativa volta ad implementare le troppo esigue risorse destinate a politiche assolutamente prioritarie per il presente e il futuro dell'Europa, quali l'immigrazione, la disoccupazione, soprattutto giovanile, gli investimenti pubblici, la mobilità, la sicurezza e la formazione dei giovani. Basta rispolverare quello che era il sogno portato avanti da Jaques Delors: l'Europa di cui noi abbiamo bisogno è il programma, il sogno, gli obiettivi che aveva Jacques Delors. Sono quelli che sono prioritari, e che possono essere la base della ripresa; sono quelli che possono sconfiggere Brexit, i populismi e quant'altro. Non ci sono altri aspetti o altre iniziative, non bisogna inventarsi niente. Patto di stabilità sì, ma ci fu una lotta fortissima anche allora con la Germania rispetto alla dizione: “Patto di stabilità e crescita”; ahimè, dopo tanti anni, signor Presidente, rappresentante del Governo, la stabilità traballa, non è che sia stata raggiunta, ma peggio che mai, la crescita è pressoché assente, anche se spero e mi auguro che ci sia un'inversione di tendenza quanto prima.

Si impegna il Governo a promuovere in seno dall'Unione Europea un confronto immediato e molto concreto, salvaguardando gli interessi dell'Italia ed evitando di accettare posizioni non discusse in Parlamento; e a farsi portavoce della necessità di portare avanti un'ampia riflessione sul futuro dell'Europa, di analizzare le riserve, le critiche, le perplessità che continuano ad essere espresse sull'Unione europea, in particolare sulla capacità di offrire risposte tangibili ed efficaci e risolutrici alle problematiche sociali ed economiche dell'Unione e sullo scarso e indiretto coinvolgimento dei cittadini nelle scelte europee.

Si impegna il Governo a stimolare la riflessione delle istituzioni europee, al fine di promuovere iniziative volte a cambiare politiche che hanno dimostrato il loro fallimento in termini di crescita economica e, di conseguenza, in termini di benessere sociale, partendo da interventi tesi ad implementare un grande piano di investimenti, un New deal europeo, nonché accordi bilaterali tra i singoli Stati e la Commissione europea, per cui le risorse necessarie per l'avvio di riforme volte a favorire la competitività del sistema Paese non rientrano nel calcolo del rapporto deficit-PIL ai fini del rispetto del vincolo del 3 per cento. Siamo, cioè, alle solite, l'abbiamo sempre ribadito in tutti i modi e in tutte le maniere: gli investimenti fuori dal Patto, perché la spesa per investimenti è quella che può dare crescita, aumentare i consumi e tutto quello che ne deriva in termini positivi.

E quindi, anche tenuto conto del crescente fenomeno rispetto alla situazione dei flussi migratori e del fatto che lo stesso ha pesato sensibilmente sull'esito del referendum nel Regno Unito, si impegna il Governo ad adottare ogni iniziativa volta a garantire le frontiere esterne dell'Unione europea, a sostenere il rafforzamento dell'Agenzia per le frontiere europee per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne e l'istituzione di un sistema di guardia di frontiera e costiera europea, in modo da assicurare una gestione forte e condivisa delle frontiere esterne dell'Unione europea e proteggere lo spazio Schengen dalle minacce esterne, sostenendo le specificità nazionali ed apportando possibili soluzioni alle criticità emerse.

Si impegna il Governo a farsi anche portavoce del problema legato alla gestione dei flussi, al fine di applicare strategie che dimostrino di contenere un punto di equilibrio tra principio di accoglienza e necessità di garantire la sicurezza interna, la nostra e quella dei Paesi che costituiscono l'Unione europea; a presentare richieste al Consiglio europeo finalizzate all'elaborazione di nuovi programmi tesi alla prosecuzione sul supporto agli Stati che si trovano in prima linea, e ad adoperarsi nelle sedi competenti per una concreta ed effettiva attuazione dei dovere di responsabilità e di solidarietà; a sostenere con determinazione il progetto di riforma del cosiddetto sistema Dublino, che più volte viene citato, soprattutto in questi ultimi periodi, però con scarse iniziative, che veramente non vengono al momento adottate.

Si impegna il Governo a promuovere in ambito Unione europea, per ciò che attiene alla normativa in materia di etichettatura a tutela dei consumatori - altro problema enorme, questo - l'obbligo di fornire tutte le informazioni utili ad una valutazione degli aspetti qualitativi del prodotto, anche con puntuali indicazioni di tracciabilità, soprattutto nell'ottica della tutela della salute, al fine della salvaguardia delle produzioni nazionali di eccellenza.

E poi un'iniziativa volta a modernizzare i mercati occupazionali, attraverso una rivisitazione delle competenze e proponendo investimenti nel capitale umano durante tutto l'arco della vita, al fine di sostenere lo sviluppo delle qualifiche in modo da aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, conciliando meglio l'offerta e la domanda di manodopera, anche tramite la mobilità dei lavoratori, e sostenendo in generale le politiche attive del lavoro attraverso una serie di progetti mirati rispetto a questo.

Infatti, spesso e volentieri l'Europa tira fuori una piattaforma che dovrebbe essere applicata, e che poi nei fatti viene applicata, rispetto all'attuazione del Fondo sociale europeo, ma un po' dappertutto, in riferimento alla qualificazione professionale. In questo caso, forse, sarebbe bene che, signor Presidente, il nostro Governo evidenziasse le varie specificità che ci sono all'interno degli Stati membri per poter avere una maggiore rispondenza. Cito, per esempio, la garanzia giovani; non si riesce a comprendere come uno strumento validissimo, a mio avviso, che in Svezia e nei Paesi del Nord ha avuto un'applicazione micidiale, ha avuto un effetto incredibile per l'occupazione, purtroppo nel nostro Paese, invece, dia risultati pressoché nulli.

Si impegna il Governo a promuovere, in considerazione degli effetti degli interventi sinora realizzati tramite l'applicazione dei principi della direttiva del Parlamento e del Consiglio del 15 maggio 2014, un quadro di risanamento e di risoluzione delle situazioni degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Si tratta del famosissimo bail in, che stiamo vivendo anche in questi giorni, non solo per la situazione non completamente conclusa in riferimento a MPS, dove c'è una trattativa che va avanti e che noi abbiamo necessità di concludere, ma anche in riferimento alle popolari venete e a tutto ciò che è stato determinato rispetto alla loro gestione. Argomento non solo della situazione europea, ma argomento endogeno, che avremo modo e maniera di affrontare anche in settimana, con la speranza che la Commissione di indagine possa essere effettivamente approvata in via definitiva e partire per fare piena luce sugli aspetti sia endogeni, ma anche in riferimento all'Europa e in riferimento un po' a tutte le situazioni che si sono venute a verificare.

Si impegna il Governo a rivedere la disciplina europea sugli aiuti di Stato. Anche qui, sembra una camicia di forza, bisogna cercare di avere tempi brevi, di snellire le procedure. A me fa piacere che il Governo abbia intrapreso finalmente l'indirizzo delle cosiddette ZES, delle zone franche, rispetto ad altre situazioni che si sono venute a creare in materia fiscale soprattutto nelle regioni dell'obiettivo 1, dove c'è questa forte necessità di intervenire rispetto alle agevolazioni fiscali derogatorie, con autorizzazione chiaramente da parte dell'Europa, concordate con l'Europa, così come avviene in altri Stati europei, per costituire una base importante, per poter girare pagina, avere un'inversione di tendenza rispetto alla crisi, passando dalla parte della crescita, degli investimenti e dell'attrazione degli investimenti, soprattutto di quelli esteri.

Si impegna il Governo a intensificare l'azione di coordinamento per la proposizione di linee guida per l'attuazione uniforme della disciplina sugli aiuti di Stato anche in alcuni settori, tra i quali quello delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di consentire un più agevole e ampio utilizzo dei relativi fondi pubblici, pur nel rispetto delle regole l'Unione europea, anche valorizzando la possibilità di favorire le regioni italiane svantaggiate, come quelle del Mezzogiorno.

Si impegna il Governo a favorire un miglior coordinamento a livello europeo nella lotta al terrorismo, in particolare promovendo una più stretta cooperazione e comunicazione tra servizi di intelligence nazionale, e a potenziare a livello europeo le attività di ricerca e sviluppo del settore della cyber-sicurezza con particolare riferimento alle tecnologie di informazione e comunicazione, gli standard di sicurezza e i regimi certificazione, favorendo ogni iniziativa volta a sostenere il finanziamento attraverso l'Unione europea.

Con riferimento alla politica estera e di difesa comune, si impegna il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi affinché, nella nuova strategia globale in materia di politica estera di sicurezza, sia dato rilievo centrale all'assetto geopolitico dell'area del Mediterraneo, caratterizzata da forte instabilità e fonte di gravi minacce per la sicurezza dell'Unione europea.

Infine, signor Presidente, si impegna il Governo ad adoperarsi in sede europea per assicurare la partecipazione attiva e propulsiva dell'Italia al processo di integrazione in materia di difesa, a sostenere e a sviluppare la politica di sicurezza del fine comune.

Si tratta di una serie enorme di obiettivi che, con unità di intenti e anche in riferimento alle novità che si sono già verificate (abbiamo avuto la Brexit, in negativo, però abbiamo avuto anche situazioni tipo quella della Francia), danno ancora una speranza di ripresa rispetto a tutta questa situazione.

Mi sia consentito, signor Presidente, fare anche un riferimento: gli attuali leader degli Stati membri non si devono limitare solamente al ricordo di un grande leader che ha dato un contributo enorme per costruire l'Europa, che è stato un responsabile chiave di tante situazioni dell'Europa, soprattutto della solidarietà rispetto, e mi riferisco a Helmut Kohl, che è scomparso giorni fa.

Helmut Kohl è stato un grande, oltre per aver dato un contributo eccezionale per l'unificazione del suo Paese, anche per la costruzione di un'Europa nel contesto della solidarietà, nel cercare di abbattere completamente le differenze, di avere una crescita comune. Quello sì che è stato un esempio; l'auspicio è che non sia solo ricordato, ma che sia anche praticato quello che lui ha fatto.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Camani. Ne ha facoltà.

VANESSA CAMANI. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, la Camera oggi è impegnata in una discussione connotata da una forte valenza politica: arriva finalmente all'attenzione dell'Aula infatti la parte conclusiva di una discussione che rappresenta l'unica occasione per tutti gli organi parlamentari, quindi l'Assemblea, ma soprattutto le Commissioni parlamentari, per esprimersi e confrontarsi sulle linee di azione che il nostro Paese intende attivare in sede europea nei prossimi mesi.

La relazione programmatica per il 2017, infatti, come è previsto dal Trattato sul funzionamento dell'Unione, dà conto al Parlamento degli orientamenti e delle priorità che il Governo intende perseguire con riferimento al processo di integrazione europea, una vera e propria fase ascendente, come sottolineato dal vicepresidente Tancredi, in cui Governo e Parlamento possono compiere in sinergia un esercizio di indirizzo politico al fine di procedere con maggior decisione e coesione nelle azioni di politica europea.

Nello specifico poi, la relazione che il Governo ha messo nelle disponibilità del Parlamento quest'anno risulta particolarmente dettagliata, offre importanti strumenti di giudizio sulle attività fin qui messe in campo, ne rappresenta con chiarezza gli indirizzi strategici ed evidenzia puntualmente in che modo le indicazioni che il Parlamento stesso aveva, nel corso dei mesi precedenti, trasmesso al Governo si siano tradotte in specifiche azioni politiche in sede negoziale.

Dobbiamo, però, anche registrare il ritardo con cui l'Assemblea affronta questo passaggio. Nell'esprimere apprezzamento circa la tempestività con cui il Governo ha trasmesso alle Camere questo atto, approvato dal Consiglio dei ministri il 14 gennaio, e nel sottolineare il lavoro puntuale e approfondito che a tal riguardo hanno svolto tutte le Commissioni competenti, il documento arriva in Aula dopo diversi mesi di attesa e, come noto, questi ultimi mesi sono stati tutt'altro che neutri per le istituzioni comunitarie.

I fatti che sono accaduti hanno inciso e incideranno profondamente sui futuri assetti dei singoli Stati membri e dell'Unione nel suo complesso. Ci avviciniamo, infatti, a scadenze elettorali importanti in alcuni grandi Paesi europei; il negoziato circa l'uscita del Regno Unito dall'Unione sta già muovendo i primi passi; i cambiamenti di strategia politica degli Stati Uniti hanno già mostrato i primi segnali concreti nelle relazioni con l'Europa. Insomma, in questo primo semestre del 2017, gli scenari continentali e mondiali sono in rapida evoluzione e diviene dunque ancor più fondamentale a nostro giudizio che l'Italia sia messa nelle condizioni di poter agire con forza e determinazione sullo scenario internazionale.

Partiamo, quindi, dalle novità di queste ultime settimane. Il mese scorso il Consiglio affari generali ha adottato la decisione che autorizza l'avvio dei negoziati tra Gran Bretagna e Unione europea sulla Brexit; sarà una trattativa lunga e delicata, che finirà per incidere in maniera significativa sui futuri assetti della UE.

Sarà fondamentale, dunque, che tutte le delegazioni degli Stati membri mantengano lo spirito di unità fin qui dimostrato sul punto, per tutelare al meglio gli interessi dell'Unione. Chiediamo all'Italia e al nostro Governo di lavorare in questa direzione, perché in questo quadro di incertezza è fondamentale che il rilancio del processo di integrazione politica rappresenti una priorità indifferibile.

Sono molti i fattori che rischiano di minare le fondamenta un'Europa, che appare ancora oggi troppo fragile nelle sue principali istituzioni. L'importante appuntamento di Roma per le celebrazioni del sessantesimo anniversario dei Trattati ha rappresentato un momento rilevante di riflessione e approfondimento, perché è evidente che, proprio nel momento in cui gli assetti internazionali stanno mutando e l'Europa avrebbe bisogno di maggiore unità per imporsi nel panorama internazionale, si assiste ad un'ondata neosovranista, che rischia di portarci fuori strada.

La sfida che l'Europa ha di fronte è esattamente questa: sarà, e dunque saremo, in grado di trasformare questo crescente multipolarismo in autentico multilateralismo?

Il rischio disgregazione, minacciato dalla Brexit, poi, si somma all'allontanamento progressivo tra Stati Uniti ed Europa, come emerso anche nel vertice di Taormina di qualche settimana fa.

La risposta più semplicistica a queste sfide sembra passare attraverso i messaggi populisti delle nuove forze nazionaliste che stanno emergendo in tutta Europa. Riteniamo, al contrario, che queste risposte, che possono, certo, apparire dirette e rassicuranti, racchiudano in sé le minacce più pericolose per l'Europa e gli europei, per i nostri interessi, i nostri valori e per la pace. L'Italia deve, dunque, continuare ad insistere perché la via sia quella del multilateralismo e non cedere alla tentazione della rincorsa al facile consenso. Il Partito Democratico nutre profonde speranze attorno al progetto europeo e chiediamo al Governo di continuare a svolgere una forte azione di sollecitazione affinché le istituzioni comunitarie non rinuncino ad esercitare il loro ruolo decisivo e non cedano alle pressioni che spingono verso un sistema intergovernativo. Rilanciamo con forza l'idea di una governance realmente sovranazionale, lavoriamo per legittimare sempre più le istituzioni europee, miglioriamo il funzionamento dell'Unione per accrescere l'integrazione. Riusciremo a smontare la retorica del “meglio da soli” solo se l'Europa sarà in grado di investire senza indugio nel cammino per la riduzione delle disuguaglianze, per stimolare la crescita, per offrire una risposta reale alla questione delle migrazioni, per rafforzare la sicurezza dei cittadini. Ad una maggiore democrazia e rappresentatività delle istituzioni comunitarie devono, insomma, corrispondere politiche economiche e sociali più incisive e più efficaci, perché naturalmente nell'attualità politica si sommano le già consolidate criticità in campo europeo, criticità che, negli ultimi anni, hanno messo in evidenza la difficoltà delle istituzioni comunitarie ad affrontare tanti passaggi delicati con la tempestività necessaria e l'efficacia dovuta.

Le forti tensioni sociali e politiche legate alle pressioni migratorie, le riattivazioni dei teatri di crisi e di instabilità in molti Paesi alle porte dell'Europa, la crescente minaccia terroristica, le difficoltà a superare in maniera definitiva e stabile il periodo di crisi economica e le nuove pulsioni nazionaliste e xenofobe sono fattori che hanno sottoposto ad una fortissima pressione le istituzioni europee. Serve, oggi, dunque, investire in un vero programma di politica europea che affronti le dinamiche internazionali con uno sguardo d'insieme e complessivo, per affrontare le sfide più delicate che l'Europa si trova di fronte.

Anche per queste ragioni la discussione odierna risulta particolarmente rilevante; si tratta di un'occasione straordinaria per svolgere alcune considerazioni di carattere generale sul futuro delle istituzioni europee e sulle priorità del nostro Paese al riguardo, ma anche per ricalibrare gli impegni dell'Italia nel mutato contesto internazionale, tenendo ben presente che i prossimi mesi saranno determinanti anche per reimpostare il fondamentale dibattito attorno al nuovo quadro finanziario multiannuale, un negoziato molto rilevante che inizierà formalmente nel 2018, ma sul quale è opportuno, sin da ora, cominciare a far pesare la posizione italiana. Le nostre proposte, relative alla revisione del fiscal compact, alla flessibilità come regola di bilancio, alla necessità di dotare le istituzioni comunitarie di risorse proprie, tornano dunque di grande attualità.

In questo complicato quadro generale, per analizzare il documento oggetto della discussione odierna, dobbiamo certamente partire dall'apprezzamento per alcuni importanti risultati raggiunti in questi primi anni, come l'adozione dell'agenda delle migrazioni, il piano straordinario per gli investimenti di Juncker, l'impegno concreto per l'attuazione del mercato unico e dell'unione bancaria, ma appare evidente che lo sforzo profuso non è stato ancora sufficiente. Bisogna, in primo luogo, proseguire con maggior determinazione nella strategia per l'occupazione e la crescita; il divario tra chi ce la fa e chi resta indietro sta peggiorando e la disoccupazione, in particolare quella giovanile, rimane la ferita più dolorosa di questa crisi.

A fianco delle politiche economiche e di sostegno agli investimenti bisogna, oggi più che mai, accelerare nella realizzazione della dimensione sociale dell'Europa. L'unione bancaria va completata, superando le resistenze di alcuni Stati membri e la politica monetaria espansiva della BCE va sostenuta con un potenziamento vero del Fondo per gli investimenti strategici. Tuttavia, oggi, l'Europa non ha bisogno solo di meccanismi di difesa, oggi, dobbiamo trasformare l'Europa in un soggetto che sia realmente promotore di coesione e di sviluppo. Apprezziamo, dunque, l'impegno del Governo a sostegno delle iniziative annunciate a favore dell'occupazione giovanile e per l'istituzione del corpo europeo della solidarietà, un progetto coerente con la proposta italiana del servizio civile europeo. Bisogna dare priorità alle politiche europee in grado di stimolare tassi di crescita più consistenti per assorbire la disoccupazione e contrastare le tendenze recessive, servono politiche di sostegno all'innovazione tecnologica e per l'economia digitale. Il successo recente dell'eliminazione del roaming va nella giusta direzione e contribuisce così alla creazione di un vero mercato unico digitale.

Così come risulterà determinante l'impegno del Governo in relazione alle politiche energetiche, in particolare con riferimento alla sicurezza degli approvvigionamenti e al potenziamento di reti e connessioni, all'interno di un negoziato complesso, quello sull'unione dell'energia, appunto, che produrrà forti implicazioni in campo industriale ed ambientale.

In questo quadro, la lotta ai cambiamenti climatici deve rimanere una priorità, signor sottosegretario. Sosteniamo, dunque, l'impegno del Governo italiano e dell'Europa affinché si trovi la via per procedere in maniera efficace su questi temi, malgrado la recente decisione degli Stati Uniti a guida Trump di recedere dagli accordi di Parigi, decisione grave e pesante che ha dato immediatamente il segnale del diverso approccio sui temi ambientali della nuova Presidenza americana.

Ma la sfida che l'Europa deve affrontare non è solo quella economica e sociale nella sua dimensione interna, ma anche e soprattutto quella connessa al terrorismo e alla domanda di sicurezza. La violenza terroristica non è solo una minaccia alla nostra incolumità fisica, ma un pericolo per la tenuta dei valori delle società democratiche e per i diritti e le libertà di tutti i cittadini. L'Europa deve contrastare questo fenomeno su scala mondiale, nel rispetto dei diritti umani, e lavorare per rendere le nostre città realmente sicure. Chiediamo al Governo di proseguire con determinazione in tutte le iniziative per la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, sia sul piano della repressione che sul piano della prevenzione, nella consapevolezza che tali minacce non si fermano alle frontiere e che, dunque, devono essere affrontate sia a livello nazionale sia internazionale.

E, poi, c'è l'altra grande sfida che abbiamo di fronte, quella delle migrazioni. Su questo fronte l'impegno del Governo italiano parte da lontano; in questa sede vogliamo esprimere soddisfazione per la decisione della Commissione europea di sanzionare con vere e proprie procedure di infrazione gli Stati membri che non hanno colpevolmente aderito ai programmi di riallocazione dei richiedenti asilo, ma è evidente che quanto fatto finora non basta. La necessità di una maggiore condivisione degli oneri nella gestione del fenomeno migratorio rimane una priorità dell'Italia sia per quanto riguarda i profili interni che per quelli esterni. È necessaria una riforma complessiva del sistema europeo di asilo che sia in grado di superare il limite relativo all'onere sostenuto dai Paesi di primo ingresso, ma è anche vero che le soluzioni finora ipotizzate di riforma del Regolamento di Dublino sono insufficienti. Serve sul punto più coraggio, perché sia effettivamente garantita un'oggettiva condivisione degli oneri da parte di tutti gli Stati membri. Sarà un negoziato complicato ed è per questo che riteniamo fondamentale che il Governo italiano possa in questa partita contare sull'ampio consenso del Parlamento. Come serve più determinazione rispetto all'attuazione delle decisioni sulla ricollocazione e il reinsediamento, uno strumento efficace per disarticolare il traffico di essere umani e un gesto concreto di solidarietà. Parallelamente si dovrà procedere con rapidità nella definizione di un più ampio piano di investimenti nei Paesi di origine e di transito, aumentando i fondi a disposizione.

Sono queste, signor Presidente, e molte altre le sfide che l'Europa ha di fronte. Per vincere bisogna smettere di pensare di poter continuare a governare passando da un'emergenza all'altra; bisogna definire soluzioni strutturali e virtuose e lavorare perché su queste soluzioni si radichi e si rafforzi l'integrazione europea. Il ruolo dell'Italia nei prossimi mesi sarà dunque fondamentale.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Annunzio di risoluzioni - Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Berlinghieri, Locatelli, Sberna e Tancredi n. 6-00321; Battelli e altri n. 6-00322; Laforgia ed altri n. 6-00323 e Occhiuto ed Elvira Savino n. 6-00324 che sono in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Intervento del Governo - Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire, in sede di replica, il sottosegretario Gozi. Ne ha facoltà

SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. Brevemente, per sottolineare alcuni aspetti che in questa discussione sono emersi, che io trovo di grandissima rilevanza, e per ringraziare anche i colleghi che sono intervenuti. Il primo punto è quello del vicepresidente Tancredi e anche della collega Cavani sull'importanza della fase ascendente. Guardate, colleghi, è sempre più importante e cerchiamo di essere sempre più tempestivi. Dato che siamo tra colleghi possiamo anche parlarci in maniera franca, prima il Parlamento interviene su questi aspetti di linee strategiche dell'Italia da seguire a livello di Unione europea, più è utile per tutti, a partire dal Governo.

È per questo che questo Governo, per la prima volta, tutti gli anni - forse il primo anno ha ritardato di qualche giorno – ha voluto trasmettere al Parlamento, alla fine dell'anno precedente o proprio all'inizio dell'anno in corso, la relazione programmatica per l'anno in corso, perché è molto importante avere, il prima possibile, dal Parlamento le linee guida, proprio perché è una battaglia di sistema, è una battaglia che tanto più noi possiamo fare valere come posizione largamente condivisa, ben oltre, è sempre il mio auspicio, lo sapete anche dal modo in cui il Governo si pone nelle risoluzioni di politica europea che regolarmente presentiamo: tanto più è condivisa, aldilà anche della maggioranza governativa, tanto meglio è. Ed è questa la linea che questo Governo, Presidente, ha sempre seguito sulle questioni di politica europea in quest'Aula: cercare sempre di venire incontro, laddove sono condivise, al più ampio numero di forze politiche, ben oltre la maggioranza. Quindi, cerchiamo di essere sempre tempestivi da questo punto di vista.

Sui punti di merito, il primo che è stato sollevato è quello del Fiscal compact, del Patto di stabilità e di crescita e, dato che parliamo di strategie a venire, anche della riforma della zona euro. Noi siamo convinti che, usciti dalla tempesta finanziaria, la zona euro debba essere riformata e crediamo che adesso ci siano le condizioni politiche. Il collega Palese faceva riferimento alle elezioni in Francia e alle prossime elezioni Germania: anche l'Italia è convinta che sia arrivato il momento, che i tempi siano maturi per aprire un dibattito su come la zona euro funziona, su cosa c'è da completare, ma a noi non basta la parola “completare” l'Unione economica e monetaria, perché, secondo noi, il punto non è solo completare quello che manca - e c'è tanto da fare da questo punto di vista -, ma anche rivedere quello che si è fatto, perché non tutte le regole introdotte in questi anni durante la crisi finanziaria, oggi, sono tutte ancora adeguate e sono tutte ancora d'attualità.

Secondo noi ci sono alcuni aspetti che vanno superati, che sono obsoleti, sono vecchie battaglie dell'Italia che hanno una grande attualità, come quella dello scomputo della spesa per gli investimenti dal Patto di stabilità e di crescita. Ecco perché anche in questi giorni, anche questa mattina, al sottoscritto è capitato di dire che non siamo d'accordo all'inserimento del Fiscal compact nei Trattati senza una sua revisione: non perché non sappiamo che il Fiscal compact è solamente, in gran parte, un compendio, una summa delle regole già esistenti nel regolamento del Six pack, nel regolamento del Two pack, ma perché riteniamo che, politicamente, sia arrivato il momento di mettere in discussione il modo in cui la zona euro oggi è governata e vedere su quali punti possiamo trovare un accordo per migliorare, non solo per completare, il modo in cui la zona euro funziona, partendo proprio dal tema che riguarda quale politica gli investimenti, quale politica di investimenti fare a livello europeo - e, quindi, che strumenti, che capacità, che nuove risorse per gli investimenti dare alla zona euro -, quale politica di investimenti le regole europee devono consentire a livello nazionale.

È una battaglia, una battaglia politica, che tanto più sarà condivisa dal più ampio numero di forze possibili in questo Parlamento, tanto più avremo la forza per portarla avanti, sapendo che si apre un dibattito importante, complesso, che noi riteniamo possa veramente entrare nel suo vivo dopo il 24 settembre di quest'anno, dopo le elezioni tedesche, ma sapendo che la nuova linea della Francia, la nuova linea del presente Macron va assolutamente in quella direzione, come anche la linea della Spagna. Questa mattina ho appena terminato un incontro con il mio omologo spagnolo: dal punto di vista di quanto è necessario fare per riformare la zona euro c'è grande convergenza anche della Spagna.

E questa è anche la nostra politica come Italia: cercare di europeizzare al massimo una nuova intesa tra Parigi e Berlino, che noi riteniamo condizione assolutamente necessaria, ma non sufficiente per rilanciare l'Europa; non sufficiente, quindi richiede un ruolo dell'Italia, richiede un ruolo della Spagna, richiede un ruolo attivo, soprattutto nella zona euro, di tutti i Paesi che vogliono impegnarsi in questa riforma. Del resto, è questo che abbiamo indicato anche nella “Dichiarazione di Roma”, voi l'avete ricordata: è una dichiarazione che mette il tema della riforma della zona euro, della politica degli investimenti e dell'Unione sociale europea al centro delle preoccupazioni dell'Europa.

È un impegno di un programma di lavoro dell'Europa di qui alla fine della legislatura, ma anche nella prossima legislatura. Sono questi i punti, su questo noi stiamo lavorando attivamente con gli svedesi in vista del Vertice sociale di novembre. Vorremmo, però, subito cercare, anche legando il dibattito della riforma della zona euro, di rendere concreto questo obiettivo dell'Unione sociale europea: ecco perché riteniamo che andrebbe introdotto, a livello almeno di zona euro, un sussidio europeo di lotta alla disoccupazione complementare a quanto si fa a livello nazionale.

Ecco perché riteniamo che la proposta della Commissione di un congedo parentale di quattro mesi non interscambiabile tra padri e madri sia un altro esempio concreto di cosa intendiamo per innalzamento degli standard sociali, dei diritti sociali all'interno dell'Unione europea. Ecco che il tema del dibattito sulla revisione della direttiva sui lavoratori distaccati ci vede oggi svolgere un ruolo attivo, che è molto sensibile alle esigenze espresse da Paesi come la Svezia e come la Francia che, sono nostri alleati su varie partite europee, per evitare una concorrenza sociale al ribasso, che rischia di rimettere a repentaglio il mercato unico, rischia di creare delle situazioni e dei sentimenti di rigetto rispetto all'Unione europea.

Da questo punto di vista, è stato citato anche un altro strumento a cui il Governo tiene molto e su cui abbiamo molto lavorato, che è la “Garanzia giovani”. Su questo vorrei precisare che è vero che in Italia c'è stato un inizio complesso, un inizio molto differenziato a seconda delle regioni, però, al momento, la “Garanzia giovani” ha riguardato 1.370.779 giovani; al 53 per cento dei giovani presi in carico è stata offerta almeno un'attività e, soprattutto, gli sgravi fiscali che vengono offerti per l'utilizzo della “Garanzia giovani” stanno dando dei risultati importanti, ad esempio in Lombardia.

C'è, quindi, una situazione di utilizzo buono da parte dell'Italia della “Garanzia giovani” dopo un inizio difficile; è vero che c'è ancora una differenza tra regioni e regioni ed è vero che il Mezzogiorno è più in ritardo di altre regioni, ma questo dipende molto dalla capacità delle regioni di utilizzare gli strumenti, l'impegno e anche gli sgravi fiscali che il Governo ha messo a disposizione. Però diciamo che, certamente, la nostra valutazione adesso dello strumento “Garanzia giovani” è positivo, lo vorremmo rendere permanente, lo vorremmo anche, in prospettiva della revisione del bilancio, aumentare, perché è un altro strumento importante, complementare, europeo di lotta contro la disoccupazione giovanile che noi riteniamo di grande utilità.

È per questo che - passo all'altro punto sollevato dall'onorevole Camani - il tema del futuro bilancio, del quadro finanziario multiannuale. Noi abbiamo alcune priorità, una è questa: quella di aumentare le risorse dedicate alla lotta contro la disoccupazione giovanile e, in maniera più ampia, gli strumenti di investimento. Riteniamo anche che dobbiamo cercare di invertire un po' la logica con cui pensiamo al bilancio del futuro dell'Unione europea e, cioè, non rivedere un bilancio con lo specchietto retrovisore, guardando solo l'esistente e vedendo quali piccole correzioni al margine dobbiamo fare dell'esistente, ma avendo l'ambizione di indicare quali sono i beni pubblici europei che noi dobbiamo assicurare attraverso il nuovo bilancio e che possono essere assicurati solo da un impegno forte dell'Unione europea. La gestione delle frontiere esterne è un bene pubblico europeo; la sicurezza, una politica dell'immigrazione sono un bene pubblico europeo; la correzione dei cosiddetti fallimenti del mercato unico sono una questione che deve essere affrontata a livello europeo: se così è, è attorno a questo che dobbiamo indicare le priorità e dobbiamo indicare anche le risorse necessarie.

Da ultimo, ma certamente non finale, rispetto al quadro finanziario multiannuale, voglio ricordare che noi abbiamo fatto della tutela dello Stato di diritto, della tutela dei diritti fondamentali e del rispetto degli obblighi in materia di solidarietà, in particolare di immigrazione e asilo, da parte di tutti gli Stati membri una priorità. Ed è per questo che l'Italia, per prima, nel suo paper, nel suo documento sul futuro bilancio, che è stato redatto dall'Italia e presentato in aprile, ha indicato il rispetto dello Stato di diritto come condizione per la concessione dei fondi strutturali e dei fondi di coesione agli Stati membri.

Quindi, noi riteniamo che, se in futuro, alcuni degli Stati membri violano i loro obblighi in materia di Stato di diritto - e siamo preoccupati per quello che sta accadendo in Ungheria e in Polonia -, se uno Stato membro viola i suoi obblighi in materia di diritti fondamentali, ad esempio, in materia di diritto d'asilo, dato che la solidarietà europea non è a senso unico, ma è a doppio senso, l'Europa debba sospendere la concessione dei fondi di coesione e dei fondi strutturali. Quindi, la condizionalità deve essere legata, innanzitutto, al rispetto dei valori fondamentali e degli obblighi di solidarietà. È una proposta che l'Italia ha fatto per prima in aprile, che ho presentato personalmente al commissario Oettinger; è una proposta che è stata ripresa dal primo documento del Governo tedesco in materia di futuro bilancio, che è stata ripresa anche dal primo documento del Governo svedese. Noi riteniamo che questa sia una battaglia da fare, perché le battaglie di principio sui diritti fondamentali e sugli obblighi in materia di immigrazione contano eccome.

Perché l'Italia era sola un anno fa: io stesso ero solo in Europa quando dicevo che c'erano tutte le condizioni, in agosto dello scorso anno, per avviare delle procedure di infrazione contro i Paesi che non fanno la loro parte nella redistribuzione dei rifugiati. Dopo quasi un anno, però, la Commissione è arrivata ad avviare delle procedure di infrazione nei confronti della Polonia, dell'Ungheria e della Repubblica Ceca. È importante non perché quella relocation risolverebbe tutti i nostri problemi, ma perché pacta sunt servanda: gli accordi vanno rispettati. E se noi accettiamo che, dopo un lungo negoziato, un accordo difficile come quello sulla redistribuzione, ci siano dei Paesi che dicono “neppure un richiedente asilo sul mio territorio”, noi accettiamo che l'Europa si blocchi, che ci sia la paralisi, accettiamo la negazione stessa dell'Unione europea. Ecco perché, per ragioni di principio, e perché riteniamo di avere ottime motivazioni giuridiche e politiche, abbiamo insistito con la Commissione europea perché avviasse queste procedure di infrazione, ed è avvenuto, finalmente. Benissimo, siamo soddisfatti, ma riteniamo che anche un negoziato perfetto di “Dublino” - e abbiamo ottenuto che non si chiuda in giugno, perché non c'erano le condizioni per chiudere il negoziato, perché lo stato del negoziato oggi non ci soddisfa -, se anche avessimo il negoziato perfetto di “Dublino”, avremmo risolto solo parte del problema: noi dobbiamo spingere l'Unione europea ad affrontare il tema dell'immigrazione economica ed irregolare in maniera più ampia.

Quindi, certamente insistere su una revisione più equa, più equilibrata di “Dublino”, che riguarda - lo ricordo, ma i colleghi parlamentari lo sanno benissimo - il tema dei richiedenti asilo, ma dobbiamo anche spingere l'Europa ad assumersi delle nuove responsabilità e sviluppare delle nuove politiche di governo, di gestione dei flussi economici, regolari e irregolari. Quella è la partita, quella è la partita su cui lavoriamo e di cui stiamo discutendo con i nostri partner, su cui abbiamo ottenuto già un impegno a La Valletta nel febbraio dello scorso anno, su cui vogliamo di nuovo ribadire l'impegno politico del Consiglio europeo - su cui dobbiamo lavorare -, che riguarda ovviamente la Libia ma soprattutto l'Africa subsahariana. Certamente i due punti vanno portati avanti in parallelo: il tema di “Dublino” e il tema più ampio delle politiche migratorie. Anche da questo punto di vista, il vostro sostegno in quest'Aula, a Roma, e nei vostri contatti con i Parlamenti degli altri Stati membri, è per il Governo di grandissimo aiuto. Concludo, ricordando certamente che questo va di pari passo anche con l'impegno nel rafforzare la lotta e le misure contro il terrorismo. L'onorevole Palese ha fatto riferimento a questo, io voglio solo ricordare le misure su cui stiamo negoziando a livello europeo, che vanno incontro alle giuste esigenze: miglioramento della protezione delle frontiere esterne, rafforzamento e controllo dell'acquisto e della detenzione di armi da fuoco, miglioramento degli strumenti per perseguire penalmente il terrorismo e la lotta contro il riciclaggio di danaro e il finanziamento del terrorismo, scambio di informazioni sui cittadini dei Paesi terzi a livello di casellari giudiziari, recepimento - è il lavoro che dovremmo fare in questo Parlamento - delle nuove norme sulla sicurezza informatica e sul PNR, sugli strumenti di registrazione dei passeggeri. Certamente, deve quindi continuare sempre di più il rafforzamento degli strumenti comuni europei, per quanto riguarda la lotta contro il terrorismo.

Concludo, Presidente, ricordando che certamente la lotta contro il cambiamento climatico è tra le nostre priorità, lo è stata a Taormina: c'è una forte coesione all'interno dei Paesi dell'Unione europea per proseguire nell'attuazione degli Accordi di Parigi, e su questa linea certamente noi non defletteremo e proseguiremo, perché riteniamo che la scelta di Parigi non sia solo una scelta economica ma sia una vera e propria scelta di società, e riteniamo che valga la pena di impegnarsi pienamente per andare in quella direzione.

PRESIDENTE. La ringrazio. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 20 giugno 2017, alle 11:

1.  Svolgimento di interrogazioni.

  (ore 15)

2.  Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 119-1004-1034-1931-2012 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: D'ALI'; DE PETRIS; CALEO; PANIZZA ed altri; SIMEONI ed altri: Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 4144-A)

e delle abbinate proposte di legge: TERZONI ed altri; MANNINO ed altri; TERZONI ed altri; BORGHI ed altri. (C. 1987-2023-2058-3480)

Relatore: BORGHI.

3.  Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:

ALFREIDER ed altri: Modifiche allo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol in materia di tutela della minoranza linguistica ladina (Approvata, in prima deliberazione, dalla Camera e modificata, in prima deliberazione, dal Senato). (C. 56-B)

Relatore: FRANCESCO SANNA.

4.  Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 624-895-1020-2160-2163-2175-2178-2187-2196-2197-2202-2547-2591 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: MARTELLI ed altri; MUSSINI ed altri; DE PIN ed altri; BUEMI ed altri; PAOLO ROMANI ed altri; BONFRISCO ed altri; MARCUCCI ed altri; DE PETRIS ed altri; GIROTTO ed altri; LUCIDI ed altri; TOSATO ed altri; DE PIN ed altri; MOLINARI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 4410)

e delle abbinate proposte di legge: ARTINI ed altri; NESCI ed altri; MONCHIERO ed altri; GIANLUCA PINI ed altri; BRUNETTA ed altri; PAGLIA ed altri; PRATAVIERA ed altri; ARTINI ed altri; ARTINI ed altri; CARIELLO e PISANO; CIVATI ed altri; SIBILIA ed altri; VILLAROSA ed altri.

(C. 1123-3339-3485-3486-3499-3508-3616-3799-3882-4053-4217-4428-4429)

Relatore: BERNARDO.

5.  Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni in materia di delitti contro il patrimonio culturale. (C. 4220-A)

Relatore: BERRETTA.

6.  Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 1932 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: LO MORO ed altri: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e dei loro singoli componenti (Approvata dal Senato). (C. 3891)

e delle abbinate proposte di legge: FRANCESCO SANNA ed altri; MURA ed altri. (C. 3174-3188)

Relatore: MATTIELLO.

7.  Seguito della discussione della proposta di legge:

SERENI ed altri: Modifica alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del festival Umbria Jazz. (C. 4102-A)

Relatrice: ASCANI.

8.  Seguito della discussione delle mozioni Simonetti ed altri n. 1-01553, Brunetta ed altri n. 1-01560, Civati ed altri n. 1-01646 e Nesci ed altri n. 1-01647 concernenti iniziative volte a garantire il funzionamento delle province.

9.  Seguito della discussione della proposta di legge:

RICHETTI ed altri: Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali. (C. 3225-A/R)

e delle abbinate proposte di legge: VACCARO; LENZI e AMICI; GRIMOLDI; CAPELLI ed altri; VITELLI ed altri; LOMBARDI ed altri; NUTI ed altri; PIAZZONI ed altri; MANNINO ed altri; SERENI ed altri; CAPARINI ed altri; GIACOBBE ed altri; FRANCESCO SANNA; TURCO ed altri; CRISTIAN IANNUZZI; MELILLA ed altri; CIVATI ed altri; BIANCONI; GIGLI ed altri; CAPARINI ed altri.

(C. 495-661-1093-1137-1958-2354-2409-2446-2545-2562-3140-3276-3323-3326-3789-3835-4100-4131-4235-4259)

Relatori: RICHETTI, per la maggioranza; TURCO, di minoranza.

10.  Seguito della discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 e sul Programma di lavoro della Commissione per il 2017. (Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A)

Relatrice: BERLINGHIERI.

La seduta termina alle 15,30.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: GIUSEPPE BERRETTA (A.C. 4220-A)

GIUSEPPE BERRETTA, Relatore. (Relazione – A.C. 4220-A). L'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge del governo diretto a prendere la riforma delle disposizioni penali a tutela del patrimonio culturale, raggruppando in un apposito titolo del codice penale le disposizioni attualmente previste nello stesso codice penale e in particolare nel codice dei beni culturali. Il provvedimento non si limita ad una mera risistemazione sistematica di tali disposizioni, ma riformula fattispecie penali già previste ovvero ne prevede di nuove.

Ricordo che il tentativo di riorganizzare il quadro sanzionatorio penale a tutela del nostro patrimonio culturale risale ormai a due legislature fa, quando fu avviato l'esame alla Camera del disegno di legge A.C. 2806; nella scorsa legislatura il disegno di legge del Governo A.S. 3016 fu invece presentato al Senato. In entrambi i casi, il progetto riformatore non ha superato la fase dell'esame da parte delle commissioni parlamentari in sede referente.

La relazione illustrativa del disegno di legge sottolinea che “l'esigenza di un intervento normativo organico e sistematico nella materia è resa indefettibile non solo dalle rilevanti criticità emerse nella prassi applicativa in riferimento alle disposizioni legislative vigenti, ma anche – e soprattutto – dalla circostanza che le previsioni normative in materia di repressione dei reati contro il patrimonio culturale risultano attualmente inadeguate rispetto al sistema di valori delineato dalla Carta fondamentale. La Costituzione, infatti, in base al chiaro disposto degli articoli 9 e 42, richiede che alla tutela penale del patrimonio culturale sia assegnato un rilievo preminente e differenziato nell'ambito dell'ordinamento giuridico e colloca con tutta evidenza la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione a un livello superiore rispetto alla mera difesa del diritto all'integrità del patrimonio individuale dei consociati”.

Il disegno di legge al nostro esame riprende in parte i provvedimenti delle scorse legislature e, secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa, si caratterizza per i seguenti aspetti - favorire la coerenza sistematica del quadro sanzionatorio penale, attualmente ripartito tra codice penale e codice dei beni culturali; - assicurare l'omogeneità terminologica di tutte le disposizioni incriminatrici, riconducendole al concetto di reati contro il patrimonio culturale; - introdurre nuove fattispecie di reato; - innalzare le pene edittali vigenti, così da attuare pienamente il disposto costituzionale in forza del quale il patrimonio culturale e paesaggistico necessita di una tutela differenziata e preminente rispetto a quella offerta alla tutela della proprietà privata; - introdurre aggravanti quando oggetto di reati comuni siano beni culturali.

Il provvedimento, che originariamente delegava il Governo ad operare la riforma, dettando alcuni principi e criteri direttivi, è stato modificato nel corso dell'esame in sede referente: in particolare, la Commissione Giustizia ha trasformato la delega in disposizioni di diretta modifica del codice penale, pur mantenendo sostanzialmente inalterati gli obiettivi della riforma. L'opportunità di trasformare i principi e criteri direttivi di delega in disposizioni penali direttamente precettive emersa nel corso di un approfondito ciclo di audizioni, prendendo spunto dalla circostanza che in realtà gli stessi principi e criteri direttivi di delega erano stati redatti in maniera molto dettagliata.

Nel corso dell'indagine conoscitiva si sono svolte audizioni che hanno approfondito il tema oggetto del disegno di legge della professoressa Paola Severino, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma, di Stefano Manacorda, Professore di diritto penale presso la Seconda Università degli Studi di Napoli e di Fabrizio Parrulli, Generale di Brigata dell'Arma dei Carabinieri. In veste di relatore ho sottoposto al comitato ristretto una proposta di nuovo testo del disegno di legge contenente disposizioni direttamente precetti, che una volta approvato dal Comitato stesso è stato approvato dalla Commissione. Questo testo, al quale sono state apportate alcune modifiche attraverso la fase emendativa, si trova ora all'esame dell'Assemblea.

Nel passare all'esame del contenuto del provvedimento, questo si compone di 7 articoli.

L'articolo 1 modifica il codice penale, in particolare inserendovi tra i delitti il titolo VIII-bis, rubricato "Dei delitti contro il patrimonio culturale", al quale sono riconducibili le seguenti nuove fattispecie penali (la Commissione, infatti, ha preferito configurare nuovi delitti a tutela del patrimonio culturale, in luogo di aggravanti di fattispecie esistenti): A) furto di beni culturali (art. 518-bis), punito con la reclusione da 2 a 8 anni (pena significativamente più elevata rispetto a quella prevista per il furto); in presenza di circostanze aggravanti, quali quelle già individuate dal codice penale o dal Codice dei beni culturali, la pena della reclusione va da 4 a 12 anni; B) appropriazione indebita di beni culturali (art. 518-ter), punito con la reclusione da 1 a 4 anni. Con questa fattispecie si punisce chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di un bene culturale altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso. Il delitto è aggravato se il possesso dei beni è a titolo di deposito necessario. La disposizione riproduce, aumentando la pena, la fattispecie di appropriazione indebita di cui all'art. 646 del codice penale; C) ricettazione di beni culturali (art. 518-quater), punito con la reclusione da 3 a 12 anni. Questa fattispecie di ricettazione dovrà trovare applicazione anche quando l'autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità. La disposizione riproduce, inasprendo la sanzione penale ed eliminando le circostanze aggravanti e attenuanti, il contenuto dell'art. 648 c.p. (ricettazione); D) riciclaggio di beni culturali (art. 518-quinquies), punito con la reclusione da 5 a 14 anni. La disposizione riproduce, eliminando un'attenuante e inasprendo la pena, il delitto di riciclaggio di cui all'art. 648-bis c.p.; E) illecita detenzione di beni culturali (art. 518-sexies), punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e con la multa fino a 20.000 euro. Si tratta di una fattispecie penale al momento estranea all'ordinamento, che ricorre quando il fatto non integri gli estremi della più grave ricettazione e che consiste nel fatto di detenere un bene culturale conoscendone la provenienza illecita; F) violazioni in materia di alienazione di beni culturali (art. 518-septies), punito con la reclusione fino a 2 anni e la multa fino a 80.000 euro. Il provvedimento sposta nel codice penale, innalzandone la pena, l'attuale fattispecie contenuta nell'art. 173 del Codice dei beni culturali; G) uscita o esportazione illecite di beni culturali (art. 518-octies), punito con la reclusione da 1 a 4 anni o con la multa da 258 a 5.165 euro. Il provvedimento sposta nel codice penale, conservando la pena e operando alcune modifiche, il delitto di cui all'art. 174 del Codice dei beni culturali, che punisce l'illecita uscita o esportazione (trasferimento all'estero) di beni culturali, senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, ovvero il mancato rientro dei beni di cui sia stata autorizzata l'uscita, alla scadenza del termine previsto. È prevista la confisca delle cose, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato. Nel caso in cui il reato sia commesso da «chi esercita attività di vendita al pubblico o di esposizione a fine di commercio di oggetti culturali, è prevista la pena accessoria dell'interdizione da una professione o da un'arte, ex articolo 30 c.p.». Rispetto all'attuale fattispecie, la riforma prevede un'aggravante quando il delitto ha ad oggetto beni culturali di rilevante valore; H) danneggiamento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici (art. 518-novies), punito con la reclusione da 1 a 5 anni. La fattispecie punisce chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende infruibili beni culturali o paesaggistici; colui che invece fa di tali beni un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico o pregiudizievole della loro conservazione è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. La riforma qualifica dunque come autonome fattispecie penali, di natura delittuosa, le aggravanti e le contravvenzioni attualmente previste dal codice penale e subordina la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. In caso di condotta colposa, si applica la reclusione fino a 2 anni (art. 518-decies); I) devastazione e saccheggio di beni culturali (art. 518-undecies), punito con la reclusone da 10 a 18 anni. La fattispecie penale troverà applicazione al di fuori delle ipotesi di devastazione, saccheggio e strage di cui all'art. 285 c.p. quando ad essere colpiti siano beni culturali ovvero istituti e luoghi della cultura; J) contraffazione di opere d'arte (art. 518-duodecies), punito con la reclusione da 1 a 6 anni e la multa fino a 10.000 euro. La riforma inasprisce la sanzione e sposta nel codice penale l'attuale delitto di contraffazione previsto dall'art. 178 del Codice dei beni culturali. Al tempo stesso il nuovo testo dell'AC. 4220 esclude la punibilità (art. 518-terdecies) di colui che produce, detiene, vende o diffonde opere, copie o imitazioni dichiarando espressamente la loro non autenticità (analogamente a quanto oggi prevede l'art. 179 del Codice dei beni culturali); K) attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali (art. 518-quaterdecies), punito con la reclusione da 2 a 8 anni. La fattispecie punisce chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto o vantaggio, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, trasferisce, aliena, scava clandestinamente e comunque gestisce illecitamente beni culturali. In relazione a questo delitto la riforma prevede la competenza della procura distrettuale e la possibilità di svolgere attività sotto copertura.

Il nuovo titolo VIII-bis del codice penale prevede inoltre:

A) un'aggravante da applicare a qualsiasi reato che, avendo ad oggetto beni culturali o paesaggistici, cagioni un danno di rilevante gravità oppure sia commesso nell'esercizio di un'attività professionale o commerciale (art. 518-quinquiesdecies). La pena dovrà essere aumentata da un terzo alla metà e, in caso di esercizio di un'attività professionale, dovrà essere applicata anche la pena accessoria della interdizione da una professione o da un'arte (art. 30 c.p.); B) la riduzione delle pene in caso di ravvedimento operoso (art. 518-sexiesdecies). In particolare, le pene potranno essere ridotte dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si sia «efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato o per la individuazione degli altri responsabili ovvero dei beni provenienti dal delitto»; C) la confisca penale obbligatoria - anche per equivalente - delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto, il profitto o il prezzo, in caso di condanna o patteggiamento per uno dei delitti previsti dal nuovo titolo (art. 518-septiesdecies); D) l'applicabilità delle disposizioni penali a tutela dei beni culturali anche ai fatti commessi all'estero in danno del patrimonio culturale nazionale (art. 518-octiesdecies).

L'articolo 1 del provvedimento, infine, inserisce nel codice penale - al di fuori del nuovo titolo VIII-bis - l'art. 707-bis, rubricato "Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o per la rilevazione dei metalli". La contravvenzione punisce con l'arresto fino a 2 anni chiunque sia ingiustificatamente colto in possesso di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli in aree di interesse archeologico. Il possesso ingiustificato degli attrezzi dovrà realizzarsi all'interno dei seguenti luoghi: aree e parchi archeologici (art. 101, comma 2, lettere d) ed e), del Codice dei beni culturali); zone di interesse archeologico (art. 142, comma 1, lettera m), del Codice); aree sottoposte a verifica preventiva dell'interesse archeologico (art. 28, comma 4, del Codice e art. 25 del d. lgs. n. 50 del 2016, Codice dei contratti pubblici).

L'articolo 2 modifica l'art. 51 del codice di procedura penale per inserire il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali, di cui al nuovo art. 518-quaterdecies c.p., nel catalogo dei delitti per i quali le indagini sono di competenza della procura distrettuale.

L'articolo 3 modifica la disciplina delle attività sotto-copertura (art. 9 della legge n. 146 del 2006) per prevederne l'applicabilità anche alle indagini sul delitto di attività organizzata finalizzata al traffico di beni culturali (art. 518-quaterdecies).

L'articolo 4 modifica il decreto legislativo n. 231 del 2001, prevedendo la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche quando i delitti contro il patrimonio culturale siano commessi da determinati soggetti nel loro interesse o a loro vantaggio. Viene a tal fine integrato il catalogo dei reati per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti, con l'inserimento di due nuovi articoli, l'art. 25-terdecies e l'art. 25-quaterdecies.

L'articolo 5 abroga alcune disposizioni vigenti, con finalità di coordinamento del nuovo quadro sanzionatorio penale con la normativa vigente.

L'articolo 6, introdotto in accoglimento di una condizione contenuta nel parere espresso dalla Commissione Bilancio con riferimento all'osservanza dell'art. 81 della Costituzione, prevede l'invarianza finanziaria della riforma.

L'articolo 7 prevede l'entrata in vigore della riforma il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.