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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 809 di martedì 6 giugno 2017

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

La seduta comincia alle 12,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO CAPELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 1° giugno 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Adornato, Angelino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borghi, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Marcon, Antonio Martino, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Portas, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Sottanelli, Tabacci, Valeria Valente, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente novantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Toninelli ed altri; Giachetti; Pisicchio; Lauricella; Locatelli ed altri; Orfini; Speranza; Menorello ed altri; Lupi e Misuraca; Vargiu e Matarrese; Nicoletti ed altri; Parisi e Abrignani; Dellai ed altri; Lauricella; Cuperlo; Toninelli ed altri; Rigoni; Martella; Invernizzi ed altri; Valiante ed altri; Turco ed altri; Marco Meloni; La Russa ed altri; D'Attorre ed altri; Quaranta; Menorello ed altri; Brunetta ed altri; Lupi e Misuraca; Costantino ed altri; Pisicchio; Fragomeli ed altri: Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché delega al Governo per la rideterminazione dei collegi elettorali uninominali. (A.C. 2352-2690-3223-3385-3986-4068-4088-4092-4128-4142-4166-4177-4182-4183-4240-4262-4265-4272-4273-4281-4284-4287-4309-4318-4323-4326-4327-4330-4331-4333-4363-A) (ore 12,10 ).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 2352-2690-3223-3385-3986-4068-4088-4092-4128-4142-4166-4177-4182-4183-4240-4262-4265-4272-4273-4281-4284-4287-4309-4318-4323-4326-4327-4330-4331-4333-4363-A: Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché delega al Governo per la rideterminazione dei collegi elettorali uninominali.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è in distribuzione e sarà pubblicato nell'Allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2352-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

FABIO RAMPELLI. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI. La ringrazio, Presidente, anche per la comprensione, tanto sarò telegrafico, non ruberò troppo tempo. Mi riferisco, in particolare, agli esiti della Conferenza dei capigruppo. Vorrei che rimanesse agli atti che, per quello che ci riguarda, riteniamo inverosimile che si possa procedere con questo calendario, senza alcun rispetto per una campagna elettorale in corso che vede impegnate centinaia e centinaia …

PRESIDENTE. Scusi, deputato Rampelli, però non vedo un richiamo al Regolamento su questo.

FABIO RAMPELLI. Io le chiedo la riconvocazione della Conferenza dei capigruppo per rivedere il calendario e quindi i nostri accordi.

PRESIDENTE. Ma questo non è un richiamo al Regolamento, come lei sa. Lei mi chiede la parola per un richiamo al Regolamento e non c'è un richiamo al Regolamento. Quindi noi procediamo, la ringrazio.

Ha facoltà d'intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Emanuele Fiano.

EMANUELE FIANO, Relatore per la maggioranza. Grazie. Onorevole signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, tecnicamente un sistema elettorale consiste in un meccanismo per trasformare in seggi i voti che il corpo elettorale esprime. Abbiamo però tutti la consapevolezza che stiamo affrontando qualcosa di più importante di una semplice formula elettorale. È principalmente attraverso le elezioni che il popolo esercita la sovranità di cui è titolare e dunque, quindi, parliamo di sistemi elettorali quando approviamo una legge elettorale e siamo arrivati al cuore della democrazia, alla sua essenza. È bene ricordarlo, a noi stessi per primi, ogni volta. Anche i regimi totalitari hanno fatto e fanno riferimento alla sovranità popolare, ma il punto di discrimine - notano i costituzionalisti - è tra l'affermazione formale della sovranità e l'attribuzione effettiva, reale, di poteri sovrani.

Inquadrata la questione, si comprendono meglio, io credo, le tensioni e l'agitazione che prendono corpo quando si tocca il tema della riforma della legge elettorale. Non credo esista materia capace di dividere le forze politiche e accendere gli animi più della legge elettorale e ce lo hanno d'altronde insegnato la storia e l'esperienza di questo Paese, in molte occasioni.

Non voglio riaprire, dicendo questo, vecchie ferite. Al contrario, intendo sottolineare da subito, signora Presidente, uno degli aspetti più positivi del testo che oggi presentiamo alla Camera: l'ampio consenso che raccoglie in questo Parlamento. Dobbiamo essere consapevoli dell'importanza di questo risultato, all'inizio per niente scontato. Forze di maggioranza e forze di opposizione, le più numericamente rappresentative nel Paese, hanno saputo lavorare insieme, smussare posizioni di principio, trovare punti di convergenza, raggiungere un compromesso: è quello che si fa in Parlamento, quando si lavora correttamente.

Sì, un compromesso. Non dobbiamo avere timore di pronunciare questa parola. Ce lo rammentava, il giorno del suo giuramento, il Presidente Giorgio Napolitano. Il fatto che in Italia si sia diffusa - diceva il Presidente emerito - una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono, in termini appunto di mediazioni, intese e alleanze politiche. Non c'erano, arrivati a questo punto, per scelte politiche, altre alternative a questo metodo e fatemi dire che mi lascia basito l'atteggiamento di quanti, fuori da quest'Aula, hanno auspicato, e ancora auspicano una rottura a favore di una soluzione diversa, che non avrebbe i numeri per essere approvata nelle Aule del Parlamento. Forse ad animare costoro è il retropensiero di andare a votare con la pessima legge sopravvissuta alle due sentenze della Corte costituzionale, la quale, con sano realismo, ha riconsegnato lo scettro nelle mani del legislatore.

Se è vero, infatti, che i giudici della Consulta hanno restituito al Parlamento un sistema elettorale suscettibile di immediata applicazione, è altrettanto vero che si tratta di un sistema non omogeneo tra le due Camere, poco coerente nei suoi principi fondamentali, con più di una falla, che avrebbe comunque richiesto l'intervento del legislatore, tanto che, di fronte alle nostre iniziali difficoltà, c'era pure chi aveva ipotizzato di intervenire con un decreto-legge. Basti pensare al rischio che, con il cosiddetto Consultellum, come ritagliato dalla sentenza del 2017, decine di deputati sarebbero stati eletti per sorteggio; per non parlare del fatto che la soglia fissata al 3 per cento avrebbe aumentato la frammentazione della rappresentanza, condannandoci con certezza all'instabilità e vanificando di fatto l'attribuzione eventuale di quel premio di maggioranza nel caso di un raggiungimento del 40 per cento di voti validi da una lista. Sarebbero restati cento capilista bloccati e la possibilità della pluricandidatura fino a dieci collegi.

Mi dilungo su questi aspetti, senza entrare nel merito anche delle questioni che avrebbero riguardato il Senato, perché sono la fotografia della realtà attuale, dell'alternativa vera, non teorica, sulla base degli auspici che ognuno di noi può fare, dei desideri che ognuno di noi può coltivare, alla nuova legge elettorale di cui stiamo parlando e che noi vogliamo approvare.

Per carità, non esiste la legge perfetta. La perfezione non è di questo mondo, ma il testo che esaminiamo oggi è, rispetto alla realtà di quella fotografia, un passo avanti importante e non solo per il metodo, per il largo accordo, che per una volta si è raggiunto.

Provo a sintetizzare quelli che ritengo essere i vantaggi più importanti. Il primo vantaggio è che migliora e razionalizza i testi ritagliati dalla Corte costituzionale, che il professor Fusaro aveva denominato i “monconi”. Il secondo vantaggio è che assimila e rende omogenee le modalità di elezione delle due Camere, accogliendo così l'autorevole ed alto appello del nostro Presidente della Repubblica, al quale rivolgo un deferente saluto, Sergio Mattarella, ad armonizzare i sistemi elettorali di Camera e Senato. Un terzo vantaggio è che questa legge introduce un importante strumento anti frammentazione. Mi riferisco allo sbarramento del 5 per cento, da non sottovalutare per gli effetti che può produrre nel senso di una correzione maggioritaria della legge, e con questo intendo un effetto che si potrà misurare, non solo nei numeri, al momento del conteggio dei voti, ma, anche, nel comportamento degli elettori. Spariscono, poi, per il lavoro che si è compiuto nella Commissione affari costituzionali i cosiddetti capilista bloccati o privilegiati e le pluricandidature. Sono, infine, previste specifiche disposizioni ai fini del rispetto del principio di genere, signora Presidente, in modo che nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento.

Ma l'aspetto più importante di questa riforma che mi piacerebbe venisse evidenziato nella giusta maniera è la restituzione agli elettori del diritto di scegliere i propri rappresentanti. Si è sanata quella ferita grave alla libertà del voto, perché non ci sono più nominati nel senso gergale che viene oggi diffuso. È ben riassunta quella ferita grave alla libertà del voto dalle parole dei giudici costituzionali nella sentenza ben nota: un sistema elettorale - dicono - con liste bloccate e lunghe di candidati, nel quale è in radice esclusa, per la totalità degli eletti, qualunque indicazione di consenso degli elettori; anche, perché, lasciatemelo dire, non può passare il principio per cui solo con le preferenze non ci sarebbero nominati. I collegi uninominali sono veri, dopo la modifica del testo in Commissione: ci si candida in un territorio, si fa campagna elettorale e chi vince nel collegio è, nella stragrandissima maggioranza dei casi prevedibili, eletto, ovviamente se la sua lista ha superato lo sbarramento nazionale del 5 per cento; e solo dopo si passa alle liste di partito, liste corte, con i nomi dei candidati indicati sulla scheda a disposizione degli elettori nella massima trasparenza. Insomma, gli elettori voteranno responsabilmente chi riterranno degno di essere eletto.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 35 del 2017, ha affermato che le liste corte con i nomi dei candidati bloccati non contrastano con nessuna norma costituzionale. E ha fatto molto piacere, a me e a molti di noi, che questo principio sia stato riaffermato, ieri, in un'intervista dal professor Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale e fiero avversario della riforma costituzionale bocciata dal referendum; altro che preferenze, nel resto d'Europa si vota prevalentemente così, con i collegi uninominali o con le liste corte bloccate, oppure ci sono sistemi misti come la pluricitata, in questi giorni, Germania, con un sistema elettorale al quale sicuramente ci siamo ispirati, con i limiti che tutti conosciamo di un sistema costituzionale, quello tedesco, diverso dal nostro, in particolare, com'è noto, per quanto riguarda il numero fisso dei parlamentari da eleggere nel nostro Paese; come ormai sapete, invece, questo principio è variabile nella Costituzione tedesca. Infatti, in Germania viene modificato per rendere perfettamente proporzionale la distribuzione dei seggi, qualora un partito vinca nei collegi nominali più seggi di quanti gliene spetterebbero secondo il riparto costituzionale. Per rimediare a questo problema, a legislazione costituzionale vigente, non avevamo altra scelta che quella che abbiamo fatto, ovvero ridurre il numero di collegi per ridurre quel rischio di vincitori di collegio non eletti, ed è quello che abbiamo fatto.

Consentitemi, infine, un solo passaggio politico in cui voglio spogliarmi della veste di relatore. Io sono un sostenitore del sistema maggioritario e così lo è il mio partito, il Partito Democratico, ed è questo partito che ha proposto a questo Parlamento, per due volte, a distanza di poche settimane, due proposte elettorali basate sul principio maggioritario, una completamente maggioritaria, il Mattarellum, e una parzialmente, il secondo testo che abbiamo depositato in Commissione. E sono anche un fiero sostenitore della riforma costituzionale che è stata legittimamente bocciata dai nostri elettori e non posso certo essere entusiasta della svolta proporzionalista che stiamo per approvare; confesso, però, un discreto fastidio di fronte alle previsioni di chi oggi prefigura per l'Italia un futuro fatto di certa instabilità politica ed incertezza perché si tornerà inevitabilmente alle coalizioni di Governo costruite dopo le elezioni; il fastidio non nasce dalla legittimità di queste opinioni o previsioni, ma dal fatto che molti di costoro, non tutti, ci mancherebbe, ci criticavano o rispondevano con un'alzata di spalle quando queste medesime preoccupazioni le avevamo noi che abbiamo proposto quella riforma costituzionale e noi che abbiamo proposto quelle due ipotesi di legge elettorale. Oggi, ecco che si sta infatti verificando quello che avevamo immaginato potesse accadere in caso di sconfitta al referendum.

Devono far riflettere le parole dello storico Agostino Giovagnoli che, subito dopo il voto del 2013, immaginava lo svolgersi del copione di questa legislatura: vent'anni dopo il referendum del 1993 - scriveva Giovagnoli - gli italiani hanno preso le distanze dal bipolarismo. Queste elezioni hanno aperto una fase nuova, segnata da rapidi cambiamenti, dopo faticosi tentativi è stato formato un Governo di larghe intese, come il precedente, estraneo alla logica bipolare, guidato dal vice segretario del Partito Democratico - il cui segretario era Pierluigi Bersani - Enrico Letta, con l'inclusione, nella maggioranza, anche del PdL. Dobbiamo riflettere, ma non possiamo, nel farlo, fermarci; la politica ha il compito di indirizzare gli avvenimenti, di disegnare il futuro.

Il tentativo fatto dalla maggioranza di Governo è stato in questi ultimi anni quello di tenere in vita la domanda di riformismo che c'è nel Paese, abbiamo fatto degli errori, sicuramente, e abbiamo perso una grande occasione, a mio parere, ma la stagione delle riforme non si è chiusa il 4 dicembre, si è aperta una fase nuova, ma il dibattito su questa legge elettorale e lo spirito di condivisione degli obiettivi tra maggioranza e opposizione offrono qualche speranza per il futuro di riprendere quel percorso. Non so se noi abbiamo lavorato con quel velo di ignoranza sufficiente con cui dovrebbe operare il legislatore nello scrivere le leggi per evitare che agisca mosso dall'interesse della propria parte politica; certamente, date le condizioni politiche e i numeri del Parlamento, sono convinto che sia stato fatto un buon lavoro, il migliore nelle condizioni date, nell'interesse prima di tutto del Paese.

Entrando nel merito, Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, ricordo che il testo approvato dalla I Commissione definisce un sistema elettorale proporzionale, nel quale il territorio nazionale è articolato, per quanto riguarda la Camera, in 28 circoscrizioni e 225 collegi uninominali e, per quanto riguarda il Senato, nelle 20 regioni e in 112 collegi uninominali. I collegi allegati al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 e al decreto legislativo n. 533 del 1993 corrispondono, per la Camera, ai collegi definiti dalla legge Mattarella per il Senato e, per il Senato, all'accorpamento dei collegi della Camera, come rideterminati in base al testo.

Alla Camera, l'attribuzione dei seggi alle liste avviene a livello nazionale in ragione proporzionale, con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti; sono ammesse al riparto dei seggi le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 5 per cento dei voti validi o le liste rappresentative di minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi nella circoscrizione. Per il Senato, l'assegnazione dei seggi avviene, invece, a livello regionale, anche in tal caso con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti; sono ammesse al riparto, analogamente come alla Camera, le liste che abbiano conseguito il 5 per cento nazionale o le liste che sul piano regionale abbiano raggiunto il 20 per cento.

I seggi spettanti a ciascuna lista in ogni circoscrizione sono, quindi, attribuiti nei collegi uninominali e alle liste circoscrizionali nei limiti dei seggi spettanti a ciascuna lista, in base a tale riparto sono proclamati eletti per ogni circoscrizione, dapprima, i candidati - ed è questa la più rilevante modifica intervenuta nella discussione di Commissione - che solo risultati primi nel collegio, così che il voto dei nostri elettori, nel collegio, sarà determinante per decidere chi verrà eletto al Parlamento, secondo l'ordine decrescente delle relative cifre individuali percentuali e successivamente, lo ripeto, successivamente, i candidati della lista circoscrizionale secondo l'ordine numerico e, infine, i restanti candidati dei collegi uninominali, i cosiddetti migliori perdenti. Sono dettate norme per favorire il rispetto dell'equilibrio di genere, come già detto, sia nelle candidature circoscrizionali che in quelle uninominali.

Una disciplina specifica è mantenuta per i seggi attribuiti alle circoscrizioni estere, Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige. Le 28 circoscrizioni della Camera coincidono con le regioni, tranne quelle con maggiore popolazione che sono divise in più circoscrizioni, come si vedrà nelle tabelle allegate. Ciascuna circoscrizione è ripartita in collegi uninominali; nelle circoscrizioni sono complessivamente costituiti, come detto, 225 collegi, a cui si aggiungono 8 collegi nella circoscrizione Trentino Alto Adige. Al Senato, il territorio è ripartito in 20 circoscrizioni, con territorio coincidente con quello delle regioni e ciascuna circoscrizione è ripartita, ovviamente, nei 112 collegi uninominali.

Il testo reca, altresì, una delega al Governo, da esercitare entro il tempo di 12 mesi, per la rideterminazione dei collegi uninominali secondo i criteri e i principi direttivi ivi indicati, previo parere parlamentare. Si prevede, inoltre, da parte dell'Esecutivo l'aggiornamento dalla composizione della commissione nominata per la rideterminazione dei collegi con cadenza triennale, la quale è chiamata, sulla base delle risultanze del censimento della popolazione, a formulare indicazioni per la revisione dei collegi medesimi, riferendo al Governo.

Per quanto riguarda la presentazione delle candidature, il nuovo articolo 18-bis, comma 1, primo periodo, del decreto presidenziale n. 361 del 1957 per la Camera, e analogo per il Senato, disciplinano la presentazione delle liste. La presentazione è unitaria in ogni circoscrizione per i candidati dei collegi uninominali e per i candidati delle liste circoscrizionali. Il testo prevede il numero di firme necessarie per la sottoscrizione di liste per ogni circoscrizione - e, ovviamente, è nel testo allegato e non lo ripeto - in analogia tra Camera e Senato. Il numero di sottoscrizioni richiesto per ciascuna circoscrizione non è stato modificato rispetto alla vigente previsione recata dalla legge n. 270 del 2005.

In ogni circoscrizione alla Camera, ovviamente, ciascuna lista è composta da un elenco di candidati presentati secondo ordine numerico di presentazione. Il numero dei candidati non può essere superiore ad un terzo, con arrotondamento all'unità superiore, dei seggi assegnati; in nessun caso una lista può avere un numero di candidati inferiore a due e superiore a sei; in Molise la lista è composta da un candidato. Al Senato, in ogni regione, il metodo di costruzione delle liste è il medesimo; il numero dei candidati non può essere superiore ad un terzo, con arrotondamento all'unità superiore, dei seggi assegnati per ciascuna circoscrizione. Rispetto alla Camera, è consentito, nella sola regione Lombardia, data la sua alta densità demografica, che la lista possa essere composta da due a sette.

Ricordo, in proposito, che, nella sentenza n. 1 del 2014, la Corte, censurando le norme introdotte con la legge n. 270 del 2005, concernenti le modalità di espressione del voto per liste concorrenti di candidati, ha chiarito che la libertà di voto del cittadino risulta compromessa quando il cittadino è chiamato a determinare l'elezione di tutti i deputati e di tutti i senatori, votando un elenco spesso assai lungo che difficilmente conosce. Il vulnus, secondo la Corte, è determinato dalla circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti senza alcuna eccezione manca il sostegno dell'indicazione personale dei cittadini che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione.

Alcune disposizioni specifiche che ho già citato riguardano la parità di genere, sia per la Camera come anche per il Senato, così come integrate dalle modifiche che abbiamo approvato in Commissione.

Per quanto riguarda la disciplina delle cosiddette pluricandidature, il nuovo articolo 19 del DPR già citato, che trova applicazione anche al Senato, stabilisce che la candidatura della stessa persona in più di un collegio uninominale o in più di una lista circoscrizionale è nulla. Dunque, non ci saranno pluricandidature e il candidato in un collegio nominale può, al contempo, essere candidato in una lista circoscrizionale sia della medesima circoscrizione o di altra.

Per quanto riguarda l'espressione del voto, ogni elettore dispone di un unico voto da esprimere su una scheda recante, in un unico rettangolo, il contrassegno di ciascuna lista, con a fianco, a sinistra, il nome e cognome del candidato uninominale e, a destra, il nome e cognome dei candidati nella lista circoscrizionale; ovviamente, l'ordine delle liste è stabilito con sorteggio.

Sono state introdotte, nell'esame di Commissione, nuove disposizioni che attengono alla fase di spoglio delle schede e al relativo scrutinio.

Concludendo, per rimanere nei tempi, signora Presidente, io penso che il dibattito di quest'Aula sul testo che è stato presentato come risultante dei lavori della Commissione, dimostrerà che molto è stato fatto, nelle condizioni date, per dare a questo Paese una legge elettorale che tenga al centro i diritti del cittadino elettore, che pur di fronte ad un sistema proporzionale permetta la possibilità di scegliere nei collegi uninominali i propri eletti, che permetta la più alta possibile partecipazione dei cittadini al sistema elettorale e al meccanismo di scelta, perché questo era l'intento che ci siamo dati rispondendo all'appello autorevole del Presidente della Repubblica, lavorando tra gruppi di maggioranza e di opposizione, perché questo Paese, quando sarà, possa andare al voto con una legge scelta dei propri rappresentanti.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al relatore di minoranza, vorrei salutare il liceo scientifico Vittorio Veneto di Milano, che è qui nelle tribune. Benvenuti e grazie di partecipare ai nostri lavori (Applausi). Oggi siamo in sede di discussione generale della legge elettorale, quindi è un giorno importante.

Adesso ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza Ignazio la Russa, ma non lo vedo, dunque darei la parola al relatore di minoranza, deputato Tancredi Turco, il quale non c'è, quindi darei la parola al deputato Quaranta... ah il deputato Turco è entrato, chiedo scusa deputato Quaranta. Ha dunque facoltà di intervenire il relatore di minoranza, Tancredi Turco. Dovrebbe scendere al banco del comitato dei nove, venga giù, scenda, si metta al posto appropriato per il relatore di minoranza.

TANCREDI TURCO, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Questo Parlamento si avvia a votare e ad approvare una legge elettorale frutto dell'inciucione, dell'inciucio, tra quattro grandi partiti, i partiti che, stando ai sondaggi e per quello che possono valere i sondaggi, sarebbero i partiti che superano la fatidica soglia di sbarramento del 5 per cento. Questa legge elettorale, per l'ennesima volta, darà modo di avere un Parlamento di nominati, di servi, di parlamentari nominati dai leader dei quattro partiti, dai vari capibastone.

Viene erroneamente chiamato Tedeschellum o, comunque, un sistema elettorale che si rifà a quello tedesco: nulla di più improprio e nulla di più erroneo. Questa legge elettorale non ha nulla a che fare col sistema tedesco, tant'è che sarebbe molto più appropriato nominarla Porcellum 2 o Porcellum bis, o Porcellum 2.0, più giovanile, ma sicuramente non Tedeschellum. Un noto giornalista, solitamente filogrillino, lo ha definito Merdinellum: ecco, ha usato un diminutivo o un vezzeggiativo, io avrei usato un nome addirittura per ampliarlo. Siamo di fronte ad una legge elettorale che è una vera e propria porcata. Una vera propria porcata, per usare un termine tanto caro ai colleghi del MoVimento 5 Stelle, che per quattro anni in questa legislatura hanno così definito qualsiasi provvedimento arrivasse dal Governo.

È una legge elettorale che, a parole del relatore per la maggioranza, a parole dei leader dei quattro partiti che la sostengono, dovrebbe garantire la governabilità e la rappresentanza. Così non è. Partiamo dalla governabilità: si sono fatti vari esperimenti, a seconda di quello che i sondaggi dicono sui vari partiti. Si è provato che, in qualsiasi caso, una maggioranza non la si raggiunge, non la raggiunge ovviamente nessun partito in solitudine, ma neanche provando le cosiddette alchimie di Palazzo. Si è provato a pensare a un Partito Democratico che si unisce a Forza Italia: sommando, così, il numero dei parlamentari, si dovrebbe arrivare ad una maggioranza, ma questa non è garantita, almeno stando ai sondaggi, non viene assolutamente garantita una maggioranza stabile.

Si è provato a pensare o ad immaginare un'altra alchimia: il MoVimento 5 Stelle, unitamente alla Lega Nord, ma anche qui, stando ai sondaggi e stando ai numeri, non viene assolutamente garantita una maggioranza. Quindi è un testo unificato di legge elettorale che non garantirà un Governo ed una maggioranza stabile e forse è proprio questo il punto di incontro dei quattro partiti cioè il fatto che non vinca nessuno. Forse la prospettiva più plausibile è l'arrivo di un commissariamento da parte dell'Europa: qualcuno ha pronosticato l'arrivo di Draghi. Non lo so: staremo a vedere. Per quanto riguarda il secondo punto, ossia la rappresentanza, è un testo che garantisce la rappresentanza? Assolutamente no. C'è una soglia di sbarramento al 5 per cento che, sulla carta, esclude molti partiti considerati minori. Ma, se un partito che arriva per ipotesi al 4,5 per cento e quindi sfiora la fatidica soglia del 5 per cento, come ce ne sono attualmente anche parecchi, teoricamente, quali Fratelli d'Italia, la sinistra cosiddetta radicale e il cosiddetto centro, non arrivasse a superare tale soglia di sbarramento e magari si fermasse a 4,5 o 4,2 o 4,6 per cento, significherebbe escludere sulla carta la rappresentanza a milioni e milioni di voti. Quindi, la rappresentanza, in questo caso, non è minimamente garantita. Inoltre, il testo unificato di legge elettorale presenta per l'ennesima volta problemi di incostituzionalità: ci risiamo per l'ennesima volta perché, per la fretta di arrivare alla sua approvazione, bisogna rifarsi ai collegi, al cosiddetto Mattarellum ovverosia ad un censimento del 1991, un censimento che è di circa oltre 25 anni fa. Il problema della incostituzionalità è già stato sollevato da parecchie persone. È un testo che non prevede il voto disgiunto, al contrario del sistema tedesco, ma prevede un'unica croce da barrare ed è pertanto un testo in base alla quale circa il 64 per cento dei parlamentari verrà eletto grazie ai cosiddetti listini bloccati. È poi un testo di legge elettorale che ovviamente non prevede il sistema delle preferenze. Io sono stato eletto in questo Parlamento per portare avanti una delle battaglie che mi sta più a cuore ovvero proprio quella delle preferenze. Ricordo un V-Day, il cosiddetto Vaffaday, del 2007 organizzato da Beppe Grillo che aveva proprio tra i punti fondamentali sui quali è nato il MoVimento 5 Stelle una proposta di legge di iniziativa popolare chiamata Parlamento pulito, che prevedeva “no” ai parlamentari condannati, prevedeva un limite massimo di due legislature e prevedeva l'elezione diretta, dicendo “no” ai parlamentari scelti dai segretari di partito: i candidati al Parlamento devono essere votati dai cittadini con la preferenza diretta. Non capisco il motivo di questo voltafaccia da parte del MoVimento 5 Stelle che, in Commissione, ha votato contro i vari emendamenti che intendevano introdurre il sistema delle preferenze. Non riesco proprio ad arrivarci. Non vedo l'ora di vedere il momento del voto finale perché mi girerò a guardare negli occhi i miei ex colleghi del MoVimento 5 Stelle per vedere se avranno il coraggio di votare il testo di legge elettorale e di andare contro gli 8 milioni di voti con cui sono stati eletti nel Parlamento proprio al grido di “Parlamento pulito”, al grido di “Vogliamo le preferenze” come affermava proprio una delle principali, se non la principale battaglia del MoVimento 5 Stelle. L'altra, che mi piace ricordare, era la diminuzione dei costi della politica ma, in quasi quattro anni e mezzo in Parlamento, come prima forza politica dell'opposizione, non sono neanche riusciti a fare calendarizzare una legge che prevedesse la diminuzione dei costi della politica, la riduzione delle indennità o la riduzione dei cosiddetti vitalizi.

Ci sono volute Le Iene, una trasmissione di Italia 1, per arrivare ad una calendarizzazione che, considerato che molto probabilmente si tornerà al voto a settembre o a ottobre, non verrà approvata. Quindi, mi domando il senso di questa forza politica qui in Parlamento, di cosa è riuscita a fare. Ripeto e concludo, il motivo della fretta nessuno lo dice chiaramente ma il grande patto che sta dietro questo testo di legge elettorale è l'immediato ritorno al voto. Quindi, mi permetto anch'io un augurio al Presidente del Consiglio, Gentiloni: stia sereno. Sarà divertente vedere quale sarà la scusa che riusciranno a trovare per arrivare ad una crisi di Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, La Russa, che è al banco del Comitato dei Nove.

IGNAZIO LA RUSSA, Relatore di minoranza. Anzitutto la ringrazio per avermi dato la parola al fine di poter svolgere una breve relazione in qualità di relatore di minoranza. Noi di Fratelli d'Italia siamo tra coloro che, da lungo tempo, da subito dopo, dall'indomani del referendum costituzionale, hanno chiesto di poter andare al voto per poter alla fine dare ai cittadini italiani la possibilità di scegliere un Governo perché sono numerosi ormai i Governi che si sono succeduti senza alcuna investitura popolare: non solo Gentiloni ma prima anche Renzi e Letta, una sequela di Governi costruiti, per carità, senza contravvenire ai dettati costituzionali ma in spregio alla volontà del popolo italiano che non si è potuto esprimere in alcun modo al riguardo. Abbiamo atteso inutilmente che, nei giorni immediatamente successivi al referendum, si avviasse il testo di legge elettorale. Alla fine, è stato avviato con la tipica accelerazione di chi vuole che, in poco tempo, si decida tutto così le decisioni sono meno approfondite e quindi a volte anche più facilmente vendibili per difetto di possibilità di ascolto da parte dell'opinione pubblica, ma non ci siamo opposti perché per noi rimane come primo obiettivo comunque quello di mandare gli italiani a dirci in quale direzione vogliono che vada l'Italia e il Governo dell'Italia. Quindi non abbiamo protestato, nonostante le evidenti storture, tant'è che ci astenemmo sulla bozza, il cosiddetto Rosatellum - dico bene, relatore? - proprio perché, benché pieno di elementi che non ci soddisfacevano, andava comunque in una direzione che avrebbe consentito un voto abbastanza veloce. In Commissione, sulle spalle dell'ottimo relatore Fiano, si è poi succeduta tutta una serie di rapidi, anzi direi repentini cambiamenti e siamo arrivati al testo che è stato licenziato per l'Aula. Perché parla quale relatore di minoranza? Perché nel testo la parte che salviamo e che ci piace è il fatto che si va a votare. Per il resto, a differenza di quanto ha scritto qualcuno, siamo del tutto indifferenti. Anzi, personalmente, ne sono quasi soddisfatto anche se capisco le ragioni non proprio nobili per cui è stato posto. Sono quasi soddisfatto della soglia al 5 per cento, anche se capisco che è una soglia estranea al sistema italiano e che forse è fatta per colpire gli scissionisti del PD, a sinistra, e di Forza Italia, al centro, in particolare Bersani, da un lato, e Alfano, dall'altro lato.

Noi, se qualcuno avesse pensato che ci si trovi su questa traiettoria di tiro, non abbiamo nessun problema e anzi - ripeto - la destra politica italiana ha sempre avuto una rappresentanza, anche nei momenti più difficili, superiore al 5 per cento. Ce l'ha adesso nei sondaggi, ma non c'è l'ha nel dato parlamentare, perché è rappresentata da Fratelli d'Italia che, con un clamoroso successo, in quaranta giorni - tanti ne trascorsero dalla sua nascita alle elezioni di quattro anni e mezzo fa - riuscì a entrare in Parlamento e a costituire un gruppo parlamentare.

Quindi, da questo punto di vista non avrei fatto il relatore di minoranza e anzi personalmente - ma sono convinto che è la posizione di tutto il mio partito - questa soglia del 5 per cento forse è ingiusta per il quadro politico italiano ma non ci crea difficoltà. Cos'è che ci crea difficoltà? Perché chiamiamo, come ha detto Giorgia Meloni, questa legge “Inciucellum”? È il nome, visto che ormai va il latino e chissà perché le leggi elettorali devono avere la desinenza in “um”, allora “Inciucellum”. Lo chiamiamo “Inciucellum” (lo ripeto: “Inciucellum”). Perché “Inciucellum”, che poi è la ragione per cui non ci piace? Perché questa nuova maggioranza in Commissione - per carità; vedremo in Aula - che si è creata attorno a questa proposta di legge elettorale - ci dicono una maggioranza solo tecnica e me lo auguro, ma non ne sono certo per almeno due dei quattro partiti che hanno dato vita a questa maggioranza in Commissione - ha in qualche modo accettato che ai cittadini elettori venisse tolto ogni reale potere decisionale, sia prima sia dopo il momento elettorale.

Perché prima? Perché evidentemente sia il sistema rigidamente proporzionale… noi abbiamo proposto, con un emendamento, una parte maggioritaria e una parte proporzionale. Poteva anche essere invertita la vecchia proporzione del 25 e del 75 e poteva anche essere solo il 25 maggioritario, ma avrebbe consentito il crearsi di aggregazioni e coalizioni che avrebbero dato all'elettore l'indicazione su chi poter votare per assicurarsi la possibilità di un Governo. Una parte veramente maggioritaria avrebbe significato la certezza che sulla scheda si trovasse un'indicazione da scegliere tra quelli che vogliono governare. Invece, il dato interamente proporzionale rende, da un lato, quasi patetica l'indicazione dei 225 collegi, dove sembra che forse vincerà il primo ma non sempre vincerà perché la particolarità a cui non si è potuto porre rimedio è che ci può essere, ad esempio, Fiano che vince con l'80 per cento nel suo collegio ma il PD, essendo presi da improvvisa saggezza gli italiani, non raggiunge il 5 per cento. In quel caso Fiano non sarebbe eletto, nonostante l'85 per cento nel suo collegio, se il PD non arriva al 5 per cento nazionale. Capite che questa non è solo una stranezza di questa norma ma è ai limiti della incostituzionalità, che non sta a me decidere.

Quindi, si tratta, tra questi collegi ancora un po' da definire e soprattutto nella parte proporzionale, essendo rimasti completamente bloccati i nomi scelti dai partiti, di perpetuare un Porcellum ancora più arzigogolato e peggiore di quello che era in precedenza che, se non altro, chiariva che venivano eletti in ordine progressivo e si capiva che, se votavo quel partito, il primo ad essere eletto era Meloni, Berlusconi o Renzi. Qui non si capisce neanche bene; c'è solo da mettere una croce su un partito e poi dopo ci spiegheranno chi è stato eletto e chi non è stato eletto. Quindi, a nostro avviso, l'Inciucellum non consente ai cittadini di scegliere i propri parlamentari.

Ancor meno - ed è questa la critica ancora più grave - consente, passate le elezioni, ai cittadini di poter sapere chi governerà e, quindi, non consente loro, nel momento in cui votano, di dare vere e concrete indicazioni su chi fare governare, perché è di tutta evidenza che un sistema proporzionale in Germania - dove peraltro è metà e metà e non è tutto proporzionale - o in altri Paesi dove la cultura politica ha prodotto due o tre partiti questo ha un significato; in Italia si sa che anche con il 5 per cento alla fine la presenza sarà assai più ampia e, quindi, le alleanze le faranno le segreterie dei partiti all'indomani delle elezioni, anche in assoluto spregio del voto popolare.

Sto quasi in silenzio perché non riesco a esprimere un'opinione concreta sul MoVimento 5 Stelle. Aveva detto, come noi, che voleva le preferenze, che non ci sono - ed è il motivo principale della nostra contrarietà - e aveva detto che voleva un altro tipo di legge. Invece, si è accodato perché, esattamente come a Genova, ha scoperto le carte: è Grillo che vuole scegliere i candidati uno per uno e, laddove li ha scelti la rete, lui li ha cambiati. Qui la rete non potrà nemmeno dire niente; li sceglie Grillo, e chi s'è visto s'è visto.

Fratelli d'Italia, pur apprezzando il lavoro in Commissione, pur ringraziando l'ottimo lavoro del relatore, voterà contro, salvo che non vi siano profondi cambiamenti in Aula su questa proposta di legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, Stefano Quaranta.

STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza. Grazie, gentile signora Presidente. Io ho ascoltato con attenzione la relazione di Fiano, il relatore per la maggioranza, e non c'è dubbio che le leggi elettorali potenzialmente hanno sempre pregi e difetti. E, tuttavia, se sono meditate e coerenti e, soprattutto, se durano nel tempo contribuiscono a creare un rapporto virtuoso tra cittadini e istituzioni e anche a dare forma a quel sistema politico previsto dall'articolo 49 della Costituzione che determina la partecipazione dei cittadini. Ora di questo si tratta, parlando di questa legge elettorale? Di un esercizio virtuoso fatto tra partiti politici che, in maniera disinteressata, hanno provato a ragionare sul bene del Paese? Signora Presidente, a me pare questo l'ennesimo capitolo dell'epopea dell'uomo del fare, Matteo Renzi, che, avendo fallito nell'economia, nel lavoro e nella scuola, ad un certo punto, ha iniziato a dedicarsi alle riforme istituzionali o elettorali, facendole diventare il centro della sua azione politica.

Dopo aver letto questa proposta di riforma e avendo in testa il referendum costituzionale, la proposta di riforma costituzionale e l'Italicum, la legge elettorale votata da questo Parlamento, ho un po' come la sensazione - e non so se le è mai capitato - di ritrovare quei vecchi compagni di scuola che li rivedi dopo anni ma sono sempre uguali a loro stessi, cioè non modificano mai i loro difetti di approccio alle cose. La sconfitta referendaria del 4 dicembre avrebbe dovuto insegnare alcune cose. È stata la fine dell'idea della democrazia del capo dove, insieme alla democrazia del capo, dovevano tornarsene a casa anche i nominati rispetto agli eletti direttamente dai cittadini. Poi, con l'Italicum - e anche qui pensavamo di aver cambiato finalmente pagina - dichiarato incostituzionale…

PRESIDENTE. Scusate, potete abbassare il tono della voce? Grazie.

STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza. …arriviamo finalmente a quest'ultima perla.

Io mi chiedo, appunto, cosa ha determinato questa proposta di legge elettorale? Potrei fare mie tranquillamente le parole di un grande sostenitore di Matteo Renzi, cioè Walter Veltroni, ex segretario del PD, che dice: “Siamo passati dalla posizione più maggioritaria, l'Italicum, al proporzionale attraverso Mattarellum, Provincellum e Rosatellum senza alcuna riflessione né sul sistema politico né su cosa serve all'Italia”. E Veltroni appunto - e non io - sostiene che tutto questo è frutto di uno scambio con Silvio Berlusconi.

Allora, questa proposta di legge corrisponde a un interesse del Paese o ad alcuni interessi particolari? Proviamo a vedere le posizioni in campo, perché l'interesse di Berlusconi è chiaro. Io penso che, ancora una volta, si sia dimostrato il più abile e il più furbo nel gestire questa partita politica.

Avrà una legge elettorale che lo tiene ancora a galla, mentre le sue posizioni politiche erano oggettivamente di difficoltà. Ha stretto, diciamo, un accordo prematrimoniale per la prossima legislatura con Matteo Renzi, e, probabilmente, ora si metteranno intorno ad un tavolo e, dalla vicenda Rai a molte altre, si metteranno d'accordo su come procedere. L'interesse di Renzi è chiaro, forse un po' meno quello del suo partito, perché è piuttosto originale che un partito che potrebbe governare ancora per otto mesi, avendo una maggioranza piuttosto forte, e certamente più forte di quella che avrà nella prossima legislatura, abbia deciso di mettere da parte una serie di leggi che potevano essere approvate, e, in nome di questa rivincita che il segretario Matteo Renzi deve prendere con se stesso – quindi, anche qui il Paese non c'entra nulla -, ha deciso di fare lo scambio: legge elettorale pro Berlusconi, elezioni anticipate per me.

In tutto questo il Paese non esiste, ovviamente, e questa rivincita, poi, non si capisce bene contro chi sia: se contro l'attuale Presidente del Consiglio, espressione del suo partito, contro le forze che stanno alla sua sinistra, se è una rivincita rispetto al fatto che forse persino alcune leggi che potrebbero essere approvate, in realtà, non andrebbero così lisce nemmeno per quell'elettorato che Renzi prefigura di avere alle prossime elezioni. E, allora, dopo avere fatto fuori Letta, faremo fuori Gentiloni, farà fuori Gentiloni; eppure, appunto, ci sarebbero state cose importanti da fare, eppure abbiamo delle scadenze finanziarie importanti, eppure i rischi della speculazione sono dietro l'angolo, eppure, fino a poco tempo fa, il mantra della stabilità era quello che governava i lavori di questo Parlamento, anche quando, forse allora sì, sarebbe stato opportuno tornare al voto, dopo che la Corte costituzionale aveva giudicato illegittima questa legge elettorale che ci ha fatto diventare deputati e senatori.

Ora, l'Italia è già in una situazione un po' particolare: negli ultimi 150 anni siamo il Paese dell'Europa occidentale che ha sperimentato più formule elettorali, addirittura 12. In questo caso, forse, se ci fossimo approcciati a questo tema con la giusta prudenza, cercando di elaborare una legge che possa durare finalmente nel tempo, svincolata da convenienze contingenti di questo o di quel partito, che poi, spesso, durano lo spazio di una brevissima stagione, avremmo fatto, forse, un migliore servizio al Paese. Allora, a cosa siamo di fronte? Entriamo nel merito: siamo di fronte a una sorta di sistema tedesco applicato in maniera maldestra, perché non prevede una serie di cose che sono fondamentali per dare una coerenza a questo sistema, che sono il numero variabile di eletti, il doppio voto, la sfiducia costruttiva, soggetti politici degni di questo nome, che, in questo momento, in Italia non esistono, perché siamo di fronte a grandi o piccoli comitati elettorali nelle mani di un capo, mentre in altri Paesi dove c'è il sistema proporzionale, il sistema politico e i soggetti della politica devono essere seri e devono funzionare. E, poi, siamo di fronte ad una truffa evidente dei cittadini, perché, parliamoci chiaro, io leggo anche i giornali e a volte non capisco. Ora sembra che l'avere spostato l'elezione del primo sulla parte uninominale rispetto, invece, alla parte della lista abbia cambiato clamorosamente il quadro.

Non è affatto così, perché, parliamoci chiaro, con questa legge si vota il simbolo, il simbolo si sceglie. Se fossero state da scegliere le persone, nei sistemi maggioritari si consentivano le alleanze, ovviamente si consentiva di farlo in collegi piccoli a misura di cittadino, perché davvero ci fosse il rapporto diretto. Nei sistemi proporzionali, come, appunto, in Germania, da un lato ci sarebbe stato il doppio voto, perché io devo essere libero di scegliere il mio partito, ma anche libero di scegliere la migliore offerta tra le persone che ci sono nel mio collegio, ed è talmente smaccato il fatto che c'è il totale disinteresse per la scelta della persona che, appunto, si può anche vincere in un collegio, ma, se il proprio partito non arriva al 5 per cento, chi ha vinto, magari anche con un grande consenso, non sarà eletto.

Quindi, non c'entra niente il rapporto con le persone; siamo, di fatto, a due voti bloccati. Solo che, siccome è diversa la dimensione della circoscrizione e del collegio, perché una, appunto, è una circoscrizione, l'altro è un collegio, da una parte abbiamo un candidato e dall'altra parte ne avremo da due a sei, ma si tratta di elezioni bloccate. Quindi, nulla di tutto quello che è stato promesso in tutti questi anni.

Se poi a tutto questo aggiungiamo la chicca della possibile incostituzionalità, che non è solo legata alla cosa che sosteneva il relatore di minoranza La Russa e alla cosa che ho richiamato poc'anzi, cioè di un eletto, di un votato, che poi non è eletto nel collegio, ma è anche legata al fatto che i collegi che sono stati disegnati sono stati definiti nel 1993, e sappiamo benissimo che gli articoli 56 e 57 della Costituzione richiamano l'ultimo censimento. Quindi, qui siamo a grave rischio di incostituzionalità di questa legge. Allora, parliamoci chiaro: siamo passati dalla fede assoluta nel sistema bipolare, nell'alternanza, nel sapere chi ha vinto la sera delle elezioni, che, peraltro, è una roba incompatibile con qualsiasi sistema parlamentare, ma, cosa vogliamo, la cultura giuridica spesso non sta da queste parti, e, senza colpo ferire, siamo passati ad un sistema che è completamente diverso.

Ora, anche qui faccio un accenno finale, e ho concluso, all'intervista di Walter Veltroni: Walter Veltroni dice - questo un po' l'avevamo capito - che Renzi non ama tanto i consigli; per la verità, non ama nemmeno le persone che ragionano con la loro testa, dice Walter Veltroni. Ecco, forse non è nemmeno l'unico dei leader che hanno stretto il patto che ci porta questa legge elettorale, ne conosciamo anche altri, ad esempio il richiamato Beppe Grillo, che ha scelto questo sistema per poter nominare tutti gli adepti della Casaleggioand Company. Lo abbiamo visto a Genova, succederà anche, a questo punto, a livello nazionale. Bene, però, siccome siamo persone serie e continuiamo a sostenere posizioni di principio, concludo dicendo che a noi questa legge non va bene fondamentalmente per due ragioni: perché questo modello deve prevedere il voto disgiunto tra uninominale e liste bloccate e perché per noi le liste bloccate non esistono e vogliamo che ci sia un voto di preferenza, in modo che i cittadini possano scegliere, altrimenti questo è davvero il peggiore degli inciuci, in cui il Paese non esiste ed esistono solo pochi interessi di parte (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritto a parlare il deputato Richetti. Ne ha facoltà.

MATTEO RICHETTI. Grazie, Presidente. Intervengo in discussione sulle linee generali perché ritengo fondamentale sottolineare il momento che attraversa questo Parlamento. In quest'Aula, in una legislatura complicata, ma non priva di motivazioni e di provvedimenti importanti, più volte si è ricordato, quasi con nostalgia, quando c'era la capacità, dalla Costituente ai giorni nostri, di avere forze politiche che trovassero un terreno d'intesa, che si sapessero ascoltare, che trovassero sintesi condivise, e molto spesso, quando quest'Aula ha conosciuto momenti di tensione, un'approvazione di una proposta di riforma della Costituzione avvenuta a maggioranza e con un pezzo di Aula che mancava, una legge elettorale in prima battuta approvata, poi, con l'iter che ha ricordato il relatore Fiano, con il voto di fiducia del Governo, tutti momenti che hanno provocato tra maggioranza e opposizione una dialettica che ha richiamato la maggioranza all'idea che le regole si fanno in maniera condivisa, che si scrivono insieme e che si cerca un terreno di incontro.

Almeno questo, almeno questo, da qui in avanti riconosciamocelo, perché non si può nostalgicamente ricordare l'autorevolezza di un Parlamento e di un'Assemblea che ha saputo trovare sintesi e non riconoscerla nel lavoro di oggi. I primi che hanno pagato con consapevolezza e responsabilità questo prezzo siamo noi del Partito Democratico. Non c'è cosa più chiara a quest'Aula, agli organismi di questa istituzione, comprese le Commissioni, finanche agli italiani, che una proposta il Partito Democratico ce l'aveva in maniera chiara, l'ha pure depositata e ha pure ribadito, con tutta la voce che ha avuto e in tutte le sedi, che l'impianto maggioritario, con correzioni, modifiche, integrazioni, modalità condivise di approvazione, era la nostra proposta.

A onor del vero, il solo gruppo parlamentare della Lega Nord è stato disponibile a questo lavoro - a onore del vero! -, e legittimamente anche rispetto a chi quella proposta non l'ha accettata e non ha nemmeno deciso di lavorare su quel terreno. Perché, ahinoi, le conseguenze del voto del 4 dicembre - io non voglio in nessun modo portare in quest'Aula un dibattito squisitamente della politica - sono riconosciute anche da chi ha sostenuto legittimamente il fronte del no, cioè la necessità di una legge elettorale condivisa che fotografi la forza, l'autorevolezza e la credibilità delle forze politiche, la loro capacità di rappresentanza, per poi dare vita, secondo la forma di democrazia parlamentare, ad un Governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento.

C'è un punto su cui il Partito Democratico ha detto “mai e poi mai su questo si arretra”, cioè l'idea che anche un impianto proporzionale vive della rinata, resuscitata relazione tra eletto ed elettore. Ci siamo detti: vuole la maggioranza del Parlamento un impianto proporzionale? Non rinunceremo mai e non torneremo mai all'idea delle liste bloccate, del candidato scelto dal segretario, dalla lealtà rispetto alla fedeltà. Almeno questo chiederei ai colleghi, che tra l'altro stimo profondamente per la loro preparazione e competenza, di non trattare differentemente quando il sottoscritto si candida e vince nel collegio del Mattarellum, ed è un eroe libero e forte, se invece il sottoscritto si candida nel collegio con questo sistema elettorale, vince e viene eletto, è schiavo del padrone. Non può funzionare così, non può funzionare così.

Voglio dirlo anche agli autorevoli opinionisti che legittimamente, io li ringrazio, seguono i lavori di questo Parlamento, di questa Istituzione, e della Commissione, quando già oggi dettagliano il numero degli eletti, le percentuali di coloro che arriveranno dai cosiddetti listini plurinominali. Beati loro, che lo sanno! Se, oltre a fare le previsioni, perdessero tempo a leggere la legge elettorale, scoprirebbero che, in realtà, non solo tutti i vincitori dei collegi, ma pure un sistema di ripescaggio che va a premiare chi si è misurato sul territorio, ha preso il consenso e costruito una relazione ed entra in Parlamento nel momento in cui il listino plurinominale, molto corto e limitato - ce l'ha ricordato il relatore Fiano -, ha assorbito la sua funzione e torna a distribuire rispetto agli eletti nei collegi. Questa non è una tecnicalità, significa che entrerà in quest'Aula qualcheduno che non porta le istanze del capo, perché avrà chiesto i voti per risultare migliore del collegio a fianco e del collegio a fianco e del collegio a fianco ancora. Ha un valore oppure no? C'è un dato di realtà che ci deve portare, legittimamente, anche a dissentire, ad avere altre proposte, altre idee, ma a questo siamo arrivati. Siamo arrivati ad una legge elettorale che in minima parte porta i famosi listini plurinominali.

Io devo ringraziare, Presidente, non solo per il lavoro sin qui fatto, che poi è ancora lungo - c'è il lavoro dell'Aula -, i deputati della Commissione e, in particolar modo, il relatore Fiano, che si è caricato di un lavoro di sintesi enorme, straordinario. Non è detto che debba essere condiviso, ma questo è.

Mi faccia dire anche, perché siamo in un dibattito che coinvolge questa legislatura, la durata della legislatura, il Governo. Io, Presidente, la voglio ringraziare per le parole che ha usato e che ho letto anche in questi minuti e ore: non c'è nessun automatismo con il voto anticipato rispetto al lavoro che sta facendo quest'Aula. Non sappiamo più in che lingua dirlo, è una prerogativa che non appartiene al Parlamento, alla Camera dei deputati, siamo impegnati a fare un altro tipo di lavoro, perché la legislatura - se qualcheduno non se n'è accorto, ci aiuti anche lei a comunicarlo, Presidente - sta finendo a prescindere e rischiavamo di consegnare ad una forma molto inopportuna, molto, mi faccia dire, fuori dalle argomentazioni costituzionali, la necessità di armonizzare e di intervenire in una situazione, in cui ci troviamo, di leggi elettorali disomogenee. Lo voglio anche dire, concludendo, Presidente, con una constatazione tutta politica, perché non possono essere indifferenti ad un legislatore alla sua prima legislatura, forse anche l'ultima, che ha un percorso politico molto modesto alle spalle, i richiami di chi ha calcato quest'Aula, di chi si è onorato di un impegno a servizio delle istituzioni, i richiami circa una legge che fa fare un passo indietro al Paese, al sistema politico. Non possono essere ignorati e presi alla leggera. C'è però un punto di fondo: la politica vive di strade agibili, percorribili, di intese che danno un punto di caduta; politica e realtà vanno sempre a braccetto. Io sicuramente non sono all'altezza di chi mi ha preceduto su questi banchi, ma sono orgoglioso di lasciare al mio Paese una legge elettorale migliore di quella che mi ha eletto, che ha eletto me, orgoglio che i miei padri, che valgono molto più di me, non possono vantare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elena Centemero. Ne ha facoltà.

ELENA CENTEMERO. Signora Presidente, onorevoli deputate, onorevoli deputati, oggi stiamo discutendo del testo sulla legge elettorale che la I Commissione ha approvato in questi giorni in un clima fattivo e costruttivo, nello scorcio finale di questa legislatura. Si tratta di un atto di responsabilità, di responsabilità di Forza Italia, di responsabilità del Presidente Berlusconi, e di un atto di condivisione, come il Presidente della Repubblica, Mattarella, ha auspicato. Questo è il primo dato politico.

Un secondo dato politico è la rappresentanza, la possibilità che le elettrici e gli elettori scelgano le loro rappresentanti e i loro rappresentanti anche grazie alle norme antidiscriminatorie, che riguardano allo stesso modo le donne e gli uomini. Le raccomandazioni del Consiglio d'Europa, in cui mi onoro di presiedere la Commissione eguaglianza e non discriminazione, evidenziano che la rappresentazione delle donne e degli uomini nella vita politica è ancora ampiamente disproporzionata e questo per diversi fattori, politici, sociali economici, culturali. La Commissione di Venezia, sempre del Consiglio d'Europa, nelle sue linee guida, le ultime, ha sottolineato che il piccolo numero di donne in politica rimane un fattore critico e mina il pieno funzionamento dei processi democratici. Per quello, il Consiglio d'Europa ha indicato degli standard internazionali minimi, ponendo delle soglie di rappresentanza al 40 per cento e poi al 50 per cento. Voglio anche sottolineare che l'ultima sentenza della Corte costituzionale, quella del 2017, ha mantenuto intatte le norme antidiscriminatorie presenti nell'Italicum, quindi l'alternanza nelle liste, il 40-60 per cento dei capilista a livello nazionale.

Ecco, il testo della Commissione, che abbiamo licenziato, va esattamente in questa direzione. Quindi, è conforme alla sentenza della Corte costituzionale e, dunque, costituzionale. Le norme antidiscriminatorie in questa legge sono appunto l'alternanza nelle liste, il 40-60 per cento nei collegi uninominali e nei capilista e riguardano, appunto, donne e uomini.

Cosa c'è dietro questo? C'è la società italiana, di cui la politica e le istituzioni devono essere la rappresentazione più vicina possibile. Nella vita quotidiana le donne e gli uomini condividono le scelte e le responsabilità, lo fanno nelle famiglie, lo fanno come genitori, lo fanno nelle imprese e nel mondo del lavoro. Le norme antidiscriminatorie permettono proprio la condivisione, anche nella sfera pubblica, anche nelle istituzioni, delle responsabilità. Ovviamente bisogna determinare le priorità e quindi condividere le responsabilità.

Nella prossima legislatura noi dovremo condividere responsabilità politiche importanti, innanzitutto quella di dare alle giovani e ai giovani un lavoro, un'educazione di qualità, di superare il divario salariale, di aiutare le fragilità e di affrontare la povertà. Quindi, dobbiamo condividere, donne e uomini di questo Paese, le responsabilità, per dare delle risposte, e le norme antidiscriminatorie vanno in questa direzione.

Le norme antidiscriminazione sono parte del patto politico tra i partiti, patto politico che ha portato a scrivere insieme le norme di questa legge elettorale e servono proprio a questo, servono a condividere responsabilità nella sfera pubblica, nelle istituzioni, tra le donne e gli uomini di questo Paese.

Permettetemi di concludere con una breve riflessione. Già tante volte, all'interno di quest'Aula, abbiamo assistito alla richiesta del voto segreto su emendamenti volti ad eliminare le norme antidiscriminatorie. Reputo - e lo dico a tutti i deputati e a tutte le deputate presenti e anche alle forze politiche - che davvero sarebbe un problema politico, se anche questa volta ci trovassimo di fronte ad un voto segreto sulle norme antidiscriminatorie. Sarebbe un problema politico, perché questo è inserito all'interno di un patto, ma sarebbe soprattutto un problema di trasparenza. Io credo che nessuno degli emendamenti che saranno presentati alla legge elettorale possa essere, e debba essere, sottoposto al voto segreto.

Noi abbiamo la responsabilità di essere trasparenti, soprattutto sulle regole con cui noi sceglieremo, le nostre elettrici e i nostri elettori sceglieranno, i loro rappresentanti; c'è, quindi, un problema molto forte di trasparenza. E, quindi, se ci fosse qualcuno che avesse intenzione di chiedere un voto segreto sulle norme antidiscriminatorie, io credo che debba avere il coraggio di affrontare a viso aperto il tema delle norme antidiscriminatorie, senza nascondersi nel voto segreto, affrontando con responsabilità la propria scelta, davanti alle donne del nostro Paese, le donne che mandano avanti l'economia, le famiglie, e che sono degne di partecipare e di prendere parte alla vita politica del loro Paese, esattamente come chi chiederà, se dovesse accadere, il voto segreto. Io credo che questo sia un atto di grande responsabilità, rispetto a cui ciascuno di noi si porrà con la propria scelta di fronte al Paese, di fronte alle donne e agli uomini di questo Paese. Donne e uomini possono, anzi, devono avere le stesse possibilità di contribuire a cambiare l'Italia attraverso le istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. La ringrazio, deputata Centemero, per aver sollevato questo tema.

È iscritto a parlare il deputato Giovanni Monchiero. Ne ha facoltà.

Oggi abbiamo qualche problema con i microfoni…

GIOVANNI MONCHIERO. È solo questione di tempo, il microfono non ha fretta. Grazie, Presidente. Questa legislatura è stata segnata da molte anomalie, non ultima il dibattito continuo sulla legge elettorale. Voglio ricordare che il risultato di stallo uscito dalle urne nel febbraio 2013 mise immediatamente in discussione il cosiddetto Porcellum, legge universalmente criticata per aver introdotto un sistema elettorale che impedisce ai cittadini di scegliere gli eletti e produce, quindi, un Parlamento di nominati, soluzione - come hanno già ricordato alcuni colleghi intervenuti prima - ovviamente cara alle segreterie di partiti e movimenti, poiché consente di esercitare un controllo ferreo sui singoli parlamentari. Abbiamo iniziato questa legislatura apostrofati, sui media e anche in quest'Aula si è abusato di questa definizione, come “nominati”; nella prossima aumenterà, probabilmente, il numero delle nominate, ma questo non toglierà nulla al problema che stiamo oggi evidenziando, e la concludiamo approvando una nuova legge elettorale che, secondo alcuni calcoli di qualche esperto, prevede che due terzi dei parlamentari vengano eletti in listini bloccati, che, come cambiamento, francamente, insomma, lascia un po' a desiderare.

Non era questo tuttavia l'unico scopo del Porcellum, con il Porcellum, con diabolica astuzia, il suo ideatore, e guarda caso anche suo denominatore, aveva costruito un sistema in grado di produrre maggioranze diverse fra Camera e Senato; a meno di risultati clamorosamente favorevoli ad una parte, al Senato l'assegnazione del premio di maggioranza su base regionale avrebbe sempre reso vicinissimo il numero dei seggi del centrodestra e del centrosinistra, esponendo il Governo al rischio perpetuo di ribaltoni più o meno pilotati. Caso più unico che raro di un sistema maggioritario pensato per ottenere l'ingovernabilità. Ma, in Italia, dove non arriva la politica giunge spesso la giurisdizione, a sgombrare il campo dal Porcellum ci pensò la Corte costituzionale che, a fine 2013, ne dichiarò l'incostituzionalità sotto diversi profili, non ultimo proprio la mancata previsione del voto di preferenza. Quando, sull'onda del successo alle europee, Matteo Renzi divenne Presidente del Consiglio, subito mise in agenda la riforma della legge elettorale; nacque così l'Italicum, esempio di norma se non ad personam certo “ad partitum” che in un sistema apparentemente proporzionale inseriva un cospicuo premio di maggioranza a favore non più della coalizione, ma del partito che superasse il 40 per cento dei suffragi o, in caso contrario, che si aggiudicasse il ballottaggio fra i due partiti maggiori. Nel volgere di pochi mesi il 40 per cento divenne un miraggio e la solita Corte costituzionale cancellò il superballottaggio riducendo l'Italicum ad un proporzionale qualsiasi.

Da allora, di legge elettorale non si parlò più, fino al 4 dicembre. Il referendum respinge la riforma della Costituzione e innesca, inevitabilmente, la crisi di Governo. Nel contesto brevissimo delle consultazioni molti gruppi, fra cui il nostro, sottolinearono l'esigenza di approvare una legge elettorale seria, non tarata sulle convenienze del momento, ma destinata a durare nel tempo. Se fossimo qui a discutere, nel merito, di legge elettorale dovremmo, innanzitutto, approfondire i pro e i contro del sistema proporzionale e di quello maggioritario. Personalmente, propendo per il primo che privilegia le ragioni della rappresentanza rispetto al secondo, finalizzato a garantire la governabilità. Venticinque anni di maggioritario, più o meno forzoso, stanno a dimostrare che non basta vincere le elezioni per governare a lungo e bene, tuttavia, comprendo le ragioni di chi ritiene di insistere ancora su sistemi finalizzati a costruire maggioranze più solide di quelle che uscirebbero dalle urne, che non è comunque il caso della legge in questione, come vedremo dopo e, ovviamente, anche nel dibattito in Aula.

A favore dei sistemi proporzionali c'è il principio che è alla base della democrazia: i cittadini sono uguali, ognuno conta per uno, specie al momento del voto. Su questo tema proporrei alla riflessione dell'Assemblea i dati relativi alle ultime elezioni, con i seggi assegnati con il famoso Porcellum. Il premio di maggioranza dell'epoca era ritenuto dall'opinione pubblica, persino, come minimo e, tuttavia, provocava questo effetto distorsivo: alla Camera il PD ottenne un seggio ogni 29.500 voti, gli altri partiti uno ogni 80 mila. Al Senato, il riparto regionale favorì il centrodestra con un seggio ogni 81 mila voti, mentre al centrosinistra ne occorsero 85 mila, penalizzati furono il MoVimento 5 Stelle, 135 mila voti per seggio, e il gruppo dei Montiani, cui occorsero 150 mila voti, quindi, il doppio rispetto agli altri partiti. Cito questi dati, su cui non mi pare si sia adeguatamente riflettuto, solo per ribadire che anche il più blando dei sistemi maggioritari altera, inevitabilmente, il peso dei voti e in un Paese come il nostro, tradizionalmente portato alla frammentazione culturale e politica, costituisce un artificio non sempre sufficiente a garantire la governabilità, che con la legge oggi in esame appare più a rischio che con qualsiasi altra soluzione.

La legge, oggi, in esame è caratterizzata dall'auspicio di ridurre sostanzialmente a quattro gruppi l'articolazione di questa Camera. Se questo auspicio fosse assecondato dagli elettori, cosa che evidentemente, a mia volta, non auspico, questo renderebbe molto difficile qualsiasi ipotesi di grande coalizione, anzi qualsiasi ipotesi di Governo.

Di queste cose si dovrebbe parlare nella discussione generale sulla proposta della nuova legge elettorale, io sono invece costretto a utilizzare il tempo che mi rimane per ripercorrere le vicende degli ultimi mesi, perché sono vicende per certi versi istruttive. Eravamo rimasti al 4 dicembre, alla nascita del Governo Gentiloni, il tema della legge elettorale rimane in primo piano, anche se il Governo, giustamente, si chiama fuori. La legge viene incardinata in I Commissione, a inizio febbraio, con un indispensabile ciclo di audizioni, si inizia una discussione infruttuosa che non porta ad alcuna proposta concreta, sino alla calendarizzazione per l'Aula. La discussione generale viene fissata per il giorno 29 maggio, con l'esame in Aula del provvedimento a giugno. Il mese di maggio però si perde in un inutile balletto, o almeno si perde in gran parte in un inutile balletto; in mancanza di proposte concrete il presidente della Commissione, all'epoca relatore incaricato, propone di attualizzare l'Italicum, così come uscito dalla sentenza della Corte costituzionale. All'ultimo minuto, però, il PD, partito di maggioranza relativa, presenta una propria proposta che viene ribattezzata “Rosatellum”, dal nome del capogruppo alla Camera, ma che, insomma, è costituita da un sistema misto, metà maggioritario e metà proporzionale. L'onorevole Mazziotti rinuncia, ovviamente, a fare il relatore e viene nominato relatore Fiano.

Qui, c'era tutto il tempo, naturalmente, per approfondire questo tipo di proposta, ma la Conferenza dei capigruppo, prendendo atto che, comunque si trattava di esaminare un provvedimento sostanzialmente nuovo, un modello sostanzialmente nuovo, sposta a giugno l'inizio della discussione, mantenendo, però, con consenso unanime, le regole che ci sarebbero state se l'inizio della discussione fosse avvenuta il 29 maggio, quindi con il famoso contingentamento di tempi e gli emendamenti.

Accade però che, in una successiva seduta della capigruppo, si ridiscuta la situazione, in quanto viene preannunciato sui giornali un nuovo testo, il cosiddetto proporzionale alla tedesca, sensibilmente diverso da quello in quel momento in esame. Il testo, al momento della capigruppo del 31 maggio, non era ancora noto. In conseguenza di questo incontro, poi, per un bonario accordo fra i gruppi, il termine per l'inizio della discussione passa dal 5 al 6 giugno, oggi. Ecco, io credo che questa fretta sia distruttiva.

Non voglio neanche entrare nel merito del sistema tedesco, che, onestamente, qualcuno di noi aveva anche proposto, più o meno, tale e quale, compreso il famoso sbarramento al 5 per cento. Personalmente, avevo presentato una proposta abbastanza simile, con uno sbarramento al 4, quindi lo spostamento dal 4 al 5 non mi scandalizza per nulla.

Quello che, invece, mi scandalizza - e che volevo esprimere qui, oggi, in questa occasione, ripeto, perché nel merito delle singole norme si entrerà in sede di discussione sugli emendamenti - è questo eccesso di fretta. Una legge elettorale destinata a durare nel tempo merita di essere scritta e limata; non è pensabile, signora Presidente, non è pensabile, cari colleghi, che ieri sia stata presentata in Commissione la formula dei collegi del Senato: ieri a quest'ora!

Ora, la questione dei collegi è già una questione pericolosa, se è risolta in quest'Aula, perché è un problema prevalentemente tecnico: si tratta di adattare la suddivisione dei collegi - i famosi 630 parlamentari da eleggere - alle mutate condizioni demografiche del Paese. Fare riferimento a collegi disegnati sulla base di un censimento di ventisei anni fa è, intanto, a mio umile parere, illegittimo sul piano formale, ma è anche un errore sul piano sostanziale. Quindi, almeno questo aspetto meriterebbe sul serio di essere approfondito e - ed è quello che voglio denunciare in questo momento - rende distruttiva e devastante questa fretta del tutto immotivata.

Delegare il Governo - come si è sempre fatto e come prevede anche questa legge, salvo l'eccezione che appunto contestiamo - a ridefinire i collegi, fissando un termine congruo, congruo anche in previsione di elezioni politiche in autunno, è ovvio che, se la maggioranza del Parlamento ritiene utile andare ad elezioni in autunno, si debba votare in autunno, ma il Governo avrà tutto il tempo di ridisegnare i collegi senza pensare che lo possa fare un relatore, pure stimabilissimo - e noi rinnoviamo la nostra stima al collega Fiano - in una notte molto pensosa, a questo punto, perché esaminare in una notte tutte le modifiche avvenute sul piano demografico credo sia stata un'impresa veramente titanica.

Penso, invece, che ci siano molti dettagli errati in questa norma e in Aula, ovviamente, cercheremo di correggerli. Io concludo - senza entrare nel merito di molte questioni di dettaglio, sulle quali, magari, si soffermerà successivamente qualche altro mio collega - limitandomi a dire che non è sufficiente che una legge sia condivisa per essere una buona legge. Il fatto che sia condivisa è una condizione che considero necessaria, il fatto che sia condivisa dalla stragrande maggioranza di questo Parlamento sarebbe una base di partenza, a mio parere, assolutamente positiva. Però, proprio perché sostenuta da una base così ampia, questa base avrebbe dovuto avere il buon gusto e il senso democratico di consentire una discussione tecnica più ampia, in modo che tutti potessero esprimere con maggiore contezza la propria visione e, soprattutto, in modo da evitare errori che, mai come in questo caso, sarebbe sacrosanto evitare.

PRESIDENTE. A questo punto, direi di sospendere la discussione sulle linee generali, che, quindi, riprenderà intorno alle ore 14,30.

La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 14,30.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente novantaquattro come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 2352-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del testo unificato delle proposte di legge recante: Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché delega al Governo per la rideterminazione dei collegi elettorali uninominali.

È iscritto a parlare il deputato Dore Misuraca. Non è in aula.

È iscritto a parlare il deputato Zanetti. Ne ha facoltà.

ENRICO ZANETTI. Grazie, Presidente. Il nostro gruppo non ha votato il mandato al relatore su questo testo di legge elettorale e chiaramente si aspetta che possa esserci dal dibattito in Aula una serie di aperture a miglioramenti che ci possano, in quel caso, indurre eventualmente, in sede di voto finale, ad una valutazione diversa rispetto all'esito dei lavori in Commissione. Noi, tuttavia, non abbiamo naturalmente fatto alcun tipo di ostruzionismo perché diamo atto di un dato oggettivo che deve essere riconosciuto come tale: sul testo unificato c'è stata una convergenza trasversale tra le forze di maggioranza e di opposizione di questa legislatura e una convergenza amplissima perché è indubbio che le forze che hanno sostenuto e per certi versi blindato, al netto di alcuni miglioramenti, il testo sono forze che determinano, tutte insieme, una fetta di rappresentanza amplissima nel Paese e ciò non può essere negato e sarebbe sbagliato non tenerne conto anche se ci si oppone al testo.

Nel nostro Paese ci si dimentica troppo spesso come le maggioranze di Governo su singoli provvedimenti determinino le scelte, ma sono sempre le minoranze a determinare la qualità del dibattito e della vita democratica. E, probabilmente, nel nostro Paese molti problemi derivano dal fatto che più ancora che avere scarsa capacità di Governo si ha una scarsissima capacità di opposizione democratica.

Detto questo, le ragioni della nostra contrarietà sono anzitutto di merito per una questione di impianto e poi naturalmente anche per una questione di dettaglio. La questione di impianto è dovuta al fatto che noi rimaniamo convinti dell'assoluta opportunità di un sistema maggioritario che è indubbio che, di fronte ad una multipolarità e non bipolarità della politica, non è di per sé in grado di garantire con certezza un vincitore dichiarato come tale la sera stessa delle elezioni e, quindi, deciso realmente dal voto ma, al tempo stesso, un sistema maggioritario, anche in un contesto di questo tipo, offre almeno tale speranza. Invece, l'abbandono di tale modello a favore del sistema proporzionale con un grado di certezza assai superiore dà la titolarità per la formazione di maggioranze di Governo alle alchimie legittime e in alcuni casi anche nobili e positive che si formano in Parlamento, ma chiaramente quindi non sulla base del voto degli elettori, se non in una forma estremamente mediata e indiretta.

Il maggioritario chiaramente deve essere compatibile con le regole della nostra Costituzione. C'erano formule più che idonee a consentire il mantenimento di tale modello. Diamo atto al Partito Democratico di aver provato ad intavolare il dibattito sulla base di un modello almeno in parte maggioritario qual era il cosiddetto Rosatellum. Sta di fatto che, alla fine, tale modello è stato abbandonato a favore di un modello che è a tutti gli effetti un proporzionale puro al netto soltanto di una soglia di sbarramento del 5 per cento, che può indubbiamente determinare degli impliciti effetti maggioritari di redistribuzione dei seggi a favore dei partiti che superano la soglia rispetto ai voti espressi nei confronti dei partiti che non la superano.

Ma è evidente come sia del tutto improprio dare una connotazione maggioritaria non già con uno strumento diretto e chiaro qual è un premio di governabilità a chi arriva primo, come previsto anche da emendamenti da noi presentati e purtroppo bocciati, e affidare invece questa logica parzialmente maggioritaria ad uno strumento che attiene alla rappresentatività, lo sbarramento per le forze minori. Ciò nonostante, è l'unico elemento dell'impianto normativo attualmente prescelto dalla Commissione e in discussione in Aula che non contestiamo proprio perché comunque offre una logica parzialmente maggioritaria e perché effettivamente è l'unico elemento che è pienamente coerente rispetto al cosiddetto modello tedesco cui ci si è ispirati.

Per il resto, invece, gli elementi di dettaglio sono fortemente criticabili dal nostro punto di vista proprio perché rispetto al modello tedesco vengono significativamente depotenziati, per non dire annullati, tutti gli elementi che consentono realmente di valorizzare il candidato oltre e, in alcuni casi, anche a prescindere dal movimento politico. Non c'è il voto disgiunto. Non c'è la possibilità che chi vince un collegio, anche se non inquadrato nell'ambito di un partito politico che raggiunge almeno il 5 per cento a livello nazionale, possa comunque veder premiata la sua vittoria nel collegio.

È un proporzionale puro dove il 63 per cento dei candidati complessivi è riconducibile a liste bloccate - corte ma bloccate - e fatico da questo punto di vista a capire come possa essere considerato tutto questo un miglioramento rispetto a una situazione in cui di bloccato c'era solo il capolista.

Per il restante 37-38 per cento il modello di selezione è quello indubbiamente dei collegi uninominali ma sono collegi uninominali inevitabilmente finti nella misura in cui, ripeto, colui il quale sia in grado di vincere ma non appartenga o, meglio, non sia stato messo in lista da uno dei partiti che a livello nazionale supera il 5 per cento non può comunque vedere confermata dalla legge l'elezione nel collegio che gli elettori gli hanno attribuito. Per questo si tratta di collegi uninominali finti mentre il bilanciamento tra parte proporzionale con sbarramento al 5 per cento, proprio per evitare la frammentazione dei partiti, e collegi uninominali veri, con i quali davvero viene valorizzata la figura del candidato, costituisce la cifra di quel modello tedesco che giustamente poteva costituire un punto di riferimento ma che, per come si è scelto poi di attuarlo in Italia al netto, ripeto, di quella soglia del 5 per cento, non rappresenta oggettivamente un modello realmente comparabile con quello che al momento si propone di votare.

Proprio per tali ragioni auspichiamo che nel corso del dibattito in Aula ci possano essere alcuni miglioramenti di cui in quel caso terremmo conto, mantenendo comunque sempre il profilo rispettoso di un accordo che non condividiamo nel merito, ma che riconosciamo essere amplissimo in termini di tenuta democratica.

Ci permettiamo però anche di osservare che proprio questa amplissima convergenza è l'elemento che consente di introdurre un sistema elettorale che riproduce per circa i due terzi quello tanto contestato prima e viceversa, senza una convergenza così ampia, si sarebbe sicuramente cercato un modello meno suscettibile di critiche forti che altrimenti sarebbero arrivate dagli elettori in particolare di quei partiti - penso ad esempio al MoVimento 5 Stelle - che per circa dieci anni hanno battuto a tamburo battente sul tema delle preferenze e lo dice chi preferisce in realtà il modello dei collegi uninominali ma che, pur avendo battuto in quel modo, oggi scelgono un modello che non ha niente - ma proprio niente! - di quegli elementi su cui avevano viceversa fondato appunto la loro proposizione politica nei decenni. Così come anche la tanto sbandierata coerenza tra i quattro grandi partiti autori dell'accordo, di Forza Italia, è una coerenza, anche quella, che mi permetto di dire può essere reputata tale solo nella misura in cui si guardi soltanto al recentissimo passato, posto che fino a qualche anno fa Forza Italia era semmai una di quelle forze fautrici convintamente della necessità di un sistema maggioritario nel nostro Paese ed è difficile capire come questo possa trasformare in coerenza il passaggio invece all'essere sostenitori di un modello proporzionale puro.

Confidiamo, quindi, in un dibattito in Aula che sia vero, nella possibilità, pur nel rispetto di tempi ragionevoli, di discutere alcuni emendamenti che in Commissione non sono stati presi in considerazione ed altri che potranno essere presentati e vedremo l'esito finale di questo importantissimo e delicato passaggio politico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Misuraca. Ne ha facoltà per dieci minuti.

DORE MISURACA. Presidente, affrontiamo questo dibattito mentre immagino che gli italiani che ancora seguono le vicende della nostra politica osservano perplessi i recenti avvenimenti. Leader che propongono in sequenza sistemi elettorali completamente diversi tra loro, la maggioranza che sostiene il Governo sostituita nella discussione sulla legge elettorale da un crogiolo di forze che va all'opposizione al PD, la Camera chiamata ad un'accelerazione con forzature procedurali senza precedenti. Tutto questo mentre aleggia sul Paese per alcuni lo spettro e per altri l'angelo delle elezioni anticipate. Eppure il Governo Gentiloni sta lavorando molto bene: il Paese mostra segnali di ripresa. Dunque, a fronte delle prossime scadenze le elezioni anticipate costituirebbero un pericolo gravissimo. Il testo varato dalla Commissione infatti è un pasticcio che tra i tanti rilevanti difetti non assicura assolutamente la governabilità per cui dopo tanta fretta, dopo tappe forzate, dopo lo stroncamento dei diritti di chi si oppone a questo testo, l'unico risultato vero sarebbe la confusione politica e, in ultima analisi, l'ingovernabilità.

Ci troviamo, in sostanza, a confrontarci con una situazione che sembra stata proposta dal dottor Stranamore, in una condizione nella quale richiamare tutti ad un attimo di riflessione, a valutazioni più proprie ed equilibrate significherebbe solo ostacolare chi vuole andare diritto alle elezioni. Per una sorta di eterogenesi dei fini o, se volete, dei risultati, si è creata un'improbabile maggioranza politica in Parlamento che non tende a raggiungere il risultato migliore per il Paese ma per ognuna delle forze che la compone. Una delle leggi più importanti che regolano e determinano la nostra democrazia è stata portata in Aula non dalla maggioranza che sostiene il Governo, da una maggioranza che avrebbe dovuto discutere, elaborare un testo e confrontarsi quindi con le opposizioni per ottenere il massimo dell'equilibrio del consenso su una legge che riguarda tutti e non solo, appunto, la maggioranza stessa. Tuttavia, il PD ha scelto una strada diversa. Ha cercato, trovato e concordato tutto con altri interlocutori, con quelle forze politiche, cioè, che contrastano quotidianamente il Governo e la sua maggioranza parlamentare. Una situazione kafkiana, una dimensione politica che appartiene solamente al suo o ai suoi ideatori e che rinuncia a percorsi sperimentati e logici per inventare un modo scriteriato e incomprensibile di affrontare temi fondamentali come la legge elettorale in un contesto di confusione, approssimazione, fretta ed interessi che sarebbe giusto affidare all'ironia se non costituisse, purtroppo, un momento drammatico e pericoloso per la vita del Paese.

Non intendiamo scomodare le categorie della lealtà, del rispetto e del bene comune, categorie che si troverebbero in forte disagio di fronte a personaggi e a situazioni di questa natura. No, intendiamo solo riferirci alla logica, non solo politica, dei percorsi condivisi, dei programmi da rispettare e dello stesso tavolo in cui le maggioranze poggiano le carte e discutono delle soluzioni. In una parola del futuro del Paese.

Tutti sappiamo bene, visto che ci è stato detto in tutte le salse, che occorreva fare presto per poi andare a elezioni anticipate, elezioni che si sarebbero tenute dopo qualche mese. Dovevano essere effettuate subito, presto, prestissimo. Perché? Con quali vantaggi per il Paese? Nessuno lo sa, se non il genio della lampada che ha determinato questa incredibile situazione.

Noi abbiamo affrontato con enormi sacrifici una condizione in cui l'Italia rischiava di finire nel caos ed abbiamo sostenuto il Governo per il bene del Paese e questo senso di responsabilità ci ha accompagnato nelle pur difficili fasi successive. Non abbiamo pensato neanche per un momento di abbandonarlo e di far cadere il Governo Gentiloni, al quale - e lo confermo in questa sede - offriamo il nostro sostegno e diamo la nostra fiducia. Siamo perfettamente consapevoli dei danni e dei pericoli che le elezioni anticipate provocherebbero al Paese e per questo motivo siamo contrari ad esse e al testo che viene proposto oggi all'Aula, sbagliato nella sostanza e frutto di un imbroglio politico di incredibili dimensioni. È figlio - insisto - dell'eterogenesi dei fini o dei risultati, perché questo progetto di legge, che costituirebbe il biglietto da timbrare per salire sul treno delle elezioni anticipate, è sbagliato, inutile e dannoso. Se si è alla ricerca della stabilità e della chiarezza nella politica del Paese questo è lo strumento più deleterio che si possa immaginare. La riforma della legge elettorale all'esame dell'Aula costituisce un importante elemento del nostro sistema, forse il più importante per determinare la governabilità e la stabilità del Paese e aggiungerei anche la rappresentatività. Eppure, va in Aula un progetto di legge elettorale approvato dalla Commissione affari costituzionali in tutta fretta, in questi ultimi sabato e domenica, in maniera raffazzonata, senza un ponderato esame che lo avrebbe sicuramente migliorato. Ma bisogna fare in fretta, occorre bruciare i tempi, soffocare o ridurre al minimo indispensabile il dissenso e arrivare alla conclusione dell'iter parlamentare prima e subito.

E come si spiega allora questa fretta, questa insensata e forsennata corsa verso l'approvazione di un testo sbagliato e in alcuni punti affetto da patente di incostituzionalità? Ora condizionati dalle pesanti e obiettive critiche di importanti e fondamentali settori della nostra società, dalla perplessità di ambienti internazionali, da valutazioni di esperti che spiegano correttamente come sia meno roseo il futuro del Paese con il varo di questa legge, i responsabili di questa situazione dicono: “Facciamo questa legge perché ce lo ha chiesto il Capo dello Stato. Inoltre, fare questa legge non significa andare autonomamente ad elezioni anticipate”, ma il Capo dello Stato non ha mai sollecitato fretta, mancanza di lucidità, scorrettezze procedurali e, tanto meno, ha suggerito di ignorare l'articolo 56 della Costituzione.

C'era, dunque, e ci sarebbe persino tutto il tempo per pervenire ad un testo condiviso, il migliore possibile attraverso un confronto tra tutte le forze presenti in Parlamento, ma ci sono i gesti e le azioni ed oggi ci troviamo in questa spiacevole situazione. Che cosa succederà? Nessuno lo sa. Per fortuna ancora non è stata pronunciata la fatidica frase: “Italiani state sereni”. Almeno nel nostro percorso siamo sicuri che ci opporremo a questo testo. Lo faremo qui in Aula e lo faremo ripresentando gli emendamenti che abbiamo presentato in questi giorni in Commissione. Ci opporremo alle elezioni anticipate e continueremo a sostenere con convinzione il Governo Gentiloni, perché buttare tutto all'aria ora sarebbe una follia pura, una prova di irresponsabilità politica e sociale di rilevante dimensione; infatti, in ottobre si dovrà presentare la legge di bilancio per il 2018 e soprattutto in caso di elezioni in autunno si dovrà scongiurare l'esercizio provvisorio che determinerebbe ripercussioni fortemente negative sulla situazione economica e sociale del Paese. Una forzatura, quindi, quella di un eventuale voto in autunno, che potrebbe generare, proprio per i risultati che potrebbe produrre tale riforma elettorale, l'instabilità politica ed economica del nostro Paese. Infatti, si potrebbero verificare risvolti dannosi per l'Italia legati all'incertezza del dopo-voto, senza una maggioranza di governo che potrebbe esporre il Paese ad attacchi speculativi.

Occorre, quindi, procedere con la dovuta cautela ed andare a elezioni a scadenza naturale, in modo da completare il cammino delle riforme già intraprese per rassicurare i mercati e la Comunità europea. Sono molte, in realtà, le riforme che ancora abbiamo da completare. Uno dei problemi più evidenti comunque che la nuova legge elettorale produrrà è quello, come abbiamo detto, relativo alla governabilità del sistema.

Le urne, infatti, dovrebbero produrre uno schema a tre o quattro partiti, con la conseguenza che ci sarebbero problematiche relative alla costituzione di maggioranze di Governo e con il rischio di lasciare il Paese in una situazione di stallo politico e istituzionale e, soprattutto, come abbiamo sottolineato in precedenza, esposto all'incertezza dei mercati.

Il nostro gruppo parlamentare, come già detto, fin dall'inizio ha partecipato al Governo con convinzione e con senso di responsabilità, per dare stabilità al Paese e approvare un percorso di riforme necessarie per ammodernare l'Italia e farla competere con i maggiori Paesi europei e internazionali. Oggi siamo sempre più convinti dell'importanza delle riforme approvate e, analizzando più a fondo e ritornando sul tema della legge elettorale, si possono riscontrare, a un primo esame, come abbiamo già sostenuto, gravi anomalie.

Infatti, nonostante la riduzione del numero dei collegi, permane la possibilità per alcuni candidati, primi nello stesso collegio, che non siano eletti… Mi avvio a concludere, Presidente. Vi è poi un'ulteriore questione relativa al candidato che arriva primo nel collegio, ma la cui lista non superi la soglia di sbarramento del 5 per cento.

L'argomento, comunque, più importante riguarda la definizione dei collegi uninominali; infatti, la nuova legge elettorale prevede che si dovrà votare con una mappa di collegi definita dal sistema elettorale cosiddetto Mattarellum nel 1993: collegi, quindi, che risalgono ben a tre censimenti fa - infatti, la legge del 1993 fu fatta sul censimento del 1991 - e che sono del tutto superati dai censimenti più recenti del 2001 e 2011. Occorre, pertanto, un'adeguata e aggiornata mappa dei collegi uninominali. Soltanto in questo modo saremo nelle condizioni di votare con un sistema privo almeno di questo difetto di costituzionalità.

Nella valutazione del testo mi sono limitato a esporre le aree di maggiore critica che, a nostro avviso, ne inficiano la validità - ho concluso -, ma potremmo dissertare a lungo sui passaggi che solo una fretta insensata non ha consentito di rendere. Lo faremo quando commenteremo e presenteremo i nostri emendamenti, lo faremo all'Aula e lo faremo soprattutto agli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Kronbichler. Ne ha facoltà.

FLORIAN KRONBICHLER. Grazie, Presidente. Mi permetto l'irritualità di non parlare direttamente della legge, cosa che farà, soprattutto, la mia collega Roberta Agostini, ma di parlare della eccezione alla legge - questo Mattarellum, Porcellum, Italicum e ora Germanicum -, perché le nostre leggi elettorali cambiano come minimo a ogni elezione. Ciò che, però, al suo interno resta sempre una costante sono due cose: il bambinesco latinorum dei loro nomi e la sfacciata eccezione-privilegio a favore del Südtiroler Volkspartei. Così come già nell'Italicum, dichiarato, poi, incostituzionale dalla Consulta, anche in questo Germanicum la carta geografica elettorale per l'Alto Adige-Südtirol è disegnata su misura del Südtiroler Volkspartei. Sarà tutto nuovo per l'intero Stato italiano, ma solo per il Sud Tirolo deve restare tutto così come è stato fino ad ora.

Süd Tirol ist nicht Italien, il Sud Tirolo non è Italia, è il grido di battaglia della destra secessionista sudtirolese. Applicato a questa legge elettorale, però, assume la verità concretizzata, realizzata, purtroppo solo riferita ad un partito, a costo della democrazia e della parità di diritti. Non c'è forse più niente da fare, apparentemente. Il rullo Renzi plenipotenziario avanza imperturbato, travolgendo ogni tentativo di correzione di rotta.

Mi sono permesso di presentare in Commissione affari costituzionali due emendamenti al progetto di legge. L'obiettivo sarebbe stato di rendere quella parte che regola le elezioni politiche nella nostra regione un po', solo un po', meno a piacimento dei partiti SVP e PD, ma non c'è stato niente da fare; la regia parlamentare si è messa totalmente a servizio del mercanteggiamento extra parlamentare e interpartitico, cassando i nostri emendamenti in Commissione.

Li riproponiamo, ovviamente, in Aula, ma le probabilità di successo - noi siamo realisti - sono relative. Il PD ha ceduto alla voragine del Volkspartei, assicurandosi, in cambio, i voti dei parlamentari SVP e del gruppo Misto delle autonomie intero, che al Senato saranno decisivi e determinanti per portare in porto la legge.

Torna in questo disegno di legge la clausola per la quale una lista di una minoranza linguistica, per avere un rappresentante in Parlamento, deve ottenere il 20 per cento dei voti all'interno della regione. Qui parliamo della regione e questa è veramente una norma truffa. La regione torna, perché è bisticciata da noi, la vogliono far fuori, addirittura, almeno il Südtiroler Volkspartei, però in questo caso è benvenuta, serve e fa buoni servizi all'occorrenza, in quanto aiuta a camuffare una sfacciataggine, perché il 20 per cento nella nostra regione vuole dire il 40 per cento nella provincia, perché solo nella provincia di Bolzano abita la minoranza tedesca.

Chiedere il 40 per cento per una lista della minoranza linguistica equivale ad una esclusiva per legge a favore di un partito. In parole chiare, è la legalizzazione del sistema monopartitico e del divieto di fatto di qualsiasi pluralismo partitico. Chiedo l'abbassamento, in un emendamento, della soglia al 10 per cento, che a livello provinciale saranno sempre ancora 20 per cento, ma così almeno ipoteticamente qualche altra forza può competere o, almeno, nutrire l'illusione di poterlo fare.

Quindi, battaglia combattuta e, come da prevedere, in gran parte persa. Non è nel mio stile, ma non ho espressione più appropriata: qui la banda dei quattro - PD, Forza Italia, Lega e MoVimento 5 Stelle - ha proceduto come da copione, ignorando qualsiasi buona ragione, purché si raggiungesse l'obiettivo: la legge elettorale così come concordata fra di loro e al di fuori delle sedi istituzionali.

Ritengo la clausola di accesso un'offesa per tutte le minoranze linguistiche. In segno di solidarietà ho accettato la richiesta della minoranza slovena in Friuli di presentare in Commissione un loro emendamento dello stesso tenore; è stato respinto, ovviamente, ma pure gli sloveni promettono battaglia.

In Commissione affari costituzionali i miei emendamenti tesi a democratizzare minimamente il sistema elettorale in Sud Tirolo sono stati tutti respinti. Il collega Alfredo D'Attorre, nostro portavoce in Commissione, li ha brillantemente presentati. Risultato: complimenti trasversali, ammiccamenti compiaciuti, ma “spiacente, non possumus”. È per accordi antecedentemente presi. L'eccezione sudtirolese nella legge elettorale, una vera legge nella legge, legge come per uno Stato straniero, ha da essere trattata come intoccabile. Il relatore Fiano non si è stancato di spiegarlo ai suoi.

Il collega trentino pure, Riccardo Fraccaro, prima così battagliero, ora succube ad apparenti ordini superiori, ha fatto sparire i suoi emendamenti, che, per la maggior parte, erano identici ai miei. Fino alla settimana scorsa mi aveva promesso di dare battaglia insieme a me: sarà stato, poi, questo un miracolo pentecostale al contrario.

Sprofondati in Commissione, ora daremo in Aula battaglia per una legge elettorale equa e democratica anche per il Trentino-Sud Tirol. Quella che la combriccola PD-SVP ci vuole imporre non è una legge elettorale: è una legge di vittoria elettorale garantita. Vogliono vincere non alle urne, ma già alle regole.

Con gli emendamenti da noi presentati, si sarebbe cercato di rimediare minimamente allo spudorato avvantaggiamento del partito cosiddetto di raccolta etnico SVP, introducendo un piccolo ostacolo, o meglio, rimuovendo il trampolino con cui quel partito si assicurerebbe per legge il monopolio della rappresentanza parlamentare nella provincia di Bolzano.

Già fu concesso alla Volkspartei, con il disegno di legge elettorale, un trattamento tutto suo, un Mattarellum prima nell'Italicum e ora nel Germanicum, che chiamare “lex SVP” non è un'esagerazione; e come non bastasse, l'articolo 93-quater elimina anche il pur minimo rischio che un'altra forza possa ottenere un seggio al futuro Parlamento. In questa legislatura, per la prima volta nella storia della Repubblica, si è data l'elezione del primo sudtirolese di lingua tedesca nella mia persona, e pare che questo bastava per far di tutto affinché non ci sia più un tale incidente.

Essendo divisa la circoscrizione di Bolzano in quattro collegi uninominali, per tradizione e - ammettiamolo pure - anche per meriti la SVP ne prende tre. Il quarto collegio è disegnato (ed è il pretesto vero per l'intera architettura sui generis della legge elettorale sudtirolese) su misura di un parlamentare di lingua italiana. Ma pure su questi, la SVP pone la sua ipoteca: per colpa della patologica dispersione del voto italiano in Alto Adige, per essere eletto il candidato italiano ha bisogno pure dei voti della SVP. Quindi sarà comunque un italiano eletto grazie alla SVP, con tutti gli effetti deleteri che ne seguono.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FLORIAN KRONBICHLER. E come se non bastasse, la Volkspartei concorre con buone chance pure alla conquista del terzo dei tre seggi in distribuzione secondo il sistema proporzionale, dopo aver fatto il pieno sui seggi uninominali. Ciò perché le viene messa in conto buona parte dei voti raccolti nei collegi uninominali: semplificando, parte dei suoi voti conta due volte. Con i nostri emendamenti vogliamo impedire che al conteggio dei voti per l'undicesimo e ultimo seggio della circoscrizione siano scorporati tutti i voti ottenuti dai candidati vincitori nei seggi uninominali, e non solo una parte. Alla Volkspartei resta concesso pure questo privilegio! Ecco, è la risuscitazione del medioevale Extra Ecclesiam nulla salus (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Federica Dieni. Ne ha facoltà.

FEDERICA DIENI. Presidente, colleghi, la politica è stata sempre considerata anzitutto una lotta per il potere a qualsiasi costo, in cui ogni azione è lecita per raggiungere questo obiettivo. Otto von Bismarck, che in questo eccelleva, l'ha definita “l'arte del possibile, la scienza del relativo”, per ricordare come tutto in questo campo fosse aleatorio.

Alcuni opinionisti e polemisti di professione in questi giorni si sono dati una gran pena per cercare di dimostrare che questa discussione sulla legge elettorale è uno di quei casi. Secondo costoro i gruppi politici di questo Parlamento, e tra questi il MoVimento 5 Stelle, si sarebbero riuniti per salvaguardare il proprio interesse, promuovendo con un consenso trasversale una proposta piena di difetti. Va da sé che questo tipo di obiezione non ha senso: o ammettiamo che quando si tratta di regole del gioco queste vadano scritte insieme, come abbiamo sempre detto, oppure ci condanniamo a scriverle e a riscriverle ad ogni mutamento della maggioranza.

La legge elettorale non è la Costituzione, e non richiede alcuna maggioranza qualificata per essere approvata. Eppure è evidente a tutti che non può essere considerata come una legge uguale a tutte le altre; e sebbene la Carta fondamentale prescriva unicamente per questa la procedura normale di approvazione, quindi diretta da parte delle Camere, è il buonsenso a suggerire che non possa essere approvata a maggioranza semplice.

Se ciò non bastasse, bisognerebbe guardare all'esperienza. Fin dal 1953 le forzature si sono inevitabilmente ritorte contro chi le proponeva. Le ultime due leggi elettorali, universalmente note come Porcellum ed Italicum, anche al netto delle pronunce della Corte costituzionale, non hanno fatto eccezione: la prima, nel 2006, ha portato alla sconfitta della coalizione di centro-destra che l'aveva fortemente voluta; la seconda dava origine all'arcinoto combinato disposto, che gli italiani prima ancora che la Consulta hanno spazzato via col voto del 4 dicembre scorso. Ritornare ad una legge fatta su misura ed approvata con forzature e pochi voti di scarto sarebbe stato imperdonabile, e lo sarebbe stato ancor più dotare il Paese di una legge di nuovo incostituzionale.

Sono due questioni parallele ma collegate, dato che la Consulta ha già più volte ribadito la necessità di giustificare la “disproporzionalità” con esigenze di governabilità, e solo entro certi limiti ben precisi. I sintomi c'erano tutti, se è vero che senza l'opera attiva di vigilanza e di proposta del MoVimento 5 Stelle, le opzioni messe in campo sarebbero state un testo che, senza garantire la governabilità, era caratterizzato da effetti fortemente distorsivi; o la possibilità di procedere con decreto-legge, cosa inaudita ma ventilata dalla maggioranza, ma dovevano firmare il sistema elettorale alla Camera e quello del Senato: due eventualità inaccettabili!

Occorre però sgombrare il campo da un fraintendimento: il fatto che la proposta in discussione abbia ottenuto il via libera a larghissima maggioranza in Commissione affari costituzionali, non significa che il testo che il MoVimento 5 Stelle avrebbe proposto se avesse potuto sarebbe corrisposto a questo. E lo dico per chiarezza: non è neppure quello che sarebbe stato approvato se il MoVimento 5 Stelle avesse avuto la maggioranza relativa; perché se confermo quanto detto poco fa, e cioè che le regole dovrebbero essere scritte insieme, è ancor più evidente che i rapporti di forza in fase di compromesso un effetto ce l'hanno sempre.

Siamo riusciti ad introdurre molti miglioramenti. Vorrei ricordare in quest'Aula che grazie a noi sono stati eliminati i cosiddetti capilista bloccati, è stata scongiurata quindi la possibilità che candidati più votati nei collegi uninominali venissero lasciati fuori dal riparto dei seggi. Abbiamo inoltre risolto il problema dei collegi soprannumerari, appunto riducendo il numero dei collegi uninominali. Grazie al MoVimento 5 Stelle, soprattutto, sono state cancellate le pluri-candidature, attraverso le quali il capobastone di turno avrebbe potuto candidarsi in più liste aumentando la possibilità di essere eletto.

Questa proposta porta in sé però anche dei vizi, che cercheremo in ogni modo di correggere: primi fra tutti l'impossibilità di esprimere un voto disgiunto per la parte uninominale e per quella della lista circoscrizionale, la mancata previsione della possibilità per l'elettore di definire la propria preferenza per la parte plurinominale, e infine la carenza di correttivi tali da garantire governabilità al sistema.

Le migliorie da noi proposte vanno nella direzione di ampliare i margini di scelta dell'elettore, e di garantire al contempo stabilità al sistema. Questo è e sarà il nostro obiettivo: attraverso la nostra attività emendativa, cercheremo di risolvere questi problemi; e sebbene siamo consapevoli che ciò che è stato fatto non è ancora sufficiente, in questa situazione bisogna avere l'umiltà di riconoscere che difficilmente con le forze in campo sarebbe stato possibile arrivare ad un'altra conclusione. Noi ad oggi non siamo ancora in grado di sapere se e come questa legge elettorale verrà approvata, e non mi arrischio neanche a fare previsioni, anche solo per l'impossibilità di sapere a priori come si svilupperà il dibattito in quest'Aula, e per rispetto ovviamente dell'autonomia del Senato; tuttavia, essere arrivati a questo punto è la prova che, contrariamente a ciò di cui si voleva convincere fino a qualche mese fa, non è impossibile trovare una mediazione, anche quando il tema è il più divisivo possibile.

Il Parlamento può trovare convergenze, ma ovviamente ad alcune condizioni: serve che vengano messi da parte gli interessi di ciascuno e l'arroganza, per trovare delle soluzioni che siano nell'interesse del Paese tutto; un approccio che sinora solo il MoVimento 5 Stelle aveva promosso, a dispetto della nostra convinzione di essere la prima forza politica del Paese. Per questo dev'essere chiaro che noi non siamo disposti ad accettare qualsiasi porcheria, ma non è neppure nostra intenzione dare un alibi ai partiti, autoescludendoci dalla possibilità di far sentire e far pesare la nostra voce in questo dibattito. Chi ci chiede di farlo non vuole il bene del Paese! In questo modo noi dimostriamo chiaramente di essere capaci di assumerci la responsabilità di governare: questo è il nostro esame di maturità.

Bisogna sapere dire di no, ma bisogna soprattutto farlo per le giuste ragioni. Noi non diremo sì a priori, ma non daremo neppure la scusa a chi vuole le mani libere di poter far fuori il MoVimento 5 Stelle attribuendo ad esso ogni responsabilità. Faremo pesare i nostri voti e le nostre ragioni, come abbiamo fatto per ogni battaglia che valesse la pena combattere e per ogni vittoria che valesse la pena condividere: lo è stato per il biotestamento e per gli ecoreati, lo può essere per una legge elettorale costituzionale, che dia al più presto agli italiani la possibilità di scegliere da chi vogliono essere governati. Noi siamo pronti!

Voglio solo aggiungere che qualcuno qui in quest'Aula ha detto che questa legge è incostituzionale soltanto per darsi un alibi per non tornare a votare, perché queste stesse persone fanno parte dei partiti che finora hanno votato leggi realmente incostituzionali come l'Italicum e il Porcellum. Noi siamo pronti per andare a votare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Cirielli. Ne ha facoltà.

EDMONDO CIRIELLI. Presidente, colleghi, questa legge - noi lo stiamo già dicendo, ma lo diremo ancora con più forza - è una legge vergognosa e non soltanto perché parte dall'accordo dei quattro partiti, per ora, nei sondaggi - poi lo vedremo al termine delle elezioni - più forti, che pensano di rubarsi i voti e i seggi degli altri, fregandosene di quelle che sono le regole base per ottenere un qualcosa per l'Italia da una legge elettorale. Mi fa piacere che qualche collega abbia ricordato che tutte le volte che qualcuno ha pensato, tramite la legge elettorale, di ottenere un vantaggio, poi ha avuto un ritorno negativo. Siamo convinti che avverrà anche questa volta con la denuncia soprattutto di questo mega inciucio che non è una riscrittura delle regole, insieme, perché le regole si possono scrivere insieme se uno mantiene una coerenza sulle posizioni assunte. Ma se, chiaramente, dopo che si è insultato l'Italicum, come hanno fatto i Cinquestelle e altri partiti, dicendo che “creava un Parlamento di nominati”, si crea un Parlamento che automaticamente dà oltre il 60 per cento degli eletti tramite liste bloccate, è evidente che si raggira il popolo e, in qualche maniera, si fa esattamente il contrario di quello che si è detto sinora; ecco perché poi si crea l'inciucio.

Ma torniamo a un ragionamento più logico: la prima cosa per cui si va a votare, lo ricordo a tutti, non è di assicurare ai partiti o al proprio partito più seggi e più poltrone; si va a votare per creare un Governo, i cittadini votano il Parlamento perché il Parlamento deve formare un Governo. Questa legge rende matematicamente impossibile, allo stato dell'arte, la formazione di un Governo; un Governo potrebbe essere possibile con l'alleanza tra 5 Stelle e PD - e allora lo dichiarino subito, così i cittadini sanno bene quello di cui si parla -, o con l'alleanza di Berlusconi con Renzi o, peggio ancora, dell'alleanza di Berlusconi con Grillo e i Cinquestelle.

A meno che non ci sia questo progetto, che va declinato con chiarezza, è evidente che, in questo clima di spappolamento politico, nessun partito potrà raggiungere il 51 per cento. Non c'è un premio di governabilità, non c'è un sistema maggioritario che garantisca la formazione di un Governo.

Allora, è evidente che in questo momento i leader dei partiti che dai sondaggi - che lasciano il tempo che trovano - vengono indicati come i partiti maggiori, immaginano rispetto a questo Parlamento di massimizzare il risultato elettorale a scapito della governabilità e - quello che è ancora più grave e che interessa ai quattro leader - a scapito della rappresentanza popolare.

L'unica cosa che cementa l'accordo è immaginare di fregarsi i voti degli altri con un altro sbarramento, è poter scegliere, ancora una volta, i leader bloccati, i parlamentari bloccati. Non diciamoci bugie, perché i collegi sono finti collegi, perché non danno diritto a un seggio in più e sostanzialmente, allo stato dell'arte, solo due partiti potrebbero dividersi l'elezione, sempre nell'ambito del proprio partito, del capolista nel collegio nominale, perché, per come è stata predisposta la legge, se i cittadini sceglieranno di votare una persona forte, capace e brava a rappresentare quel territorio, se questa persona non è inserita nei partiti che raggiungono il 5 per cento non sarà eletta e quindi quel voto negherà la democrazia.

Per tornare a noi: sullo sbarramento, il partito di Fratelli d'Italia non solo non ha presentato emendamenti, ma non li presenterà. Noi siamo convinti di superare ampiamente questa soglia proprio grazie a questo imbroglio ai danni degli elettori, proprio grazie all'accordo di Grillo, di Renzi e di Berlusconi, che in questi anni se ne sono dette di tutti i colori, ma adesso sono lì a spartirsi o a tentare di spartirsi le poltrone di parlamentari.

Lo sbarramento, però, è anomalo non soltanto per l'altezza della quota, ma nel senso che, in un momento in cui già tanta gente non va a votare, immaginare di prendersi quei voti del 20 per cento che non sarà rappresentato, rappresenta sicuramente un'anomalia, che è tanto più grave se la portano avanti i partiti che si sono sempre riempiti la bocca della democrazia e della rappresentanza dei cittadini.

Va benissimo il 5 per cento perché sarà sicuramente un boomerang che colpirà i partiti che in questo momento lo stanno mettendo in campo e noi siamo pronti a raccogliere la sfida, ma è chiaro che, ancora una volta, anche questo diventa l'elemento centrale dell'accordo. Renzi immagina di fare fuori i partiti che sono alla sua sinistra, Berlusconi immagina di fare fuori i partiti che sono al centro, piuttosto che alla sua destra, e i Cinquestelle, che non hanno mai voluto occuparsi di poltrone, per prendere una ventina di seggi in più, vedete che cosa sono capaci di fare; chi sa cosa saranno e sarebbero capaci di fare per qualcosa in più.

I collegi - l'abbiamo detto - sono dei collegi finti e le liste bloccate sono l'ennesima vergogna su cui vi confrontate, quello che noi non capiamo è per quale motivo volete costringere tutti i partiti a presentare liste bloccate. Se noi non vogliamo presentare liste bloccate, ma vogliamo che i nostri candidati vengano eletti in base ai migliori risultati nei collegi, in base alle percentuali, per far sì che almeno i voti di Fratelli d'Italia portino in Parlamento le persone che hanno un consenso, perché volete costringere anche noi a fare liste bloccate con il minimo di due persone? Consentiteci almeno di non presentare la lista bloccata, di presentare soltanto le persone nei collegi. La nostra leader, Giorgia Meloni, a differenza di Grillo, di Salvini, di Berlusconi e di Renzi, non vuole scegliere, lei, i parlamentari, ma vuole che gli elettori di Fratelli d'Italia indichino in maniera chiara chi vogliono portare in Parlamento.

Dateci almeno questa prova e dimostrate un minimo di rispetto della democrazia, che in questo momento avete completamente smarrito (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Plangger. Ne ha facoltà.

ALBRECHT PLANGGER. Solo per chiedere di consegnare il testo e annunciare che noi voteremo a favore.

PRESIDENTE. È autorizzato.

È iscritto a parlare il collega Alan Ferrari. Ne ha facoltà.

ALAN FERRARI. Grazie, Presidente. Vorrei partire anch'io dalla considerazione con cui ha aperto il suo intervento il collega del Partito Democratico, Matteo Richetti: io penso che abbia un grande valore il fatto che questa legge elettorale arrivi in quest'Aula, dopo molte ore di lavoro in Commissione, con un ampio consenso da parte dei quattro partiti più grandi, più rappresentati in questo Parlamento, Partito Democratico, Forza Italia, Cinque Stelle e Lega, e da parte di una comunità politica molto ampia, quella che avremmo voluto vedere unita fino alla fine a cercare il miglior compromesso possibile, la sintesi più alta anche in altre occasioni.

Devo dire, se la posso dire con una battuta, che l'unica vera disfida è stata nell'interlocuzione con il collega D'Attorre, di MDP, il quale cercava di sostenere che questo non è un sistema tedesco. Noi del Partito Democratico non abbiamo mai ritenuto che questo fosse un sistema tedesco. Questo è un sistema elettorale che si ispira al modello tedesco, che ha alcune similitudini con il sistema tedesco e che, in ragione di questo, ci è sembrato il punto di sintesi più alto, quello condiviso con tante forze politiche. Ma al di là di questa battuta, io penso che sia davvero seria la questione di un ampio consenso parlamentare su una delle questioni più delicate del nostro funzionamento democratico: la legge elettorale.

Ora qualche considerazione su da dove arriviamo. È già stato ricordato: arriviamo qui, arriviamo a questa legge, dai diversi appelli, prima, di Napolitano all'inizio di questa legislatura e, poi, del Presidente Mattarella, quando, dopo le varie correzioni della Consulta, ha chiesto a questo Parlamento, nell'ultima fase di legislatura, di rendere omogenee le due leggi corrette per Camera e Senato.

Arriviamo qui dopo il risultato negativo del referendum sulla riforma costituzionale, che ha segnato un punto significativo per i prossimi anni, ha segnato un destino che non sarà facile ribaltare in breve tempo, che è il destino di un assetto istituzionale che rimane tale dopo che tutti gli italiani, tutte le forze politiche si erano impegnati nelle varie campagne elettorali a mettere in evidenza quanto fosse urgente cambiarlo.

Ma arriviamo qui, se andiamo oltre a questi elementi più di carattere istituzionale, arriviamo qui con due domande implicite che ci vengono dai cittadini italiani e sono quelle attraverso le quali io guarderei questa legge elettorale che è all'esame della Camera; la prima: c'è una maggiore stabilità?

PRESIDENTE. Colleghi, per favore! Colleghi, si sente una eco non indifferente in quest'Aula! Prego, collega Ferrari.

ALAN FERRARI. Dicevo: le due domande implicite che ci hanno rivolto i cittadini e ci stanno rivolgendo i cittadini da diverso tempo – e non è un caso che il Partito Democratico, da solo, si sia trovato a spingere fino in fondo per fare la riforma costituzionale – è: riusciamo, da questa legislatura, a far venir fuori e a costruire un assetto istituzionale più stabile per questo Paese oppure no?

La seconda domanda: riusciamo, da questa legislatura, dopo anni di Porcellum - e non solo di Porcellum, ma anche di Governi che hanno fatto delle scelte che noi abbiamo ritenuto fortemente sbagliate - ad avvicinare il rapporto tra cittadini ed eletti?

Penso che queste siano le domande che dobbiamo porci guardando questa legge, al di là dei dettagli, ma anche nei dettagli.

Allora sulla prima, dove con qualche approssimazione possiamo confondere il tema di maggior stabilità con una legge di impianto maggioritario, questa legge come risponde?

Io penso che risponda bene, perché questa legge comprende lo sbarramento al 5 per cento, che quindi è un tendere al maggioritario, a un sistema maggioritario, cioè a un sistema dove è più facile che nascano dei Governi dopo le elezioni, è un sistema che comprende i collegi uninominali, ovvero chiunque sarà candidato a Pavia, nel mio collegio, avrà il proprio nome stampato e tutti gli elettori di quel collegio, che con questi collegi sono dell'ordine di 2-300.000, potranno scegliere tra il nome stampato a fianco del Partito Democratico e il nome di un'altra persona, la storia di un'altra persona, a fianco del simbolo di un altro partito.

Questi sono due elementi di questa legge chiari, che fanno tendere il sistema verso quella stabilità evocata e richiesta ai cittadini.

La seconda domanda è quella del rapporto più stretto o meno tra cittadini ed eletti: penso che lo stesso collegio uninominale vada in questa direzione, di rispondere ad accorciare questa distanza. Penso che aver tolto la precedenza ai capilista dei listini e darla ai vincitori di collegio vada in questa direzione, penso che aver tolto le pluricandidature vada in questa direzione, penso che l'equilibrio di genere 60 e 40, ripartito tra le varie parti di questa legge, vada nella direzione di avvicinare il popolo italiano, nei due generi che lo rappresentano e che lo vivono quotidianamente, uomini e donne, e vada nella direzione di rappresentarlo al meglio.

Infine, io penso che sia un modo di avvicinare i cittadini agli eletti, i cittadini alle istituzioni e alla politica, quando esiste una legge elettorale che mette nelle condizioni tutte le parti politiche, quelle che ci sono e quelle che ci saranno, di competere, di correre.

Lo sbarramento del 5 per cento è superabile da tutte le forze politiche e la vittoria nei singoli collegi uninominali è ottenibile da tutte le forze politiche, che possono aggregarsi e vincere in ogni singolo collegio.

Questa è una legge che consente a tutte le forze politiche di arrivare al risultato di essere maggiormente rappresentate di altre in questo Parlamento.

Vorrei fare una precisazione poi sulla questione dei collegi, che è stata molto discussa in Commissione ed è stata anche oggetto di un'ampia riflessione, giustamente, perché è ovvio che nel momento in cui si fa una legge elettorale e contestualmente si predefiniscono i collegi o si usano delle basi già note per definire i collegi, si va a toccare nel vivo il funzionamento democratico di un Paese; allora, è giusto ribadire che esiste una delega al Governo, che di norma si occupa di questo aspetto, che questo Governo - questo o un altro - la delega la può esercitare fino all'ultimo giorno di vita di questa legislatura, che potenzialmente può essere ancora quasi dodici mesi e, infatti, la delega è di dodici mesi.

Esiste una delega in cui noi abbiamo scritto che in quindici giorni le Commissioni parlamentari rapidamente, quindi il più rapidamente possibile, daranno un proprio consenso a questa delega, quindi la delega c'è.

Certo è che abbiamo anche inserito una dicitura che dice che, qualora il Presidente della Repubblica ritenesse che le Camere debbano essere sciolte prima, per le ragioni che tutti sappiamo ovvero che abbiamo omogeneizzato la legge elettorale con questa operazione condivisa da tutti o da tanti, dalla maggior parte, era importante che ci fosse una base condivisa di collegi e abbiamo usato il Mattarellum, la base del Mattarellum per i collegi del Senato, proprio per questa ragione.

L'abbiamo usato in quella forma, usando i collegi del Senato, proprio per ridurre anche il problema dei collegi soprannumerari e, cioè, fare in modo che chi vince nel collegio ha quasi la certezza di essere eletto.

Finisco Presidente: io non so se questo atto sia realmente da considerare l'epilogo di questa legislatura, so che è un atto eccezionale per le ragioni che stiamo dicendo, cioè fuori dall'usuale proprio per l'ampio consenso parlamentare che sta acquisendo.

Ho finito davvero: so che, se la stessa responsabilità collettiva fosse stata garantita in altri passaggi, secondo me, questa legislatura avrebbe avuto risvolti molto più positivi per gli italiani e, invece, è finito tutto in capo al Partito Democratico.

Non so francamente quantificare quanto ci abbiamo perso, anche perché questo non è avvenuto; so che, se ripeteremo questo errore dopo delle elezioni con un sistema che comunque è per una parte certamente proporzionale, e forti e mossi dal principio che ogni partito è solo in funzione di un avversario, per la distinzione dall'avversario, io penso che sarà il mondo globale a dare una pagella all'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Calabria. Prendo atto che la deputata Calabria non è in aula.

È iscritto a parlare il collega Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie, Presidente, oggi iniziamo - e penso che finiremo rapidamente, da quel che sembra in Aula in questi giorni - il percorso della legge elettorale.

Io devo premettere, come presidente di Commissione, di arrivarci con un minimo di amaro in bocca, se non di più, per come si è svolto il percorso, perché sicuramente, da un punto di vista istituzionale, ho lavorato per rispettare i termini che sono stati fissati in capigruppo, sicuramente è un fatto positivo che i principali partiti abbiano trovato un accordo sulla legge elettorale, ma devo dire che il fatto positivo è stato oscurato dal modo in cui questo accordo è stato tradotto in fatti. Infatti, il percorso accelerato che è stato svolto, è stato fissato, direi imposto per l'approvazione di questa legge, io penso che non sia stato rispettoso della dignità del Parlamento, ha costretto la Commissione a lavorare molto - e di questo io sono riconoscente ai commissari per come hanno lavorato, per come si è svolto il dibattito, per la correttezza, la completezza e l'esaustività del dibattito - però a lavorare in un modo che non credo sia degno di una legge importante come la legge elettorale.

È stata una forzatura che non era necessaria.

Io, come presidente di Commissione, mi sono espresso pubblicamente e anche nelle sedi istituzionali in senso contrario e devo dire che, se da parte del Partito Democratico questa spinta all'accelerazione è stata esagerata, è stata quanto meno coerente con quello che era già successo con l'Italicum e con l'atteggiamento tenuto su questa legge.

Io ho trovato stupefacente il comportamento di Forza Italia e del MoVimento 5 Stelle, che una settimana prima, quando il testo non piaceva a questi partiti, mi invocavano a tutela delle prerogative della Commissione e della ragionevolezza dei tempi, e appena è arrivato un testo che piaceva a loro un po' di più, sono diventati anche loro degli Speedy Gonzales istituzionali, hanno avallato tutte le scelte e tutte le decisioni che ci hanno costretto a fare gli emendamenti in una notte e a discuterli in due giorni.

Ecco, la coerenza politica lo sappiamo che in politica è abbastanza un optional, qui però diciamo che si è arrivati a un record, credo, del “due pesi e due misure” dal punto di vista procedimentale.

Passiamo al merito: nel merito dico subito che, a differenza anche di alcuni esponenti del mio gruppo, che sono dei proporzionalisti convinti, io sono in totale disaccordo anche con la scelta di un sistema proporzionale.

Io sono sempre stato favorevole ai sistemi maggioritari o ai sistemi proporzionali che prevedono delle correzioni maggioritarie, che oggi forse sono più maggioritari degli stessi maggioritari. Infatti, oggi, per la distribuzione del consenso sul territorio, un sistema maggioritario probabilmente non porterebbe a maggioranza. Quindi, al sistema del proporzionale con premi di coalizione sono sempre stato favorevole.

Quando presentai il testo base - che poi il Partito Democratico decise di non votare -, che traduceva l'Italicum dalla Camera al Senato, dissi chiaramente che lo presentavo con il premio di lista, ma auspicavo che si arrivasse a un premio di coalizione, unica soluzione che può consentire di dare una forma di governabilità a questo Paese.

Oggi, invece, si torna al proporzionale puro. Si torna a un proporzionale puro che non ha niente a che vedere col tedesco. Adesso l'onorevole Ferrari giustamente ha rilevato: noi non vogliamo e non abbiamo mai parlato di sistema tedesco. Si è parlato parecchio di sistema tedesco e ne ha parlato moltissimo il MoVimento 5 Stelle, che lo ha venduto come tedesco sul web, si è fatto autorizzare on line e poi ha votato tutt'altro. Infatti, di tedesco questo sistema ha pochissimo: ha la soglia al 5 per cento, ha un sistema proporzionale, ha un numero di collegi uninominali molto più basso, non ha il voto disgiunto. Ma io non credo che sia rilevante attribuire la patente ariana o meno al sistema elettorale; credo che qui il problema sia quello di stabilire se questo sistema elettorale funzioni oppure no.

Questo è un sistema che molto semplicemente ci porterà dopo le elezioni, nel caso migliore, dal mio punto di vista, a un'alleanza tra centrosinistra e centrodestra; nel caso peggiore, a un'alleanza tra MoVimento 5 Stelle e Lega e, nel caso catastrofico, a nessun Governo. E non mi si venga a dire che, invece, per effetto della soglia del 5 per cento, è possibile che qualcuno vinca.

Il sistema tedesco in una cosa può essere un riferimento: le percentuali. Io devo ricordare che nessuno che non abbia ottenuto più del 50 per cento dei voti - è successo una sola volta in Germania - ha mai governato da solo. Premesso che comunque la CDU aveva una lista in cui si presentava insieme ai cristiano-sociali, in ogni altra elezione, anche quando Kohl nel 1983 ha preso il 48,8, ha dovuto fare una coalizione. Qual era la differenza? Che in Germania esistevano dei potenziali alleati di coalizione coerenti. C'erano i liberali da una parte, c'erano i verdi dall'altra, non c'era la necessità automatica, per chiunque fosse del mondo moderato, di fare una coalizione con l'avversario. È successo tra socialisti e CDU più volte, ma questa alleanza non era l'unica possibilità, c'era la possibilità in astratto che con degli alleati si arrivasse a una coalizione vincente. Questa possibilità in Italia non c'è.

Quindi, io vedo quotidianamente esponenti del Partito Democratico e di Forza Italia in televisione - oggi ero in radio con un esponente di Forza Italia - che dicono: non è un'ipotesi l'alleanza Forza Italia-PD. Non è un'ipotesi: è una certezza! A meno che non si verifichi che governino gli altri.

Oggi il Partito Democratico e Forza Italia, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, stanno rinunciando a vincere per non rischiare di perdere. È la scelta del pareggio prima di entrare in campo. Ora il problema è che questa è una scelta definitiva, perché il sistema proporzionale è il sistema che piace di più ai partiti politici. Infatti, consente un livello e una pervasività dei veti che nessun altro sistema consente. Per di più, non c'è neanche la sfiducia costruttiva, quindi ogni giorno qualcuno potrà dire: ti faccio cadere il Governo domani. Si vivrà in questo incubo costante, che abbiamo già vissuto con il Governo Letta. Infatti, non è che l'alleanza PD-Forza Italia non l'abbiamo vista. Ce la siamo goduta nella prima parte della legislatura, in cui c'era un blocco totale. L'unico grande risultato è stato l'abolizione dell'IMU con la sostituzione della TASI, non per colpa del Presidente del Consiglio Letta, ma perché era impossibile governare.

E non mi si dica che non c'era un'alternativa, perché l'alternativa era quella - ripeto - dell'estensione dell'Italicum al Senato con il premio di coalizione. Non c'era quell'alternativa perché il Partito Democratico ha detto: io non voterò un sistema con le coalizioni e ha scelto di andare alle elezioni senza coalizioni, escludendo la propria coalizione - una coalizione di partiti chiaramente più contigui potenzialmente alle sue idee - per fare la grande coalizione dopo, che è obbligatoria, perché altrimenti non ci saranno i voti per governare.

Lo stesso discorso vale per Forza Italia. Io non sono scontento del fatto che Forza Italia non si allei con la Lega Nord, perché qualsiasi partito moderato non si può alleare con la Lega Nord. Però, bisogna dire chiaro e tondo che anche Forza Italia, piuttosto che provare a vincere insieme alla Lega e fare un sistema di quel tipo, ha preferito questo sistema e ha preferito votarlo. Però, almeno, Forza Italia coerentemente ha detto: noi il proporzionale con il premio di coalizione lo votiamo. E i voti anche al Senato c'erano, perché bastava sostituire il MoVimento 5 Stelle con i voti del partito di Alternativa Popolare.

Quindi, se oggi si sceglie un sistema puramente proporzionale, che ci condanna alla grande coalizione, è perché non si è voluto scegliere il sistema del proporzionale con premio di coalizione. È una scelta legittima. Io temo che sia una scelta gravissima, perché l'Italia è un Paese che ha bisogno di riforme, di essere portato avanti in maniera decisa, di un lavoro coerente politicamente e io sono convinto che un lavoro coerente, deciso e riformista non possa nascere da un Governo in cui si riuniscono centrodestra e centrosinistra. Purtroppo, lo abbiamo visto in maniera evidente nella prima fase di questa legislatura.

Concludo su due temi di merito che riguardano questa legge. Il primo: è vero, la legge è migliorata, sono stati tolti i capilista bloccati, che prevalevano sui vincitori dei collegi uninominali. Su questo avevo presentato anche un emendamento, quindi sono felicissimo. Resta però il fatto che, in compenso, il numero dei collegi uninominali è diminuito e, quindi, si è arrivati vicini al terzo di collegi uninominali. Si è arrivati vicino - perché sono 234, se non erro, i collegi uninominali della Camera - a 400 candidati in liste bloccate.

Io non sono scandalizzato, perché per me il problema è la legge sui partiti, è la selezione dei candidati. Che un partito scelga i candidati non mi scandalizza. Però il MoVimento 5 Stelle ha urlato per quattro anni perché c'era un nominato in lista. Adesso ci sono 400 nominati che entreranno in Parlamento, le preferenze sono saltate.

Ho sentito dire che il MoVimento 5 Stelle farà una battaglia sulle preferenze. Io ho esaminato gli emendamenti in Commissione e quello sulle preferenze non c'era. Il tema vero, in questo caso, è che a tutti piacciono i nominati. A tutti piace decidere chi sta in lista. E io, che sono per il maggioritario e sono per i collegi uninominali, all'inglese per intenderci, non sono scandalizzato dal fatto che un partito possa scegliere. Credo che la scelta dei candidati si faccia prima - lo ripeto - non che, al momento delle elezioni, bisogna scegliere tra idee politiche e non tra candidati dello stesso partito.

Non mi piacciono le preferenze, però, ancora una volta, un minimo di coerenza! Siamo stati tormentati da questa storia dei nominati per tutta la legislatura e adesso tutti a votare un sistema in cui ci sono 400 nominati, parlando solo della Camera. Per di più aumentati, perché, sempre per richiesta del MoVimento 5 Stelle, sono aumentate anche le circoscrizioni.

Un ultimo tema. Si è voluto introdurre la soglia del 5 per cento. Io credo che la soglia del 5 per cento, in Italia, rischia di essere un po' antistorica. Infatti, noi abbiamo già visto le varie trattative, a cui partecipava tutta una serie di partiti che non hanno nessuna intenzione di sciogliersi e che parteciperanno poi alle elezioni, magari in questa o quell'altra lista, e poi riemergeranno in Parlamento come componenti del gruppo Misto e via dicendo. Infatti, sappiamo benissimo che andrà così, perché storicamente ci sono partiti che valgono il 2-3 per cento. Abbiamo ancora i liberali e i repubblicani, partiti di grande tradizione storica, per questo motivo. Però, abbiamo voluto mettere la soglia del 5 per cento, che una cosa di sicuro farà: scoraggerà i nuovi partiti. Benissimo, almeno lasciamoli andare alle elezioni.

Invece, si era partiti con una norma sulle firme, che le sommava tra Camera e Senato. Poi si è detto: sì, ma sono dimezzate in caso di elezioni anticipate. Scusatemi, le norme si guardano per quando si va alle elezioni alla data normale, quindi per ora dimentichiamoci della corsa alle elezioni in corso - scusate il gioco di parole -. Però, l'iniziale numero di firme, sommato tra Camera, Senato, collegi e circoscrizioni, era 425 mila. Era un bel partito come voti, per così dire, già di per sé. E si è detto: sì, ma sono le stesse persone.

Sì, ma ogni autentica costa, perché ai partiti nuovi, quelli che non hanno i consiglieri comunali e che magari non hanno una struttura consolidata sul territorio andare da un notaio e andare in cancelleria costa e, quindi, richiedere 420.000 firme autenticate è una follia. Siamo scesi a 112.000 solo per la Camera, 160.000 tra Camera e Senato. Ora mi domando: abbiamo parlato tanto di sistema tedesco, in Germania servono meno della metà delle firme non autenticate; in America si va alle elezioni del Presidente degli Stati Uniti senza firme autenticate; in Inghilterra ci si candida con dieci firme alla Camera dei comuni; in Francia non ne serve neanche una. Ma perché in Italia serve questo sistema? Perché il diritto di elettorato passivo deve dipendere dal fatto che io vado dal notaio? Io questa cosa la chiederò per tutto l'esame: qualcuno mi spieghi in cosa l'Italia è diversa dalla Francia, dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti, dalla Germania, qual è la differenza? E chiederò al relatore di spiegarmi questa differenza, non la tradizione: qual è la differenza? E lo chiederò al relatore e a tutti i partiti che voteranno un numero di firme assurde. Quanto meno occorre modificare il sistema delle autentiche e dei certificatori. Oggi, ripeto, si prevede che possano autenticare le firme la cancelleria del tribunale, i notai, che costano, e i consiglieri comunali riguardo ai quali, oltre a non essere diciamo esenti da colpe, abbiamo visto cosa è successo nelle ultime elezioni: non c'è stata un'elezione senza qualche condanna penale. Quindi diciamo che il sistema quanto meno va rivisto: ritengo che si debba ampliare la categoria dei certificatori. In Commissione Forza Italia ha proposto gli avvocati iscritti all'albo dei Cassazionisti; noi abbiamo proposto che sia il rappresentante di lista a designare una persona per circoscrizione che si piglia la responsabilità penale e, se fa parte del partito, è difficile, magari se è un candidato o magari un esponente di spicco che decida che fa campagna per andare a raccogliere, è difficile che si faccia partire un'indagine penale in automatico ma comunque bisogna semplificare tale procedura perché oggi parlavamo con dei costituzionalisti in un dibattito e dicevano che tale previsione c'è solo in Italia e che questo tema andrà alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Non si può introdurre una soglia del 5 per cento che esclude moltissimi cittadini dal voto e poi dire ai cittadini: guardate, non potete neanche provarci a meno che non raccogliate 60.000 firme sul bagnasciuga, se andremo a votare adesso, o 120.000 in periodo normale. Questo tipo di scelta è una scelta antidemocratica, contraria ai diritti di partecipazione che tutti propagandano qui dentro. Lo stesso MoVimento 5 Stelle che, quando ho presentato il testo base, mi aveva detto che era d'accordissimo, appena ha trovato una legge elettorale che gli piaceva ha presentato emendamenti che erano quasi uguali al testo iniziale presentato dall'onorevole Fiano. Ritengo che tutti i partiti debbano fare un'analisi seria a meno che non si voglia trasformare il Parlamento in un circolo esclusivo dove ci sono quattro-cinque partiti che giocano tra di loro e agli altri non lasciano neanche comprare le carte (Applausi dei deputati dei gruppi Civici e Innovatori e Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Rampelli. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, siamo arrivati a questa fatidica discussione che devo dire preliminarmente ci aspettavamo molto diversa sia nella genesi sia nei contenuti. Voglio rammentare ancora che, dopo il 4 dicembre, Fratelli dell'Italia ha chiesto immediatamente elezioni politiche anticipate salvo una correzione che si era ritenuta necessaria e indispensabile non solo e non tanto perché la Corte Costituzionale aveva eccepito sull'Italicum, la legge elettorale migliore del mondo secondo le dichiarazioni unilaterali dell'ex Presidente del Consiglio e “posone” Matteo Renzi, ma anche perché era necessario per garantire comunque la riproduzione di un sistema di cui Matteo Renzi era stato garante fino a che ha fatto il Presidente del Consiglio. Dopo il 4 dicembre il fallimento del Governo Renzi è stato chiarissimo. Noi avevamo chiesto, in modo particolare, che, prima di quella data in cui si è celebrato il referendum sulla riforma costituzionale, si potesse immediatamente porre rimedio con una norma di salvaguardia, modificando la legge elettorale nel caso in cui il referendum sancisse la bocciatura della riforma per avere le mani libere ed andare a passi veloci verso le elezioni anticipate.

Non c'è stato nulla di tutto questo: il Governo ha giocato di rimessa. È stato messo in campo quello che noi simpaticamente chiamiamo un Matteo Renzi sbiadito nella figura dell'attuale Premier Gentiloni e si è tirato a campare. Ora, di fronte alla possibilità di effettuare una mera correzione tecnica della legge migliore del mondo, l'Italicum, accettando esclusivamente le indicazioni pervenute dalla Corte costituzionale, in barba anche alla Corte europea e alle sue determinazioni, si è deciso di fare una legge elettorale completamente diversa: una legge elettorale ad personam o contra personam se possibile. Infatti, guardate un po' il caso, questo testo di legge elettorale presenta una serie di difetti collaterali che è improponibile non citare. Voglio rivolgermi alle poche persone che magari ci ascoltano attraverso Radio radicale e a coloro i quali fossero sintonizzati sulle altre frequenze anche televisive che mandano in onda i nostri lavori parlamentari. Cari elettori italiani, con questo accordo voluto e sottoscritto dal Partito Democratico, da Forza Italia, dal MoVimento Cinque Stelle di Beppe Grillo e dalla Lega di Salvini, voi non sceglierete il Presidente del Consiglio neanche indirettamente, come accaduto nelle ultime stagioni e con le ultime leggi elettorali. Cari italiani, con questo testo di legge elettorale, l' “Inciucellum” tra i soggetti appena citati, voi non deciderete neanche la coalizione che vi governerà. Come nel gioco dell'oca, capitati sulla casella sbagliata, quella di questi quattro partiti, si torna al punto di partenza che è la primissima Repubblica dove i cittadini, ascoltando i comizi elettorali in campagna elettorale, si fanno un'opinione ma non indicano coloro i quali dovranno governarli. Attraverso la peggiore cultura della delega ai partiti lasceranno ad essi la responsabilità di fare tutti gli inciuci possibili magari facendo esattamente l'opposto di quanto dichiarato in campagna elettorale. Cari italiani, voi non deciderete i parlamentari - hai voglia a raccontare frottole, caro Grillo, caro Presidente pro tempore Di Maio, caro Di Battista, cari amici dei Cinque Stelle - non è così: non fate i furbi e non ci provate perché il cento per cento dei nomi che saranno stampati sulla scheda, cioè tutti i candidati sia della parte proporzionale sia dei collegi uninominali, saranno scelti dai segretari di partito o da chi per loro nelle segrete stanze o nell'altrettanto segreta Rete: non saranno decisi dai cittadini ma i cittadini li avranno già stampigliati sulla scheda. Non ci saranno elezioni primarie che decideranno se al posto di Rampelli sulla scheda nel collegio uninominale ci dovesse stare Rizzetto o viceversa: no, sono i partiti a deciderlo esattamente alla stessa maniera delle vecchie leggi elettorali e del vituperato Porcellum con l'unica differenza che poi quei nomi si sottoporranno al giudizio del popolo ma i nomi sono stati scelti dai segretari dei partiti. È la legge elettorale delle oligarchie e, siccome ci sono partiti che in questo momento ballano sulla soglia del 5 per cento, che ce l'hanno con le oligarchie e che vogliono rompere il meccanismo delle oligarchie, allora ecco la correzione necessaria e utile per i due seguenti aspetti.

Il primo aspetto è minare alla radice le culture politiche che hanno di fatto animato i movimenti popolari e di massa e che derivano da nomi illustri e importanti, dalle immagini che furono, quelle di Giorgio Almirante o di Enrico Berlinguer o quelle dei pensatori, che in filosofia, prima che in politica, hanno animato questi pensieri e queste culture politiche, da Gramsci a Gentile: voi li volete uccidere per evitare che qualcuno che abbia la capacità di analisi e, quindi, anche di individuare un orizzonte verso il quale portare il popolo italiano possa rianimarsi dopo la parentesi della Seconda Repubblica e prendere di petto questo fluido immateriale che di fatto rende uguali tutti i partiti, compreso il MoVimento 5 Stelle. PD e Forza Italia in questo modo, con lo sbarramento al 5 per cento, puntano a rubare i voti di chi non raggiungerà il 5 per cento per avere i seggi necessari per fare il Governo di larghe intese e il MoVimento 5 Stelle, dal canto suo, rinuncia alla prospettiva di governo, non ritenendosi all'altezza, come ha dimostrato e sta dimostrando anche a Roma, e vuole semplicemente “reggere il moccolo”, garantirsi un ruolo di opposizione baccagliata e rumorosa, che non è contro un avversario politico - e concludo - ma è contro l'Italia e gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Annagrazia Calabria. Ne ha facoltà.

ANNAGRAZIA CALABRIA. Grazie, Presidente. La sfida più grande che un legislatore ha davanti a sé è quella di saper cogliere i cambiamenti e di offrire risposte giuste ed adeguate ad uno scenario in continua evoluzione. Questo vale anche per il quadro politico che negli anni più recenti ha subito un mutamento radicale, passando da un assetto bipolare a uno manifestatamente tripolare o quadripolare e, comunque, frammentato e parcellizzato. Riformare la legge elettorale in questo momento è dunque un atto necessitato, un atto dovuto, a maggior ragione alla luce della sentenza della Consulta che ha dichiarato l'Italicum parzialmente incostituzionale, e della bocciatura, lo scorso dicembre, della riforma costituzionale sottoposta al vaglio degli elettori. Tutto ciò, infatti, ha posto questo Parlamento di fronte a un quadro complesso: da un lato, la sopravvivenza del bicameralismo perfetto con il Senato elettivo; dall'altro, un sistema di voto largamente eterogeneo, disarmonico e con meccanismi diversi per ciascuna Camera.

Una profonda modifica della legge elettorale, in grado di raggiungere l'obiettivo dell'omogeneità dei sistemi di elezione dei due rami del Parlamento, era ed è, dunque, ineludibile, come più volte autorevolmente sottolineato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ma il legislatore in materia elettorale non può essere di maggioranza; la legge elettorale non può essere disegnata a favore di qualcuno o, viceversa, contro qualcuno. La legge elettorale necessita di un consenso ampio e di un consenso trasversale. Per questo vogliamo relegare ad un passato che certo nessuno rimpiangerà le forzature, quelle prove muscolari rappresentate dai voti di fiducia sulle regole del gioco democratico. Questa volta nel campo della dialettica parlamentare le forze politiche hanno scelto la strada della responsabilità, del dialogo e della collaborazione ed investendo sulla qualità della proposta politica l'affidabilità delle nostre istituzioni democratiche ne trarrà giovamento. Ecco perché è di straordinaria rilevanza che il testo giunto oggi all'esame dell'Aula veda la convergenza dei quattro principali attori dello scenario politico istituzionale italiano. L'intesa raggiunta tra Forza Italia, Partito Democratico, Lega Nord e MoVimento 5 Stelle ha impresso un'accelerazione, direi una svolta positiva che ci auguriamo possa ulteriormente allargarsi alla maggioranza dei gruppi presenti in Parlamento. La genesi di questa nuova legge elettorale rappresenta l'occasione che la politica sembrava da alcuni non potesse avere più per guadagnare nuovamente efficacia nella sua azione, credibilità e fiducia agli occhi dei cittadini. Ecco perché rifiutiamo, con determinazione, qualsiasi allusione e qualsiasi tentativo di squalificare una prova di serietà e di responsabilità verso l'Italia raggiunta nell'esclusivo interesse dell'Italia. Vogliamo, infatti, fare rilevare come, attraverso la costruzione di un sistema elettorale equilibrato ed armonico per entrambe le Camere, sia possibile portare in Parlamento una rappresentanza che rispecchi pienamente la volontà popolare, senza distorsione tra voto ed eletti. In questo modo abbiamo finalmente a portata di mano un obiettivo importante, ovvero quello di tornare ad affidare alle urne e, quindi, alla libera scelta degli elettori i nuovi equilibri che dovranno governare il Paese.

Tuttavia, proprio nel giorno in cui discutiamo del nuovo sistema di voto, credo che sia giusto ribadire che l'onere dell'adeguamento del nostro sistema istituzionale alle dinamiche sociali in rapida evoluzione, all'internazionalizzazione che ha rivoluzionato il ruolo dei pubblici poteri e del governo dei processi economici, alla mutata domanda politica dei cittadini, ecco questo onere non può continuare ad essere caricato sulle spalle delle riforme elettorali. Se infatti non c'è dubbio che la legge elettorale ha un peso non secondario nell'orientamento della configurazione istituzionale, è altresì chiaro che non si tratta di uno strumento salvifico.

Al contrario, per essere realmente efficace questo strumento va inserito in un coerente contesto di norme costituzionali e regolamentari che consentano al Paese di tenere il passo delle grandi democrazie dell'Occidente e di avere dei meccanismi decisionali adeguati alla portata delle scelte da compiere in un mondo sempre più complesso.

Concedetemi di ricordare che Forza Italia, in virtù della sua vocazione riformatrice, ha sempre stimolato la capacità della politica di riprendere il ruolo che le è proprio, ovvero quello di rilanciare, attraverso riforme puntuali, l'obiettivo di un Paese più libero e di un Paese più competitivo. Da questo slancio nasceva la riforma costituzionale del Governo Berlusconi, una riforma che voleva modernizzare le istituzioni per modernizzare il Paese e che voleva creare un'architettura più snella per tenere il passo della competizione globale. Non c'è stato consentito di farlo per le ragioni che tutti quanti conosciamo. Perciò oggi guardiamo a questa proposta di legge elettorale di stampo proporzionale come anche ad un'opportunità per il futuro, affinché la prossima legislatura possa davvero essere una legislatura costituente. Solo un sistema elettorale proporzionale, infatti, in un quadro politico così diviso può aprire le porte a una fase di ampia collaborazione per la modifica della nostra Carta. Il presidente Berlusconi ha definito il proporzionale un sistema di giustizia. Ecco, è davvero così perché è giusto ed è doveroso garantire la corrispondenza tra voti ed eletti, tra consenso e rappresentanza.

Per queste ragioni possiamo dirci soddisfatti del clima costruttivo, del punto di equilibrio raggiunto in Commissione affari costituzionali e ci auguriamo che questo clima costruttivo possa continuare a proseguire nel corso dell'esame in Aula, senza in alcun modo indebolire l'impianto del provvedimento che abbiamo costruito, perché questa proposta di legge non deve servire a chi è qui dentro ma deve servire a chi è fuori di quest'Aula. A vincere non deve essere questo o quell'altro partito ma deve essere l'Italia. Siamo convinti che quest'Aula saprà essere all'altezza della sfida, perché tutti siamo chiamati a scrivere una pagina nuova nella storia del nostro Paese. Questo si aspettano da noi gli italiani, questo dobbiamo ai cittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Abrignani, che non è in Aula.

È iscritto a parlare il collega Buttiglione, che non è in Aula.

È iscritta a parlare la collega Barbara Pollastrini. Ne ha facoltà.

BARBARA POLLASTRINI. Signor Presidente, altri miei colleghi sono intervenuti, motivando il sostegno al testo che approda oggi in Aula, ma sono grata al mio gruppo per questi minuti nei quali forse introdurrò un punto di vista più personale. Anch'io prima però voglio ringraziare il relatore Fiano e il presidente Mazziotti Di Celso per un lavoro che in Commissione ha consentito un ascolto più maturo. La proposta iniziale, infatti, ha conosciuto alcuni miglioramenti: mi riferisco alla priorità di elezione per i più votati nei collegi uninominali, alla limitazione delle pluricandidature e alle norme sull'equilibrio della rappresentanza di genere. Tengo a dirlo perché sono emendamenti che anch'io, con altri colleghi, avevo depositato. E ora sento, però, il compito che questa Camera provi a correggere e a migliorare ancora l'impianto attualmente in discussione. Penso, in particolare, a come rafforzare il potere di scelta dei cittadini sui candidati, al rafforzamento delle norme sull'equilibrio di genere e ad altri punti discussi anche negli interventi precedenti.

Detto ciò, riconosco che l'impianto di questa proposta di legge è sostenuto da una larga intesa parlamentare. Ugualmente, so che, quando si scrivono le regole, questo dovrebbe essere sempre il metodo scelto. Forse, posso dirlo con qualche coerenza, dal momento che al tempo dell'Italicum - non parlo della preistoria ma solo di alcuni anni fa - sono stata tra quanti vennero sostituiti in Commissione affari costituzionali e di lì a poco negarono su quel testo la fiducia al Governo e lo fecero per ragioni di metodo e per prevedibili difetti di costituzionalità, come poi avrebbe stabilito la Consulta.

Colleghe, colleghi, con la stessa onestà voglio dire qui della mia sofferenza e preoccupazione per l'epilogo della legislatura. Non mi riferisco alla data delle elezioni che verrà decisa dal Presidente della Repubblica spero dopo aver licenziato alcune leggi attese da anni.

Per la mia sensibilità voglio citare il fine vita, il reato di tortura e le nuove norme sulla cittadinanza. Ma ho parlato di preoccupazione e sofferenza perché sento la promessa mancata, forse non è un'esagerazione dire tradita, attorno al dovere costituzionale di questa legislatura. Ho rivisto immagini che abbiamo condiviso all'interno di quest'Aula: il mio gruppo segnato dalla ferita dei 101 voti mancati a Romano Prodi, il ritorno del Presidente Napolitano, l'affidamento al suo discorso e l'applauso che ha accompagnato l'ambizione del Parlamento più giovane e femminile della storia a completare finalmente riforme inseguite e mancate nell'arco di trent'anni. Ma ho rivisto anche questo emiciclo svuotato per metà dalle opposizioni, e, in particolare, da una destra imprigionata in toni irricevibili nel confronto decisivo sulla riforma costituzionale. Di lì la rincorsa al referendum di dicembre, che ha sancito la sconfitta non soltanto di una parte, ma di un intero ciclo politico.

Di fronte a un esito di questa natura, è evidente che ciascuno, sia egli espressione della maggioranza o delle opposizioni, sia come collettivo o come singolo, porta su di sé una quota di responsabilità, e, in primo luogo, la porta chi ha spinto il Paese su questa china. La legislatura nata per condurre l'Italia fuori dalla sua infinita transizione ha fallito il traguardo. Credo che sia anche la fotografia, questa, delle classi dirigenti, nella politica, ma, lo voglio dire, come in altri ambiti, in un Paese che non per caso stenta a riprendersi, anche perché troppo indifferente verso diseguaglianze immorali, povertà e mancanza di lavoro. Ecco, colleghe e colleghi, il punto nel quale ci troviamo oggi.

E forse ha ragione il professor Onida, quando scrive che la legge elettorale, questa legge elettorale, altro non fa che rispecchiare l'esistente. Tuttavia, proprio la scelta di un sistema proporzionale senza correttivi impone - questo è il punto - semmai ancora di più di dichiarare dove, con chi e con quali obiettivi si intende guidare il Paese. Resta, infatti, l'enorme nodo politico di fondo che in tanti segnalano come il vero problema del futuro: questo testo non risolve i rischi di ingovernabilità, non risolve i rischi di intese anomale, anzi li aggrava; intese anomale realizzate dopo la chiusura delle urne. Anche per ciò avrei voluto una legge che non chiudesse ogni spiraglio al formarsi di coalizioni da dichiarare prima del voto e alla luce del sole. Non vedo un assetto dinamico e più solidale in un'Italia guidata da un rassemblement di cosiddetti responsabili da contrapporre all'offensiva populista.

Resto convinta che solo una democrazia dell'alternanza, con soluzioni limpide e, per quanto mi riguarda, nel segno di un nuovo centrosinistra largo, civico, inclusivo, rappresenti ancora adesso il vero bene per la comunità e l'ancoraggio migliore a istituzioni solide e condivise. Anche per questo mi rivolgo certo al PD e alla sinistra fuori e dentro da qui, al campo progressista di Giuliano Pisapia, e non solo, perché si ricerchi il filo del dialogo e il filo dell'unità. Se poi alziamo lo sguardo all'Europa e al mondo, la cosa forse più importante per la politica, tutto ciò diventa semplicemente, semplicemente, davvero indispensabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Rizzetto. Ne ha facoltà.

WALTER RIZZETTO. La ringrazio, Presidente. Prima una nota di colore (Commenti del deputato Fiano)… no, non nero, come afferma il collega Fiano, che, evidentemente, è ossessionato da una certa parte politica, ma vorrei far notare che, fortunatamente, giustamente, il gruppo parlamentare che io rappresento in questo mio intervento è proporzionalmente il più presente in Aula oggi, che è un martedì di lavoro per tutti i normali cittadini italiani, e non mi rivolgo soltanto ai colleghi parlamentari, anche se questa ricordo, giustamente, essere una discussione sulle linee generali.

Lo ricordo anche ai giornalisti che, all'epoca di un lunedì fatto di una discussione sulle linee generali sul testamento biologico - legge importante, importantissima, ci mancherebbe altro -, hanno accusato i parlamentari di non lavorare. Vorrei vedere gli stessi titoli domani rispetto al lavoro dei parlamentari su di una legge fondamentale per la democrazia, e non per i parlamentari, quale è, Presidente, la legge elettorale.

Una legge elettorale che, di fatto, è stata nominata con queste desinenze improbabili, desinenze latine in vari modi. Quello che a noi piace di più, sempre parafrasando dalla lingua latina, è o Inciucellum, che ci pare cosa buona e giusta da applicare rispetto alle porcherie che sono state fatte in seno a questa legge elettorale, o, come leggevo, un termine simpatico, qualche giorno fa su qualche giornale, il Brigantellum.

Per conoscere la stima esatta rispetto a quanto stiamo vivendo in questi mesi e in queste ore, vado, sulla scorta di quanto appena affermato dalla collega Pollastrini, a ricordare un passaggio dell'intervento della collega, che dice, se non ricordo male, ma correggetemi, che, di fatto, in seno al voto referendario del 4 dicembre scorso, vado a citare, sono state le destre - le destre - ad applicare un contraddittorio becero rispetto alla riforma costituzionale, fortunatamente strapersa dal partito di maggioranza e dal suo principale azionista Matteo Renzi.

Allora, colleghi - eventualmente mi rivolgo, anzi, sicuramente in primis mi rivolgo anche ai cittadini che hanno l'ardire di ascoltare questo nostro dibattito - questo dà l'esatta stima dell'accordo poco chiaro che c'è stato fra quattro partiti, perché la collega avrebbe potuto citare rispetto all'opposizione che una certa parte politica ha fatto sulla riforma costituzionale il MoVimento 5 Stelle, e non l'ha fatto. Strano. Avrebbe potuto citare Forza Italia, e non l'ha fatto. Strano. Ha citato le destre; quindi, con orgoglio ci prendiamo questa responsabilità di avere messo, secondo i colleghi - forse tra gli unici, a questo punto, visti gli accordi - i bastoni fra le ruote rispetto alla riforma costituzionale votata lo scorso 4 di dicembre.

Avete parlato tutti, continuerete a parlare, sicuramente anche in modo demagogico, rispetto a quanto stiamo votando e andremo a votare nelle prossime ore. Ho letto parecchi commenti da parte di svariati colleghi: la legge elettorale deve essere una legge approvata a larga, larghissima condivisione. Così non sarà: si voteranno questa legge elettorale il Partito Democratico, Forza Italia, Lega e MoVimento 5 Stelle. Un meccanismo fatto apposta per tarpare le ali, per segare le gambe ai cosiddetti partiti piccoli, ma, ricordo, una soglia del 5 per cento può essere considerata come un partito piccolo? Questo lo do e lo lascio ai cittadini, lo lasceremo decidere ai cittadini, anche perché, sotto questo punto di vista, mi pare che molto spesso il gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale non abbia avuto timore nel dire: andiamo subito - subito! - al voto. E ci prenderemo questa responsabilità anche questa volta, però, di fatto, questa pessima legge elettorale, questo accordo rispetto alla legge elettorale, è fatto ad un unico scopo, allo scopo di far tornare plausibilmente Matteo Renzi, il principale killer di Governi degli ultimi anni, a Palazzo Chigi.

Ebbene, non ce la farà; non ce la farà perché state prendendo, ancora una volta e su di una legge importante, in giro gli italiani. Presidente, ho terminato il tempo?

PRESIDENTE. Ha ancora trenta secondi.

WALTER RIZZETTO. Allora, Presidente, volevo fare vedere due cose. La prima, Presidente, è che il MoVimento 5 Stelle, lei lo sa, l'8 settembre 2007 scriveva questo: elezione diretta, no ai parlamentari scelti dai segretari di partito, i candidati al Parlamento devono essere votati dai cittadini con la preferenza diretta.

Non lo diciamo noi, lo dice l'avvocato Besostri, che ci saranno più del 60 per cento di nominati.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

WALTER RIZZETTO. Ed in seconda ed ultima battuta, Presidente, e concludo: vado a mostrare questa, che è la scheda elettorale del sistema elettorale tedesco, con il voto disgiunto che voi avete sacrificato sulla base di queste larghe e nuove alleanze, che probabilmente porteranno - e concludo, Presidente - il nostro Paese in un territorio oscuro, in un territorio non rappresentativo e in un territorio di non governabilità, che farà arrivare l'Europa e la Troika a governare una volta per tutte questo bellissimo ma disgraziato Paese nel quale viviamo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Abrignani. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

IGNAZIO ABRIGNANI. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, per la seconda volta in questa legislatura il Parlamento affronta la riscrittura della legge elettorale. Diversamente da quanto accaduto con l'Italicum, approvato non senza polemiche dopo 16 complicati e convulsi mesi di lavoro, questa legge, se andrà in porto, potrebbe conquistare due primati: l'iter di approvazione più breve e la più ampia maggioranza a sostegno. Se sul primo punto se la gioca con la legge cosiddetta Calderoli, sul secondo l'unico caso di legge elettorale votata da una maggioranza più ampia di quella correlativa avrebbe potuto essere l'Italicum, se il corso della storia non avesse preso una direzione diversa; ma non sono i primati gli obiettivi di una legge elettorale, bensì offrire agli attori politici regole del gioco chiare.

La velocità impressa al dibattito potrebbe sollecitare all'osservatore distante dalla politica una domanda su quanto sia prioritaria la legge elettorale di fronte ad altri temi su cui non si riscontra analoga incisività d'azione; e in quello più malizioso la riflessione circa l'esigenza e l'opportunità di cambiare nuovamente le regole del gioco: entrambe osservazioni motivate, ma controdeduzioni altrettanto motivate e collegate. È pur vero che il nostro Paese sta affrontando da anni una contingenza economica difficile, che si riverbera nella quotidianità di moltissimi cittadini e cittadine, ma è incontrovertibile che a dover prendere decisioni più importanti è il Governo: un Governo che nasce a seguito delle elezioni, e senza una nuova legge elettorale l'alternativa sarebbe stata adottare il sistema residuato dalla sentenza della Corte costituzionale, esportato al Senato con tutti i limiti connessi. Da qui l'esigenza di riscrivere le regole del gioco, accogliendo il monito espresso dal Presidente della Repubblica, di poco più di un mese fa. Lo si sta facendo, non senza difficoltà, con l'obiettivo ambizioso di raggiungere quanto prima il risultato, e cercando di ottenere il consenso più ampio possibile. E poco importa se l'accelerazione è stata impressa per accorciare la durata di questa legislatura e correre verso il voto d'autunno: fissare la data delle elezioni è prerogativa del Capo dello Stato, non certo parlamentare. Lo è invece il contenuto di questa legge elettorale, e su questo cercherò di fare una disamina onesta, scevra da deduzioni o giudizi viziati da interessi di parte.

Il problema di questa legge elettorale - che, ripeto, è il proporzionale -, se non è innestato in un sistema non bipolare favorisce per sua natura governi di coalizione: lo fa in sistemi politici essenzialmente bipolari come quello tedesco, figuriamoci in uno ancor più frammentato come quello italiano. Non sono io a dirlo, ma molti politologi: su tutti questi, anche oggi Roberto D'Alimonte e Angelo Panebianco. Il problema del nostro Paese è ormai che ci sono tre forze in campo: il MoVimento 5 Stelle, un centrosinistra e un centrodestra. La politica, per carità, è l'arte del possibile, la scienza del relativo; ma è giusto cercare di trovare un'intesa tra le quattro forze non combinate dal calcolo combinatorio, bensì pregevolmente limitandosi ad una: una e una sola opzione, che non è detto ottenga la maggioranza assoluta dei seggi, tanto più se ad entrare in Parlamento saranno anche altri soggetti in divenire o già attualmente vicini alla soglia.

Noi di Scelta Civica-ALA non facciamo mistero della nostra posizione, anzi la rivendichiamo con orgoglio: avremmo preferito un sistema maggioritario, in grado di assicurare governabilità senza conculcare la rappresentanza. Lo avremmo preferito non perché ci faceva comodo, ma perché ritenevamo e riteniamo che dare stabilità e forza all'Esecutivo è condizione necessaria per affrontare le difficili sfide che aspettano il Paese. Per contemplare queste istanze, io insieme al collega Parisi abbiamo presentato una proposta di legge che prevedeva una ripartizione paritaria tra due sistemi di seggi da assegnare, 50 per cento coi collegi uninominali e 50 per cento col proporzionale; e contemplava anche la possibilità di stringere alleanze preelettorali e garantiva la governabilità. Sarebbe stato a nostro avviso un sistema equilibrato, temperato, efficiente. Si dirà che il premio di governabilità sarebbe stato insufficiente in presenza di un sistema bicamerale come il nostro; certo, se il 4 dicembre le cose fossero andate in maniera diversa, questo problema non sarebbe all'ordine del giorno. Ma è meglio tornare al presente, agli aspetti meno convincenti di questa legge.

Il rischio di non riuscire a trovare una maggioranza è figlio, oltre che del proporzionale puro, anche della mancata disponibilità ad inserire la possibilità di formare coalizioni pre-elettorali e un premio di maggioranza. Le prime avrebbero temperato la tendenza propria del proporzionale a favorire il voto identitario, contribuendo a polarizzare le convinzioni su alleanze; il premio di maggioranza, invece, avrebbe rappresentato un'ancora di governabilità di fronte al rischio di maggioranze risicate o insistenti.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

IGNAZIO ABRIGNANI. Ma, al di là dell'amarezza e delle previsioni tutt'altro che rosee, fare politica significa anche affrontare con realismo e responsabilità l'esistente; a partire da un dato fondamentale: una legge è meglio che nessuna legge. Il rischio di andare a votare con una legge diretta derivazione di una sentenza della Consulta era alto, e non sarebbe stato un fatto positivo. Per cui noi riteniamo che ancora in Aula possa farsi qualcosa per migliorare questa legge, per cui non è questo il giudizio definitivo. Abbiamo davanti a noi ancora molte ore di dibattito, e la possibilità di apportare ulteriori migliorie al testo di questa legge elettorale: non sprechiamo l'occasione! Solo allora potremo definitivamente dire se il risultato raggiunto era o no soddisfacente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, io ho chiesto di impegnare soltanto cinque dei minuti a disposizione del mio gruppo per la discussione generale sulla legge elettorale, perché vorrei dire poche cose tentando brevemente di rispondere ad alcune obiezioni che ho ascoltato nel corso del dibattito. Intanto però vorrei esprimere la contentezza di Forza Italia per il risultato raggiunto in Commissione, per essere qui oggi a discutere una legge elettorale attorno alla quale si è costruita una maggioranza molto ampia, impensabile nei suoi contorni fino a qualche settimana fa. Siamo contenti perché oggi si discute di una proposta che è molto simile a quella che noi abbiamo presentato qualche mese fa, che prevedeva appunto un impianto di legge proporzionale con l'elezione dei deputati prevalentemente all'interno di collegi uninominali, e molto simile anche all'emendamento presentato al cosiddetto Rosatellum, che in qualche modo modificava quel testo maggioritario in un testo proporzionale sul modello tedesco. Siamo contenti anche perché, come ha ricordato qualche collega intervenuto prima di me, noi siamo stati eletti con una legge che di fatto nominava i parlamentari, non li eleggeva: i cittadini non li votavano, non conoscevano neanche i loro nomi perché i nomi dei parlamentari non erano scritti sulla scheda elettorale, una legge dichiarata incostituzionale; ora stiamo discutendo una legge che dà la possibilità ai cittadini di conoscere i loro parlamentari perché sono eletti in collegi uninominali, e anche quelli posti nei listini corti, per così dire, hanno il nome scritto sulla scheda: quindi c'è una legge che è notevolmente migliorativa di quella che ha espresso i parlamentari in questo Parlamento.

Dicevo, sembrava impossibile che si potesse accogliere l'invito del Capo dello Stato, quando auspicava una maggioranza ampia a favore di una nuova legge elettorale, una maggioranza dai contorni appunto imprevedibili fino a qualche settimana fa: ebbene, il Parlamento sembra ci stia riuscendo. È una buona cosa o no? Secondo noi è una buona cosa!

Sono contrari, almeno ad ascoltare il dibattito, soltanto i gruppi che legittimamente vedono in questa legge il rischio di non poter essere rappresentati per effetto della soglia di sbarramento. Ma anche la soglia di sbarramento al 5 per cento per noi è un valore, perché semplifica il sistema dei partiti e rende le maggioranze meno vincolate ai poteri di veto dei piccoli partiti, che tante volte abbiamo sperimentato in passato.

Ho ascoltato alcune obiezioni, secondo me assolutamente risibili. Si dice: questa legge elettorale non garantirebbe la governabilità; ma è compito della legge elettorale innanzitutto garantire la rappresentanza! In un sistema che è tripolare neanche una legge elettorale maggioritaria garantirebbe la governabilità, perché chi ci dice che in un sistema maggioritario uno dei tre poli equivalenti avrebbe la maggioranza dei seggi? L'unico sistema sarebbe quello col ballottaggio; ma la Corte costituzionale nel nostro Paese ha dichiarato incostituzionale il ballottaggio!

Quindi si è trattato di decidere se fare una legge elettorale maggioritaria, che avrebbe rappresentato una distorsione della rappresentanza senza assicurare la governabilità, o almeno fare una legge elettorale che garantisse ai cittadini di essere rappresentati per come votano; se il 20 per cento dei cittadini italiani vota per una lista è giusto che quella lista abbia almeno il 20 per cento dei parlamentari.

È stato detto ancora che questa legge sarebbe propedeutica alle larghe intese. Non è così, in Germania le larghe intese sono state praticate soltanto negli ultimi anni, è capitato più spesso che governasse il centrodestra o il centrosinistra. Noi ci candidiamo a governare, a raggiungere un risultato insieme alla Lega, a Fratelli d'Italia, che ci consenta di avere la maggioranza assoluta dei seggi.

Credo che sarebbe una buona cosa se il Parlamento riuscisse in tempi brevi ad approvare questa legge che può essere migliorata - concludo Presidente - nell'esame dell'Aula. Ma lo dico con grande chiarezza: per quando ci riguarda, l'impianto della legge è quello licenziato dalle Commissioni (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente), qualsiasi altra modifica che non fosse quella raggiunta attraverso il lavoro faticoso nelle Commissioni, per quando ci riguarda, sarebbe una modifica assolutamente non concordata e che metterebbe in discussione l'impianto generale stesso della legge.

Per concludere, signor Presidente, crediamo che questa discussione di oggi dimostri ancora una volta, qualora ce ne fosse necessità, che il nostro leader, il leader del nostro partito, Silvio Berlusconi, ha visto giusto. Si parlava solo di maggioritario in questo Paese, sembrava ineluttabile fare una legge di stampo maggioritario, è bastato che intervenisse Berlusconi, è bastato che intervenisse lui, perché la proposta di Forza Italia diventasse proposta maggioritaria, a dimostrazione del fatto che Silvio Berluconi è ancora un personaggio necessario e indispensabile nella politica al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Presidente, membri del Governo, oggi inizia alla Camera la discussione sulla nuova legge elettorale che dovrebbe essere definitivamente approvata entro la prima settimana di luglio, con una corsa veloce che non ha uguali rispetto ad altri disegni di legge di questa Camera che sono parcheggiati da mesi, per non dire da anni. Una legge travagliata, passata tra modelli diversi, dal proporzionale al maggioritario e ritorno, fino ad approdare al cosiddetto sistema tedesco, anche se di tedesco è rimasto ben poco. Si tratta in definitiva di una legge proporzionale con un macchinoso meccanismo maggioritario di selezione dei candidati, una selezione che resta tutta a carico dei rispettivi leader, per cui in definitiva si conferma ancora una volta come una legge che nomina i suoi candidati, li sceglie, lasciando ben pochi margini ai cittadini e alle loro preferenze.

Una legge che proprio per questo suo iter contorto, non convince i cittadini che hanno la sensazione di essere raggirati dai big dei rispettivi partiti che decidendo l'ordine dei candidati di fatto bloccano le scelte dei cittadini, che si pongono sostanzialmente due domande: chi vince le elezioni? Ma soprattutto anche: come posso influire io nella scelta dei candidati se questo è davvero un sistema democratico? Per blindare la vittoria dei partiti maggiori si sono penalizzati i cosiddetti partiti minori, ponendo una soglia al 5 per cento piuttosto alta, quasi irraggiungibile per alcuni, superabile solo da un grande rassemblement di piccoli partiti che dovranno in qualche modo fare i conti con le loro tensioni interne dandosi davvero un obiettivo che vada oltre i piccoli orizzonti.

Ma sono tre, di fatto, gli ostacoli che attualmente si possono intuire: la scomparsa dei piccoli partiti con la loro storia e le loro tradizioni, la loro cultura e la loro capacità rappresentativa complessiva, che sarà una ferita grave, un vulnus in quella che è la storia e la cultura del Paese. La riduzione delle distanze in termini percentuali tra i partiti maggiori, PD, Cinquestelle, Forza Italia (di cui non si può sottovalutare il fattore Berlusconi) e la Lega (di cui non si può escludere l'alleanza con i Fratelli d'Italia), che potrebbe rendere molto difficile fare alleanze di Governo con le ovvie conseguenze, avendo quattro partiti, i quattro maggiori, che in questa loro alleanza se la battono tanto da rendere l'uno la vita reciproca all'altro dopo aver insieme distrutto quelli che sono i piccoli partiti.

In questo modo sia rappresentatività che governabilità risultano compromesse e sarebbe la drammatica sconfitta di una legge elettorale, non voglio pensare all'Italicum, approvata, mai applicata e accantonata. Ma sarebbe la stessa cosa di questa legge, perché il suo fallimento sarebbe subito dopo le elezioni nella dimostrazione concreta di aver tradito la sensibilità e la cultura degli italiani. Che cosa voglio dire? Dimenticare che sono molti i piccoli partiti, quelli che sono in grado di puntellare Governi fragili, di smussare asperità, di aumentare i livelli di flessibilità e duttilità di un Governo. Cancellare questo significa aprire ai quattro un fronte di lotta aperta difficilmente colmabile e superabile.

C'è un punto però che mi interessa segnalare comunque, anche se questo significherà forse un aspetto positivo da difendere in Aula, ma che in questa fase può essere interessante: è il tema delle quote rosa, sempre molto controverso che presenta luci ed ombre, su cui vale la pena riflettere. Sono passati cinque anni dall'approvazione della “legge Golfo-Mosca”, ne mancano altri 5 alla sua scadenza prevista per il 2023. La norma riguarda la presenza delle donne nei consigli di amministrazione e prevedeva che al primo rinnovo degli organi sociali le donne dovessero rappresentare almeno un quinto, che diventava un terzo al secondo e un terzo al rinnovo. Il monitoraggio della “legge Golfo-Mosca” ha mostrato come la percentuale delle donne che ricoprono ruoli di vertice è sensibilmente aumentata in Italia nel triennio 2013-2016. L'attuale proposta di legge elettorale parla di un 40 per cento di candidature femminili e di un bilanciamento quasi perfetto tra capilista. La presenza femminile nelle posizioni di vertice non è un problema con cui si definisce una questione di potere da devolvere alle donne, è semplicemente la radiografia di un Paese in cui ancora oggi sussiste il famoso tetto di cristallo. Per questo, anche se voteremo convintamente “no” alla legge, voteremo “sì” a questi emendamenti. È un gesto di omaggio al genio femminile, perché le nuove generazioni trovino un segno della stima e della fiducia che le colleghe più anziane hanno nei loro confronti (Applausi dei deputati del gruppo Misto-UDC-Idea).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Roberta Agostini. Ne ha facoltà.

ROBERTA AGOSTINI. Grazie, Presidente. Ci troviamo a discutere in Aula dopo un passaggio di discussione nella I Commissione rapido e condotto in tempi estremamente ridotti nel fine settimana appena trascorso. Dopo molti mesi di pausa e di attesa in Commissione per una discussione sulla legge elettorale, aspettando che il PD eleggesse il suo segretario, alla fine la discussione su un testo si è consumata in pochissimo tempo.

Ci troviamo a discutere su un testo uscito da un accordo e da un patto politico contratto dalle quattro principali forze che garantiscono qui in Aula, nel passaggio in Aula, una maggioranza che definirei blindata e quindi una contestuale approvazione molto veloce; addirittura dai giornali ci viene detto entro i primi giorni del mese di luglio anche al Senato. Io non penso che ci sia nulla di male, non credo che si debba gridare allo scandalo e all'inciucio ogni qual volta si riesca a trovare un'intesa o quando si costruiscono dei patti politici trasparenti nell'interesse del Paese, soprattutto quando questi patti politici trasparenti riguardano le regole che presiedono al funzionamento delle istituzioni democratiche. Io però non credo che noi ci troviamo di fronte ad un'intesa paragonabile, ad esempio, a quella che i costituenti seppero trovare in anni difficili della nostra Repubblica. Io credo che qui siamo in presenza di altro e che il cuore di questo patto, di questo accordo, sia la corsa verso le elezioni anticipate, verso il voto d'autunno, dal quale ognuno dei principali contraenti il patto crede di trarne un vantaggio.

Mi rivolgo alla collega Dieni, che non vedo qui in Aula adesso, che spiegava e raccontava l'adesione a questo patto come una tappa della crescita del MoVimento 5 Stelle: “siamo diventati grandi”. Io credo che più che essere diventati grandi e più che dare una dimostrazione di saper governare e di saper restare in politica, qui diciamo ci si accorda sulla parte più politicista di quella che è la dinamica e la dialettica politica e non credo che si spieghi in un altro modo la velocità con la quale stiamo approvando un testo: ad esempio, anziché conferire in maniera corretta una delega al Governo per il ridisegno dei collegi, noi stiamo prevedendo che, in caso di elezioni anticipate, saranno i vecchi collegi del Mattarellum a diventare i nuovi collegi, sulla base di un censimento del 1991, una previsione che crediamo in contrasto con quanto previsto dagli articoli 56 e 57 della nostra Costituzione, sulla quale presenteremo una pregiudiziale.

Un accordo su un testo di legge, dunque, stretto in previsione di elezioni in autunno. Ma davvero non riusciamo ad imparare nulla dal fatto che l'Italia è il Paese occidentale che negli anni ha sperimentato più leggi elettorali e che ha visto le ultime due non passare il vaglio della Consulta?

La convergenza però tra le quattro forze politiche che hanno stretto il patto ha anche un'altra ragione di fondo, che riguarda la natura del testo che stiamo esaminando e che ci viene proposto: si è evocato, spesso a sproposito, il sistema tedesco, perché invece in Germania ci sono partiti solidi, partiti organizzati, riconosciuti per legge, che sono anche i protagonisti della vita politica e democratica; la loro dialettica interna è regolata, godono di finanziamenti trasparenti, svolgono un ruolo nella formazione della coscienza civile del Paese e nella discussione pubblica.

Io non voglio elogiare oltre misura il sistema dei partiti tedesco, con cui ho avuto modo di venire in contatto in alcune occasioni, ma di certo non si può paragonare ad una condizione leaderistica e in alcuni casi proprietaria e padronale nella quale purtroppo vive il sistema dei partiti nel nostro Paese, partiti spesso ridotti a comitati elettorali totalmente o quasi identificati con il capo, che non hanno una vita democratica al loro interno.

Il capo: questa dizione, capo della forza politica, la ritroviamo nel testo in eredità dal Porcellum, anche in questa proposta.

Noi abbiamo fatto un emendamento che ci sembrava di buonsenso per cancellare la parola “capo”, perché in democrazia, vedete colleghi, io penso che non ci possano essere capi: ci sono segretari, ci sono leader di partito, ma capi io non ne riconosco.

La democrazia del capo è quella che disegna un sistema per il quale, ad esempio, la maggior parte dei candidati saranno eletti con le liste bloccate.

È vero, in Commissione ci si è fermati in tempo, rendendoci conto, rendendosi conto tutti del fatto che era almeno indispensabile che i primi eletti fossero gli eletti nei collegi e non gli eletti nei listini bloccati, però l'ampliamento dei collegi per risolvere il problema dei sovrannumerari alla fine ha l'effetto di aumentare la quota degli eletti del listino bloccato che arriva ad oltre il 60 per cento, se le proporzioni non mi ingannano.

Allora noi per questo abbiamo chiesto in Commissione e continueremo a chiedere con gli emendamenti l'introduzione di un diritto di scelta democratica dei cittadini e degli elettori, attraverso la doppia preferenza di genere per quanto riguarda i listini e almeno la possibilità, appunto come in Germania, di introdurre il voto disgiunto tra collegio e listino.

Qui, con un solo voto, si riduce drasticamente la possibilità di incidere, da parte dell'elettore, nella composizione dell'Assemblea parlamentare; con un solo voto si prende 2, ma possono essere anche 3, 6, mentre con il doppio voto, come in Germania, io sono libero di votare per il mio partito, magari nella parte più proporzionale del listino e poi magari attribuire il voto sul collegio alla persona meno lontana dalle mie idee, ma che può risultare competitiva e vincente in quel collegio.

Tra l'altro, questo sistema è anche molto usato e molto apprezzato in Germania ed è anche utilizzato ed è stato utilizzato dalle forze politiche anche come una indicazione coalizionale, una indicazione di accordi che si sarebbero potuti fare in Parlamento dopo il voto.

Certo, la legge presenta alcuni - io credo - limitati aspetti positivi, che sono frutto di alcune battaglie che come donne abbiamo portato avanti insieme dentro questo Parlamento, ma anche e soprattutto fuori dal Parlamento: abbiamo previsto l'alternanza di genere nei listini, in Commissione si è migliorato il testo introducendo anche una norma antidiscriminatoria per quanto riguarda le capolistature (avremmo preferito ovviamente il 50 e 50, però una norma antidiscriminatoria significa anche che c'è diciamo la possibilità, per le forze politiche che lo desiderano e che vogliono raggiungere questo obiettivo, di arrivare ad una piena parità tra i generi all'interno delle capolistature, così come ci sarà dentro l'alternanza nei listini, così come è prevista nei collegi.

Credo che in Aula - e questa era anche una richiesta che avevamo fatto al relatore - dobbiamo introdurre una norma chiara per quanto riguarda il controllo, la verifica e la sanzione rispetto alle forze politiche che si rivelassero inadempienti rispetto a questa norma.

Io vado verso la conclusione: io avrei preferito una legge che fosse una legge più coalizionale, che indicasse le coalizioni che intendevano governare e che intendono governare prima del voto e non dopo il voto in Parlamento; anche per questo noi abbiamo comunque ripresentato, tra gli emendamenti in Commissione, un emendamento che sostituendo il testo ripristinava il vecchio Mattarellum, però una legge coalizionale - mi dispiace dirlo - non era il Rosatellum, che era uno strano ibrido che consentiva di indicare collegio per collegio, pezzo per pezzo, degli accordi singoli sul territorio.

Io credo che si sia persa un'occasione, così come, alla fine dell'analisi del testo, credo che insomma di tedesco ci rimanga in questa legge semplicemente la soglia, che è la soglia del 5 per cento, che noi diciamo accettiamo, perché è una soglia che è in grado di fermare la frammentazione, punta a evitare la frammentazione e anche a favorire l'aggregazione delle forze, però io ricordo che quella soglia, che rischia comunque di tenere fuori milioni di elettori dalla rappresentanza del Parlamento, è una soglia tedesca in un sistema dove appunto c'è il voto disgiunto, quindi anche le forze piccole, con il voto disgiunto, possono essere favorite nel raggiungimento di quell'obiettivo.

Quindi io chiudo: dicevo che avrei preferito appunto un sistema più coalizionale e purtroppo questa legislatura io credo ha visto troppi errori, troppi passi falsi, troppe occasioni mancate, troppe forzature anche e troppe occasioni in cui le regole invece sono state piegate agli interessi specifici e spiccioli delle forze politiche e delle segreterie forse dei partiti.

Cento capilista blindati, cento capilista bloccati, soglia del 3 per cento e possibilità di 10 multicandidature previste dall'Italicum erano previste da una legge elettorale che qui è stata approvata con la fiducia e che è l'esempio lampante delle occasioni mancate, in cui una legislatura invece nata all'insegna della possibilità di fare le riforme, si chiude o si sta per chiudere diciamo con una legge elettorale approvata troppo di corsa, troppo in fretta, che presentai io credo dei rischi diciamo anche per la tenuta del sistema politico e per la vita democratica.

Io spero e mi auguro che nel corso del prosieguo della discussione si possa diciamo continuare a ragionare su singoli punti specifici e di merito, perché se è vero che in alcuni passaggi in Commissione la legge ha comunque fatto dei passi avanti, spero che questi passi avanti si possano costruire insieme anche qui in Aula (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Invernizzi. Ne ha facoltà.

CRISTIAN INVERNIZZI. Grazie, signor Presidente. Esordisco dicendo: “Finalmente”. Finalmente anche in quest'Aula discutiamo di legge elettorale.

A chi interessa il discorso della legge elettorale? Ai nostri cittadini probabilmente poco, ai giornalisti qualcosa in più, alla gente che è seduta qua dentro - l'abbiamo visto, anzi l'abbiamo sentito più che visto, dal tenore di alcuni interventi - in proporzione ancora maggiore.

Però, obiettivamente, la diciassettesima legislatura, quella corrente, quella che noi auspichiamo adesso essere nella sua fase conclusiva, nacque - ce lo ricordiamo tutti - in un momento politicamente molto difficile e istituzionalmente complicato. Nacque su impulso anche di un progetto che prevedeva, come tratto caratteristico appunto dalla diciassettesima legislatura e dei Governi che si sono susseguiti, di fare sostanzialmente due cose: le riforme (innanzitutto elettorale e costituzionale) e la necessità di porre i conti in regola.

Al crepuscolo ormai di questa legislatura, possiamo dire che un risultato e mezzo su due sono stati clamorosamente mancati. Mi riferisco alla riforma costituzionale e alla tenuta dei conti. Visto che c'è qualcuno che ancora oggi, quindi a più di quattro anni dall'inizio di questa legislatura, esorcizza quasi il richiamo al voto anticipato, dicendo che vi è la necessità di mettere i conti in ordine, da partito che orgogliosamente è sempre stato all'opposizione, noi chiediamo che cosa avete fatto in questi quattro anni e mezzo. Dovevate sostanzialmente mettere i conti in ordine e non ce l'avete fatta.

La riforma della legge elettorale pone l'Italia alla pari con tutte le altre democrazie occidentali. Infatti, tra svariati primati che lo Stato italiano rivendica e che sicuramente non ci rendono orgogliosi (disoccupazione, immigrazione, tasso di crescita demografica ed altri) quello di non avere una legge elettorale che potesse consentire il ritorno alle urne, quando le condizioni politiche lo richiedessero, penso che fosse proprio uno di quegli argomenti che fanno guardare i nostri partner all'Italia con sufficienza.

Oggi, finalmente, iniziamo a discutere di legge elettorale. Togliamo uno dei due alibi - l 'altro l'ho ricordato prima, cioè quello della tenuta dei conti pubblici - a chi vede il ricorso alle urne come un rischio. Segnalo a tutti, anche a coloro che in questo pomeriggio hanno parlato del rischio delle urne anticipate, che se così fosse - cosa che noi auspichiamo da tempo - torneremmo alle urne sei mesi prima della scadenza naturale della legislatura. Non mi sembra un qualcosa che dovrebbe fare impallidire gli osservatori internazionali.

Così come segnalo altresì che la necessità di tornare alle urne è stata sostenuta dalla Lega Nord, non a partire dalla settimana scorsa o dagli ultimi giorni, cioè da quando abbiamo visto una legge elettorale che secondo alcuni sarebbe stata fatta anche dalla Lega Nord, perché è politicamente per noi vantaggiosa. Io rivendico con orgoglio la coerenza dalla Lega Nord, che ha sempre detto e in modo massiccio a partire dal 4 dicembre - che, piaccia o non piaccia è la data che ufficialmente ha sancito secondo noi la fine di questa legislatura - ha sempre richiamato - con orgoglio ripeto - la necessità del ritorno alle urne, dicendo altresì “con qualunque legge elettorale”. Una volta sistemate quelle che sono le richieste, ovviamente da rispettare, del Presidente della Repubblica e una volta sistemato ciò che, secondo la Corte costituzionale, non andava bene, noi abbiamo sempre detto di tornare alle urne.

Così come abbiamo sempre detto che, nella nostra impostazione, l'ideale sarebbe tornare alle urne con una legge d'impianto maggioritario, una legge cioè che consenta, questo sì effettivamente al cittadino, di scegliere non tra partiti - perché ho sentito parlare troppo di partiti -, ma tra programmi. Infatti, molte volte forse in quest'Aula ci dimentichiamo che le elezioni sono e devono essere precedute da una campagna elettorale, una campagna elettorale nella quale i partiti, i movimenti e coloro che vogliono prendere voti hanno un dovere fondamentale, che è quello di prospettare un'idea di sviluppo ai cittadini, sulla base della quale chiedere la loro fiducia.

Ecco perché io sorrido anche di fronte a coloro che, prima ancora che venga approvata questa legge elettorale, già preconizzano la composizione del futuro Parlamento, dicendo che ci sarà questo, quest'altro e questi resteranno fuori. Preconizzano addirittura quelle che saranno le alleanze. Se una cosa in questi anni, anche in anni recentissimi, la storia delle elezioni nel mondo e in Europa ci ha insegnato, è che molte volte i sondaggi non ci azzeccano. Molte volte quelli che vengono visti come esiti naturali e assoluti di una campagna elettorale vengono poi clamorosamente smentiti una volta aperte le urne. Io non so come sarà costituito il prossimo Parlamento. Auspico che le forze politiche che entreranno nel prossimo Parlamento abbiano come obiettivo innanzitutto non l'inciucio, come da qualcuno sento, ma la voglia di tirar fuori dalle secche, nelle quali anche oggi ci troviamo, questo Stato.

Ecco perché noi speravamo in una legge di impianto maggioritario. Abbiamo sempre detto e siamo partiti da dicembre: portiamo il Mattarellum, legge sicuramente costituzionale, legge che ha garantito anche la stabilità di alcuni Governi. Mattarellum non vi andava bene, non andava bene a qualcuno. Poi sono passati al Rosatellum e abbiamo detto: va benissimo anche il Rosatellum, basta andare al voto. Poi il modello tedesco, che poi tedesco non è più, insomma, è un tedesco in salsa italiana: va bene, va bene anche questa legge. Infatti, noi vogliamo - e lo ripetiamo con forza ormai da anni e in particolar modo negli ultimi sei mesi - che anche gli italiani, esattamente come tutto il resto dei popoli europei, abbiano la possibilità di andare una domenica a votare per coloro che sono i propri rappresentanti e per coloro che ritengono essere i migliori a cui affidare la guida dallo Stato.

Io sento in quest'Aula molte volte, soprattutto anche nella discussione odierna, richiamare il rischio di escludere determinate forze politiche. Segnalo che io personalmente vedo la extraparlamentarizzazione forzata delle forze politiche un rischio. Non ho problemi a dirlo, soprattutto per come è la storia italiana. Ma segnalo che in Europa, per le leggi vigenti, per esempio, in Francia o anche in Gran Bretagna, ci sono forze politiche che hanno il 25 o il 30 per cento dei voti, che si trovano ad avere un solo parlamentare. Ma, siccome queste forze politiche si chiamano, per esempio, Front National, e a voi danno fastidio, allora a quel punto non ho mai sentito lamentarsi qualcuno nei confronti della Francia del rischio anzi, nella concretezza insita nella sua legge elettorale, di espellere forze politiche di questo tipo.

La Gran Bretagna ci insegna da secoli che forze politiche con il 10-15 per cento esprimono alcune volte 5-6 parlamentari. Bene, questa cosa succede in Europa e questa cosa probabilmente accadrà anche in Italia, mettendo lo sbarramento al 5 per cento.

Come si superano queste condizioni? Secondo me, la via principale per garantire che le Assemblee, che non sono soltanto legislative, ma anche rappresentative, vedano al loro interno la stragrande maggioranza delle forze politiche, più o meno rappresentative ovviamente all'interno dello Stato, è intervenire sulla Costituzione. Questa è stata una dalle opportunità che voi, esponenti della maggioranza, avete perso quando avete fatto la riforma costituzionale, che, purtroppo, problemi di questo tipo non li affrontava minimamente.

Bisogna capire che anche in Italia, così come - ripeto - nella stragrande maggioranza dei Paesi europei e mondiali, dobbiamo arrivare all'esito di affidarci direttamente al Governo, mediante elezioni libere, attraverso sistemi chiamati di presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato, cancellierato - chiamateli più o meno come volete -, ma in cui il popolo dà la fiducia a una persona, che costituisce il Governo. Bisogna superare il problema del voto di fiducia, così come lo conosciamo in Italia. Sistema della sfiducia costruttiva vi dice qualcosa? Ecco, altra cosa che voi non avete messo nella passata riforma.

Insomma, tutto ciò per dire che io non vedo nella legge elettorale il modo per sistemare tutte queste questioni. Sono altri i sistemi, si interviene sulla Costituzione. Ma ci si interviene, onorevoli colleghi, con cognizione di causa, con serietà e consapevoli soprattutto che la Costituzione è il luogo, quello sì, principe dalle regole. È il luogo nel quale trovare e sistemare tutto quello che bisogna sistemare.

La legge elettorale, dicevo, ha un compito fondamentale oggi in Italia e non è quello di dare rappresentanza a chiunque: tornare al voto; chiudere finalmente un'esperienza fallimentare qua e là - mi riferisco a Governi di più o meno centrosinistra che negli ultimi quattro anni e mezzo ormai hanno guidato lo Stato - e ridare la parola agli elettori. Noi ribadiamo con forza che il nostro appoggio, se così dovesse essere anche all'esito del voto finale che il mio gruppo darà da qui ai prossimi giorni, è giustificato e determinato unicamente da tale volontà: tornare al voto. Onorevoli colleghi, non abbiamo più nulla da dire in questa legislatura. Dobbiamo soltanto ed esclusivamente tornare al voto degli elettori e permettetemi anche di aggiungere in conclusione del mio intervento che, oltre a sentire tintinnare in lontananza sempre però il rumore che si avvicina in modo sempre più fastidioso ogni giorno che passa dei richiami alla grande finanza internazionale - ho già visto interviste di esimi amministratori delegati di alcune banche d'affari basate tra l'altro a Londra che richiamano il rischio per l'Italia di andare alle elezioni anticipate - permettetemi anche di dire che in questa Aula e nell'altra ho sentito adesso dire che, prima di andare al voto, bisogna porre in sicurezza i diritti civili che abbiamo raggiunto e presumo che ci si riferisca in particolar modo alla riforma sulla cittadinanza. Vorrei sottolineare che se tale riforma è ferma in Senato da un anno e mezzo, la colpa non è nostra ma è vostra, però su questo per carità andate avanti così, non toccate nulla, oltre tutta un'altra serie di questioni. Vi dico che su questioni così fondamentali come la cittadinanza è necessario che si esprima un Parlamento che risponda effettivamente alla volontà dei cittadini e alla volontà degli elettori. Se voi ritenete soprattutto in questo periodo di dover portare a casa quelle che, secondo voi, sono conquiste sui cosiddetti diritti civili e, secondo noi, altro non sono che un regresso, abbiamo l'opportunità da qui a pochi mesi di fare una campagna elettorale dicendo ai cittadini quello che si vuole fare con i voti da loro raccolti. Infatti, al di là di tutte le cose sbagliate che sono state fatte sia in termini di riforma costituzionale sia in termini di provvedimenti economici, secondo me uno dei gravissimi errori fatti nella legislatura XVII, onorevole Presidente, è stato proprio pensare di andare a toccare i diritti fondamentali, i principi fondamentali inerenti alla cittadinanza, alla composizione della famiglia e così via, basando tale volontà su una forza numerica che non era quella corrispondente del corpo elettorale. Anche per tale motivo noi diciamo a coloro che voteranno questo testo di legge elettorale di fare in fretta. Diciamo che spiace molto - detto tra parentesi - per il destino politico di alcuni Presidenti del Consiglio in carica o che sono stati in carica ma non stiamo parlando di questo: non stiamo parlando di Governo, stiamo parlando di Parlamento, stiamo parlando finalmente anche in Italia come in tutto il resto d'Europa di andare alle urne, prospettiva che non dovrebbe spaventare alcuna forza democratica (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Pino Pisicchio. Ne ha facoltà.

PINO PISICCHIO. Grazie, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, nel referendum del 1993 che abolì il sistema proporzionale solo il 15 per cento degli italiani, nessuna testata giornalistica di quelle importanti e qualche pasdaran come me continuarono a mettere in guardia sul pericolo di un sistema maggioritario in un Paese che non aveva gli anticorpi per digerirlo e che stava perdendo anche i partiti politici, unici in grado di garantire la produzione di una plausibile classe dirigente e di un pluralismo delle voci. Poi ci fu una larga stagione di maggioritario all'italiana i cui esiti non commento perché sono sotto gli occhi di tutti: quattro leggi elettorali in ventiquattro anni dovrebbe essere già per questo abbastanza eloquenti.

Oggi registro un capovolgimento di fronte, tutti pazzi per il proporzionale: Berlusconi, Cinquestelle, Renzi, la Lega. Dovrei sentirmi risarcito con ventiquattro anni di ritardo: avevo ragione io dunque. Sta di fatto che in un sistema politico in cui i soggetti in campo non sono soltanto due, il sistema maggioritario, che fu inventato perché agisse nello schema bipartitico, non funziona più, mortifica la rappresentanza e non è in grado di garantire il Governo. Dunque, dopo quella specialissima rapsodia in blu che ha caratterizzato le tre partenze (Italicum rivisitato, Rosatellum e in ultimo, come chiamarlo, tedeschellum finale poi questo vezzo del latinorum naturalmente li caratterizza) i principi che reggono il sistema adottato dalla Commissione affari costituzionali sono principi che condivido. Condivido l'ispirazione all'esperienza tedesca di cui però solo la soglia del 5 per cento può sopravvivere e l'idea proporzionale e non, ad esempio, il fatto di poggiare sull'essenziale questione della sfiducia costruttiva. Agli irriducibili maggioritari direi: attenzione, l'unico maggioritario che avrebbe potuto garantire il Governo sarebbe stato quello con il doppio turno ma nel bicameralismo simmetrico che abbiamo in Italia è possibile il doppio turno? Dunque l'impianto proposto può reggere alla logica sistemica perché la distorsione maggioritaria è data dalla divisione delle spoglie che si faranno le liste che superano il 5 per cento utilizzando le plusvalenze derivate dalle liste senza rappresentanza. Ma basterà questo per governare? Sono molti a ritenere di no. Sapete, cari colleghi e care colleghe, ciò che apprezzo di più del lavoro fatto in Commissione? Veramente questo testo di legge elettorale se sarà approvato sarà coperto dal velo dell'ignoranza. A meno di non voler immaginare un fantasioso Governo a guida bicipite con il PD e Cinque stelle, il testo in partenza non garantisce una maggioranza parlamentare. Bisogna dare atto al PD di non aver agito per promuovere i propri interessi di partito, anzi con l'impianto originario del cosiddetto Italicum rivisitato i risultati garantiti sarebbero stati migliori. A voler fare le pagelle diremo che Berlusconi porta a casa il risultato più interessante recuperando un ruolo protagonistico che i numeri parlamentari ormai non gli riconoscevano; ma anche la Lega e i Cinque Stelle possono dirsi soddisfatti perché vanno al voto in un momento politico che valutano come propizio per loro. Dunque solo il PD ha rinunciato a qualcosa di importante per questa formula elettorale che comunque rischia di non garantire alcuna maggioranza e dunque ci teniamo già pronti per usarla per una probabile vicina XIX Legislatura. Nel merito credo nella scelta dal basso e mi batterò sempre per il voto di preferenza che in questo impianto è bandito. E un'altra cosa: attenzione alla definizione dei collegi. Non si comprende la ragione per cui non sia non si sia lasciato solo al Ministero dell'interno il compito di definirli così come è sempre accaduto.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

PINO PISICCHIO. Concludo, Presidente. O meglio si capisce e questo ci preoccupa. Si vuole votare subito a settembre e questa scelta non ci sembra la più saggia per il Paese, esposto al rischio concreto dell'esercizio provvisorio. Ma questo è un altro tema.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Marco Di Maio. Ne ha facoltà.

MARCO DI MAIO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, quest'Aula è di nuovo impegnata nell'esame di una legge elettorale. È la seconda volta in questa legislatura, certamente sarà l'ultima. È inutile nascondere che quella che ci apprestiamo a votare non è la legge che noi avremmo voluto per il nostro Paese e per sistemare alcuni nodi politici che abbiamo tentato di riformare anche in questi anni. Avevamo proposto un modello diverso basato su un sistema istituzionale a Camera prevalente eletta direttamente dai cittadini con due turni di consultazione che rendevano possibile, grazie al ballottaggio, la sicura governabilità a chi con certezza assoluta la sera del voto avesse vinto le elezioni.

Quel modello è stato bocciato con il referendum costituzionale del 4 dicembre, che ha respinto la proposta di riforma costituzionale approvata dal Parlamento e tutto ciò che vi era direttamente e indirettamente collegato, a partire dalla nuova legge elettorale. Ricordarlo è utile per capire che la proposta di legge che ci apprestiamo ad esaminare qui in Aula ha una sua storia, una sua causa ben precisa che deriva dai fatti che ho ricordato poco fa ai quali si aggiungono due sentenze della Corte Costituzionale, relative a due differenti leggi elettorali: la “Calderoli” o meglio detta “Porcellum” del 2005 e il cosiddetto “Italicum”, sentenze di cui non si poteva non tenere conto nella scrittura di una nuova legge elettorale.

Il pregio maggiore di questo testo sta nel metodo con cui è stato scritto. La stragrande maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento ha avuto la capacità, pur nelle reciproche differenze che continuano a permanere, di prendere atto della realtà e della necessità di scrivere insieme le regole democratiche del gioco. Noi ci siamo seduti a questo tavolo con l'amarezza di chi voleva un sistema fortemente maggioritario ma è stato costretto a rinunciarvi per un referendum popolare, ma anche con la certezza che sia nostro dovere e non una semplice facoltà rispondere all'esigenza di ottenere un sistema di voto migliore di quello che avremmo senza questa legge, esigenza condivisa e ripetuta in più circostanze anche dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, i cui richiami, per la stima, la fiducia e il grande rispetto che nutriamo della sua figura, hanno per noi il valore di un impegno solenne.

Giova ricordare, infatti, cosa accadrebbe se l'Italia si presentasse alle elezioni politiche con il sistema elettorale che abbiamo alla data odierna: si voterebbe con una legge ancora più proporzionale di questa, con una soglia di sbarramento ridotta al 3 per cento, con 100 collegi territoriali con capilista bloccati e, sì le preferenze, ma con il rischio, molto probabile, che in tanti collegi vi siano candidati in grado di raccogliere migliaia di voti senza alcuna possibilità di elezione. Al Senato avremmo tutt'altro sistema: sempre proporzionale ma con soglie di sbarramento diverse, possibilità di coalizione, preferenza unica senza alcuna garanzia di parità di genere tra uomini e donne, come invece si garantisce con questo testo. Insomma, avremmo molto probabilmente, anzi certamente, maggioranze disomogenee tra i due rami del Parlamento.

La proposta di legge che stiamo esaminando invece è una struttura più ordinata e comprensibile, capace di rispettare l'effettiva volontà degli elettori. Intanto, è omogenea tra Camera e Senato; prevede uno sbarramento nazionale per l'ingresso in Parlamento del 5 per cento; suddivide il territorio nazionale in 28 circoscrizioni e 232 collegi uninominali alla Camera e la metà circa al Senato. Avremo una sola scheda per la Camera e una per il Senato in cui sarà molto chiaro ciò per cui votiamo e le persone che con il nostro voto contribuiremo ad eleggere. Sulla scheda, infatti, troveremo a sinistra stampato in grande il nome del candidato di collegi uninominali diverso per ciascuno dei 232 collegi uninominali, poiché sono vietate le candidature multiple a differenza del passato. Poi, il simbolo della lista di appartenenza accanto al quale saranno stampati, a differenza di quanto avveniva fino ad oggi, i nomi dei candidati della lista di circoscrizione. Con un segno sul nome del candidato uninominale o sul simbolo della lista o sui nomi dei candidati della lista circoscrizionale l'elettore esprimerà il proprio voto, ben sapendo a chi verrà attribuito e in rappresentanza di quale territorio e di quale lista. I primi di ogni collegio, se appartenenti a liste che superano il 5 per cento a livello nazionale, saranno certamente eletti in Parlamento. Un considerevole passo avanti rispetto ad oggi, perché si ricostruisce un legame diretto fra territori, elettori ed eletti.

Non è vero che è una legge che impedisce a chi ce l'ha e a chi vuole continuare ad averla di mantenere una vocazione maggioritaria. Infatti, lo sbarramento al 5 per cento per l'ingresso in Parlamento e l'individuazione di collegi uninominali consentirà di semplificare il quadro politico, permettendo potenzialmente a una lista che dovesse avvicinarsi al 40 per cento dei consensi - fatto già avvenuto nel nostro Paese - di raggiungere una quota di seggi in Parlamento vicina alla maggioranza assoluta. Certo è che non esiste alcun sistema elettorale che garantisca la vittoria a una lista che non prende molti voti e questo forse qualcuno lo vorrebbe ma non è possibile matematicamente. Credo anche che per rendere più solida questa riforma elettorale andrebbe promossa una norma che limiti la frammentazione in Parlamento successivamente all'esito del voto - non credo sia possibile in questa legislatura, ma forse varrebbe la pena provarci - magari facendo corrispondere le liste elettorali ai gruppi parlamentari che si formeranno nelle Aule di Camera e Senato dopo le elezioni, perché ciò contribuirebbe a una maggiore chiarezza nei confronti degli elettori e a un più rigido rispetto della loro espressione di voto.

Un fatto tanto più rilevante di fronte a una legge elettorale che ripristina i collegi territoriali e una stretta correlazione tra candidato di lista, lista di rappresentanza, circoscrizione e territorio di elezione. Come già ricordato, il nostro modello elettorale preferito era un altro. A dimostrarlo ci sono la legge che era stata approvata dal Parlamento e successivamente le proposte di legge che abbiamo avanzato anche negli ultimi tempi. Abbiamo preso atto che non c'era la volontà delle altre forze politiche di misurarsi su una proposta di legge elettorale di stampo fortemente maggioritario e allora, sapendo che da soli non avremmo avuto i numeri per approvare quei testi, abbiamo scelto di rinunciare a una parte dei nostri convincimenti sul tema per favorire un accordo ampio tra tutte le forze politiche italiane e consegnare al Paese un sistema elettorale omogeneo e ordinato. La nostra intesa, però, finisce qui e non c'è alcun accordo ulteriore su altri temi o ipotesi di alleanze elettorali con MoVimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega Nord o altre forze presenti in quest'Aula. Alle prossime elezioni, che siano a scadenza naturale della legislatura o che questo avvenga prima, faremo la nostra corsa. Chiederemo agli elettori di accordarci la loro fiducia: di farlo ai nostri candidati nei collegi e di farlo per un programma a favore dell'Italia che guardi al futuro e non contro qualcuno o contro qualcosa, perché pensiamo che il compito della politica non sia limitarsi a indicare i problemi ma darsi da fare per affrontarli e offrire le soluzioni migliori possibili nelle condizioni date e non nelle condizioni in cui ci si vorrebbe trovare. Con questo spirito abbiamo partecipato alla stesura di questa proposta di legge e ci impegneremo per la sua rapida approvazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Ravetto. Ne ha facoltà.

LAURA RAVETTO. Grazie, Presidente. La prima cosa da dire è che questa proposta di legge elettorale sancisce e conferma la centralità del presidente Berlusconi e di Forza Italia nel dibattito politico, perché Forza Italia è orgogliosa di aver contribuito a scrivere - oserei dire per una buona parte - questa proposta di legge elettorale. Questa è una proposta di legge elettorale che ha come primo pregio, come è stato detto da molti colleghi, quello di essere condivisa dalle quattro maggiori forze politiche attualmente nel Paese. Di solito l'accusa del passato era che una forza politica da sola o una maggioranza da sola imponeva la legge elettorale agli altri. Qui abbiamo finalmente un provvedimento condiviso.

La seconda cosa da dire è che questo non è un “Nazareno-bis”, un inciucio tra forze politiche, perché l'inciucio è una cosa che si fa nelle stanze oscure, che si discute in segreto. Questo è un accordo alla luce del sole tra Forza Italia, Partito Democratico, Lega Nord e MoVimento 5 Stelle a cui partecipa anche SEL ed è un accordo sulle mere regole ed è un accordo buono perché le regole devono essere il più possibile condivise.

Inoltre, questo è un provvedimento che garantisce i due principi di cui tutti, qualunque parte politica, sempre ha parlato: la rappresentatività e la governabilità. Sulla rappresentatività è una proposta di legge che dice che se un partito fa voti per il 22 per cento avrà il 22 per cento dei rappresentanti in Parlamento. Ora non è essere tutti pazzi del proporzionale, come ha detto il collega Pisicchio, ma, come lui stesso ha detto, è prendere atto di un dato di realtà. Noi siamo stati i primi fautori del maggioritario, ma quando l'Italia aveva due poli. Oggi troviamo una situazione di tre maggiori poli nel Paese. E, allora, vi chiedo: sarebbe stato democratico pensare a una legge elettorale con cui una forza politica, ad esempio del 30 per cento che poi significa, in un Paese come il nostro - speriamo non per il futuro, ma oggi è così - dove l'affluenza al voto è pari al 50 per cento o al 60 per cento, perché registriamo un alto tasso di astensione, una forza politica che di fatto avrebbe rappresentato solo il 15 per cento dell'elettorato consentire, appunto, a questa forza di decidere tutte le cariche e tutti i provvedimenti del Paese? Io credo di no. Io credo che questa sia l'unica proposta di legge democratica che poteva essere pensata.

E poi c'è l'elemento della governabilità, che è garantito dallo sbarramento alto. Io comprendo i nervosismi dei partiti più piccoli, ma sono anche certa che i partiti del centrodestra e i partiti di centro se si metteranno insieme potranno avviare la sfida del superamento della soglia. Chiedono a noi a noi e al Partito Democratico (non lo chiedono ad altri partiti ma lo chiedono a noi): “Voi pensate alle larghe intese in futuro? No”, ha detto correttamente il collega Di Maio. Noi di Forza Italia corriamo per vincere e se pensiamo a delle larghe intese lo pensiamo con dei partiti di centrodestra che avranno il coraggio e la forza di superare lo sbarramento.

Ci sono due sistemi che funzionano in Europa da anni: il sistema presidenziale francese e il sistema tedesco. Noi non siamo un sistema presidenziale, e quindi abbiamo preso una legge, abbiamo adeguato il sistema tedesco al nostro sistema. Alcuni dicono che cambia rispetto al tedesco: certo che cambia, perché abbiamo dovuto rispettare - questa è stata anche un'analisi della Commissione affari costituzionali - i dettati della nostra Costituzione, per cui, ad esempio, da noi il numero dei parlamentari è fisso, il numero è fisso, non è un numero variabile. Noi siamo stati coerenti sulla contrarietà alle preferenze, lo abbiamo detto da sempre, siamo contrari alle preferenze. Tuttavia, questa legge riporta alla scelta del cittadino, in particolare riporta all'attenzione sul territorio, perché rammento a tutti che chi vince un collegio non passa solo davanti ai capilista, passa davanti al listino.

Quindi, chi dice che gli elettori non scelgono o che non c'è la rappresentanza del territorio, secondo me non dice la realtà; e finalmente, concedetemelo, ci sono delle norme serie sulla parità di genere. Si poteva migliorare? Si poteva dire che, per esempio, nel rapporto 40-60 per cento dei capilista sarebbe stata necessaria una sanzione di nullità, se non c'era questa rappresentanza, come si è fatto nell'alternanza del listino? Può darsi, ma è già un primo passo e sono certa che i partiti vorranno onorare questo principio, a prescindere dalla sussistenza o meno di sanzioni. Ho solo una speranza, ho la speranza che, in quest'Aula, non si intenda vanificare, magari con la proposta di alcuni voti segreti, un principio, una legge basata su principi su cui siamo profondamente d'accordo, ripeto, tra le maggiori forze politiche, perché questa espressione di voti segreti io personalmente, qualora ci fossero, non la leggerei tanto come un tentativo di boicottare una legge che sappiamo tutti essere buona, ma, magari, un tentativo di prolungare la legislatura, perché si teme che, in qualche modo, un'approvazione rapida di questa legge porti ad un voto anticipato.

Forza Italia non ha paura del voto, ma non è stata in questo accordo con questa motivazione. La motivazione era creare una regola chiara e condivisa per tutti, e, orgogliosa di avere partecipato alla creazione di questa regola, spera che si torni presto a parlare, da adesso in poi, dopo aver discusso di leggi elettorali, di come ognuno di noi intende risolvere i problemi pratici dei cittadini. Qui noi ci prepariamo e diciamo ai cittadini che, dopo aver condiviso le regole, come ha detto il collega Di Maio, ognuno per la sua strada, pronti per vincere e pronti per tornare a governare il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Taglialatela. Ne ha facoltà.

MARCELLO TAGLIALATELA. Francamente, non so se tra gli italiani vi sia più delusione o se ci sia più ipocrisia in quest'Aula, perché mi pare evidente che questa è una legge che poteva essere scritta per dare effettivamente la possibilità ai cittadini di scegliere i deputati e i senatori, quindi i rappresentanti all'interno del Parlamento, e si è, invece, fatta una scelta esattamente su un percorso inverso, perché qui in discussione non è il tipo di modello elettorale, non è in discussione se vi sia o meno una quota maggioritaria, una quota proporzionale, se ci siano o meno le preferenze. La verità è che è stata fatta una scelta chiara: nel momento in cui si sono introdotti i listini, e quindi i capilista, si è fatta una scelta per impedire al cittadino di scegliere.

Questa è una legge che può ancora essere corretta, dando la possibilità a quei partiti che lo volessero di non introdurre il principio della preferenza bloccata attraverso il listino. Noi, come Fratelli d'Italia, abbiamo da sempre promesso ai cittadini che ci saremmo battuti per una legge che consenta di avvicinare sempre di più il corpo elettorale al Parlamento. Mi pare che la scelta che in questo momento la maggioranza della Camera sta portando avanti sia una scelta in senso completamente opposto.

Una serie di finzioni, anche nelle dichiarazioni: la governabilità, che questa legge certamente non assicura, la rappresentatività, che comunque è messa in discussione, perché voglio far notare a tutti che non è stato ancora risolto il problema di chi vince il collegio elettorale rispetto alla sua certezza di poter rappresentare quel territorio, perché, se per avventura ci fosse un parlamentare che vincesse nel collegio maggioritario, ma fosse presente all'interno di un partito che non raggiunge il 5 per cento, in quel caso, comunque, quel territorio non vedrebbe la rappresentatività da parte di chi nel territorio ha vinto. Mi pare che questo sia uno degli elementi che probabilmente anche la Corte costituzionale potrebbe sollecitare come una correzione, e quindi siamo in presenza di una legge che, varata a pochi mesi dal voto, potrebbe essere sconfessata immediatamente dopo.

Ed è evidente che si aggiungerebbe alla beffa un vero e proprio inganno nei confronti degli italiani. Siamo in presenza di una legge che si ispira, si dice, al modello tedesco. Il collega Rizzetto ha già dimostrato come sia assolutamente falso: la scheda elettorale del sistema tedesco l'abbiamo portata in Aula, ve l'abbiamo fatta vedere. È completamente diversa da quella che verrà utilizzata, se non ci saranno modifiche apportate in sede di discussione di voto alla Camera e al Senato. Quel sistema ha funzionato perché consente il voto disgiunto; quello che voi volete approvare è un sistema elettorale che, invece, obbliga il cittadino a dover subire le imposizioni dei partiti due volte: nella scelta del maggioritario, perché non vi è previsto un sistema di primarie per la scelta del candidato da parte dei cittadini, e nella scelta della parte proporzionale, perché vi sono non i capilista bloccati, ma l'intero listino.

Quindi, da questo punto di vista, questa è una legge che fa passi indietro rispetto all'Italicum. Sono convinto che da parte dei cittadini questo ancora non sia percepito, perché c'è, ovviamente, un grande disinteresse, come è giusto che sia, rispetto alla legge elettorale da parte del cittadino comune, che ha altri problemi ai quali pensare, ma, quando ci avvicineremo al voto, quando si entrerà nel vivo della competizione elettorale, ho la fiducia che possa accadere esattamente quello che è accaduto in sede di referendum per la riforma costituzionale. Quella che sembrava essere una passeggiata per chi lo proponeva è diventata una sonora sconfitta, e io spero che questo possa accadere anche in occasione delle prossime elezioni. Non so se si voterà a settembre, ottobre, novembre o a scadenza naturale; in ogni caso, mancano pochissimi mesi. E, quindi, gli italiani avranno la possibilità di giudicare se quello che il Parlamento oggi, attraverso la sua maggioranza, propone sia un modello tedesco o, viceversa, sia un modello fiorentino di Renzi e di Verdini ai tempi della mucca pazza, quando le cose certamente sembravano in grande disordine (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Sisto. Ne ha facoltà.

FRANCESCO PAOLO SISTO. Grazie, Presidente. Nel 1951 Vittorio De Sica licenziò un film importante, un cult movie, che era intitolato Miracolo a Milano. Beh, io dico che, venti giorni fa, chi avrebbe potuto immaginare che vi fosse una legge elettorale presentata nientepopodimeno che dal Partito Democratico, dal MoVimento 5 Stelle, da Forza Italia e dalla Lega! Un miracolo parlamentare, che costituisce già un grande valore aggiunto di questa legge elettorale. Cioè, questa corrispondenza di amorosi sensi politici e, in qualche modo, queste convergenze parallele, per citare Aldo Moro, è già un fatto che rende questa proposta di legge assolutamente straordinaria. Vuole dire che l'invito del Presidente Mattarella, cioè quello di scrivere una legge quanto più condivisa possibile, è stato accolto da un Parlamento che si è rivelato maturo e pronto per condividere, indipendentemente dalle appartenenze, indipendentemente dalle matrici ideologiche.

Trovo che questo sia il dato più rilevante di questa proposta, attenzione, a prescindere addirittura dai contenuti, perché, se vi è condivisione di quattro forze così diverse sui contenuti, vuol dire che la democrazia parlamentare ha licenziato un testo condiviso democraticamente, e questa matrice fondante della proposta di legge elettorale ha un'eco per Forza Italia straordinaria nella proposta di febbraio 2017, l'unica.

Ecco perché siamo stati coerenti! Perché la coerenza - lo dico al valorosissimo presidente Mazziotti Di Celso - è un dato che si misura sui contenuti: è evidente che quando c'è un testo che è perfettamente conforme al DNA di Silvio Berlusconi, cioè tanti voti tanti seggi, in un sistema tripolare - diceva bene la collega Ravetto - che è incompatibile con altre forme di gestione del budget elettorale, del rapporto fra il consenso e gli eletti, è evidente che quando noi ci riconosciamo in un modello che è il nostro, noi coerentemente dobbiamo votare a favore di questo modello con la massima forza contrattuale possibile! Questa è coerenza: riconoscersi in un modello, e quindi votarlo convintamente.

E allora, se questo è vero, e se noi abbiamo respinto al mittente fin dall'inizio, senza flessioni di qualsivoglia genere o convenienze utilitaristiche ogni principio che voleva dimezzato il valore del voto… Mi riferisco al Rosatellum in particolare, in cui in caso di mancata vittoria nei collegi il voto valeva la metà: il che è in contrasto clamoroso con l'articolo 48 della Costituzione, che fa riferimento ad un voto personale, eguale, un voto personale ed eguale, che non può essere mutilato da meccanismi e da sofismi che vadano ad incidere nel rapporto fra il diritto dell'elettore di avere esattamente quello a cui ha diritto. Si può avere di più, per il raggiungimento di determinate soglie, ma non si può avere di meno! Il taglio del voto è un meccanismo barbaro, che noi abbiamo immediatamente rifiutato. Ecco la maturità del Parlamento, nello scegliere un sistema proporzionale, ma che abbia all'interno la capacità di riadesione ai territori, di tornare sui territori, perché chi vince il collegio ha diritto di entrare in Parlamento. Allora, ecco, non è casuale la fusione di quattro forze così diverse, perché tutte le esigenze trovano eco in questo sistema: il rapporto fra il consenso ed il parlamentare, la necessità di garantire alla forza politica il raggiungimento dei suoi obiettivi.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FRANCESCO PAOLO SISTO. E se questo è vero, se siamo stati coerenti, se vi è questa forza contrattuale che Forza Italia manifesta convintamente, direi graniticamente con l'unica proposta che trova eco in questa proposta di legge elettorale, io penso che il nostro sforzo di stare insieme e di fare di questa legge elettorale un punto di partenza per una democrazia moderna… Perché la legge elettorale si deve adeguare al momento storico in cui nasce: è evidente che non c'è “la” legge elettorale, c'è la legge elettorale del momento storico in cui viene scritta e disegnata, in rapporto a quelle che sono la sensibilità e la percezione…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FRANCESCO PAOLO SISTO. Ho finito, Presidente. Allora tutti i dettagli, tutti gli ammennicoli, tutti i tentativi di sabotare questo grande tentativo democratico, che vede l'80 per cento del Parlamento, caro collega Sannicandro, l'80 per cento del Parlamento, convergere (Commenti del deputato Sannicandro)

PRESIDENTE. Collega! Per favore.

FRANCESCO PAOLO SISTO. … su questa legge elettorale. No, c'è stato un gesto, Presidente che non è stato molto elegante, ed io mi permetto di stigmatizzarlo: quando si parla di democrazia parlamentare, dell'80 per cento del Parlamento che è a favore (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente), si può dissentire, ma c'è un modo di dissentire civile in quest'Aula! Allora, la civiltà del dissenso trovo che sia una caratteristica di eleganza che troppo spesso dimentichiamo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente). Detto questo, Presidente, Forza Italia convintamente sosterrà…

PRESIDENTE. Concluda.

FRANCESCO PAOLO SISTO. …questa legge, e ho finito, per le ragioni che abbiamo riferito tutti insieme qui in questa bella squadra, che ha sostenuto questa legge, e che continueremo a riferire nei prossimi interventi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Pia Elda Locatelli, per tre minuti. Ne ha facoltà.

PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, intervengo non sull'impianto della legge elettorale, pur dicendo subito che questa non è la nostra legge, avendo noi socialisti espresso la nostra preferenza per un sistema almeno parzialmente, meglio se per buona parte maggioritario, che è del resto la stessa preferenza del relatore. Lo faremo nei prossimi giorni, perché oggi c'è una questione più urgente da affrontare, rispetto alla quale condivido la preoccupazione con molte colleghe: il rischio di voto segreto sugli emendamenti. Come altre volte in occasione della discussione della legge elettorale, in particolare in tema di rappresentanza di genere, da alcune parti - non posso dire partiti - si minaccia il ricorso al voto segreto, invocando la coscienza. Il testo che è uscito dalla Commissione affari costituzionale contiene buoni passi nella direzione di un'equilibrata rappresentanza di genere: lo abbiamo apprezzato, e ne diamo atto al relatore. Ci piace l'alternanza tra i generi nelle liste circoscrizionali… Mi scusi, signor Presidente, ma ho difficoltà.

PRESIDENTE. Per favore, il tono della voce, colleghi, perché c'è una eco non indifferente in quest'Aula.

PIA ELDA LOCATELLI. Ci piace l'alternanza tra i generi nelle liste circoscrizionali; ci piace una percentuale al di sotto della quale nessun genere può essere rappresentato nei collegi uninominali, il 40 per cento, perché è superiore a quella delle donne oggi in Parlamento; ci piacciono le capolisture che tendono all'equilibrio; ma noi chiediamo di completare al meglio un lavoro che è già piuttosto buono: ad esempio, l'inammissibilità delle liste che non rispettano questi vincoli, o una percentuale del 50 e 50, perché tante sono le donne italiane. E allora, qual è il problema?

Ho già avuto modo di raccontare, in occasione di precedenti interventi in quest'Aula, qual è il rischio di un pacchetto di misure non pienamente coerenti. Non è vero che un 40-60 per cento di uomini e donne candidati nelle liste porta automaticamente ad un 40-60 per cento di eletti ed elette: non è così, se non si prevede un equilibrio nelle capolisture, e soprattutto se non si prevede l'inammissibilità delle liste qualora queste regole non siano rispettate.

Allora, noi vogliamo fare davvero un passo avanti, e non solo a parole, dette o scritte. Il fatto è che ci sono colleghi (e credo di poter dire che sono esclusivamente, o quasi, colleghi uomini) che non sono disposti ad accettare le regole che sono state concordate in Commissione, e sperano di cancellarle, e certamente di impedire altri passi in avanti. È legittimo che questi colleghi la pensino in modo diverso; e lo capisco benissimo, perché ogni donna in più in Parlamento è un uomo in meno, e difficilmente si cede parte del proprio potere.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

PIA ELDA LOCATELLI. Ma non possiamo accettare, come dicono le voci che circolano da ieri in Parlamento, che si invochi il voto segreto sugli emendamenti, perché il voto segreto ha un senso solo quando si è di fronte ad un problema di coscienza. Qualcuno mi deve spiegare quale questione di coscienza ci sia in una giusta rappresentanza dei due generi! Il fatto è che molti colleghi si vergognerebbero di votare palesemente contro una misura di giustizia, e saprebbero che una parte dell'elettorato non lo perdonerebbe: e allora preferiscono nascondersi dietro l'anonimato, e non dire chiaramente…

PRESIDENTE. Concluda.

PIA ELDA LOCATELLI. …che sono contrari (sto concludendo) a liste e collegi veramente paritari. Questo Parlamento sempre più femminile evidentemente fa paura: dimostrateci che non è così.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Giulio Marcon. Ne ha facoltà.

GIULIO MARCON. Presidente, colleghi e colleghe, signora sottosegretaria, io vorrei intanto ringraziare non in modo formale sia il presidente della Commissione che il relatore. Il primo, per la capacità di gestione e di ascolto, rispetto anche alle sollecitazioni che sono venute dai gruppi di opposizione, dai gruppi di maggioranza, insomma, che comunque hanno contribuito alla discussione: è stata una discussione molto complessa e molto faticosa in certi momenti. E anche vorrei ringraziare l'onorevole Fiano, anche lui per la capacità di ascolto e di attenzione rispetto alle sollecitazioni che sono venute, da posizioni ovviamente diverse: noi abbiamo avuto su molti dei temi di questa legge posizioni radicalmente diverse dalla maggioranza, però vogliamo considerare il modo con cui è avvenuto il dibattito, sicuramente in modo positivo, un'esperienza che dovrebbe essere ripetuta anche in altre occasioni, rispetto alla capacità di dialogo e di ascolto reciproco.

Detto ciò, vorrei dire: all'onorevole Sisto, che però non è presente, che sì, la democrazia è una questione di numeri, ma, come ci ricordava Norberto Bobbio, è anche una questione di regole e di procedure. I numeri non possono essere usati per aggirare le procedure e le regole, ma le procedure e le regole dovrebbero essere anche alla base, soprattutto alla base della costruzione poi delle decisioni, della decisione politica, della decisione pubblica, che devono rispondere a queste esigenze.

La seconda cosa che vorrei dire, di carattere generale, è che le leggi elettorali non possono essere usate, e non sono forse lo strumento essenziale, per risolvere le contraddizioni, la frammentarietà e le debolezze del sistema politico, e della politica in senso più specifico.

Spesso si pensa che le leggi elettorali siano uno strumento per costruire una riforma della politica, del sistema politico, rispondente a delle esigenze di maggiore efficienza, di maggiore capacità nella costruzione della decisione politica. Ma sappiamo che non è così, e non è stato così per il nostro Paese, perché nonostante le diverse riforme che avevano i loro limiti, ma che rispondevano a delle esigenze di rinnovamento della politica, la politica ha dimostrato, ha continuato a dimostrare, tutte le sue debolezze, le sue fragilità.

Naturalmente la legge elettorale e le leggi che vanno nella direzione di un maggior funzionamento, un funzionamento migliore del sistema politico, aiutano, danno un contributo significativo, ma non sono di per sé la soluzione. Zagrebelsky ce l'ha ricordato più volte: le riforme dei sistemi elettorali e del sistema del funzionamento delle regole e delle procedure della democrazia, se non c'è una riforma sostanziale della politica, del sistema politico che riguarda anche quella riforma intellettuale e morale di cui ci ha parlato Gramsci nei Quaderni del carcere, non possono funzionare. Quindi, naturalmente, noi ci impegnano e ci mettiamo tutta la forza necessaria per riformare il sistema elettorale; però dobbiamo essere consapevoli che senza una riforma della politica, che è una riforma culturale, sociale, morale, come anche a suo tempo Berlinguer ci disse, anche le riforme elettorali rischiano di non produrre gli affetti che tutti si auspicano.

Poi bisogna considerare come siamo arrivati a questa riforma elettorale, al fallimento delle riforme precedenti, al fallimento dell'Italicum, che era stato considerato come una legge che l'Europa ci avrebbe invidiato e che poi è finita miseramente, come ben sappiamo. Una legge elettorale sulla quale per tre volte si è messa la fiducia, una legge che ha dimostrato, insieme al fallimento della riforma costituzionale, il limite di una procedura che in questo caso ha avuto il Governo come principale promotore e il Parlamento come quello che ha dovuto subire le scelte che sono state fatte, e che sono state scelte sbagliate.

Poi siamo arrivati a questi ultimi mesi, dopo il 4 dicembre. Abbiamo per quattro, cinque mesi, aspettato il dibattito interno al Partito Democratico, la dialettica tra le varie componenti, abbiamo aspettato le primarie, abbiamo aspettato il congresso, e poi nel giro di pochi giorni, poche settimane, c'è stata un'accelerazione. Un'accelerazione che io vorrei considerare come assolutamente discutibile, perché una legge elettorale che deve servire per molti anni non può essere affrontata, discussa e approfondita in pochi giorni. Una fretta compulsiva che rischia di essere - questo vorrei dirlo con grande chiarezza - la causa di molti problemi che potremmo avere negli anni a venire. Avremmo avuto bisogno di maggiore tempo, ma purtroppo l'esigenza di avere uno strumento per andare al voto anticipato ci ha portato ad una strettoia che è quella che è sotto gli occhi di tutti.

Noi le nostre proposte come Sinistra Italiana-Possibile le abbiamo fatte nel corso di questi mesi: proposte che non sono state raccolte e che non sono state il frutto di una discussione parlamentare come ci auspicavamo andasse fatta, partendo da molto tempo prima. Anche perché c'è una scorrettezza a nostro giudizio e ce lo dice l'Europa, in questo caso: le leggi elettorali non dovrebbero essere approvate nei mesi precedenti alle elezioni politiche. L'Europa ci dice: almeno un anno prima per dare tempo ai partiti, alle forze, di organizzarsi in base ai nuovi meccanismi, alle nuove regole che ci si dà.

La maggioranza, il Partito Democratico, ha cambiato posizione in due settimane almeno 3 o 4 volte: prima ci ha proposto il Mattarellum, poi ci ha proposto il modello tedesco, poi il Rosatellum, poi è ritornato sul modello tedesco, che non è un modello tedesco, come dirò dopo, ma un sistema proporzionale con alcune similitudini, ma anche con grandi diversità rispetto al modello vigente in Germania.

Ci sono alcune cose positive, l'abbiamo rilevato. Il principale aspetto positivo, dal nostro punto di vista, è che si ritorna a un impianto proporzionale. Abbiamo avuto 25 anni di elezioni sulla base di sistemi maggioritari che hanno dimostrato tutta la loro fallacia. Ciò che dicevo, ovvero che i sistemi non è che danno maggiore stabilità perché sono sistemi che funzionano, si è dimostrato con il centrodestra, quando il centrodestra pur avendo in base al sistema maggioritario vigente una grande maggioranza si è sfasciato (fino arrivare prima al Governo Monti e poi alle ultime elezioni anticipate che abbiamo avuto nel 2013), non riuscendo a governare pur avendo una grande maggioranza e un sistema maggioritario che gli aveva garantito questa maggioranza. Quindi, è il fallimento dei sistemi maggioritari, sicuramente per come sono fatti, sicuramente anche per la storia di questo Paese.

Siamo tornati ad un impianto proporzionale, quello che noi avevamo auspicato, e quindi questo è un aspetto sicuramente importante. Poi ci sono altri aspetti, non minori (quello era l'aspetto di carattere generale più importante), alcuni aspetti specifici, che però sono aspetti che riguardano proprio la nervatura della civiltà giuridica e politica di un sistema elettorale; e tra questi sicuramente c'è la questione sollevata dall'onorevole Pia Locatelli della parità di genere, della novità importante di un equilibrio di genere rispetto alle candidature e quindi rispetto alla rappresentanza.

Ci sono stati anche miglioramenti durante la discussione in Commissione affari costituzionali. La nostra proposta di Sinistra Italiana, riformulata, ha avuto successo, è stata approvata: quella di evitare la doppia raccolta di firme, collegio per collegio e a livello circoscrizionale. È rimasta la raccolta di firme per le circoscrizioni, anche se l'entità è veramente troppo, troppo alta, il doppio di quello che c'è in Germania se vogliamo far riferimento al modello tedesco. Più o meno 120 mila firme per potersi presentare alle elezioni è veramente una porta sbattuta in faccia alle nuove forze, a chi si vuole organizzare nella società per cercare di concorrere per la rappresentanza parlamentare, sono veramente troppe. Quindi, su questo, speriamo che poi nel corso della discussione dell'Aula ci sia da parte della maggioranza (auspico che il collega Fiano su questo dia dei segnali) un'apertura per ridurre il numero di firme. Tutto ciò non riguarda noi, perché in base alla normativa esistente potremo concorrere alle elezioni senza dover raccogliere le firme, però è ingiusto che chi si vuole candidare alle elezioni debba raccogliere 120 mila firme per avere questa possibilità. Noi dobbiamo aprire le porte delle nostre istituzioni, non chiuderle, creare le condizioni affinché ci siano anche nuovi soggetti che possano in questo modo riformare il sistema politico e dare un segnale anche di novità di un sistema politico che viene percepito come chiuso, come autoreferenziale e come autoconservatore. Anche su questo c'era un nostro emendamento e anche di altre forze politiche. È passato l'emendamento che sostanzialmente fa partire dai collegi nominali, e non dai listini bloccati l'assegnazione dei seggi. Questo è un fatto sicuramente importante e positivo, era uno dei nostri emendamenti ma è stato presentato anche da altri gruppi politici. Poi vi è la questione della parità di genere, che era uno dei temi che noi avevamo posto insieme a tante altre forze politiche.

Vi sono molti elementi critici che noi vogliamo sottolineare. Naturalmente l'assenza del voto disgiunto che per noi è fondamentale. Io lo dico espressamente: se ci fosse il voto disgiunto noi sicuramente voteremmo a favore di questa legge. Quindi offriamo questa disponibilità. Tra l'altro su questa possibilità del voto disgiunto altre forze politiche si erano espresse a favore. Non c'è nessuno del MoVimento 5 Stelle, ma il MoVimento 5 Stelle aveva più volte espresso il parere a favore del voto disgiunto; tuttavia in Commissione il MoVimento 5 Stelle si è comportato diversamente, perché non ha votato gli emendamenti che introducevano il voto disgiunto.

E poi c'è la questione, che ovviamente deriva anche da questa, dei cosiddetti nominati. La stampa è un po' frettolosa e dice: sono stati superati i nominati, i capilista bloccati. Non è così, anzi sono aumentati, perché prima erano il 50 per cento, poi sono diventati il 62 o il 63 per cento, perché sappiamo che sono stati ridotti i collegi uninominali e questo ha provocato una crescita del numero dei rappresentanti eletti nei listini bloccati. Quindi sono aumentati i rappresentanti eletti nei listini bloccati, e questa è una delle questioni che interessano alle persone, agli elettori.

Penso che gli elettori sono interessati da molti temi che riguardano la loro condizione materiale e sociale di vita, come più volte abbiamo detto, però rispetto alle leggi elettorali c'è un punto che interessa tantissimo gli elettori, che è quello di poter scegliere il proprio candidato: quando si mette la croce, sapere chi va alla Camera e chi va al Senato e penso che su questo ci dovrebbe essere un ripensamento e il voto disgiunto è sicuramente un modo almeno per limitare i danni e per introdurre diciamo questa possibilità, che andrebbe di nuovo approfondita in Aula nei prossimi giorni.

Poi c'è la questione che esiste diciamo nel sistema tedesco, quella dei tre collegi e del collegio, che è un po' paradossale; mi rendo conto che questo è il risultato di un sistema così congegnato, per cui - che ne so? - magari il sindaco di Messina si candida nel suo collegio e vince, però siccome è collegato a una lista che non prende il 5 per cento, il suo collegio non c'è, perché la lista alla quale è collegato non prende il 5 per cento e quindi questo è un elemento di riflessione che noi dovremmo in qualche modo valutare.

Mi rendo conto di tutte le obiezioni possibili, ma è un problema vero, perché se in un collegio la volontà popolare si esprime per mandare in Parlamento il sindaco di Messina - ho fatto questo esempio così, molto concreto e diretto - e prende magari addirittura più del 50 per cento dei voti, lui in quel collegio, se è collegato a una lista che non prende il 5 per cento, non sarà eletto.

E poi c'è il tema, presente nella legge elettorale tedesca, della vittoria in tre collegi, norma che permetterebbe l'accesso anche alla parte proporzionale per chi non supera il 5 per cento: quando, nel 1949, fu approvata la legge in Germania, questo meccanismo fu pensato per la CSU bavarese, perché siccome non erano sicuri, in Baviera, di raggiungere il 5 per cento e siccome c'era un'alleanza tra i due partiti, CDU e CSU, fu pensata questa norma per dare accesso appunto al partito di raccolta - chiamiamolo così - della Baviera al Parlamento, anche per la quota proporzionale, quindi l'origine storica è questa, ma è un'origine che può essere applicata e duplicata anche in altri contesti ed è giusto, io penso; cioè, è giusto che se una lista riesce a vincere tre collegi abbia l'accesso anche alla parte proporzionale, pur non raggiungendo il 5 per cento.

C'è la questione delle firme, che ho ricordato. C'è la questione dei collegi e qui, secondo me - noi l'abbiamo sollevato in Commissione - la fretta di andare a votare rischia di portare a una situazione al limite della costituzionalità, perché gli articoli 56 e 57 della nostra Costituzione ci dicono che bisogna andare a votare sulla base dell'ultimo censimento e così non sarà, perché noi avremo collegi fatti sulla base del censimento del 1991 (un censimento di più di 25 anni fa) e questa è una forzatura inaccettabile, soprattutto perché determinata da una volontà politica di andare a votare il prima possibile, però bisognerebbe fare in modo, come abbiamo detto, che i collegi siano disegnati da un soggetto terzo al Ministero dell'interno - tra l'altro la questione solleva molti aspetti e molti problemi tecnici e giuridici molto delicati - e non da una Commissione parlamentare che decide a maggioranza se un collegio deve essere fatto in un modo oppure nell'altro.

Poi c'è la questione della soglia: noi non abbiamo presentato in Commissione - lo avevamo presentato per il Rosatellum, perché era un sistema diverso - né presenteremo in Aula alcun emendamento per la riduzione e l'abbassamento della soglia al 5 per cento, però una riflessione va fatta, perché se prendiamo le ultime elezioni politiche, 6 milioni e mezzo di cittadini, in base ai risultati delle elezioni politiche 2013, non avrebbero avuto nessun rappresentante in Parlamento. Questo un problema lo pone. Allora noi abbiamo fatto una proposta, che non è una proposta formulata inizialmente da qualche esponente radicale, ma niente di meno che da Luciano Violante nel 2012, quando anche attraverso un'opera di coinvolgimento di esponenti di tutte le forze politiche, elaborò la proposta del cosiddetto diritto di tribuna, cioè l'assegnazione non di tanti seggi, ma di un seggio per chi supera il 2 per cento, di 2 seggi per chi supera il 3 per centoe di 3 seggi per supera il 4 per cento; un diritto di tribuna appunto, per non lasciare milioni di cittadini completamente privi di un loro rappresentante, premesso che, facendo l'esempio del 2013, parliamo di ben 6 milioni e mezzo di persone, di elettori. Quindi il diritto di tribuna, emendamento sul quale noi torneremo in Aula e che presenteremo, prevede questo.

Non è che stravolgerebbe niente, perché parliamo di 3 o 4 o 5 deputati, permetterebbe però di dare continuità, voce e rappresentanza a tanti cittadini che magari hanno partecipato, votando delle liste che non hanno raggiunto il 5 per cento e che in questo modo potrebbero avere una loro visibilità, una loro voce, una loro tribuna ecco, chiamiamola così: il diritto di tribuna.

Chiudo dicendo questo, che speriamo che dal dibattito e dalle votazioni sugli emendamenti che ci saranno in Aula ci siano dei cambiamenti importanti a questa legge, e il principale è quello del voto disgiunto.

Quindi, sulla base di cosa succederà in Aula domani, dopodomani, poi non so se si voterà anche venerdì, noi faremo discendere la nostra valutazione e il nostro voto, quindi speriamo che da parte della maggioranza ci sia la disponibilità ad aprire su una serie di temi (le firme, il voto disgiunto, la clausola del diritto di tribuna e gli altri punti che ho elencato nel mio discorso).

Ecco, penso che questo sarebbe un bel segnale per fare una legge veramente condivisa e non fare delle forzature che nuocciono alla democrazia e nuocciono anche alle prospettive della credibilità del nostro sistema politico.

PRESIDENTE. Approfitto per salutare gli studenti dell'Istituto tecnico Cecilia Deganutti di Udine, che seguono i nostri lavori e che sono accompagnati dal professor Enzo Barazza e dalla professoressa Paola Antonutti e partecipano alla giornata di formazione a Montecitorio (Applausi). Adesso l'intervento del collega Murgia, che prendo atto che vi rinuncia.

Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2352-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza La Russa, che però ha esaurito i tempi. In realtà, dei relatori l'unico che ha tempo è il collega Distaso. Vuole intervenire? Prego.

ANTONIO DISTASO, Relatore di minoranza. Grazie Presidente, sono giunto in Aula mentre terminava l'intervento il collega Sisto, con una citazione di un grande sforzo democratico, che mi ha strappato un sorriso, lo dico perché non faccio battute in sua assenza, l'ho informato preventivamente per le vie brevi, eccolo qua.

Io adesso non voglio riprendere le parole che ha detto il collega Sannicandro in Commissione e che hanno suscitato una veemente risposta da parte del relatore e di altri e quindi le trasformo, faccio una riformulazione, come si dice nel nostro linguaggio: Sannicandro, il collega, ha chiamato questa maggioranza “dispensatori di democrazia”, perché così è nel pensiero unico, nel Partito Comunista cinese, eccetera, poi chi fa le cose più dittatoriali diciamo che sono quelli che dispensano al popolo la democrazia e questo grande sforzo democratico che si fa nel Palazzo. Ma attenzione, perché la politica sta fuori dal Palazzo, non sta dentro il Palazzo, questo spesso ce lo dimentichiamo; aver riunito l'80 per cento dei numeri in quest'Aula (e vedremo al Senato) non è garanzia di successo e di rappresentatività, perché uno dei punti di questa legge, anzi uno dei requisiti di questa legge è che manca proprio dei criteri essenziali che devono comporre le leggi elettorali: la governabilità, la stabilità, la rappresentatività.

Quale governabilità? Sapremo, il giorno dopo le elezioni, chi ha vinto? No.

È un sistema proporzionale puro, che non consente le alleanze pre-voto o se le consente non le favorisce, ma al momento diciamo per la mia area politica certamente non è un incentivo, non fa chiarezza sulla scelta dell'elettore - ma su questo mi fermerò dopo – e avvicina l'Italia, come ha detto un commentatore politico che ho letto su un giornale, non alla Germania della Merkel (che, voglio chiarire, taluni auspicano, io assolutamente no, non sono tra i tifosi della Merkel in Italia) ma più alla Germania della Repubblica di Weimar.

Questo è il dato a cui noi oggi ci troviamo di fronte: aver fatto un accordo forte (ma a me fa piacere che gli estensori di questo accordo si sentano così forti, buon per loro, perché poi sarà comunque il voto popolare a decidere e vedremo cosa deciderà).

Dicevo della rappresentatività: priviamo l'elettore della possibilità di scelta in vari modi; non gli diamo il voto disgiunto, quindi gli imponiamo il cosiddetto pacchetto unico: vota così nel maggioritario, così nel proporzionale, quindi devi prendere questo o l'altro, non hai una facoltà di scelta. Il listino proporzionale è bloccato, sono nomi preordinati. Dove sta la facoltà di scelta? In quel meno del 40 per cento dei collegi maggioritari, che saranno vinti certamente dalle forze maggiori o da chi avrà tanti soldi per fare una campagna elettorale in collegi elettorali così grandi? Mi fa piacere per chi avrà questa possibilità, io non rientro tra questi e neanche i colleghi del mio gruppo.

Ma le leggi elettorali, purtroppo, si fanno sempre negli ultimi mesi della legislatura. In questo caso favoriscono, sì, talune forze politiche, però dovrebbero, secondo me, pensare non alla legislatura vigente, ma al fatto che devono durare qualche legislatura sulla base di principi condivisi. Qui si sono fatti degli accordi, che poi venivano sì riportati in Commissione, ma dopo essere stati fatti certamente in stanze non istituzionali. Quindi, non è che c'è da criticare il procedimento. Il procedimento è stato rispettato, in Commissione si è svolto tutto con i crismi della formalità. Ma la sostanza è un'altra: gli accordi non sono stati fatti né nel Parlamento né nelle sedi proprie e istituzionali.

Poi vi è il tema dei collegi, che viene trattato come se fosse una piccola appendice. Allora, al di là della questione formale, noi andiamo a richiamare la legge del 1993, il cosiddetto Mattarellum, con cui si votò nel 1994, che era stata fatta sulla base del censimento del 1991. Nel frattempo intervengono altri due censimenti, nel 2001 e nel 2011, e non se ne tiene conto. Credo che persone più autorevoli di me abbiano sollevato questo problema. Allora qui io vedo anche un profilo di incostituzionalità, perché onestamente i collegi non rispettano quella che oggi è la realtà morfologica, geografica, numerica e territoriale del Paese.

Accanto a questo - è quello che vorrei aggiungere - noi critichiamo fortemente anche la scelta di un impianto che, non dico che ci riporta al passato, perché io sono un orgoglioso figlio della Prima Repubblica, non l'ho mai rinnegato. Credo che quella Prima Repubblica abbia avuto una fase distorsiva negli ultimi anni, ma se la pensiamo, dal primo dopoguerra fino a un certo numero di anni, ha prodotto invece la crescita di un Paese. E non era certo per il proporzionale.

Qui c'è, però, un combinato disposto che è tragico, cioè il combinato disposto del proporzionale con le liste bloccate. Le preferenze? Mai sia! Io vorrò poi dialogare con alcuni colleghi che hanno detto che avremmo riportato la rappresentatività. Ma dove sta la rappresentatività? Ma meglio le preferenze con i loro rischi, piuttosto che questo tipo di democrazia bloccata. Ecco perché noi critichiamo ab imis, dal profondo, l'impianto di questa legge, perché è profondamente sbagliata, perché non rappresenta tutto il Parlamento, a meno che non si abbia la concezione che il Parlamento è rappresentato solo quando le forze politiche maggiori, per convenienza di ciascuna, si mettano d'accordo, ma è rappresentato dal 100 per cento delle forze politiche.

Quest'accordo non garantisce alcuni soggetti politici, anzi li penalizza fortemente e, voglio dirlo chiaramente, non per lo sbarramento al 5 per cento. Sarebbe da parte nostra politicamente puerile lamentarci della soglia di sbarramento. C'è una parte del Paese che vuole la semplificazione. Certo, si poteva fare in tanti modi, questa soglia è fatta apposta per cercare di non fare entrare in Parlamento alcune forze politiche. Ma va bene, può favorire le aggregazioni, non è questo il problema, bisogna accettare le sfide dal punto di vista politico.

Ma ci sono dei punti, come quelli che mi sono sforzato di elencare sinteticamente e che poi la mia componente politica riprenderà con gli emendamenti a partire da domani, che a mio modo di vedere devono far pensare la maggioranza, non a ottenere un risultato col cronometro, tra domani mercoledì 7 giugno e venerdì 9 giugno, ma pensando ai prossimi mesi e ai prossimi anni, soprattutto un po' più al Paese e un po' meno alle proprie forze politiche (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Conservatori e Riformisti).

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di replicare in altra fase.

(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 2352-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Laforgia ed altri n. 1, Monchiero, Dellai, Distaso ed altri n. 2, Lupi e Buttiglione ed altri n. 3, che saranno esaminate e poste in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annuncio di casi di mancata osservanza delle disposizioni del Codice di condotta, accertati dal Comitato consultivo sulla condotta dei deputati (ore 17,58).

PRESIDENTE. Colleghi, con lettera in data odierna, il presidente del Comitato consultivo sulla condotta dei deputati, Pino Pisicchio, ha informato la Presidenza della Camera che il Comitato, nella riunione del 17 maggio 2017, ha preso atto che per i deputati i quali non hanno dato seguito alla richiesta, più volta reiterata dal Comitato, di rendere entro il termine stabilito la dichiarazione prevista dal primo comma del paragrafo III del Codice - relativa alle cariche e degli uffici di ogni genere ricoperti in enti, pubblici o privati o anche di carattere internazionale, alle funzioni e delle attività imprenditoriali o professionali comunque svolte e ad ogni altra attività professionale o di lavoro autonomo o di impiego o di lavoro privato, da pubblicare sul sito internet della Camera, ai sensi del paragrafo V del Codice - ricorre un caso di mancata osservanza del Codice di condotta.

A ciò incaricato dal Comitato, il presidente Pisicchio ha trasmesso il relativo elenco alla Presidenza della Camera ai fini dell'applicazione del paragrafo VII del Codice, a norma del quale della mancata osservanza delle disposizioni del Codice, come accertata dal Comitato, è dato annuncio all'Assemblea ed è assicurata la pubblicità sul sito Internet della Camera.

Si tratta dei seguenti deputati coinvolti da questa inosservanza: Roberto Caon, Khalid Chaouki,

Massimo Fiorio, Gregorio Gitti, Maria Iacono, Pasquale Maietta, Federico Massa, Bruno Murgia, Giovanna Palma e Massimo Parisi.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Mercoledì 7 giugno 2017, alle 13,30:

Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate):

TONINELLI ed altri; GIACHETTI; PISICCHIO; LAURICELLA; LOCATELLI ed altri; ORFINI; SPERANZA; MENORELLO ed altri; LUPI e MISURACA; VARGIU e MATARRESE; NICOLETTI ed altri; PARISI e ABRIGNANI; DELLAI ed altri; LAURICELLA; CUPERLO; TONINELLI ed altri; RIGONI; MARTELLA; INVERNIZZI ed altri; VALIANTE ed altri; TURCO ed altri; MARCO MELONI; LA RUSSA ed altri; D'ATTORRE ed altri; QUARANTA; MENORELLO ed altri; BRUNETTA ed altri; LUPI e MISURACA; COSTANTINO ed altri; PISICCHIO; FRAGOMELI ed altri:

Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché delega al Governo per la rideterminazione dei collegi elettorali uninominali. (C. 2352-2690-3223-3385-3986-4068-4088-4092-4128-4142-4166-4177-4182-4183-4240-4262-4265-4272-4273-4281-4284-4287-4309-4318-4323-4326-4327-4330-4331-4333-4363-A)

Relatori: FIANO, per la maggioranza; LA RUSSA, DISTASO, GIGLI, TURCO E QUARANTA, di minoranza .

La seduta termina alle 18.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: A.C. 2352-A ED ABBINATE

ALBRECHT PLANGGER. (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 2352-A ed abbinate). Giudichiamo positivamente questa riforma della legge elettorale, che per il Trentino Alto Adige e la Valle d'Aosta garantisce, con l'istituzione di collegi uninominali, la rappresentanza di diversi gruppi linguistici e la volontà degli elettori sui nostri territori. È una scelta di grande equilibrio. Come più volte abbiamo avuto modo di affermare Ai anche in quest'aula, la Corte costituzionale, intervenendo sulla legge elettorale cosiddetta Mattarellum, nel 1994, ha sancito come la tutela delle minoranze linguistiche locali sia espressamente compresa tra gli in eressi nazionali, come previsto dall'articolo 4 dello statuto della regione Trentino Alto Adige e che, conseguentemente, ogni legge elettorale nazionale deve prevedere un meccanismo correttivo per le minoranze, se non intende rischiare una pronuncia di illegittimità costituzionale.

Il meccanismo correttivo prescritto dalla Corte costituzionale, che non è un privilegio, ma un obbligo per il legislatore, è stato trovato nella regione Trentino Alto Adige con un'intesa tra tutte le comunità linguistiche presenti in Alto Adige. Con questa legge elettorale si rispetta, in realtà, lo spirito del «pacchetto», i cosiddetti accordi tra Austria e la Repubblica italiana, che alla misura 111 richiede di designare i collegi in modo tale da favorire una rappresentanza adeguata dei gruppi linguistici insediati sul nostro territorio. Diversamente, in un eventuale collegio plurinominale della provincia autonoma di Bolzano, con il sistema proporzionale puro, sarebbero stati eletti unicamente i rappresentanti dei gruppi linguistici tedeschi e ladini, lasciando il gruppo linguistico italiano, che rappresenta circa un quarto della popolazione locale, senza un proprio rappresentante, data la grande frantumazione dei partiti italiani.

Possiamo considerarci fortunati se proprio per la Corte Costituzionale, lo Statuto e la Misura 111 del cosiddetto "Pacchetto", l'elettore non deve subire con ogni nuova legislatura la ri-disegnazione del territorio. I piccoli collegi uninominali, con il candidato scelto direttamente dai cittadini, da ben 25 anni garantiscono il contatto diretto tra eletto ed elettore.

Il confronto in I Commissione ha migliorato il testo, recependo ulteriori modifiche, ai fini della rappresentatività su un impianto proporzionale che ha quale correttivo in senso maggioritario, o disproporzionale, la previsione dello sbarramento al 5 %.

Unica eccezione alla soglia di sbarramento del 5° è rimasta quella per le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in Regioni ad autonomia speciale, il cui statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione medesima.

I grandi partiti non hanno lasciato spazio al cosiddetto mandato diretto (Grundmandat o Direktmandat) previsto nella legge elettorale della Germania, che permette addirittura candidature come indipendenti. Chi nel proprio collegio ottiene più voti e cioè la maggioranza relativa, in Germania è assegnatario di un seggio fisso in Parlamento.

A nulla sono serviti gli appelli per un voto "libero". La proposta dei grandi partiti di fatto impedisce ai cittadini di scegliere, attraverso il voto, il candidato da eleggere in Parlamento. Invano è stato invocato il principio fondamentale in base al quale il candidato nel collegio, che abbia ottenuto più voti, ottiene un seggio in Parlamento, indipendentemente dal fatto che il suo partito superi la soglia di sbarramento del 5 %.

La legge elettorale tedesca prevede inoltre per le minoranze linguistiche dei Danesi, "Friesen", Sorben, Sinti e Roma. La "non-applicabilità" della soglia di sbarramento del 5%, ove un loro partito riesca a conquistare almeno 3 mandati diretti. In questo caso il partito rappresentativo delle minoranze può persino partecipare alla distribuzione dei seggi da assegnarsi con il sistema proporzionale puro. Ciò corrisponde più o meno alla soglia di sbarramento del 20%.

Queste soluzioni potrebbero andare bene per il Trentino/Alto Adige, se i collegi rimanessero piccoli, ma non darebbero nessuna garanzia p.es. alla comunità slovena nel Friuli molto più dispersa sul territorio regionale.

I grandi partiti obbiettano che con una Costituzione - la quale fissa il numero dei parlamentari - non si possa prevedere la possibilità di seggi aggiuntivi e compensativi come nella legge elettorale tedesca: ciò avrebbe un impatto troppo rilevante nell'ambito di un sistema elettorale proporzionale. Abbiamo potuto constatare, che i grandi gruppi parlamentari in ogni caso volevano impedire il fenomeno delle cosiddette "liste fai da te" o liste civette come per esempio una ipotetica "lista Carlo Rossi".

La soglia del 20% su base regionale — troppo alta anche per noi - va certamente a scapito del pluralismo di altri partiti più piccoli e tuttavia rappresentativi della nostra comunità tedesca e ladina. Tuttavia, in assenza di altre possibili/fattibili scelte politiche rispondenti al dettato della Corte Costituzionale, non possiamo non accettare tale soglia e preservare il meccanismo correttivo unicamente per le minoranze linguistiche riconosciute, come stabilito dalla Corte Costituzionale.

Oltre la pluralità dei partiti, che certamente è un grande valore, c'è dall'altra parte anche il "valore pratico" della scelta del legislatore 2005, quando fu introdotta questa soglia di sbarramento: a favore di una minoranza linguistica si parla meglio con un' unica "voce". Il mio partito, rappresentando da un secolo la maggioranza della minoranze linguistiche tedesca e ladina ha parlato e vorrebbe parlare tuttora con "un'unica" voce a Roma ma nell' interesse di tutti i sudtirolesi.

Rimane il rammarico per il fatto che anche questa volta non siano stati previsti voti di preferenza. Mancanza che per quel che ci riguarda possiamo attenuare con le primarie che prevedano la più ampia partecipazione possibile.

La riduzione del numero dei collegi da 303 a 225 al fine di rendere certa l'elezione dei candidati, la eliminazione dei capilista bloccati, delle pluricandidature, con la possibilità di presentarsi solo in un collegio e in una lista proporzionale, le modifiche introdotte nella graduatoria che determina i parlamentari eletti, il rafforzamento della rappresentanza di genere, stabilendo che he nessuno dei due sessi superi il 60% sia in ordine ai capilista che alla composizione delle liste, sono punti fondamentali che in modo coerente rafforzano la rappresentatività del modello elettorale che è stato prescelto, entro il quadro costituzionale che dobbiamo avere come riferimento e che, ad esempio, in relazione al numero di parlamentari già prefissato in Costituzione, non consente in Italia il voto disgiunto previsto dal sistema tedesco.

Per queste ragioni come SVP e Minoranze Linguistiche esprimiamo il nostro voto favorevole.