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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 784 di mercoledì 26 aprile 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

La seduta comincia alle 12.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

CLAUDIA MANNINO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 21 aprile 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baretta, Bellanova, Bergamini, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Blazina, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Centemero, Antimo Cesaro, Cimbro, Cirielli, Coppola, Costa, D'Alia, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Manlio Di Stefano, Epifani, Faraone, Fava, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Frusone, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Mattiello, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Nicoletti, Nuti, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Piepoli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Sarti, Scalfarotto, Schullian, Sereni, Sottanelli, Spadoni, Tabacci, Taglialatela, Valeria Valente, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente centoventi, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del Documento di economia e finanza 2017 (Doc. LVII, n. 5) (ore 12,03).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del Documento di economia e finanza 2017.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Ricordo che, ai sensi del comma 2, articolo 118-bis, le risoluzioni riferite al Documento di economia e finanza devono essere presentate nel corso della discussione.

(Discussione – Doc. LVII, n. 5)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.

Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, onorevole Pier Paolo Baretta.

PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Mi riservo di intervenire successivamente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, onorevole Simonetta Rubinato.

SIMONETTA RUBINATO , Relatrice per la maggioranza. Grazie, Presidente. La relazione è agli atti, quindi mi permetto di farne una sintesi.

Il Documento di economia e finanza costituisce il principale documento di programmazione della politica economica e di bilancio, che traccia, in una prospettiva di medio-lungo termine, gli impegni sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche e gli indirizzi sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall'Italia per il rispetto del Patto di stabilità e crescita europeo e per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo, occupazione, riduzione del rapporto debito-PIL e per gli altri obiettivi programmatici prefigurati dal Governo per l'anno in corso e per il triennio successivo. Sostanzialmente, è il binario lungo il quale si indirizzeranno le politiche di bilancio ed economiche; un binario, che sarà percorso dalle successive manovre.

Quanto al quadro macroeconomico, il DEF 2017, nella prima sezione, relativa al Programma di stabilità, evidenzia come, nel 2016, l'economia mondiale abbia registrato un incremento di circa il 3 per cento rispetto al 2015, stabilizzandosi su un sentiero di graduale ripresa, in linea con il 2015. La tendenza al miglioramento della congiuntura pare condivisa dalla maggior parte delle aree dell'economia mondiale. Il 2017, infatti, è iniziato in modo favorevole per la gran parte dei Paesi avanzati e la ripresa economica si è consolidata e dovrebbe accelerare in corso d'anno anche nei mercati emergenti, sebbene con performances eterogenee nei vari Paesi. Il DEF espone, quindi, l'analisi del quadro macroeconomico italiano relativo al 2016 e le previsioni per l'anno in corso e per il periodo 2018-2020, che riflettono i segnali di graduale ripresa dell'economia, nonostante gli elementi di incertezza che ancora caratterizzano le prospettive di crescita globale.

Con riferimento al 2016 - questo DEF è anche un DEF che fa il bilancio rispetto alle politiche di bilancio ed economiche degli anni precedenti del Governo - il DEF evidenzia come l'economia italiana sia entrata nel terzo anno di ripresa, registrando un tasso di crescita dello 0,9 per cento in termini reali, nonostante i numerosi fattori di freno e di incertezza a livello globale ed europeo. La crescita del prodotto è risultata lievemente superiore a quanto previsto a settembre scorso, nella nota di aggiornamento del DEF 2016, e nel documento programmatico di bilancio, presentato a ottobre 2016, grazie al recupero, dopo lo stallo registrato nel secondo trimestre, nella seconda metà del 2016, dovuto al balzo della produzione industriale e, dal lato della domanda, a un'accelerazione di investimenti ed esportazioni.

Per quanto riguarda i flussi con l'estero, le esportazione di beni e servizi sono aumentate; la domanda interna, nel 2016, la spesa delle famiglie residenti, è cresciuta dell'1,3 per cento, segnando, per il terzo anno consecutivo, un valore positivo. Sul punto, il DEF evidenzia come nel 2016 l'espansione dei consumi privati sia stata sostenuta dalle migliori condizioni del mercato del lavoro, dal recupero del reddito disponibile delle famiglie in termini reali, aumentato dell'1,6 per cento nel 2016, ed al miglioramento delle condizioni di accesso al credito, grazie ai bassi tassi di interesse.

Per quanto concerne gli investimenti fissi lordi, nel 2016, si è verificata una crescita superiore alle attese, pari al 2,9 per cento, in accelerazione rispetto al 2015, anno in cui, dopo sette anni consecutivi di valori negativi, si era finalmente registrata l'inversione di tendenza.

I dati sul mercato del lavoro per il biennio 2015-2016 sono confortanti, per gli effetti positivi che, secondo il DEF, le misure introdotte - dal Jobs Act alla decontribuzione - hanno avuto sull'occupazione. Il documento rileva che la crescita degli occupati ha accelerato, in termini di unità di lavoro standard, ed il miglioramento dell'occupazione è stato accompagnato da un'accelerazione della partecipazione al mercato del lavoro.

Per quel che concerne le previsioni, il DEF presenta due scenari di previsioni macroeconomiche: uno tendenziale e l'altro programmatico, che, fermo restando le assunzioni relative al quadro internazionale, coerenti con le più recenti previsioni delle principali istituzioni internazionali, differiscono per le assunzioni relative alle riforme economiche. In particolare, le previsioni del quadro tendenziale incorporano gli effetti, sull'economia, delle azioni di politica economica delle riforme già approvate e della politica fiscale, messe in atto precedentemente alla presentazione del documento. Il quadro programmatico, invece, include l'impatto sull'economia delle politiche economiche prospettate all'interno del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma, che saranno concretamente definite nella nota di aggiornamento di settembre 2017 e adottate nella prossima legge di bilancio. Come si darà più diffusamente conto nel prosieguo, le due previsioni coincidono per l'anno in corso, mentre si differenziano gradualmente negli anni successivi.

Per quanto riguarda il 2017, le previsioni tendenziali per gli anni 2017-2020, contenute nel documento, che, sulla base delle regole europee, sono state validate dall'Ufficio parlamentare di bilancio, confermano la fase di moderata ripresa dell'economia italiana. Il documento mette in evidenza come il contributo alla ripresa dell'economia italiana venga soprattutto dalla domanda interna, sostenuta principalmente dal maggior dinamismo degli investimenti, in conseguenza delle migliorate condizioni finanziarie, e del cambiamento di clima delineato dagli indicatori di fiducia, mentre i consumi subirebbero un lieve rallentamento, risentendo della decelerazione del reddito disponibile, legata all'aumento dei prezzi.

In particolare, il DEF fissa le stime tendenziali di crescita del PIL per il 2017 all'1,1 per cento, con un lieve rialzo dello 0,1 per cento rispetto alla crescita prevista in termini programmatici, lo scorso mese di settembre nella nota di aggiornamento, sebbene il quadro odierno benefici dell'espansione dei mercati di esportazione dell'Italia e del deprezzamento del cambio. Si è, tuttavia, scelto di adoperare valutazioni caute, conformemente ai principi di prudenza che hanno caratterizzato l'elevata affidabilità di stime e proiezioni degli ultimi anni, al fine di assicurare l'affidabilità della finanza pubblica.

Per il 2018 si preveda una lieve riduzione del tasso di crescita rispetto al 2017, intorno all'1 per cento. Nell'ultimo biennio di previsione il tasso di crescita del PIL si stabilizzerebbe, poi, intorno all'1,1 per cento.

Nel quadro macroeconomico programmatico per gli anni 2017-2020, quello cioè che si determinerebbe a seguito dell'attuazione degli obiettivi programmatici prefissati dal Governo, anch'esso validato dall'Ufficio parlamentare di bilancio, gli effetti delle politiche fiscali e di controllo della spesa, di imminente attuazione, che ridurranno l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche dello 0,2 per cento del PIL nel 2017, determinerebbero una crescita del PIL dell'1,1 per cento nel 2017, in linea con lo scenario tendenziale. La previsione macroeconomica programmatica per i tre anni seguenti riflette l'intendimento del Governo di seguire un sentiero di politica di bilancio in linea con le regole europee, conseguendo nel 2019 il pareggio di bilancio.

Nel Documento di economia e finanza, per la prima volta, entrano gli indicatori del benessere equo e sostenibile. Questa è una novità di grande rilevanza, introdotta dalla riforma della legge di contabilità, la legge n. 196 del 2009. In attesa della selezione finale degli indicatori da parte del Comitato preposto, il Governo ha scelto di anticipare, in via sperimentale, l'inserimento di un primo gruppo di indicatori nel processo di bilancio e quindi, nel DEF 2017, si è condotto un primo esercizio sperimentale su un sottoinsieme di quattro indicatori di benessere equo e sostenibile, selezionati dal comitato, costituiti dal reddito medio disponibile aggiustato pro capite, da un indice di disuguaglianza del reddito, dal tasso di mancata partecipazione al lavoro e dall'indicatore delle emissioni di CO2 e di altri gas climalteranti. Per ciascuno dei quattro indicatori, oltre ai dati di consuntivo dell'ultimo triennio, viene fornito uno scenario tendenziale a politiche vigenti e uno programmatico, che ingloba le politiche introdotte nel DEF. In generale, gli indicatori mostrano un miglioramento nell'orizzonte previsto, mantenendo il trend dell'ultimo triennio.

Vengo poi al quadro di finanza pubblica. I dati riferiti all'esercizio 2016, resi noti dall'Istat, attestano un indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, per il 2016, corrispondente al 2,4 per cento del PIL. Il dato indica un miglioramento rispetto all'anno 2015 e, secondo i dati della Commissione europea, il livello dell'avanzo primario dell'Italia nel 2016 ha segnato un risultato tra i migliori, rafforzando la posizione rispetto ad altri partner europei con un elevato debito pubblico che hanno registrato, invece, saldi primari in disavanzo. Il conto economico esposto dal DEF evidenzia, per il 2017, un indebitamento netto pari al 2,3 per cento del PIL rispetto al 2016 e, quindi, nel 2017 si determina una riduzione del saldo dello 0,1 per cento in termini di PIL. Concorre al miglioramento del rapporto anche la crescita del PIL nominale, stimata per il 2017 al 2,2 per cento rispetto al 2016. Per gli anni successivi si stima un'ulteriore riduzione dell'indebitamento netto sia in valore assoluto che in rapporto al PIL.

In base al DEF l'indicato percorso di miglioramento del saldo è determinato dalla riduzione della spesa per interessi e dal saldo primario positivo in tutti gli esercizi, che aumenta la propria incidenza rispetto al PIL.

Quanto alle entrate, per esse il DEF stima, per il periodo di previsione, un andamento crescente in valore assoluto, ma si riducono in percentuale di incidenza sul PIL. Il documento afferma che tale andamento risente della dinamica del PIL nominale, dell'effetto combinato della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia con riguardo all'esercizio 2017, delle misure relative agli sgravi contributivi e delle altre misure previste dalla legge di bilancio per il 2017 in materia di entrate fiscali. Le prospettive di miglioramento della congiuntura economica producono effetti positivi anche sulle entrate previste per gli anni successivi. Le previsioni concernenti la pressione fiscale evidenziano una riduzione dal 42,9 per cento, del 2016, al 42,4 per cento, del 2020, con un livello minimo del 42,3 per cento nel 2017.

Quanto alle spese, il DEF prevede nel periodo di previsione un andamento crescente in valore assoluto, ma una riduzione in percentuale al prodotto interno lordo, così come per la spesa corrente primaria.

Per quanto riguarda la spesa in conto capitale, le previsioni tendenziali mostrano un andamento complessivamente decrescente nel periodo 2017-2020. Tale andamento delle spese in conto capitale va considerato anche nel quadro della complessiva riduzione tendenziale della spesa primaria nel periodo 2016-2020. Peraltro, sul tema della spesa in conto capitale e, più in particolare, degli investimenti pubblici, questo è un DEF che pone fortemente l'accento sulla necessità di rafforzare e di rilanciare gli investimenti sia privati ma anche pubblici e, a questo riguardo, il Ministro dell'Economia e delle finanze, nel corso della sua audizione presso le Commissioni riunite di Camera e Senato, ha sottolineato questo fatto, cioè la priorità di proseguire nell'azione di rilancio degli investimenti pubblici sui quali hanno influito negativamente le manovre di finanza pubblica adottate tra il 2008 e il 2013 e i cui effetti si riverberano negli anni successivi, dato il ciclo dilatato della realizzazione delle opere. Il Ministro ha, inoltre, evidenziato come il rilancio degli investimenti dipenda non solo dalla disponibilità di risorse finanziarie, che in questi anni è stata effettivamente aumentata, ma anche, in buona parte, da un miglioramento del percorso di programmazione delle opere, di elaborazione e valutazione dei progetti e poi anche della loro concreta realizzazione.

Considerando l'evoluzione nell'ultimo triennio, la spesa complessiva per investimenti e contributi agli investimenti si è ridotta negli enti locali mentre è aumentata nelle amministrazioni centrali. Tale andamento è il risultato anche di specifici fattori contingenti; in particolare, sul calo della spesa delle amministrazioni locali nel 2016 hanno influito sia la chiusura del ciclo della programmazione comunitaria 2007-2013 sia la complessità ed una prima fase di incertezza del passaggio alle nuove regole di contabilità introdotte nel 2016.

In questo quadro, il Governo ha avviato, pertanto, la fase operativa di finanziamento dei primi progetti destinatari del Fondo da 47,5 miliardi istituito con l'ultima legge di bilancio.

Mi soffermo, comunque, su questo tema degli investimenti pubblici, in particolare con riguardo anche a quelli che sono gli investimenti pubblici degli enti territoriali. Va sottolineato come l'abbandono del Patto di stabilità interno, sostituito dal saldo finale di competenza quale nuovo vincolo di finanza pubblica, offre agli enti locali una maggiore capacità di spesa per investimenti, grazie al venir meno di qualsiasi obbligo di conseguire avanzi annuali di tipo finanziario. Restano, tuttavia, necessarie diverse e ulteriori modifiche alla disciplina del nuovo vincolo di finanza pubblica, quali la previsione di ulteriori elementi di flessibilità pur nella coerenza dell'impianto complessivo della normativa vigente. Deve essere soprattutto meglio valutata la difficoltà di assorbimento degli avanzi accumulati con il vecchio patto, in particolare per enti di dimensione piccola e medio-piccola che dispongono di avanzi consistenti. Per questi enti si manifesta un'esigenza di ampliamento dei margini di utilizzo degli avanzi per finanziare investimenti, già avviata nelle ultime leggi di bilancio ma che va ulteriormente rafforzata nella prossima.

Sempre nella prospettiva di incrementare gli investimenti degli enti territoriali, appare altresì necessario accelerare la definizione delle procedure necessarie a rendere spendibili le risorse del Fondo sviluppo e coesione individuate e messe a disposizione nei patti per lo sviluppo già siglati sia per il livello regionale che locale, oltre che adottare tutti gli atti necessari per il pieno utilizzo delle risorse per gli investimenti finanziati con questa importante leva di sviluppo e coesione territoriale.

Più in generale, appare necessario rafforzare gli investimenti pubblici, con priorità per quelli riguardanti la cura del territorio e il contrasto del dissesto idrogeologico e per quelli nelle aree del Mezzogiorno. In questo quadro, occorre anche favorire forme di reale autonomia e responsabilità finanziaria degli enti locali, creando le condizioni per il superamento del sistema di finanza derivata, definendo un assetto organico e complessivo della finanza locale nonché garantendo l'effettivo esercizio delle funzioni fondamentali da parte delle province e delle città metropolitane, anche mediante l'attribuzione a carattere strutturale di adeguate risorse finanziarie.

Il Documento di economia e finanza 2017 aggiorna il quadro programmatico di finanza pubblica per il quadriennio 2017-2020 e rafforza il percorso di riduzione dell'indebitamento netto fino a prevedere il conseguimento di un saldo nullo nel 2020 e il pareggio di bilancio strutturale nel 2019 e nel 2020. Si tratta, dunque, di un aggiornamento dell'obiettivo programmatico e del percorso di avvicinamento ad esso che, contrariamente a quanto avvenuto in passato, nell'ipotesi di scostamenti in senso peggiorativo, accordabili solo in caso di eventi eccezionali, non richiede oggi una procedura rafforzata di approvazione presso ciascuna Camera a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. Le previsioni per il 2017 incorporano gli effetti delle misure correttive pari a 0,2 punti percentuali di PIL, che il Governo si è impegnato ad approvare lo scorso febbraio, così da portare nel 2017 il livello dell'indebitamento netto al 2,1 per cento rispetto al meno 2,3 per cento del documento programmatico di bilancio 2017. Si tratta di misure che, ancorché non indicate puntualmente nel DEF, vengono dichiarate dal Governo come aventi natura strutturale, tali da avere una portata correttiva di quasi 0,3 punti percentuali di PIL su tutti gli anni successivi. Nel DEF il pacchetto viene descritto come comprendente misure volte a ridurre l'evasione dell'IVA e di altri tributi con interventi quali l'allargamento delle transazioni a cui si applica il cosiddetto “split payment”. Altre misure riguardanti le entrate comprendono una rimodulazione delle accise sul tabacco e delle aliquote dell'ACE nonché un aumento dell'imposizione sui giochi. Le misure di controllo della spesa si concentreranno sugli stanziamenti di alcuni fondi già previsti per legge. Il pacchetto è accompagnato da maggiori investimenti nelle zone colpite dai recenti sismi, pari a circa un miliardo di euro l'anno per il periodo 2017-2020. Sono, invece, confermati gli obiettivi per il 2018 e il 2019 di indebitamento netto previsti lo scorso autunno.

Nell'orizzonte di previsione 2017-2020 si evidenzia, infine, il raggiungimento del pareggio di bilancio nell'ultimo anno del periodo considerato. Al riguardo, si rammenta che lo scenario tendenziale incorpora l'aumento delle aliquote IVA previste dalle clausole di salvaguardia sul 2018-2019, che hanno un impatto sui saldi di circa 1,1 punti percentuali di PIL nel 2018 e di ulteriori 0,2 punti percentuali nel 2019.

Il Governo, a questo riguardo, ha espressamente manifestato l'intenzione di disattivare le clausole di salvaguardia. Si indica, altresì, che le clausole saranno sostituite da misure riguardanti sia la spesa che le entrate, comprensive, queste ultime, di ulteriori interventi di contrasto all'evasione. Sul versante della spesa verrà attuata una nuova revisione, dalla quale è previsto che lo Stato risparmi almeno un miliardo di euro, da individuare secondo quanto previsto dalla riforma della struttura del bilancio tramite decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri. Sul fronte delle entrate saranno, invece, adottate ulteriori misure di contrasto all'evasione fiscale.

L'obiettivo complessivo è di continuare la linea delle politiche economiche adottate sin dal 2014, volte a liberare le risorse del Paese dal peso eccessivo dell'imposizione fiscale e a rilanciare investimenti e occupazione nel rispetto delle esigenze di consolidamento di bilancio. Si tratta, peraltro, di un obiettivo ambizioso, la cui realizzazione richiede, oltre la disattivazione delle clausole di salvaguardia, anche la ricerca di ulteriori spazi finanziari per misure espansive e di riduzione della pressione fiscale, nonché per il rinnovo contrattuale nel pubblico impiego, compatibili con gli obiettivi di bilancio.

In questo quadro, il Governo lascia, peraltro, aperta la possibilità di un orientamento di bilancio meno restrittivo nel biennio 2018-2019, ove le istituzioni dell'Unione europea - è aperto un confronto al riguardo - decidessero per un'interpretazione più flessibile del Patto di stabilità e crescita.

Quanto, infine, al debito, il DEF ricorda che, in virtù delle revisioni statistiche operate dall'Istat sul PIL del biennio 2014-2015, è emerso un miglioramento del rapporto debito/PIL dello 0,1 per cento nel 2014 e dello 0,2 per cento nel 2015 rispetto a quello che era il consuntivo della Nota di aggiornamento del DEF. Per il 2016 il rapporto in questione dovrebbe raggiungere il 132,6 per cento, confermando la sua sostanziale stabilizzazione su valori inferiori al 133 per cento, mentre nel periodo 2008-2014 la crescita media aveva sfiorato i cinque punti percentuali annui, nonché migliorando, sia pure marginalmente, le previsioni della Nota di aggiornamento del DEF 2016 e del Documento programmatico di bilancio 2017.

Il dato più rilevante in relazione al peggioramento del rapporto di 0,5 punti percentuali di PIL rispetto al 2015 va rinvenuto nella scelta del Tesoro di entrare nel 2017 con giacenze liquide soddisfacenti per fronteggiare il rilevante volume di titoli in scadenza. Nel 2017 la previsione del rapporto debito/PIL è del 132,5 per cento, in linea con le precedenti previsioni. La riduzione del rapporto dovrebbe accentuarsi nel 2018, con un valore pari al 131 per cento, ascrivibile sia al miglioramento del fabbisogno sia alla crescita del PIL nominale. A questo si aggiungeranno le entrate da privatizzazioni e un'ulteriore riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro. Nel 2019 il rapporto è previsto calare al 128,2 per cento, in virtù di una riduzione del fabbisogno per circa un punto percentuale di PIL, un costante livello di entrate da privatizzazioni e una crescita del PIL nominale pari al 3 per cento. Nel 2020 il rapporto scende ulteriormente al 125,7 per cento ed è previsto stabile, e la crescita del PIL nominale è pari al 2,8 per cento, mentre gli introiti da privatizzazioni restano confermati allo 0,3 per cento del PIL.

Il Programma nazionale di riforma: la struttura del Piano nazionale riforme 2017 si articola su due scenari di intervento, rispettivamente di breve e di medio periodo. Nel breve periodo, vale a dire fino a prima della Nota di aggiornamento, si espongono quelle misure che necessitano di una rapida approvazione, mentre nel medio periodo, inteso come il periodo annuale che arriva fino al prossimo Documento di economia e finanza, si indicano gli interventi da attuare in sei ambiti strategici di medio termine, che puntano ad affrontare gli squilibri macroeconomici del Paese e sono sostanzialmente riconducibili alle raccomandazioni del Consiglio dello scorso luglio.

Quanto alle azioni di breve periodo, il piano fa riferimento alla continuazione del percorso di liberalizzazioni mediante l'approvazione in tempi rapidi del disegno di legge per la concorrenza all'esame delle Camere. Proseguirà, inoltre, il processo di privatizzazione di società controllate dallo Stato e del patrimonio pubblico immobiliare, cui è affidato, nell'ambito degli obiettivi di finanza pubblica, il conseguimento di entrate per lo 0,3 per cento del PIL. Un altro importante filone di intervento immediato viene individuato nell'approvazione della riforma del processo penale e della disciplina della prescrizione, cui si accompagneranno una serie di interventi organizzativi tesi ad accrescere l'efficienza del sistema giudiziario e, per questa via, della competitività del Paese.

Sul versante fiscale e della competitività, oltre a proseguirsi il percorso di spostamento del carico fiscale per favorire la crescita, si darà ampio spazio alle misure per la produttività, ad esempio rafforzando l'efficacia degli accordi di secondo livello ed incentivando la riforma della contrattazione collettiva in chiave di recupero competitivo. Nella strategia di breve periodo, infine, viene data evidenza all'attuazione delle azioni di contrasto alla povertà delineate nella legge delega n. 33 del 2017: reddito di inclusione, riordino delle prestazioni assistenziali, rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali.

Quanto, invece, alla strategia di medio termine, il Piano nazionale riforme delinea sei principali ambiti di intervento, che sono gli aggiustamenti di bilancio e di fiscalità, la pubblica amministrazione, il contrasto alla corruzione e giustizia civile, efficientamento della giustizia civile, crediti deteriorati e settore bancario, mercato del lavoro e spesa sociale e concorrenza. Chiedo quanto tempo mi resta… cinque minuti.

Ecco, allora, nel rinviare nel dettaglio, direi, al contenuto poi delle azioni concrete di riforma in questi ambiti relativi al medio periodo, che sono comunque riportate nella relazione, andrei alla conclusione.

Vorrei, in conclusione, ricordare quanto ha sottolineato la Corte dei conti nel corso dell'audizione dinanzi alle Commissioni bilancio di Camera e Senato. Il passo della ripresa economica, anche se ancora lento, è già in parte consolidato dagli interventi avviati nella direzione di un più alto saggio di accumulazione e di un maggiore stimolo alla produttività, frutto del percorso di politiche di bilancio e politiche economiche di questi anni. Inoltre, i dati di consuntivo degli ultimi anni e le proiezioni a legislazione vigente del DEF 2017 confermano la buona tenuta dell'azione, ormai di lunga data, di controllo della spesa pubblica, ferma restando la necessità di un continuo monitoraggio.

In conclusione, come già avvenuto negli ultimi anni, il DEF affronta la questione di fondo per il nostro Paese, che, come ha ben evidenziato la stessa Corte dei conti, consiste nel conciliare l'esigenza vitale di un recupero di tassi di crescita economica più elevati con il mantenimento di condizioni di sicurezza della finanza pubblica, necessarie per assicurare il rifinanziamento del debito sul mercato e per non gravare le future generazioni con oneri non più sostenibili (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Federico D'Incà.

FEDERICO D'INCA', Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Anch'io andrò a leggere una sintesi, il resto è depositato. Le previsioni programmatiche per il periodo 2017-2020, illustrate nel Documento in esame, ci prospettano un indebitamento netto al 2,1 per cento del PIL per il 2017, all'1,2 per cento nel 2018, allo 0,2 per cento nel 2019, per raggiungere, poi, il pareggio nel 2020. Le previsioni dell'indebitamento nel 2017 al 2,1 per cento sono già comprensive della correzione richiesta dalla Commissione europea nella misura dello 0,2 per cento del PIL. Tuttavia, le misure correttive non sono contenute, nello specifico, nel presente Documento, ma solo elencate, e riguardano anche interventi di aumento della pressione fiscale quali la rimodulazione delle accise sul tabacco e la revisione dello split payment, che, come rilevato dalla Confapi in audizione, rischia di sottrarre alle nostre aziende liquidità e IVA a credito. Dunque, la difficoltà di raggiungere gli obiettivi prefissati nel Documento di economia e finanza 2016, nonostante le ripetute richieste di flessibilità, dimostra la fragilità e la ristrettezza dei margini entro i quali il Governo, anche per il periodo 2017-2020, cerca di programmare la ripresa economica.

I consumi privati delle famiglie sono in leggero rallentamento - nel 2017 lo 0,8 per cento rispetto al 2016, dove erano l'1,2 per cento - e rappresentano il maggiore fattore di sostegno alla domanda interna per la crescita del PIL, nonostante permanga un'alta propensione al risparmio. Le esportazioni come fattore di crescita subiscono una leggera flessione dal 3,7 per cento, previsto nel 2017, attestandosi ad una media del 3,2 per cento, leggermente inferiore al tasso dei mercati esteri di interesse dell'Italia.

Per quanto concerne il Piano nazionale delle riforme, non sono state inserite novità rispetto alle riforme già contenute nel DEF 2016, nonostante l'attesa della revisione della tassazione dell'Irpef e la pubblicizzata riduzione a regime del cuneo fiscale, necessarie per recuperare in tempi brevi i livelli occupazionali e di crescita pre-crisi.

Anche quest'anno il DEF presenta quadri macro-economici di finanza pubblica troppo ottimistici, il Governo infatti mostra delle stime inadeguate e, quindi, generatrici di incertezza. Benché formalmente il consiglio dell'Ufficio parlamentare di bilancio abbia validato la previsione tendenziale, anche quest'anno ricorda al Governo che utilizza delle stime ottimistiche. Lo stesso Ufficio parlamentare di bilancio indica come insoddisfacente il quadro complessivo della linea politica di bilancio. Concordiamo con l'Ufficio parlamentare di bilancio, che pone giustamente l'accento sulle indicazioni e le caratteristiche degli interventi espansivi su cui si basa il documento in esame.

Tali scenari rendono del tutto impossibile la disattivazione delle clausole di salvaguardia. Tutto il quadro prospettato dal Governo è attraversato da una incertezza di base sulla dimensione dell'aggiustamento necessario e delle manovre da attuare per il 2018.

Il Governo dovrebbe anche avviare un concreto piano di intervento per la tutela e la messa in sicurezza del territorio, nell'ottica della prevenzione del rischio idrogeologico e sismico, individuando risorse certe, anche attraverso una più attenta programmazione delle opere pubbliche, privilegiando quelle che siano davvero utili per il Paese.

Visti i preoccupanti dati sulla disoccupazione, è forte la necessità di regolare il mercato del lavoro, puntando su ridistribuzione e innovazione. Quindi, il Governo dovrebbe invertire le politiche economiche adottate sino ad oggi, basate sul principio del labour intensive, che a loro volta si fondano sulla precarizzazione dei lavoratori e sulla riduzione del loro salario, adottando politiche economiche di capital intensive, investendo nei settori quali l'energia pulita e l'innovazione.

Per rilanciare il Paese, è necessario operare una drastica correzione degli indirizzi di politica economica e sociale seguiti negli ultimi anni, finalizzati non più al cieco e affannoso ricorrere di teorie neoliberali, oppressive nei confronti delle fasce più deboli della popolazione, e cercando di incasellare i dati relativi alla performance dell'Italia in sterili parametri imposti dall'alto, bensì proiettati al rinnovamento del Paese, alla realizzazione di un settore produttivo più competitivo, alla promozione di una maggiore coesione ed equità sociali, facendosi promotore di iniziative idonee ad accelerare la transizione ad un modello alternativo di sviluppo, sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico e che ristabilisca equità e giustizia sociale, ricreando in tal modo prospettive economiche ed occupazionali stabili, che possono portare fiducia nei cittadini e sostegno della domanda dei beni e servizi nel medio e lungo termine, indispensabile per progettare un acquisto economico stabile nel tempo.

Bisogna individuare obiettivi di spesa che siano necessariamente etici e rispondenti a valutazioni di impatto sociale, pur nell'attenta considerazione delle risorse disponibili, e adottare misure di spending review per finanziare la riduzione del carico fiscale alle famiglie e alle imprese, evitando di tagliare servizi e agevolazioni vigenti di sostegno al reddito, per rendere effettiva la riduzione della pressione fiscale.

Bisogna promuovere in ogni sede e con ogni mezzo la rivisitazione dei trattati internazionali, in particolare il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione europea, al fine di abbandonare la deleteria politica di rigore e assumere iniziative anche in sede di Unione europea, per abbandonare l'uso di un indice poco rappresentativo del benessere di un Paese e dei suoi cittadini, quale il prodotto interno lordo, il PIL, e adottare, quindi, indici alternativi quali la coesione sociale, i salari, la sicurezza dell'impiego, l'ambiente, la salute, la sicurezza, la qualità dell'abitazione, l'educazione e quant'altro possa essere in grado di rappresentare aspetti più rilevanti del benessere dei cittadini.

Un Governo che abbia come missione quella di far uscire il Paese dalla crisi dovrebbe adottare tutte le misure di politica economica idonee ad accelerare il tasso di crescita dell'economia, derogando, sin dalla programmazione 2017-2020 in corso, alle regole di austerity del Fiscal compact, in coerenza con la volontà di porre il veto all'inserimento del medesimo nei trattati europei e dare corso ad un periodo di politica economica espansiva, che abbia come priorità la destinazione di tutte le risorse disponibili agli investimenti pubblici, al sostegno dei redditi più bassi e al miglioramento delle condizioni di vita della collettività. È indispensabile sospendere l'applicazione del raggiungimento del pareggio di bilancio e quindi il rispetto dell'indebitamento entro il 3 per cento del PIL, fino al conseguimento di uno stato di benessere sociale. Bisogna intervenire anche nelle sedi europee per rilanciare il principio di una gestione autonoma del debito da parte degli Stati, basato non più sull'abbattimento accelerato dei debiti pregressi, ma concordando una riduzione progressiva del debito attraverso la crescita economica e in concomitanza di una congiuntura economica favorevole.

Non è più procrastinabile la promozione in sede europea di iniziative per l'armonizzazione interna dei montanti dei surplus/deficit tra i vari Paesi dell'Unione, se vogliamo davvero un'Europa dei popoli solidale e con condivisione dei benefici ma anche dei rischi.

Il Governo in questi anni avrebbe dovuto programmare una politica mission oriented, incentrata sulla promozione dell'innovazione nei settori chiave, con particolare attenzione al comparto dell'energia pulita, e a considerare, come vincolanti, gli indicatori di benessere equo e sostenibile, recentemente individuati, appunto, nel Documento di economia e finanza, rendendoli però programmatici. Invece, il Governo ha preferito adottare politiche di austerity, puntando su precarizzazione dei lavoratori e dismissione di asset produttivi tramite le privatizzazioni.

Il tema delle privatizzazioni è al centro dell'agenda italiana da più di vent'anni, determinando una progressiva diminuzione della presenza dello Stato nella proprietà degli asset strategici e dei mezzi di produzione del Paese, ma le diverse privatizzazioni effettuate in Italia in questo lasso di tempo mostrano come l'affidarsi al mercato non è stato risolutivo per il miglioramento dei servizi ai cittadini, rivelandosi un falso mito.

Appare, inoltre, sconcertante come un Paese, che ha fondato la propria esistenza sulla «solidarietà economica e sociale» (articolo 2 della Costituzione) possa appiattirsi a tal punto su un sistema «concorrenziale», abbandonando i suddetti nobili principi di solidarietà.

La soluzione di adottare la strategia della privatizzazione per risolvere le inefficienze gestionali delle imprese pubbliche nasce da una serie di errate convinzioni e scarsa conoscenza delle materie economiche. Tali tesi si fondano sull'errata convinzione che «mercato» sia sinonimo di «concorrenza perfetta», dimenticando che il mercato è condizionato da fenomeni, come quelli del lock-in, o anche dell'effetto rete, legati alle condizioni di partenza, che generano situazioni diverse in casi e tempi diversi, tutto questo peggiorato da un'altissima asimmetria di informazione che disintegra totalmente la sovranità del consumatore.

Le azioni del Governo in carica e dei suoi predecessori, nonché le varie privatizzazioni, hanno dimostrato che sia il Governo, che gli imprenditori che si sono sostituiti allo Stato, hanno perseguito interessi di breve periodo, puntando più sul profitto immediato, riducendo l'offerta, piuttosto che sull'innovazione del servizio stesso. Il tutto è alquanto ovvio in quanto si sono ritrovati a operare in regimi di oligopolio o di monopolio naturale, quindi non sono stati sottoposti ad alcuna spinta all'innovazione e al miglioramento del servizio. Ad esempio, possiamo citare il ritardo tecnologico provocato dalla mancanza di investimenti nel comparto della telefonia. Il ritardo tecnologico ha generato la piaga del digital divide, che insiste sul territorio nazionale e che provoca ulteriori rallentamenti in altri ambiti quali quello culturale, imprenditoriale e innovativo.

PRESIDENTE. Deve concludere.

FEDERICO D'INCA' , Relatore di minoranza. In conclusione, il Governo attuale e i precedenti, sia negli anni precedenti la crisi che dal 2008 ad oggi, hanno perso l'occasione di mettere in campo misure adeguate di sostegno al reddito e di inclusione sociale, al pari di quelle già adottate dagli altri Paesi europei, quali il reddito di cittadinanza, da noi più volte invocato, e hanno anche perso l'occasione per uscire dalla crisi mettendo in campo politiche finalizzate all'innovazione in settori strategici, creatori di nuovi mercati, quali, a mero titolo di esempio, il settore della green economy.

PRESIDENTE. Concluda.

FEDERICO D'INCA' , Relatore di minoranza. Ancora un secondo e ho terminato. Oramai siamo in affanno con i conti, con un debito sovrano che è cresciuto negli ultimi dieci anni. Non ha senso perseverare nell'errata convinzione di migliorare il benessere dei conti e del Paese utilizzando gli impegni del Fiscal compact, che i Governi, sia di destra che di sinistra, hanno sottoscritto. Non siamo in grado di sostenere la competitività con i Paesi europei più forti, quali la Germania, che hanno anticipato le riforme strutturali in tempi precedenti la crisi, e il continuare manovre di contrazione della nostra capacità produttiva, tramite una carenza di spesa in investimenti, soprattutto in innovazione, porterà solo ad acuire tale situazione.

Il tempo rimasto è esiguo e si avvicina il 2018, anno in cui è prevista la riduzione da parte della BCE del quantitative easing e che, in mancanza di un rilancio serio della nostra economia, ci troverà impreparati, con il rischio di far crollare definitamente la credibilità del nostro Paese. Siamo ancora oggi nelle mani di una maggioranza che ci ha condotto in una situazione difficile e precaria. Auspichiamo che il Governo della prossima legislatura sappia percorrere un vero percorso di riforme, in grado di mettere il cittadino al centro della discussione politica e del futuro dell'Italia.

PRESIDENTE. Onorevole D'Incà, resta agli atti che mi deve restituire quarantacinque secondi!

Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Marcon.

GIULIO MARCON, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Ho dieci minuti?

PRESIDENTE. Sì, come relatore di minoranza, ha dieci minuti.

GIULIO MARCON, Relatore di minoranza. Grazie. Signor sottosegretario, colleghe e colleghi, noi abbiamo depositato una relazione di minoranza, che ovviamente è agli atti e della quale mi limiterò a segnalare solamente alcuni punti, perché la relazione molto corposa e articolata, con molti dati e molte proposte specifiche.

Vorrei segnalare - se faccio in tempo in dieci minuti - cinque punti. Il primo riguarda i dati contenuti nel DEF, dati che a nostro giudizio sono ottimistici, alcuni sono non chiari e hanno bisogno di un approfondimento, ad esempio il rapporto deficit-PIL all'1,2 per cento per il prossimo anno, più l'aumento del PIL previsto, anche questo, per il 2018, che non corrisponde, ad esempio, alle stime fatte da altri istituti, come ad esempio il Fondo monetario internazionale.

Ci sono alcuni elementi che chiamano a una riflessione su come vengono prodotti i dati, su come vengono elaborati, e su come si fanno le stime, perché già l'Ufficio parlamentare di bilancio, in altre occasioni, ci ha detto appunto che c'è bisogno, come anche nei precedenti provvedimenti, di un approfondimento specifico per avere dei dati molto più corrispondenti a quello che poi effettivamente si verifica. Chiaramente, molti hanno detto che il rapporto deficit-PIL all'1,2 per cento è irrealistico, bisognerà intervenire. Questo dato prevede già l'attivazione delle clausole di salvaguardia che sappiamo già in piccola parte essere state disattivate con la manovrina. Nello stesso DEF sono previste altre stime che sono un po' campate in aria, come per esempio gli effetti sul lungo periodo di alcune riforme strutturali: Jobs Act più 0,5 per cento, la buona scuola più 0,3. Si tratta di stime che non hanno corrispondenza, come è già successo negli altri documenti di economia finanza, con quello che succede realmente. C'è una reticenza ancora sulle clausole di salvaguardia, su quello che succederà: nel DEF c'è scritto qualcosa, poi però nelle interviste si dice altro, come già Padoan recentemente ha fatto in un'intervista quando ha parlato dell'opportunità di prevedere la possibilità di utilizzare le stesse risorse, ad esempio, sul cuneo fiscale. Insomma ci sono molti elementi di incertezza, di opacità e di reticenza sui dati, cosa che ci fa dire che questo è un DEF che mantiene un alto tasso di indefinitezza, un alto tasso di reticenza, e dovremo probabilmente attendere quello che succederà durante l'estate, e poi a settembre con la Nota di aggiornamento, per capire cosa si vuol fare con la prossima legge di bilancio.

Ci sono dei dati preoccupanti, è stato ricordato: la sanità che scende al 6,4 per cento del PIL, un calo degli investimenti pubblici del 4,5 per cento. Si mette come posta lo 0,3 di entrate dalle privatizzazioni, circa 5 miliardi di euro, che invece di essere utilizzati per gli investimenti pubblici vanno a intaccare solo lievemente un debito pubblico, uno stock di debito pubblico, che il DEF prevede al 132,5 per cento. Quindi, anche da qui si capisce l'inutilità di un'operazione di questo tipo soprattutto rispetto al risultato, un risultato molto modesto, molto impercettibile rispetto al calo del debito, e sarebbe molto meglio usare quelle risorse per promuovere gli investimenti pubblici, cosa che i Governi non hanno fatto in questi anni; come sappiamo, gli investimenti pubblici sono drasticamente calati.

L'Istat in audizione ci ha detto che abbiamo quasi un 12 per cento di persone italiane che vivono in condizioni di grave disagio sociale ed economico. Ci ha detto che c'è un aumento del 3 per cento degli anziani sopra i 65 anni che vivono in condizioni di grave disagio sociale; dati che sono sotto gli occhi di tutti, che sono patrimonio dell'opinione pubblica e che testimoniano che la situazione economica del Paese non sta migliorando. Ci sono i dati nel DEF su Europa 2020. Puntualmente, anche in questo caso, non ci sono miglioramenti sensibili rispetto agli anni precedenti, abbiamo dei ritardi pesanti su alcuni aspetti come quelli della lotta all'abbandono scolastico, il numero dei laureati. Gli indicatori previsti da Europa 2020 ci vedono ancora in gravissima difficoltà.

Terzo punto, quello che ricordavo prima: un deficit reticente e opaco che è in continuità con le precedenti politiche che sono quelle che abbiamo conosciuto in questi anni, ovvero la riduzione della spesa, soprattutto spesa sociale. Abbiamo decine di miliardi tagliati agli enti locali e alla sanità in questi anni che hanno costretto gli enti locali e le regioni a nuove imposizioni fiscali per cercare di offrire un quadro di servizi analogo a quello degli anni precedenti. Abbiamo la precarizzazione del mercato del lavoro, come testimoniano i vari provvedimenti che sono stati presi dal Parlamento in questi anni, a partire dal Jobs Act. Abbiamo delle politiche di privatizzazione che prima ricordavo che, tra l'altro, hanno incontrato gravissime difficoltà, oltre forse a introdurre un elemento di svendita del patrimonio pubblico che andrebbe valutato in modo assai critico. Poi abbiamo questa ricetta che non ha funzionato, che è quella degli investimenti privati attraverso politiche di sgravi fiscali. Non hanno funzionato in Europa e non stanno funzionando nel nostro Paese. Tra l'altro, investimenti privati che vanno spesso, sempre, nelle stesse direzioni, mentre noi avremmo bisogno di un piano di investimenti pubblici dove mettere dei soldi veri per far fronte ai bisogni drammatici del nostro Paese e creare, in questo modo, posti di lavoro veri e nuovi.

Quarto punto, la novità degli indicatori di benessere equo e sostenibile. Si tratta ovviamente di un fatto molto significativo e importante, frutto di un lavoro trasversale di maggioranza e opposizione, per inserire degli indicatori diversi da quelli macroeconomici classici tradizionali che abbiamo conosciuto nella storia parlamentare, nella storia politica del nostro Paese, ma, più in generale, europea e mondiale. È una novità importante perché ci serve a valutare la qualità e i risultati prodotti dalle politiche, valutare l'impatto delle politiche. Va detto che però il risultato è ancora modesto: solo quattro indicatori, sui 130 che l'Istat prevede. Vi è un'interpretazione che mi permetto di dire è un po' propagandistica in alcuni casi: quando si dice che gli 80 euro hanno contribuito ad arginare le diseguaglianze in questo Paese si fa un'affermazione che non è corroborata dai fatti, come l'Istat ci ha detto più volte venendo in audizione in Commissione bilancio. Non ci sono i confronti con la dimensione europea, cosa che l'Istat invece fa, e quindi tutto questo ci fa dire che deve essere fatto ancora molto lavoro; è un fatto positivo, ma va molto migliorato e va molto affinato per darci anche in un quadro di indipendenza del giudizio - questa è una riflessione che dovremo fare in futuro - un dato più corrispondente alla realtà. Sarebbe meglio che questo lavoro fosse fatto da un istituto come l'Ufficio parlamentare di bilancio o dall'Istat stesso, in grado di garantire una maggiore autonomia e indipendenza rispetto alle valutazioni che vengono fatte. Mi rendo conto che c'è un dispositivo di legge, che è la legge di bilancio, ma su questo dobbiamo intervenire per avere un quadro un po' più corrispondente alla realtà.

Chiudo, con il quinto punto, dicendo che noi pensiamo che il nostro Paese avrebbe bisogno di un Documento di economia e finanza diverso da quello che discutiamo oggi, che è un po' la continuazione degli altri DEF con altri mezzi, si potrebbe parafrasare, in un formato più piccolo, perché poi su molte scelte si attende, si aspetta quello che succederà nei prossimi mesi, e ovviamente molte sono le incognite. Avremmo bisogno di un DEF che punti sugli investimenti pubblici, invece che sugli sgravi fiscali per promuovere investimenti privati che non ci sono o vanno in una direzione sbagliata. Avremmo bisogno di un DEF che sostenga la domanda pubblica e privata e avesse un carattere espansivo e non l'offerta attraverso manovre che hanno sempre di più un carattere restrittivo, come abbiamo visto in questi anni. Avremmo bisogno di un Piano del lavoro e non di politiche di precarizzazione del mercato del lavoro che hanno trasformato il mercato del lavoro in un mercato dei lavoratori. Avremmo bisogno di investire su un modello di sviluppo diverso, sul cosa produrre, cosa consumare, e intervenire sulla questione dei sussidi perversi, intervenire su una serie di questioni che riguardano la qualità del nostro modello di sviluppo e avremmo bisogno, e chiudo su questo, di una politica fiscale diversa. Non si tratta semplicemente di pagare meno tasse, si tratta di affermare un principio di giustizia fiscale e sociale capace di far pagare tutti, di far pagare il giusto, di far pagare quelli che non hanno mai pagato. La questione della web tax rimane sospesa, la questione della Tobin tax pure, l'ha fatta Monti, ma siamo rimasti a Monti, andrebbe approfondita, sviluppata e corretta su molti punti. Dovremmo intervenire anche sul riequilibrio dei grandi redditi, dei grandi patrimoni, per dare maggiore giustizia fiscale e sociale al nostro Paese. Tutto questo nel DEF del Governo che sarà votato dalla maggioranza non c'è, per questo proponiamo una relazione di minoranza che propone altri obiettivi e altre strategie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vignali. Ne ha facoltà.

RAFFAELLO VIGNALI. Grazie Presidente. Io vorrei sottolineare soprattutto alcuni dati contenuti nel DEF, perché credo abbiamo bisogno innanzitutto di stare sulla realtà e non su opinioni per quanto rispettabili, ma slegate dalla realtà stessa. Secondo il DEF, nel complesso, lo scenario economico internazionale all'inizio del 2017 è migliore delle attese.

Si registra un miglioramento della fiducia delle imprese e dei consumatori, e le condizioni monetarie continuano ad essere accomodanti, favorendo un maggiore accesso al credito e sostenendo l'espansione di consumi e investimenti.

Nel 2016, l'economia mondiale ha registrato un incremento di circa il 3 per cento, stabilizzandosi su un sentiero di graduale ripresa, in linea con il 2015. Il DEF prevede un'espansione del commercio mondiale del 3,4 per cento nel 2017 e del 3,5 nel 2018, fino al 3,9 nel 2019, e il prezzo del petrolio viene anch'esso considerato sostanzialmente stabile nel quadriennio da qui al 2020. In sostanza, un quadro generale di ripresa, e in questo quadro generale di ripresa vi sono evidentemente alcuni rischi, che sono tutti da condurre a possibili tensioni geopolitiche. Innanzitutto, positivo è che sia stato temporaneamente disinnescato il pericolo connesso alle elezioni francesi: l'effetto “Macron” ha spinto i mercati europei sui massimi; le migliori performance post-elezioni francesi si sono avute a Milano (più 4,8 per cento) e Parigi (più 4,14 per cento). A giovare del clima sono stati anche la moneta unica, in rialzo sul dollaro (a 1,9) mentre spread francese ed italiano sono in questi giorni in calo. Secondo elemento di rischio, però, sono i possibili danni che potrebbero derivare al commercio internazionale e all'economia mondiale da eventuali misure protezionistiche intraprese dall'amministrazione statunitense e ancora bisogna attendere gli esiti della Brexit, posto che il processo di uscita del Regno Unito è appena stato formalizzato. Di rispetto a questo, però, dipenderà tutto dalla capacità di trattative di mediazione, non solo a livello UE ma anche a livello bilaterale. Ancora, vi sono rischi derivanti dalla situazione dell'area mediterranea, che hanno avuto effetto immediato sulle poste economiche nazionali: le spese per il soccorso e l'accoglienza dei migranti potrebbero salire, al netto dei contributi dell'UE, fino a 4,6 miliardi di euro, cioè fino a 1 miliardo in più rispetto al 2016. Infine, il perdurare della tensioni con la Russia, che ha comportato per noi un danno diretto di 10 miliardi solo per i prodotti agroalimentari, a causa dell'embargo, e nel complesso, nel 2016, le esportazioni italiane totali in Russia sono diminuite di un ulteriore 5,3 per cento, scendendo al minimo storico da almeno un decennio. Per quel che concerne l'area euro, il DEF, in linea con il più recente Bollettino economico della BCE, sottolinea come nel 2016 la ripresa economica si sia consolidata con un più 1,7 per cento, in marginale accelerazione rispetto all'anno precedente (1,6 per cento) e principalmente attribuibile al contributo dei consumi privati. Il DEF registra anche una buona performance del mercato del lavoro a livello UE.

Per quel che riguarda l'Italia, l'Istat ha diffuso il 3 aprile i dati sulla situazione del lavoro: il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 15 e i 24 anni, a febbraio, è sceso al 35,2 per cento; pur rimanendo evidentemente alto, registra una diminuzione di 1,7 punti rispetto a gennaio, e un calo di 3,6 punti rispetto a febbraio 2016. Su base annua, a febbraio si conferma la tendenza all'aumento del numero di occupati (più 294.000) e la crescita riguarda sia i lavoratori dipendenti (più 280.000) sia, in misura più contenuta, gli indipendenti (più 14.000). A tal proposito, il Ministero del lavoro ha rilevato che complessivamente, da febbraio 2014, cresce di 716.000 unità il numero degli occupati, 478.000 dei quali sono lavoratori stabili. Positiva anche la dinamica relativa ai disoccupati, che diminuiscono complessivamente di 290.000 unità, con un calo di 8,1 punti percentuali del tasso di disoccupazione giovanile.

Nel focus dell'Ufficio parlamentare di bilancio, dal titolo “La remunerazione del lavoro accessorio occasionale e l'esperienza dei voucher”, si legge che in presenza di una dinamica di crescita dell'uso dei buoni lavoro, alla fine del 2016 i lavoratori pagati con voucher rappresentano comunque non oltre il 5,6 per cento dei lavoratori dipendenti ed indipendenti. Noi crediamo che la cancellazione della norma recentemente fatta possa riportare al lavoro nero, e credo che su questo bisognerà fare molta attenzione. Noi abbiamo presentato un progetto per ampliare le possibilità di lavoro a chiamata e di lavoro a orario ridotto sul modello dei mini-jobs tedeschi, i cui contenuti chiediamo vengano trasfusi nella risoluzione al DEF e nel programma del Governo per i prossimi mesi.

Con riferimento al 2016, poi, il DEF evidenzia come l'economia italiana sia entrata nel terzo anno di ripresa, registrando un tasso di crescita dello 0,9 per cento in termini reali, superiore a quanto previsto a settembre nel corso della Nota di aggiornamento del DEF 2016. Questo è dovuto innanzitutto all'incremento dei consumi finali, ma soprattutto degli investimenti fissi lordi, che sono considerati giustamente il segnale principale della ripresa economica. In questo ambito, anche la componente delle costruzioni registra, per la prima volta dal 2007, un valore positivo (più 1,1 per cento). L'indagine trimestrale di recente svolta dalla Banca d'Italia, e relativa al primo trimestre 2017, rileva che gli incentivi del Piano Industria 4.0 sono ritenuti di un qualche rilievo nelle decisioni di investimento - quindi non è vero che i privati non investono a fronte di un sostegno fiscale serio -, e sono ritenuti di rilievo dal 66 per cento dalle imprese dell'industria e dei servizi.

Secondo il DEF, questi risultati sono incoraggianti in termini di probabile andamento degli investimenti ad alto contenuto tecnologico nel prosieguo dell'anno e nella prima metà del 2018. Le importazioni e le esportazioni ancora sono aumentate, rispetto al terzo trimestre, con incrementi rispettivamente del 2,2 dell'1,9 per cento. Su base annua, le esportazioni di beni e servizi sono aumentate del 2,4 per cento e le importazioni del 2,9 per cento. Il saldo commerciale ha mostrato un marcato miglioramento, rispetto al precedente biennio: nel 2016 l'avanzo commerciale ha raggiunto i 51,5 miliardi, aumentando di quasi di 10 miliardi rispetto al 2015, rimanendo tra i più elevati dell'Unione europea. Il buon andamento del settore estero si riflette anche nel surplus del saldo corrente della bilancia dei pagamenti (2,6 del PIL) che si avvicina ai valori record della fine degli anni Novanta. Nel complesso, il PIL in volume nel 2016 è risalito al di sopra del livello registrato nel 2000; la crescita del PIL si pone tuttavia al di sotto di quella registrata nei maggiori Paesi europei. Da questo punto di vista, chiediamo al Governo di continuare a insistere sulle misure per la crescita, a partire dal sostegno agli investimenti materiali e immateriali delle imprese.

Il DEF rileva anche l'aspetto positivo della ripresa economica nel 2016 sulle condizioni finanziarie e creditizie del Paese, principalmente dovute all'aumento di prestiti per l'acquisto di abitazioni. Per il 2018 si prevede una lieve riduzione del tasso di crescita rispetto al 2017, ridotto attorno all'1 per cento: ragioni prudenziali legate alla programmazione di bilancio vincolano le proiezioni di crescita. Apprezziamo vivamente l'intento del Governo di disattivare, nella prossima legge di bilancio, le clausole di salvaguardia poste a garanzia dei saldi della finanza pubblica. L'aumento dell'IVA, previsto dalle clausole di salvaguardia, infatti, ostacolerebbe fortemente l'accelerazione tendenziale dell'economia.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 13)

RAFFAELLO VIGNALI. Concordiamo con quanto ha scritto il Governo nel Programma nazionale di riforma: crediamo che queste siano le leve su cui intervenire, e crediamo che siano priorità da perseguire. Non crediamo, invece, a politiche neo-keynesiane, che nei Paesi con alto contenuto di indebitamento producono effetti negativi. Questo è dimostrato da numerosissime ricerche, anche dagli stessi sostenitori di queste politiche. Per quanto riguarda le entrate, registriamo positivamente anche l'aumento di esse. Noi chiediamo al Governo di proseguire sulla strada giusta seguita durante questa legislatura. L'Italia ha tutti i fattori che consentono la competizione, occorre crederci e fare di tutto per mettere le imprese, a cominciare dalle micro, piccole e medie, in condizione di competere e di creare lavoro. Chiediamo al Governo di lasciare da parte l'irrealismo lunare di certi macroeconomisti e di arcaiche posizioni ideologiche sul lavoro, e di guardare con realismo all'economia reale e ai suoi bisogni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caso. Ne ha facoltà.

VINCENZO CASO. Presidente, siamo arrivati al quarto DEF di questo Governo delle grandi coalizioni tra centrodestra e centrosinistra, non facendo alcuna distinzione tra Letta, Renzi e Gentiloni, perché sinceramente non se ne vedono. Al di là dei differenti temperamenti ed atteggiamenti dei vari Premier che si sono succeduti, al di là delle diverse dichiarazioni di facciata, la realtà dei fatti cambia molto poco. Ogni anno assistiamo alla redazione di documenti programmatici basati su numeri totalmente campati in aria. Ogni anno la nostra politica economica e tutte le riforme del Governo sembrano più assolvere i diktat europei che avere alla base una visione complessiva sul futuro del Paese.

Ogni anno vi segnaliamo le nostre proposte di modifica ed ogni anno ci ignorate. Infatti, anche quest'anno, le stime del Governo sulla crescita del PIL sono - per usare un eufemismo – ottimistiche. Anche quest'anno l'Ufficio parlamentare di bilancio ha segnalato questo problema, segnalando che vi è una generale sopravvalutazione del quadro tendenziale. Tutti sanno, ormai, che noi del MoVimento 5 Stelle non riteniamo il PIL un indicatore efficace nel misurare il benessere della popolazione, ma, siccome questo valore, ancora a tutt'oggi, è alla base della politica economica del Governo, vi renderete tutti conto che un errore di valutazione sistematico, in questo contesto, implica un'assoluta inaffidabilità dell'intera programmazione.

Non è un caso infatti che, qualche settimana prima della pubblicazione del DEF, le stime sul PIL del 2017 fossero all'1 per cento, mentre poi nel documento ci siamo ritrovati l'1,1 per cento. Secondo voi, è trascurabile che il Fondo monetario internazionale, invece, stimi la variazione allo 0,8 per cento? Abbiamo già visto, negli anni passati, tesoretti annunciati andare in fumo, nel fumo che, puntualmente, viene lanciato negli occhi dei cittadini, troppo impegnati a fare i conti con la crisi ancora in atto per accorgersi dei subdoli magheggi di questi professionisti della politica.

Questo per dire che, quando l'errore è sistematico, non può essere considerato in buona fede, che errori del genere non sono affatto casuali, ma funzionali a chissà quali strategie collegate agli appuntamenti elettorali ormai prossimi. E sì, perché non è questione di complottismo: è che non ci fidiamo, non possiamo credere che i partiti, che hanno agito in questi decenni solo per spartirsi il potere, siano capaci di mettere in atto una politica economica di ampio respiro, con una visione, appunto, come dicevamo prima. Ed infatti questo DEF lo dimostra. I partiti sono troppo impegnati a capire, in quel momento, cosa conviene fare per accaparrarsi questo o quel voto, per garantirsi il benestare dei poteri forti, per tenersi buone le istituzioni europee e quindi non danno alcuna risposta chiara al Paese.

È per questo che ormai è evidente che non ha più senso parlare di destra e di sinistra, se poi la direzione verso cui vanno tutti i partiti, una volta raggiunto l'Esecutivo, è quella di tutelare i più forti, le caste, le corporazioni, quelli che finanziano le campagne elettorali.

Se vogliamo ragionare in termini di PIL, i risultati prospettati dal Governo, nonostante siano - come detto – ottimistici, sono comunque del tutto insoddisfacenti. Sicuramente avremmo potuto aspettarci di più in un momento come questo, in cui la congiuntura internazionale è favorevole. Nel 2016, infatti, l'economia mondiale ha registrato un incremento del 3 per cento, rispetto al 2015, e si è stabilizzata su un sentiero di crescita in tutti i Paesi avanzati, come si registra dai dati del primo trimestre del 2017. Anche in area euro ci sono evidenti segnali di ripresa: nel 2016, la crescita del PIL è stata dell'1,7 per cento, contro lo 0,9 italiano. Insomma, siamo il solito fanalino di coda, nonostante le tanto esaltate riforme di questi anni.

Non credo di dovermi dilungare molto nello spiegare perché pensiamo che ogni DEF che ci viene sottoposto sia scritto più per rassicurare, nel render conto alla Commissione europea, che per dichiarare, di fronte ai cittadini, quali siano le proprie intenzioni per i prossimi anni. La cosiddetta manovrina emanata in questi giorni, fulcro del DEF di quest'anno, ne è la prova evidente. L'Europa ci ha chiesto di abbassare dello 0,2 per cento il deficit e – ricordando, invece, le dichiarazioni su dichiarazioni, decine di articoli di stampa e dibattiti pubblici, in cui gli esponenti del Governo e del PD rassicuravano sul fatto che non si sarebbero piegati a questa richiesta, che i 3,4 miliardi erano troppi, eccetera, eccetera - alla prova dei fatti, invece, il compitino è stato eseguito alla perfezione. Volere dell'Europa rispettato e, per non smentirsi mai, in mezzo, si è riusciti anche a inserire una marchetta agli amici del golf!

Anche se l'effetto sull'indebitamento sarà leggermente inferiore - 3,1 miliardi -, i soldi sono stati trovati, come sempre, nel modo più semplice, aumentando le accise e con tagli praticamente lineari ai Ministeri, per 600 milioni, tartassando le imprese e la loro già precaria liquidità con lo split payment.

Mi fa sorridere sentir dire che noi del MoVimento 5 Stelle siamo inesperti e non saremmo in grado di governare. A fare tagli lineari e aumentare le tasse sono bravi tutti; è eliminare gli sprechi che richiede un lavoro certosino, è agire in modo mirato che richiede scelte difficili, è operare scelte di giustizia sociale, che non sono ben viste dai poteri forti, che comporta la perdita delle clientele, è pensare a lungo termine che non porta voti nel breve termine.

Intanto, i tagli inseriti nella “manovrina”, passata in sordina grazie a un sistema di informazione fortemente influenzato dai maggiori partiti politici, non risparmiano nemmeno la protezione civile, la ricerca scientifica o la garanzia dei diritti dei cittadini e nemmeno le protezioni sociali per le categorie svantaggiate, giusto per fare qualche esempio.

Tutto questo per assicurare un indebitamento netto al 2,1 per cento del PIL per il 2017, all'1,2 nel 2018, allo 0,2 nel 2019, per raggiungere poi il pareggio nel 2020. In particolar modo, per il triennio 2018-2019-2020, queste stime hanno qualcosa di fumoso ancora in più, perché, se solo vogliamo leggere le cose descritte all'interno del DEF – quindi, una totale eliminazione delle clausole di salvaguardia, dell'aumento dell'IVA e delle accise, anche se poi vediamo che è solo parziale, per adesso, all'interno della “manovrina” - e volendo raggiungere questi obiettivi di deficit, solo per il 2018, 2019 e 2020, dovremmo avere un'ulteriore manovra dello 0,9, 1,4, 1,4, così senza considerare tutti gli altri interventi, quali, ad esempio, quello sul cuneo fiscale, di cui si è tanto parlato.

Anche nel mantenere un avanzo primario alto, come ci chiede appunto l'Europa, siamo bravissimi. L'avanzo primario programmatico è previsto all'1,7 nel 2015, al 2,5 nel 2018, per arrivare al 3,8 nel 2020. L'Italia tra il 2009 e il 2016, insieme alla Germania, è il Paese che ha mantenuto l'avanzo primario in media più elevato; è tra i pochi ad aver prodotto un saldo positivo a fronte della gran parte degli altri Paesi membri, che invece hanno visto deteriorare la loro posizione nel periodo.

Nel frattempo, il tasso di disoccupazione rimane ancora critico: è pari all'11,5 per cento nel 2017, in calo solo di 0,2 punti rispetto al 2016, e previsto all'11,2 nel 2018, al 10,8 nel 2019 e al 10,2 nel 2020. Ci tengo a precisare che questi valori sono ben lontani dai valori pre-crisi, che nel 2008, ad esempio, erano del 6,7 per cento. Inoltre, anche in questo caso, siamo molto indietro rispetto alla media europea, che ha visto una riduzione del tasso di disoccupazione dal 10 per cento del 2016 al 9,6 del gennaio 2017.

Il Governo ha anche il coraggio, di fronte a questi dati, di sbandierare i grandi risultati sull'occupazione. “Il numero di occupati ha superato di 734 mila unità il punto di minimo toccato nel settembre 2013”, si annunciava pomposi nella conferenza stampa di presentazione del DEF qualche giorno fa, adducendo tale grande successo all'effetto delle misure comprese nel Jobs Act. Facile fare un confronto con gli anni peggiori della crisi, facile gonfiare i numeri, mettendo quasi 20 miliardi di sgravi contributivi, facile falsare le statistiche, considerando occupati i percettori di voucher. Per fortuna, su quest'ultimo aspetto, si è fatto un passo indietro, incalzati dall'ennesima probabile batosta referendaria, ma, in generale, si continua a dire che il Jobs Act è un successo, quando non si è minimamente intaccato strutturalmente il problema della disoccupazione in Italia. Sono ancora, infatti, più di 3 milioni quelli in cerca di lavoro, secondo le statistiche ufficiali, ma a questi dobbiamo aggiungere tutti quelli che, scoraggiati, il lavoro non lo cercano nemmeno più.

E, invece di interrogarsi su come adattare il lavoro ai tempi moderni ed all'evoluzione tecnologica attuale e soprattutto futura, si è imboccata, come al solito, la strada più facile; più facile, perché si è semplicemente reso più precario il lavoro, i licenziamenti sono stati definitivamente sdoganati e si sono fatti innumerevoli passi indietro sul fronte dei diritti dei lavoratori. Ma, ovviamente, non basta avere a disposizione degli schiavi moderni; le aziende non producono in base alla quantità di manodopera disponibile, ma in base alla domanda di prodotto. Questo, i neo liberisti del PD, se lo sono dimenticato. Così ci ritroviamo con una marea di giovani disoccupati, viaggiamo comunque intorno al 40 per cento di disoccupazione giovanile - 1,2 milioni di giovani, che non solo non lavorano, ma non studiano, non frequentano corsi di formazione - e poi abbiamo la disoccupazione di lunga durata che rimane altissima - al 7 per cento - e giovani e meno giovani lavoratori che si ritrovano precari a vita, situazioni che, sempre più spesso, generano depressione e ansia, un vero e proprio flagello nella società moderna. E qualcuno ha anche il coraggio di prenderci in giro, quando facciamo convegni sull'economia della felicità.

Scusateci se noi teniamo conto anche di questi aspetti. Va poi considerato che tutto ciò incide anche sulla mancata innovazione del Paese, in quanto né gli imprenditori né gli stessi lavoratori investirebbero sulla precarietà. È un circolo vizioso che affossa il Paese, sprecando potenzialità e competenze che in parte volano anche via all'estero sotto gli occhi di un Ministro che ritiene una manna dal cielo la fuga dei nostri cervelli migliori. Già, anche solo questo basterebbe a far capire nelle mani di chi siamo. Viene quasi da pensare che, se non si vuole risolvere il problema della disoccupazione, è perché mantenere salari bassi è l'unico modo per mantenere alte le esportazioni quando si è ingabbiati in un sistema monetario eterodiretto (ma questo è un altro discorso).

Sul lavoro andrebbe fatto un intervento basato su ridistribuzione e innovazione, dunque su un'idea diversa di stimolo alla domanda e non sulla mera svalutazione dei lavoratori e dei loro diritti. Quindi, il Governo dovrebbe totalmente invertire le politiche economiche adottate sino ad oggi basate sul principio del labour intensive, che a loro volta si fondano sulla precarizzazione dei lavoratori e la riduzione del loro salario, adottando politiche economiche capital intensive, pensando, ad esempio, all'energia pulita e all'innovazione, per dirne qualcuna. Inoltre, lo Stato, in una situazione di crisi e di stagnazione come questa, dovrebbe intervenire più direttamente, investendo in settori virtuosi che apportino un miglioramento del benessere dell'intera comunità, e penso alla ricerca, al contrasto al dissesto idrogeologico, alla gestione più virtuosa del sistema dei rifiuti e ai trasporti pubblici locali.

Ma di che parliamo se in questo DEF oltre a tante belle promesse non si è nemmeno riusciti a quantificare le risorse da investire per il rinnovo dei contratti nella pubblica amministrazione o per la riduzione del cuneo fiscale? E non ci vengano a dire che non ci sono risorse, perché questo discorso non regge più. Prima ho accennato ai 20 miliardi spesi per il Job Acts, ma potrei parlare dei 10 miliardi all'anno che costa il bonus degli 80 euro, mentre per il reddito di cittadinanza basterebbero 17 miliardi e avremmo una vera misura di contrasto alla povertà e un'iniziativa che ridimensionerebbe i fenomeni di estremo sfruttamento nel mercato del lavoro e che sottrarrebbe i cittadini più deboli a veri e propri ricatti da parte del mondo criminale, che spesso attinge alla disperazione dei quartieri più martoriati dalla disoccupazione per riempire le fila della propria manovalanza.

Diciassette miliardi investiti in questo modo comporterebbero poi un ritorno sicuro per lo Stato. Certamente, avremmo cittadini più felici e più integrati nelle comunità, attraverso le ore previste per i lavori socialmente utili, e più istruiti grazie agli obblighi di aggiornamento professionale previsti. Non dimentichiamoci, inoltre, che questa consistente quantità di denaro nelle mani dei più poveri costituirebbe sicuramente uno stimolo all'intera economia, andando ad alimentare la domanda aggregata. È risaputo, infatti, che i percettori di redditi più bassi hanno una più alta propensione al consumo. Per questo spesso parliamo di una vera e propria manovra economica, oltre che di un atto di giustizia sociale.

Fino ad ora è chiara la netta contrapposizione tra la nostra idea di Stato investitore ed innovatore, fortemente attivo nell'orientare l'economia verso i veri bisogni dei cittadini, difendendoli dai falsi bisogni creati dal mercato per alimentare i profitti di pochi, e quella del Governo e dei partiti presenti in quest'Aula, che hanno fatto dello Stato un gigantesco burocrate che spreca i soldi in opere inutili e a favore degli amici degli amici, che diventa un nemico dei cittadini comuni, tartassandoli con tasse che sembrano insensate mentre i diritti fondamentali, come quelli alla salute e all'istruzione, perdono di giorno in giorno, di decreto in decreto, valore e senso.

Quindi, non è una sorpresa che, anche in questo DEF, la spesa in conto capitale, secondo le previsioni tendenziali, presenti un percorso decrescente, passando dal 3,4 attuale al 3 per cento del PIL nel 2020, senza contare che, già nel triennio 2014-2016, le spese per contributi agli investimenti alle amministrazioni pubbliche si sono ridotti, in termini percentuali di PIL, dal 3,7 del 2014 al 3,4 del 2016, con una riduzione di 5.766 milioni di euro in termini assoluti. Tra questi, in particolare, vi sono quelli destinati alle amministrazioni centrali, il cui adeguamento è di 4,443 miliardi di euro e che sono inerenti al Fondo di sviluppo e coesione, mentre le minori spese registrate, con riferimenti ai contributi e agli investimenti per i comuni e le province, ammontano a meno 1.527 milioni. Queste riduzioni dal lato della spesa, in particolare sulla spesa per investimenti, ci preoccupano ancora di più di fronte all'intenzione del Governo di disattivare le clausole di salvaguardia, IVA e accise, sostituendole con misure sul lato della spesa e delle entrate. A tal proposito, si tenga presente che, dal lato delle entrate, si propongono, come di consuetudine, anche misure di recupero e di contrasto all'evasione che, come ben sappiamo, sono misure indefinite nell'an e nel quantum. Inoltre, dal lato delle spese, il Governo non può che tagliare gli stanziamenti di bilancio, non potendo più imporre tagli agli enti locali che, in seguito all'introduzione del pareggio di bilancio, possono chiudere con un passato di tagli annuali insostenibili e di risorse conseguenti alle multiple revisioni dei patti di stabilità. Vivendo in condizioni di estrema fragilità di risorse, non si ravvede la possibilità di adottare ulteriori tagli a carico dei predetti enti. Quindi, è lecito aspettarsi riduzioni di stanziamenti nel bilancio dei dicasteri, come è già avvenuto nella “manovrina”, che comunque, in presenza di una mancata ed effettiva razionalizzazione della spesa pubblica indirizzata a migliorarne produttività ed efficienza di servizi, può comportare ulteriori tagli di spesa ai servizi per la collettività.

E se, da un lato, riduciamo la spesa per gli investimenti, dall'altro continuiamo con la logica scellerata delle privatizzazioni; “scellerata” perché non si tratta del frutto di un ragionamento caso per caso su quale sia la strada migliore nell'ottica del bene di un Paese, ma si vuole semplicemente fare cassa, raggiungendo risultati effimeri e assolutamente limitati temporalmente. In questo caso si agita lo spauracchio del debito pubblico troppo elevato per giustificare privatizzazioni di asset strategici che finiscono persino nelle mani di investitori stranieri con buona pace dell'interesse nazionale, come se poi queste cessioni potessero incidere significativamente su un debito pubblico imponente come il nostro. Oltre agli aspetti meramente economici, la privatizzazione di Ferrovie dello Stato avrebbe delle inevitabili ricadute sul diritto alla mobilità dei cittadini, sulla sicurezza negli spostamenti e sul compito dello Stato nel rispettare gli obblighi legati al servizio universale. Le logiche di mercato rischierebbero di ledere ulteriormente i servizi meno profittevoli quali il trasporto regionale e locale e di rendere ancora più onerosi per lo Stato i necessari interventi di ammodernamento ed elettrificazione della rete esistente. Analoghe perplessità riguardano le ricadute sulla qualità dei servizi universali erogati relativamente anche alla vendita della seconda tranche di Poste italiane.

Le operazioni di privatizzazione - lo ripetiamo - non possono essere la risposta alla necessità di abbassare il debito pubblico. Nel DEF di quest'anno gli introiti attesi dalle privatizzazioni sono pari a 0,3 punti percentuali annui dal 2017, in diminuzione rispetto allo 0,5 per cento previsto nel DEF precedente. Tuttavia, non si danno indicazioni dettagliate sulle partecipazioni oggetto di dismissione e circa la loro realizzabilità. Un argomento così importante non può essere liquidato in questo modo da un Governo onesto e responsabile. I cittadini devono conoscere le vere intenzioni del Governo. Tra l'altro, riteniamo che i valori indicati dal Governo non siano totalmente attendibili; vi ricordo che il DEF 2016 li stimava pari allo 0,5 del PIL per il medesimo anno, ma i ricavi effettivamente conseguiti sono state pari allo 0,1 di punti percentuali del PIL.

La chiarezza non è decisamente una caratteristica ricorrente nel DEF e lo dimostra anche il modo in cui viene trattato il capitolo dei derivati. In passato le informazioni erano quasi del tutto assenti, ma grazie alle nostre continue interrogazioni parlamentari e al lavoro incessante dei miei colleghi della Commissione finanze siamo riusciti a fare approvare, nella riforma della legge di contabilità e finanza pubblica, un nostro emendamento per dare finalmente maggiore trasparenza sulla spesa per derivati all'interno del DEF, imponendo di inserire informazioni di dettaglio sull'ammontare delle spese per interessi del bilancio dello Stato correlato a strumenti finanziari derivati. Purtroppo, dobbiamo constatare che i dati sono stati forniti alla spicciolata: non c'è una tabella specifica e precisa che schematizzi l'entità degli esborsi e le informazioni fornite sono molto poco chiare. Ad esempio, c'è un passaggio che recita così: “La componente derivati include anche altre partite finanziarie che nel 2017 producono un ulteriore esborso di 1.162 milioni”.

È lecito magari chiedersi di che si tratti, quali siano queste altre partite finanziare, ma, per saperlo, dovremo necessariamente predisporre nuove interrogazioni parlamentari, in questo continuo inseguimento tra noi e il Governo che potrebbe tranquillamente avere fine se, una volta per tutte, accogliessero la nostra richiesta di desegretare tutti i contratti sottoscritti dal Tesoro. Come tutti ormai sanno, non si tratta di qualche spicciolo, ma dai 2 ai 5 miliardi, che ogni anno, a seconda degli anni, è una manovrina o due l'anno, per capirci. Siamo stati molto felici, poi, di constatare che per la prima volta si dà spazio agli indici di benessere, oltreché ai meri parametri economici e finanziari. Lo avevamo chiesto da tempo e finalmente si è fatto un piccolo passo avanti. Sicuramente si tratta di un'innovazione positiva e condivisibile, ma appare in palese contraddizione con le scelte strategiche del Governo, che sembra piuttosto ancorato a modelli produttivi e di sviluppo basati sulla depredazione del territorio e delle sue risorse, e privi della dovuta attenzione per l'impatto sulla collettività di tali scelte.

Ed infatti, andando a vedere bene, purtroppo sembra un intervento puramente di facciata. Nel DEF di quest'anno sono stati inseriti quattro indici alternativi provvisori, in attesa di quelli definitivi, che vengono elaborati dal comitato che ci sta lavorando. Quindi, andamento del reddito medio disponibile e disuguaglianze del reddito, mancata partecipazione al mercato del lavoro, emissioni di CO2 e di altri gas climalteranti. Tutti e quattro i parametri mostrano un miglioramento durante gli anni di Governo e nel prossimo triennio. L'unico dato in leggero peggioramento è quello legato alle emissioni, ma il Governo si giustifica asserendo che, con la ripresa economica avutasi in questi anni, non sarebbe stato possibile il contrario e sottolinea che le emissioni sono aumentate meno rispetto a quanto è aumentato il prodotto. Non solo questa giustificazione non ci convince affatto; secondo noi, poteva essere fatto molto di più per la tutela dell'ambiente. L'allegato sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni gas serra ricostruisce puntualmente le varie fasi che hanno portato l'Unione Europea ad adottare l'Accordo di Parigi, che definisce quale obiettivo di lungo termine il contenimento dell'aumento della temperatura al di sotto del 2 per cento.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 13,25)

VINCENZO CASO. L'Accordo di Parigi ha effetto dal 2020 e intende proseguire e rafforzare quanto avviato con il protocollo di Kyoto e con un suo emendamento che stabilisce impegni di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra da parte dei Paesi industrializzati rispettivamente nei periodi 2008-2012 e 2013-2020. A livello di Unione europea, con il pacchetto quadro clima, sono stati introdotti poi nuovi obiettivi per il periodo 2021-2030 relativi alla riduzione dei gas serra di almeno il 40 per cento a livello europeo rispetto al 1990. Obiettivo vincolante a livello europeo pari ad almeno il 27 per cento dei consumi energetici da rinnovabili. Concludo, Presidente, parlando anche di questi indici che hanno dato sicuramente una nuova svolta nel poter calcolare anche in maniera differente il benessere dei cittadini, però riteniamo che ancora una volta siano stati fatti in modo molto di facciata e che debbano trovare una forza maggiore nei prossimi DEF. Tornando al discorso generale sugli indicatori di benessere, devo dire che trovo davvero bizzarro che gli indici di disuguaglianza del Governo indichino risultati positivi, perché, invece, l'Istat, nel rapporto BES, pubblicato pochi mesi fa, l'indice di benessere equo e sostenibile ufficialmente e internazionalmente riconosciuto, segnala che la crescita del reddito disponibile non ha modificato la disuguaglianza e non si è tradotta in una diminuzione dei livelli di povertà.

Nel 2015 la disuguaglianza presenta un valore identico a quello del 2013, il valore più alto dell'ultimo decennio. Sempre l'Istat ci dice, nel rapporto BES, che l'elevata disuguaglianza nella distribuzione del reddito determina anche un alto livello di rischio di povertà. Quest'ultimo indicatore ha una misura di tipo relativo che definisce a rischio di povertà coloro che hanno un reddito equivalente inferiore o pari alla soglia di povertà posta al 60 per cento del reddito equivalente mediano calcolato sul totale delle persone residenti. Veniamo, infine, alle clausole di salvaguardia: per disinnescare l'aumento dell'IVA e delle accise dei carburanti è necessario un recupero pari a 19,5 miliardi nel 2018 e a 23,2 miliardi nel 2019-2020.

Dalla manovrina abbiamo visto che per adesso c'è una parziale, solo una parziale, eliminazione di questi aumenti, e attenderemo fiduciosi, vi diciamo, anche la legge di bilancio. Insomma, per concludere, vediamo che si continua ad essere in linea con le richieste che ci vengono sempre fatte dall'Unione europea, senza mai porsi una domanda, visto che è da tempo che continuiamo a seguire in mondo puntuale le richieste che ci vengono dall'Unione europea, ma continuiamo a rimanere bloccati in questo percorso di crescita estremamente bassa e di livelli estremamente bassi, come detto, di crescita. Bisogna, secondo noi, completamente cambiare sistema, e lo si può fare e sicuramente ci sarà un'opportunità a fine anno, quando il fiscal compact scadrà ufficialmente. Per cui, ancora una volta, chiederemo al nostro Governo di porre il veto affinché il fiscal compact rientri nei trattati. Per farlo, però, ci vogliono sicuramente delle mani slegate, invece che continuare a dare forza a questa Unione europea, che non fa nient'altro che puntare su questo neoliberismo che ha portato i diritti di tutte le persone in mano a oligarchie, che siano bancarie o delle multinazionali, e speriamo, quindi, in un cambiamento di rotta, che riteniamo ancora possibile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tino Iannuzzi. Ne ha facoltà.

TINO IANNUZZI. Grazie, Presidente. Il Documento di economia e finanza per il 2017, come ha puntualmente indicato la relatrice, la collega Rubinato, tratteggia un quadro generale del nostro Paese caratterizzato da segnali significativi, che vanno nella direzione della ripresa della crescita della nostra economia, del recupero della capacità competitiva del nostro sistema produttivo. Si tratta di segnali importanti, che alimentano speranze e motivano ulteriori e rafforzati impegni; segnali, tuttavia, ancora iniziali, insufficienti e non bastevoli a determinare una crescita forte, permanente, con effetti positivi ed incisivi su quello che è il problema dei problemi, la grande piaga che da troppi anni affligge e travaglia il nostro Paese. Una disoccupazione che ha raggiunto tassi altissimi ed insostenibili, ancor di più nelle fasce giovanili e femminili della popolazione, ancor di più nelle aree del Mezzogiorno del Paese.

Una disoccupazione che, con la sua incredibile dimensione, finisce per porre in pericolo la stessa tenuta sociale, la stessa coesione delle nostre comunità. Ecco perché tutti gli interventi e le risorse vanno indirizzate sempre di più su questa frontiera, per l'imperativo di creare nuove occasioni di lavoro permanente e stabile. Ed in questa direzione fondamentali sono gli investimenti pubblici nelle infrastrutture materiali e immateriali, nella realizzazione di insediamenti produttivi strategici. Da questo punto di vista, è importante sottolineare i segnali di miglioramento nell'utilizzo delle risorse europee e del Fondo coesione e sviluppo; segnali che vanno sviluppati e accresciuti, perché il Paese ha bisogno della utilizzazione tempestiva, efficiente e oculata di tutte le risorse europee.

E, proprio lungo il crinale dello sviluppo, noi abbiamo la necessità di dare una sistemazione definitiva e un'applicazione generale e condivisa delle nuove regole che abbiamo varato nel mondo degli appalti pubblici con il codice di un anno fa e con il decreto correttivo che è stato appena deliberato dal Consiglio dei ministri, dopo i pareri a cui hanno lavorato le Commissioni, in particolare la VIII Commissione, per risolvere nodi che erano rimasti sul tappeto. In questo nostro parere noi abbiamo sottolineato la necessità per lo Stato di prevedere meccanismi e fondi a rotazione per anticipare alle amministrazioni appaltanti e ancora di più agli enti locali, che versano in condizioni di bilancio estremamente difficili, le risorse finanziarie che sono necessarie per sostenere i costi della progettazione esecutiva.

Le opere pubbliche vanno poste a gara sulla base di progetti esecutivi completi ed esaustivi, ma bisogna farsi carico, lo Stato deve farsi carico con le regioni di prevedere meccanismi di finanziamento dei costi che queste progettazioni esecutive implicano. E abbiamo anche rilevato la necessità che le pubbliche amministrazioni provvedano a formare, aggiornare e specializzare i propri quadri tecnici e amministrativi, proprio per fronteggiare gli accresciuti e rilevanti compiti che la nuova regolamentazione degli appalti pubblici impone a tutti, anche con l'immissione nella pubblica amministrazione di energie nuove, energie giovani, energie qualificate, professionali, adeguatamente specializzate, anche rispetto a tutti i profili della informatizzazione della macchina amministrativa.

È molto importante anche rilevare come, in questi lunghi anni di crisi che abbiamo incrociato, un settore, un comparto che ha delineato particolare dinamismo e vivacità e che ha determinato il maggior numero di nuove iniziative produttive e la creazione del maggior numero di posti di lavoro è quello della green economy, a cominciare dalla produzione di energie con fonti rinnovabili e pulite, alla valorizzazione ecosostenibile delle eccellenze, delle qualità e delle produzioni tipiche dei territori. Sono tutti processi che vanno incoraggiati, rafforzati e sostenuti con adeguate ed incisive misure. Da questo punto di vista, nel parere reso dall'VIII Commissione sul DEF noi abbiamo rilevato come, nella definizione dei nuovi criteri per il sostegno indispensabile alla produzione di energie da fonti rinnovabili, vadano introdotti meccanismi adeguati per favorire l'autoproduzione da parte di cittadini, di operatori e imprenditori, e di istituzioni ed enti pubblici, proprio per far sì che questo settore, che ha già avuto un grande sviluppo, diventi sempre più trainante, qualificato e strategico per l'intera economia nazionale.

E poi c'è l'utilizzo virtuoso della leva fiscale per la riqualificazione, l'ammodernamento e la messa in sicurezza del nostro patrimonio immobiliare. Noi abbiamo introdotto, nel corso degli anni, una serie di misure di incentivazione per gli sgravi, ai fini dell'IRPEF, per le ristrutturazioni edilizie, quelli accresciuti per il risparmio e l'efficientamento energetico, quello particolarmente rilevante, con l'ultima legge di bilancio, per rendere effettivo il meccanismo degli incentivi che favoriscano la realizzazione di lavori di consolidamento statico e di prevenzione sismica del nostro patrimonio immobiliare.

E abbiamo sottolineato, anche nel parere dell'VIII Commissione, come vadano rafforzati e potenziati questi incentivi fiscali sugli eco-bonus e i sisma-bonus, che hanno funzionato e funzionano in maniera estremamente positiva, producendo il miglioramento oggettivo, l'ammodernamento del nostro patrimonio immobiliare, ma anche dando respiro e ossigeno a tante imprese e a tutto il mondo dell'indotto, favorendo la creazione di posti di lavoro e favorendo anche l'emersione di quote significative di economia in nero e sommersa, di lavoro irregolare, con un meccanismo che sostanzialmente finisce anche per autofinanziarsi (punto, questo, che non siamo mai riusciti, nel dialogo e nel confronto con il Parlamento, ad affermare rispetto alla Ragioneria generale dello Stato, ma che per noi rimane un punto di verità, un punto su cui bisogna invece concentrarsi). Pertanto la normativa vigente deve essere migliorata; ciò, anche per favorire l'utilizzo più ampio delle misure di incentivazione, che possono arrivare all'80-85 per cento delle spese sostenute per le misure del consolidamento statico e antisismico, introducendo la possibilità di cedere il credito maturato con questi lavori non solo a privati, ma anche a istituti di credito e intermediari finanziari; estendendo la detrazione del 65 per cento agli interventi di rimozione dell'amianto; agli interventi sulle aree pertinenziali dei fabbricati, a cominciare dalla sistemazione del verde attrezzato, alla riqualificazione delle aree giardino; come pure la necessità di prevedere una detrazione autonoma e distinta per la realizzazione della certificazione e della classificazione sismica degli immobili, che attualmente è prevista, ma soltanto se siano realizzati contestualmente i relativi lavori.

Tutte queste misure sono assolutamente necessarie per facilitare e agevolare un'applicazione particolarmente estesa e forte dei nuovi incentivi previsti con la legge di bilancio, che possono determinare una grande svolta nella qualificazione, nella sistemazione e nell'adeguamento sismico e statico del nostro patrimonio immobiliare.

E le misure di incentivazione fiscale debbono anche avere un'ambizione più forte, più elevata, che è quella di essere utilizzate per interventi più ampi e più estesi di riqualificazione urbana e di recupero delle periferie, delle nostre aree metropolitane e delle nostre città, anche alla luce dei provvedimenti, molto positivi, di recente varati dal Governo Gentiloni, per le aree periferiche e marginali che vanno accresciuti e rafforzati.

Infine, è necessario proseguire e anche potenziare gli interventi per la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno del Paese. È necessario creare nel Mezzogiorno condizioni di una maggiore crescita, di un maggiore sviluppo, anche riuscendo finalmente ad avere, accanto all'utilizzo virtuoso dei fondi europei, un'adeguata dotazione di fondi nazionali, perché i fondi europei non possono essere sostitutivi del contributo e del dovere finanziario dello Stato verso il Mezzogiorno, ma hanno natura aggiuntiva e ulteriore. Da questo punto di vista è necessario procedere perché la crescita e lo sviluppo del Mezzogiorno sono tutt'uno con la crescita e lo sviluppo dell'intero Paese.

PRESIDENTE. Deve concludere.

TINO IANNUZZI. Concludo, Presidente, nel rilevare come sia molto importante che questa volta, per la prima volta nel DEF, sono stati introdotti, tra gli elementi di valutazione del quadro economico e sociale del Paese, gli indici del benessere equo e sostenibile, che allargano l'orizzonte di valutazione ai temi della sostenibilità ambientale, della uguaglianza sociale, del benessere complessivo delle persone e delle comunità. Ma questi indicatori (il cosiddetto rapporto BES) - non devono essere soltanto una sorta di elemento simbolico, ma devono incidere, con determinazione ed intensità, su tutte le politiche pubbliche del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pastorino. Ne ha facoltà.

LUCA PASTORINO. Grazie, Presidente. Io completo quanto è già stato detto dal capogruppo Marcon in merito alla presentazione, da parte nostra, di una risoluzione di minoranza. Completo dicendo che, appunto, abbiamo trascorso qualche giorno, la settimana scorsa, in audizione con interlocutori diversi e con provenienze diverse, che, però, fondamentalmente, sottolineavano lo stesso tipo di incertezza nell'elaborazione e nell'analisi dei vari passaggi di questo documento. Qualcuno non sottolineava solo incertezze, faccio l'esempio delle province, ma sottolineavano l'esigenza, quanto prima, di trovare le risorse necessarie a coprire quel taglio che loro scontano già in ragione di una riforma costituzionale che non è evidentemente passata, ma che rende le nuove province, a tutt'oggi, magari impossibilitate, da qui a qualche mese, ad aprire le scuole o a tenere aperte le strade. Quindi, la realtà è che si è in presenza di un DEF provvisorio, da una parte, e di un DEF anche abbastanza finto, perché incorpora nel tendenziale l'incremento delle aliquote IVA per un aumento di gettito di circa 19,5 miliardi.

Poi abbiamo visto il decreto della liberazione, del 24, ma il punto è questo qui: a legislazione vigente, la manovra prevista nel 2018 per raggiungere l'obiettivo programmatico è pari allo 0,1 del PIL, ossia lo scarto tra tendenziale, che è l'1,3 per cento, ovviamente inclusivo dell'applicazione delle clausole di salvaguardia, e il programmatico, che è 1,2 per cento. Quindi, se si lasciassero scattare le clausole di salvaguardia, la manovra correttiva sarebbe leggera, anzi, dopo l'approvazione nel decreto correttivo degli andamenti 2017, sarebbe una manovra espansiva, dato che il deficit tendenziale scenderebbe di circa meno l'1 per cento del PIL.

La manovra diventa pesante in quanto si vogliono disinnescare le clausole di salvaguardia e, dati gli effetti strutturali del decreto correttivo appena approvato, come dicevo, per disinnescare le clausole di salvaguardia, sono necessari, nel 2018, 14-15 miliardi. Altre risorse, poi, vanno trovate per finanziare il rinnovo dei contratti di lavoro dei dipendenti pubblici, eccetera eccetera, quindi complessivamente la prospettiva è quella di una manovra molto pesante. Queste stesse cose sono state messe in evidenza anche, come si diceva prima, dall'Ufficio parlamentare di bilancio, che parla di un quadro programmatico della politica di bilancio sostanzialmente indefinito e, appunto, come dicevo, dando per scontato l'annullamento delle clausole di salvaguardia, sarebbero necessarie misure correttive pari allo 0,9 punti di PIL nel 2018 e 1,4 punti in ciascuno dei due anni successivi.

Sul contenuto degli interventi, le informazioni del DEF sono più o meno assenti, si potrebbe dire. Si evocano soltanto azioni sul lato delle spese e delle entrate, comprensive di ulteriori interventi di contrasto all'evasione. Quindi, mancano indicazioni precise.

Ho fatto questa premessa perché, comunque, complessivamente, nel DEF è urgente cambiare strategia e cambiare radicalmente rotta al fine di rivitalizzare una crescita diffusa e qualificata, buona e piena occupazione, sostenibilità del debito pubblico. È necessaria la sospensione del fiscal compact per realizzare una virata keynesiana a favore degli investimenti pubblici, la ricetta giusta secondo noi per uscire dalla crisi e sopperire alla carenza di domanda privata con la politica di bilancio.

In un periodo durante il quale i consumi e gli investimenti privati faticano a crescere, è lo Stato che deve intervenire con politiche espansive, in particolare aumentando la spesa pubblica per investimenti, per stimolare direttamente la domanda. Benché l'analisi del Governo converga spesso sulla necessità di maggiori investimenti fissi, si programma invece una ulteriore riduzione degli investimenti pubblici: dal 2,1 del 2016 al 2 per cento del PIL nel 2020. Tale impostazione, purtroppo, risulta coerente con le privatizzazioni programmate e la elargizione di molti incentivi generalizzati alle imprese, pur essendo ormai riconosciuto da tutti, compreso il MEF, che l'ingente numero di risorse erogate al mercato abbia restituito soltanto una minima parte in investimenti, innovazione e occupazione nell'economia reale.

Quindi, nel documento, poi si esaltano questi 47 miliardi del piano di investimenti da qui al 2032, ma in quindici anni rappresentano soltanto lo 0,2 per cento del PIL. L'Istat ha poi rilevato una situazione che coinvolge tanti milioni di persone in materia di povertà: 4,6 milioni di persone in condizione di povertà assoluta e più di 8 milioni quelli in condizione di povertà relativa. Il tasso di occupazione è poi rimasto poco sopra al 50 per cento, fra i più bassi d'Europa. Ci sono segnali di forte aumento della precarizzazione. Si dà molto risalto a sottolineare la crescita degli occupati di circa 734 mila unità, ma nessuna rilevanza viene attribuita, invece, al fatto che l'INPS ha segnalato che nel 2016 vi è stato un calo delle assunzioni nel settore privato, incluse le assunzioni stagionali, di 464 mila unità rispetto al corrispondente periodo del 2015. Quello che poi il documento non dice è che l'aumento complessivo dei contratti a tempo indeterminato rispetto all'inizio del 2015 non ha riguardato i giovani e la frattura generazionale anzi si è allargata: in 23 mesi, il numero degli ultracinquantenni al lavoro in Italia è cresciuto di 690 mila unità, i nuovi posti per i ragazzi tra i 14 e i 25, solo di 36 mila unità. E, visto che parliamo di occupazione, faccio una parentesi su Alitalia. Io stamattina ho letto le dichiarazioni dei Ministri Poletti e Delrio. Ho trovato quanto meno fuori luogo la dichiarazione di Poletti secondo cui, per scongiurare la liquidazione, si debba ricorrere alla vendita della compagnia e basta. Questo è il Ministro del Lavoro, non il Ministro di qualcos'altro. Così come il Ministro Delrio - che è stato anche sindaco e, quindi, dovrebbe avere una sensibilità anche più elevata da questo punto di vista – che, tra tante cose, ha detto che lo Stato non può rimettersi a fare l'imprenditore. Può essere anche vera questa osservazione, ma lo Stato in questa partita qua ci deve essere perché a conti fatti - lo dico a tutti - al di là dei 12.000 lavoratori di Alitalia c'è poi un indotto variabile. Sui giornali di oggi vediamo numeri diversi, ma mettiamo che arriviamo a 30.000 persone, faccio un esempio ligure, è come se la città di Chiavari tutta assieme si ritrovasse con un problema occupazionale di questo tipo.

Un'altra lacuna all'interno del DEF è che non si fa chiarezza sulle risorse necessarie ai rinnovi contrattuali nel settore pubblico che erano stati oggetto dell'accordo di ottobre scorso. C'è il problema della spesa sanitaria che comunque scende a partire dal 2019 dal 6,5 al 6,4 del PIL. Poi, c'è anche una parentesi che riguarda la politica dell'energia che mi preme sottolineare per la quale avevo presentato un'interpellanza urgente non più tardi di tre settimane fa: vi è sostanzialmente una politica dell'energia in questo documento che si sostanzia in una ambivalenza e che vede il Presidente del Consiglio a più riprese avventurarsi in dichiarazioni che tendono a collocare l'Italia nella fascia più avanzata dei Paesi europei, quando invece ci sono segnali opposti. Noi credo che abbiamo l'opportunità, e l'ho segnalata anche alla relatrice di maggioranza (è l'oggetto dell'interpellanza di tre settimane fa), di pensare di trovare risorse nuove, senza oneri per la finanza per la fiscalità pubblica, banalmente utilizzando il catalogo che è uscito a febbraio delle risorse ambientalmente dannose. Quindi, travasare progressivamente nel tempo 16 miliardi di euro dai sussidi ambientalmente dannosi a sussidi ambientalmente favorevoli a beneficio dell'ambiente e dell'occupazione.

Sostanzialmente, gli impegni che abbiamo chiesto al Governo sono di questo tenore, nel segno di valutare l'opportunità stringente di comporre politiche più aderenti alla realtà, di strumenti per aumentare la progressività fiscale.

Un piccolo accenno, poi chiudo Presidente: bisognerebbe, finalmente, pensare all'introduzione della cosiddetta web tax che, da sola, si dice porterebbe entrate per circa 3 miliardi. Questo è il senso della nostra risoluzione che speriamo venga accolta, almeno in parte, dal Governo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Albini. Ne ha facoltà.

TEA ALBINI. Grazie, Presidente. Nei minuti concessi cercherò di evidenziare alcuni punti di questo Documento di economia e finanza 2017 che appare, alla lettura, un documento di attesa a carattere provvisorio, utile a mantenere il credito con l'Europa e a dimostrare la qualità espansiva delle misure adottate.

Vediamo un po' di dati: la crescita è dell'1,1 per cento nel 2017, compresa la cosiddetta manovrina che, seppur minima, può bastare a far capire all'Europa che il Governo vede un miglioramento in base alla flessibilità che gli è stata concessa negli ultimi due anni per 19 miliardi. Per questo, il DEF 2017 contiene l'obiettivo di tagliare il deficit all'1,2 del PIL nel 2018, allo 0,2 nel 2019, in linea con gli intendimenti europei, ma modificando la stima di crescita portandola all'1 per cento sia nel 2018 che nel 2019, contro l'1,3 e l'1,2 previsti; ciò significa che nel 2018 si dovrà fare, solo per questo, una manovra da oltre 16 miliardi. Per crescere occorreranno quindi, anche se il DEF non lo dice, ulteriori spazi di flessibilità per sterilizzare le clausole di salvaguardia e, probabilmente, un ulteriore aumento del deficit che potrebbe avvicinarsi al 2 per cento. Per fare questo, il Governo deve aprire una trattativa con Bruxelles, cercando di convincerla, anche se le performances italiane su riforme strutturali e calo del debito pubblico non sono state in Europa ritenute sufficientemente convincenti.

Nel complesso, gli interventi appaiono in linea con la strategia già vista con il Governo precedente e che non sempre hanno avuto il nostro consenso. Si prosegue con il sistema bonus e sconti fiscali che, a oggi, hanno inciso per 21 miliardi, che secondo noi dovevano essere investiti nella ricerca di una maggiore equità fiscale e per una diversa politica di investimenti collegabile ad un piano per il lavoro e per l'ambiente. Infatti, si prevede un'ulteriore riduzione degli investimenti pubblici, coerente del resto con le privatizzazioni che non hanno prodotto miglioramenti nei campi attesi quale occupazione e innovazione. A nostro giudizio, queste risorse sarebbero state meglio impiegate se utilizzate per investimenti pubblici ad alto moltiplicatore, capaci a stimolare crescita e occupazione. Si sarebbero dovuti privilegiare investimenti sotto soglia da parte degli enti territoriali sicuramente più celeri e realizzabili, oltre che propedeutici alla rimessa in moto dell'economia locale. A questo proposito, vanno individuate forme di aiuto e sostegno alla progettazione da parte dei comuni per quelle opere per le quali la struttura tecnica dell'ente non è in condizione di poterla garantire.

In questi giorni viene utilizzata spesso la parola “tesoretto” da 47 miliardi per finalmente rilanciare gli investimenti. Vorrei precisare che, per attivare la somma di 44 miliardi e 550 milioni, quindi un po' meno, dovrà essere emanato un qualche decreto attuativo necessario alla costituzione del Fondo per investimenti infrastrutturali, così come previsto dal comma 140 dell'ultima legge di bilancio, dopodiché il tesoretto sarà il risultato della somma delle risorse previste per gli anni che vanno dal 2017 al 2032 e già finalizzate ad una pluralità di interventi che comprendono i trasporti, la prevenzione contro il dissesto idrogeologico, il rilancio infrastrutturale; interventi già previsti nella legislazione vigente. Quindi, il Fondo le ha solo accorpate, non aggiungono niente e non sono legate ad un vero e proprio piano per il lavoro e l'ambiente. Piano del lavoro che non parla ai giovani e che non parla al Mezzogiorno, se non per ricordare i famosi patti per il Sud, su cui occorrerebbe riflettere, e ancor meno del ripristino della famosa “clausola Ciampi” che prevedeva la destinazione del 45 per cento degli investimenti proprio al Sud.

Sempre nel DEF si preannuncia una riduzione della pressione fiscale e si ritiene fondamentale incidere sul nucleo fiscale, ma in concreto si prevede solo la decontribuzione per i neoassunti sotto i 35 anni, dopodiché - dico io - si può sostituire il trentacinquenne con un altro un po' più giovane. Non è così, a mio giudizio, che si crea lavoro. Il lavoro si crea solo se si ricreano le condizioni per averlo, se c'è lavoro, ci sono le assunzioni, a prescindere dai bonus.

Ci preme evidenziare, a solo titolo esemplificativo, che ad oggi la spesa sanitaria è pari al 6,5 per cento del PIL, sotto media europea, e soprattutto sotto il 7,1 per cento del 2010, e mantenendo le previsioni, si potrà tornare a quei livelli solo nel 2020. Appare preoccupate che nella spesa sociale sia stato tagliato il Fondo per le politiche sociali e il Fondo per la non autosufficienza per 262 milioni: in questo modo si accentuano le disuguaglianze e si colpisce quel welfare che invece dovremmo incrementare. Lavoro e welfare sono i motori per una piena inclusione delle categorie più fragili: giovani e donne, soprattutto nel Mezzogiorno. Riguardo al problema dell'aumento dell'IVA collegato allo scatto delle clausole di salvaguardia sterilizzate nel 2017, ma che incombono nel 2018 per 19 miliardi, non troviamo nel DEF certezze di copertura. Ciò ci preoccupa, anche perché, sommate alle accise sugli oli minerali, creerebbero un ulteriore freno alla crescita. Un solo accenno ad un punto che non viene toccato: la spinosa questione del fiscal compact. Noi auspichiamo la sua modifica, o che comunque non venga inserito nei Trattati.

In conclusione vorrei accennare velocemente a tre questioni. La prima: non troviamo nel DEF l'intervento sull'Irpef a vantaggio dei redditi medio-bassi, a fronte del taglio dell'Ires sui profitti, così come promesso dal precedente Presidente del Consiglio. Infatti, la riduzione Irpef è stata cancellata dal PNR, e di fatto il recupero di risorse dalla lotta all'evasione pensiamo verrà utilizzato ad eliminare le clausole che prima dicevamo, anziché essere adoperato per ridurre le imposte ai dipendenti e ai pensionati. Era una misura attesa, promessa, sfumata. La seconda questione è relativa a tutto il comparto dei dipendenti pubblici: sostituzione del turnover e rinnovo del contratto di lavoro. Gli accordi di novembre erano stati salutati da un rinnovato clima di fiducia, attendiamo conferme sulla realizzabilità di quelle intese. La terza questione è davvero solo accennata, e qui forse entra in gioco tutto il mio percorso politico che si è svolto per gran parte negli enti locali: trovo mortificante ed ingiusto l'aver tolto ogni qualsiasi autonomia impositiva ai comuni, e a considerarli, indipendentemente dalle condizioni, dal territorio e dalla virtuosità, l'uno uguale all'altro, ma soprattutto incapaci di gestire il rapporto fiscale con la propria cittadinanza. Solo nelle tragedie, invece, si capisce quanto forte sia il legame fra questi enti e la gente. Ci attende la discussione sulla cosiddetta manovrina, anche in quella sede avremo modo di confrontarci. Concludendo, Articolo 1-MDP esprime su questo DEF un parere esclusivamente tecnico, considerando questa proposta necessaria per l'interlocuzione con l'Europa, ma che rimanda alle scelte reali e alla legge di bilancio 2018, anche quando finiranno gli acquisti della BCE e dovremo convincere i mercati della bontà del nostro debito. Sarà quella la sede dove misureremo le proposte del Governo e dove valuteremo le scelte politiche che verranno compiute e lo spazio che troveremo per le nostre proposte.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Presidente, il Documento di economia e finanza di oggi, a leggerlo sembra che nel Paese sia tutto positivo: tutti i dati vengono espressi con un'estrema fiducia, in un estremo ottimismo, cosa che molto probabilmente deve essere fatta per indurre l'impresa ad investire, l'imprenditoria ad essere ovviamente propositiva verso il futuro, ma questa purtroppo non è la realtà dei numeri. Di fatto, la manovra, il decreto n. 50, che è stato presentato anche in ritardo rispetto alla consegna ipotizzata ed allegata appunto a questo DEF, porta a una revisione della legge di bilancio, della legge di stabilità per quest'anno, tanto che già l'anno scorso la Lega Nord chiese al Governo di stare attenti ad utilizzare tutta quella flessibilità di fatto per spesa corrente, perché non saremmo stati nei conti, i conti non sarebbero tornati, tant'è che sono 3,4 i miliardi di ammanco di fatto certificati dalla Commissione europea, che richiede una sorta di rientro dalle politiche “espansive” del Governo Renzi I e del Governo Renzi II.

È chiaro che noi abbiamo contrastato tutte le politiche economiche, finanziarie e fiscali di questa maggioranza, e continuiamo a contestare anche questa previsione, che di fatto è troppo ottimistica e non in linea con la realtà, tanto che, come dicevo, la settimana scorsa esponenti della Commissione europea hanno fatto visita al Ministero dell'economia, in via XX Settembre, proprio per chiedere lumi in riferimento ai conti dello Stato. Il PIL ovviamente lo date all'1 per cento: il problema è che le altre realtà europee viaggiano decisamente a doppia cifra, anche se le situazioni macroeconomiche e finanziarie sono identiche a quelle del nostro Paese. Sostanzialmente appuntate le cause di questa crescita lenta al fatto che ci sono delle situazioni di contingenza internazionale che non permettono appunto un pieno sviluppo dell'economia italiana. Il problema di fondo è che queste situazioni macroeconomiche sono identiche per tutta l'Europa, e noi viaggiamo sotto la media europea, tanto che la Francia ha un aumento di PIL dell'1,3 per cento, la Germania dell'1,5, la Spagna del 2,3 per cento, e l'area euro ha una media dell'1,4 per cento, cifra alla quale noi non arriviamo.

Per quanto riguarda le riforme, che voi avete considerato svolte all'80 per cento - c'è un capitolo dedicato appunto nel Documento in oggetto -, sono delle riforme per le quali noi abbiamo talvolta votato contro, talvolta criticato nell'intero impianto e talvolta chiesto modifiche. Il vantarsi di 734.000 unità di nuovi occupati può essere un dato soddisfacente per i vostri occhi, se non è equiparato però alle percentuali di disoccupazione, che comunque rimangono consistenti. Può sembrare alta questa cifra, ma è comunque una cifra drogata dalla decontribuzione (Jobs Act più decontribuzione), e nel momento stesso in cui è finito questo aiuto, di fatto, tutte le nuove assunzioni non si sono verificate. La media del tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è del 40 per cento: già questo dato potrebbe certificare il fallimento delle politiche del lavoro e delle politiche di sviluppo di questo Paese, così come la disoccupazione generale del 12 per cento continua ad essere a doppia cifra, e non cala malgrado appunto tutte le iniziative legislative e finanziarie di contribuzione che avete messo in piedi. Dicevo che nel Piano nazionale delle riforme del 2016 voi indicavate un'attuazione delle riforme al 30 per cento, adesso vi vantate di averle fatte all'80 per cento, ma se andiamo ad analizzare quali sono le riforme per le quali voi andate fieri, vediamo che indicate la riforma costituzionale. La riforma costituzionale per voi doveva essere un motivo di vanto e di rilancio, ma di fatto è stata sonoramente bocciata dal corpo elettorale, dai cittadini del Paese in maniera fragorosa: il 60 per cento ha detto di no a una riforma che, tra l'altro, a nostro avviso, avrebbe acuito le difficoltà del Paese, perché accentrare tutto qui a Roma, nel sistema appunto centrale dello Stato, avrebbe prodotto l'effetto opposto rispetto alla liberalizzazione dei sentimenti territoriali, delle identità territoriali e dell'imprenditorialità territoriale. Ricordiamo che il nostro Paese ha la spina dorsale economica fondata squisitamente sulle piccole e medie imprese, che hanno bisogno di tutto tranne che di burocrazia centrale e di statalizzazione. La riforma della pubblica amministrazione la prendete ad esempio, ma di fatto, nonostante gli oltre 20 decreti legislativi, non si è ancora giunti a quello scopo di pubblica amministrazione parsimoniosa, meritocratica, veloce e trasparente che si vuole decantare. Anzi, la nostra pubblica amministrazione resta la peggiore pagatrice d'Europa e arranca nei bassifondi della classifica europea sul fronte della qualità. Infatti, veniamo collocati al 17° posto su 23 Paesi analizzati; solo la Grecia, la Croazia, la Turchia e alcuni Paesi dell'ex blocco sovietico presentano dei target di qualità inferiori al nostro.

Penso che questo non sia un vanto e che tutti coloro che considerano la pubblica amministrazione italiana come un enorme baraccone burocratico non vadano lontano dalla realtà; così come sulle riforme legate ai crediti in sofferenza e alle garanzie sulle cartolarizzazioni è chiaro che sono stati fatti figli e figliastri, perché ricordo a tutti che, non più tardi di un mese fa, quest'Aula ha votato, con il nostro voto non favorevole, l'aumento del debito pubblico di 20 miliardi per fare fronte al salvataggio delle banche, dei quali oltre 8 miliardi solo per una banca e fortunatamente almeno i correntisti del Monte dei Paschi di Siena sono stati aiutati. Ricordo però che non è ancora partito l'arbitraggio ANAC per tutti gli altri correntisti legati ad altre sofferenze bancarie, che fanno parte proprio del giglio magico, per dire così. Ricordo Banca Etruria, CariChieti, Cassa di Risparmio di Ferrara, e via discorrendo.

Quindi, di fatto, figli e figliastri di cui alcuni fortunatamente sono stati aiutati, altri sono ancora in attesa di vedere ristornati tutti i loro risparmi che sono stati volatilizzati con un colpo di decreto.

Riguardo alla riforma del mercato del lavoro - ne ho già parlato prima - con il Jobs Act avete di fatto liberalizzato le assunzioni e soprattutto i licenziamenti, ma, in un periodo storico in cui c'è una disoccupazione giovanile al 40 per cento, il problema non è licenziare, ma semmai assumere. Il problema non è licenziare, ma l'esatto contrario. Dobbiamo trovare forme di incentivi politici, soprattutto imprenditoriali, finanziari e fiscali, che inducano l'impresa ad assumere, non a licenziare.

Quindi, di fatto il non poter trovare lavoro, l'essere precari porta ad essere poveri e la povertà cresce moltissimo: sono circa 10 milioni gli italiani che sono sulla soglia della povertà e coloro che ci sono dentro, purtroppo, a piedi giunti, nel senso che sono in una condizione di povertà assoluta, sono il 6,1 per cento delle famiglie, che raggiungono più di 4 milioni e mezzo di persone.

Abbiamo un PIL pro capite molto basso e, misurato in standard di potere d'acquisto, inferiore del 4,5 rispetto a quello dell'Unione europea e più basso del 23 per cento di quello della Germania. Il cosiddetto REIS, il reddito di inclusione sociale, non è sufficiente - ne abbiamo già parlato quando si è discusso il disegno di legge sulla povertà - di fatto andrà ad aiutare le famiglie non italiane per i parametri molto bassi che sono stati previsti per l'accesso.

“Industria 4.0” è un titolo, ma non c'è nulla dietro al titolo. Le entrate che voi prevedete sono tutte entrate, di fatto, una tantum e lo split payment, il rientro dei capitali dall'estero, e l'ampliamento del reverse charge creano situazioni che causeranno difficoltà di liquidità per le imprese, che avranno enormi crediti IVA.

Tutto quello che non è stato fatto: non è stato fatto nulla in riferimento ai costi standard, non si è voluta dare una priorità ai territori, non si è voluto velocizzare la pubblica amministrazione, non si è voluto liberare le imprese…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Simonetti.

ROBERTO SIMONETTI. …dai lacci e lacciuoli dello Stato centrale. Avete fatto l'esatto opposto e pertanto non può esserci che un commento negativo alla vostra programmazione economica e finanziaria.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dell'Aringa. Ne ha facoltà.

CARLO DELL'ARINGA. Grazie, signor Presidente, la caratteristica principale del Documento di economia e finanza 2017 anzitutto è di essere realistico. Affermare che è vago, indefinito, vuoto e timido significa non coglierne le caratteristiche di base ricorrenti e neppure le caratteristiche eccezionali che contraddistinguono la particolare congiuntura economica ed istituzionale nella quale si colloca il Documento.

Anzitutto va ricordato che il DEF non ha il compito di entrare nello specifico delle misure che garantiranno il raggiungimento degli obiettivi indicati nel quadro programmatico contenuto nel Documento. Non gli compete per la sua intrinseca natura, che è delineare i caratteri fondamentali di tipo macroeconomico delle tendenze in atto e degli obiettivi da raggiungere. Non si può e non si deve chiedere più di questo ed è su questo che va giudicato.

Discutere, quindi, delle specifiche misure che dovranno essere adottate significa divagare, andare fuori tema rispetto alla funzione che il DEF deve svolgere.

In secondo luogo, il quadro tendenziale e, soprattutto, il quadro programmatico proposto tengono conto, come devono, delle opportunità, ma anche dei vincoli economici e istituzionali che condizioneranno la politica macroeconomica del Paese nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

Ricordo brevemente alcuni di questi fattori. In primo luogo, vanno considerati i tassi di interesse, che sono destinati a crescere nel medio periodo per vari motivi: primo, il previsto progressivo ridimensionamento del quantitative easing che i mercati stanno già internalizzando; secondo, la politica monetaria americana, che sarà meno accomodante del passato; terzo, le tensioni geopolitiche, che stanno creando crescente incertezza anche dal punto di vista economico.

Da questo punto di vista, possiamo solo rallegrarci di quanto è stato recentemente votato in Francia. Le tensioni sui mercati, in ogni caso, sono particolarmente dannose per l'Italia. Il nostro debito pubblico, nonostante gli sforzi fatti per contenerlo e anche fatti con successo, è tuttora elevato: il secondo più alto in Europa, rapportato al PIL. In queste condizioni le tensioni finanziarie, anche di carattere esterno, si scaricano sul nostro spread. Ricordiamo che è salito di circa 70 punti base rispetto a quello spagnolo.

Un secondo fattore di condizionamento è dato del pericolo di entrare in procedura di infrazione per deficit eccessivo. Questo fatto è noto, ma talvolta non si resiste alla tentazione di rimuoverlo. Il decreto-legge che introduce la manovra correttiva dovrebbe mettere i conti in ordine per il 2017, così come ci viene chiesto dalle autorità europee, ma non solo per il 2017, anche per gli anni successivi, in quanto, come viene anticipato nel DEF, la manovra conterrà misure che avranno effetti strutturali positivi sui saldi di finanza pubblica. Quindi, si tratta di un primo intervento, destinato a rendere concretamente realizzabile, insieme alle altre misure che verranno prese in futuro e che in questo momento non si conoscono, il quadro programmatico proposto nel DEF.

Alla luce di queste considerazioni, le indicazioni sulle tendenze e sugli obiettivi programmatici contenuti nel DEF vanno valutate come realistiche e coerenti con la intonazione della nostra politica fiscale, che deve essere innanzitutto responsabile. Senza entrare nei dettagli e nei particolari, ampiamente descritti e documentati nelle abbondanti pagine del Documento e sapientemente ripresi nella relazione presentata dalla relatrice, si ipotizza per l'anno prossimo e per ciascuno di quelli successivi una crescita tendenziale attorno all'1 per cento. Questo è il passo che la crescita del Paese è in grado di tenere nel prossimo futuro.

Seguendo la tradizione di questi ultimi anni, il DEF non intende inflazionare le previsioni verso l'alto, per poi essere smentito alla prova dei fatti. La crescita delle nostre economie è questa e potrà essere superiore, date le circostanze esterne, solo se sapremo coniugare al meglio l'esigenza di tenere i conti pubblici sotto controllo con le riforme del nostro apparato produttivo privato e pubblico, che potranno alzare il nostro potenziale di crescita nel medio e lungo periodo, come già si sta facendo.

Il DEF, inoltre, propone un obiettivo di crescita sostanzialmente allineata a quella tendenziale. Non c'è l'ambizione che potrebbe essere anche giustificata di programmare una crescita maggiore di quella tendenziale, significativamente maggiore di quella tendenziale. Ma la ragione è semplice: si programma, infatti, un deficit per il 2017 e per gli anni seguenti che è in linea con il già programmato perseguimento dell'equilibrio strutturale di bilancio al 2019. L'1,2 per cento di deficit per il 2017 viene giustamente considerato come indicatore di politica fiscale di rigore ai confini, qualcuno ha suggerito, di una politica di austerità: non siamo lontani dal vero, ma proprio in questo sta il carattere di realismo e concretezza del DEF. Infatti, tra pochi giorni la Commissione europea aggiornerà le previsioni economiche e di finanza pubblica e valuterà gli sforzi fatti dal nostro Paese per evitare di entrare nella procedura di infrazione.

Il DEF e la manovra che sta entrando in Parlamento rappresentano la giusta risposta per il contenimento sia delle preoccupazioni della Commissione, sia delle tensioni sui mercati finanziari.

Guardando al futuro, dobbiamo attendere quello che succederà nei prossimi mesi sia sul piano economico, sia sul piano istituzionale e vedere se vi saranno variazioni importanti negli elementi e nei fattori su cui il DEF è stato costruito. Solo in autunno la Commissione europea deciderà l'intonazione fiscale, cioè i principi ispiratori delle future politiche fiscali che i Paesi membri dovranno seguire.

Da parte nostra, vi è il forte interesse a rivedere il calcolo dell'output gap che penalizza il nostro Paese, in quanto non riconosce lo stato di avversità in cui si dibatte la nostra congiuntura economica. Secondo gli attuali calcoli fatti dalla Commissione, il nostro PIL effettivo è ormai vicino al PIL potenziale, come se le perdite di produzione avvenute in tutti questi anni di crisi fossero definitive e non ci fosse più capacità produttiva inutilizzata che il nostro Paese possa utilmente sfruttare.

Il nostro Governo giustamente non pensa assolutamente che questo sia il caso, considerato il tasso di disoccupazione ancora elevato e oltre i livelli considerati fisiologici. Ci aspettiamo, come ci è stato promesso, che vengano effettuati calcoli più appropriati, che riconoscano la necessità di adottare politiche più espansive o meno restrittive per la nostra economia. Solo allora, con dati aggiornati e si spera corretti e più stabili, il Governo sarà in grado di individuare le misure da adottare per far quadrare i conti e per capire se, oltre alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia previste già ora nel DEF, potranno essere mobilitate risorse per gli interventi ulteriori, per esempio per ridurre il cuneo fiscale, soprattutto per i lavoratori a basso reddito e soprattutto per rafforzare le misure di contrasto alla povertà.

Per ora il DEF che ci viene proposto all'approvazione è frutto di un lavoro impostato sul realismo, la concretezza e il senso di responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Menorello. Ne ha facoltà.

DOMENICO MENORELLO. Grazie, signor Presidente. Il programma economico proposto è pregevole per completezza e utile come base per consentire al dibattito parlamentare di indicare con nettezza le direzioni strategiche al Governo. In effetti, oltre a un discutibile ottimismo derivante da una lettura dei dati troppo edulcorata rispetto alla percezione comune, il DEF per lo più prospetta un gioco per vie orizzontali, in cui le singole azioni appaiono ancora eccessivamente isolate l'una rispetto all'altra e al quale difetta una convinta verticalizzazione. Urge, insomma, scegliere un obiettivo politico chiaro verso cui far convergere tutti gli strumenti economici, finanziari e fiscali e le riforme stesse. Questo obiettivo deve essere l'occupazione lavorativa, intesa in senso ampio e concepita come il vero e strutturale antidoto ai tragici dati sulla povertà e sulla diseguaglianza in Italia, che si leggono, fra l'altro, al paragrafo 1.2 del documento e che sono stati spiegati in audizione dall'ISTAT.

Invece, da un lato, si rappresenta la povertà principalmente come un problema di assistenza - così a pagina VI - e, dall'altro, le attuali politiche del lavoro balbettano a fronte delle dimensioni delle nuove diseguaglianze sociali, perché vengono ancora troppo riferite alla classica tipologia del lavoro dipendente, mentre dobbiamo favorire di più anche l'avvio e l'operatività di nuove imprese, nuovi studi e nuove figure professionali, con nuove filiere fra questi e il sistema economico e scientifico preesistenti.

Inoltre, la lettura del documento fa tralucere in filigrana una convinzione velatamente fideistica per cui spingere la crescita produrrebbe sempre anche maggiore occupazione. Tuttavia, la ripresa di un'azienda spesso non viene adeguatamente usata anche per incrementare ulteriori relazioni lavorative, mentre nell'attuale drammatica congiuntura economica si deve assolutamente ottenere che gli imprenditori beneficiari delle politiche pubbliche di sostegno siano essi stessi volano per nuove assunzioni e per nuovi contratti con altre imprese e altri professionisti.

D'altronde, se è certamente vero che senza crescita non si dà occupazione, è ancora più vero che è l'occupazione a far crescere i consumi e, dunque, a stabilizzare una direzione di ripresa e di fiducia. Quindi, è necessario che tutte le iniziative pubbliche siano radicalmente piegate e finalizzate ad ottenere innanzitutto più occupazione, cioè più contratti di lavoro dipendente, ma anche più commesse per start-up, imprese, professionisti e cooperative non profit.

Si prenda allora coraggio dalle mozioni pressoché unanimi approvate dalla Camera il 12 aprile scorso per modellare da subito l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro sui migliori modelli europei che vedono standard anche di un addetto alla ricerca di lavoro per ogni quaranta disoccupati. A questo scopo si può favorire, previa adeguata formazione, una massiccia mobilità verso l'ANPAL da quelle pubbliche amministrazioni centrali e locali che hanno dispendiose eccedenze di personale.

Inoltre, si può istituire un sistema virtuoso sulla base di un job creation index, un registro di nuovi lavori creati come è negli Stati Uniti, e di un job creation rating, ovvero una valutazione per le imprese che si trasformi in un apposito indice per valorizzare le capacità delle stesse di contrattualizzare relazioni commerciali con start-up, altre imprese o professionisti nonché di assumere dipendenti e collaboratori, così che questo rating potrà essere usato per graduare tutti i benefici derivanti dalle tante azioni pubbliche di sostegno all'economia riassunte nel DEF - tra le tante: “Industria 4.0” e agevolazioni fiscali in genere - ovvero ai fini dell'assegnazione di punteggi in appalti pubblici, premiando chi più saprà essere volano di occupazione.

Dobbiamo, in estrema sintesi, razionalizzare ogni strumento esistente per costruire una convinta e concreta prospettiva che realizzi un vero e proprio lavoro di cittadinanza, unico strumento - si crede - per scommettere sulla singola persona e, quindi, per combattere seriamente la povertà e la sfiducia che incalzano da tempo il nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Covello. Ne ha facoltà.

STEFANIA COVELLO. Grazie, signor Presidente. Come già detto dalla nostra relatrice, onorevole Simonetta Rubinato, e aggiungendo anche di mio, sento di dire che il DEF è un atto politico e naturalmente è un atto politico di un Governo che mostra grande serietà nell'affrontare una fase non semplice dell'economia nazionale, in un quadro internazionale complesso. Si muove in coerenza con un approccio riformista, in cui l'ordine dei conti pubblici si coniuga con la indispensabile necessità di rilanciare misure di crescita e di sviluppo.

Naturalmente, nell'ultimo anno abbiamo registrato risultati sicuramente positivi per occupazione e PIL e questo ci conforta a proseguire nel solco delle riforme portate avanti nel corso di questa legislatura. Certo, ci sono criticità che dobbiamo affrontare e su cui dobbiamo agire con maggiore incisività; penso, per esempio, alla lotta alla povertà e al reddito di inclusione, che in questo DEF hanno un'evidente centralità.

Negli anni della crisi, purtroppo, il numero degli indigenti è aumentato e si è stabilizzato intorno all'11 per cento della popolazione. È un dato considerevole, che non può essere strumentalizzato, però, ai fini elettorali. Si possono fare le marce per i redditi di cittadinanza, ma bisogna essere onesti intellettualmente e avere rispetto delle persone e delle famiglie in difficoltà e dire che quella proposta non è sostenibile.

Nel Piano delle riforme noi prevediamo una misura a sostegno di chi è in difficoltà e la accompagniamo in un programma di recupero verso un reinserimento sociale e occupazionale. Di certo, non assecondiamo rigurgiti neoassistenzialisti, che appartengono al MoVimento 5 Stelle, e di certo, poi, non ci facciamo scudo della sofferenza per prendere consensi.

Ma il DEF non è solo questo: è il rilancio degli investimenti pubblici, non con l'elenco di opere irrealizzabili, ma concentrando risorse per quelle effettivamente concretizzabili. Sembra un'ovvietà, ma non è così.

Ogni tanto, a destra, sembrano immemori degli elenchi delle grandi opere con cui, nei loro anni di Governo, hanno illuso i territori senza alcun riscontro concreto.

Vogliamo dirlo questo? Noi sì che lo diciamo; lo diciamo! Ecco perché in questi anni abbiamo cambiato il paradigma sulle opere pubbliche. Vogliamo intervenire e realizzare solo quelle che servono, è il modo migliore per non disperdere risorse preziosissime. Le linee qualificanti del DEF si sviluppano, poi, nel potenziamento della pubblica amministrazione, della ricerca, della formazione, della lotta all'evasione fiscale, che mai come in questi anni ha avuto un così rilevante impulso, come dimostrano i risultati conseguiti. Una riflessione vorrei dedicarla, però, al Mezzogiorno, intanto per ricongiungermi a quanto detto stamattina dal Presidente Gentiloni a Benevento. Proprio stamattina il Presidente del Consiglio ha affermato, e condivido pienamente ciò che ha detto, che siamo in un contesto senza precedenti per il Mezzogiorno, se pensiamo alla decontribuzione che riguarda l'occupazione giovanile, se pensiamo al credito d'imposta e a tutto quello che è stato fatto proprio con un lavoro iniziato magistralmente da Matteo Renzi, che dopo vent'anni di buio politico ha reso finalmente protagonista dell'agenda politica il Mezzogiorno.

E Gentiloni continua magistralmente, coerentemente, politicamente sul piano istituzionale e sul piano delle risorse finanziarie. In questi anni abbiamo rotto il tetto di cristallo che sovrastava questo argomento, lo abbiamo sdoganato e abbiamo restituito centralità, come dicevo prima, nell'agenda politica. Dobbiamo proseguire nell'attuazione dei patti siglati con regioni e città metropolitane, come recitano i masterplan, smentendo quanti inutilmente polemizzano. Le risorse ci sono ed è tempo, quindi, che tutti i soggetti istituzionali, a partire dalle regioni, facciano il loro compito, perché non ci siano più alibi. Il rilancio dell'economia del Mezzogiorno è fondamentale per il Paese.

Abbiamo la possibilità di spendere nei prossimi anni 95 miliardi di euro: una cifra straordinaria, che mai nessuno aveva messo prima. Sappiamo che in questi giorni si polemizza, parlando di aumento IVA e di privatizzazioni, il tutto in chiave prettamente strumentale. Non cadremo nella trappola delle provocazioni artatamente create, ma, al tempo stesso, deve essere chiaro che il Partito Democratico non sarà il partito delle tasse dirette e indirette. L'Italia non ha bisogno di vecchie ricette, nessuno più di noi si è assunto la responsabilità di non far naufragare il Paese, di non esporlo alle speculazioni finanziarie. Abbiamo fatto non solo i compiti a casa, ma abbiamo dimostrato anche a quelli che si consideravano secchioni che forse da noi hanno da imparare; hanno da imparare dalla creatività dei nostri imprenditori, dalla qualità dei nostri prodotti, da quel made in Italy che consente alla nostra bilancia commerciale di avere un avanzo primario che non ha eguali in Europa, e lo rivendichiamo con orgoglio. Il PD è un partito patriota, che non oscilla tra nazionalismi sciovinisti e post ideologismi virtuali, per come abbiamo visto fare anche ieri nella Giornata della liberazione del 25 aprile. Noi, con responsabilità, vogliamo bene al nostro Paese e non siamo così autolesionisti da auspicare catastrofi pur di vincere. No, coesione e crescita sono le parole che ci appartengono, che vogliamo che ci appartengano, che appartengano all'Italia e al Mezzogiorno; sono le parole chiave per andare avanti, e, quindi, per arrivare da coesione e crescita alla parola più importante per noi, che è quella: lavoro, lavoro, lavoro per i giovani.

Per questo, il Partito Democratico condivide il DEF e sostiene l'azione del Governo, consapevoli delle difficoltà di questo tempo. Il risultato francese ci dimostra che i populismi si battono con la serietà delle proposte riformiste; del resto, questo è il nostro DNA, per come ci viene riconosciuto, per come noi lo riconosciamo. E, quindi, ecco che convintamente noi sosteniamo il DEF e andremo avanti fino in fondo. Negli ultimi vent'anni, e soprattutto nel 2011, l'Italia era sul tracollo finanziario: ebbene, per vent'anni abbiamo visto sempre un segno meno 2, oggi noi vediamo un segno più 1.

Questo è segno e frutto di un lavoro enorme fatto dal Governo negli ultimi tre anni e mezzo, e quindi sappiamo bene che è un segno debole, ma questo segno più 1 non può che ancora di più convincerci ed incoraggiarci a voler continuare in questa politica di crescita che vede l'Italia finalmente in una rinascita (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alberto Giorgetti. Ne ha facoltà.

ALBERTO GIORGETTI. Grazie, Presidente. Forza Italia ritiene questo Documento di economia e finanza alla nostra attenzione un documento che non riesce a cogliere le esigenze del Paese e non riesce a comunicare quelle che sono le politiche che contribuiranno, ovviamente, alla tenuta dei conti pubblici e a un tentativo di rilancio della crescita, ed è un documento che, a nostro avviso, non va neanche nel segno delle riforme, che abbiamo portato avanti anche congiuntamente, che riguardano la revisione e la riscrittura del bilancio dello Stato e di tutti i documenti relativi alla programmazione economica e finanziaria. Sosteniamo questo perché nei vari passaggi che abbiamo avuto relativamente, per esempio, alla legge di bilancio l'idea era quella di raggiungere un'intellegibilità, un percorso di chiarezza, che riguardava comunque gli obiettivi di finanza pubblica e le politiche connesse alla loro realizzazione, che dovevano avere delle caratteristiche di maggiore trasparenza.

Questo DEF è un documento che non ha certo il dono della sintesi. È un documento che prospetta una serie di numeri e di tabelle, che sono indubbiamente interessanti, ma non riescono, per la loro complessità, a rendere chiaro qual è il percorso del Governo a fronte di necessità del Paese che sono assolutamente evidenti e che i partiti di maggioranza sembrano non riuscire a cogliere. Vedete, al di là di un aspetto estetico, ma anche sostanziale, ovviamente, perché, rispetto a un documento che avesse caratteristiche di sinteticità, di efficacia, di chiarezza rispetto agli obiettivi che ci si pone, si può immaginare che anche nel merito non ci siano le idee chiare su cosa fare.

E noi, ovviamente, non condividiamo i toni particolarmente positivi che sentiamo dalla voce della maggioranza in merito agli obiettivi di politica economica e finanziaria raggiunti dal Governo. Non ci convince il fatto che si possa ritenere interessante una crescita che si attesta, nei migliori di questi dati, in una previsione che viaggia attorno all'1 per cento, ben sapendo che relativamente ai Paesi di area OCSE, l'Italia sarà uno dei Paesi che in prospettiva crescerà di meno, così come previsto da una serie di osservatori internazionali. E anche la crescita all'1 per cento, con una proiezione che sarà nel tempo non certamente molto maggiore, immaginare l'1,1 significa parlare di una frazione che non riteniamo sufficiente ad affrontare lo scenario così pesante che contestualmente questo Governo ha determinato sul fronte del debito pubblico.

È giusto ricordare a noi stessi che il debito pubblico in questi anni è cresciuto, siamo oltre il 132 per cento, con una previsione di riduzione che è assolutamente parziale nei prossimi anni e che non riesce a scongiurare una difficoltà da parte del Paese nella gestione della finanza pubblica per poter generare un percorso di crescita degno di questo nome.

La nostra impressione è che non ci troviamo in una fase di crescita che ci farà in qualche modo agganciare una ripresa che negli altri Paesi viaggia almeno al doppio della nostra velocità. La media mondiale è di una crescita del 3 per cento in media all'anno; il nostro Paese non riesce a liberare le energie necessarie a riagganciare una ripresa con una velocità superiore. Non riesce a farlo perché il peso del debito è un elemento che non possiamo più evitare e che questo Governo, in qualche modo, sembra mettere sotto il tappeto. Lo diciamo perché gli ultimi provvedimenti, che sono stati caratterizzati da interventi che rappresentate a noi per esigenze di emergenza, vedi per esempio l'ultimo provvedimento in materia di banche, ricorrono sostanzialmente all'utilizzo del debito.

Non solo, nei prossimi mesi avremo con buona probabilità la necessità di avere ulteriori interventi che riguardano sempre una riattivazione della crescita del debito che, evidentemente, va nel segno opposto rispetto alle politiche che dovrebbe in questo momento attivare il Governo per valorizzare il patrimonio pubblico e a una serie di politiche che consentano progressivamente il rientro di questo dato. Noi vediamo un lavoro e una prospettiva che è strettamente finalizzata alla parte corrente, non certamente a una manutenzione adeguata di questo valore, che condizionerà inesorabilmente rispetto a fattori esogeni alla nostra economia quello che sarà anche il ritorno, in legge di bilancio, in necessità di interventi, e quindi ovviamente di ricorso alla leva fiscale, peggiorando quelli che sono i dati attuali rispetto a ciò che il mercato attenderebbe.

Infatti, la proiezione di un possibile innalzamento dei tassi di interesse, così come le incertezze che sono state prima correttamente ricordate da parte di alcuni colleghi e che riguardano soprattutto l'approvvigionamento di materie prime, il prezzo del greggio e altre variabili che evidentemente risentono anche delle tensioni di carattere mondiale, non solo economiche, ma soprattutto politiche, sono tutti fattori che peggiorano l'aspettativa sulla crescita del PIL, peggiorano la possibilità di poter rientrare con il debito e incentiveranno il nostro Governo a chiedere ulteriori iniziative straordinarie per poter allargare il debito pubblico e, quindi, sopperire alla carenza di risorse con interventi che vanno a spostare sulle nuove generazioni un carico che è davvero diventato insopportabile.

Questo è un elemento che noi consideriamo di priorità assoluta: priorità assoluta perché siamo in una condizione, una trappola, di bassa crescita: debito pubblico elevato, difficoltà di manutenzione dei conti pubblici, la necessità di andare progressivamente a sterilizzare quelle che sono le previste clausole di salvaguardia e, quindi, iniezioni di risorse che devono essere continuamente fatte per evitare l'aumento della pressione fiscale, non lasciano certo intravedere scenari di particolare interesse per fare le azioni che consentirebbero alle nostre imprese di essere più competitive, di avere un costo del lavoro più basso, di intervenire con una serie di politiche che agevolerebbero questo rilancio della competitività e, quindi, la crescita.

La nostra impressione è che non si intraveda un progetto chiaro su questo argomento, certamente non un progetto organico che riguarda la riduzione del debito, e noi riteniamo che questo sia un problema significativo. Ma anche all'interno di quelli che sono gli scenari attuali e illustrati all'interno di questo documento, l'impressione è che, relativamente alle politiche di intervento, non si vede ancora ciò che serve nei vari settori per immaginare una ripresa significativa. Qua non si tratta di intervenire ricorrendo a delle risorse pubbliche in una logica keynesiana, come è stato raccontato in quest'Aula; qui si tratta di determinare un percorso virtuoso con un mix di iniziative di carattere finanziario, fiscale ed economico, che possano mettere le condizioni per generare fiducia da parte delle imprese e, quindi, determinare nuovi passaggi.

Voglio essere più chiaro. Negli ultimi anni abbiamo avuto non una crescita del finanziamento da parte del credito e degli istituti, ma una riduzione progressiva. Gli ultimi due anni hanno visto una riduzione progressiva del credito alle imprese e non certamente, con i provvedimenti varati dal Governo, una capacità di affrontare questa fase in modo più robusto: no! Gli interventi del Governo sono stati finalizzati, se pur meritevolmente e tardivamente, noi lo riconosciamo, tanto è vero che abbiamo votato uno di questi provvedimenti, che consideriamo comunque strategico, sulla vicenda Monte dei Paschi. Probabilmente, dovremo attivare altre iniziative che riguardano la ripresa di risorse pubbliche finalizzate al salvataggio di altri istituti, purtroppo, ma le condizioni complessive del credito oggi risentono di una serie di problemi, quale il tema delle garanzie, quali evidentemente le capacità per poter dare la possibilità agli imprenditori di attivare energie che non vengano solo dal circuito del credito, e sono state tutte iniziative che sono state respinte dal Governo, in attesa di interventi salvifici, perché, come dicevo, siamo in una condizione per cui quelle iniziative che riguardavano l'assunzione di nuovi finanziamenti con garanzie anche pubbliche, non sono state recepite dal Governo, ritenendo che il meccanismo, comunque, stante alla base nella regolamentazione delle problematiche anche dei debiti di queste banche e nella gestione, comunque, dei crediti deteriorati fossero sufficienti ad affrontare il finanziamento delle aziende.

Così non è stato. In realtà, c'è stata una riduzione dei finanziamenti significativa e siamo in attesa di capire cosa attiverà il Governo nei prossimi giorni.

Ci auguriamo che, anche sul versante della garanzia dei crediti dei risparmiatori, in particolar modo i conti correnti bancari, dei depositi, ci sia un'iniziativa in sede europea per chiudere finalmente il terzo pilastro della difesa dei risparmiatori e che riguarda la garanzia europea rispetto alle somme depositate in banca, che è un aspetto che va assolutamente riattivato.

Così come, nel DEF, si perde traccia, dal punto di vista fiscale, di quella che è la riduzione dell'Irpef, un argomento che noi consideriamo importante. Siamo perplessi sul fatto che si possa rivedere la fiscalità esclusivamente con una riduzione o una eliminazione delle cosiddette tax expenditure. Noi riteniamo che questo sistema vada, invece, salvaguardato, in attesa di una riforma complessiva. Vadano innestate, però, una serie di questioni: le vogliamo citare? Vogliamo affrontare una difesa dei conti correnti, del risparmio delle famiglie e della capacità d'acquisto? Dobbiamo intervenire con un argomento che discutiamo da tanti anni e che riguarda, per esempio, l'inserimento nel nostro sistema tributario del quoziente familiare, anche in modo graduale, ma certamente come un elemento determinante per immaginare una fiscalità meno pesante nei confronti delle famiglie che hanno evidentemente un nucleo familiare significativo e che pagano, oggi, esattamente come i singoli individui, determinando complessivamente un impoverimento ovviamente dalla famiglia, una situazione di disuguaglianza e di iniquità fiscale grave e, soprattutto, un elemento che disincentiva nel tempo un'altra questione fondamentale del nostro Paese, che è stata sempre tralasciata anche in questi anni e in questi mesi, ossia la vicenda della demografia, e quindi rilanciare e incentivare le famiglie ad avere in prospettiva una condizione di crescita che riguarda evidentemente i propri familiari, ma più in generale la possibilità di credere nel futuro.

Quindi, un intervento che deve immaginare anche una azione significativa sul versante del quoziente familiare, così come la riduzione progressiva delle aliquote e l'inserimento nel sistema anche di uno strumento che non ha mai visto nascita nel nostro Paese e che riguarda più in generale la flat tax. Un sistema che deve ridurre progressivamente il carico fiscale del patrimonio immobiliare: anche lì, ciò che si intravede nel DEF, è un programma che va, di fatto, tra costi diretti, quindi tassazione diretta, tassazione indiretta e soprattutto tariffe, ad aumentare in modo significativo quello che è il costo di manutenzione di vita degli immobili; immobili che hanno sempre rappresentato un valore fondamentale per il nostro Paese e per le nostre famiglie e che oggi si trovano a essere un carico, una minaccia, non una opportunità per il futuro, ma una minaccia per il fatto che, rappresentando un valore, possono essere uno degli elementi da andare progressivamente a strangolare per ottenere risorse per far fronte a tutte le necessità correnti che il nostro Paese intravede nei prossimi tempi.

Il fatto che la spesa pubblica, in proiezione attuale, possa crescere nel 2018 ancora del 5 per cento circa dà l'idea che la proiezione, comunque, di riduzione della spesa pubblica non è assoluta, ma è solo parziale, ed è legata, come sempre nelle leggi di bilancio, a quella che è la prospettiva della crescita di spesa, non alla riduzione in valore assoluto.

Quindi, questo apre un altro argomento, che è la vicenda della razionalizzazione della spesa, cosiddetta spending review, e dei tagli progressivi, più o meno selettivi, delle iniziative di spesa. Noi riteniamo che per rendere più efficiente la spesa bisogna lavorare sul versante dei costi standard e del percorso che era stato portato avanti e che riguardava il federalismo fiscale, con una responsabilizzazione maggiore dei territori, una individuazione dei benchmark di riferimento di spesa nelle pubbliche amministrazioni, sanità in particolar modo. Questo percorso è stato, per adesso, non realizzato, fino ad entrare effettivamente nelle dinamiche di spesa pubblica e, quindi, questo consentirebbe di poter lavorare su obiettivi più precisi, di determinare una progressiva riduzione della spesa legata a principi di salvaguardia dell'efficienza e della qualità, comunque, dei servizi che, in caso contrario, viene abbandonata.

Insomma, l'idea è che il lavoro che è stato fatto, parziale, di riduzione della spesa pubblica abbia determinato un doppio effetto: confusione per quello che riguarda la gestione dei servizi, problemi aggiuntivi e per di più, non dinamiche virtuose per quello che riguarda la prospettiva di crescita di riduzione, sempre di queste voci di spesa.

Concludo, Presidente, per dire che ci vorrebbe davvero tanto tempo per fare un'analisi compiuta rispetto a questo Documento di economia e finanza, però noi abbiamo lanciato alcuni argomenti su cui ci può essere un dialogo con il Governo nell'interesse del Paese. Noi siamo disponibili su questo, però è chiaro che si devono andare ad aggredire quelli che sono gli aggregati che ho prima citato: il debito, gli interventi per vigilare sulla spesa pubblica in crescita e non selettiva, il fatto che si lavori per dare competitività alle imprese, una revisione del sistema fiscale degno di questo nome, le banche e altri interventi (vedi il pacchetto Mezzogiorno per rilanciare e rendere meno iniqua oggi la distanza tra aree del Paese). Sono tutti temi che noi in questo DEF intravediamo in modo parziale, in modo confuso e inadeguato. Per tutti questi motivi, noi evidentemente sosteniamo la nostra risoluzione, che apre su questi argomenti, e bocceremo quella della maggioranza.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giampaolo Galli. Ne ha facoltà.

GIAMPAOLO GALLI. Grazie Presidente. Come peraltro negli ultimi anni, il DEF si muove lungo un sentiero molto stretto, perché da un lato dobbiamo avviare la riduzione del debito, dall'altro dobbiamo sostenere la crescita. Tuttavia, come ha già fatto notare la relatrice, onorevole Rubinato, e anche i colleghi Dell'Aringa, Covello e Iannuzzi, ci troviamo quest'anno di fronte a qualche opportunità in più in relazione a un quadro internazionale in cui si consolida la crescita, ma anche a nuovi fattori di rischio che derivano dalla fine, attesa per il 2018, della politica molto espansiva della BCE, dal rischio di misure protezionistiche in particolare negli Stati Uniti e da rischi politici, anche in Europa. In questo quadro, il Documento di economia e finanza compie tre scelte di fondo: formula previsioni macro-economiche prudenti, si attiene alle regole europee in materia di conti pubblici, sia per quest'anno, di qui la manovra aggiuntiva, sia per il 2018, infine compie una scelta di continuità rispetto alle politiche degli ultimi anni che sono state politiche di riforme per la crescita. Su quest'ultimo punto mi soffermo un attimo anche alla luce della recente decisione dell'agenzia di rating Fitch di ridurre la valutazione dell'Italia. Premesso che le agenzie di rating non sono oro colato e fanno spesso errori non da poco, il timore che viene espresso è che venga meno la continuità del processo riformatore. In altre parole, il rischio di fronte al quale siamo oggi e che ci penalizza anche con i mercati, è che venga a mancare la continuità nell'attuare le riforme avviate in questi anni e non il contrario, come sostengono un po' strumentalmente le opposizioni. Dice l'agenzia che il peso accresciuto dei partiti populisti può ridurre la capacità della politica di attuare le riforme ed aumentare la pressione per politiche di bilancio lassiste. E c'è anche uno specifico riferimento, nel comunicato dell'Agenzia, alle conseguenze negative che ha avuto la vittoria del “no” al referendum costituzionale. La sfida oggi è, dunque, quella di dare continuità al processo riformatore.

In uno scritto del Vicepresidente di questa Camera, l'onorevole Di Maio, apparso sul sito del suo Movimento, relativo proprio alla decisione di Fitch, si afferma: la realtà è che il nostro debito pubblico sta diventando davvero insostenibile e rischiamo un default e ciò avverrebbe - dice l'onorevole Di Maio - perché si sarebbero fatte manovre elettorali invece del reddito di cittadinanza. Mi permetto di esprimere preoccupazione per il fatto che una carica istituzionale parli con tanta leggerezza di default del debito pubblico. Diciamolo chiaramente, il default sarebbe una tragedia, una tragedia che l'umanità non ha mai conosciuto in un Paese come il nostro, un Paese avanzato, caratterizzato dalla presenza di milioni e milioni di piccoli risparmiatori, i quali meritano il nostro rispetto. Aggiungo che le riforme che ci vogliono per rendere sostenibile il nostro debito pubblico sono l'opposto di quelle che vorrebbe il MoVimento 5 Stelle. Non si può sostenere che il reddito di cittadinanza avrebbe risolto, come invece lì si sostiene, i problemi che pone Fitch; è esattamente vero il contrario.

E infine, soprattutto, non si può dire che in questi anni abbiamo fatto troppo debito e poi chiedere che si faccia più debito, perché è evidente che il MoVimento 5 Stelle, come altre opposizioni, ma altri sono più espliciti su questo, vorrebbe fare più debito. L'abbiamo sentito anche oggi e lo sentiamo con proposte tipo quella della moneta fiscale che altro non è che un modo, peraltro maldestro, per cercare di aggirare le regole europee e fare più debito. Insomma, cerchiamo di restituire un senso alle parole: non si può attaccare il Governo per aver fatto troppo debito e poi chiedere che si faccia più debito, non ha senso.

Un diverso ragionamento dice che la flessibilità potevamo usarla meglio - certo - finalizzandola di più alla crescita. Su questo io ricordo innanzitutto che in questi anni il disavanzo pubblico, grazie alla flessibilità, è diminuito, non è aumentato. La flessibilità è servita per attuare un aggiustamento più graduale di quello che era inizialmente previsto in assenza del quale probabilmente non avremmo visto il consolidarsi della ripresa. Naturalmente è legittimo sostenere che avremmo potuto usare meglio la flessibilità, ma anche qui è bene essere chiari: la richiesta più pressante, l'abbiamo sentito anche questa mattina, che ci viene oggi dalle opposizioni, e giustamente da gran parte dell'opinione pubblica, è di fare qualcosa per l'occupazione, in particolare per i giovani, e per fare questo si dice che si dovrebbe prioritariamente ridurre il cuneo fiscale sul lavoro ossia la differenza fra il costo del lavoro per l'azienda e la busta paga netta per il lavoratore. Il Governo sta lavorando su questa questione. Ma non si può far finta che in questi anni non si sia fatto nulla, le misure principali dal punto di vista dell'impatto sul bilancio pubblico sono esattamente misure che riducono questa tassa: l'abolizione dell'Irap lavoro, la decontribuzione sui nuovi assunti e gli 80 euro. Capisco che ci sia qualcuno che gli 80 euro li avrebbe voluti dare alle aziende, ma se parliamo di cuneo fiscale, che è cosa diversa dal costo del lavoro, allora il cuneo non riguarda soltanto le aziende, ma anche il lavoratore. Non c'è dubbio che gli 80 euro hanno ridotto la distanza fra la busta paga netta e il costo per l'azienda.

Lo stesso vale per la decontribuzione, si dice che avrebbe dovuto essere fatta solo sulle assunzioni nette. È una posizione rispettabile, certo, ma diciamo la verità: le conseguenze sul cuneo fiscale e sull'occupazione sarebbero state di molto inferiori. Anche qui cerchiamo di dare un senso alle parole che usiamo: va bene chiedere che si riduca il cuneo fiscale per incentivare l'occupazione, ma non ha senso poi chiedere che si cancellino le misure già prese che proprio hanno quell'effetto di ridurre il cuneo fiscale.

Infine, sentiamo dire che per rilanciare l'economia ci vorrebbe un grande stimolo, qualcuno usa il termine shock in termini di riduzione delle tasse; l'onorevole Giorgetti, sia pure un po' di sfuggita, ha rilanciato qui l'idea della flat tax. Anche qua, a me sembra che ci dobbiamo capire. Le tasse in questi anni sono scese come è scritto chiaramente nel DEF di quasi un punto e mezzo di PIL fra il 2013 e il 2016: il taglio dell'Irap lavoro, l'abbattimento al 24 per cento dell'Ires, la decontribuzione, il super e iper-ammortamento, l'eliminazione dell'IMU-macchinari, l'abolizione di tutte le imposte agricole; questo per le imprese. Per le famiglie: l'abolizione dell'IMU-Tasi e gli 80 euro per quasi 10 miliardi. Non è mai successo nella storia d'Italia degli ultimi vent'anni che siano ridotte le tasse in misura così rilevante.

Concludo con una considerazione sul tema dei rischi. Nell'introduzione del Ministro Padoan al Documento si dice che un'attenta riflessione sul valore concreto della credibilità del Paese appare particolarmente rilevante alla luce delle aspettative di consenso che vogliono la BCE terminare il proprio programma di acquisti di titoli sovrani entro la fine del 2018; e l'ultima frase dice: l'Italia non dovrà farsi trovare impreparata. La Banca d'Italia ci ha ricordato nella sua audizione che è tornato lo spread, esso stava, quando parlava la Banca d'Italia qualche giorno fa, attorno 210 punti, adesso è leggermente sceso, cioè consistentemente sceso a 180 circa a seguito delle elezioni francesi.

Con linguaggio cauto ma preciso, la Banca d'Italia ci invita a non trascurare l'eventualità di repentini cambiamenti di clima nei mercati finanziari. Mi auguro che qualcuno ascolti queste considerazioni, e che ciò induca a valutazioni un po' più pacate su ciò che davvero serve all'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Annunzio di risoluzioni - Doc. LVII, n. 5)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le seguenti risoluzioni, che sono in distribuzione, Fedriga ed altri n. 6-00306, Marcon ed altri n. 6-00307, Caso ed altri n. 6-00308, Brunetta ed altri n. 6-00309, Pili n. 6-00310 e Rosato, Lupi, Monchiero, Dellai e Pisicchio n. 6-00311 (Vedi l'allegato A).

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. La Ministra per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 24 aprile 2017, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla V Commissione (Bilancio):

"Conversione in legge del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo" (4444) – Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 16, con le repliche dei relatori e del Governo.

La seduta, sospesa alle 14,55, è ripresa alle 16.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Cicchitto, Dambruoso, Giorgis e Scanu sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente centoventitré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del Documento di economia e finanza 2017 (Doc. LVII, n. 5).

Ricordo che, prima della sospensione della seduta, si è conclusa la discussione.

Avverto che la risoluzione Rosato, Lupi, Monchiero, Dellai e Pisicchio n. 6-00311 è stata sottoscritta anche dai deputati Alfreider, Buttiglione, Bueno e Locatelli.

(Repliche - Doc. LVII, n. 5)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice per la maggioranza, onorevole Rubinato, per quattro minuti.

SIMONETTA RUBINATO, Relatrice per la maggioranza. Presidente, si è criticata l'impostazione del DEF sia perché frutto di politiche neoliberiste sia, all'opposto, perché ispirato a politiche troppo espansive. Mi sembra difficile parlare di neoliberismo in un Paese che ha il terzo debito pubblico al mondo, debito che ha continuato a crescere sino ad oggi nonostante manovre correttive ininterrotte dal 1995 abbiano registrato ogni anno avanzi primari, eccetto che nel 2009. Peraltro, che il debito cresca in periodi di recessione è anche comprensibile e necessario, per fare politiche espansive, molto meno se cresce - ed è cresciuto - nei periodi in cui l'economia cresceva, quando un Paese come il nostro doveva mettere fieno in cascina. L'Italia purtroppo è da decenni dentro una gabbia caratterizzata da bassa crescita e alto stock di debito. Da oltre quindici anni, a prescindere dal colore dei Governi succedutisi, la crescita potenziale del sistema economico italiano è ferma a valori inferiori all'1 per cento, a causa principalmente della produttività stagnante dagli anni Novanta e della bassa competitività del sistema Paese, a causa cioè di decenni di rinvio di riforme strutturali necessarie.

Quanto allo stock di debito, per un Paese come il nostro il valore del rapporto tra debito-PIL è di importanza primaria, in quanto è con tale dato che viene sintetizzata la capacità dell'Italia di onorare i propri debiti e quindi di continuare ad accedere ai mercati. Da gennaio, ricordo, abbiamo subito due declassamenti del rating, l'ultimo qualche giorno fa da parte di Fitch. È un annuncio di guai dai mercati? No, le agenzie valutano il debito sovrano su dati pubblici noti, sui quali i mercati già si sono fatti un'opinione sul debitore in questione, ma è un campanello d'allarme che suona, e suona anche perché l'opinione di Fitch è influenzata dal fattore instabilità politica, da una diffusa cultura finanziaria di forze politiche e di partiti, anche in Europa, populisti ed approssimativi proprio in tema finanziario, quindi merita attenzione.

Quali sono i problemi che dobbiamo affrontare? La bassa crescita e quindi la relativa difficoltà di migliorare il rapporto debito-PIL. E noi dobbiamo farlo. Siccome questo problema è di lungo corso, ed è per questo un problema che dovrebbe preoccupare tutti, tutte le forze politiche, il continuo reiterarsi di questa gabbia tra bassa crescita e stock di debito alto indica che è proprio nel circuito politico il punto critico, quello del consenso corporativo e blocco delle riforme, e che la partita da giocare è quella tra cultura dello sviluppo contro cultura corporativa, perché la ricchezza, per essere redistribuita, va prima prodotta. Ebbene, con questo DEF - i numeri lo dicono - l'Italia ha ripreso a muoversi. Vi sono segnali importanti di vitalità nel mondo imprenditoriale, siamo la seconda manifattura d'Europa dopo la Germania dopo una crisi che ha visto soccombere un quarto del nostro sistema produttivo. Quindi credo che non ci siano davvero alternative al sentiero stretto ricordato dal Ministro Padoan di una strategia che tenga insieme la crescita e la riduzione del debito. Il binario, quindi - e il DEF è il binario - è quello giusto, vorrei dire obbligato. Il tema, piuttosto, è quello di imboccarlo con maggiore forza e determinazione nelle prossime manovre e nell'attività legislativa relativa alle riforme strutturali, che possono attingere per la crescita agli ampi spazi di miglioramento della produttività del settore pubblico e privato del Paese, che sono stati citati molto bene dal collega Dell'Aringa: lì ci sono grandi spazi di miglioramento e significa che l'Italia da questa gabbia può anche uscire. Ovviamente sarà molto importante anche l'interlocuzione - poiché l'obiettivo che il DEF si dà anche per la prossima manovra di bilancio è molto ambizioso come ho detto nella relazione questa mattina -, dicevo sarà molto importante da questo punto di vista attivare quel confronto con gli organismi comunitari che ci consenta di rendere meglio compatibile la necessità di continuare a supportare la crescita con investimenti e riduzione della pressione fiscale e il percorso di progressivo avvicinamento all'obiettivo di medio termine.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo che invito a dichiarare quale risoluzione intenda accettare.

PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Grazie Presidente, ho ascoltato con molta attenzione le critiche delle opposizioni al Documento di economia e finanza e devo dire con grande sincerità e rispetto che mi è sembrato che siamo nel legittimo campo delle opinioni e non dei fatti. Si va dai “margini stretti” citati dall'onorevole D'Incà all' “eccessivo ottimismo” degli onorevoli Marcon e Simonetti o alla troppa vaghezza nelle scelte concrete e a un “testo troppo ponderoso” come ci ha ricordato l'onorevole Giorgetti. Che i margini siano stretti non l'abbiamo mai negato: è così, c'è un quadro internazionale incerto, per primi noi abbiamo parlato di sentiero stretto. C'è una crescita globale comunque debole: il riferimento che è stato fatto al PIL mondiale è un riferimento non adeguato perché il PIL mondiale conta crescite rilevanti di alcuni Paesi come la Cina che, nonostante la deflessione, è ancora al 6 per cento ma se si guarda dagli stessi Stati Uniti ai Paesi europei ci accorgiamo che siamo in un quadro un po' migliore del nostro ma del tutto insoddisfacente e quindi siamo di fronte ad una obiettiva fase di difficoltà generale contro la quale bisogna avere delle strategie positive. Per quanto riguarda l'eccessivo ottimismo francamente la trovo singolare come critica: ci muoviamo nell'asse dello 0,1 e veniamo giustamente da certi punti di vista criticati, ma questo 0,1 è una prova di realismo, di un tentativo di riconoscere la realtà per così com'è. Lavoriamo su una crescita che è oggettivamente contenuta. Adesso rimando alle osservazioni fatte in questo momento dall'onorevole Rubinato nella sua replica e quindi francamente mi sento di non accogliere la critica dell'eccessivo ottimismo. Certo c'è un problema che è stato citato da un collega ossia che c'è uno scarto evidente tra le scelte e la percezione generale da parte dei cittadini: la scarsa crescita, la crescita che c'è ed è costante e i numeri ci aiutano a confermare questo è una crescita tale che non è percepita dai cittadini per la portata che noi gli attribuiamo e questo è un tema politico serio che dobbiamo affrontare ognuno dal proprio punto di vista. Infine il fatto che manchino scelte concrete: la natura stessa del DEF è fatta di indicazioni strategiche di medio periodo. L'esempio più clamoroso sono le clausole di salvaguardia. Nel DEF diciamo di non volerle applicare ma - ci viene detto - come lo farete? Noi prendiamo l'impegno a togliere le clausole di salvaguardia. Come lo faremo è compito della legge di bilancio che presenteremo tra sei mesi. Tra l'altro sei mesi sono lunghi e, se alcuni dati positivi che intravediamo dell'economia ci aiutano, saremo ulteriormente facilitati. Le scelte programmatiche invece ci sono. Ribadisco la strategia delle riforme come una strategia fondamentale da continuare, da portare avanti con tutte le contraddizioni e le difficoltà della fase storica nella quale viviamo ma fondamentalmente quali sono le scelte di fondo sulle quali ci muoviamo? Sono sostanzialmente due: continuare ad incentivare la crescita con investimenti pubblici e con un aiuto alle imprese e all'economia. È stato citato il 4.0 giustamente da alcuno dell'opposizione, ma gli investimenti pubblici; e mentre incentiviamo la crescita dobbiamo dare la risposta ai problemi sociali: lavoro, disoccupazione e povertà.

Non si può dire che non vengono affrontati. Si può legittimamente criticare questa o quella scelta, ma che non siano nell'agenda del Governo mi sembra francamente una critica che non sta in piedi.

Come lo facciamo, come fare a portare avanti questo incentivo alla crescita affrontando, contemporaneamente, i problemi sociali? Ci siamo presi la responsabilità di farlo senza aumentare l'imposizione fiscale, senza aumentare le tasse. È un tema glissato nel dibattito dell'opposizione e invece va discusso, va messo in evidenza perché altrimenti saremo costretti ad arrivare alla conclusione che alcune delle critiche ci dicono che, poiché bisognerebbe fare dell'altro o di più, allora rispetto a questi strumenti che noi stiamo adottando, cioè nessun intervento sulle tasse, anzi riduzione delle tasse, potrebbe esserci una linea alternativa che è, invece, aumentare l'imposizione fiscale. Bisogna essere chiari tra noi stessi e con i cittadini su questo punto. Gli eventuali limiti scontano anche questa scelta secondo la quale prioritario è non aumentare le tasse ma anzi ridurle e, oltre a questo, una progressiva razionalizzazione della spesa. È dentro questa strategia che si colloca il dibattito sul debito. Infatti, anche su questo, quando parliamo di debito pubblico - l'onorevole Giorgetti si è dilungato su questo punto stamattina – ci eravamo in molti dei presenti nell'autunno-inverno del 2011. A me capitò di fare assieme al collega Brunetta il relatore a quella legge finanziaria: ce la ricordiamo? Abbiamo votato praticamente tutti a sostegno di quella situazione nella difficoltà in cui eravamo. Ma non eravamo contenti di quelle scelte: non eravamo contenti che realizzare un blocco al debito coincidesse con salassi alla situazione sociale. Ebbene, noi intendiamo affrontare la questione del debito, ma intendiamo affrontarla nell'arco della strategia che ho descritto senza salassi sulle classi sociali e sull'economia e sull'impresa ed è in questo punto che si colloca non solo una strategia sul debito che sta dentro il controllo generale della spesa e della riduzione delle tasse, ma anche la dialettica con l'Europa. La dialettica sull'Europa è all'interno giustificata da questo: noi rispettiamo le regole ma continuiamo a dire che l'Europa deve cambiare, che la strategia dell'Europa è una strategia inadeguata ad affrontare questo passaggio stretto della scelta. Ritengo che questa dovrebbe essere una posizione appoggiata da tutto il Parlamento: l'interlocuzione che noi facciamo con l'Europa. Mi sembra, quindi, che ci siano le condizioni per considerare questo Documento di economia e finanza come un elemento di tranquillità nella capacità non solo del Governo ma soprattutto del Paese di affrontare questi passaggi di questa fase storica ed economica e di prospettare delle vie d'uscita che sono quelle sulle quali fondare una ripresa economica ancor più solida e ancor più duratura di quella presente.

Per tali ragioni, signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole sulla risoluzione Rosato, Lupi, Monchiero, Dellai e Pisicchio n. 6-00311, mentre esprime parere contrario sulle altre.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 16,17).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Dichiarazioni di voto – Doc. LVII n. 5)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Locatelli. Ne ha facoltà.

PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, signor Presidente. Signor rappresentante del Governo, il Documento di economia e finanza che ci è stato illustrato si inserisce in un panorama mondiale ed europeo ancora fragile che non è aiutato dalla Brexit né dalle iniziative della Presidenza Trump, mentre per la nostra economia le previsioni di crescita restano tra le più basse tra i 27. Risultano, dunque, comprensibili le difficoltà per l'elaborazione di un DEF che tenga conto delle pressioni esterne ed interne e che, al contempo, tracci un percorso credibile di risanamento dei conti pubblici, di incentivi allo sviluppo e di perequazione sociale.

Ci convince il contrasto alla povertà e la volontà di approvare in tempi rapidi il disegno di legge sulla concorrenza, ridurre il carico fiscale alle persone e alle imprese, procedere sulla strada delle privatizzazioni e rafforzare la quota di risorse destinate all'aiuto pubblico allo sviluppo, un passaggio indispensabile per contrastare ed insieme governare nei luoghi di origine i flussi migratori.

Siamo particolarmente favorevoli all'impegno per rafforzare le politiche attive del lavoro e l'azione di contrasto all'evasione fiscale, una zavorra insopportabile per l'Italia. Proprio su questi due ultimi punti vorremmo un impegno più deciso, ma ci rendiamo conto delle difficoltà del Governo a fronte del susseguirsi di scadenze politiche. Anche per questo ci piacerebbe che, a iniziare dalla stessa maggioranza, vi fosse una maggiore assunzione di responsabilità, ricordando che abbiamo il debito pubblico in valore nominale più alto tra i 27, che si avvicina la fine del quantitative easing e che ogni rinvio di scelte potrebbe innescare una esiziale ventata di sfiducia nelle nostre capacità di ripresa. I socialisti voteranno a favore.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alfreider. Ne ha facoltà.

DANIEL ALFREIDER. Consegniamo il testo.

PRESIDENTE. La ringrazio e ovviamente è autorizzato a consegnare.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.

ROCCO PALESE. Grazie, signor Presidente. Il Documento di economia e finanza, predisposto e adottato dal Governo, non è nient'altro, signor Presidente, che un documento contenente buoni propositi e poco altro. Nelle audizioni, i giudizi espressi sono stati più o meno unanimi in questo senso: c'è chi l'ha definito ‘timido', chi l'ha definito ‘confuso', chi ha rilevato che c'è una mancanza globale e totale di strategia, per poi finire al giudizio autorevolissimo dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che ha detto che è totalmente ‘indefinito'. Lo strumento più importante, che dovrebbe definire le strategie e le situazioni economiche del nostro Paese, dall'organo di controllo più autorevole viene definito come ‘indefinito'.

Il testo del DEF, che oggi è all'esame dell'Aula, ha il solo scopo di far guadagnare tempo all'Italia nei confronti dell'Europa, almeno fino al prossimo autunno. Sarà allora che l'Unione esaminerà con la lente di ingrandimento la situazione contabile del nostro Paese.

Proprio il clima di incertezza che caratterizza l'attuale Esecutivo fa poi apparire con ancora maggior risalto le contraddizioni del documento. Un dato fra tutti: con il disavanzo di bilancio in picchiata dal 2,1 all'1,2 per cento del PIL, per l'anno prossimo si aprirà un buco di 15 miliardi di euro. Il documento delle buone intenzioni e dei sogni, come viene da definirlo, mette nero su bianco il fatto che in questo buco saranno collocati 2 miliardi recuperati, lotta all'evasione, mini sanatorie fiscali che poi vengono vendute, ossia sono dei veri e propri condoni come ravvedimento operoso, adempimento operoso, ristrutturazione dei piani rispetto alle cartelle e quant'altro, mentre i restanti 13 da tagli alla spesa.

E qui veniamo alla situazione più critica che attraversa il nostro Paese. Della spending review, signor Presidente, si parla ormai da anni, abbiamo avuto commissari - Bondi, Cottarelli, Perotti, Gutgeld -, alla fine anche la riforma degli incentivi si è aggiunta, però, rispetto a queste cose, nulla di tutto questo, non si riesce a fare assolutamente nulla. La manovra correttiva viene solamente sancita, nell'attuale situazione, con due pilastri: da un lato, i tagli, che poi nessuno verifica se accadranno o meno, dall'aumento del debito pubblico si desume che poi non accadono o, per lo meno, vengono fatte nuove spese rispetto a quelli precedenti, e dalla cosiddetta evasione fiscale sempre di moda.

La BCE praticamente mette in risalto che non può durare per eterno l'azione, che si sta attuando, dell'acquisizione dei titoli di Stato e questo viene messo in evidenza dalla Corte dei conti, dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio parlamentare di bilancio, dicendo: attenzione, perché lo showdown arriverà nel 2018. Alla fine del 2018, il Paese si troverà davanti ai mercati con questo provvedimento, aggravato peraltro da quale situazione? Dai derivati, dove non c'è nessuna chiarezza all'interno del DEF, se non quella della loro presenza indefinita; dal problema delle banche, che non è per niente risolto da nessun tipo di intenzione, che il Governo ha fatto, di provvedimento, sia rispetto alla situazione delle Banche popolari, sia in riferimento alle BCC, ma anche rispetto alla situazione di MPS, addirittura si dice che occorrono altri 10 miliardi di euro.

Quindi, mancanza di riforme, perché i mercati questo hanno detto e su questo ci valuteranno, debito pubblico in crescita, la crescita debole, instabilità politica: le responsabilità di questo, signor Presidente, sono del Governo e dell'attuale maggioranza. Infatti, la situazione della instabilità politica è dovuta alla situazione della scissione all'interno del PD, tra Governo e maggioranza, ove sostanzialmente c'è una situazione completamente diversa. In più, poi, c'è l'ex Premier, che non si riesce a capire: congresso, quando si vota, votazioni, se è a favore o non è a favore di questo Governo. Però poi ci sono anche delle responsabilità rispetto al fallimento delle riforme: riforma costituzionale, riforma Madia, riforma delle banche popolari, riforma del lavoro, riforma dei voucher, nuovo codice degli appalti.

Il problema vero, poi, riguarda la crescita. Nel DEF non abbiamo nessun elemento per far sì che possa avere credibilità questa azione di crescita. Attenzione: noi, per l'anno 2016, abbiamo avuto uno 0,25 per cento di flessibilità da parte dell'Unione europea sulla situazione della crescita degli investimenti e il Governo, ancora a tutt'oggi, non si è reso conto che non li abbiamo utilizzati e quindi abbiamo dei rischi per questi 2 miliardi di flessibilità per gli investimenti, nel caso non vengano utilizzati; addirittura la crescita per gli investimenti non c'è stata, ma gli investimenti sono diminuiti in quest'anno e si è determinata una situazione veramente di difficoltà, dovuta anche al nuovo codice degli appalti che, invece di agevolare - con tutte le modifiche che sono state apportate e le polemiche che ci sono state - causa dei ritardi.

Abbiamo il problema dei fondi strutturali del Mezzogiorno. Anche qui, noi riteniamo che non ci sia un'azione complessiva strategica del Governo nei confronti dell'utilizzo delle risorse come competenza e cassa, che sono le uniche all'interno del nostro bilancio se non attraverso, forse, un DPCM che ci viene annunciato, che è stato varato nel Consiglio dei ministri dell'11 aprile, che nessuno ancora conosce e quindi la situazione rimane in sospeso. Per non parlare, poi, del decreto omnibus, che di nuovo ci è stato presentato in questa maniera. Quindi, io ritengo che la instabilità politica determinata dalla maggioranza rispetto alla situazione che si determinerà nei mercati sia nient'altro più che un'aggravante.

Noi abbiamo avanzato anche una proposta in seguito a una vera revisione e riduzione della spesa pubblica. Si prendesse il piano Cottarelli e lo si approvasse, perché quello è un provvedimento a difesa della gente, a difesa delle tasche dei cittadini ed è un provvedimento che comporterebbe veramente una azione seria di riforme, ma soprattutto la possibilità di ridurre le tasse. Le privatizzazioni vanno fatte, non vanno solo enunciate! La rinegoziazione dei trattati europei va effettuata, insieme alla realizzazione del fiscal compact. In questa maniera noi potremmo avere la riduzione delle tasse, potremmo far tornare il Paese credibile e potremmo farlo tornare a crescere, perché di questo si tratta. Fintanto, invece, che abbiamo le linee strategiche delineate dal DEF, purtroppo la situazione peggiorerà amaramente per l'Italia e per tutti gli italiani.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il presidente Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie, signor Presidente. Questa discussione ha luogo poco dopo le elezioni francesi, che hanno segnalato un cambiamento fondamentale all'interno dell'Unione europea. Sommando le elezioni francesi con quelle olandesi precedenti e con il risultato delle elezioni in Saar, noi vediamo che l'ondata populista ha raggiunto un picco...

PRESIDENTE. Presidente Buttiglione, la posso interrompere un instante? Se lei tiene la mano sul microfono si sente molto peggio. Così si sente meglio.

ROCCO BUTTIGLIONE. La ringrazio. L'ondata populista ha raggiunto un punto di massima e ha cominciato a decrescere. Probabilmente, l'ondata populista comincia a decrescere perché l'economia comincia a riprendersi. Ormai, l'Europa è in fase di ripresa. Anche l'Italia è in fase di ripresa e questo documento segnala la ripresa italiana. È una ripresa debole? È una ripresa debole. È una ripresa più debole di quella degli altri Paesi europei, certo che lo è, e questo è il nostro problema, perché tutti noi dobbiamo sapere che il principale avversario della ripresa economica è il debito. Nel lungo periodo, l'ostacolo alla crescita italiana è il debito; nel breve periodo no: nel breve periodo, se si spende di più, c'è l'illusione di poter accelerare la crescita, salvo poi dovere fare improvvise frenate o finire sul burrone. E in tutta Europa si vanno ridefinendo gli schieramenti politici: da un lato, quelli che stanno con l'Europa, dall'altro, quelli che sono contro l'Europa. Quelli che stanno con l'Europa sanno che, nel lungo periodo, il debito è il macigno che non ci permette di crescere; quelli che sono contro l'Europa sono contro l'Europa perché sperano di avere la possibilità di fare una politica del deficit ad ogni costo, una politica dello “spandi e spendi” senza aumentare le tasse o, magari, anche aumentando le tasse. Ci sono due versioni di populismo: quella di destra, spandi e spendi senza aumentare le tasse, quella di sinistra, magari, anche aumentando le tasse. Queste politiche sono rovinose: fanno precipitare l'Europa, l'Italia, i Paesi che le adottano in una situazione di sottosviluppo.

Noi diamo una valutazione complessivamente positiva del DEF del Governo, conoscendo i suoi limiti. Siamo riusciti a raggiungere una situazione di equilibrio: il debito non cresce più, abbiamo dei dubbi che abbia cominciato davvero a diminuire. Avremmo voluto scelte più incisive: siamo consapevoli delle difficoltà nelle quali il Governo si trova e, quindi, complessivamente, diamo un giudizio favorevole sul Documento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI. Grazie, Presidente. Il nostro giudizio sul DEF è un giudizio negativo - ed era prevedibile che così fosse -, nella misura in cui tutte le criticità che sono presenti innanzi a noi, che si trascinano ormai da tempo e, quindi, che non possiamo più definire emergenze rimangono lì piantate sull'orizzonte. Ci sono delle previsioni sul prodotto interno lordo che, nonostante siano date al rialzo, comunque, permangono e stagnano all'1,1 per cento; si abbasseranno nel 2018 o nel 2019. Siamo, comunque, in presenza di una capacità di crescita che è decisamente al di sotto della media degli altri Paesi europei, proprio perché i nodi nevralgici non vengono affrontati. Abbiamo il nostro sistema produttivo che è letteralmente inchiodato: le nostre aziende, quando possono, quando la dimensione glielo consente, invece di trovarsi a fianco lo Stato nella loro possibilità di internazionalizzare i prodotti, vengono, talvolta, persino sospinte a delocalizzarsi.

In buona sostanza, i fattori critici sono tutti lì, che ci ammoniscono a fare presto le riforme necessarie, ma sappiamo perfettamente che tutte le riforme, fin qui - prima con Renzi e adesso con Gentiloni, che non ha in questo caso nessuna responsabilità particolare, le ha avute in quanto Ministro del Governo Renzi -, sono fallite: sia quelle, come nel caso della riforma costituzionale, che sono state bocciate dai cittadini nel referendum del 4 dicembre, sia quelle che sono state varate.

Ci troviamo di fronte, in talune circostanze, persino ad un processo di autocritica tardiva da parte del Partito Democratico: mi riferisco, per esempio, alla riforma della scuola, di cui si sente parlar male, a vanvera spesso, nei talk show televisivi da illustri esponenti del Partito Democratico, a cominciare dallo stesso Renzi che, nel corso del dibattito parlamentare, non ha inteso recuperare alcuna delle proposte, non dico di Fratelli d'Italia e dell'opposizione, ma, almeno, di quelle provenienti dai corpi intermedi, dai sindacati, dai comitati, dalle istituzioni scolastiche.

Sul Jobs Act è tutto ormai deciso e dichiarato: del resto, se non si è stati capaci nemmeno di regolamentare l'uso dei voucher - questione che avrebbe potuto meritare un mero provvedimento amministrativo - significa che quella specie di riforma del lavoro ha mostrato in tutto e per tutto le proprie incongruenze.

Troviamo nel DEF, paradossalmente, persino dei risparmi sulla sicurezza: quindi abbiamo, di fatto, una situazione nazionale, rispetto ai livelli di sicurezza, quasi al collasso; abbiamo dei flussi migratori incontrollati, che sono oggetto quotidiano di confronto e di dibattito tra maggioranza e opposizione; abbiamo l'Europa che ci fa le procedure di infrazione e trova le nostre istituzioni repubblicane completamente incapaci di reagire. Quindi, l'Europa, da un lato, non ci aiuta a bloccare i flussi immigratori mostruosi di cui siamo oggetto almeno da quattro anni a questa parte e, dall'altro, ci dice che dobbiamo intervenire immediatamente sulle carceri, altrimenti, ci fa la procedura di infrazione, dimenticando che le nostre carceri sono abitate per quasi il 50 per cento da cittadini stranieri. Quindi, non fosse altro che per questa ragione elementare, la richiesta di procedura di infrazione andrebbe energicamente riconsegnata a Juncker.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 16,35)

FABIO RAMPELLI. Tuttavia, ci sono 240 milioni annui fino al 2021 di risparmi sui presìdi territoriali di pubblica sicurezza, che, se non ho capito male e se non so tradurre male, significa commissariati di polizia e caserme dei carabinieri che verranno chiuse.

Ci sono risparmi sul soccorso pubblico, il che significa - sempre che chi parla non abbia capito male - chiusura di presìdi ospedalieri; così come si va nella stessa identica direzione per quello che riguarda gli edifici penitenziari. Tutte economie di scala che sono presenti in questo Documento a dimostrazione della totale insensibilità del Governo rispetto ai temi della sicurezza.

C'è il caravanserraglio delle privatizzazioni, di cui persino il Servizio studi della Camera dei deputati ha lamentato la vaghezza, perché il DEF non specifica quali siano le aziende che verranno privatizzate e, quindi, anche la percentuale sul prodotto interno lordo non può che essere totalmente ipotetica. Sappiamo che si andrà verso questa direzione, ma perché lo abbiamo rintracciato dai boatos giornalistici su ENAV, ENEL, ENI, Cassa depositi e prestiti, Leonardo, Poste italiane; poi, ci sono anche le società non quotate.

Quindi, diciamo che c'è una sorta di tentativo di dismissione che non è, come al solito, gestito: basti guardare quello che sta accadendo su Alitalia, di cui questo Governo, comunque, porta, negli ultimi due anni, totalmente la responsabilità, perché quando si è favorito l'accordo industriale con la compagnia Etihad, si è poi lasciata in stato d'abbandono e, quindi, tutto l'asse industriale ha subìto conseguenze negative. Penso che altra responsabilità incredibile intestata al Governo sia relativa all'assenza di regolamentazione rispetto all'accesso delle compagnie low cost, che vengono in Italia, fanno ciò che vogliono - fanno, per carità, i loro interessi, ci mancherebbe altro -, ma lo fanno, appunto, in assenza di regole che prevedano almeno la possibilità di una diversificazione del mercato del trasporto.

Arriviamo, infine, al solido nodo cruciale dell'immigrazione, perché, se la memoria non mi tradisce, è qui che si comincia a parlare di 4 miliardi e 600 milioni di euro destinati al circuito dell'accoglienza per gli immigrati clandestini, a cui dobbiamo aggiungere - come abbiamo più volte detto ed è stato documentato che esattamente questa sia la cifra - che si giunge a circa 10 miliardi l'anno di spesa se introduciamo i costi dei tribunali, dei processi, i costi delle commissioni, i costi dell'edilizia penitenziaria e del servizio penitenziario, cioè la polizia penitenziaria, i costi della pubblica sicurezza, i costi della sanità. Tutto ciò a fronte - sempre stando alle cifre riportate in questo Documento di economia e finanza - della bellezza di 600 milioni di euro, che vengono destinati alle popolazioni terremotate, a tutte le zone del cratere colpite, dal 24 agosto del 2016, da un evento sismico dilaniante, distruttivo, che modifica non solo l'assetto morfologico della nostra nazione e del centro Italia in particolare, ma che è destinato a modificare anche le caratteristiche economiche, culturali, persino identitarie, stando la distrazione congenita e i ritardi assurdi a cui questo Governo ci ha abituato.

Ma c'è di più, perché da un lato ci si fregia, lo si fa, ci mancherebbe altro, nelle conferenze stampa, nelle occasioni televisive, quando bisogna fare cassetta, quando bisogna tentare di turlupinare il popolo e acquisire consensi, si agita una presunta attenzione verso i ceti sociali meno abbienti, salvo dimenticare le indagini dell'Istat, che ci hanno appena comunicato, poche settimane fa, che il numero dei poveri in Italia è salito a 7.200.000.

A questi nuovi poveri, anzi ai poveri di prima, più i nuovi, ahimè, sono destinati la bellezza di un miliardo e 200 milioni, quindi faccio questo rapido calcolo (mi rendo conto di non risultare particolarmente simpatico alla maggioranza e al Governo, ma va fatto): noi abbiamo praticamente 7 milioni e 200.000 poveri, 10 milioni circa di terremotati, per un totale di 17.200.000 cittadini italiani che vivono in condizioni miserrime, a cui conferiamo per il 2017 circa un miliardo e 800 milioni, stando sempre a questo documento che ci sottoponete all'approvazione, mentre appunto i costi previsti per il circuito dell'accoglienza ammontano a 4 miliardi e 600 milioni dichiarati, ma a 10 miliardi reali, considerate le voci note e più volte citate, ma che purtroppo non compaiono in questo documento.

È una politica inaccettabile, tutti i fattori critici rimangono esattamente dove li abbiamo lasciati un anno fa, mentre l'Italia si va impoverendo e non riesce, diversamente da altre nazioni, anche del vecchio continente europeo, a riagganciare la ripresa.

Per queste ragioni, noi voteremo contro la risoluzione della maggioranza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signora Presidente, il voto del gruppo Democrazia solidale-Centro democratico sul DEF 2017 è favorevole, ma è punteggiato qua e là di interrogativi, che vengono inevitabilmente posti dal percorso del Governo e dal condizionamento subito dallo stesso, rispetto al ciclo politico che stiamo attraversando.

Vorrei ricordare che le polemiche sottese sulla durata della legislatura e sul ruolo dei Ministri tecnici non hanno certo aiutato in queste settimane, ci sono parsi dei fuor d'opera o una modalità per alimentare la sfiducia nei confronti del nostro Paese. Da qui, quello che ci ha ricordato prima il collega a proposito del giudizio della società di rating.

La politica di bilancio di questi anni ha percorso un sentiero assai stretto - ce lo ha ricordato il Ministro Padoan - tra la necessità di non strangolare la ripresa e l'obiettivo di migliorare la fiducia dei mercati, attraverso la messa in sicurezza dei conti pubblici. Ora siamo di fronte ad una congiuntura che appare più favorevole e per questo il sentiero sembra più largo. Non credo però sia il caso di farsi illusioni.

Ci sono punti interrogativi all'orizzonte, sia di natura geopolitica, per le tensioni in diverse aree del mondo, sia per le incertezze sulla politica di bilancio degli Stati Uniti, anche con riguardo a tentazioni protezionistiche, che possono determinare effetti destabilizzanti. Lo stesso vale per gli effetti della riduzione annunciata del quantitative easing della BCE, meritoriamente sostenuto dal Presidente Draghi.

Giuste le attenzioni rinnovate dal Governo alla riduzione del peso del debito sul prodotto interno lordo, così come è importante ridurre in maniera incisiva il disavanzo, ma il quadro delle decisioni preconizzate nel DEF appare incerto. Il Governo afferma l'intenzione di evitare l'attuazione delle clausole di salvaguardia con interventi definiti alternativi, che vanno dal contrasto all'evasione fiscale alla razionalizzazione della spesa.

Ma siamo sicuri che gli obiettivi si possono davvero raggiungere? Sono condivisibili, ma la possibilità di intercettare risorse così decisive è tutt'altro che certa.

La lotta all'evasione fiscale, ad esempio, avrebbe bisogno di una più estesa introduzione del principio del contrasto di interessi tra contribuenti e la razionalizzazione della spesa richiederebbe un percorso più continuativo e meno altalenante rispetto alla strada intrapresa in questi anni. Aver escluso una riconsiderazione dell'ampio ventaglio delle aliquote IVA è apparso rispondere ad un'esigenza più politica che reale, come se, essendo all'interno di un ciclo politico, non ci sia consentito di fare nient'altro che di proseguire su questa strada, senza verificarne la praticabilità, così come si dovrà comunque razionalizzare e contenere le 444 diverse forme di detrazione e deduzione fiscale.

Ma noi dobbiamo confermare che il nostro Governo ha abbassato la pressione fiscale; e ci preoccupa come vengono presentate talune posizioni rispetto all'Europa, quasi un antipasto delle polemiche politiche istituzionali che accompagneranno la prossima legge di bilancio.

Noi crediamo sempre - e non a giorni alterni - che l'Europa (e anche l'euro) non hanno alternative.

Dalla Francia viene una speranza senza ambiguità sull'Europa, da noi ci sono troppe furbizie.

Richiedere sconti sulle politiche di bilancio è un'arma a doppio taglio e poi l'abbiamo utilizzata in larga misura. La flessibilità va usata con molta prudenza e responsabilità, perché alla fine noi italiani saremo giudicati dai mercati, quindi non dall'Europa, dai mercati, dovendo rifinanziare il nostro debito senza gravare il futuro di ulteriori oneri.

Così in materia di privatizzazioni e di riforme ci sono incertezze. I programmi di privatizzazione possono essere rivisti, se c'è una coerente azione del Governo a realizzarli: si possono rivedere, si possono aggiustare, non se si pensa di congelarli, perché se si pensa di congelarli e di non fare nulla, è chiaro che questo apre un punto interrogativo su cui saremo giudicati dai mercati. Non è un problema di polemiche politiche tra di noi.

E le riforme non vanno date per scontate e tutte già fatte: sono state impostate, questo sì, e rivendichiamo al Governo il merito di averle impostate, ma molte di loro sono solo all'inizio e non possiamo dare per acquisite la loro piena realizzazione e gli effetti sull'economia del Paese.

Completare le riforme è un percorso obbligato.

In particolare, vorrei qui ricordare il tema dell'efficienza del settore pubblico e la qualità dei servizi pubblici erogati e questo potrebbe e può avvenire anche attraverso la liberalizzazione dei servizi privati, ma ho visto che anche sul tema delle liberalizzazioni c'è stato qualche elemento di confusione, mentre invece io penso che su questo tema bisognerebbe procedere con una certa celerità.

Un miglioramento in questo campo avrebbe effetti importanti sul funzionamento dell'economia e in particolare sulla dinamica della produttività.

Tutto questo avrebbe una ricaduta molto positiva sulla vita dei cittadini, perché se i servizi pubblici che noi forniamo sono efficienti e sono tali da non incidere sulle tasche dei cittadini oltre il necessario, oltre il dovuto, credo che ne deriverebbe un sollievo.

Con queste precisazioni - ed ho concluso - c'è un nostro voto favorevole, nella speranza che si riesca davvero a cambiare verso alla crisi del Paese e nella consapevolezza che l'azione coerente del Governo conta molto di più della sua capacità di comunicare (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio deputato Tabacci, adesso un saluto a una scuola media che è qui presente in aula, la scuola Barnaba Bosco di Ostuni, in provincia di Brindisi: ben arrivati ragazzi e ragazze (Applausi).

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Zanetti. Ne ha facoltà.

ENRICO ZANETTI. Grazie Presidente. Il gruppo parlamentare composto da Scelta Civica e da ALA non può votare a favore di questo Documento economico finanziario, per il semplice fatto che questo documento affronta in modo chiaro e condivisibile il recente passato, ma non prende alcuna posizione chiara - quale dovrebbe, viceversa, essere il suo principale compito -sull'immediato futuro.

L'analisi del passato la condividiamo, nella misura in cui evidenzia correttamente - a dispetto di molto dibattito fuorviante che vi è fuori e dentro quest'Aula - come la graduale riduzione della pressione fiscale, la graduale riduzione del deficit, la graduale riduzione della disoccupazione, anno su anno, in questi ultimi anni vi è stata. Naturalmente vi è stata, non con l'intensità sperata, ma altrettanto evidentemente con una direzione di marcia assolutamente chiara, rispetto a chi vuole addirittura raccontare che, dopo le tante vicissitudini degli anni trascorsi, ancora adesso l'Italia stia andando indietro, invece di avere finalmente iniziato ad andare avanti.

Il tema, però, è sull'immediato futuro. Ed è su questo che, d'altro canto, deve valutarsi un DEF. Qui vi è un'impossibilità oggettiva di esprimere un giudizio, di fronte a un documento economico finanziario che tiene insieme due cose oggettivamente incompatibili tra loro. Da un lato, vi è un obiettivo programmatico di deficit sull'anno prossimo all'1,2 per cento, quindi con una riduzione, rispetto a quest'anno, dal 2,1, dello 0,9 per cento di riduzione anno su anno, 15 miliardi. E, dall'altro, però, vi è l'impegno a non aumentare l'IVA l'anno prossimo - così come, impegno sempre confermato, non è stata aumentata negli anni scorsi – e, quindi, a ottenere quella riduzione di 0,9 punti percentuali di PIL del deficit, con misure alternative sulla spesa o con misure alternative sulle entrate, però anche qui richiamando solo la lotta all'evasione, per scongiurare in partenza aumenti sostitutivi rispetto all'IVA di pressione fiscale.

Queste due cose insieme non sono evidentemente possibili: 15 miliardi di riduzione di spesa, anno su anno, di rientri dalla lotta all'evasione, anno su anno, ai quali vanno poi aggiunti alcuni altri miliardi necessari per finanziare alcune politiche indifferibili, costituiscono un ammontare assolutamente non realizzabile. Delle due l'una: o si tiene l'obiettivo programmatico all'1,2 e, allora, si dice che aumenterà, in parte perlomeno, l'IVA - strada sulla quale, in quel caso, semplicemente non voteremmo a favore, ma voteremmo contro con convinzione - oppure si fissa un obiettivo programmatico che sia coerente con le legittime e, a nostro avviso, condivisibili scelte, volte a scongiurare aumenti della pressione fiscale nel nostro Paese.

Sotto l'1,8 per cento di deficit, come obiettivo programmatico sull'anno prossimo, l'aumento almeno parziale dell'IVA non è un'opinione: è matematica. È evidente, quindi, che la scelta di questo DEF è di rinviare tutte le scelte vere a settembre, a ottobre, quando dovranno essere tradotte in manovra, quando ci sarà una Nota di aggiornamento, che, invero, quest'anno, più che Nota di aggiornamento, andrà a costituire il DEF vero e proprio.

In tutto questo, ci sono poi anche alcuni elementi che riteniamo debbano essere portati all'attenzione generale con forza. Un aspetto positivo di questo DEF è che, essendoci la clausola di flessibilità legata alle spese per i flussi migratori, viene analiticamente riportata la dinamica di questa spesa negli ultimi anni. È una dinamica che, in tutta la sua evidenza, dimostra la sua insostenibilità. Dal 2011 al 2017 si è passati da un aggregato di 800 milioni ad un aggregato di oltre 4 miliardi. È evidente che, nella misura in cui non ci sono le condizioni politiche per fare in modo a livello internazionale che le persone non salpino dalle coste libiche, una volta che le persone sono in mare, vanno salvate.

Questo deve essere chiaro, rispetto a chi strumentalizza questo tema, senza tenere conto degli effetti e delle conseguenze che quelle strumentalizzazioni dovrebbero poi portare.

È altrettanto vero, però, che questa dinamica economica dimostra come l'Italia non possa più in alcun modo accettare di essere lasciata sola su questo fronte da un'Unione europea alla quale ha sempre dato il proprio contributo pieno, in termini di gestione del bilancio europeo.

Il Regno Unito, che se ne è pure andato, ha avuto per circa trent'anni il cosiddetto “sconto inglese” sui contributi, ottenuto per crisi assai meno significative, rilevanti e, ahimè, con ogni probabilità, durature di quella che sta affrontando il nostro Paese.

È chiaro che questo tema deve essere posto con forza. Il tema non è smettere di salvare le persone in mare, il tema è fare in modo che non partano. Fino a quando le condizioni internazionali non consentono di ottenere questo fondamentale risultato, è giusto che l'Italia, da grande Paese, svolga fino in fondo il proprio ruolo, ma è altrettanto evidente che questo aspetto va portato in sede europea, dove c'è un bilancio dell'Unione europea che non può non tenere conto di questa dinamica e dove addirittura ci sono occasionalmente Paesi che da quel bilancio hanno grandi vantaggi - perché, a differenza dell'Italia, sono beneficiari anziché contributori - e sono poi i primi a non volere dare alcun tipo di contribuzione di solidarietà sul fronte della gestione dei flussi migratori.

Non si tratta di fare un discorso antieuropeo - siamo gli ultimi a pensare che questo vada fatto -, ma proprio un discorso di coinvolgimento pieno dell'Europa su tavoli che non possono più essere a compartimenti stagni, ma devono essere affrontati tutti insieme: l'aspetto migratorio in termini anche di bilancio e, conseguentemente, i temi del bilancio europeo, la revisione delle regole del Fiscal compact e la discussione sulle metodologie di calcolo della capacità di crescita potenziale, che sappiamo essere stata posta con forza in questi ultimi anni dal nostro Paese, ma non avere ancora portato un risultato concreto.

È il motivo per cui, tra l'altro, nelle more di questa discussione a 360 gradi, tra questioni tra loro tutte strettamente correlate, scegliere di aderire subito alla richiesta di una correzione dei conti, nelle more - ripeto - di una correzione più ampia delle regole, è stata una scelta di debolezza, che probabilmente il Governo non ha potuto evitare, in un contesto, ahimè, di debolezza politica del nostro Paese, determinatosi dopo le scelte del 4 dicembre. È giusto che i cittadini abbiano scelto, ma, come è inevitabile e si era detto che debolezza politica si sarebbe determinata, per quanto inevitabile probabilmente sul piano politico, è stato però un ulteriore passaggio sbagliato, rispetto a una discussione che deve essere coerente su tutti questi fronti, rispetto a un DEF che, come dicevamo prima, nella sostanza, quest'anno vedremo, non nella sua forma di Nota di aggiornamento, ma nella sua forma integrale prodotto dopo l'estate. E sarà dopo l'estate che si farà la discussione più vera, rispetto a quella che stiamo facendo ora.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Librandi. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO LIBRANDI. Signora Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, il Documento di economia e finanza, oggi all'esame dell'Aula, riflette l'immagine di un Paese che ha molto sofferto, ma che finalmente comincia a registrare concreti segnali di ripresa.

Ma veniamo ai contenuti propri del DEF, relativamente ai quali mi limiterò a fare una panoramica generale.

Si confermano, nell'anno appena terminato, solidi segnali di miglioramento della congiuntura internazionale, con l'economia mondiale che registra un aumento del 3 per cento, nonostante i rischi al ribasso rappresentati dalle tensioni geopolitiche, dalle misure protezionistiche annunciate dall'amministrazione Trump e dagli incerti esiti della Brexit.

Anche per i prossimi anni le prospettive mondiali sono orientate verso il consolidamento della ripresa.

PRESIDENTE. Scusate, colleghi, potete abbassare un po' il tono della voce? Grazie.

GIANFRANCO LIBRANDI. Anche nell'area euro i segnali sono positivi, con una crescita del PIL per il 2016 dell'1,7 per cento, marginalmente superiore al dato registrato nel 2015. La tendenza è confermata per il nostro Paese. Il PIL è cresciuto dello 0,9 per cento per il terzo anno consecutivo: registriamo un dato positivo e in miglioramento rispetto al + 0,8 del 2015 dal + 0,1 del 2014. E questo non è un dato di poco conto, se ricordiamo che nel 2013 il PIL diminuiva dell'1,7 per cento e nel 2012 del 2,8 per cento.

Anche altri indicatori economici mostrano tangibili segni di miglioramento: il reddito disponibile delle famiglie si incrementa dell'1,6 per cento, riflettendosi sia in un aumento dei consumi dell'1,3 per cento che nella propensione al risparmio; ripartono gli investimenti, che fanno segnare un + 2,9 per cento, dato decisamente superiore alle attese, e, per la prima volta dopo dieci anni, anche il settore delle costruzioni riprende a crescere; si consolida lo sviluppo delle esportazioni; aumenta l'ammontare dei prestiti alle famiglie.

Segnali positivi anche dal mercato del lavoro: l'occupazione cresce per il terzo anno consecutivo, raggiungendo il 57,2 per cento; il tasso di disoccupazione scende all'11,7 per cento. Il debito pubblico si è stabilizzato su valori inferiori al 133 per cento del PIL, invertendo la tendenza del periodo 2008-2014, che vedeva una crescita annua media di quasi 5 punti percentuali. Una serie di indicazioni ci confermano, quindi, che l'economia italiana sta continuando a muoversi sul sentiero della ripresa.

La necessità è perciò quella di continuare a camminare sulla linea tracciata negli ultimi anni. Il Programma nazionale per le riforme, enunciato nella terza sezione del DEF, definisce gli interventi da adottare per raggiungere obiettivi di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delle finanze pubbliche.

In questo ambito ci sono alcuni temi che voglio particolarmente sottolineare. Il primo riguarda le politiche fiscali: nel 2016 la pressione fiscale si è ridotta dal 43,3 per cento al 42,9, che diventerebbe addirittura il 42,3 se si considerassero gli effetti del cosiddetto bonus di 80 euro. Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi avanti sul fronte della riduzione della tassazione: l'esclusione dalla base imponibile IRAP del costo del lavoro per i dipendenti a tempo indeterminato nel 2015, l'eliminazione della TASI sulla prima casa nel 2016, la riduzione dell'aliquota IRES nel 2017, solo per citare i provvedimenti più importanti.

È necessario procedere in questa direzione, attaccando le aliquote IRPEF e soprattutto riducendo il cuneo fiscale per abbassare il costo del lavoro e aumentare il reddito disponibile dei cittadini. Ma, per poter raggiungere questo risultato, è necessario che si realizzi un obiettivo fondamentale: il disinnesco delle clausole di salvaguardia delle imposte indirette. Civici e Innovatori non accetteranno nemmeno un euro di tasse in aumento. Il riordino delle oltre seicento deduzioni e agevolazioni, per esempio, obiettivo sacrosanto per il quale non mancherà il nostro sostegno, dovrà essere finalizzato a ridurre le aliquote fiscali generali e non a sostituire le vere razionalizzazioni di spesa improduttiva, quelle che servono per eliminare le clausole di salvaguardia.

Il secondo punto che ritengo prioritario è quello della lotta alle povertà. Oggi, nel nostro Paese, 4.600.000 persone, il 6,1 per cento delle famiglie, vivono sotto la soglia di povertà assoluta.

Questo Parlamento sta facendo tantissimo: l'approvazione della legge delega per il contrasto alla povertà, così come la firma, insieme ad Alleanza contro la povertà, di un memorandum per la sua attuazione, sono risultati di grande importanza per un Paese che, per la prima volta, si è dotato di uno strumento strutturale per il contrasto al disagio.

La nascita del reddito di inclusione è da accogliere con soddisfazione, anche se, con le risorse oggi disponibili, si potranno sostenere solo circa 400.000 famiglie, 1,8 milioni di cittadini. Il processo di progressione graduale verso la trasformazione del reddito di inclusione in una misura che possa soddisfare i tanti bisogni presenti nella nostra società dovrà essere affrettato e finanziato, perché i poveri non possono più aspettare.

Proprio per questo motivo ritengo necessario creare anche nuovi strumenti che possano favorire il contrasto alla povertà e la diffusione dal basso della cultura della solidarietà, attraverso, per esempio, la condivisione degli utili aziendali, che permettano anche al mondo delle imprese, così come ai singoli cittadini, di partecipare e dare loro il contributo alla lotta alla povertà e alla crescita della responsabilità sociale.

È proprio in quest'ottica che presenteremo un progetto di legge per l'istituzione del reddito di condivisione, un meccanismo volontario di sostegno del reddito dei meno abbienti, sulla base del quale chi ha di più, perché è stato più bravo, magari solo più fortunato, può dare una mano, incentivato da un parziale recupero fiscale, a chi fa fatica ad arrivare a fine mese, riscoprendo il valore della coesione e della solidarietà e non aumentando il debito pubblico.

Un terzo tema che voglio citare è quello dell'immigrazione, oggi difficilmente gestibile con regole poco adatte ad affrontare un fenomeno ormai epocale. Sarà necessario definire, insieme alle autorità europee, una nuova strategia per la gestione dei migranti, prevedendo tempi molto brevi, trenta o sessanta giorni al massimo, per l'eventuale concessione della protezione internazionale o il rimpatrio, ma creando anche una sorta di temporaneo status di transito per il migrante che voglia impegnarsi nella ricerca di un lavoro che dia a lui la possibilità di muoversi nel territorio dell'Unione europea.

Per concludere, dopo anni di pesanti sacrifici, necessari per affrontare una crisi che sembra non finire mai, il nostro Paese comincia a raccogliere qualche frutto, trovandosi oggi sostanzialmente con i conti strutturalmente in ordine e con un'economia che presenta tangibili segnali di ripresa.

Continuiamo su questa strada e investiamo sui nostri imprenditori, sugli artigiani, sui commercianti, sui professionisti, su tutti quelli - e sono molti - che continuano a credere in questo Paese. Mettiamoli nella condizione di contribuire orgogliosamente a vincere insieme la sfida di far crescere l'Italia e di garantire maggiore benessere ai suoi cittadini. Non ascoltiamo i tanti profeti di sventura che quotidianamente denigrano e offendono il nostro Paese. L'Italia è sempre stata un grande Paese e continuerà ad esserlo. Civici ed Innovatori voteranno a favore della risoluzione di maggioranza ed esprimeranno voto contrario sulle altre (Applausi dei deputati del gruppo Civici e Innovatori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Stefano Fassina. Ne ha facoltà.

STEFANO FASSINA. Presidente, il DEF 2018-2020, come quelli che lo hanno preceduto, continua a portare avanti una narrazione surreale, sganciata dai dati di realtà. Si continua a ripetere che siamo sulla strada giusta, che abbiamo fatto le riforme giuste, che stanno producendo effetti, che siamo un po' ritardo rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea e dell'Eurozona, ma che comunque usciamo dalla fase più complicata.

Sarebbe ovviamente molto condivisibile l'analisi, se fosse vera; purtroppo, la narrazione si rivela infondata e il Governo se ne accorge ogni qual volta i cittadini sono chiamati ad un voto.

È successo così il 4 dicembre, è successo nei giorni scorsi a proposito del cosiddetto piano di salvataggio di Alitalia. Sarebbe ora che il Documento di economia e finanza cominciasse a fare un'operazione di verità, innanzitutto sul quadro nel quale si colloca la politica economica del nostro Paese, quindi il quadro dell'Unione europea e il quadro dell'Eurozona.

Purtroppo, il quadro non è come vorremmo che fosse: l'Unione europea e l'Eurozona sono su una rotta insostenibile, in quanto si continua ad insistere nel voler generalizzare una rotta mercantilista, cioè fondata sulle esportazioni, che non può, per definizione, per ragioni algebriche prima che economiche, essere generalizzata. L'estensione a livello continentale del modello tedesco non può funzionare, ci vuole qualcuno che importi.

In questi anni, gli Stati Uniti, per un lungo periodo, hanno fatto il consumatore di ultima istanza. Ma è evidente che non è più così e allora bisognerebbe iniziare a dire che va cambiata radicalmente rotta, che l'Unione europea e l'Eurozona devono puntare sulla domanda interna, devono sostenere i redditi dei lavoratori, devono consentire anche alle imprese e alle piccole imprese che vivono di domanda interna di avere una prospettiva. Anche un'economia nella quale le esportazioni sono rilevanti, come l'Italia, non può fondarsi soltanto sulle esportazioni.

Purtroppo, l'operazione verità non si fa: il Ministro dell'economia se la prende con l'agenzia di rating che mette in evidenza l'insostenibilità del nostro debito nel quadro delle politiche economiche vigenti e, purtroppo, la fuoriuscita mensile di capitali dall'Italia - solo nel mese scorso 33 miliardi - evidenza che un problema c'è; e, per l'operazione verità - vorrei dirlo ai colleghi che hanno sottolineato il dato della ripresa e a quelli che lo faranno certamente dopo di me, affermando che la ripresa è cominciata nel 2014 grazie alle miracolose politiche del Governo Renzi -, vi segnalo che la ripresa è comincia nel 2014 in tutta l'Eurozona e che i tassi italiani di crescita sono stati, nei tre anni che abbiamo alle spalle, la metà della media dell'Eurozona.

Le variabili più rilevanti sono state variabili esogene alla politica economica del Governo. Questo non vuol dire che tutti gli interventi sono stati sbagliati, ma che i driver della crescita sono esogeni e che il Governo ha beneficiato di una politica monetaria che ha tenuto basso l'euro e ha consentito agli Stati Uniti di continuare a fare, durante la Presidenza Obama, il consumatore di ultima istanza.

Ma ci sarebbero altri punti sui quali fare l'operazione verità.

Vengo ora invece alle questioni più specifiche, ai numeri. Puntare ad un obiettivo di indebitamento netto dell'1,2 per cento nel 2018 è assolutamente irrealistico e spero che questo sia un DEF di intrattenimento, che ci serva a superare le primarie del Partito Democratico, che serva a far verificare a Matteo Renzi se si può andare alle elezioni prima della legge di bilancio, perché è evidente che l'obiettivo è irrealistico.

L'1 per cento di crescita non si avrà con una manovra che, per raggiungere quell'obiettivo, deve avere la dimensione di 20 miliardi per disinnescare le clausole di salvaguardia, solo in parte disinnescate dal decreto-legge che è stato approvato nei giorni scorsi, e a finanziare quelle spese di natura obbligatoria, benché non previste a legislazione vigente, servono almeno 20 miliardi.

Il DEF da questo punto di vista compie una scorrettezza istituzionale, a mio avviso molto, grave perché non c'è una parola: il Documento di programmazione economico-finanziaria deve indicare anche le linee delle politiche che intende perseguire il Governo. Non c'è una parola sulle fonti di questi 20 miliardi di risorse necessarie ad avvicinare l'obiettivo dell'1,2 per cento.

Se la manovra fosse di quelle dimensioni, l'1 per cento di crescita non ci sarebbe e quella spirale di austerità autolesionistica continuerebbe e il debito pubblico non si stabilizzerebbe, ma continuerebbe ad aumentare.

Dunque, serve una radicale correzione di rotta. Noi lo diciamo chiaramente: va sospesa l'applicazione del Fiscal compact. Ripeto: va sospesa l'applicazione del Fiscal compact. I mercati guardano alla sostanza. Le regole del Fiscal compact sono regole che aggravano la sostenibilità del debito pubblico. In questi anni in tutta l'Eurozona sono aumentati i debiti pubblici.

Va sospeso il Fiscal compact per fare due operazioni, anzi tre operazioni semplici: la prima ovviamente, cancellare le clausole di salvaguardia; la seconda, finanziare un piano triennale di spesa di carattere temporaneo, e non strutturale, e di investimenti pubblici definiti in un rapporto stretto con gli enti territoriali, per mettere in sicurezza il territorio, per mettere in sicurezza le scuole, per finanziare la mobilità sostenibile, per dare lavoro alle piccole imprese dell'artigianato e dell'edilizia, che devono poter attingere alla domanda interna.

In questo modo si può avere una ripresa. Non abbiamo un problema di bilancia dei pagamenti che, com'è noto, è in significativo attivo; ci possiamo permettere quindi di puntare sulla domanda interna e di dare un po' d'ossigeno alla nostra economia reale. Inoltre è necessaria qualche risorsa in più sul reddito di inclusione sociale perché l'estensione della povertà è tale per cui quelle risorse non possono bastare. Serve quindi girare pagina con realismo. Abbiamo avuto qualche esperienza di Governo: sappiamo che ci sono vincoli, che è difficile, ma si può girare pagina. Continuare sulla rotta liberista, sulla rotta di misure dell'offerta, tutte supply-side, sperando che miracolosamente poi si traducano per così dire in un'esplosione di investimenti privati è completamente infondato. Insistere sulla decontribuzione sociale vuol dire buttare ancora miliardi di euro su una misura che era chiaro che non poteva funzionare e non ha funzionato. L'operazione verità si deve fare anche sul mercato del lavoro. Il Governo deve smetterla di continuare a confondere i posti di lavoro con l'occupazione: è aumentata l'occupazione ma nelle rilevazioni dell'Istat, coerentemente con l'Eurostat, si è occupati se nella settimana in cui si viene intervistati si è fatta un'ora di lavoro. Ripeto: si è occupati. Quei milioni, quelle decine di milioni, quei centinaia di milioni di voucher sono tradotti dal Governo, guardando ai dati, come posti di lavoro. Sono occupati anche per un'ora al mese. Quindi è necessaria l'operazione verità e una svolta che significa lasciare stare il capitolo delle privatizzazioni: abbiamo già dato! Alitalia è sotto i nostri occhi, è stata privatizzata. I risultati li abbiamo visti: continuare ad andare avanti su questa strada vuol dire andare a sbattere. Risparmiare qualche miliardo in termini di tasso di interesse quando si perde di più in termini di mancati utili non funziona anche sul piano finanziario. Noi auspichiamo che vi sia un'operazione verità, che ci possa essere attenzione alla domanda interna, la necessità di una svolta e per questo voteremo contro la risoluzione del Governo. Abbiamo una nostra risoluzione nella quale proviamo a delineare meglio di quanto detto le nostre misure ma è evidente che serve sospendere il Fiscal compact e avviare una virata keynesiana che serva all'economia reale, all'occupazione e anche la finanza pubblica (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Guidesi. Ne ha facoltà.

GUIDO GUIDESI. Grazie, Presidente. Se la domanda è la seguente: gli obiettivi iscritti nel Documento di economia e finanzia che stiamo valutando e discutendo oggi saranno raggiunti sì o no, la risposta è no e non solo perché sono obiettivi difficilmente raggiungibili - vedi il rapporto deficit-PIL - ma perché è prassi. Stiamo semplicemente seguendo il metodo italiano, che oramai si ripete da qualche anno, di svolgere un passaggio parlamentare obbligatorio senza affrontare il problema mentre c'è il tentativo di raschiare il barile - quello sì - attraverso l'Agenzia delle entrate, attraverso i tagli agli enti locali, attraverso la mancanza di alcuni servizi sul territorio, eccetera, eccetera, eccetera. Ma quando si arriverà ad aver raschiato tutto il barile, prima o poi una discussione seria su come affrontare la situazione bisognerà farla, senza l'alibi della globalizzazione, del rischio populista, della mancanza di stabilità politica, che poi qualcuno mi deve spiegare cosa vuol dire visto che comunque questa maggioranza va avanti oramai da quattro anni, del rischio dei mercati, senza che nessuno però parli di una sana regolamentazione della finanza che oramai inficia qualsiasi situazione quotidiana. E poi c'è un dibattito che vive sull'ambiguità di questa maggioranza, un'ambiguità che sta nel rapporto con l'Unione europea, per esempio, dove ci sono dei momenti, momenti di campagna elettorale o momenti di risultati elettorali da far valere (vedi quello delle elezioni europee del Partito Democratico a suo tempo), quando si diceva: noi cambieremo l'Unione europea. La verità è che oggi in quest'Aula abbiamo sentito ancora per l'ennesima volta dire: abbiamo fatto i compiti a casa. E oltre ad aver fatto i compiti a casa, quelli che ci ha dato la Commissione europea, siete anche riusciti a farli male, in considerazione del fatto che a breve discuteremo di una manovrina di 3 miliardi e mezzo di euro che il Governo dovrà chiarire se è dettata dal mancato raggiungimento degli obiettivi dell'anno scorso, o se invece è dettata ed è conseguente ad una mancata copertura della legge di bilancio del dicembre scorso. Un po' di chiarezza ci vuole, nell'affrontare le questioni!

Quando parliamo di flessibilità, si dice: la Commissione europea ci ha concesso flessibilità sì, ma per fare quello che vogliono loro e che questa maggioranza ha condiviso; i 4 miliardi del business dell'immigrazione clandestina fanno parte della flessibilità della Commissione europea, ma intanto è mancata la ridistribuzione dei migranti all'interno dell'Unione europea.

E poi c'è la questione della crescita. Si dice: stiamo accompagnando la crescita. Il problema è che la crescita è per la metà, a volte di un terzo inferiore agli altri Paesi dell'Unione europea - più o meno nella stessa condizione, se i vincoli valgono per tutti e se la situazione economica globale vale per tutti, visto che è l'alibi che vige in quest'Aula. Allora, se l'Italia cresce un terzo o una metà rispetto agli altri, bisognerà chiedersi e fare una riflessione di qual è il motivo per il quale l'Italia non riesce a crescere al passo con gli altri: probabilmente perché quella stagione riformatrice da voi tanto decantata non ha provocato riforme utili, che hanno aiutato la crescita, come si diceva e come le si presentava a suo tempo. Perché le riforme ci possono anche essere, e si possono e si debbono fare, ma ci sono riforme di qualità e riforme non di qualità, e le vostre sono state un limite rispetto alla crescita, un limite rispetto al lavoro, un limite rispetto ai consumi, un limite al circuito economico interno al Paese.

Poi ci sono gli investimenti. Si è tanto dibattuto in questi anni: noi faremo uscire dal Patto di stabilità gli investimenti, la Commissione europea deve consentirci di attuare gli investimenti che servono per la crescita. L'unico investimento che ha attuato questo Governo, e i due Governi precedenti, è stato l'investimento sul business dell'immigrazione clandestina: non c'è stato altro tipo di investimento.

E allora, con un'operazione un po' di verità e di chiarezza, possiamo tranquillamente dirci che è difficile valutare questo Documento di economia e finanza. È difficile semplicemente perché non c'è sostanzialmente scritto nulla; e ci troveremo a breve, come qualche collega ha detto prima, ad una tappa un po' più corposa e un po' più pragmatica, dove dovremo discutere di qualcosa di più serio e di qualcosa di più concreto: nella speranza che questo Governo capisca che, se ritiene la sua una politica economica, sappia però che quella politica economica non ha fatto altro che creare povertà e insicurezza nei nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Paolo Tancredi. Ne ha facoltà.

PAOLO TANCREDI. Signora Presidente, il DEF come ogni anno basa la sua analisi su un'introduzione che riguarda il quadro macroeconomico mondiale. Molti miei colleghi prima di me l'hanno trattato: abbiamo un quadro macroeconomico mondiale - non scendo nei dettagli - che è in progressivo miglioramento; ma è un miglioramento, questo, meno sicuro e meno solido di quanto ci si potesse aspettare, e che convive con dei rischi sistemici forti ed importanti, su cui le opinioni pubbliche internazionali e gli operatori economici si interrogano costantemente.

La crescita dell'economia mondiale per il 2016 si attesta su un 3 per cento e non ne consegue un aumento importante del mercato, del libero mercato, degli scambi, perché l'espansione del commercio mondiale si attesta ad un 3,5 per cento, che, secondo le previsioni, rimane costante nel 2018 e mostra un modesto picco nel 2019. Ripeto: ci sono tanti altri segnali, la stabilizzazione del prezzo del petrolio dopo un suo progressivo riallinearsi; ma i rischi soprattutto sono quelli politici, legati alla prevalenza di politiche meno aperte, più chiuse, la ritorno dei dazi, delle chiusure degli Stati e alla fragile crescita di quello che è stato per decenni il motore della crescita mondiale, cioè dei cosiddetti Paesi emergenti, e in particolare della Cina, che cresce ancora nel 2016 del 6,7 per cento, ma comincia a mostrare quelli che sono i difetti e i vizi di un'economia matura, situazione a cui la Cina si va avvicinando.

In questo quadro, signora Presidente, la situazione italiana è una situazione che naturalmente specchia quella dell'economia mondiale e dell'economia globale. Io sono abbastanza d'accordo con le considerazioni iniziali del collega Fassina, sul fatto che è chiaro che sono prevalenti le variabili esogene alla nostra ripresa: è sotto gli occhi di tutti che l'Italia ritorna ad avere valori positivi del PIL nel momento in cui l'economia mondiale ritorna ad avere valori positivi del PIL. Però voglio altresì dire all'onorevole Fassina che anche i periodi negativi risentivano molto fortemente di variabili esogene ed è chiaro che l'Italia è inserita in un contesto in cui non può fare a meno di seguire quelle che sono le situazioni esogene.

Riguardo al gap di crescita che c'è rispetto alle altre economie europee e occidentali, questo gap esiste tra l'Italia e le altre economie dell'area euro, e le altre economie occidentali in generale, da trent'anni, collega Fassina: esiste da trent'anni per difetti strutturali della nostra economia, che io individuo - e so che lei non condividerà - nell'approvvigionamento dell'energia, che è molto più difficile da parte delle imprese e del sistema Paese rispetto alle altre economie, nella rigidità del mercato del lavoro, nell'eccessiva burocrazia. Sono cause strutturali che ci portano a crescere meno della media europea, quando la media europea cresce, e, purtroppo, anche a calare di più a livello di PIL, quando il PIL del Paesi europei e la media europea scendono.

Quindi, ci troviamo di fronte ad una situazione strutturale, che probabilmente non hanno risolto definitivamente le riforme che questo Governo ha attuato; ma, insomma, non credo che per questo si possano battezzare altre ricette, che, invece, hanno fallito in varie occasioni storiche nel corso del secolo passato. Da questo punto di vista io credo che il percorso che stanno invece portando avanti questo Governo e quello precedente sia un percorso di tipo virtuoso e che va enfatizzato.

Tutto ciò, signora Presidente, avviene in un contesto in cui noi dobbiamo andare a guardare i dati di finanza pubblica nazionali, pure, perché essi hanno un'importanza rispetto al contesto delle politiche che si mettono in atto anche nel Piano nazionale di riforme, su cui poi alla fine vorrei spendere due parole. Noi abbiamo, colleghi - non so se ce ne rendiamo tutti conto -, un indebitamento netto tendenziale per il 2018 all'1,3 per cento! È vero quello che dice l'onorevole Fassina, che questo è grazie a 20 miliardi di aumenti di IVA ed accise che dovremo neutralizzare e che, quindi, rappresentano una parte importante, ma nessuno può legare il percorso e la dinamica dell'indebitamento a cui questo Paese si è sottoposto con sacrifici enormi, che ci portano oggi a prevedere, nel 2018, il perfetto rispetto degli obiettivi di medio termine che, con una modifica programmatica, ci porteranno ad un deficit dell'1,1 per cento.

Quindi, da questo punto di vista è chiaro che la crescita, il percorso di risanamento non possono essere decontestualizzati dalla situazione mondiale difficile, dai vizi strutturali del nostro Paese, che alcune riforme di questo Governo hanno corretto, ma che non hanno assolutamente abbattuto, e sostanzialmente anche dal percorso di rigoroso risanamento della finanza pubblica che ha visto questo Paese, nella dinamica dell'indebitamento netto, ai primi posti a livello europeo. Da questo punto di vista, è chiaro che tutto ciò ci viene riconosciuto.

È logico che lo scoglio grande è l'obiettivo di quell'indebitamento netto al 2018, che noi dovremo perseguire facendo una correzione programmatica di uno 0,1 di indebitamento e andando ad abbattere quelle che sono le cosiddette clausole di salvaguardia. Facciamo un'operazione di verità su questo: quelle non sono clausole di salvaguardia, quelle sono vere e proprie coperture, trovate per l'equilibrio del bilancio 2018.

Penso che sia anche superficiale la critica di chi dice che il DEF è troppo generico, perché prevede che toglieremo le clausole di salvaguardia, ma non ci dice puntualmente come. Insomma, sarebbe veramente difficile, in una situazione come quella odierna, immaginare di declinare gli interventi puntuali che si andrebbero a fare sulla legge di bilancio 2018. Credo che questa sia l'impostazione che ci deve essere nella nostra politica, anche alla luce di quello che sta succedendo nella politica europea, anche nelle ultime ore: domani avremo qui il Presidente del Consiglio Gentiloni, che verrà a riferire sul passaggio al prossimo Consiglio europeo.

Ebbene, io penso che, in questi mesi, il Governo, la maggioranza, ma il Paese, debbano portare avanti un negoziato con l'Unione europea, che deve consentire anche ulteriore flessibilità e non solo all'Italia. Questa è una battaglia che non può essere solo una battaglia di Renzi, di Gentiloni, del Governo: io credo che questa battaglia, nei discorsi che sento, dovrebbe essere patrimonio di tutti e mi stupisco quando qualcuno ci rimprovera, da un lato, di eccessivo rigore e poi, da un altro lato, di voler andare contro i parametri europei. Io penso che da una parte sta la verità e su questo ci deve essere un impegno del Governo e del Parlamento, ma credo anche di tutta la classe dirigente italiana.

Da questo punto di vista, io credo che un aspetto importante - e qui sono d'accordo con il collega Fassina - sia quello degli investimenti. Noi abbiamo avuto una dinamica della spesa in conto capitale delle pubbliche amministrazioni che, sostanzialmente, dal 2008 al 2014, si è dimezzata. Negli anni 2014 e 2015 c'è stato un lieve ritorno all'aumento; purtroppo, abbiamo una contrazione dello 0,7 per cento nel consuntivo 2016. Io ritengo che questo sia il più grande vulnus della politica di bilancio che abbiamo messo in campo.

Noi dobbiamo stressare questo negoziato con l'Europa per avere spazi per investimenti. Il Piano Juncker, che pure è una buona misura che va nel segno giusto, è assolutamente insufficiente rispetto alle esigenze e al fabbisogno di investimenti. Da questo punto di vista, Presidente, sul DEF rispetto al piano infrastrutture c'è una mancanza notevole: noi dobbiamo investire nelle reti, nei grandi corridoi europei. Da questo punto di vista c'è un arretramento e noi lo sottolineiamo: per esempio, il corridoio Scandinavo-Mediterraneo, che vede l'Italia coinvolta con il tratto Napoli-Palermo, deve avere una sua continuità e deve essere aperto un discorso anche sulla questione annosa del ponte sullo Stretto.

Da questo punto di vista, potremmo dire altre cose, oltre al discorso degli investimenti pubblici, perché, ricordiamo, ci sono segnali di fiducia: gli investimenti fissi lordi del privato sono aumentati del 3 per cento nel 2016.

PRESIDENTE. Concluda deputato, grazie.

PAOLO TANCREDI. Chiudo, dicendo che c'è un'altra questione che sul piano delle riforme viene trattata, che è quella della politica fiscale, su cui, secondo noi, ci vuole un cambio di rotta complessivo (Applausi dei deputati del gruppo Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Melilla. Ne ha facoltà.

GIANNI MELILLA. Signora Presidente, come è noto, noi di Articolo 1-Movimento Democratico Progressista non condividiamo il racconto dei vari Governi che hanno fronteggiato in questi anni la più grave crisi economica internazionale in modo del tutto inadeguato alla drammatica situazione del Paese reale, che ha visto precipitare il PIL e gli investimenti e aumentare a livelli intollerabili la disoccupazione, soprattutto giovanile, e la povertà, soprattutto nel Mezzogiorno. Ma vogliamo oggi rinunciare alla declamazione delle nostre, pur giuste, ragioni critiche: abbiamo scelto il metodo realistico delle modifiche, delle integrazioni alla risoluzione del Governo per cercare nuove strade, quando, naturalmente, sarà il momento delle scelte vere, che sono sostanzialmente rinviate alla prossima legge di bilancio del 2018.

Articolo 1 ha, dunque, deciso di stare dentro questa verifica della politica economica del Governo partendo da un giudizio molto critico sulle scelte sin qui fatte, scelte che non sono uscite, secondo noi, dalla gabbia dell'austerità europea. Abbiamo chiesto varie integrazioni alla risoluzione sul DEF: ne ha parlato stamane la deputata Albini in modo esauriente. Siamo consapevoli di avere un ruolo importante, naturalmente, di più al Senato dove siamo determinanti per la maggioranza che sostiene il Governo, e, dunque, vogliamo influenzare, anche se parzialmente, le scelte della maggioranza.

Quest'ultima parte della legislatura deve avere, come ha detto il Presidente Mattarella, uno sviluppo ordinato, senza dannosi incidenti di percorso e approvare alcune leggi importanti, come la legge elettorale o la legge sul testamento biologico, ma anche, secondo noi, misure incisive sul piano della crescita e dell'occupazione per rispondere alla sofferenza sociale del Paese. Dunque, la prossima manovra di bilancio per il 2018 assume grande importanza per gli interessi sociali che Articolo 1 vuole rappresentare: i lavoratori, i giovani colpiti dalla disoccupazione, i poveri cresciuti a dismisura.

Per ragionare sulla prossima legge di bilancio partendo dal DEF, bisogna avere chiara la situazione economica e finanziaria del Paese. La ripresa in Europa è arrivata, ma l'Italia non sembra beneficiarne: la crescita rimane stentata e l'Italia rimane collocata all'ultimo posto della graduatoria dei grandi Paesi europei.

La mancata crescita ha effetti negativi non solo sull'occupazione, ma anche sul disavanzo e sul debito pubblico e, poi, piove sul bagnato. Vorrei citare la vicenda Alitalia su cui l'onorevole Epifani oggi ha pronunciato parole giustissime: “E' comprensibile il voto dei lavoratori. Non può essere il Paese né tanto meno i lavoratori a pagare il prezzo degli errori fatti dal management e dai vari Governi che si sono succeduti. Il Governo nomini i commissari e trovi le risorse per far volare l'Alitalia”.

Presto discuteremo una manovra economica di 3,4 miliardi per il 2017, perché i nostri conti sono precari, ma preoccupazioni ancora maggiori si prospettano per il 2018 e per la manovra di fine anno, anche perché, come tutti sanno, l'alleggerimento quantitativo della BCE presto verrà meno e i tassi di interesse potranno crescere con effetti preoccupanti sui nostri conti, mentre con la prossima manovra dovremo compensare le clausole di salvaguardia per circa 20 miliardi.

L'Italia non ha saputo utilizzare un periodo molto favorevole di euro basso, di interessi bassi e di basso costo dell'energia, che ora si sta concludendo.

Il risparmio nella spesa per interessi di circa 20 miliardi, dovuto all'alleggerimento quantitativo della BCE, è stato compensato dalla maggiore spesa per i pagamenti connessi alla dissennata politica dei derivati, effettuata in passato dai nostri Governi.

Nella riunione di stamani, svolta al Senato, ci siamo confrontati sui punti della risoluzione per il DEF e abbiamo avanzato alcune proposte su cui si è registrata, secondo noi, una positiva convergenza.

Innanzitutto gli investimenti: l'anno scorso abbiamo avuto una diminuzione del 4,5 per cento degli investimenti pubblici, addirittura del 17 per cento degli investimenti locali; tutte le risorse disponibili, secondo noi, devono essere utilizzate per maggiori investimenti pubblici ad alto moltiplicatore, in modo da stimolare la crescita e l'occupazione e portare finalmente il Paese fuori dalla crisi, privilegiando gli investimenti sotto soglia comunitaria da parte degli enti territoriali, per garantire maggiore celerità e, quindi, realizzabilità.

Il rilancio delle spese per investimenti pubblici, del resto, è consigliato da tempo dal Fondo monetario internazionale e dall'OCSE.

Le politiche seguite negli ultimi anni, basate sulla riduzione della spesa pubblica e delle imposte, non hanno avuto effetto, perché in una situazione di stagnazione e deflazione, come quella italiana, le politiche dell'offerta sono inefficaci, in quanto il problema è la carenza della domanda e non la rigidità dell'offerta.

Il moltiplicatore fiscale degli investimenti è di due o tre volte maggiore di quello della riduzione delle imposte, che in realtà è inferiore all'unità.

Serve, secondo Articolo 1, un incremento netto degli investimenti di almeno mezzo punto di PIL l'anno per almeno 3 anni, pari a circa 8 miliardi l'anno, per finanziare un grande piano del lavoro e dell'ambiente di cui parla anche la CGIL.

I settori di intervento più utili ed urgenti dovrebbero essere quelli della manutenzione urbana, della messa in sicurezza del territorio, della prevenzione del rischio sismico, contro il dissesto idrogeologico, della viabilità minore, delle bonifiche dei siti inquinati, tutte cose concrete.

Vanno introdotte procedure che rendano effettivi questi interventi, eliminando gli ostacoli di diversa origine che oggi fanno sì che il ciclo della spesa per opere pubbliche sia in Italia assurdamente di 9 anni.

Al tempo stesso, vanno accelerati gli investimenti nel Mezzogiorno, che si trova in una situazione di grave crisi economica, ripristinando la piena applicazione della cosiddetta clausola Ciampi, con cui si riserva la destinazione del 45 per cento degli investimenti pubblici proprio ai territori del Mezzogiorno.

Su altri punti qualificanti abbiamo registrato delle intese; sulla sanità: rispetto al Patto per la salute 2014 c'è stata una riduzione del 5,58 per cento delle risorse, tant'è che nel 2016 dovevano essere destinati alla sanità 117 miliardi e, invece, ne sono stati dati 111.

Oggi siamo al 6,7 per cento dalla spesa sanitaria rispetto al PIL e si prevede un'ulteriore discesa al 6,4 per l'anno in corso: siamo ben al di sotto della media europea del 7 per cento.

Nella risoluzione si parla di interventi volti ad allineare progressivamente la spesa sanitaria italiana in rapporto al PIL a quella della media europea.

Anche sulla lotta alla povertà abbiamo ottenuto che siano destinate maggiori risorse al contrasto della povertà e al reddito di inclusione per sostenere i nuclei familiari più poveri, così come si è deciso di destinare risorse appropriate ai rinnovi dei contratti di lavoro del pubblico impiego.

Pensiamo che dopo anni di blocco del turnover si debba tornare anche ad assumere, soprattutto nei settori in cui è più necessario come la sanità, la scuola e l'università. Articolo 1 vuole sostenere una politica economica alternativa alle politiche fallimentari dell'austerità europea. Puntiamo per questo su un forte aumento degli investimenti pubblici, su un grande piano del lavoro e dell'ambiente. Oggi approviamo il DEF, ma le scelte vere, come tutti sanno, sono rinviate alla manovra di bilancio del 2018. Ci auguriamo che il Governo, nelle prossime settimane, ci presenti proposte chiare e convincenti, che raccolgano in modo coerente e lungimirante i punti definiti nella risoluzione che voteremo alla fine di questo dibattito.

Abbiamo bisogno, cara Presidente, di fatti concreti, di una svolta rispetto alle politiche economiche degli ultimi Governi e noi verificheremo con rigore, con serietà, con spirito costruttivo se queste scelte saranno calate nella prossima legge di bilancio per il 2018 (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, noi voteremo contro il DEF, perché non ci fidiamo del libro dei sogni che ha scritto il Governo. Si tratta di un documento in perfetto stile renziano, le cui previsioni troppo ottimistiche sono state già smentite dal Fondo Monetario Internazionale e in verità sono state smentite da tutte le istituzioni ascoltate in Commissione bilancio sul DEF, che hanno sottolineato che il Paese non pare ancora essere uscito dalla crisi e che la ripresa prosegue molto lentamente e che quindi le previsioni del Governo, anche per il 2017, sembrano eccessivamente ottimistiche.

Anche in questo documento, quindi, sempre lo stesso vizio contenuto negli ultimi documenti, negli ultimi DEF dei Governi degli ultimi anni, quelli di Renzi come quello attuale di Gentiloni.

Vogliamo parlare del DEF del 2014? In quel documento si prevedevano tassi di incremento del PIL puntualmente smentiti dall'andamento reale dell'economia, si prevedeva (l'occasione di oggi deve essere utile per fare il punto anche su quello che è successo negli ultimi anni del Governo di centrosinistra nel nostro Paese) per il periodo 2014-2018, una crescita complessiva del 7,4 per cento, mentre sommando i dati già consolidati per il 2014 e il 2016 a quelli previsti quest'anno per il 2017 e il 2018, si arriva soltanto ad un più 3,45 di aumento del PIL, quindi quasi 4 punti in meno, circa 60 miliardi di PIL annuali persi rispetto alle previsioni. Allora, delle due l'una: o avete imbrogliato sulle previsioni e allora non c'è da fidarsi di voi, oppure non siete riusciti a realizzare quello che avete previsto e promesso, e allora dovete dichiarare il vostro fallimento politico e di governo. Voteremo contro il DEF perché non ci fidiamo di voi e della vostra capacità di guidare il Paese e la sua politica economica, ma siamo convinti che non si fidino neanche gli italiani, che in queste ultime settimane vi hanno sentito proporre tutto e il contrario di tutto, in un balletto di dichiarazioni tra il Ministro Padoan e gli esegeti del renzismo ortodosso, che ha convinto tutti solo sullo stato di confusione che vi affligge. Un giorno si sosteneva che si sarebbe scongiurato l'aumento dell'IVA, il giorno dopo che sarebbe stato meglio tenerci l'aumento dell'IVA e avere meno tasse sul lavoro, il giorno successivo che forse era meglio fare un po' e un po', per ritornare, il giorno seguente, alle dichiarazioni del primo giorno. Avete promesso di tutto, avete promesso anche l'anno scorso, nel DEF nel 2016, la riduzione dell'IRPEF: ma dov'è? Non ve n'è traccia, non ve n'è traccia nel documento che oggi siamo chiamati ad esaminare. Non vi è traccia neanche della spending review, anzi, nei prossimi quattro anni le spese dello Stato, a legislazione vigente, cresceranno costantemente, con un incremento, in valore assoluto, di quasi 45 miliardi di euro ovvero del 5,4 per cento, la spesa pubblica passerà, cioè, dagli 829 miliardi del 2016 agli 874 miliardi di euro del 2019.

Non si capisce come vogliate far fronte al problema della povertà crescente, in un Paese che non cresce più e che è agli ultimi posti in Europa per crescita. Secondo il Fondo monetario internazionale, siamo stati addirittura superati dalla Grecia. L'Istat ci dice che, nel 2016, in Italia, ammonta ad 1 milione 100 mila il numero delle famiglie in cui tutti i componenti appartenenti sono in cerca di occupazione e non percepiscono, quindi, redditi da lavoro. Per inciso, vorrei ricordare che nel 2008 il numero delle famiglie, che versavano in questa condizione, era esattamente la metà: 535 mila. Di questo 1 milione e 100 mila, più della metà, il 54,1 per cento, è residente nel Mezzogiorno. Eppure, il vostro documento di programmazione non contiene niente di importante per il contrasto alla povertà e, ancor meno, per la crescita del Mezzogiorno.

Ma, signora Presidente, noi non siamo preoccupati soltanto per quello che è scritto nel DEF. Siamo preoccupati ancor di più per quello che non è scritto, ma che già il Governo dovrebbe sapere e non ha il coraggio di ammettere. In sostanza, siamo preoccupati soprattutto dal fatto che occorrerà una manovra correttiva di circa 30-40 miliardi tra qualche mese. Perché? Perché, per rispettare gli impegni già presi e siglati con l'Unione europea, il Governo dovrà provvedere ad una correzione dei conti dello 0,9 per cento in termini di PIL, quindi, a una correzione pari a 15 miliardi. A questi 15 miliardi bisogna aggiungere la tanto sbandierata cancellazione delle clausole di salvaguardia, per evitare l'aumento dell'IVA dal 1° gennaio 2018, per ulteriori 19 miliardi e mezzo. E ancora, poi, occorreranno almeno altri 10-12 miliardi, a meno che non vogliate rimangiarvi l'impegno che avete assunto, in ordine al rinnovo dei contratti del pubblico impiego, che costerebbero almeno 3 miliardi, o non vogliate far finta di avere scherzato, quando avete promesso l'alleggerimento delle aliquote Irpef per 3-4 miliardi o il taglio del cuneo fiscale per altri 3 o 4 miliardi. Ci saranno poi le solite spese indifferibili, come il rifinanziamento delle missioni militari, quindi, un totale di circa 40 miliardi di manovra, lacrime e sangue, che il Governo dovrà varare in autunno.

È questo quello che non avete avuto il coraggio di dire chiaramente, ma che è la conseguenza dei dati macroeconomici del nostro Paese, anche di quelli un po' sovrastimati, che avete inserito nel vostro documento di programmazione. Quindi, sono circa 40 miliardi, oltre quelli contenuti nella manovrina correttiva appena presentata. Tra qualche giorno dovremo occuparcene, di questa manovra di 3,4 miliardi, che è stata licenziata dal Governo l'11 aprile, ma che è arrivata soltanto oggi. Ce ne occuperemo, con grande interesse. Ma, intanto, perché questa manovra, che sapevate doveva essere fatta, l'avete fatta soltanto ad aprile e non a gennaio? Se l'aveste fatta a gennaio, come avreste dovuto fare, l'onere di questa manovra sarebbe stato spalmato per più mesi e, quindi, il carico per i cittadini italiani sarebbe stato inferiore. La verità è che c'è, per quanto vi riguarda, un'assoluta incapacità di occuparvi delle scelte economiche importanti e strutturali per il Paese, delle scelte strategiche, quelle importanti per favorire lo sviluppo del Paese.

Noi voteremo contro la risoluzione della maggioranza, contro il DEF. Abbiamo proposto un nostro testo, nel quale chiediamo una riduzione - ma reale - dell'Irpef. Chiediamo un serio piano di spending review, come quello proposto da Cottarelli nel 2014. Chiediamo che il Governo si impegni ad inserire, seppure gradualmente, elementi di quoziente familiare nel nostro sistema fiscale.

Chiediamo che il Governo si impegni ad iniziative di sostegno alla crescita e ai consumi, alla riduzione del costo del lavoro e a incentivi sugli investimenti, che nel DEF che proponete scontano la solita mancanza di forza e di incisività, perché siamo ad un livello ancora troppo basso per un Paese che deve crescere e che stenta a crescere.

Chiediamo iniziative per il rilancio del Mezzogiorno e per la riduzione dei carichi tributari per il settore immobiliare, in modo da facilitarne la ripartenza.

Proponiamo tutte queste misure nella nostra risoluzione e lo facciamo, mentre voi, invece, - e concludo, signora Presidente -, soprattutto nell'ultimo anno, state avvitando il Paese sulle vicende che riguardano Renzi e il Partito Democratico. Mentre scrivevate i vostri libri dei sogni nei DEF, vi occupavate soltanto del referendum, che era l'occasione per rilegittimare Renzi, e poi del congresso del PD. Siamo convinti, dopo il congresso del PD, di quanto debba durare ancora questa legislatura.

Ora basta, signora Presidente! La maggioranza si occupi, insieme al Governo, in questi pochi mesi che rimangono fino alla fine della legislatura, di governare, di governare finalmente! Anche perché siamo sicuri che saranno gli ultimi mesi che vi vedranno al Governo del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente-Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato D'Incà. Ne ha facoltà.

FEDERICO D'INCA'. Presidente, colleghi, negli scorsi anni di legislatura, in diverse occasioni, abbiamo chiesto la trasparenza dei bilanci e, quindi, la trasparenza delle operazioni messe in campo dal Governo. Ma il Governo, anche in questo DEF, perde l'occasione per rendere finalmente trasparente il suo operato.

Mancano del tutto le disposizioni per una corretta digitalizzazione della pubblica amministrazione, che porterebbe diversi benefici, che vanno dalla succitata trasparenza - quindi, un metodo in più per contrastare la corruzione, che tanto dilaga nel nostro Paese - alla possibilità di innovare e migliorare il rapporto Stato-cittadino.

Faccio un esempio molto pratico sul numero, anche se vedo il sottosegretario impegnato al telefono. Parliamo di 15 mila banche dati presenti nel nostro Paese, che potrebbero essere sicuramente corrette con un numero più vicino a livello europeo. C'è la possibilità di risparmiare decine di miliardi di euro, attraverso una corretta applicazione del digitale nella pubblica amministrazione, cosa che oggi non viene fatta, oltre al fatto che manca una figura di riferimento all'interno del Consiglio dei ministri, della quale chiaramente si sente una mancanza, una figura che anche possa, quindi, regolare in maniera corretta all'interno del Consiglio dei ministri stesso.

Quest'anno, grazie al lavoro svolto in sede di dibattito per l'approvazione della legge n. 163 del 2016 di riforma del bilancio dello Stato, avremmo dovuto vedere finalmente l'utilizzo di indicatori che provassero a dare un'immagine più corretta dello stato di salute del Paese. Anche quest'occasione il Governo l'ha voluta perdere, in quanto gli indicatori allegati al DEF sono pochi e con scarse spiegazioni.

Inoltre, gli stessi indicatori del quadro tendenziale programmatico, non essendo vincolanti, ma, anzi, essendo degli indicatori che derivano da uno scenario che include le scelte programmatiche del DEF, oltre che essere costruiti anche sulla base delle misure previste per il raggiungimento degli obiettivi di politica economica e contenute all'interno del Piano nazionale di riforma, non hanno alcun valore e non sono in alcun modo parte del processo di programmazione delle scelte di politica economica.

Purtroppo, non essendo indicatori programmatici, nemmeno stime di effetti procurati delle politiche economiche messe in campo, in quanto restano sconosciute le manovre che il Governo vuole effettuare, tali indici sono allegati al DEF senza alcuna utilità.

In merito all'indagine di diseguaglianza, questa è costruita in maniera del tutto arbitraria e senza significato. Ad esempio, non dà informazioni sulla fascia media della popolazione. Non si capisce, inoltre, il perché il Governo si sia dovuto inventare tale artificio numerico, invece di usare lo stesso indice dell'ISTAT o dell'OCSE, e nemmeno il perché il Governo non abbia usato gli indicatori di povertà già disponibili da parte di ISTAT e OCSE.

Benché formalmente l'Ufficio parlamentare di bilancio, l'UPB, abbia validato le previsioni tendenziali, anche quest'anno ricorda al Governo che utilizza delle stime eccessivamente ottimistiche. Lo stesso Ufficio parlamentare di bilancio indica come sostanzialmente insoddisfacente il quadro complessivo della linea politica di bilancio. Gli scenari rendono impossibile la disattivazione in toto delle clausole di salvaguardia.

Tale sopravvalutazione del quadro tendenziale, che poi è alla base della politica economica del Governo, non potrà fare altro che generare nuova incertezza, misure inadeguate e un'ulteriore riduzione del benessere dei cittadini e del nostro Paese.

Tanto per capirci, chiudiamo il 2017 con un 2,1 per cento di rapporto debito e PIL e nel 2018 prevediamo un 1,2 per cento, cioè circa 0,9 per cento di manovra aggiuntiva per il 2018. Questo vuol dire, all'incirca, tra i 15 e i 20 miliardi di euro. Cosa farete? Non si sa. All'interno del DEF non vi è scritto praticamente nulla, se non semplicemente questi dati, che, di fatto, insomma, rimanendo semplicemente numeri, diventano inutili. Le azioni del Governo in carica e dei suoi predecessori, nonché le varie privatizzazioni, hanno dimostrato che sia il Governo che gli imprenditori, o meglio certe sanguisughe che si sono avvicendate all'interno di varie aziende pubblico-private e che si sono sostituiti allo Stato nelle privatizzazioni, hanno perseguito interessi di breve periodo puntando più sul profitto immediato, riducendo l'offerta, che sull'innovazione del servizio stesso. Il tutto è alquanto ovvio, in quanto si sono ritrovati ad operare in regime di oligopolio o di monopolio naturale, quindi sono stati sottoposti ad alcuna spinta all'innovazione e al miglioramento del servizio. Ad esempio citiamo, per quello che riguarda il ritardo tecnologico provocato dalla mancanza di investimenti nel comparto della telefonia, dopo la privatizzazione, il ritardo tecnologico che ha generato la piaga del digital divide, che insiste sul territorio nazionale e che prova ulteriori rallentamenti in altri ambiti quale quello culturale, imprenditoriale e innovativo. Sembra paradossale che il Governo intenda perseverare in questa direzione.

Sarebbe stato auspicabile che almeno in questa occasione il Governo avesse colto l'opportunità di tamponare, con soluzioni immediate, le problematiche relative al rischio idrogeologico e alla piaga della disoccupazione, orientandosi verso soluzioni con visioni di lungo periodo e puntando a misure innovative. Tale speranza è rimasta purtroppo disattesa.

Il Governo aveva l'opportunità di muoversi per sospendere l'applicazione del raggiungimento del pareggio di bilancio e quindi il rispetto dell'indebitamento entro il 3 per cento del PIL, nonché impegnarsi per sostenere nelle sedi europee la politica di espansione tramite l'interpretazione estensiva dei trattati esistenti, in modo da abbandonare l'attuale interpretazione, promotrice di politiche di austerità. Invece nel DEF si punta, ancora una volta, all'1,2 per cento nel 2018 e parliamo, lo ripeto ancora una volta, tra i 15 e i 20 miliardi di nuova manovra per 2018.

Il Governo, in questi anni, poteva intervenire anche nelle sedi europee per rilanciare il principio di una gestione autonoma del debito da parte degli Stati basata non più su politiche di rigore, ma di riduzione progressiva del debito attraverso la crescita economica, oltre che promuovere iniziative per l'armonizzazione interna dei montanti di surplus-deficit tra i vari Paesi dell'Unione.

Fattore chiave per uscire dalla crisi che attraversa il Paese e l'Europa non è la dismissione di asset strategici tramite le privatizzazioni o chiudersi nella morsa dell'austerity, bensì programmare una politica incentrata sulla promozione dell'innovazione nei settori chiave, con particolare attenzione al comparto dell'energia pulita. L'austerity, implementata in questi anni, ha ridotto la capacità di reddito dei cittadini e ha diminuito i servizi offerti dallo Stato, facendo gravare i costi di questi ultimi sulle spalle delle fasce più deboli della popolazione. Diventa quindi imprescindibile supportare le fasce deboli della popolazione tramite il reddito di cittadinanza, anche al fine di aumentare l'inclusione sociale oltre che per tamponare la drammatica situazione di povertà.

Il Governo doveva porre in atto strumenti per invertire le politiche economiche adottate sino ad oggi, che sono basate sul principio dello sfruttamento dei lavoratori tramite la precarizzazione, che è il discorso di prima che molti colleghi hanno voluto rilanciare, circa il fatto che basta un'ora di lavoro alla settimana per essere considerati lavoratori attivi in quella settimana, e su questo si basava appunto la gestione anche dei voucher, delle centinaia di milioni di voucher; doveva adottare politiche economiche di investimento nei settori innovativi quali energia pulita ed innovazione, questi sono i settori del futuro.

La sfida dello Stato per uscire dalla crisi è investire, investire ed investire in innovazione, per creare nuovi mercati, e non creare nuovi lavoratori a basso costo, il tutto avendo come obiettivo il benessere dei cittadini e non l'austerità.

Sta arrivando il 2018, ve lo ricordiamo anche in questa sede, e con esso, molto probabilmente, la fine del quantitative easing da parte della BCE, quindi la domanda che appare chiara è: che cosa ci aspetterà? Nessuno lo sa, nessuno capisce ancora, perché non vi è all'interno del DEF nessuna valutazione programmatica di questa situazione.

Per questi motivi, non possiamo che esprimere un parere negativo e contrario (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Maino Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Presidente, il tema di fondo su cui si concentra la discussione sul DEF è la crescita: non si intravede, è modesta, scarsa, siamo tra gli ultimi in Europa, è insoddisfacente? Io sottolineerei un primo aspetto su cui la discussione non si sofferma mai, quasi fosse scontato, mentre è proprio tutto l'opposto che scontato: a differenza di altre legislature, in questa, magari con la certificazione qualche anno dopo, come per il 2014, i Governi hanno sempre fatto previsioni realistiche sul PIL dell'anno successivo e siamo sempre andati un po' meglio delle previsioni; si era detto che erano previsioni ottimistiche da tante parti, un po' come si è sentito anche oggi.

Non è stato così: previsioni serie, caute, migliori di tutti gli altri previsori, nazionali, europei e mondiali. Le tendenze sul 2017 confermano questo elemento caratterizzante la legislatura, nonostante l'economia mondiale abbia visto variazioni, a volte imprevedibili, di ogni sorta. Forse le previsioni sugli effetti delle riforme erano più serie di quanto, da tante parti, non si voglia ammettere. È una ripresa soddisfacente? No, e per questo continuiamo a porre questa come la questione centrale, che determina anche la possibilità di raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica. Ma spero si abbia la consapevolezza - non ne sono certo - che non è tema di questi giorni o anni: nel 2000 abbiamo fatto più 3 per cento, dopo, cambiando il Governo, secondo Tremonti avremmo dovuto fare il 6 per cento, invece per anni abbiamo fatto zero o giù di lì, solo nel 2006 siamo andati oltre il 2 per cento. Siamo stati quelli con il “meno” più alto negli anni più duri della crisi. Insomma, è una storia lunga. Per affrontarla occorre avere la capacità di fare interventi, riforme, in grado di dare frutti nel medio-lungo termine, e sapersi adattare nel breve alle modifiche dello scenario internazionale, affinché la direzione di marcia della crescita venga confermata.

Abbiamo saputo farlo in questa legislatura, e già questo è un sentiero arduo, un sentiero che diventa più stretto, se consideriamo i vincoli di finanza pubblica. Anche qui, due aspetti vanno sottolineati e non dati per scontati. Il primo è che le previsioni in questa legislatura fatte per l'anno successivo, al momento dell'approvazione della legge di stabilità, si sono sempre avverate, per quanto riguarda il rapporto deficit-PIL. È normale? In passato non è mai stato così, quando il centrosinistra non era al Governo, e temo che non sarà così nemmeno in futuro, se non ci sarà il PD al Governo. Diffidi il Paese da quelli che un giorno sono per l'eutanasia e qualche giorno dopo contro l'eutanasia e anche contro il testamento biologico! La serietà c'entra sempre con l'economia, perché è uno degli elementi che determina le aspettative fondamentali per l'economia. In secondo luogo, spesso si parla come se la flessibilità o il riconoscimento di condizioni avverse ottenuti in sede europea avessero determinato la possibilità di avere più risorse pubbliche a disposizione: no, non è così, hanno semplicemente determinato una maggiore gradualità nel percorso di riduzione del rapporto deficit-PIL, ma sempre di riduzioni si è trattato. Non abbiamo mai superato il 3 per cento: nel 2017 siamo al 2,3 per cento e andremo al 2,1 con la manovrina. Riduciamo il deficit, non è che dobbiamo trovare delle risorse per lo stesso deficit, per questo il debito in rapporto al PIL…

PRESIDENTE. Colleghi, scusate, si può abbassare il tono della voce? Per favore! Perché è veramente difficile seguire l'intervento. Per favore, colleghi!

MAINO MARCHI. Per questo, Presidente, il debito in rapporto al PIL ha smesso di crescere, si è sostanzialmente stabilizzato e può iniziare presto a calare. Sta proprio qui la difficoltà: riuscire a fare politiche per la crescita riducendo ogni anno il deficit e tenendo conto dell'alto debito pubblico dell'Italia. Se non si fanno politiche serie, non trovi più chi compra i titoli di Stato e si fallisce. E pensate che sarebbe stato possibile, senza fare un pezzo rilevante di spendingreview e di contenimento della spesa pubblica, ridurre il deficit come abbiamo fatto? Sentiero stretto, quindi, ancora più nel 2018, ne siamo consapevoli, con l'obiettivo di andare dal 2,1 all'1,2 per cento, di disinnescare completamente - una parte si fa già con la manovrina - le clausole di salvaguardia su IVA e accise e di fare ulteriori politiche per la crescita, crescita che ingloba anche equità e uguaglianza. Per fare più crescita ci vuole più uguaglianza, se no l'aumento dei consumi ce lo sogniamo. Allora qui c'è un punto di fondo della risoluzione di maggioranza: affermiamo di impegnare il Governo a continuare a promuovere una strategia di riforma degli orientamenti di politica economica e finanziaria prevalenti in sede comunitaria volta a conferire, anche attraverso un confronto con gli organismi comunitari finalizzato a rendere meglio compatibile il percorso progressivo di avvicinamento all'obiettivo di medio termine, una maggiore centralità alla crescita economica, all'occupazione e all'inclusione sociale. Solo al momento dalla legge di bilancio sapremo cosa si sarà ottenuto sul cambiamento di percorso che in sostanza permetta più gradualità per non dover fare manovre che soffochino la crescita. Vi è quindi la necessità di un'azione in sede europea che veda il massimo di unità delle forze politiche italiane, tenuto conto che a nessuno piace quanto è ora previsto, e la capacità di coinvolgere e condividere queste posizioni con i riferimenti politici europei di ognuno di noi.

Siamo chiamati tutti a fare politica in Europa. Noi dovremo portare su queste posizioni il PSE, altri portarvi le altre forze politiche europee più rilevanti. L'importante è non avere posizioni contro l'Europa ma per un'Unione europea riformata. Il voto in Francia e prima quello in Olanda ci dice che per esserci consenso verso un'idea dell'Europa ovviamente devono cambiare le sue politiche. È indubbio che gran parte della futura legge di bilancio si gioca su questo punto. Ugualmente abbiamo voluto indicare alcuni obiettivi da perseguire in ogni caso. Ne sottolineo alcuni: la centralità delle politiche del lavoro, degli strumenti europei che riteniamo necessari per contrastare la disoccupazione, per le politiche attive del lavoro in particolare verso donne e giovani e soprattutto nel Mezzogiorno e le conseguenti politiche fiscali a favore del lavoro in parte fatte, in parte da reinventare come sul cuneo fiscale; le politiche per il contrasto alla povertà. Ci siamo dati strumenti innovativi e su questo dovremo gradualmente aumentare le risorse perché qui c'è un punto di sofferenza sociale di cui ci vogliamo fare pienamente carico al quale non si risponde con il reddito di cittadinanza proposto dal MoVimento 5 Stelle che sarebbe un incentivo al non lavoro, mentre noi vogliamo incentivare il lavoro né è possibile fare il confronto, come ha fatto il collega onorevole Rampelli, con le spese per i migranti…

PRESIDENTE. Scusate, colleghi, devo richiamare di nuovo quest'Aula ad un po' di attenzione perché non è possibile che il dibattito si svolga in questo caos. Abbassate il tono della voce. Se non siete interessati, per favore uscite fuori. È possibile continuare i nostri lavori con un po' di ordine in quest'Aula? Se non si stabiliscono le condizioni il collega non può procedere. Vi ringrazio. Prego.

MAINO MARCHI. Grazie, Presidente. Non è possibile un confronto con la spesa per i migranti perché quella comprende il soccorso, l'assistenza sanitaria, l'istruzione. È chiaro che nel Fondo per la povertà non ci sono quelle voci ma non è che per quei cittadini a cui è rivolto il Fondo per la povertà non ci siano in altri capitoli le risorse - miliardi - per l'assistenza sanitaria e per quanto riguarda l'istruzione. Quindi è un confronto che non possiamo certamente accettare. Un altro aspetto per noi fondamentale è quello degli investimenti privati e pubblici. Risultati significativi sul versante privato sono stati raggiunti grazie anche alle politiche per favorirli che continueranno come l'ecobonus sempre più ampliato e vogliamo introdurre nuove modalità per favorire i condomini e gli incapienti; il super-ammortamento a cui si aggiunge l'iper-ammortamento per gli investimenti in Industria 4.0; la Visco Sud. Dobbiamo spingere di più sugli investimenti pubblici: non è solo questione di risorse stanziate, perché maggiori stanziamenti ci sono, bisogna seguire tutta la filiera della realizzazione e intervenire sugli aspetti critici con tre particolari attenzioni: Mezzogiorno, territorio, enti locali. Autonomia, responsabilità, riduzione dei vincoli sono i nostri obiettivi per gli enti locali con un'attenzione particolare alla condizione di province e città metropolitane che devono essere messe nelle condizioni di far fronte alle loro funzioni. Non vado oltre ricordando l'impegno a disinnescare le norme di salvaguardia cioè a non aumentare l'IVA e si comincia - lo dicevo prima - con la manovrina con misure non una tantum ma strutturali come quelle sullo split payment. In questo quadro non è un impegno certamente di poco conto ma un impegno chiaro che il Governo ha messo nel DEF così come l'ulteriore impegno sulla spending review.

Ritengo inoltre che, dopo averlo chiesto con forza, il Parlamento non possa fare spallucce sull'avvio del lavoro concreto sugli indicatori di benessere. Il Governo poteva dire: rinviamo in attesa di essere ad uno stadio più avanzato nell'attuazione di quanto previsto da una legge non di dieci anni fa ma di pochi mesi fa e, invece, il percorso si avvia. Questo va apprezzato così come l'impegno a continuare complessivamente il lavoro sulle riforme previsto dal piano nazionale delle riforme.

In sostanza, il DEF considera il percorso fatto dall'Italia per uscire dalla recessione e avviare la ripresa e per migliorare la finanza pubblica. Molto resta da fare, ma nel solco del DEF possiamo trovare le risposte, in altre ricette no.

Oggi gli elementi di instabilità per il mondo e anche per l'economia sono tutti quelli che sono i punti di riferimento dei populismi di casa nostra, di varia natura, ma sostanzialmente di destra: Trump, Le Pen, la Brexit, gli attacchi all'Europa. Da lì non verranno risposte ma solo illusioni.

Annuncio, quindi, il voto a favore della risoluzione di maggioranza e una valutazione positiva sul Documento di economia e finanza presentato dal Governo da parte del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sono così concluse le dichiarazioni di voto.

(Votazione – Doc. LVII, n. 5)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Rosato, Lupi, Monchiero, Dellai, Pisicchio, Alfreider, Buttiglione, Bueno e Locatelli n. 6-00311, accettata dal Governo. Ricordo che, in caso di approvazione di tale risoluzione, risulteranno precluse le altre risoluzioni presentate.

  Dichiaro aperta la votazione.

  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.

  La Camera approva (Vedi votazione n. 1).

Sono così precluse le altre risoluzioni presentate.

Avverto che la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata tra quindici minuti presso la Biblioteca della Presidente. Quindi, sospendo la seduta, che riprenderà al termine della Conferenza dei presidenti di gruppo.

La seduta, sospesa alle 18,15, è ripresa alle 19,20.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

Calendario dei lavori dell'Assemblea per il mese di maggio 2017 e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretaria a dare lettura dell'esito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria. A seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato predisposto, ai sensi dell'articolo 24, comma 2, del Regolamento, il seguente calendario dei lavori per il mese di maggio:

Martedì 2 maggio (pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna), mercoledì 3 e giovedì 4 maggio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di venerdì 5 maggio) (con votazioni)

Seguito dell'esame dei progetti di legge di ratifica:

Ddl n. 3980 - a) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica ceca sulla cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologia, fatto a Praga l'8 febbraio 2011; b) Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Emirati Arabi Uniti, nell'ambito della cultura, arte e patrimonio, fatto a Dubai il 20 novembre 2012; c) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Malta in materia di cooperazione culturale e di istruzione, fatto a Roma il 19 dicembre 2007; d) Accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Montenegro, fatto a Podgorica il 26 settembre 2013; e) Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Senegal, fatto a Roma il 17 febbraio 2015; f) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovacca sulla cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologia, fatto a Bratislava il 3 luglio 2015; g) Accordo di collaborazione nei settori della cultura e dell'istruzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia, fatto a Roma l'8 marzo 2000;

Ddl n. 4226 - Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Barbados per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, fatta a Barbados il 24 agosto 2015 (approvato dal Senato);

Ddl n. 4254 - Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Costa Rica sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Allegato, fatto a Roma il 27 maggio 2016;

Ddl n. 2714 – a) Accordo euromediterraneo nel settore del trasporto aereo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Governo dello Stato d'Israele, dall'altro, fatto a Lussemburgo il 10 giugno 2013;b) Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e la Repubblica moldova, fatto a Bruxelles il 26 giugno 2012;c) Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, con Allegato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011, e Accordo addizionale fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, riguardante l'applicazione dell'Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011.

Seguito dell'esame dei progetti di legge:

proposta di legge n. 302 e abbinata - Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico;

disegno di legge n. 4314 e abbinata - Disposizioni per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri;

proposta di legge n. 3785-A/R e abbinate - Modifica all'articolo 52 del codice penale, in materia di legittima difesa;

Seguito della discussione delle mozioni Rosato ed altri n. 1-01508, Binetti ed altri n. 1-01558, Cominardi ed altri n. 1-01559, Rampelli ed altri n. 1-01561, Ricciatti ed altri n. 1-01562, Palese ed altri n. 1-01571, Allasia ed altri n. 1-01607 e Catalano ed altri n. 1-01608 in materia di robotica ed intelligenza artificiale.

Giovedì 4 maggio, alle ore 14, si riunirà il Parlamento in seduta comune per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale.

Lunedì 8 maggio (antimeridiana/pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna)

Discussione sulle linee generali della proposta di legge n. 3844 - Iniziative per preservare la memoria di Giacomo Matteotti (approvata dal Senato)

Discussione sulle linee generali dei disegni di legge di ratifica:

n. 3918 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi umani, fatta a Santiago de Compostela il 25 marzo 2015, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno;

Ddl n. 4225 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di pubblica sicurezza, fatto a Roma il 2 dicembre 2013 (approvato dal Senato).

Martedì 9, mercoledì 10 e giovedì 11 maggio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di venerdì 12 maggio) (con votazioni)

Seguito dell'esame dei progetti di legge:

proposta di legge n. 3558 – Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista;

disegno di legge n. 3671-ter e abbinata- Delega al Governo in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza;

Seguito dell'esame mozioni Santerini, Cimbro, Scopelliti ed altri n. 1-01435, Altieri ed altri n. 1-01536, Molteni ed altri n. 1-01537, Quartapelle Procopio, Monchiero, Locatelli ed altri n. 1-01547 e Rampelli ed altri n. 1-01554 concernenti iniziative volte all'identificazione dei migranti deceduti nella traversata del Mediterraneo;

Seguito dell'esame della proposta di legge n. 3844 - Iniziative per preservare la memoria di Giacomo Matteotti (approvata dal Senato);

Seguito dell'esame delle mozioni Marcon ed altri n. 1-01589, Capezzone ed altri n. 1-01600, Caso ed altri n. 1-01601, Melilla ed altri n. 1-01602, Brunetta n. 1-01604 e Guidesi ed altri n. 1-01609 concernenti la questione dell'inserimento del cosiddetto Fiscal compact nei Trattati europei, nonché le politiche economiche e di bilancio dell'Unione europea;

Seguito dell'esame dei disegni di legge di ratifica:

n. 3918 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi umani, fatta a Santiago de Compostela il 25 marzo 2015, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno;

n. 4225 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di pubblica sicurezza, fatto a Roma il 2 dicembre 2013 (approvato dal Senato);

Esame della relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito dei un procedimento penale nei confronti della deputata Argentin (Doc. IV-ter n. 17-A).

Nel corso della settimana potrà avere luogo il seguito dell'esame di argomenti previsti nella settimana precedente e non conclusi.

Lunedì 15 maggio (antimeridiana/pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna)

Discussione sulle linee generali della proposta di legge n. 3139-B - Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (approvata dal Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato).

Martedì 16, mercoledì 17 e giovedì 18 maggio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di venerdì 19 maggio) (con votazioni)

Seguito dell'esame delle mozioni:

Brescia ed altri n. 1-01439, Palese ed altri n. 1-01603, Binetti ed altri n. 1-01606, Andrea Maestri ed altri n. 1-01611, Carnevali ed altri n. 1-01612 e Rondini ed altri n. 1-01613 relative al funzionamento dei cosiddetti centri hotspot per i migranti;

Lupi ed altri n. 1-01525, Palese ed altri n. 1-01545, Sorial ed altri n. 1-01546, Franco Bordo ed altri n. 1-01548, Allasia ed altri n. 1-01550 e Marcon ed altri n. 1-01555 concernenti iniziative volte all'estensione dei cosiddetti poteri speciali del Governo al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle aziende italiane di rilevanza strategica;

Seguito dell'esame delle proposte di legge:

n. 3139-B - Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (approvata dal Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato);

n. 4144 e abbinate - Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (approvata dal Senato);

Esame della relazione della Giunta per le autorizzazioni sull'applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Guido Crosetto, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-quater n. 5).

Nel corso della settimana potrà avere luogo il seguito dell'esame di argomenti previsti nella settimana precedente e non conclusi.

Lunedì 22 maggio (antimeridiana/pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna)

Discussione sulle linee generali delle proposte di legge:

n. 4368 e abbinate - Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario (approvata dal Senato);

n. 4410 e abbinate - Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario (approvata, in un testo unificato, dal Senato) (ove concluso dalla Commissione)

n. 338, 521 e abbinate – Interventi per il settore ittico;

Discussione sulle linee generali della proposta di legge costituzionale S. 2643 - Modifiche allo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol in materia di tutela della minoranza linguistica ladina (approvata dalla Camera - ove trasmessa dal Senato).

Martedì 23, mercoledì 24 e giovedì 25 maggio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di venerdì 26 maggio) (con votazioni)

Seguito dell'esame delle proposte di legge:

n. 4368 e abbinate - Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario (approvata dal Senato);

n. 4410 e abbinate - Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario (approvata, in un testo unificato, dal Senato) (ove concluso dalla Commissione);

n. 2354-A/R - Modifiche alla legge 31 ottobre 1965, n. 1261, concernenti il trattamento economico e previdenziale spettante ai membri del Parlamento;

n. 338, 521 e abbinate – Interventi per il settore ittico;

Seguito dell'esame della proposta di legge costituzionale S. 2643 - Modifiche allo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol in materia di tutela della minoranza linguistica ladina (approvata dalla Camera - ove trasmessa dal Senato).

Nel corso della settimana potrà avere luogo il seguito dell'esame di argomenti previsti nella settimana precedente e non conclusi.

Lunedì 29 maggio (antimeridiana/pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna)

Discussione sulle linee generali dei progetti di legge:

Disegno di legge n- 4444 - Conversione in legge del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo (scadenza: 23 giugno 2017 - da inviare al Senato);

Disegno di legge S. 2085 - Legge annuale per il mercato e la concorrenza (collegato) (approvato dalla Camera, ove trasmesso dal Senato);

Proposta di legge n. 2352 e abbinate - Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica;

Discussione sulle linee generali mozioni Rampelli ed altri n. 1-01582, Allasia ed altri n. 1-01549, Donati ed altri n. 1-01542, Della Valle ed altri n. 1-01565 e Laffranco ed altri n. 1-01610 concernenti iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein;

Discussione sulle linee generali delle proposte di legge:

n. 4130 e abbinate - Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, concernenti i delitti di truffa e di circonvenzione di persona incapace commessi in danno di persone ultrasessantacinquenni;

n. 4002 - Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni, in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale (ove concluso dalla Commissione);

n. 4388 - Modifica dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e altre disposizioni concernenti la tutela dei lavoratori dipendenti in caso di licenziamento illegittimo (ove concluso dalla Commissione) (A.C. 4388).

Martedì 30, mercoledì 31 maggio e giovedì 1° giugno (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni)

Seguito dell'esame dei progetti di legge:

Disegno di legge n- 4444 - Conversione in legge del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo (scadenza: 23 giugno 2017 - da inviare al Senato);

Disegno di legge S. 2085 - Legge annuale per il mercato e la concorrenza (collegato) (approvato dalla Camera, ove trasmesso dal Senato);

Proposta di legge n. 2352 e abbinate - Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica;

Seguito dell'esame delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-01582, Allasia ed altri n. 1-01549, Donati ed altri n. 1-01542, Della Valle ed altri n. 1-01565 e Laffranco ed altri n. 1-01610 concernenti iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein;

Seguito dell'esame delle proposte di legge:

n. 4130 e abbinate - Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, concernenti i delitti di truffa e di circonvenzione di persona incapace commessi in danno di persone ultrasessantacinquenni;

n. 4002 - Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni, in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale (ove concluso dalla Commissione);

n. 4388 - Modifica dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e altre disposizioni concernenti la tutela dei lavoratori dipendenti in caso di licenziamento illegittimo (ove concluso dalla Commissione) (A.C. 4388);

Nel corso della settimana potrà avere luogo il seguito dell'esame di argomenti previsti nella settimana precedente e non conclusi.

Lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (question time) avrà luogo il mercoledì (dalle ore 15).

Lo svolgimento di interpellanze urgenti avrà luogo, di norma, il venerdì (dalle ore 9,30).

Il martedì, di norma, tra le ore 9 e le ore 11, avrà luogo lo svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

La Presidente si riserva di inserire nel calendario l'esame di ulteriori progetti di legge di ratifica licenziati dalle Commissioni e di ulteriori documenti licenziati dalla Giunta per le autorizzazioni.

L'organizzazione dei tempi per la discussione degli argomenti iscritti nel calendario sarà pubblicata nell'Allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

Per quanto riguarda l'esame dei progetti di legge nn. 3139-B, 4368, 4410 e abb., 338 e abb., S. 2643, 2354-A/R, S. 2085, 2352 e abb., 4130 e abb., 4002 e 4388, l'organizzazione dei tempi sarà valutata sulla base del testo che verrà licenziato dalle competenti Commissioni di merito.

Il programma s'intende conseguentemente aggiornato.

Interventi di fine seduta (ore 19,27).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lodolini. Ne ha facoltà.

EMANUELE LODOLINI. Grazie Presidente. L'Italia ha perso uno degli sportivi più amati, il ciclista Michele Scarponi, figlio delle Marche, protagonista sulle strade di tutto il mondo. “L'aquila di Filottrano” se ne è andata, facendo quello che amava fare, nel comune che amava, dove viveva e che riteneva il più bello del mondo.

Il pensiero va alla famiglia, certamente, ma deve andare a tutto lo sport. Esempi di sacrifici e dignità e professionalità e umiltà, come quelli di Scarponi, devono essere esempio per le giovani generazioni, ad impegnarsi per realizzare i propri sogni, proprio come è riuscito a fare Michele. Non lasciatevi ingannare dall'eco mediatico di questi giorni e di queste ore. Non sono state spese parole di circostanza per la sua morte. Posso testimoniarlo direttamente, avendolo conosciuto. Scarponi era uno sportivo di altissimo profilo morale, un capitano, sempre sorridente, padre e marito esemplare, ma soprattutto un uomo vero, stimato, benvoluto, anche da quei ciclisti che Michele ha battuto tante volte: non solo, quindi, dai compagni di squadra e da coloro alla cui vittoria, da gregario, e quindi al cui servizio ha contribuito.

In quest'Aula tante volte richiamiamo l'orgoglio di essere italiani, giustamente. Oggi vi chiedo di unirci tutti in un grande applauso da rivolgere a Scarponi, l'uomo, prima ancora che lo sportivo, fiero della sua patria, del suo territorio, orgoglioso di rappresentare l'Italia in tutto il mondo.

Ieri al funerale c'era uno striscione. Quello striscione, molto bello, con una frase molto importante, recitava: “Le ali spiegherai e ovunque tu sarai un'aquila in volo che sempre più in alto si innalzerà”. Grazie Michele, ciao Michele (Applausi)!

PRESIDENTE. Sullo stesso argomento ha chiesto di intervenire l'onorevole Vezzali.

MARIA VALENTINA VEZZALI. Grazie, Presidente. Colleghi, a conclusione di questi lavori di Aula sono a rivolgere e a chiedervi un commosso saluto istituzionale ad un atleta che ha onorato l'Italia: Michele Scarponi. Ciclista professionista, atleta della nazionale, vincitore del Giro d'Italia del 2011. Come a tutti è tristemente noto, sabato mattina ha trovato la morte in seguito ad un incidente stradale occorso durante una sessione di allenamento lungo le strade della sua città, Filottrano. La notizia ha commosso l'Italia sportiva e non. Michele era entrato nel cuore degli appassionati di ciclismo e di tutti gli amanti dello sport italiano, grazie al suo sorriso e alla sua grande capacità di sacrificio. È stato fidato gregario, uomo di punta e ora capitano della sua squadra, l'Astana, che si preparava ad affrontare il suo ennesimo giro d'Italia, un uomo solare e brillante che ha portato in sella alla sua bici la tenacia del popolo marchigiano che fa del sacrificio e della voglia di scalare ogni montagna un elemento distintivo. Sono mesi difficili per la terra delle Marche e in Michele Scarponi i marchigiani avevano visto il simbolo di chi non molla mai e non lesina sacrifici e impegno per giungere al traguardo. Personalmente, da marchigiana e da sportiva, non posso che ricordare commossa l'atleta ma anche l'uomo, che lascia una moglie, due gemellini ed un vuoto incolmabile nel ciclismo e nello sport italiano. L'Italia non lo dimenticherà (Applausi).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Vezzali. La Presidenza si unisce al ricordo. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Burtone.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Presidente, intervengo per sollecitare la risposta della Ministra della salute ad una mia interrogazione che fa riferimento alla notizia di oggi, del fermo predisposto dalla procura della Repubblica di Torino nei riguardi del dottor Vannoni, meglio noto come quello della cura Stamina. Pare dalle notizie di stampa che stesse preparando un'attività all'estero per somministrare queste sostanze, considerate dannose in Italia, per cittadini italiani. Ricordo che verso la fine della legislatura precedente e all'inizio di questa legislatura il Parlamento è stato quasi assediato, la Commissione affari sociali è stata fortemente pressata perché si predisponesse una sperimentazione sulla cura della Stamina predisposta dal dottor Vannoni, e tale sperimentazione è stata portata avanti con soldi pubblici ed è stato dimostrato dal mondo scientifico che è dannosa per i pazienti. Pertanto ho chiesto nella mia interrogazione alla Ministra di predisporre un piano informativo, perché già nei social sono presenti notizie tendenziose ed è opportuno fare verità rispetto ad alcune terapie miracolistiche che fanno solo male, ed è crudele speculare sulla salute dei cittadini.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ciprini. È assente: s'intende che vi abbia rinunciato.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Palmizio. Ne ha facoltà.

ELIO MASSIMO PALMIZIO. Grazie Presidente, volevo solo comunicare all'Assemblea che oggi in tarda mattinata ci ha lasciati Giorgio Guazzaloca, già sindaco di Bologna. Giorgio Guazzaloca è nato come beccaio, si dice a Bologna, ossia macellaio. La corporazione dei beccai a Bologna è stata molto importante sia nel Medio Evo sia nel Rinascimento: tant'è che, per fare un esempio, soltanto la famiglia Bentivoglio prima era famiglia di macellai, poi notai e poi signori di Bologna nel Rinascimento. Lui fu rappresentante di questa categoria, poi lavorò all'Ascom, poi alla Camera di Commercio come presidente e fu eletto primo sindaco dal dopoguerra non - non dico comunista - di centrosinistra, appoggiato da una coalizione di centrodestra ma totalmente libero da qualunque vincolo di partito politico. Ha governato bene. Purtroppo si ammalò l'anno successivo la sua elezione di un mieloma multiplo e ha combattuto questa battaglia per la salute per moltissimi anni, fu poi sconfitto successivamente e si occupò di Antitrust, si occupò di board di Mediobanca; e anche quando si ritirò dalla vita attiva politica non mancava di dare un suo contributo al dibattito politico e sociale bolognese con i suoi interventi assolutamente precisi, ponderati ed efficaci sul nostro quotidiano che è Il Resto del Carlino.

È un uomo che ha amato Bologna più di se stesso. Bologna ha perso un uomo che l'ha amata moltissimo, sia la città sia i nostri concittadini bolognesi. I bolognesi e io per primo abbiamo perso un amico vero, una persona di cui abbiamo avuto e abbiamo ancora profonda stima (Applausi).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Palmizio. Ha chiesto di parlare sullo stesso argomento l'onorevole Zampa. Ne ha facoltà.

SANDRA ZAMPA. La ringrazio, signor Presidente, voglio unirmi anch'io al cordoglio della città per la scomparsa di Giorgio Guazzaloca. È stato certamente una personalità che ha segnato la storia della città bolognese, del capoluogo bolognese. I cittadini di Bologna sapevano sempre dove incontrarlo ed era memorabile il modo con cui colloquiava con tutti seduto allo stesso tavolino dello stesso bar con un pacco di giornali in mano, che lui sosteneva di non leggere mai ma che in realtà conosceva e leggeva riga per riga. Giorgio Guazzaloca ha vissuto una grande gavetta e credo che nel consenso che si guadagnò, quando seppe espugnare - si scrisse così allora - la città dalla tradizionale presenza del centrosinistra, lo abbia fatto anche perché gli era stata riconosciuta proprio questa gavetta. Credo che abbia rappresentato un grande stimolo anche per gli sconfitti e abbia avuto molto da dire ad una città che certamente ha molto amato tanto che oggi dalle colonne delle agenzie, sulle pagine che le agenzie di stampa gli stanno dedicando lo si descrive quasi come se fosse un pezzo della Torre degli Asinelli, davvero un bolognese doc. Ci stringiamo alla sua famiglia, alla moglie e ai suoi figli e naturalmente plaudiamo alla decisione che il sindaco di Bologna ha preso di allestire la Sala Rossa dove la città potrà salutarlo (Applausi).

PRESIDENTE. Ringrazio lei, onorevole Zampa, e l'onorevole Palmizio. La Presidenza si unisce al ricordo.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Giovedì 27 aprile 2017, alle 9:

  (ore 9 e ore 16,30)

1.  Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in vista del Consiglio europeo straordinario del 29 aprile 2017.

2.  Seguito della discussione delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-01511, Di Vita ed altri n. 1-00293, Lenzi ed altri n. 1-01437, Cimbro ed altri n. 1-01494, Rondini ed altri n. 1-01567, Gregori ed altri n. 1-01568, Palese ed altri n. 1-01570, Vargiu ed altri n. 1-01572, Calabrò e Bosco n. 1-01573, Gigli ed altri n. 1-01574, Rampelli ed altri n. 1-01575, Centemero e Occhiuto n. 1-01576 e Binetti ed altri n. 1-01614 concernenti iniziative volte alla prevenzione dell'HIV/AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili.

3.  Seguito della discussione della proposta di legge:

DAMBRUOSO ed altri: Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 3558-A)

Relatori: POLLASTRINI, per la maggioranza; LA RUSSA, di minoranza.

4.  Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 119-1004-1034-1931-2012 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: D'ALI'; DE PETRIS; CALEO; PANIZZA ed altri; SIMEONI ed altri: Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 4144-A)

e delle abbinate proposte di legge: TERZONI ed altri; MANNINO ed altri; TERZONI ed altri; BORGHI ed altri. (C. 1987-2023-2058-3480)

Relatore: BORGHI.

5.  Seguito della discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-01525, Palese ed altri n. 1-01545, Sorial ed altri n. 1-01546, Franco Bordo ed altri n. 1-01548, Allasia ed altri n. 1-01550 e Marcon ed altri n. 1-01555 concernenti iniziative volte all'estensione dei cosiddetti poteri speciali del Governo al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle aziende italiane di rilevanza strategica.

6.  Seguito della discussione dei disegni di legge:

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Emirati Arabi Uniti, nell'ambito della cultura, arte e patrimonio, fatto a Dubai il 20 novembre 2012; b) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Malta in materia di cooperazione culturale e di istruzione, fatto a Roma il 19 dicembre 2007; c) Accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Montenegro, fatto a Podgorica il 26 settembre 2013; d) Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Senegal, fatto a Roma il 17 febbraio 2015; e) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovacca sulla cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologia, fatto a Bratislava il 3 luglio 2015; f) Accordo di collaborazione nei settori della cultura e dell'istruzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia, fatto a Roma l'8 marzo 2000. (C. 3980-A)

Relatore: FEDI.

S. 2194 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Barbados per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, fatta a Barbados il 24 agosto 2015 (Approvato dal Senato). (C. 4226)

Relatrice: LA MARCA.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Costa Rica sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Allegato, fatto a Roma il 27 maggio 2016. (C. 4254)

Relatrice: LA MARCA.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo euromediterraneo nel settore del trasporto aereo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Governo dello Stato d'Israele, dall'altro, fatto a Lussemburgo il 10 giugno 2013; b) Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e la Repubblica moldova, fatto a Bruxelles il 26 giugno 2012; c) Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, con Allegato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011, e Accordo addizionale fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, riguardante l'applicazione dell'Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011. (C. 2714)

Relatore: FEDI.

7.  Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

FIORIO ed altri; CASTIELLO ed altri: Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico. (C. 302-3674-A)

Relatrice: TERROSI.

8.  Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. (C. 4314-A)

e dell'abbinata proposta di legge: GIANLUCA PINI ed altri. (C. 4252)

Relatrice: PICCOLI NARDELLI.

9.  Seguito della discussione della proposta di legge:

ERMINI: Modifica all'articolo 59 del codice penale in materia di legittima difesa. (C. 3785-A/R)

e delle abbinate proposte di legge: MOLTENI ed altri*; LA RUSSA ed altri; MAROTTA e SAMMARCO;   MOLTENI ed altri; FAENZI; GELMINI ed altri; GREGORIO FONTANA ed altri; FORMISANO e PORTAS; MOLTENI ed altri. (C. 2892-3380-3384-3419-3424-3427-3434-3774-3777)

Relatori: ERMINI, per la maggioranza; LA RUSSA e MOLTENI, di minoranza.

*Tutti i deputati firmatari della proposta di legge hanno ritirato la propria sottoscrizione dopo la conclusione dell'esame in sede referente.

10.  Seguito della discussione delle mozioni Marcon ed altri n. 1-01589, Capezzone ed altri n. 1-01600, Caso ed altri n. 1-01601, Melilla ed altri n. 1-01602, Brunetta n. 1-01604 e Guidesi ed altri n. 1-01609 concernenti la questione dell'inserimento del cosiddetto Fiscal compact nei Trattati europei, nonché le politiche economiche e di bilancio dell'Unione europea.

11.  Seguito della discussione delle mozioni Rosato ed altri n. 1-01508, Binetti ed altri n. 1-01558, Cominardi ed altri n. 1-01559, Rampelli ed altri n. 1-01561, Ricciatti ed altri n. 1-01562, Palese ed altri n. 1-01571, Allasia ed altri n. 1-01607 e Catalano ed altri n. 1-01608 in materia di robotica ed intelligenza artificiale.

12.  Seguito della discussione del disegno di legge:

Delega al Governo in materia di amministrazione straordinaria delle grandi   imprese in stato di insolvenza (Già articolo 15 del disegno di legge n. 3671, stralciato con deliberazione dall'Assemblea il 18 maggio 2016). (C. 3671-ter-A)

  e dell'abbinata proposta di legge: ABRIGNANI ed altri. (C. 865)

Relatore: BENAMATI.

13.  Seguito della discussione delle mozioni Brescia ed altri n. 1-01439, Palese ed altri n. 1-01603, Binetti ed altri n. 1-01606, Andrea Maestri ed altri n. 1-01611, Carnevali ed altri n. 1-01612 e Rondini ed altri n. 1-01613 relative al funzionamento dei cosiddetti centri hotspot per i migranti.

14.  Seguito della discussione della proposta di legge:

ARLOTTI ed altri: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione. (C. 1202-A)

e dell'abbinata proposta di legge: GIANLUCA PINI ed altri. (C. 915)

Relatori: MATTEO BRAGANTINI e FABBRI.

  (ore 15)

15.  Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 19,40.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: DANIEL ALFREIDER (DOC. LVII, N.5)

DANIEL ALFREIDER. (Dichiarazione di voto – Doc. LVII, n. 5) Grazie Presidente, Sottosegretario, onorevoli colleghi, il Documento di economia e finanza presentato dal governo, impone alle forze politiche una valutazione che sia responsabile ma soprattutto chiara in ordine alle priorità ed alle responsabilità da assumere.

Il quadro macroeconomico, gli obiettivi di finanza pubblica, la priorità attribuita alla crescita ed alla competitività e produttività delle imprese, il sostegno a innovazione e flessibilità nelle politiche attive per il lavoro, il rilancio degli investimenti pubblici e privati, in primo luogo attraverso la realizzazione delle opere infrastrutturali ed una più efficiente programmazione delle opere, richiedono soprattutto stabilità del quadro politico e capacità di guardare al bene comune indipendentemente dalle diverse ideologie politiche. Il rischio politico cui il ministro Padoan ha fatto riferimento, siamo convinti, abbia le nostre medesime preoccupazioni: occorre con decisione fermare le spinte anti-sistema.

Non vi sono rendite politiche compatibili con l'esigenza di sostenere l'economia reale, il sostegno alle famiglie.

Il Paese, come ha affermato il Ministro Padoan, è di fronte ad un sentiero stretto ed i limiti strutturali che hanno determinato una crescita debole devono essere affrontati con una maggiore velocità di marcia. Occorre con equilibrio continuare a far coesistere misure di risanamento dei conti pubblici, con aggiustamenti graduali di bilancio, e politiche di sostegno della crescita. Gli effetti di tale equilibrio impongono una visione di medio periodo che va tutelata sotto il profilo politico. Le contrapposizioni politiche sterili non hanno diritto di cittadinanza. A condizione, ad esempio, che si abbia una legge elettorale che premi stabilità e governabilità. Ciò che noi, allo stato, non abbiamo. Noi dobbiamo partire proprio da questo fatto. Dobbiamo essere in grado di colmare il Gap con gli altri paesi europei e competere con loro. Dobbiamo essere parte di quei paesi che credono nel progetto europeo e che vogliono riformarne le istituzioni e le politiche per un futuro comune. La situazione è critica anche in altri paesi europei, come per esempio la Francia, ma almeno loro hanno una legge elettorale.

Il sostegno alle imprese, va sostenuto con incentivi soprattutto alla semplificazione, alla flessibilità e all'innovazione. Ciò richiede adeguate politiche fiscali. La riduzione del cuneo fiscale, che possa favorire anzitutto donne e giovani, è un punto decisivo. La scelta di destinare l'incremento di gettito prodotto dalla lotta all'evasione alla riduzione delle imposte per le imprese va rafforzata. Condividiamo altresì l'obiettivo del governo di operare al fine di evitare, nella misura massima possibile, l'aumento delle imposte previsto dalle clausole di salvaguardia, che avrebbero un impatto negativo sul Pil e di individuare, dunque, scelte alternative con la prossima legge di bilancio. Le misure di “Finanza per la crescita” devono dunque essere ulteriormente sviluppate.

Il miglioramento dei dati economici è strettamente intrecciato al completamento ed all'ampliamento delle riforme attese dal Paese. Ne siamo consapevoli e condividiamo, per tale ragione, l'impostazione del Documento di economia e finanza.

SEGNALAZIONI RELATIVE ALLE VOTAZIONI EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA

  Nel corso della seduta sono pervenute le seguenti segnalazioni in ordine a votazioni qualificate effettuate mediante procedimento elettronico (vedi Elenchi seguenti):

  nella votazione n. 1 il deputato Franco Bordo ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole;

  nella votazione n. 1 le deputate Chimienti e Marzana hanno segnalato che non sono riuscite ad esprimere voto contrario.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nominale Doc LVII, 5 - Ris Rosato e a 6-311 439 434 5 218 284 150 82 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.