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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 772 di lunedì 3 aprile 2017

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

La seduta comincia alle 14,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 27 marzo 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Artini, Basilio, Bellanova, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Paola Boldrini, Bonifazi, Franco Bordo, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Cariello, Caruso, Casero, Castiglione, Catalano, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Duranti, Fantinati, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Gallinella, Garofani, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Grillo, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Mongiello, Moscatt, Orlando, Pastorelli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rizzo, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Tabacci, Velo, Vignali e Zardini sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente novantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-01511, Di Vita ed altri n. 1-00293, Lenzi ed altri n. 1-01437, Cimbro ed altri n. 1-01494, Rondini ed altri n. 1-01567 e Gregori ed altri n. 1-01568 concernenti iniziative volte alla prevenzione dell'HIV/AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili (ore 14,32).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-01511, Di Vita ed altri n. 1-00293 (Nuova formulazione), Lenzi ed altri n. 1-01437, Cimbro ed altri n. 1-01494, Rondini ed altri n. 1-01567 e Gregori ed altri n. 1-01568, concernenti iniziative volte alla prevenzione dell'HIV/AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Palese ed altri n. 1-01570 (Vedi l'allegato A) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

Avverto, altresì, che sono state presentate una ulteriore nuova formulazione della mozione Di Vita ed altri n. 1-00293 e una nuova formulazione della mozione Lenzi ed altri n. 1-01437 (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritta a parlare la deputata Giulia Di Vita, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00293 (Ulteriore nuova formulazione). Ne ha facoltà.

GIULIA DI VITA. Grazie, Presidente. La mozione che ho presentato era stata già depositata all'inizio di questa legislatura, in attesa di essere inserita all'ordine del giorno. Sono passati, infatti, quasi quattro anni e lo scenario complessivo odierno, purtroppo, non è cambiato di molto rispetto ad allora. Infatti, proprio per questo, ritengo che un tema del genere meritasse prioritariamente maggiori sensibilità e attenzione da parte delle istituzioni, ma comunque meglio tardi che mai.

Non voglio dilungarmi in questa sede riportando dei dati già ampiamente illustrati ed evidenziati nel testo della mozione, mi limito solo ad evidenziare gli aspetti più salienti e che toccano la vita concreta delle persone. In particolare, non ci stancheremo mai di ricordare che, a differenza di quanto si possa credere, ovvero che l'AIDS sia una malattia ormai superata, nel novembre 2016, appena trascorso, l'Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un alert nei confronti della regione europea, che comprende anche Russia e Repubbliche ex sovietiche, denunciando che, nel territorio di competenza, l'HIV risulta ancora oggi fuori controllo. Infatti, per la prima volta, la regione presa ad esame ha superato i 2 milioni di sieropositivi, con un aumento del 7 per cento rispetto all'anno precedente e con l'80 per cento dei nuovi casi che si concentra ad est.

Per l'Italia, comunque, dagli ultimi dati raccolti dall'Istituto superiore di sanità, emerge che nel 2015 sono state segnalate 3.444 nuove diagnosi di infezioni da HIV, il valore più basso dal 2009, pari a 5,7 nuovi casi per 100 mila residenti. Questa incidenza pone l'Italia al tredicesimo posto tra le nazioni dell'Unione europea. Le regioni con l'incidenza più alta sono state il Lazio, la Lombardia, la Liguria e l'Emilia Romagna.

Il nostro Paese fa segnare, dunque, un lieve calo nel dato complessivo relativo alle nuove diagnosi HIV, ma ciò non è sufficiente. Come spesso accade in tema di salvaguardia della salute e accesso alle cure, si registra la solita disomogeneità di trattamento da regione a regione. Infatti, riferendomi, ad esempio, alla fattispecie siciliana, proprio nel 2015 è possibile osservare il secondo valore maggiormente elevato di nuove diagnosi dal 2009: 223, dato in calo rispetto alle 233 del 2014, valore che rappresenta bene il 6,9 per cento delle diagnosi segnalate a livello nazionale.

Addirittura, Palermo rientra tra le prime quattordici province in cui è maggiore la segnalazione di nuove diagnosi di diffusione dell'infezione; per la precisione, il capoluogo si colloca al sesto posto, con 104 segnalazioni, quasi il 47 per cento delle segnalazioni provenienti dall'intera Sicilia, pari a un'incidenza di 8,2 nuovi casi di infezione ogni 100 mila residenti.

Particolarmente interessante è l'osservazione della differenza tra il numero dei casi residenti e quello dei casi segnalati. Infatti, tale discrepanza fornisce informazioni utili sulla mobilità degli individui e sull'offerta assistenziale di alcune regioni. Le regioni che hanno un numero di casi residenti maggiore rispetto ai casi segnalati, ovvero Piemonte, Valle D'Aosta, provincia autonoma di Trento, Veneto, Marche, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, hanno esportato casi in termini assistenziali. Viceversa, quelle con più casi segnalati rispetto ai casi residenti, ovvero Liguria, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio e Abruzzo ne hanno importati da altre regioni.

Dunque, ancora una volta, la sanità siciliana, come altre regioni per la maggior parte del sud, risulta inefficiente e spinge i propri malati a cercare altrove le necessarie cure. Infatti, è proprio nella mia regione che si rileva il più elevato gap tra numero di malati residenti e malati segnalati. In particolare, rispetto ai 238 casi di infezioni di HIV, sono 223 i malati curati nella stessa Sicilia, con una quota pari a 15 pazienti costretti a curarsi altrove.

D'altra parte, troviamo le regioni virtuose, che si sono sempre distinte per mobilità attiva e che confermano tale trend, accogliendo più pazienti affetti da HIV di quanti siano effettivamente residenti sul territorio. In particolar modo spicca la Lombardia, con 829 pazienti curati, contro i 794 residenti sul territorio, e l'Emilia Romagna, con 322 pazienti curati e 794 residenti.

Questa è la sintesi del quadro generale. Passiamo ora alle azioni concrete da mettere in campo.

Il focus principale dell'odierna lotta all'AIDS è il cosiddetto fenomeno del sommerso, rappresentato sia da chi non ha consapevolezza di avere contratto il virus e il numero di italiani che, pur consapevoli della loro condizione di salute, non entrano nei percorsi di cura o li interrompono. La stima riguardo questi ultimi casi è del 15 per cento dei 120 mila affetti dal virus. Parliamo, quindi, di circa 18 mila persone che volontariamente rifiutano di curarsi.

In particolare, come illustrato perfettamente dalla LILA, la Lega italiana per la lotta contro l'AIDS, riguardo il primo caso, secondo le stime effettuate, potrebbero esserci anche 40-50 mila persone che ancora oggi non sanno di avere l'HIV. Questo è il nodo molto grave: non sanno di avere l'HIV e quindi non adottano comportamenti protetti. Per la Lega italiana per la lotta contro l'AIDS, questi inconsapevoli si raggiungono aumentando in modo deciso l'offerta del test, mantenendolo gratuito e anonimo, e portandolo fuori dai circuiti ospedalieri, com'è scritto proprio nel Piano nazionale di lotta all'HIV/AIDS, appena emanato dal Governo.

Riguardo, invece, il secondo caso, le persone sieropositive di cui si perdono le tracce sono composte da chi si trasferisce, chi ha problemi a seguire il trattamento perché magari ha difficoltà legate agli effetti del trattamento stesso, oppure difficoltà ad accettare la condizione di positività all'HIV. In qualche caso, magari, non si sentono molto accolti: per esempio, in centri di cura in provincia, in centri molto piccoli, talvolta le persone hanno difficoltà perché è ancora molto forte lo stigma, la paura che si sappia che si ha l'HIV.

Mi preme a questo punto far presente che una recente indagine condotta da Doxa per il Cesvi ha rivelato che in Italia sono soprattutto i giovani a sottovalutare i rischi della malattia: uno su tre pensa che esiste ma che è tenuta sotto controllo e non fa quasi più vittime; un giovane su cinque è a rischio perché non ne ha sentito parlare a scuola e solo raramente sui media; solo il 35 per cento dei ragazzi e delle ragazze in Italia, nonostante sappiano perfettamente che la via di trasmissione principale è quella sessuale, usa abitualmente il preservativo nelle proprie relazioni e solo il 29 per cento dichiara di avere fatto il test dell'HIV; le giovani donne si espongono maggiormente al rischio, sentendosi protette da una relazione stabile.

I dati suddetti sono soprattutto la diretta conseguenza della mancanza di qualsiasi forma di educazione alla sessualità nelle scuole e, in particolare, del tabù che continua a limitare l'uso del preservativo.

Riteniamo, invece, che la scuola meriti di essere considerata il luogo privilegiato per attuare un metodo partecipativo che consenta di raggiungere obiettivi comportamentali che siano determinanti nel prevenire e conservare la salute. Nelle scuole e nelle università si registra, di contro, la totale mancanza di distributori di preservativi. Acquistarli, risulta, poi, ancora troppo caro per un'ampia fascia di cittadini.

Il preservativo maschile e femminile, unico metodo per prevenire tutte le malattie a trasmissione sessuale e insieme le gravidanze non desiderate, è un presidio sanitario e, per tale ragione, deve esserne garantita l'accessibilità a tutti. Elencare i preservativi tra i farmaci prescrivibili, effettuare campagne nelle scuole e per il pubblico generalista e inserire l'educazione alla sessualità, utile anche contro la discriminazione di genere e per l'orientamento sessuale, sono la base minima per una politica seria per la salute della popolazione relativa alle malattie sessualmente trasmissibili.

Quanto al mondo lavorativo, poi, l'infezione da HIV non è tuttora considerata una normale patologia cronica appartenente alla categoria delle malattie sessualmente trasmissibili. Anche in questo campo, a causa della disinformazione e dei soliti luoghi comuni, questa malattia provoca un processo di stigmatizzazione e discriminazione, licenziamenti, trasferimenti e cambi di mansioni del tutto illegittimi e immotivati.

A tale proposito, va opportunamente detto che davanti a noi si prospetta una buona opportunità per tramutare tali obiettivi in realtà concrete. L'Italia, infatti, si è da pochissimo dotata di un piano nazionale di interventi contro HIV e AIDS, valido per il triennio 2017-2019, da poco inviato dal Ministero della salute alle regioni per essere esaminato in sede di Conferenza. Tra i temi principali oggetti del piano abbiamo quello dell'informazione, della prevenzione innovativa, dell'accesso ai test HIV e ai trattamenti del mantenimento in cura, della TSP, ovvero terapia come prevenzione, della lotta allo stigma e alle discriminazioni. Tra i principali obiettivi del piano c'è, infatti, quello di ampliare e facilitare l'accesso al test per aumentare i casi di HIV diagnosticati, fino a rendere consapevoli del proprio stato il 90 per cento delle persone con HIV.

Il risultato atteso è dichiaratamente quello di proteggere la salute dei singoli, consentendo loro un accesso tempestivo alle cure, dimezzando il fenomeno delle diagnosi tardive e raggiungendo, per oltre il 90 per cento dei pazienti in trattamento, la soppressione della carica virale. In quanto Stato membro dell'ONU, infatti, l'Italia aderisce proprio gli obiettivi di UNAIDS, per la sconfitta del virus entro il 2030; obiettivi che prevedono, tra l'altro, proprio quello di rendere consapevole del proprio stato sierologico almeno il 90 per cento delle persone con HIV.

Oggi, invece, nel nostro Paese, almeno una persona con HIV su quattro non conosce il proprio stato sierologico e circa la metà delle persone che hanno contratto il virus scopre molto tardi il proprio stato, fattore che pregiudica l'efficacia delle terapie e che può favorire la diffusione del virus.

La riduzione degli ostacoli per l'accesso al test per l'HIV e la conseguente diagnosi precoce rappresentano l'unica possibilità per offrire adeguate cure al sieropositivo. Numerosi nuovi casi di sieropositività potrebbero essere facilmente scongiurati attraverso l'informazione ai comportamenti corretti, attività di prevenzione fondamentale con programmi di educazione sanitaria alla popolazione, rivolti ai giovani, in particolare, garantiti nel tempo e costanti nella loro applicazione.

Lo Stato deve, dunque, intervenire per assicurare il dovuto supporto, soprattutto psicologico, a chi ricorre al Self Test, anche sulla base dell'approccio Community Based, indicato proprio dal piano nazionale già citato, nonché ampliare e migliorare l'offerta del test per l'HIV nelle strutture pubbliche, eliminando le barriere che ne limitano l'accesso, a partire dal mancato rispetto dell'anonimato.

L'ultimo, e non per questo meno importante, ma, anzi, direi, fondamentale, è l'aspetto economico. Infatti, come denunciato sempre dalla LILA, l'ultima volta che il Ministero ha messo in campo 15 milioni di euro nel 2012, purtroppo, le regioni li hanno utilizzati per fare altro. È stato, quindi, chiesto l'intervento del presidente della Corte dei conti, che ha aperto una procedura che ancora non si è chiusa. Infatti, la criticità principale, nonostante la redazione e l'approvazione del piano nazionale, resta comunque quella delle risorse finanziarie necessarie a rendere le azioni proposte immediatamente attuabili. Al momento, non è stato, infatti, annunciato dal Governo nessuno stanziamento specifico a supporto di un piano che, nel medio termine, potrebbe portare a risultati molto positivi, sia per la salute dei cittadini, sia per i costi sociali e sanitari.

Ci auguriamo, pertanto, e chiediamo, qui, oggi, che questo Governo si impegni a dare in tempi brevi piena attuazione al piano nazionale di interventi contro HIV e AIDS, valido per il triennio 2017-2019, prevedendo, a tal fine, l'apposito stanziamento e la stabilizzazione, almeno per il prossimo triennio, delle risorse finanziarie necessarie a rendere le azioni proposte immediatamente attuabili e a darne puntuale notizia tramite report disponibili anche on line sui siti web istituzionali, possibilmente suddivisi per regione, per rendere immediatamente individuabili eventuali discrepanze e inefficienze (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maria Amato, che illustrerà anche la mozione Lenzi ed altri n. 1-01437 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARIA AMATO. Grazie, Presidente. Parliamo di AIDS e ne parliamo a quattro mesi dalla Giornata mondiale per la lotta all'AIDS; vi faccio riferimento, perché la mozione che abbiamo presentato cita nelle premesse questo passaggio ed è un bene, perché questo rappresenta un momento intermedio di discussione e di comunicazione e ogni momento è buono per accendere i riflettori su questa patologia.

L'idea di una Giornata mondiale contro l'AIDS ha avuto origine su spinta dell'Organizzazione mondiale della sanità al summit mondiale dei Ministri della salute, sui programmi per la prevenzione dell'AIDS del 1988 ed è stata, in seguito, adottata da Governi, organizzazioni internazionali e associazioni di tutto il mondo.

Il 1° dicembre del 1988 si è, quindi, celebrata la prima Giornata mondiale contro l'AIDS, il cui tema è stato la “comunicazione”, per sottolineare l'importanza dell'informazione nella lotta al virus dell'HIV, informazione che non si può limitare a siti da cercare, per quanto ricchi e per quanto chiari, ma il sistema della comunicazione deve raggiungere le persone, deve raggiungere una platea elevatissima per essere significativo come azione rispetto alle malattie virali.

La Giornata mondiale contro l'AIDS, indetta ogni anno il 1° dicembre, è, quindi, dedicata ad accrescere la coscienza dell'epidemia mondiale dell'AIDS dovuta alla diffusione del virus dell'HIV. Dal 1981 l'AIDS ha rappresentato una delle epidemie più distruttive che la storia ricordi, per quanto, in tempi recenti, l'accesso alle terapie e ai farmaci antiretrovirali abbia concesso un miglioramento in termini di sopravvivenza e, soprattutto, di andamento della malattia, in molte regioni del mondo.

L'epidemia di AIDS ha mietuto milioni di vittime, molte delle quali bambini. Erano gli anni di “Philadelphia” - il film che ha portato alla ribalta il fatto che una malattia virale non fosse solo una malattia dei poveri ed è questo che ha scosso le coscienze del mondo -, dell'annuncio al mondo della ferocia del virus HIV di Freddie Mercury, di Magic Johnson. Un'angoscia condivisa che, andando oltre l'assuefazione dei milioni di morti dell'Africa, ha avuto nella tragedia un formidabile impatto comunicativo.

Ora, quando lo stupore è passato, quando si passa dall'epidemia alla cronicità, si sono quasi spenti, pericolosamente, i riflettori, ma non si deve abbassare la guardia e non si può abbassare la guardia. Gli americani, che indicavano nell'AIDS la massima emergenza sanitaria per il 46 per cento, ad oggi, sono il 6 per cento. Le notizie che riguardano la sindrome da HIV sono ridotte ad un quinto rispetto al volume della fine degli anni Ottanta e le pubblicazioni scientifiche ci avvertono che i progressi nel trattamento della malattia stanno riportando un clima di pericolosissima spensieratezza.

Purtroppo, oggi, la bassa percezione del rischio di ammalarsi di AIDS è un problema sicuramente mondiale, così come il fatto che moltissime persone siano inconsapevoli di essere infette, anche perché, in alcuni casi, il virus non mostra sintomi anche per molti anni.

Non c'è una piena e consapevole percezione del rischio: servirebbe un ruolo più attivo della scuola, ma anche dei mezzi di informazione, che hanno abbassato l'attenzione sull'AIDS, non raccontano più notizie e storie, ma, se capitano, usano termini come “peste”, “untore”, che non aiutano la presa di coscienza, ma esasperano l'esclusione. Così cala il sipario.

Con la nostra mozione chiediamo al Governo di ravvivare campagne informative e di Pubblicità Progresso rivolte soprattutto ai giovani per diffondere la cultura e la conoscenza delle patologie sessualmente e parenteralmente trasmesse, ma anche per educare alle buone pratiche e alla prevenzione; di attivarsi con iniziative di informazione e comunicazione sia verso i cittadini che nei confronti della classe medica, affinché sia garantito il rispetto delle linee guida sulla gravidanza per quanto riguarda il test dell'HIV; di avviare, con il coinvolgimento dei ministeri interessati, i programmi nazionali per la prevenzione della trasmissione e il contrasto dello stigma sociale, veicolando messaggi tra i cittadini, soprattutto rivolti alle donne, elemento debole su questo argomento, nel mondo della scuola e nel mondo socio-sanitario; di adoperarsi affinché sia definitivamente operata l'unificazione dei due registri HIV e AIDS, al fine di poter rilevare con maggiore esattezza la diffusione dell'infezione. Non più, quindi, una malattia per popolazioni omogenee, tossicodipendenti e omosessuali: no, una malattia virale diffusa in ogni ambito.

Chiediamo soprattutto una più incisiva informazione, perché è la reale conoscenza del pericolo che ne riduce i rischi, in particolare, nella fascia degli adolescenti, che non utilizza o utilizza poco il profilattico, come è evidenziato da indagini conoscitive condotte nelle scuole: non sono spaventati dal pericolo del contagio e lamentano un elevato costo del profilattico. Ma non sono solo gli adolescenti: l'Italia, infatti, è l'ultimo Paese in Europa per uso del profilattico.

Oggi, in Italia, le persone con HIV sono oltre 90 mila, attualmente, in terapia o in contatto con centri specializzati. Si stima, però, che ce ne siano altre 20 mila o 30 mila che non sono consapevoli dell'infezione o non sono in contatto con i centri.

Delle circa 4 mila nuove diagnosi di infezione registrata ogni anno, oltre la metà è diagnosticata quando l'infezione è già in uno stadio avanzato. Secondo l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità, nel 2015, sono state segnalate 3.444 nuove diagnosi di infezione e le regioni in cui si è rilevata maggiore incidenza sono state il Lazio, la Lombardia, la Liguria e l'Emilia Romagna, a cui va aggiunto, però, un altro dato, che è l'incidenza rilevata sugli stranieri, che interessa Abruzzo, Molise, Sicilia e Sardegna, con la difficoltà, rispetto al rilievo della patologia su stranieri, legata alla mobilità sul territorio nazionale ed europeo.

I casi di HIV pediatrico, a causa della trasmissione materno-infantile, hanno avuto un incremento, tra il 2007 e il 2014, passando da quattro a nove casi. A tutt'oggi, resta scarsa la diffusione dell'uso dei test per HIV in gravidanza: associare un momento felice come la gravidanza e come l'idea di una nascita alla potenziale devastazione, che ancora è, come impatto comunicativo, quella della malattia trasmessa con HIV, rappresenta la difficoltà anche di approccio da parte dei ginecologi rispetto alle donne e, in questo caso, un ruolo forte lo giocherebbero i consultori, per cui, ancora una volta, si rappresenta la necessità di rafforzare la rete dei consultori, nata proprio per sostenere le donne nel percorso di una maternità responsabile e di prevenzione.

Il sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV e il sistema di sorveglianza dei casi di AIDS costituiscono due basi di dati che vengono permanentemente aggiornate dall'afflusso continuo delle segnalazioni inviate al Centro operativo AIDS dell'Istituto superiore di sanità, con l'obiettivo di avere un quadro aggiornato della frequenza e della distribuzione dei casi di malattia e dei casi di affezione dei portatori di HIV.

Non esistono dati oggettivi su quanti test per l'HIV vengano somministrati nel nostro Paese, né sono in diminuzione, poiché l'Osservatorio riceve le segnalazioni dei casi positivi, ma non di quelli negativi. Sono gli stessi responsabili del sistema di sorveglianza a parlare di dati certamente sottodimensionati.

La sovrapposizione di due analoghi sistemi di sorveglianza istituiti da due diverse leggi, come afferma la direttrice del Centro operativo AIDS dell'Istituto superiore di sanità in un'intervista, rischiano di ostacolare un rilievo preciso del dato, proprio per l'organizzazione della raccolta dati e per la rilevata mancata iscrizione nei due registri da parte degli operatori.

La precisione dei dati, la valutazione della incidenza di sieropositività nei luoghi di detenzione, l'associazione di HIV e dipendenza da sostanze stupefacenti, le problematiche acute dell'AIDS conclamato, la malattia in età pediatrica e in gravidanza, la terminalità in AIDS, la cronicizzazione dei quadri evocano la complessità del problema, che non si affronta solo con centri hub di malattie infettive, ma richiede una verifica delle reti regionali e dei modelli organizzativi per una risposta equa ed efficace; problematica che troverà il suo luogo idoneo di discussione in occasione della relazione sull'AIDS al Parlamento.

Lo stigma sociale, nonostante le tutele normative, resta uno degli aspetti dolorosi da affrontare per una malattia che non fa più morire, ma per cui si vive costantemente monitorati e si invecchia prima e male. L'isolamento, la depressione, in un deficit immunitario, sono un cocktail pericolosissimo. La discriminazione viene raccontata, talvolta denunciata, in ambito prevalentemente sanitario, qualche volta in quello scolastico, per fortuna progressivamente di meno in ambito lavorativo. La paura di essere rifiutati, anche nelle relazioni di coppia, supera il dovere di informare il partner rispetto alla sieropositività. Le persone con AIDS o affette da HIV, persone, ragazzi resi fragili da cure e paure, persone che non vanno lasciate sole e solo la conoscenza colma la distanza.

Chiudo con le parole di Henry Thoreau: “Non è mai troppo tardi per rinunciare ai nostri pregiudizi” (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sarebbe iscritta a parlare l'onorevole Cimbro, che però non vedo.

È iscritto a parlare l'onorevole Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01570. Ne ha facoltà.

ROCCO PALESE. Grazie, signora Presidente. Nonostante i progressi registrati in questi anni a livello globale, l'HIV continua a rappresentare un serio problema di sanità pubblica: nel 2015, secondo quanto riferito dall'Organizzazione mondiale della sanità, in occasione dell'edizione 2016 della Giornata mondiale contro l'AIDS, che ogni anno si svolge il 1° dicembre, l'epidemia globale di infezioni da HIV e AIDS ha registrato una battuta d'arresto rispetto agli ultimi venti anni.

In particolare, emerge come i programmi di prevenzione abbiano portato ad una riduzione del numero annuale di nuove infezioni da HIV, con una riduzione dell'incidenza del 35 per cento rispetto al 2000. È stata registrata una diminuzione del numero di decessi per cause correlate all'HIV - circa 1,1 milioni nel 2015 -, con una flessione del 45 per cento rispetto al 2005, grazie alla diffusione delle terapie antiretrovirali.

Per fare fronte alla diffusione dell'HIV, le Nazioni Unite, attraverso il programma UNAIDS, promuovono fin dal 2014 la strategia che mira a raggiungere l'obiettivo globale della eliminazione entro il 2030. Nell'ambito del semestre di Presidenza maltese del Consiglio dell'Unione europea, lo scorso gennaio, è stato organizzata, in collaborazione con il European centre for disease prevention and control, una conferenza sull'HIV, in cui esperti provenienti da tutti gli Stati dell'Unione hanno discusso le strategie comuni necessarie per raggiungere l'obiettivo nel 2030.

In Italia, in base ai dati pubblicati dall'Istituto superiore di sanità nel 2015, si sono registrate 3.444 nuove diagnosi di infezione da HIV, con un'incidenza di 5,7 nuovi casi per 100.000 residenti, con un lieve calo di nuove infezioni rispetto ai tre anni precedenti per tutte le modalità di trasmissione, tranne che per i maschi che fanno sesso con maschi. Per quanto attiene alle modalità di trasmissione, i dati del 2015 indicano come sia prevalente la via dei rapporti eterosessuali, seguita dai rapporti tra maschi che fanno sesso con maschi e dai consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva. Anche nel nostro Paese si registra la tendenza dell'ultimo decennio, con l'aumento dal 20,5 per cento del 2006 al 74 per cento del 2015, del numero di persone che giungono alla diagnosi già in stadio di Aids. Complessivamente, si stima che il numero di persone con infezione da HIV/Aids sia pari a circa 130.000, dei quali almeno 12-18 mila siano inconsapevoli di avere il virus, con grave pericolo per la propria salute e rischio per i propri partner sessuali. Il 20 marzo 2017 il Ministero della salute ha inviato alle regioni, per la prescritta intesa in sede di conferenza, il Piano nazionale HIV/Aids per il triennio 2017-2019, che ha l'obiettivo di ottenere un più generale allineamento delle politiche italiane, dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'Unione europea.

Siccome si tratta di un problema che prima si è manifestato in maniera drammatica, che in alcune zone del mondo si manifesta ancora in maniera drammatica, rispetto alla situazione del nostro sul Paese, riteniamo che allo stato attuale delle cose sia necessario impegnare il Governo ad assumere tutte le iniziative volte a sviluppare efficaci progetti di informazione e prevenzione dall'infezione da HIV e dalle patologie sessualmente trasmissibili rivolte ai giovani, con il coinvolgimento attivo delle istituzioni scolastiche, le fasce sociali più vulnerabili e le categorie a rischio; a predisporre, coinvolgendo le comunità straniere residenti in Italia, specifiche campagne informative di prevenzione rivolte agli stranieri presenti nel nostro Paese; a promuovere, a cominciare dalle scuole, campagne contro la discriminazione sociale dei soggetti che hanno contratto l'infezione; a rilanciare le campagne informative di prevenzione rivolte ai soggetti tossicodipendenti, anche in relazione ai preoccupanti dati che indicano un considerevole aumento dell'uso di eroina, soprattutto fra gli adolescenti; ad allocare adeguate risorse finanziarie nei programmi volti ad incentivare l'esecuzione dei test HIV e ad estendere la profilassi pre-esposizione e l'uso delle terapie antivirali come prevenzione; ad implementare l'assistenza domiciliare alle persone con HIV ed Aids, compresi interventi volti a lenire le conseguenze sociali ed economiche dell'infezione; a valutare l'ipotesi di richiedere la rinegoziazione del prezzo dei farmaci HIV per la sola popolazione carceraria, perché il problema di questa infezione all'interno della popolazione carceraria è un grande problema, che non è per niente risolto ed affrontato e che rappresenta una vera bomba virologica, sia per i tassi di promiscuità che per i tassi di prevalenza doppia rispetto ai numeri del Paese e i co-infetti HIV-HCV; a valutare infine l'opportunità, nel caso in cui le aziende produttrici dei farmaci anti HIV non addivenissero ad un accordo negoziale, di poter ricorrere all'acquisto all'estero dei farmaci, così come previsto dalla recente circolare del Ministero della salute n. 3251 del 23 marzo 2017, che fornisce le istruzioni operative in merito all'applicazione del decreto ministeriale 11 febbraio 1997 per le modalità di importazione di specialità medicinali registrate all'estero; a valutare l'opportunità di prevedere, con riferimento alla profilassi pre-esposizione, modalità specifiche di intervento da utilizzare ai fini di una più completa attività preventiva.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Polverini. Ne ha facoltà.

RENATA POLVERINI. Presidente, sottosegretario, l'infezione da HIV, come sappiamo, rappresenta un'emergenza che i numeri non riescono più a fotografare, tanto rapido è il passo della sua espansione. Dal momento in cui ha fatto la sua comparsa, sappiamo che il virus ha contagiato circa 70 milioni di esseri umani in tutti i continenti, e ne ha uccisi circa un terzo. Considerato il lungo tempo di incubazione del virus e la bassa età media delle persone colpite dall'Aids nel mondo, gli studi epidemiologici consentono di affermare con certezza che un numero molto elevato dei casi abbiano contratto l'infezione quando avevano meno di 20 anni. Come rilevato dall'indagine condotta dall'Istituto superiore di sanità, negli anni si è progressivamente osservato un cambiamento delle modalità di trasmissione, poiché la proporzione dei consumatori di sostanze per via iniettiva è passata dal 76,2 per cento nel 1985 al 3,2 per cento nel 2015, mentre è aumentata dall'1,7 per cento del 1985 al 44,9 per cento nel 2015, la proporzione appunto dei casi attribuiti a trasmissione eterosessuale.

Lo studio sopracitato ha altresì rilevato come l'incidenza più alta delle nuove diagnosi da infezione da HIV è osservata tra le persone di 15-29 anni, e nello specifico, nel 2015, sono state segnalate dodici nuove diagnosi da HIV in adolescenti con età compresa tra i 15 e i 17 anni e 369 casi di giovani con età compresa tra i diciotto e i venticinque anni. Nonostante i grandi sforzi preventivi ed educativi realizzati in seguito all'emergenza Aids, a tutt'oggi solo il 54 per cento degli adolescenti sessualmente attivi riporta un uso consistente del profilattico, negli Stati Uniti, mentre in Italia un terzo di tutti i rapporti sessuali degli adolescenti scolarizzati avviene senza alcuna protezione.

La comunità scientifica internazionale ha più volte ribadito la convinzione che, per cambiare i comportamenti a rischio legati all'epidemia, la sola informazione, per quanto corretta ed esaustiva, non è più assolutamente sufficiente, infatti deve essere accompagnata in modo continuativo da attività educative. La sessualità adolescenziale, se accompagnata da un adeguato sviluppo della sfera emotivo-affettiva, è vissuta in modo consapevole e sicuro dal punto di vista della salute fisica e psichica, e può fornire un contributo positivo per lo sviluppo, conducendo a più indipendenza, competenza sociale ed autostima; al contrario, mancando tali requisiti, può diventare un fattore in grado di generare problemi ai soggetti in crescita. La prevenzione dei comportamenti a rischio costituisce oggi l'unica arma davvero efficace per ridurre l'incidenza dell'infezione. L'ambito della sessualità rappresenta per gli adolescenti uno dei tratti identitari più forti, uno dei contesti relazionali in cui si esprime con maggiore peculiarità la propria dinamica affettiva nella sua intrinseca interconnessione sia con lo sviluppo della sessualità che con la maturità complessiva degli adolescenti. Sessualità, affettività e maturità intellettuale sono elementi che definiscono l'orizzonte esistenziale entro il quale si colloca l'adolescente, che si muove in cerca del senso e del significato da dare alla propria vita. L'immagine prevalente dell'Aids, continuando ad essere legata alla sfera dei comportamenti sessuali, all'aggressività e alla paura della morte, apre ed amplifica una lunga serie di questioni sociali, sanitarie ed etico-morali che richiedono interventi formativi ed informativi in età precoci e un approccio multidisciplinare.

I giovani in età scolare rappresentano un gruppo potenzialmente a rischio per il virus dell'Aids, e la presenza di comportamenti a rischio è ampiamente documentata, considerato che il contagio per via sessuale appare una modalità di trasmissione in costante crescita rispetto a quella dell'assunzione di droga per via endovenosa. Equivoci e lacune si fissano nella conoscenza dei ragazzi in età scolare su problemi legati all'Aids proprio dove manca un'adeguata educazione alla sessualità. In Italia alcune ricerche dimostrano la grande disponibilità degli studenti e anche dei genitori a che le informazioni sul rischio di contrarre l'infezione da HIV siano diffuse nell'ambito scolastico. Se prevenire l'Aids significa, oltre che fornire informazioni corrette, anche e soprattutto una specifica attività educativo-formativa, la scuola, specialmente se collegata alla sua azione e alla famiglia, costituisce una sede ideale per interventi che accrescano la capacità di promuovere e difendere la propria salute, aumentando la percezione del rischio di infezione prima che i soggetti vi siano esposti.

Il passaggio da una visione strettamente biomedica a un approccio multidisciplinare alla salute chiama la scuola ad assumere una funzione di coordinamento tra le diverse associazioni e istituzioni territoriali su tutti i problemi relativi alla salute fisica, psichica e sociale dei suoi allievi. La scuola, luogo di aggregazione e di dibattito, può essere il teatro ideale per l'analisi e la successiva sintesi dei modelli comportamentali suggeriti dal mondo della sanità. Attraverso appropriati messaggi, essa può fungere da mediatrice tra i cittadini, le famiglie, gli operatori sanitari e le diverse realtà territoriali nel formare una solida e diffusa conoscenza sanitaria, e favorire poi la conversione in modello culturale e habitus comportamentale. L'evoluzione del concetto di educazione alla salute e la stessa emergenza Aids inducono la scuola ad una collaborazione sempre più stretta, non solo con le istituzioni sanitarie, ma anche con associazioni e presidi territoriali, per una condizione ed integrazione di competenze nella gestione di progetti e processi mirati a produrre salute.

Come rilevato anche nell'ambito scientifico, il nostro Paese mostra evidenti carenze nella prevenzione, in particolar modo per la mancanza di progetti di formazione rivolti in particolare alle giovani generazioni in materia di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.

Se da un lato, la scuola, quale luogo di partecipazione attivo, può offrire risposte alle difficoltà di comunicazione tra adulti e giovani e tra giovani e istituzioni, dall'altro, una campagna informativa che parta dalle associazioni e i presidi presenti sul nostro territorio può contribuire a sensibilizzare i cittadini, soprattutto i più giovani, alla lotto contro questa gravissima malattia. Quindi, la mozione presentata dal gruppo di Forza Italia chiede al Governo di impegnarsi a prevedere percorsi scolastici programmati e specifici di educazione alla sessualità, tenuti da figure professionali specializzate, propedeutici a interventi preventivi per tutte le infezioni sessualmente trasmissibili in costante aumento tra i giovani e chiediamo anche di avviare con il coinvolgimento delle istituzioni e associazioni territoriali campagne informative e progetti di formazione rivolti in particolar modo alle giovani generazioni per diffondere una maggiore sensibilità e conoscenza delle patologie sessualmente trasmissibili.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cimbro, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-001494. Ne ha facoltà.

ELEONORA CIMBRO. Grazie, Presidente. Anzitutto in premessa vorrei ricordare che questa mozione è stata presentata il 1° dicembre 2016 in occasione della Giornata mondiale contro l'AIDS, insieme al collega senatore Mandelli che ha presentato un'identica mozione al Senato già approvata in occasione del lancio dei test per l'autodiagnosi dell'HIV richiedibile senza alcuna necessità di ricetta medica per le persone maggiorenni. Quindi abbiamo utilizzato la Giornata mondiale contro l'AIDS come occasione per il lancio di questo test che dal 1° dicembre 2016 è disponibile nelle farmacie italiane: è importante ribadirlo. Soprattutto perché l'autotest rappresenta uno strumento utile per far emergere il sommerso delle diagnosi tardive che portano in Italia a stimare tra le 6.500 e le 18.000 persone sieropositive non diagnosticate. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha deciso di raccomandare l'uso dell'autotest per l'HIV definendolo un modo innovativo per raggiungere più persone e contribuendo a realizzare l'obiettivo mondiale lanciato nel 2014 di rendere consapevole del loro stato il 90 per cento di tutte le persone con HIV entro il 2020. Quindi questo è l'obiettivo principale. In Italia purtroppo solo il 43 per cento delle persone è consapevole che per la cura efficace dell'infezione da HIV bisogna agire il prima possibile. Nel 2015 sono state segnalate 3.444 nuove diagnosi di infezione da HIV pari ad un'incidenza di 5,7 nuovi casi di infezione da AIDS ogni 100.000 residenti. Questa incidenza pone l'Italia al tredicesimo posto tra le nazioni dell'Unione europea mentre le regioni con l'incidenza più alta sono state il Lazio, la Lombardia, la Liguria e l'Emilia Romagna, come già ricordato dai colleghi che mi hanno preceduto. Le persone che hanno scoperto di avere l'HIV nel 2015 sono maschi nel 73,4 per cento dei casi; l'età mediana era di 39 anni per i maschi e 36 per le femmine. L'incidenza più alta è stata osservata tra le persone tra i 25 e i 29 anni. Riguardo alle modalità di trasmissione diminuisce ulteriormente la proporzione di consumatori di sostanze per via iniettiva, mentre aumentano i casi attribuibili a trasmissione sessuale. Nel 2015 i casi attribuiti a trasmissione eterosessuale sono stati il 44,9 per cento e quelle attribuiti a trasmissioni tra uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini il 40,7 per cento. Nel 2015 il 32,4 per cento delle persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV aveva eseguito il test HIV per la presenza di sintomi correlati; il 27,6 per cento in seguito a un comportamento a rischio non specificato e il 13,2 per cento nel corso di accertamenti per un'altra patologia. Sempre nel 2015 sono stati segnalati 789 casi di AIDS conclamato pari ad un'incidenza di 1,4 nuovi casi per 100.000 residenti. L'incidenza di AIDS è in lieve costante diminuzione negli ultimi tre anni, tuttavia nell'ultimo decennio è aumentata la proporzione delle persone che hanno scoperto di avere l'HIV nei mesi precedenti la diagnosi di AIDS, passando dal 20,5 per cento del 2006 al 74,5 per cento del 2015. Crea allarme soprattutto il fatto che ben il 50 per cento dei nuovi casi di AIDS era costituito da persone che non sapevano di avere la malattia. Il livello di consapevolezza dei rischi di contagio e la conoscenza dei comportamenti per evitare l'infezione sono drammaticamente bassi in tutta la popolazione e in particolare nelle persone più giovani.

Una recente ricerca condotta a livello nazionale ha evidenziato che adulti e adolescenti sono disinformati o male informati rispetto all'HIV. A titolo d'esempio, solo il 5,2 per cento dei ragazzi tra i 15 e 19 anni sa che cosa sia l'intervallo finestra, informazione chiave per poter accedere correttamente al test per l'HIV e ancora oggi il 20 per cento delle persone crede che l'Aids sia la malattia dei gay o dei tossicomani. Negli ultimi anni, è aumentato il numero delle persone che arrivano allo stadio di Aids conclamato ignorando la propria sieropositività per cui diminuiscono sensibilmente la probabilità di risposta positiva alle cure: l'ultimo dato disponibile indica una proporzione del 67,9 per cento. Questi dati mettono in evidenza che l'HIV non è affatto un problema risolto come qualche organo di comunicazione ha semplicisticamente riportato e come una lettura superficiale dei dati potrebbe far credere. La malattia infatti è ancora presente e fortemente in crescita in alcune specifiche popolazioni. Sarebbe un grave errore continuare a pensare che l'HIV sia una malattia che riguarda solo una parte ristretta della popolazione come in effetti in gran parte è stato in Italia negli anni Ottanta. Il nostro Paese eccelle nella cura dell'HIV ma risulta estremamente carente nella prevenzione sia per l'assenza di azioni informative rivolte alla popolazione sia per la mancanza di un serio progetto di formazione in materia sanitaria delle giovani generazioni, in particolare in materia di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Appare ormai improcrastinabile l'esigenza di intervenire affinché siano programmate e sviluppate serie e concrete iniziative per la prevenzione e la cura efficace dell'HIV anche nel nostro Paese. Come istituzioni dobbiamo lavorare in questa direzione favorendo azioni efficaci e concrete come queste, parallele alla campagna di sensibilizzazione e prevenzione perché è solo attraverso la corretta informazione medico-scientifica e non il passaparola molto spesso impreciso e pressappochista, insieme a strumenti di diagnosi e cura facilmente accessibili a tutti che si può garantire una qualità di vita assolutamente buona e duratura alle persone affette da HIV, smontando il coriaceo pregiudizio che ancora ruota intorno a questa malattia. È necessario in particolare sviluppare progetti finalizzati ad approfondire il livello di conoscenza della popolazione per evitare che persone non consapevoli di essere positive all'HIV ritardino involontariamente l'accesso alle cure con gravi rischi per la propria salute e ovviamente anche per quella degli altri. Per tutte queste ragioni chiediamo al Governo di provvedere alla concreta attuazione del nuovo Piano nazionale di intervento contro l'Aids allo scopo di facilitare l'accesso al test, garantire le cure contro la malattia anche attraverso i farmaci innovativi e favorire il mantenimento in terapia dei pazienti; di assumere iniziative per finanziare specifici interventi pluriennali relativi a prevenzione, informazione e ricerca sull'Aids; di assumere iniziative per inserire la lotta all'HIV e alle malattie sessualmente trasmissibili nei programmi di studio per le nuove generazioni e sostenere l'informazione e il coinvolgimento attivo delle popolazioni più a rischio.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elena Carnevali. Ne ha facoltà.

ELENA CARNEVALI. Signora Presidente, sottosegretario Bubbico, colleghi e colleghe, l'HIV è una malattia che ha colpito tutti i Paesi del mondo causando, da quando essa ha avuto origine trentacinque anni fa, 20 milioni di morti e 70 milioni di contagiati. Importanti progressi sono stati conseguiti ma in questi anni la lotta all'Aids e l'obiettivo di debellare questa terribile malattia richiedono ancora il sempre più ampio e deciso sostegno da parte degli Stati alla fondamentale attività dei ricercatori e alle meritorie iniziative internazionali volte a combattere il contagio, a rendere accessibile ai Paesi più poveri la più ampia utilizzazione di mezzi di terapia. Esistono oggi, a differenza di trent'anni fa, le potenzialità per vincere l'Aids ma ciò richiede un impegno costante nei confronti innanzitutto dei malati. Le terapie antivirali hanno permesso di controllare la malattia ma non tutti nel mondo hanno una possibilità uguale per accedervi: solo 17 milioni di persone, secondo i dati del rapporto Unaids della Conferenza di Durban nel 2016, che è comunque il doppio di quanti erano in cura nel 2010. In questa fondamentale battaglia non mancano purtroppo criticità a partire dal calo di interesse e di attenzione presso l'opinione pubblica. Oggi del virus HIV, dell'AIDS, si parla poco.

Superati gli anni Ottanta e Novanta, periodo durante il quale la comunità scientifica poteva avvalersi dell'attenzione dei media e di un'opinione pubblica fortemente sensibilizzata al problema della propagazione del virus, oggi la malattia e la sua diffusione epidemica appaiono quasi derubricati dall'agenda mediatica. E vale la pena ricordare che l'indifferenza o la scarsa informazione su problemi così gravi, oltre che sintomo di un abbassamento della sensibilità sociale, costituiscono fattori che indeboliscono le difese della società contro la diffusione della malattia: l'attenzione collettiva è infatti una delle condizioni necessarie per l'opera della prevenzione, che non solo le istituzioni ma anche le famiglie e le strutture sanitarie ed educative devono svolgere per alzare sempre la soglia di protezione sociale del contagio.

La riduzione del numero di nuove infezioni, l'essere in tredicesima posizione in termini di incidenza delle nuove diagnosi di HIV tra le nazioni dell'Unione europea, è un successo parziale, non sufficiente, che dimostra l'efficacia di interventi fin qui attuati; e tengo a citare per esempio gli screening, il counseling effettuato dei servizi territoriali, i Sert, i centri per le malattie a trasmissione sessuale, dai servizi ospedalieri per le malattie infettive, l'attività di riduzione del danno con la distribuzione di siringhe sterili, di profilattici, l'ampia disponibilità di trattamenti sostitutivi da parte dei servizi per le dipendenze (tutti i Paesi europei che ci precedono in classifica hanno ancora un elevato problema di infezione tra tossicodipendenti), lo screening attraverso i test rapidi, nonché il grande lavoro delle associazioni che da anni si battono in questa tematica, la LILA e l'Anlaids.

Eppure, l'inadeguata percezione del rischio di AIDS tra la popolazione è ancora molto alta, come è diffusa l'errata convinzione che la malattia riguardi solo particolari categorie di persone, definite a rischio nel nostro Paese. Infatti il rapporto sessuale non protetto è la prima causa di infezione, lo ricordava prima la collega Amato: l'Italia è l'ultimo Paese in Europa nell'uso del profilattico. In questo contesto, particolare attenzione va dedicata ad ogni iniziativa volta ad impedire la diffusione del virus tra i giovani e le giovanissime generazioni, ma non solo: a causa di una serie di fattori biologici, sociali, culturali, in questo periodo ad essere particolarmente esposte al rischio di contrarre l'infezione sono proprio le donne.

Altra problematica correlata riguarda lo stigma che permane nel nostro Paese contro chi ha contratto la malattia: basti pensare che il 37 per cento degli italiani non si sono mai sottoposti ad un test di HIV, e il 5 per cento delle persone che vivono con l'HIV non l'avrebbe mai detto al proprio partner. Il 40 per cento, inoltre, non rivela ai propri familiari di aver contratto l'HIV, e il 74 per cento non lo dichiara nel contesto lavorativo.

Drammatica è anche la situazione dei figli contagiati durante la gravidanza: secondo i dati raccolti tra il 2012 e 2013 nel registro pediatrico tenuto dall'ospedale Anna Meyer di Firenze, oggi ci sono 656 giovani e adolescenti che hanno contratto l'HIV dalla madre negli anni Ottanta e Novanta, che continuano ad essere discriminati ed emarginati dalla comunità e dalle istituzioni proprio perché manca un'informazione e la consapevolezza sulla trasmissione del virus, che non impedisce le normali relazioni con gli altri.

Per questi motivi è necessario riportare al centro dell'opinione pubblica l'importanza della prevenzione sull'HIV come prima forma e metodo più efficace per il contrasto alla malattia. È necessario ravvivare campagne informative rivolte soprattutto ai giovani, ma non solo, che sappiano prendere in considerazione target specifici, anche di contesto, per aumentarne l'efficacia e diffondere la cultura, la conoscenza delle patologie prenatali e sessualmente trasmesse, educando alle buone pratiche e alla prevenzione. Molto importante è riaffermare l'importanza ed il rispetto delle linee guida sulla gravidanza, nella parte in cui prevedono che a tutte le donne in gravidanza sia eseguito il test dell'HIV, uno nel primo trimestre ed uno nell'ultimo trimestre di gestazione, poiché ciò permette di escludere l'infezione da HIV nella madre oppure di assicurarle le terapie che impediscono la trasmissione materno-infantile del virus.

Un punto imprescindibile - l'abbiamo già ricordato, ma ci è molto caro - riguarda l'unificazione dei due registri, l'HIV e l'AIDS, al fine di poter rilevare con maggiore esattezza la diffusione delle infezioni, evitando così la difficoltà nella lettura epidemiologica ed incentivando l'adozione di una raccolta epidemiologica completa in tutti i servizi e laboratori che effettuano screening. È fondamentale rilanciare un impegno concreto per il contrasto allo stigma sociale, veicolando messaggi tra i cittadini soprattutto rivolti alle donne nel mondo della scuola, nel mondo socio-sanitario, anche attraverso l'avvio di formazione specifica sugli operatori socio-sanitari; e continuare pervicacemente nell'adozione di programmi di educazione all'affettività e all'educazione sessuale nelle scuole. Agire e muoversi nella direzione di un sistema che vada incontro alle popolazioni a rischio, in particolare anche coinvolgendo i gestori, i gestori dei locali, con operatori formati che lavorano sul consumo di sostanze e sulla riduzione dei rischi legati alle patologie a trasmissione sessuale. È necessario riconoscere l'esigenza di essere più incisivi per la cura e la presa in carico della popolazione carceraria.

Abbiamo un aspetto estremamente positivo, che riguarda l'adozione finalmente nel nostro Paese di un Piano nazionale di intervento contro l'HIV e l'AIDS inviato dal Ministero della salute alle regioni per essere esaminato in Conferenza Stato-regioni: si tratta di un Piano innovativo sia nel merito che nel metodo, con il quale dovranno essere sciolti i nodi finora irrisolti dell'informazione, della prevenzione innovativa, dell'accesso al test di HIV, ai trattamenti del mantenimento e della cura, del DAF, della lotta allo stigma ed alle discriminazioni, affrontando le questioni con chiarezza, in un'ottica scientifica e di attenzione alle priorità di salute pubblica e dei singoli. Citando Roderick : “Le sfide che attendono l'HIV e l'AIDS sono sempre più complesse e anche mature, e noi non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e dire: non mi riguarda perché non succede a me”. Ed è anche per questo che abbiamo presentato la mozione: per rendere viva, vivace, inflessibile ed agita l'attenzione nei confronti della prevenzione, appunto, e nei confronti della cura di questa infezione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva? Si riserva di farlo successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Dambruoso ed altri: Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista (A.C. 3558-A) (ore 15,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 3558-A: Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 31 marzo 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 31 marzo 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3558-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, deputata Barbara Pollastrini.

BARBARA POLLASTRINI, Relatrice per la maggioranza. Signora Presidente, signor Viceministro, come lei ha detto, approda oggi in quest'Aula la proposta di legge n. 3558-A, “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista”, a prima firma Dambruoso, Manciulli e altre personalità della maggioranza e dell'opposizione. Come relatrice, mi sono avvicinata a questo tema, piuttosto complesso, con la modestia del caso. La proposta, infatti, ha un'ambizione per nulla banale, quella di aggiungere alle necessarie misure di intelligence e repressive un tassello diverso, ispirato alla prevenzione: norme per sostenere il contrasto a quell'attrazione che, in nome di una lettura religiosa, negata peraltro della più grande parte degli islamici, può portare al reclutamento di una manodopera ideologizzata e criminale. Dal momento del deposito della proposta, abbiamo udito studiosi, esperti, Ministri, forze dell'ordine, magistrati, esponenti delle comunità islamiche e di altre confessioni: lo abbiamo fatto in sede parlamentare, ma anche con amministratori e associazioni. Non poteva che essere così, dal momento che siamo chiamati a trattare una materia delicata, e per più motivi: per le implicazioni sul terreno della libertà personale, religiosa, di opinione, per la sicurezza del Paese, per il profilo di una proposta che voglia agire sulla prevenzione culturale, formativa, sociale, essendo lo Stato già in possesso di una legislazione che prevede reati penali, misure restrittive e repressive.

Colleghe e colleghi, quando parliamo di estremismo violento di matrice jihadista volto al terrorismo, descriviamo un'aggressione senza precedenti alla sicurezza con un impatto doloroso sul nostro continente e sull'Occidente, ma insieme un attacco rivolto a principi e valori della democrazia liberale, valori che hanno costruito la convivenza tra confessioni diverse e la separazione tra Stato e religioni.

Detto questo, non dobbiamo rimuovere che tuttora la maggior parte delle vittime è rappresentata da popolazioni musulmane nei loro Paesi. Non siamo dunque di fronte a una guerra tra civiltà, questo mi sento di dire, ma a un conflitto che si consuma dentro le civiltà. E voglio aggiungere: un conflitto che ha come simbolo la libertà delle donne, delle ragazze, che a costi altissimi, e anche a prezzo della vita, si ribellano nel segno della loro autonomia e dignità.

Presidente, Vice Ministro, la proposta avanza un insieme di misure e programmi per prevenire fenomeni di adesione alla radicalizzazione, all'estremismo violento, con finalità terroristiche. Oltre a ciò, la proposta vuole agire sul recupero in termini di integrazione sociale, culturale, lavorativa, di soggetti disponibili a interrompere un percorso di annichilimento. Per questo è importante tenere conto della specificità del nostro Paese. Specificità che emerge dal numero di attentati complessivamente limitati o scongiurati, da una minore presenza di combattenti reclutati (un centinaio nei territori dell'ISIS), dalla quantità minore di foreign fighters nello scenario del conflitto siriano e ovviamente è più difficile una previsione sul numero effettivo dei cosiddetti lupi solitari. La nostra è, peraltro, una specificità che trova riscontro in ragioni storiche: l'essere stato, il nostro, un Paese con una radice colonialista meno marcata, un Paese che per la sua connotazione non conosce, almeno negli stessi termini presenti altrove (Francia, Belgio e Germania), banlieue o agglomerati periferici ad altissima densità di popolazione immigrata di seconda e terza generazione. Un Paese dove il coordinamento dell'intelligence con le forze dell'ordine e la magistratura, anche per la stratificazione di professionalità maturate negli anni di altre forme di terrorismo e di criminalità organizzata, ha garantito un'opera di controllo e prevenzione efficace.

Questo complesso di attività ha conosciuto di recente un adeguamento e un aggiornamento legislativo, cito il decreto del 2015 contro il terrorismo, che ha introdotto, ad esempio, il reato di autoaddestramento utilizzato pochi giorni fa dagli inquirenti nel caso di Venezia.

Ma il nostro è anche un Paese in cui il solidarismo e l'accoglienza hanno fino ad ora dominato sulle paure con la difesa dei diritti umani dei migranti e l'allarme per chi voglia evocare una sovrapposizione di significato tra straniero o islamico e terrorista.

Tuttavia, ecco il punto, dagli studi, e in particolare dalla relazione del professor Vidino, si comprende come anche in Italia possa crescere il numero dei cosiddetti simpatizzanti, degli abbagliati e delle abbagliate, che abbracciano tendenze volte all'estremismo violento.

In questo senso, due sono i luoghi principali di reclutamento, la rete e le carceri. Ci sono scritti, prove, di quanto l'ISIS investa scientificamente nella propaganda mediatica con immagini, informazioni, atti feroci, come via di un riscatto ipotetico, di come investa, cioè, sul condizionamento delle menti, e le menti investano nel potere di loro stesse di rovesciare la realtà, in una sorta di ipnosi devastata e devastante per gli altri e per loro stessi.

Così come esistono prove di come nelle carceri, talvolta in nome di una presunta protezione, avvengano forme di proselitismo. D'altronde, la risoluzione del Parlamento europeo sulla prevenzione della radicalizzazione raccomanda di adottare strategie preventive nella formazione delle forze dell'ordine, nell'istruzione, nel pluralismo religioso e per il recupero, e invita a promuovere una vera e propria contronarrazione sulla rete, nei media e nelle scuole.

Insomma, è l'approccio di quanti, secondo me a ragione, sostengono come in questa guerra non basta vincere, ma bisogna soprattutto convincere.

A questo fine, alcuni Paesi hanno adottato leggi e programmi. Credo che l'Italia, proprio per le sue peculiarità, possa offrire all'Europa, ora, una legge saggia, praticabile e utile; ci vengono in soccorso i nostri principi costituzionali di dignità e valore di ogni persona, di libertà religiosa e laicità dello Stato e di contrasto a ogni discriminazione.

Ci sarà di aiuto il dialogo interreligioso promosso dal Pontefice e riproposto in occasione della sua straordinaria visita a Milano. E indispensabile sarà l'azione delle associazioni e di singoli cittadini e cittadine islamici che si uniscono per isolare e combattere derive terribili.

Signora Presidente, signor Vice Ministro, come dicevo, quando parliamo di radicalizzazione il riferimento è a un itinerario costituito da tappe progressive sino a quel reclutamento destinato a tradursi in azioni violente di natura solitaria, come da ultimo a Londra, o strutturate come nell'assalto al Bataclan di Parigi. È difficile, per mentalità che si sono formate nel solco culturale dell'Illuminismo, comprendere quali leve possano condurre coscienze ancora giovani a praticare la linea opposta, la negazione, l'uccisione dell'altro e di sé. Disperazioni, solitudini paura, ricatti, che trovano in un gesto o in un esercito fanatico una risposta. Contano gli eserciti più organizzati, legati a sommovimenti geopolitici, al denaro, all'illegalità, ai conflitti tra poteri ed etnie e, per quanto mi riguarda, e lo dico come una valutazione del tutto personale, contano anche i limiti dell'Occidente sulle armi, le guerre e gli interessi economici. E mentre si fa più acuto il terreno di scontro e il terrorismo pare prendere colpi, cresce l'allarme per una reazione di cellule o singoli pronti ad agire.

L'espressione jihad, letteralmente “sforzo ascetico”, non deve determinare un automatismo tra il significato di quella parola e l'annientamento di quanto non sia appartenente all'Islam, è l'uso che ne è stato fatto che dà il segno della frattura in questo secolo.

Insomma, nel procedere, abbiamo cercato in Commissione di agire con serietà e cautela e questo - lo voglio sottolineare - ha prodotto nel lavoro in Commissione correzioni e miglioramenti del testo iniziale; ed è un impegno che immagino debba e possa continuare in Aula.

Come altri, siamo stati mossi dall'idea che tra gli obiettivi del terrorismo jihadista non vi sia la volontà concreta di una sottomissione o distruzione della civiltà occidentale, ma un traguardo non meno insidioso e che si potrebbe concretizzare, ma non vogliamo che sia così, nella nostra rinuncia al desiderio di essere una società aperta, inclusiva e pluralista. Ciò significa che spetta prima di tutto a noi alimentare quel reciproco riconoscimento destinato a divenire l'antidoto più efficace contro ogni germe violento o fondamentalista.

È in questa logica che anche una legge come quella che giunge alla nostra attenzione è un tassello per una strategia più ampia, una strategia che si faccia carico di luoghi di culto e preghiera, come nel caso delle moschee ancora mancanti, da costruire tuttavia nella trasparenza di regole, finanziamenti e condivisione dei principi costituzionali.

Signora Presidente, signor Vice Ministro, questa relazione per me è anche l'occasione per accennare una questione irrisolta, mi riferisco al vuoto legislativo della legge sulla libertà religiosa su cui il Parlamento ha accumulato un grave ritardo. Sono dodici i culti interessati da intese riconosciute, dagli ebrei, ai valdesi, dagli evangelisti, ai buddisti, e altri, mentre continua a mancare un'intesa con i musulmani, assenza spesso giustificata dalle diversità tra associazioni nel rappresentare i fedeli musulmani presenti oggi nel nostro Paese. Ma credo che ora e presto sia responsabilità di tutti, Parlamento, Governo e associazioni, costruire intese separate con le comunità disponibili. Il patto per un Islam italiano, siglato alla presenza del Ministro Minniti, è un passo importante nel riconoscimento di diritti, doveri e regole, che ci aiuteranno per questo obiettivo.

Colleghe e colleghi, la proposta di legge comprende 12 articoli. Per brevità riporto solo alcuni spunti. Si prevede l'istituzione del Centro nazionale sulla radicalizzazione (CRAD) presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, ciò avverrà con decreto da emanarsi entro tre mesi dalla promulgazione della legge.

Ne è disciplinato il funzionamento, assicurando la rappresentanza dei dicasteri interessati, di associazioni religiose, della Consulta per l'Islam e di esperti. Il CRAD definisce progetti, azioni, sperimentazioni ed eventuali numeri verdi e riferisce alle Camere, Camere in cui si prevede l'istituzione di un Comitato composto da cinque deputati e cinque senatori, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari. Il Comitato svolgerà una funzione di monitoraggio e di audizione: carceri, ospedali, scuole, ministri di culto, amministratori, operatori sociali, luoghi di accoglienza.

Altri articoli si riferiscono alla formazione delle forze dell'ordine, dei garanti dei detenuti, dei docenti. Si prevede, inoltre, un programma per il dialogo interculturale e religioso, diritti e doveri per i cittadini residenti in Italia, rispetto delle differenze e delle donne, contrasto all'odio on line, alle discriminazioni, compresa l'islamofobia, e ancora campagne informative anche attraverso piattaforme multimediali e il coinvolgimento della RAI. Presso le prefetture dei capoluoghi di regione sono istituiti i centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione, denominati CCR, con il compito di attuare il piano strategico nazionale anche sul fronte del recupero e della rieducazione. Un particolare monitoraggio viene previsto per le carceri dove peraltro - vorrei aggiungere - sono già in corso sperimentazioni positive.

Signora Presidente, signor Vice Ministro, ci muoviamo, come ho cercato di dire, su un terreno che intreccia storia, religione e politica e che lo fa in un contesto segnato da forme tragiche di odio, violenza e regressione. La nostra vera risorsa è un dialogo globale sul senso di sé, sulla dignità umana, sulla libertà e l'uguaglianza. Lo spirito di questa proposta di legge è offrire un'opportunità in più nel dialogo e nella sicurezza. Spero che sapremo discutere e agire con saggezza e giustizia (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di intervenire successivamente.

È iscritta a parlare la deputata Polverini. Ne ha facoltà.

RENATA POLVERINI. Grazie, Presidente. Chiedo l'autorizzazione per consegnare il testo dell'intervento.

PRESIDENTE. L'autorizzazione ovviamente è concessa.

È iscritto a parlare l'onorevole Fiano. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO. La ringrazio, Presidente. Onorevoli colleghi, signor Vice Ministro Bubbico, questo intervento assume per me, per come io intendo la politica, per i bisogni che emergono sempre nuovi e per le risposte anche nuove da dare, caratteristiche importanti che ho l'impressione che non sempre siano presenti o che siano presenti con sufficiente forza nel dibattito pubblico intorno a questi temi. Alla nostra generazione europea è dato decidere quale futuro costruire nel medio e lungo termine sul tema dell'edificazione di una società più giusta, più equa, più inclusiva e rispettosa nel tema dei diritti individuali e collettivi, decisa ed intransigente nel campo dei doveri, a maggior ragione di fronte alla stagione della grande immigrazione, della crescita e dell'integrazione delle comunità musulmane nel nostro Paese e in Europa, e nella stagione sanguinosa della crescita della radicalizzazione religiosa nella cultura mussulmana verso l'approdo drammatico del terrorismo di matrice jihadista violenta.

So che mi si potrebbe dire, per esempio da parte di quei tantissimi mussulmani che non abbracciano questa matrice, che la radicalizzazione non è solo mussulmana - ed è certamente vero - oppure anche che l'Islam non è certo solo radicalizzazione - ancora più vero - o ancora, come ha già detto la relatrice onorevole Pollastrini, che la jihad, in un'accezione letterale del termine, è altro e non è solo la matrice violenta di cui parliamo oggi, e anche questo è altrettanto sicuramente vero. Ma tutto ciò non deve impedirci di vedere quello che è sotto gli occhi di tutto il mondo da molti anni, da molti drammatici anni: un deciso e frequente fenomeno di radicalizzazione interno al mondo musulmano ad ogni latitudine.

È un'interpretazione del proprio credo - il quale secondo autorevolissime fonti teologiche islamiche, come anche diceva la relatrice, è un'interpretazione totalmente errata - che conduce migliaia di seguaci di questa fede a considerare coincidente con la propria fede una missione di violenza e di morte verso chiunque non condivida quel modello di credo, a prescindere dal fatto che quel chiunque sia ebreo, cristiano, islamico, ateo, bianco, nero, occidentale od orientale, per un versante, e che impone per altro versante - altro elemento di grande preoccupazione perché lo impone frequentemente con la violenza - regole di vita oppressive, per lo meno nel senso che contrastano con principi di libertà da noi sedimentati da secoli e che consideriamo intangibili a partire, per quello che mi riguarda, da ciò che riguarda la libertà della donna e del corpo femminile.

Tutto ciò ha riguardato in questi anni molti di coloro che si trovavano nei territori occupati militarmente dal sedicente califfato islamico, ma che ha riguardato, in Occidente e anche nei nostri giorni, membri di famiglie, come è capitato nei giorni scorsi ad una giovane ragazza il cui capo è stato rasato - e a queste latitudini noi ricordiamo altre rasatura nei giorni della guerra - per elementi su cui deciderà la magistratura, ma certamente in relazione al fatto che la ragazza non rispettava l'obbligo del velo. Ma noi - e io non ne sarei in grado - in questa proposta di legge non discutiamo di un provvedimento che valuti la correttezza teologica o costituzionale di taluni atteggiamenti, poiché noi non siamo un tribunale. Noi vogliamo prevenire il passaggio dalla fede radicalizzata al terrorismo di matrice islamica. Lo facciamo per la sicurezza di tutti noi, a prescindere dalla nostra origine o fede, ma anche per preservare l'intangibile principio costituzionale della libertà di professione di fede, iscritto nell'articolo 19 della nostra Carta, come libertà individuale ed associata in forma privata e pubblica. Dunque, come è stato già detto, non lo facciamo solo per difendere o assolutamente non lo facciamo per difendere qualcuno dall'Islam in senso assoluto - anzi, lo facciamo per preservare i principi costituzionali della libertà di fede - ma per salvare tutti noi dai pericoli inscritti nella radicalizzazione di matrice jihadista violenta.

Noi non possiamo dimenticare, signora Presidente, signor Vice Ministro e colleghi, che dietro ad ognuno dei terribili attentati che hanno insanguinato nel recente periodo l'Europa e non solo, da Charlie Hebdo al Bataclan, dall'aeroporto di Bruxelles al Museo del Bardo, a Nizza, a Berlino, a Londra, ma anche negli attentati che hanno colpito una vasta serie di Paesi arabi o islamici, c'erano un convincimento ed un'adesione, da parte di coloro che hanno causato morte e terrore, non sempre formalmente sancita dalla partecipazione ad un'organizzazione, ma un abbracciare e un simpatizzare per una causa di fede la cui missione è la guerra perpetua, al costo del sacrificio personale se serve, a chiunque venga considerato un apostata e in generale, qui da noi, al modello occidentale considerato sacrilego, in alcuni casi modello ben identificato nei suoi simboli di civiltà come la libertà di stampa, di satira, di professione di fede e come la libertà delle donne, e in altri casi attaccando a caso chiunque capitasse a tiro con armi casuali o tendenzialmente meno invasive del tritolo o dei kalashnikov, come anche negli scorsi giorni a Londra un veicolo oppure un coltello.

L'Italia, come è già stato detto nei particolari dalla relatrice onorevole Pollastrini, si è già dotata, in questi ultimi anni, di strumenti innovativi legislativi e tecnici atti a garantire il massimo livello possibile di efficienza nella prevenzione e nel contrasto ad ogni forma di terrorismo: con il decreto antiterrorismo, con molti investimenti specifici e recentemente, in un senso più ampio, con il decreto per la sicurezza urbana e in parte anche con quello sull'immigrazione, che ancora non sono leggi. Inoltre, l'Italia conta su di un sistema di sicurezza di straordinaria efficienza e professionalità. Dunque, qui noi non ci occupiamo di contrasto e di repressione, ma di prevenzione sotto il profilo culturale, sociale e civile. Da questo punto di vista ha ragione chi sostiene - lo aveva detto nella relazione in Commissione e mi pare che lo abbia ripetuto la relatrice - che in questa guerra non basta vincere: bisogna soprattutto convincere, ovviamente sapendo differenziare tra radicalizzazione islamica prodromica a condotte terroristiche ed estremismo jihadista che sia già chiaramente attività terroristica, cosa che riguarda altri corpi dello Stato e, cioè, le funzioni delle forze dell'ordine e della magistratura.

La proposta di legge che reca come primi firmatari gli onorevoli Dambruoso, Manciulli ed altri si occupa di un ultimo fondamentale tassello in questa strategia complessiva: il contrasto e la prevenzione dei fenomeni di radicalizzazione di matrice jihadista, ma anche il recupero dei soggetti esposti a questi processi nel nostro Paese; leggi analoghe esistono già nei principali Paesi europei. L'attentatore di Nizza o quello di Berlino o quello di Londra hanno attraversato processi individuali o di gruppo di progressivo avvicinamento all'ideologia jihadista, anche a prescindere dall'adesione formale ad un'organizzazione? Sì. Hanno attinto materiale ideologico dalla visita di siti web, dalla frequentazione di moschee, dalla lettura di materiale? Sì. È possibile cogliere prima nella famiglia, attraverso i figli oppure i genitori, nella scuola, sul lavoro, nelle carceri, nei luoghi di cura, i segni di questa progressiva radicalizzazione del pensiero prima e dell'azione poi di costoro? Sì, è quello di cui si occupa questa legge.

È, dunque, imparando a cogliere questi segnali che bisogna intervenire preventivamente, prima che questi comportamenti divengano il terreno fertile per preparare e realizzare azioni terroristiche, e dunque bisogna comunque intervenire perché non vengano lesi i diritti della persona. Possiamo provare a recuperare queste persone, strapparle alla ideologia di radicalizzazione, strapparle ai futuri terroristi? La legge si propone questo. In un esempio che pronunciò la relatrice in Commissione, che è tratto dalla rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo, si citava un episodio del 6 ottobre del 2001, quando, allo Stade de France, a me caro perché ci svolsi gli studi di dottorato di ricerca a Parigi, durante l'incontro di calcio tra Francia e Algeria, il primo di sempre, venne sospeso a qualche minuto dalla fine perché migliaia di spettatori francesi, ma di origine nordafricana, che già avevano fischiato l'inno nazionale, la Marsigliese, invasero il campo al grido di “Algeria, Algeria”, alcuni tra loro chiaramente inneggiando ad Osama Bin Laden.

Questo pochi mesi prima dell'attentato delle Torri gemelle. Quell'incidente turbò profondamente l'opinione pubblica francese, che della sua capacità di mescolarsi ha sempre fatto, da molto tempo, più di noi, un esempio di integrazione virtuosa, anche se poi la discussione sull'assimilazionismo in Francia è molto delicata. Quel quartiere, il quartiere Saint-Denis, di fronte all'entrata dello stadio, fu per anni nella storia parigina una radicata roccaforte operaia, e dunque, in un determinato periodo, anche della presenza politica di sinistra, ma divenne, poi, la sede della presenza di un crescente insediamento etnico di origine nordafricana. Quello stesso quartiere fu il luogo dove si nascosero i terroristi protagonisti della cellula degli attentati a Parigi e degli attentati a Bruxelles. Ovviamente, sarebbe un errore far coincidere il singolo episodio come equazione che dimostra la coincidenza tra disagio sociale in una periferia e fenomeni di radicalizzazioni prodromici dell'estremismo jihadista.

Pur tuttavia, questo, secondo me, è il terreno su cui deve lavorare questa legge: individuare confini molto ampli dove può svilupparsi il processo di radicalizzazione di un individuo, avendo attenzione specifica all'ambito sociale della integrazione, alle questioni sociali che riguardano questo tema e avendo molto riguardo al mondo della scuola, dell'università e del lavoro, e poi, infine, anche - diciamo purtroppo, ma così è - al mondo delle carceri, dove spesso il fenomeno della radicalizzazione parte e si sviluppa. Questo è il tema che abbiamo all'esame di questa legge.

Questa legge ha subito un percorso di approfondimento, di analisi e anche di cambiamento grazie al lavoro di molti colleghi, e in particolare modo della relatrice, onorevole Pollastrini, ovviamente partendo da un testo fondamentale, che è quello dei colleghi Dambruoso e Manciulli. Penso che questa sia un'occasione importante per questo Paese; forse noi più di altri Paesi europei abbiamo in mente come coniugare - non sempre lo facciamo - diritti e doveri. Ho citato la questione del diritto alla professione di fede, inscritta nell'articolo 19 della nostra Costituzione. Ho citato elementi della concezione che noi abbiamo della libertà individuale in questo Paese ai quali non intendiamo rinunciare, e citiamo, come esempio, quelli della donna o del corpo femminile.

Ma non basta, non basta pavoneggiarci nei diritti che noi crediamo incrollabili. Serve agire: per questo lo strumento di cui chiediamo che il Governo si doti, per questo la Commissione parlamentare di osservazione di questi fenomeni, per questo l'azione che va condotta con tutti gli strumenti con i quali oggi si comunica, il portale, Internet, l'azione nelle università, nelle scuole. Noi vogliamo prevenire il peggio; lo vogliamo fare per la sicurezza dei nostri cittadini, per il rispetto che portiamo a tutte le fedi, lo vogliamo fare perché vogliamo ribadire il principio di libertà di fede nel nostro Paese e tutte le libertà che abbiamo salvaguardato sin qui. Per questo, questa legge è fondamentale, e molto importante sarà anche il dibattito pubblico che la accompagnerà.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 3558-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Pollastrini.

BARBARA POLLASTRINI. Relatrice per la maggioranza. Volevo ringraziare gli uffici della I Commissione, come replica, perché ci hanno accompagnati in questa vicenda.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo non intende intervenire.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 3980-A, 4226, 4254 e 2714.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario)

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Emirati Arabi Uniti, nell'ambito della cultura, arte e patrimonio, fatto a Dubai il 20 novembre 2012; b) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Malta in materia di cooperazione culturale e di istruzione, fatto a Roma il 19 dicembre 2007; c) Accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Montenegro, fatto a Podgorica il 26 settembre 2013; d) Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Senegal, fatto a Roma il 17 febbraio 2015; e) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovacca sulla cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologia, fatto a Bratislava il 3 luglio 2015; f) Accordo di collaborazione nei settori della cultura e dell'istruzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia, fatto a Roma l'8 marzo 2000 (A.C. 3980-A) (ore 16).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica n. 3980-A: Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Emirati Arabi Uniti, nell'ambito della cultura, arte e patrimonio, fatto a Dubai il 20 novembre 2012; b) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Malta in materia di cooperazione culturale e di istruzione, fatto a Roma il 19 dicembre 2007; c) Accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Montenegro, fatto a Podgorica il 26 settembre 2013; d) Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Senegal, fatto a Roma il 17 febbraio 2015; e) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovacca sulla cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologia, fatto a Bratislava il 3 luglio 2015; f) Accordo di collaborazione nei settori della cultura e dell'istruzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia, fatto a Roma l'8 marzo 2000.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3980-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Marco Fedi.

MARCO FEDI, Relatore. Grazie, signora Presidente, signor rappresentante del Governo, sottosegretario Amendola, colleghi deputati, il disegno di legge oggi all'esame dell'Aula riguarda la ratifica e l'esecuzione di accordi bilaterali di cooperazione in materia culturale, scientifica, tecnologica e dell'istruzione conclusi con sette Paesi: la Repubblica Ceca, gli Emirati Arabi Uniti, Malta, Montenegro, Senegal, Repubblica Slovacca e Slovenia. Quanto all'Accordo con la Repubblica Ceca, segnalo che durante l'iter in Commissione esso è stato stralciato, in quanto nel frattempo è entrata in vigore la legge di autorizzazione alla ratifica di tale specifico Accordo bilaterale, frutto dell'iniziativa legislativa in sede parlamentare del collega Di Stefano, finalizzata ad accelerare il percorso di ratifica nelle more della presentazione dell'identico disegno di legge.

Da tale intervento soppressivo è derivata l'esigenza di modificare in modo significativo la norma relativamente alla copertura finanziaria dell'intero provvedimento. Prima di procedere nella ulteriore illustrazione del provvedimento, ribadisco anche in questa sede quanto già lo stesso presidente della Commissione affari esteri, onorevole Cicchitto, ha più volte ripetuto, e cioè l'esigenza che cessi la prassi, sempre più frequente, che vede accorpare in un unico disegno di legge un numero elevato di accordi, accomunati tra loro dalla materia, ma assai disomogenei quanto a Paesi.

Tale prassi, che ha il significativo vantaggio di accelerare il processo di ratifica degli accordi, pregiudica, però, e penalizza il senso politico ed istituzionale dell'esame parlamentare, che è riferito più alla materia, pur rilevante, che all'analisi delle relazioni tra l'Italia e i singoli Paesi firmatari. Tale analisi è di fatto resa superflua dalla necessità di non pregiudicare l'iter del provvedimento nella sua interezza per ragioni che magari concernono uno o più Paesi in esso coinvolti. In attesa di un eventuale intervento normativo di metodo che acceleri il percorso di ratifica senza però colpire la portata dall'esame parlamentare, e anche tenuto conto delle delicate implicazioni di carattere costituzionale, auspico che nel frattempo si possa procedere ad una sensibile riduzione del numero di accordi accorpati e ad una loro selezione - ad esempio per aree geografiche - distinguendo blocchi di accordi con Paesi europei, ad esempio, da quelli di altri continenti. Inoltre, a tale prassi si dovrebbe ricorrere, per lo più in via d'eccezione, per accordi risalenti nel tempo e quindi divenuti urgenti. Per il resto, signora Presidente, chiedo l'autorizzazione a depositare il testo della relazione, che è molto completa e dettagliata e copre tutti gli accordi che sono inclusi in questo disegno di legge di ratifica, auspicandone una rapida approvazione da parte di questo ramo del Parlamento.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 2194 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Barbados per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, fatta a Barbados il 24 agosto 2015 (Approvato dal Senato) (A.C. 4226) (ore 16,04).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 4226: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Barbados per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, fatta a Barbados il 24 agosto 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4226)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Francesca La Marca.

FRANCESCA LA MARCA, Relatrice. Signora Presidente, colleghi deputati, signor rappresentante del Governo, l'Aula è chiamata ad esaminare la Convenzione tra Italia e Barbados per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali, sottoscritta nell'agosto 2015 e già approvata dal Senato il 12 gennaio scorso. Barbados è l'isola più orientale delle piccole Antille, situate fra il Mare dei Caraibi e l'Oceano Atlantico, abitata da poco più di 280.000 persone. Indipendente dal 1966, permane tuttora all'interno del Commonwealth britannico, ed è uno degli Stati più prosperi dell'area.

La Convenzione in esame risponde all'esigenza di disciplinare in maniera più efficace ed equilibrata gli aspetti fiscali delle relazioni economiche fra i due Paesi. L'Intesa, che ricalca il modello di Convenzione fiscale dell'OCSE al pari di numerose altre già esaminate dal nostro Paese, trova applicazione nei riguardi delle persone fisiche e giuridiche residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti, limitatamente all'imposizione sui redditi e all'imposta regionale sulle attività produttive. L'Accordo definisce il concetto di residenza, di stabile organizzazione e di utili d'impresa, accogliendo il principio generale in base a cui gli utili di impresa sono imponibili nello Stato di residenza dell'impresa stessa ad eccezione dei redditi prodotti per il tramite di un'organizzazione stabile. Quanto agli utili di capitale, l'articolo 13 della Convenzione stabilisce, fra l'altro, una potestà impositiva concorrente dei due Stati per plusvalenze relative a beni immobili o a beni mobili appartenenti alla stabile organizzazione o alla base fissa. In materia di pensioni, la convenzione prevede la tassazione soltanto nello Stato di residenza, mentre per le remunerazioni derivanti dallo svolgimento di funzioni pubbliche stabilisce di regola la tassazione nello Stato della fonte. Sono poi previsti il principio di non discriminazione, una procedura amichevole per la risoluzione di conflitti, lo scambio di informazioni e l'intangibilità di privilegi fiscali previsti per agenti diplomatici e funzionari consolari. Per le ragioni esposte auspico una rapida approvazione del provvedimento al nostro esame da parte dell'Aula.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Costa Rica sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Allegato, fatto a Roma il 27 maggio 2016 (A.C. 4254) (ore 16,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 4254: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Costa Rica sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Allegato, fatto a Roma il 27 maggio 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4254)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Francesca La Marca.

FRANCESCA LA MARCA, Relatrice. Signora Presidente, colleghi deputati, signor rappresentante del Governo, l'Accordo tra l'Italia ed il Costa Rica sullo scambio di informazioni in materia fiscale è stato redatto sulla base del modello Tax Information Exchange Agreement, predisposto dall'OCSE nell'aprile 2002, che consiste in un accordo finalizzato allo scambio di informazioni tra gli Stati che, in ragione del ridotto interscambio commerciale, non ritengono necessario stipulare una convenzione contro le doppie imposizioni.

A tale proposito è importante sottolineare che, nel luglio 2015, l'OCSE ha presentato al Costarica una roadmap per una futura eventuale ammissione di questo Paese in questa organizzazione. In generale ricordo che il Costa Rica è membro delle principali organizzazioni internazionali e in molte di esse si adopera per assumere un ruolo di protagonismo che va oltre le sue ridotte dimensioni geopolitiche. Si pensi, ad esempio, al suo impegno in materia di protezione dei diritti umani, dell'ambiente, contro la pena di morte ed altri. Il Paese fa inoltre parte di diverse organizzazioni regionali, prima fra tutte la CELAC, Comunità degli Stati latino-americani e dei Caraibi, ed il Sica, Sistema de la Integración Centroamericana, e di tutti i suoi organi. Come conseguenza di una precisa scelta di politica economica, il Costa Rica ha in essere un grande numero di trattati economici con numerosi Stati e regioni del mondo.

Le relazioni bilaterali tra Italia e Costa Rica, a livello diplomatico iniziate nel 1864, sono tradizionalmente caratterizzate da una grande vicinanza e collaborazione in tutti i campi in cui esse si manifestano: economico-commerciale, culturale e politico. Ciò è stato alimentato anche dalla significativa presenza dell'emigrazione italiana, che a più ondate è giunta verso questo Paese dell'istmo centro-americano. La presenza economica italiana in Costa Rica si manifesta attraverso un grande numero di aziende locali di origine italiane e con un'elevata diffusione di prodotti e marchi italiani nei più disparati settori, dall'alimentare alla moda fino all'automotive. L'elevata diversificazione dei prodotti italiani esportati sta a significare il generale apprezzamento del made in Italy, tenendo conto dell'ulteriore fatto di spinta rappresentato dall'implementazione della componente commerciale dell'Accordo di associazione UE-America centrale, la cui ratifica è stata autorizzata dal nostro Parlamento con la recente legge 11 luglio 2016 n. 139. Per queste motivazioni, auspico una rapida approvazione del provvedimento da parte dell'Aula.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo euromediterraneo nel settore del trasporto aereo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Governo dello Stato d'Israele, dall'altro, fatto a Lussemburgo il 10 giugno 2013; b) Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e la Repubblica moldova, fatto a Bruxelles il 26 giugno 2012; c) Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, con Allegato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011, e Accordo addizionale fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, riguardante l'applicazione dell'Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011 (A.C. 2714) (ore 16,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2714: Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo euromediterraneo nel settore del trasporto aereo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Governo dello Stato d'Israele, dall'altro, fatto a Lussemburgo il 10 giugno 2013; b) Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e la Repubblica moldova, fatto a Bruxelles il 26 giugno 2012; c) Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, con Allegato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011, e Accordo addizionale fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, riguardante l'applicazione dell'Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2714)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Marco Fedi.

MARCO FEDI, Relatore. Signora Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi deputati, valgono per questo provvedimento di ratifica le considerazioni svolte in precedenza, nel senso che si tratta anche qui di un accorpamento in un unico disegno di legge - il titolo stesso molto lungo che lei ha appena letto - di un elevato numero di accordi omogenei per materia, ma disomogenei per Stati firmatari. Per questa ragione non ripeterò le considerazioni già svolte, ma mi preme sottolineare che, nel caso di specie, trattasi peraltro di ratifiche di accordi di carattere multilaterale, che vedono, da un lato, l'Unione europea e, dall'altro, Stati Uniti, Norvegia, Islanda, Israele e Repubblica moldova.

Quanto alla prima delle intese al nostro esame, l'Accordo euromediterraneo sul trasporto aereo tra l'Unione europea e Israele, concluso il 10 giugno 2013, esso risponde all'esigenza di liberalizzare l'accesso al mercato, di creare nuove opportunità di investimento per gli Stati membri e di garantire pari diritti e opportunità ai vettori aerei, sia dell'Unione Europea sia israeliani. Più nello specifico la finalità dell'Accordo è rappresentata dall'istituzione di uno spazio aereo liberalizzato tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e lo Stato di Israele, nel cui ambito i vettori di entrambe le parti potranno stabilirsi liberamente, fornire liberamente i loro servizi sulla base dei principi commerciali, competere su base equa e paritaria, nonché essere soggetti a condizioni regolamentari equivalenti e armonizzate.

L'entrata in vigore dell'Accordo, destinato a sostituire gli accordi bilaterali esistenti attualmente in vigore, contribuirà ad agevolare - come si sottolinea nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica - i necessari processi di fusione e di consolidamento di soggetti imprenditoriali dell'Unione in grado di confrontarsi con le dinamiche di mercato mondiale.

Si rammenta in proposito che l'Italia ha già ratificato nel 2009 e nel 2012 due analoghi accordi siglati con il Marocco e la Giordania, i primi stipulati con Paesi non europei, sulla scia delle linee guida inaugurate dalla Commissione europea nel marzo 2005.

Per quanto concerne la seconda delle intese al nostro esame, l'Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e la Repubblica moldova, valgono pienamente le considerazioni generali già formulate con riguardo all'accordo UE-Israele sul trasporto aereo.

Venendo all'Accordo del giugno 2011 tra l'Unione Europea, gli Stati Uniti, l'Islanda e la Norvegia e all'Accordo addizionale applicativo tra l'Unione europea, l'Islanda e la Norvegia, l'insieme di tali strumenti è volto ad estendere all'Islanda e alla Norvegia - cui già si applica l'Accordo sui trasporti aerei tra Stati Uniti e Unione europea del 2007 - anche la versione di detto Accordo, come modificata dal Protocollo del 24 giugno 2010.

La relazione introduttiva ci ricorda come Islanda e Norvegia abbiano preso parte come osservatori già alla fase negoziale, che condusse poi alla stipula del Protocollo del 2010. Al termine di tali negoziati fu concordato in merito alla possibilità di una proposta di Islanda e Norvegia per poter accedere anche al Protocollo. Viene peraltro evidenziato che entrambi i Paesi, pur appartenenti all'Unione europea, siano parte integrante, con numerosi altri Paesi del vecchio continente, dello spazio aereo comune europeo, cui ha dato vita l'Accordo ECAA del 9 giugno 2006, ratificato dall'Italia con la legge 4 giugno 2010, n. 91.

Per quanto concerne le finalità e la portata dello spazio aereo comune transatlantico, va inoltre ricordato anche l'Accordo sui trasporti aerei tra il Canada e l'Unione europea del 17 dicembre 2009, ratificato dal nostro Paese con la legge 1° febbraio 2012, n. 6, cui l'Accordo tra Stati Uniti e Unione europea del 2007 e il successivo Protocollo di modifica hanno dato vita. Valgono anche qui le considerazioni già formulate a proposito dell'accordo tra Unione Europea e Israele.

Da ultimo l'Accordo sul trasporto aereo tra la Comunità europea e gli Stati Uniti d'America. Concluso il 30 aprile 2007, costituisce un significativo superamento della precedente e tuttora vigente dimensione bilaterale nel campo degli accordi sui servizi aerei.

Infatti, oltre ad aprire gradualmente i rispettivi mercati del trasporto aereo, realizzando in prospettiva un mercato unico transatlantico del trasporto aereo, esso prevede l'allineamento delle relazioni tra gli Stati Uniti e i vari Stati membri della UE nel settore aereo ad alcuni elementi di base della legislazione comunitaria, come la sicurezza dei voli, la tutela della concorrenza, la gestione del traffico aereo, la tutela dei consumatori e dell'ambiente. In tal modo viene inoltre risolto il problema dell'incompatibilità con la pertinente normativa comunitaria di alcuni degli accordi bilaterali con gli USA tuttora in vigore, a suo tempo rilevata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.

Va segnalato che l'Accordo in oggetto appartiene alla categoria degli accordi cosiddetti misti, in quanto esso, oltre alle disposizioni più strettamente economico-commerciali, da tempo delegate all'Unione europea, contiene anche ulteriori previsioni di competenza del diritto interno degli Stati membri, dei quali peraltro è necessaria la ratifica.

Per queste ragioni, signora Presidente, visto che il mio tempo è arrivato a conclusione segnalo l'urgenza di una ratifica di questo provvedimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il Governo, che non ritiene.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 4 aprile 2017, alle 11:

1.  Svolgimento di interrogazioni.

  (ore 15)

2.  Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

MANTERO ed altri; LOCATELLI ed altri; MURER ed altri; ROCCELLA ed altri; NICCHI ed altri; BINETTI ed altri; CARLONI ed altri; MIOTTO ed altri; NIZZI ed altri; FUCCI ed altri; CALABRO' e BINETTI; BRIGNONE ed altri; IORI ed altri; MARZANO; MARAZZITI ed altri; SILVIA GIORDANO ed altri: Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. (C. 1142-1298-1432-2229-2264-2996-3391-3561-3584-3586-3596-3599-3630-3723-3730-3970-A)

Relatori: LENZI, per la maggioranza; CALABRÒ, di minoranza.

3.  Seguito della discussione delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-01511, Di Vita ed altri n. 1-00293, Lenzi ed altri n. 1-01437, Cimbro ed altri n. 1-01494, Rondini ed altri n. 1-01567 , Gregori ed altri n. 1-01568, Palese ed altri n. 1-01570 e Vargiu ed altri n. 1-01572 concernenti iniziative volte alla prevenzione dell'HIV/AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili.

4.  Seguito della discussione della proposta di legge:

DAMBRUOSO ed altri: Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 3558-A)

Relatori: POLLASTRINI, per la maggioranza; LA RUSSA, di minoranza.

5.  Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 119-1004-1034-1931-2012 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: D'ALI'; DE PETRIS; CALEO; PANIZZA ed altri; SIMEONI ed altri: Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 4144-A)

e delle abbinate proposte di legge: TERZONI ed altri; MANNINO ed altri; TERZONI ed altri; BORGHI ed altri. (C. 1987-2023-2058-3480)

Relatore: BORGHI.

6.  Seguito della discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-01525, Palese ed altri n. 1-01545, Sorial ed altri n. 1-01546, Franco Bordo ed altri n. 1-01548, Allasia ed altri n. 1-01550 e Marcon ed altri n. 1-01555 concernenti iniziative volte all'estensione dei cosiddetti poteri speciali del Governo al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle aziende italiane di rilevanza strategica.

7.  Seguito della discussione dei disegni di legge:

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Emirati Arabi Uniti, nell'ambito della cultura, arte e patrimonio, fatto a Dubai il 20 novembre 2012; b) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Malta in materia di cooperazione culturale e di istruzione, fatto a Roma il 19 dicembre 2007; c) Accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Montenegro, fatto a Podgorica il 26 settembre 2013; d) Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Senegal, fatto a Roma il 17 febbraio 2015; e) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovacca sulla cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologia, fatto a Bratislava il 3 luglio 2015; f) Accordo di collaborazione nei settori della cultura e dell'istruzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia, fatto a Roma l'8 marzo 2000. (C. 3980-A)

Relatore: FEDI.

S. 2194 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Barbados per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, fatta a Barbados il 24 agosto 2015 (Approvato dal Senato). (C. 4226)

Relatrice: LA MARCA.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Costa Rica sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Allegato, fatto a Roma il 27 maggio 2016. (C. 4254)

Relatrice: LA MARCA.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo euromediterraneo nel settore del trasporto aereo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Governo dello Stato d'Israele, dall'altro, fatto a Lussemburgo il 10 giugno 2013; b) Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e la Repubblica moldova, fatto a Bruxelles il 26 giugno 2012; c) Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, con Allegato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011, e Accordo addizionale fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, riguardante l'applicazione dell'Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011. (C. 2714)

Relatore: FEDI.

La seduta termina alle 16,20.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: RENATA POLVERINI (A.C. 3558-A)

RENATA POLVERINI. (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 3558-A). Onorevoli colleghi, Signora Presidente, gli attentanti di matrice islamica che continuano ad insanguinare l'Europa ci mostrano una situazione piuttosto chiara e nitida in cui l'avanzata dello jihadismo rappresenta una realtà che si evolve con rapidità allarmante e che purtroppo, nei molteplici episodi, ci ha lasciati molto spesso scioccati per brutalità e imprevedibilità.

Dagli ultimi anni, i timori più forti si stanno rivolgendo nei confronti dei cosiddetti foreign fighters, le schiere di aspiranti jihadisti che si sono uniti all'Isis e alle altre formazioni jihadiste operanti tra Siria e Iraq. Per la preoccupazione della sorprendente avanzata militare dell'Isis non solo in Iraq, ma in tutto il mondo, alcuni paesi occidentali hanno adottato nuove norme per contrastare tale fenomeno. Dal Canada all'Australia, passando per la maggior parte dei Paesi europei si è compreso che oltre ad un efficace monitoraggio e varie azioni di intelligence ciò che risulta necessario è la previsione di misure mirate a prevenire la radicalizzazione sul nascere, cercando quindi di diminuire il numero di soggetti pronti ad uccidere ed immolarsi in nome della jihad.

In Paesi come la Gran Bretagna e l'Olanda queste iniziative esistono da più di un decennio. In entrambi i Paesi operano reti di educatori, psicologi, assistenti sociali e in alcuni casi ex militanti, che approcciano soggetti che denotano chiari segnali di radicalizzazione, ma che ancora non hanno compiuto alcuna azione criminosa.

In Italia poco si è fatto su questo fronte. Se, infatti, in molti Stati esteri già colpiti da attentati esiste una consapevolezza generalizzata dei rischi e su come fronteggiarli, nel nostro Paese non si ha ancora una piena cognizione su come agire e tanto più su come prevenirli. E' per tali motivi che il gruppo di Forza Italia ritiene fondamentale introdurre nel nostro ordinamento strumenti idonei a contrastare sul nascere la radicalizzazione e l'estremismo jihadista nonché a predisporre misure di recupero e di reinserimento sociale di soggetti già coinvolti in fenomeni di radicalizzazione.

Il provvedimento è stato esaminato con grande attenzione durante l'esame in Commissione ed il testo all'esame dell'Aula ha recepito alcuni dei nostri suggerimenti come l'istituzione di un numero verde, di poli di sperimentazione per l'individuazione delle migliori pratiche di prevenzione allo jihadismo nonché la promozione di una attività di formazione specialistica che sia rivolta non solo ai docenti ma anche ai dirigenti scolastici delle scuole statali e paritarie.

Inoltre, un grande passo in avanti è stato compiuto con l'istituzione di specifici programmi di contrasto all'odio online. L'elemento sul quale bisogna infatti operare è proprio in riferimento al web, luogo virtuale in cui soprattutto i giovani con forte crisi d'identità, mancanza di modelli di riferimento e con poche prospettive per il futuro vengono reclutati dagli jihadisti che promuovono il loro movimento come un fenomeno in grado di idealizzare un cambiamento della vita dei giovani e di modificare la propria posizione nella società.

La Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista, nella relazione finale, mostra come il web giochi un ruolo fondamentale nella diffusione dell'ideologia jihadista tanto che negli ultimi anni si è assistito alla crescita di una embrionale comunità jihadista italiana sulla rete, in particolare su alcuni social network e che tale attività si stia espandendo anche nei sistemi di messaggistica.

La Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, con l'ultima relazione presentata lo scorso 2 marzo, oltre a mettere a nudo alcuni aspetti deficitari alla lotta al terrorismo, come il ritardo nel contrastare con strumenti attuali e immediati la pericolosità delle attività di propaganda e diffusione dell'ideologia denuncia la mancanza di una vera prevenzione nei confronti dello strumento che ha rivoluzionato la formazione a la comunicazione nel mondo, ovvero la Rete.

Risulta dunque opportuno dotarsi di nuove modalità attuative, anche attraverso il ricorso alla tecnologia innovativa, con strumenti elettronici di controllo del web che potrebbero consentire di contenere la pericolosità dei soggetti che intendono diffondere l'estremismo violento di matrice jihadista.

Oltre al web, le prigioni giocano un ruolo cruciale nella diffusione dell'ideologia jihadista, come insegna il caso dell'autore della strage di Berlino, la cui radicalizzazione sembra essere avvenuta nelle carceri siciliane. Oltre al monitoraggio, ciò che serve è una attività di prevenzione e deradicalizzazione dei detenuti e degli internati nel tentativo di arginare fenomeni di proselitismo, all'interno delle stesse carceri, nonché di recupero dei soggetti già coinvolti in fenomeni di radicalizzazione.

Di rilevante importanza risultano altresì le misure di recupero e di reinserimento sociale di soggetti già coinvolti in fenomeni di radicalizzazione la cui attuazione a livello locale è demandata ai Centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione istituiti presso le Prefetture-Uffici territoriali del Governo dei capoluoghi di regione. I Centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione sono presieduti dal Prefetto o da un suo delegato e sono composti da rappresentanti dei competenti uffici territoriali delle amministrazioni statali, degli enti locali e da qualificati esponenti di istituzioni, enti e associazioni operanti nel campo religioso, culturale, educativo e sociale in ambito regionale, nonché delle associazioni e organizzazioni che operano nel campo dell'assistenza socio-sanitaria e dell'integrazione, nonché delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori.

Con questa proposta di legge si sta dunque compiendo un grande passo in avanti nel nostro ordinamento sia nella prevenzione dei fenomeni di radicalizzazione e diffusione dell'estremismo jihadista e sia sul piano del recupero umano, sociale, culturale e professionale di soggetti già coinvolti in tali fenomeni.

Permangono forti perplessità soprattutto in relazione alla totale mancanza di previsioni relative al controllo delle moschee e dei luoghi di culto islamici. Considerato che tali luoghi sono molto spesso utilizzati per fare proselitismo e adescare nuove leve per le cellule jihadiste, è necessario, nel massimo rispetto della libertà religiosa, prevedere delle misure che possano prevenire e contrastare in tali luoghi la radicalizzazione di tale fenomeno.

Appare dunque del tutto opportuno, arginare i fenomeni di radicalizzazione non solo intervenendo sul piano della prevenzione e della difesa, ma anche su quello culturale, per offrire un modello alternativo rispetto a quello fornito da chi fomenta l'odio e pratica la violenza. Un modello basato sul rispetto reciproco, sulla tolleranza, per favorire un'integrazione complessa, ma resa oggi ancor più necessaria.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: MARCO FEDI (A.C. 3980-A)

MARCO FEDI, Relatore. (Relazione – A.C. 3980-A). Signora Presidente, colleghi deputati, Signor rappresentante del Governo, il disegno di legge oggi all'esame dell'Aula riguarda la ratifica e l'esecuzione di accordi bilaterali di cooperazione in materia culturale, scientifica, tecnologica e dell'istruzione conclusi con sette Paesi: Repubblica Ceca (siglato nel 2011); Emirati Arabi Uniti (siglato nel 2012), Malta (siglato nel 2007); Montenegro (siglato nel 2013); Senegal (siglato nel 2015); Repubblica slovacca (siglato nel 2015); infine Slovenia (siglato nel 2015).

Quanto all'Accordo con la Repubblica Ceca, segnalo che durante l'iter in Commissione esso è stato stralciato in quanto, nel frattempo, è entrata in vigore la legge di autorizzazione alla ratifica di tale specifico accordo bilaterale, frutto dell'iniziativa legislativa del collega Di Stefano, finalizzata ad accelerare il percorso di ratifica nelle more della presentazione dell'identico disegno di legge. Tale presentazione è quindi intervenuta con il provvedimento in titolo allorquando la proposta di legge Di Stefano, approvata dalla Camera, era in corso di esame presso l'altro ramo del Parlamento.

Da tale intervento soppressivo è derivata l'esigenza di modificare in modo significativo la norma, di cui all'articolo 3 del disegno di legge, relative\ alla copertura finanziaria dell'intero provvedimento.

Prima di procedere nell'ulteriore illustrazione del provvedimento, ribadisco anche in questa sede quanto già anche lo stesso presidente della Commissione Affari esteri, on. Fabrizio Cicchitto, ha più volte ripetuto e cioè l'esigenza che cessi la prassi sempre più frequente che vede accorpare in un unico disegno di legge un numero elevato di accordi, accomunati tra loro dalla materia ma assai disomogenei quanto a Paesi parte.

Tale prassi, che ha il significativo vantaggio di accelerare il processo di ratifica degli accordi, pregiudica e penalizza il senso politico ed istituzionale dell'esame parlamentare, che è riferito più che alla materia, pur rilevante, all'analisi delle relazioni tra l'Italia e i singoli Paesi firmatari. Tale analisi è di fatto resa superflua dalla necessità di non pregiudicare l'iter del provvedimento nella sua interezza per ragioni che magari concernono uno o più Paesi in esso coinvolti.

In attesa di un eventuale intervento normativo di metodo che acceleri il percorso di ratifica senza però colpire la portata dell'esame parlamentare, anche tenuto conto delle delicate implicazioni di carattere costituzionale, auspico che nel frattempo si possa procedere ad una sensibile riduzione del numero di accordi accorpati e ad una loro selezione, ad esempio, per aree geografiche, distinguendo blocchi di accordi con Paesi europei da quelli di altri continenti. Inoltre, a tale prassi si dovrebbe ricorrere per lo più in via di eccezione e per accordi risalenti nel tempo, divenuti pertanto urgenti.

Tornando al provvedimento in titolo, per quanto attiene all'accordo di cooperazione con il Governo degli Emirati Arabi Uniti, nell'ambito della cultura, arte e patrimonio, fatto a Dubai il 20 novembre 2012, segnalo che esso consegue all'intensificazione delle relazioni commerciali bilaterali ed all'incremento degli scambi culturali nel quadro di una rinnovata cooperazione politica testimoniata anche dall'attività di un gruppo di collaborazione bilaterale che riunisce parlamentari italiani ed emiratini.

Per quanto attiene agli specifici contenuti di questa intesa, così come delle altre al nostro esame, rinvio all'apposita documentazione predisposta dagli uffici, ma mi preme sottolineare che l'accordo costituisce la cornice giuridica di riferimento per gli interventi e le future collaborazioni in campo culturale, museale e di recupero del patrimonio artistico di entrambi i Paesi.

L'accordo italo-maltese in materia di cooperazione culturale e di istruzione, fatto a Roma il 19 dicembre 2007, è invece finalizzato a promuovere e favorire iniziative, scambi e collaborazioni in ambito culturale, tenendo conto della comune appartenenza di Italia e Malta all'Unione europea che delinea un quadro politico di riferimento del tutto differente rispetto a quello sotteso al precedente Accordo concluso alla Valletta il 28 luglio 1967, che viene abrogato. L'Accordo, quindi, oltre ad aggiornare il quadro di riferimento delle relazioni bilaterali in ambito culturale, è volto ad impedire i trasferimenti illeciti di beni culturali, assicurando, altresì, la protezione dei diritti d'autore e della proprietà intellettuale, in ottemperanza delle norme internazionali e nazionali.

Il terzo Accordo ricompreso nel disegno di legge C. 3980 è quello di cooperazione scientifica e con il Governo del Montenegro, sottoscritto nella capitale montenegrina il 26 settembre 2013. Premesso che la materia in esame non è attualmente regolata da accordi bilaterali specifici, sottolineo che l'Accordo persegue l'obiettivo di costituire, promuovere, sostenere ed aggiornare iniziative comuni in campo scientifico e tecnologico, anche tenendo conto degli specifici programmi dell'Unione europea e di altri organismi internazionali. Lo scopo principale dell'Accordo è quindi il consolidamento e l'armonizzazione dei legami e della comprensione reciproca, fornendo al contempo una risposta efficace alla forte richiesta di innovazione tecnologica in Montenegro. Il Montenegro - che ha lo status ufficiale di Paese candidato all'ingresso nell'UE - considera l'Italia un punto di riferimento cruciale nel proprio percorso di avvicinamento all'Unione europea e percepisce il nostro Paese come interlocutore di importanza strategica anche in virtù dei contenuti scientifico-tecnologici che contraddistinguono le relazioni bilaterali.

Per quanto attiene all'accordo tra Italia e Senegal nel campo della cooperazione culturale, scientifica e tecnica, fatto a Roma il 17 febbraio 2015, premetto che tra i due Paesi è attualmente in vigore un accordo di collaborazione culturale, scientifica e tecnica risalente al 1974.

Il nuovo Accordo di collaborazione in materia culturale è stato negoziato per sostituire il precedente Accordo che non conteneva clausole per la valorizzazione della diaspora senegalese in Italia, formule di collaborazione interuniversitaria e un sostegno più deciso all'insegnamento dell'italiano in Senegal. La domanda culturale e di conoscenza del Sistema Italia in Senegal è in progressivo aumento, molte manifestazioni culturali sono organizzate a Dakar dalle istituzioni italiane ed inoltre molti senegalesi parlano l'italiano grazie alle loro esperienze di studio e di lavoro in Italia. L'italiano è materia curricolare, come seconda o terza lingua straniera (facoltativa) nelle scuole medie e nei licei, oltre ad essere insegnato in alcune scuole professionali senegalesi.

L'Accordo italo-slovacco di cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologica, concluso nella capitale slovacca il 13 luglio 2015 si propone invece di fornire un quadro di riferimento adeguato alle iniziative di collaborazione culturale, scientifica e tecnologica, in considerazione della varietà e della qualità dei rapporti bilaterali esistenti tra i due Paesi.

L'Accordo sostituisce le precedenti intese in materia del 1971 e del 1990, divenute obsolete oltre che per il cambiamento del quadro politico, anche per l'evoluzione della collaborazione in campo culturale, scientifico e tecnologico.

Ricordo che la Repubblica Slovacca è divenuta Stato membro dell'Unione europea a partire dal 2004 e, pertanto, partecipa a pieno titolo alle politiche di cooperazione culturale e scientifica perseguite in tale ambito.

L'esigenza di sottoscrivere un nuovo Accordo deriva anche dal crescente interscambio e dalle numerose iniziative intraprese sul piano culturale, scientifico e tecnologico, che necessitano quindi di un inquadramento organico e aggiornato. L'Accordo si propone di favorire, da una parte, un ulteriore rafforzamento dei rapporti bilaterali fornendo nel contempo una risposta efficace alla fortissima richiesta di lingua e cultura italiana nella Repubblica slovacca e, dall'altra, di incoraggiare l'avvio di strette collaborazioni in un settore sempre più cruciale come quello della ricerca scientifica e tecnologica.

Infine, l'Accordo di collaborazione italo-sloveno nei settori della cultura e dell'istruzione, fatto a Roma l'8 marzo 2000, sostituirà, dal momento della sua entrata in vigore, una vecchia intesa risalente al 1960, quindi agli anni della Federazione iugoslava. L'Accordo è volto a favorire l'integrazione a livello europeo e regionale, anche incoraggiando la partecipazione bilaterale nel contesto di programmi multilaterali promossi dall'Unione europea, nonché di specifiche iniziative di cooperazione regionale. L'Accordo mira altresì ad agevolare le relazioni culturali tra le minoranze dell'una e dell'altra parte dei rispettivi confini dello Stato.

Concludo con l'auspicio che l'Aula possa procedere ad una rapida adozione di questo provvedimento di ratifica.