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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 753 di lunedì 6 marzo 2017

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

  La seduta comincia alle 15.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 27 febbraio 2017.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Casero, Caso, Castelli, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Maria, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Gandolfi, Garofani, Gasparini, Gelli, Gelmini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Librandi, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Malpezzi, Manciulli, Mannino, Marazziti, Marcon, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pisicchio, Portas, Quaranta, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Tabacci, Valeria Valente e Velo sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente novantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Braga ed altri; Segoni ed altri; Zaratti e Pellegrino: Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (A.C. 2607-2972-3099-B) (ore 15,03).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge, già approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato, nn. 2607-2972-3099-B: Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell’allegato A al resoconto stenografico della seduta del 3 marzo 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 3 marzo 2017).

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(Discussione sulle linee generali – A.C. 2607-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Raffaella Mariani.

  RAFFAELLA MARIANI, Relatrice. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia, oggi, l'esame del testo unificato delle proposte di legge n. 2607 Braga, n. 2972 Segoni e n. 3099 Zaratti, recante la delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale di protezione civile, già approvato in prima lettura dalla Camera e modificato nel corso dell'esame al Senato. Nel rinviare alla documentazione predisposta dagli uffici per l'approfondimento analitico dei contenuti del provvedimento, do conto, quindi, sinteticamente, delle modifiche apportate al provvedimento dal Senato. Si tratta di modificazioni testuali, introdotte al fine di recepire le condizioni formulate nel parere della Commissione bilancio del Senato, ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ossia relativamente ai profili di copertura finanziaria. Tali modificazioni sono limitate al comma 1 dell'unico articolo della proposta di legge, che elenca gli ambiti oggetto della delega. In particolare, il Senato è intervenuto su due di questi ambiti. Il primo riguarda la disciplina del finanziamento delle funzioni di protezione civile attraverso il Fondo della Protezione civile, il Fondo per le emergenze nazionali e il Fondo regionale di Protezione civile. Nel corso dell'esame al Senato è stata soppressa la parte della disposizione sulla base della quale i decreti delegati avrebbero dovuto rinviare alla legge di stabilità la definizione della dotazione di tali fondi e definire le procedure da seguire per la loro eventuale integrazione, in ragione del numero e dell'entità degli eventi calamitosi verificatisi, garantendo la trasparenza e la tracciabilità dei relativi flussi finanziari.
  Il secondo ambito su cui il Senato è intervenuto riguarda la disciplina delle procedure finanziarie e contabili che devono essere applicate dai commissari delegati titolari di contabilità speciale, nonché le disposizioni riguardanti gli obblighi di rendicontazione, il controllo successivo e il subentro delle amministrazioni competenti in via ordinaria nei rapporti giuridici attivi e passivi sorti durante le gestioni commissariali e nei procedimenti contenziosi e nelle attività precontenziose instaurati durante lo stato di emergenza e in relazione ad esso. Nel corso dell'esame al Senato è stato precisato che la citata delega relativa alla disciplina delle procedure finanziarie e contabili deve essere elaborata in conformità alle previsioni di cui all'articolo 40, comma 2, lettera p) della legge n. 196 del 2009, che prevede la progressiva eliminazione, con alcune eccezioni, delle gestioni contabili che operano a valere sui fondi trasferiti dal bilancio dello Stato. Nel corso dell'esame al Senato è stata, inoltre, soppressa l'ultima parte della disposizione in esame, ove veniva previsto che la nuova disciplina avrebbe dovuto anche prevedere le conseguenti riduzioni degli obiettivi del patto di stabilità interno per le amministrazioni interessate.
  Nel periodo intercorso tra l'approvazione in prima lettura – questa Camera licenziò il provvedimento il 23 settembre 2015 – e l'avvio della seconda – il Senato ha licenziato il testo il 7 febbraio 2017 – ulteriori e di grande portata sono stati i casi in cui si è sentito il bisogno di avere uno strumento legislativo adeguato ai tempi mutati, alle responsabilità distribuite nella filiera istituzionale rivisitata, all'evoluzione normativa inerente grandi comparti della pubblica amministrazione, della codificazione degli appalti pubblici, Pag. 3delle norme anticorruzione, delle regole finanziarie degli enti locali e, più in generale, della finanza pubblica. Insomma, un riordino indispensabile, come sottolineato anche nella gestione delle situazioni di eccezionale emergenza che si sono verificate nel nostro Paese, a partire dal sisma del 24 agosto 2016 nell'Italia centrale fino al gennaio 2017, poi aggravate dalle straordinarie nevicate verificatisi in quelle aree già duramente colpite. Quella coincidenza di eventi distruttivi: la perdita di vite umane in misura così rilevante e la tragica percezione di una popolazione privata oltre che degli affetti più cari di ogni bene concreto costruito con il lavoro e un progetto di vita, uniti alla grandissima mobilitazione dell'intera comunità nazionale richiedono ai legislatori una responsabilità proporzionata ed altrettanto eccezionale.
  Dobbiamo partire dal riconoscimento di un valore, quello che io attribuisco al sistema nazionale di protezione civile, un patrimonio della nazione, ai suoi uomini e donne cui va un ringraziamento infinito. L'entità, la durata e la complessità degli eventi calamitosi verificatisi nell'Italia centrale hanno testato e messo a durissima prova l'efficienza e l'efficacia dell'azione congiunta del dipartimento di Protezione civile, fatto di valorosi tecnici e operatori sul campo, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dei volontari, dei responsabili delle autonomie locali e delle regioni, oltre che dei militari dell'Esercito italiano, dei componenti di tutte le forze dell'ordine e del Soccorso alpino e speleologico italiano che, senza sosta, da mesi, giorno e notte, stanno affrontando prove molto difficili alla ricerca delle soluzioni migliori per il superamento dell'emergenza e l'avvio della ricostruzione, non senza essere sottoposti a critiche, confronti e polemiche, a volte molto strumentali e dolorosi, spesso frutto della disperazione e dello sconforto di chi ha perso tutto e vorrebbe, comprensibilmente, un ritorno alla normalità immediato. Sì, mentre il legislatore, con i tempi e le priorità del Parlamento, indicava la necessità di una rivisitazione più attuale di alcuni strumenti messi in atto dalla legge quadro della Protezione civile, la legge n. 225 nel 1992, la cui bontà e lungimiranza non finiremo mai di sottolineare, e decideva di aggiornare «in tempo di pace» lo strumento normativo fondamentale per chi opera in emergenza a valle delle esperienze relative alle ultime grandi calamità naturali verificatesi – mi riferisco ai precedenti eventi sismici dell'Abruzzo, dell'Emilia Romagna, Lombardia e Veneto e ai grandi disastri idrogeologici della Liguria, della Calabria e della Sardegna –, in quel lasso di tempo, troppo, a nostro giudizio, siamo incorsi nella più devastante emergenza che il nostro Paese abbia vissuto negli ultimi cento anni. Il contesto è fondamentale e deve far riflettere e responsabilizzare molto di più che nell'ordinario lavoro del Parlamento circa la necessità di rendere efficiente ed efficace il riordino e il coordinamento degli interventi di protezione civile. Quello dell'organizzazione degli interventi di protezione e di difesa civile è un sistema policentrico, affidato alla regia del dipartimento di Protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in caso di emergenze di portata nazionale che deve potersi coordinare senza soluzione di continuità con comuni e regioni, terminali fondamentali e responsabili dei livelli territoriali. Una macchina dei soccorsi che si trova a fronteggiare esigenze molto differente nelle varie fasi di cui si compone il periodo più acuto e che deve permettere l'avvio delle condizioni adeguate per la ricostruzione. L'obiettivo è quello di mantenere la priorità assoluta della sicurezza dei cittadini e delle imprese, rendere omogenea l'applicazione delle norme nella gestione e nel superamento delle emergenze, indicare con certezza le misure applicabili per favorire il ritorno alla normalità dopo gravi calamità, coordinare al meglio responsabilità centrali e territoriali nell'intero Paese, recuperare i ritardi verificatisi, nonché costruire le condizioni per ridurre preventivamente l'effetto di rischi rilevanti.
  Dal 1992, anno della pubblicazione della legge n. 225 che ha avuto il grandissimo pregio di costruire il primo quadro organico ed omogeneo di riferimento Pag. 4ancora molto attuale, il nostro Paese è stato soggetto a decine di calamità naturali e causate dall'azione umana, per le quali lo Stato ha attivato procedure di emergenza e misure di sostegno che hanno costituito occasione per un proliferare eccessivo di norme primarie e ordinanze conseguenti, la cui somma oggi appare parcellizzata e disomogenea. L'effetto più eclatante è, infatti, l'inapplicabilità e la non trasferibilità di alcune misure costruite per specifiche situazioni nel contesto generale con giustificabili dubbi sull'efficacia e sull'equità per i cittadini. La discussione politico-istituzionale, nel corso degli anni, si è molto concentrata nel definire le opzioni da privilegiare nel caso di eventi calamitosi che hanno compromesso la vita dei cittadini e i loro beni primari e il sistema economico e sociale di importanti regioni, città storiche, territori minori e disagiati.
  Il confronto si è sviluppato in maniera altalenante sull'opportunità di destinare alla singola peculiarità una legge di riferimento o piuttosto su quella di operare direttamente con schemi più semplici, attraverso l'utilizzo di ordinanze della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei commissari delegati. Quel dibattito, in maniera ancora più forte, l'abbiamo ascoltato anche in queste settimane. Ci influenzano fattori emotivi conseguenti agli effetti gravissimi di calamità devastanti, ma non mancano forti motivazioni collegate al troppo abusato potere derogatorio tipico della gestione emergenziale e fenomeni corruttivi connessi dei quali le cronache italiane hanno ampiamente reso conto e per i quali cittadini e istituzioni hanno richiesto rigore e controllo più incisivo.
  Appare oggi quanto mai opportuno, quindi, riordinare il quadro di riferimento semplificandolo e rendendolo più chiaro ed efficace, ricercando la maggior coerenza possibile tra gli strumenti nazionali e regionali, garantendo certezza e omogeneità nelle risorse concrete date alle comunità colpite, valorizzando l'indispensabile apporto del volontariato organizzato e del sistema pubblico della Protezione civile, dei livelli territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, mantenendo lo standard di eccellenza riconosciuto al nostro Paese in tutta Europa. Un moderno sistema della Protezione civile costituisce oggi per il nostro Paese, come verificato in occasione anche degli ultimi eventi di grande entità, la garanzia di una presenza insostituibile nella gestione dell'emergenza e nella definizione delle misure utili al rientro nella normalità.
  Il sistema ha acquisito negli anni competenze scientifiche e professionali che hanno arricchito un patrimonio umano e tecnico rinomato, e riconosciuto come eccellenza, cui le responsabilità politiche e istituzionali hanno fatto riferimento con tempi e normative non sempre adeguati e soprattutto in maniera disorganica. È tuttavia innegabile, riferendoci all'esperienza dei più rilevanti fenomeni che hanno colpito il Paese soprattutto negli ultimi dieci anni, la reale disomogeneità tra una regione e un'altra nelle azioni di aiuto, nella quantificazione di garanzie economiche destinate alla ricostruzione, e i tempi di risposta per l'avvio e la ripresa delle normali condizioni. Ricordo a tale proposito che il sistema nazionale di Protezione civile è stato istituito nel 1992 con la legge n. 225, che è stata modificata nel corso della XVI legislatura col decreto-legge n. 225 del 2010, il cui articolo 2, comma 4-quater, è stato dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e successivamente dal decreto n. 59 del 2012, convertito dalla legge n. 100 del 2012, il quale, operando un riordino della disciplina della materia, ha ricondotto l'operatività della Protezione civile al nucleo originario di competenze attribuite dalla legge istitutiva dirette prevalentemente a fronteggiare gli eventi calamitosi e rendere più incisivi gli interventi nella gestione delle emergenze.
  Nell'attuale legislatura, inoltre, sono stati effettuati ulteriori interventi correttivi, in particolare con l'articolo 10 del decreto-legge n. 93 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 119 del 2013. Le modifiche introdotte dalla richiamata disposizione attengono al contenuto della deliberazione dello stato d'emergenza Pag. 5e delle ordinanze di protezione civile, alla durata dello stato di emergenza, nonché al finanziamento degli interventi, in particolare attraverso l'istituzione di un fondo per le emergenze nazionali.
  Il testo unificato delle proposte di legge all'esame dell'Assemblea è frutto di un lavoro condiviso svolto nelle Commissioni nell'ambito di un'istruttoria approfondita, che si è avvalsa anche del contributo indispensabile delle numerose audizioni svolte che hanno rafforzato e condiviso lo spirito delle proposte, supportando la necessità di rafforzare il valore della prevenzione nel sistema di protezione civile. È di queste settimane il confronto molto costruttivo in merito al decreto del 9 febbraio 2017 n. 8 recante nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017, dal quale abbiamo potuto avere conferma della bontà dell'impianto della legge delega di riordino del sistema di protezione civile. L'esame in prima lettura del testo unificato avvenne infatti al di fuori di contingenze legate a emergenze. Oggi, nel corso dell'esperienza descritta, arrivano utilissimi contributi che potranno guidare l'emanazione di decreti attuativi da parte del Governo.
  Un richiamo molto forte, di cui sarà utile tenere conto nel prosieguo, riguarda la definizione del ruolo e della responsabilità del sistema e degli operatori del sistema medesimo e delle relative professionalità, oggetto di discussione in queste settimane. Il tema della responsabilità degli operatori è particolarmente delicato, anche in ragione della complessità derivante dalla partecipazione a un sistema policentrico, come definito dalla Corte costituzionale, caratterizzato da un elevato numero di amministrazioni, soggetti ed enti componenti, articolato a livello centrale e territoriale, fortemente imperniato sul principio di sussidiarietà orizzontale e verticale. In tale articolato contesto organizzativo, particolarmente complesse sono, tra l'altro, le azioni volte ad individuare se gli operatori abbiano o meno contribuito in modo diretto ad originare lo specifico rischio.
  In occasione delle audizioni svoltesi davanti alle Commissioni congiunte lavori pubblici del Senato della Repubblica e ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione e sulle ipotesi di modifica della nuova disciplina sui contratti pubblici, è emerso che tra le maggiori criticità incontrate nella prima attuazione concreta della nuova disciplina, dedicata agli interventi da porre in essere in caso di emergenza di protezione civile in occasione di eventi sismici, non vi è tanto l'esigenza di nuove procedure, nuove norme, dove sono sufficienti limitati correttivi al nuovo codice, quanto la necessità di creare un ambiente più trasparente e favorevole per il corretto e sereno esercizio degli ambiti di discrezionalità che le norme esistenti già consentono.
  Gli operatori di Protezione civile a tutti i livelli e quelli del diritto, nelle loro diverse articolazioni giurisdizionali, forensi e accademiche, hanno da tempo avviato un serio e approfondito confronto su questi temi, sviluppando riflessioni approfondite e articolate in una serie di incontri pubblici svolti negli ultimi anni riguardo al tema. Le esperienze maturate anche in altri settori della pubblica amministrazione possono costituire un utile indirizzo per l'attuazione del principio di delega contenuto nella lettera n), del comma 1.
  Signor Presidente e colleghi, il nostro intento è stato quello di aggiornare in una visione organica e di insieme l'intero corpus normativo in materia di Protezione civile. Le criticità stratificatesi nel corso degli anni a causa delle numerosissime e disorganiche modificazioni, hanno di fatto tolto chiarezza ai concetti chiave della legge originaria. Da un percorso di consapevolezza del Paese, iniziato con la legge n. 225 del 1992, rispetto alla condizione di rischio e alle misure più idonee per fronteggiarlo, dobbiamo trarre ancora energia e impulso per continuare con obiettivi altrettanto sfidanti: alimentare la cultura della prevenzione in ogni sua forma, far sì che il ruolo diretto dei cittadini e il senso Pag. 6civico diffuso molto spesso richiamato, ma molto vero nelle grandissime situazioni d'emergenza, possa agire positivamente anche sui livelli istituzionali locali e nazionali. Questo modello è ancora il più potente strumento per il perseguimento di obiettivi di resilienza e sicurezza territoriale. In questo senso, credo che il Parlamento si impegnerà ad approvare velocemente questa legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Grazie. Ha fatto una ricostruzione piuttosto approfondita per una terza lettura, ma va bene.
  Prendo atto che la rappresentante del Governo non intende intervenire.
  È iscritto a parlare l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.

  ERMETE REALACCI. Grazie Presidente. Come lei ha sottolineato, la collega Mariani ha fatto una ricostruzione approfondita, completa ed esaustiva del senso di questo provvedimento, che è un provvedimento importante perché delega il Governo a rafforzare il sistema di Protezione civile. Ora, fuor di retorica, il sistema di Protezione civile è uno dei fondamenti di un'idea dello Stato amico dei cittadini, è un indicatore dello stato di civiltà di un Paese; lo è in generale e in particolar modo in un Paese che ha fragilità come quella dell'Italia.
  Vorrei qui svolgere solo alcune considerazioni. La prima riguarda proprio l'organizzazione della nostra attività di legislatori. Lo ricordava la collega Mariani che questo provvedimento è stato approvato dalla Camera a larga maggioranza, anche perché è un provvedimento frutto di un ampio lavoro comune, di una proposta di legge iniziale della collega Braga unificata con una proposta di legge del collega Zaratti e del collega Segoni, nel settembre del 2015, come ha detto lei, in tempo di pace, non c'erano emergenze ma tutti eravamo, come siamo, coscienti, che bisognasse riorganizzare il sistema, garantire omogeneità, non andare caso per caso a trovare soluzioni rispetto a questioni delicate, aperte, come sono quelle della gestione dell'emergenza, delle semplificazioni, delle risposte al sistema. È accaduto poi che al Senato il percorso è stato molto più lungo. Siccome dovremo convivere col bicameralismo paritario ancora a lungo, io credo che questo meriti una riflessione che consegno a lei Presidente, e anche alla Presidente Boldrini. Anzi, colgo l'occasione per augurare una pronta e completa guarigione alla Presidente Boldrini.

  PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Realacci, ovviamente anche la Presidenza di turno si unisce agli auguri e anche il Governo, immagino.

  ERMETE REALACCI. Certamente siamo tutti in attesa della Presidente Boldrini. Però dobbiamo ragionarci su questo, su come si organizzano i nostri lavori e lo dico anche al Governo perché poi, a volte, una fonte di ritardo e confusione è il fatto che il Governo venga nelle due Camere portando punti di vista diversi. Alcune delle modifiche introdotte al Senato erano relative a passaggi che sono stati concordati con il Governo qui alla Camera, anche con la Ragioneria per capirci, che è poi intervenuto al Senato.
  Passaggi che poi alla fine ci ritorneranno carsicamente perché non prevedere forme di revisione del Patto di stabilità quando ci sono emergenze e catastrofi, come ad esempio, quelle del prolungato terremoto che ha colpito Umbria, Marche, Abruzzo e parte del Lazio, mi sembra una cosa priva di buonsenso, perché poi, alla fine, con queste cose dobbiamo fare i conti. Questo è un sistema fondamentale; ovviamente, non è esaustivo, sappiamo che prima viene un'azione di prevenzione. Qualcosa è stato fatto in questa legislatura, qualcosa di importante: penso a «Italia Sicura», con la prevenzione del dissesto idrogeologico. Abbiamo avviato, anche in questo caso con un consenso ampio di tutta la Commissione, un'azione più forte nei confronti della prevenzione antisismica, con il sisma bonus introdotto nella legge di bilancio che prevede fino all'85 per cento di credito d'imposta per coloro che mettono in sicurezza la propria casa.Pag. 7
  Ma sappiamo che molto bisogna fare ancora, anche perché i mutamenti climatici – penso, ad esempio, anche alle nevicate che hanno colpito drammaticamente molte delle zone investite anche dagli eventi sismici – ci pongono nuovi problemi. E, al tempo stesso, molto bisogna fare per organizzare la ricostruzione. Lo vedremo con un provvedimento di cui ci stiamo occupando in queste settimane in Commissione, che arriverà presto in Aula, che è legato, appunto, alla ricostruzione delle zone colpite.
  Però, e questo è il punto che volevo dire, noi dobbiamo essere convinti che questo sia un passaggio centrale per capire la traiettoria del nostro Paese verso il futuro. In un interessante libro pubblicato di recente, si chiama Italiani con gli stivali, il responsabile di «Italia Sicura», Erasmo D'Angelis, ripercorre un po’ la storia, se vogliamo, degli antenati della Protezione civile e della nostra Protezione civile, e si vede che c’è un'accelerazione tutte le volte che hai un punto di avanzamento anche civile ed economico del Paese, dalle gilde che nell'anno mille si organizzano per difendersi dal fuoco, alla nascita della Venerabile Arciconfraternita della Misericordia, dovuta a un domenicano molto eloquente e carismatico, San Pietro Martire, Pietro da Verona, nel 1244, al comune di Firenze, che, nel 1416, attraverso i magistrati della Repubblica, introduce la guardia del fuoco. Forse lì anche si è ispirato D'Annunzio nel trovare il nome dei vigili del fuoco, che è il nome che, poi, è stato introdotto, a differenza dei pompieri, come si chiamano in altri Paesi europei.
  Ma, più recentemente, noi sappiamo che il formidabile positivo sistema di Protezione civile che noi abbiamo è figlio di tante tragedie di questo Paese, dal Vajont del 1963 a Firenze nel 1966, dove tutti collocano, in parte a ragione, la nascita del volontariato di Protezione civile, perché la forza nel nostro sistema di Protezione civile è data dalla forte collaborazione tra organismi dello Stato, vigili del fuoco, forze dell'ordine, istituzioni, e un volontariato di Protezione civile estesissimo, si parla di 2.500 organizzazioni, oltre 1.300.000 iscritti a queste organizzazioni, spesso organizzazioni di altissima professionalità, penso al Soccorso alpino, penso al CAI, penso anche alle nuove frontiere aperte.
  Per esempio, sul volontariato di protezione civile sui beni culturali, c’è l'esperienza di Legambiente delle Marche, che in questo terremoto sta svolgendo un ruolo importante. Però, poi, il nostro Paese ne ha viste tante, dal dissesto idrogeologico alle alluvioni, al terremoto del Belice, al terremoto dell'Irpinia del 1980, al terremoto de L'Aquila, all'ultimo terremoto. In questo quadro, la definizione, come ricordava la collega Mariani, con più precisione del funzionamento di questo sistema, del suo ruolo anche di consulenza in vista della prevenzione, dei picchetti entro cui svolgere con tempestività ed efficienza un'azione nelle condizioni di emergenza, delle semplificazioni, delle possibilità anche di accesso a facilitazioni economiche in occasione delle emergenze, è un punto assolutamente chiaro, ed è un punto di forza del Paese. Questo non è oggetto del contendere, né di questo provvedimento né di questa legislatura: il Governo ha molto ampliato lo spazio per il servizio civile.
  Continuo ad essere convinto che non sarebbe male ragionare anche di una corvée obbligatoria per ragazzi e ragazze, indipendentemente dal censo, dalla religione e dalla provenienza, volta a una serie di campi di cui la Protezione civile è uno dei principali, perché questo è effettivamente un'infrastruttura civile, è un patriottismo dolce, è una difesa della patria adattata alle sfide moderne, ed è un punto su cui l'Italia è avanti. Mentre siamo indietro nella prevenzione, abbiamo, a volte, dei problemi nella ricostruzione, nella Protezione civile siamo avanti, lo dico sempre con orgoglio, un orgoglio che, ovviamente, è rivolto soprattutto ai protagonisti di questo sistema, a cominciare anche da Fabrizio Curcio, che lo dirige egregiamente, assieme a tante persone di grande qualità.
  Con orgoglio noi possiamo dire, ad esempio, che situazioni come quelle che Pag. 8hanno colpito grandi Paesi del mondo – ho sempre a mente l'uragano Katrina, che si abbatté su New Orleans nel 2005 e che portò alla morte di 2 mila persone circa – situazioni di questo tipo nel nostro Paese non sarebbero possibili, perché siamo organizzati meglio, perché non lasceremmo sole le aree più deboli, perché abbiamo un sistema che saprebbe difendere i cittadini e la patria in occasioni difficili. Penso che questa, in fondo, era la finalità condivisa. Aggiungo, Presidente, che sono stati presentati e poi ritirati emendamenti in Commissione per favorire una rapida approvazione del provvedimento; ce ne sono, mi risulta, solo due in Aula, presentati dalla Lega Nord, ma ho parlato con la capogruppo Castiello, credo che intendano ritirarli. È veramente stata un'azione comune del Parlamento.
  Ebbene, penso che questa legge ci parli di un'Italia come tutti noi vorremmo che fosse. C’è una bella frase di Chesterton che dice che le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono: i bambini sanno che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi. Il sistema di Protezione civile in Italia ci dice che possiamo affrontare le emergenze, e possiamo affrontarle a testa alta, se il nostro Paese è unito (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Artini, che non è presente in Aula; si intende che vi abbia rinunziato.
  È iscritta a parlare l'onorevole Polverini. Ne ha facoltà.

  RENATA POLVERINI. Grazie, Presidente. Naturalmente, mi associo anch'io per gli auguri di pronta guarigione alla Presidente Boldrini; naturalmente lo ha già fatto il nostro capogruppo, ma voglio farlo oggi a nome di Forza Italia, qui, in Aula.

  PRESIDENTE. La ringrazio.

  RENATA POLVERINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo unificato approvato in prima lettura dalla Camera nel settembre 2015 e approvato con modifiche dal Senato nel febbraio scorso consiste in un solo articolo, che delega il Governo al riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale e coordinamento della Protezione civile per finalità di revisione complessiva della normativa di riferimento. Le diverse deleghe contenute nel provvedimento incaricano, quindi, il Governo di adottare uno o più decreti legislativi al fine di provvedere al riordino e all'integrazione delle disposizioni normative che disciplinano il Servizio nazionale della Protezione civile e le relative funzioni. Certamente, a distanza di venticinque anni dall'istituzione del Servizio nazionale di Protezione civile, era comunque necessario rivedere il quadro complessivo delle funzioni e determinarne uno nuovo, considerata l'importanza che esso riveste.
  Mai come negli ultimi mesi abbiamo infatti compreso, a seguito degli straordinari eventi sismici e meteorologici che hanno colpito duramente il nostro Paese, l'importanza di avere un sistema di Protezione civile efficiente ad ogni livello. I provvedimenti adottati negli ultimi anni in materia di Protezione civile hanno, di fatto, comportato una limitazione dell'operatività del Servizio nazionale di Protezione civile, in un'ottica, da un lato, giustizialista, in relazione ai presunti fenomeni corruttivi che hanno sfiorato il Dipartimento della protezione civile nell'anno 2010, e, dall'altro, di tipo ragionieristica, in relazione alla necessità del Ministero dell'economia e delle finanze di neutralizzare gli effetti negativi per la finanza pubblica derivanti dalle calamità naturali.
  Naturale conseguenza dei correttivi normativi adottati soprattutto con il decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012, è stata quella di rendere inefficiente l'intervento del Servizio nazionale della Protezione civile, in occasione degli eventi che hanno colpito l'Italia centrale nei mesi di agosto-ottobre 2016 e di gennaio 2017.Pag. 9
  Malgrado la straordinaria generosità e la competenza di tutte le persone che compongono la Protezione civile e i Corpi che hanno offerto il loro contributo nella fase di gestione dell'emergenza, l'indebolimento della governance della Protezione civile ha prodotto, infatti, dei ritardi anche negli interventi che pure abbiamo apprezzato.
  Riguardo agli interventi necessari bisognerebbe partire dal rafforzare i principi statali nell'ambito della competenza concorrente per l'organizzazione della Protezione civile per limitare e chiarire i livelli di responsabilità. Più in generale, è essenziale provvedere ad un'armonizzazione del sistema di Protezione civile del Paese, che definisca competenze e responsabilità chiare nella catena di comando, strutturando a livello nazionale il regime di intervento nell'emergenza. Negli anni la competenza di materie di Protezione civile infatti è progressivamente passata ai governi regionali e alle autonomie locali. Con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 la Protezione civile è divenuta materia di legislazione concorrente per cui, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, il potere legislativo spetta ai governi regionali. Ogni regione ha così implementato i principi della legge n. 225 del 1992 in leggi regionali e si è organizzata con un proprio sistema di Protezione civile determinando, però, di fatto una confusione che non è stata affatto funzionale all'efficienza del sistema. I troppi livelli decisionali hanno dato vita ad un sistema frastagliato e inefficace, con una catena di comando non chiara e troppo lunga che ha affidato di fatto alle regioni poteri gestionali che queste non sono state in grado di controllare. Più in generale, è necessario assicurare al sindaco un pieno potere di ordinanza nelle emergenze nonché una maggiore semplificazione e velocizzazione delle procedure. La responsabilità e la gestione dell'emergenza andrebbe, quindi, definita su due livelli essenziali: il sindaco, ovvero il livello più prossimo ai cittadini e all'emergenza, e lo Stato, ovvero il livello che ha i mezzi necessari, economici e strutturali, in grado di affrontare l'emergenza.
  Altro tema fondamentale è quello del ripristino del potere di ordinanza in capo alla Presidenza del Consiglio. Questo è necessario perché le decisioni nell'ambito dell'emergenza vanno prese attraverso una piena assunzione di responsabilità e solo la responsabilità del Presidente del Consiglio è in grado di offrire totale copertura politica alle azioni messe in campo in caso di emergenza, anche nei confronti dell'Europa. Il timore di responsabilità amministrative e penali, in cui molto facilmente possono incorrere, sicuramente non per dolo ma in buona fede, i dirigenti della Protezione civile, di fatto bloccano l'operato degli stessi e la gestione di tutta la fase dell'emergenza.
  Ciò che il Governo dovrebbe poi fare – ma è un tema che in tutta evidenza continua a sviare – è quello di porre rimedio ai danni procurati dall'approvazione e dall'implementazione della «legge Delrio». Il tema è strettamente connesso con quello dell'organizzazione e del funzionamento della Protezione civile. La «legge Delrio» di riorganizzazione delle province ha infatti messo in ginocchio il sistema delle autonomie e causato danni incredibili; tra questi se ne segnalano, in particolare, tre, a cui è necessario porre rimedio quanto prima: l'azzeramento di risorse fondamentali per l'edilizia scolastica; l'azzeramento di risorse fondamentali per la manutenzione delle strade; l'eliminazione della importantissima opera di sussidiarietà che le province portavano avanti a supporto dei comuni sui piani di Protezione civile. Quest'ultimo punto è particolarmente rilevante alla luce del fatto che non tutti i comuni sono dotati di un piano di Protezione civile.
  Un'ulteriore questione rilevante, su cui desidero porre l'accento, riguarda la necessità dell'attivazione di sistemi di emergenza nei confronti delle società di servizi. Non è infatti ammissibile che le società che si occupano di garantire i servizi fondamentali al cittadino – parliamo di società di telefonia, erogazione di energia Pag. 10elettrica, gas, manutenzione stradale – seppure operanti in un libero mercato, come è giusto che sia, non abbiano accordi specifici con le amministrazioni per garantire un piano di allerta e prevenzione in caso di emergenze, oltre che un piano per operatori celere ed efficace in caso di disfunzione. Ad esempio, gli accordi di concessione delle strade dovrebbero contenere specifiche clausole per la prevenzione in caso di allerta meteo, con la messa a disposizione di mezzi in grado di poter fronteggiare le eventuali emergenze in maniera immediata.
  Ebbene, ho elencato alcuni temi di straordinaria rilevanza che vanno affrontati in maniera urgente. Da questo punto di vista la delega che arriva oggi all'esame di quest'Aula è assolutamente insufficiente, anche perché abbiamo avuto modo di vedere i risultati ottenuti ogni qual volta abbiamo messo in mano al Governo deleghe importanti. Basti pensare alle norme attuative della «legge Madia» o della delega sulla «buona scuola», caratterizzate da forti limiti, illegittimità, confusione.
  Invito, dunque, quest'Aula ad una maggiore riflessione sul tema che affronteremo anche nel corso della discussione sul decreto-legge attualmente in esame in Commissione ambiente, perché il legislatore ha ora più che mai il dovere di dare risposte concrete alle popolazioni colpite dai recenti eventi sismici e meteorologici e, più in generale, ha il dovere di offrire a tutti i cittadini la garanzia di un sistema di Protezione civile efficace ed efficiente (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti. Ne ha facoltà.

  FILIBERTO ZARATTI. Grazie, signor Presidente. Anch'io vorrei rivolgere i miei auguri personali alla Presidente Boldrini e speriamo che si possa rimettere in fretta.

  PRESIDENTE. La ringrazio.

  FILIBERTO ZARATTI. Il progetto di legge oggi all'esame dell'Aula in seconda lettura esplicita la volontà dell'Esecutivo di ricondurre ad unità un settore, come quello della Protezione civile, che negli ultimi anni ha subito una certa bulimia legislativa con un unico comune denominatore: promuovere la gestione delle emergenze e di quegli eventi, detti «grandi», che spesso si sono dimostrati congeniali a radicare consorterie criminali e affaristiche collaterali allo Stato. Per molti anni è stato imposto e spesso avallato un principio che nulla in questo Paese potesse essere realizzato se non sotto la spinta emergenziale e con il ricorso alla deroga, logica che ha stravolto la natura stessa del corpo normativo che sulla legge n. 225 del 1992 fondava il sistema nazionale di Protezione civile. In questo l'uso ricorrente e reiterato del decreto-legge e dell'ordinanza derogatoria hanno piegato al totale e pervasivo predominio dell'Esecutivo di turno le funzioni legislative e di controllo del Parlamento su una materia dai molteplici risvolti politici, sociali, scientifici, economici ed istituzionali. Troppi provvedimenti – circa 15 solo negli ultimi dieci anni – si sono accumulati sotto l'urgenza e la pressione di emergenze talvolta artatamente ingigantite, con l'effetto di spezzettare e rendere inapplicabile la normativa di settore e, allo stesso tempo, trasformare il servizio nazionale di Protezione civile a mero strumento di gestione delle emergenze e dei grandi eventi, fuori da qualsiasi canale istituzionale.
  In questi anni abbiamo assistito a una sorta di modificazione genetica della Protezione civile e delle sue originarie funzioni, in cui si è provveduto ad equiparare le emergenze post-calamità ai cosiddetti «grandi eventi». Sotto questo aspetto vale la pena ricordare la paradigmatica stagione politica della coppia Berlusconi-Bertolaso, dove la Protezione civile era stata trasformata in un formidabile sistema di potere spesso sottratto ad ogni controllo con l'utilizzo della deroga perenne. Ben venga, dunque, la volontà di razionalizzare il sistema nazionale di Protezione civile per ridare nuovamente correttezza e certezza ai rapporti tra le istituzioni dello Stato, ai diversi livelli territoriali e alle Pag. 11tante forme di cittadinanza attiva che solo una legge fondamentale dello Stato, quale norma non solo di tutela della sicurezza delle persone e dei beni ma di regolamentazione dei diritti e dei doveri che derivano nell'attuare tale tutela, può garantire.
  Il sistema nazionale di Protezione civile deve oggi rifondarsi sulla previsione e sulla prevenzione diffuse sul territorio, soprattutto se si tiene conto della molteplicità delle situazioni critiche presenti nel Paese. I fenomeni di calamità naturale sempre più intensi e devastanti, la fragilità del territorio e lo sviluppo spregiudicato dell'abuso edilizio, ma anche certa produzione industriale senza alcun controllo ambientale, hanno determinato, nel corso degli ultimi due decenni, un costo economico e sociale per il Paese insostenibile. Peraltro gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni Novanta, a quattro o cinque all'anno. Inoltre, circa il 10 per cento dell'intera superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono oltre 6.600 i comuni coinvolti.
  Con tali premesse è evidente che un'efficiente, efficace, capillare e trasparente sistema di Protezione civile diventa assolutamente indispensabile. Un sistema complesso, dove è fondamentale che interagiscano interlocutori istituzionali diversi, volontari e cittadini, in un rapporto organico ed armonico tra realtà e strutture presenti sul territorio.
  Per questo il riordino delle norme che nel tempo hanno interessato l'attività di protezione civile ai vari livelli avrebbe potuto compiersi appieno attraverso un intervento legislativo articolato e complesso, che mal si coniuga, secondo noi, con un tecnicismo legislativo da delegare al Governo. Purtroppo ereditiamo dal precedente Esecutivo la scelta di utilizzare la forma della legge delega, sacrificando ancora una volta il ruolo centrale di garante della democrazia e della partecipazione in capo al Parlamento, in contrasto con i processi di apertura e democratizzazione di cui necessita il settore.
  La legge delega si compone di un unico articolo e 7 commi: è un numero veramente molto elevato, non sempre lineare dei principi e criteri direttivi a cui si dovranno attenere i decreti legislativi che dovranno essere emanati entro nove mesi. Sarebbe stato forse più opportuno definire con puntualità una serie di limiti entro i quali devono trovare espressione i decreti delegati: magari un unico decreto attuativo, a partire dall'individuazione delle componenti il Servizio nazionale di protezione civile, l'insieme delle componenti e delle strutture operative, la rete degli enti pubblici e privati, la rete dei professionisti di diversa formazione con l'apporto delle tante discipline scientifiche che costituiscono e garantiscono il Servizio nazionale della protezione civile, realizzato dal professionale e generoso apporto di migliaia di lavoratori impegnati quotidianamente a garantirne l'effettivo funzionamento e svolgimento. Sono i soggetti cui una riforma organica del codice civile dovrebbe guardare !
  La protezione civile è tutt'altro che materia tecnica riservata agli specialisti e organizzata in strutture chiuse. La sua organizzazione trae origine da una struttura primaria basata su quattro principi: la presenza dello Stato, che non si sottrae in alcun momento ai propri obblighi di protezione civile nei confronti della comunità nazionale; il diritto-dovere all'autoprotezione; il superamento dei soli aspetti dei servizi di emergenza, soccorso e assistenza; l'importante ruolo dell'attività primaria di previsione e prevenzione. L'occasione di un'ennesima proposta di revisione e riforma legislativa secondo noi avrebbe dovuto giovarsi del patrimonio di esperienze ultradecennali di quanti contribuiscono a realizzare il servizio nazionale di Protezione civile, per assicurare finalmente le migliori risorse alle buone pratiche e non ripetere gli stessi errori che l'esperienza di questi anni ci impone di evitare.
  Il Servizio nazionale di protezione civile, vista la complessità e l'alta qualificazione di energie umane e di mezzi strumentali che lo caratterizza molto difficilmente Pag. 12può realizzarsi entro i soli termini di un Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, istituito e regolato con atto del Governo, specie se esso, come è accaduto negli ultimi anni, è andato assumendo caratteristiche di supremazia nei confronti di altri componenti e strutture operative del servizio nazionale di Protezione civile. Tale impostazione dirigistica ha portato ad una perdita della funzione di coordinamento a favore di un approccio meramente interventistico-operativo, in competizione (peraltro senza competenza specifica) con le strutture operative del Sistema nazionale.
  I futuri decreti legislativi dovranno puntualmente definire i criteri da seguire, al fine di adottare entro due anni le eventuali iniziative per la ricognizione, la modifica e l'integrazione dei provvedimenti di attuazione. Da questo punto di vista riteniamo necessario che i decreti delegati individuino standard di qualità e livelli minimi di servizio per ciascuna delle fasi di previsione, prevenzione e soccorso, omogenei sull'intero territorio nazionale; e al tempo stesso ne prevedano le forme e i tempi di progressiva applicazione presso tutte le strutture di protezione civile. Andrà definito con chiarezza il ruolo del sindaco quale autorità locale di protezione civile, rendendo tale definizione finalmente piena di contenuti, e non come nel passato priva di reale operatività: quali sono i poteri e doveri, quali gli strumenti e le garanzie, qual è l'autonomia anche economica di cui i sindaci, specie dei piccoli e piccolissimi centri, si possono avvalere per poter esercitare efficacemente il proprio ruolo.
  La presenza e il ruolo del volontariato deve poi trovare massima valorizzazione e riconoscimento, nel rispetto del principio che, per quanto utile, mai esso deve sostituirsi allo Stato o essere equiparato alla struttura di questo: netta deve essere la distinzione tra il cittadino professionista e il cittadino competente che ha deciso di scendere in campo. Il volontariato perciò non può in alcun caso essere considerato e trovare impiego alla stregua di surroga, palese od occulta, di forme regolari o precarie di occupazione, né come strumento di temporaneo o definitivo avviamento al lavoro, in deroga e spregio alle norme in materia e a quelle sulla tutela e lo stato giuridico del lavoratore.
  Infine, una forte criticità nel testo che oggi siamo chiamati a votare è la prevista clausola di invarianza finanziaria introdotta al Senato. Tutta la riforma della Protezione civile dovrà avvenire senza costi a carico dello Stato: questo rappresenta un limite evidente, a fronte di risorse attuali per la Protezione civile del tutto insufficienti. Sempre nel corso dell'esame al Senato è stata soppressa la parte della disposizione sulla base della quale i decreti delegati avrebbero dovuto rinviare alla legge di stabilità la definizione della dotazione del Fondo della Protezione civile, del Fondo per le emergenze nazionali e del Fondo regionale di Protezione civile, definendo le procedure da seguire per la loro eventuale integrazione, in ragione del numero e dell'entità degli interventi calamitosi verificatisi, garantendo la trasparenza e la tracciabilità dei relativi flussi finanziari. Nonostante gli elementi di criticità espressi, prevale per noi l'aspetto positivo della delega in esame, che è quello di tentare dopo molto tempo di ricondurre a unità un settore, quello della Protezione civile, che per troppi anni ha patito le più svariate forme di estemporaneità, troppo spesso sotto l'unico comun denominatore di una gestione strumentale e monocratica. Per questo, a nome del gruppo dei democratici e progressisti, esprimo il voto favorevole al provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista e di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Daga. Ne ha facoltà.

  FEDERICA DAGA. Presidente, ci accingiamo a dare il via libera ad un provvedimento di estrema importanza, in quanto destinato ad incidere profondamente nell'organizzazione del Servizio nazionale di protezione civile. Come è noto, il nostro Paese è stato negli ultimi mesi vittima di Pag. 13eventi calamitosi drammatici, che hanno ancora una volta ricordato a tutti noi la fragilità del nostro Paese e la necessaria, conseguente attenzione e cura del nostro territorio, unita alla capacità di previsione e prevenzione di tali eventi.
  Preliminarmente, ancor prima della valutazione puntuale, seppur necessariamente riassuntiva in ordine ai contenuti del disegno di legge, vogliamo qui ricordare come MoVimento 5 Stelle quanto già dai nostri senatori è stato detto in ordine ad alcuni aspetti procedurali e strutturali di questo provvedimento. A tale ultimo proposito, il gruppo MoVimento 5 Stelle ancora una volta non può dirsi concorde con lo strumento della delega legislativa scelto. Come è stato già osservato al Senato, si tratta di una legge che non c’è e che presumibilmente è ancora lontana dall'esserci: avremmo voluto infatti che il Parlamento, anziché affidare all'Esecutivo un lavoro di straordinaria complessità ricognitiva, classificatoria e di integrazione del corposo quadro normativo esistente su ambiti di tale significatività per il Paese e le sue istituzioni, fosse stato in grado di intervenire sin da subito con disposizioni chiare ed efficaci in ordine alla tutela della vita, dei beni, degli insediamenti umani e dell'ambiente tutto dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi, siano essi naturali o di origine antropica.
  Tempo, come sappiamo, non ne abbiamo: non lo avevamo prima e a maggior ragione non ne abbiamo adesso, all'indomani di mesi disastrosi per la sicurezza di un intero Paese. Per questo, pur nella condivisione del medesimo obiettivo di rafforzare la rete di protezione civile a livello centrale e locale nell'ambito delle regole comunitarie, non possiamo non esprimere perplessità sulla tempistica di questo provvedimento, il cui iter prende avvio dagli inizi del 2015. Tale tempistica così articolata, e dunque non rispondente a delle emergenze che hanno da sempre contraddistinto il nostro Paese, ma che negli ultimi mesi sono sembrate accanirsi con ancora più forza e devastazione, ha infatti comportato non solo un evidente ritardo nell'assunzione di misure efficaci, ma ha anche comportato l'impossibilità di prevedere ulteriori aspetti correttivi al disegno di legge, per via di una terza lettura del provvedimento.
  Noi ci auguriamo che questo provvedimento possa ancora una volta ribadire le criticità del Paese: fragilità sismica, dissesto idrogeologico e il tema connesso all'edilizia pubblica, scuole, ospedali e tutto quello che riguarda la collettività. È come se ci fossimo accorti solo ora della vulnerabilità dell'edilizia pubblica in Italia. Alludiamo, come detto, alle scuole e agli ospedali in primis: come sappiamo, nelle città colpite dal terremoto ancora molti istituti scolastici versano in una situazione di incertezza; non sappiamo se sono agibili, non sappiamo chi ne ha la responsabilità, ci sono comitati di genitori che ne chiedono la chiusura, sindaci che ne ordinano la riapertura.
  Si tratta, come da noi più volte denunciato, di caos giuridico e istituzionale, che avremmo dovuto colmare nel passato e che oggi si unisce ad altre criticità come, ad esempio, i famosi certificati di prevenzione incendi di cui moltissime scuole in Italia sono prive. Dunque, il nostro gruppo, come tutti gli abitanti del Paese, si augura che questi decreti legislativi siano al più presto definiti dal Governo ed adottati; tuttavia sin d'ora non può che esprimere alcune perplessità, già peraltro esposte dal Senato, in considerazione del fatto che il testo non è stato ulteriormente modificato. Siamo infatti consapevoli della necessità di riordinare, modificandole ed integrandole, le disposizioni che vertono sul sistema nazionale di protezione civile, che oggi risulta eccessivamente frammentato e disorganizzato, ma riteniamo necessario che un servizio efficiente di Protezione civile debba essere messo in grado di fronteggiare le emergenze con adeguate risorse umane e strumentali. Riteniamo pertanto assurdo aver incluso nel provvedimento la clausola sull'invarianza finanziaria. Occorre infatti predisporre adeguate coperture finanziarie per sostenere la Protezione civile, risolvere il problema del precariato e fornire le dovute risorse. Pag. 14Sono necessarie fonti di finanziamento anche nel caso dell'eventuale superamento dei limiti del Patto di stabilità interno da parte degli enti territoriali, che necessitano di investimenti per adeguarsi al riassetto normativo del sistema di protezione civile. Anche sul tema delle deroghe alle norme vigenti per garantire la tempestività degli interventi, ci corre l'obbligo di esprimere alcune perplessità in ordine alle potenziali deroghe alle norme in materia di responsabilità della sicurezza sul lavoro e di tutela ambientale, nonché alla normativa antimafia e anticorruzione. A tale riguardo non possiamo non pensare a settori particolarmente delicati, quali la gestione dei rifiuti, delle macerie, dei materiali vegetali e delle terre e rocce da scavo, prodotti in condizione di emergenza che a nostro avviso, oltre che prevedere che siano realizzate nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, siano piuttosto eseguite nel rispetto della salute umana e della tutela ambientale. Ci rendiamo conto che in fase emergenziale può rendersi necessaria qualche parziale deroga, ma considerati i continui abusi di questo strumento che negli anni sono stati compiuti, è bene definire dove, come e per quali motivi si possa far ricorso allo strumento della deroga. Infine, segnaliamo un punto delicato che riguarda la revisione e la valutazione periodica dei Piani comunali di Protezione civile. Si tratta di una modifica fondamentale per consentire l'aggiornamento del quadro dei rischi relativi al territorio comunale e registrare le variazioni del territorio per poter fronteggiare le situazioni di emergenza. Come MoVimento 5 Stelle, siamo convinti che il piano di emergenza rappresenti un indispensabile strumento per la prevenzione dei rischi, tuttavia la maggior parte dei comuni sono il più delle volte inadempienti o sottovalutano la rilevanza di tale atto, considerandolo un mero adempimento burocratico. Invece, sarebbe opportuno, come da noi proposto senza successo, prevedere apposite misure sanzionatorie per i comuni inadempienti che comportino anche la sospensione dell'erogazione delle risorse provenienti dal Fondo di solidarietà comunale, proprio al fine di valorizzare al massimo l'utilità dello strumento soprattutto in un'ottica di prevenzione. Vorremmo infine rivolgere un ringraziamento al lavoro svolto dalle donne e dagli uomini impegnati nella Protezione civile. A loro e al loro formidabile impegno verso gli altri dobbiamo un'attenzione e una cura adeguata che non può che prendere i passi da una riforma strutturale mirata alle necessità primarie per lo svolgimento della loro attività. Grazie dell'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Braga. Ne ha facoltà.

  CHIARA BRAGA. Grazie, signor Presidente. Aggiungo qualche considerazione al dibattito già molto ricco di cui ringrazio i colleghi. Come sappiamo, questo disegno di legge ha trovato origine da una prima proposta del gruppo del Partito Democratico, ma ha visto – come abbiamo avuto modo di sentire – anche la condivisione di altri gruppi, che ringrazio per il loro apporto e rispetto ai quali sono certa che non mancherà l'appoggio in quest'ultimo passaggio parlamentare. Si tratta di un provvedimento che quest'Aula ha licenziato in prima lettura nel settembre del 2015. Sono passati diciotto mesi per arrivare all'approvazione definitiva di un testo modificato solo in minima parte dal Senato. Come abbiamo detto in molte occasioni, avremmo voluto concludere questa discussione in tempo di pace, non sotto la pressione emotiva generata da una nuova ennesima calamità. I tempi dell'esame parlamentare ci hanno però portato a discuterne e ad arrivare all'approvazione – ci auguriamo definitiva – all'indomani di una catastrofe, quella del terremoto del centro Italia, tra le più gravi che hanno colpito il nostro Paese per estensione, complessità e anche per impatto sulla tenuta di un territorio già molto fragile. Credo che questo ci porti ad essere ancora più consapevoli della responsabilità che abbiamo e di quando sia necessario e urgente dare attuazione alla delega contenuta Pag. 15in questo disegno di legge, sottraendo il più possibile il Governo, che la dovrà attuare nei prossimi mesi, dalla pressione e dalle polemiche che inevitabilmente sono state anche generate dalle vicende tragiche di questi mesi.
  Lo scopo primario di questa legge – è stato già detto – è quello di ricostruire un quadro normativo certo e stabile, in grado di dare risposte omogenee ai cittadini in tutto l'arco in cui si esplica l'attività di protezione civile. La prima questione quindi è l'adeguatezza del quadro normativo vigente. Occorre superare quella disomogeneità di strumenti e di misure che, di volta in volta, si sono susseguite a seguito di una calamità e che purtroppo hanno finito per determinare in alcuni casi una certamente non voluta, ma reale, sperequazione tra i cittadini. Occorre risolvere anche alcuni aspetti di squilibrio che ancora persistono tra le esigenze di trasparenza dei procedimenti e quelle di una maggiore tempestività dell'intervento. In molti casi, anche recenti, nel corso di questa legislatura, si è intervenuti con modifiche normative spinte dall'esigenza di correggere alcune storture del sistema (il ricorso improprio alle procedure di deroga, l'allargamento del potere di commissariamento) oppure dall'esigenza di risparmio, intervenendo però in maniera frammentaria su alcuni aspetti, senza preoccuparsi degli effetti che queste modifiche hanno prodotto sull'intero sistema. Proprio perché la Protezione Civile è chiamata a intervenire nella maggiore difficoltà, i cittadini devono sapere di poter contare su un sistema totalmente affidabile. Coniugare al meglio le esigenze di legalità e di trasparenza con l'urgenza dell'operatività significa sforzarsi di trovare il punto più avanzato di equilibrio tra un'architettura normativa articolata, che è definita dalle norme ordinarie nelle varie materie (in materia edilizia, di lavori pubblici, di procedura amministrativa e di trasparenza) e la necessità però di garantire soluzioni efficaci in tempi ristretti. Voglio ribadire che le norme contenute nel nuovo codice degli appalti hanno già dato una risposta importante in questo senso, definendo procedure semplificate e accelerate da mettere in campo nella gestione dell'emergenza. L'attuazione della delega però potrà contribuire in maniera sistemica a definire la disciplina dello stato di emergenza e del regime derogatorio, secondo un modello che tende sempre di più verso un diritto positivo da applicare in situazioni di emergenza. Mi permetto di ricordare, nel secondo contributo, di che cosa parliamo quando ci riferiamo alla Protezione civile. Parliamo dell'insieme delle attività messe in campo per tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni che derivano da calamità, della previsione e prevenzione dei rischi, del soccorso delle popolazioni colpite, del contrasto e del superamento dell'emergenza e della mitigazione del rischio. Un quadro quindi ben più articolato e complesso della sola – si fa per dire – gestione dell'emergenza, tutte azioni che si sviluppano nella quotidianità e che il più delle volte non finiscono sotto l'occhio dei riflettori, ma senza le quali non potremmo disporre dell'eccellenza della protezione civile italiana. Abbiamo ragionato in questi anni dell'importanza di rafforzare la cultura della prevenzione e della previsione e mitigazione del rischio, di accompagnare una maggiore consapevolezza dei cittadini e di tutti gli attori che in questo sistema hanno un ruolo nel sistema complesso di risposta all'emergenza. Il Programma «Casa Italia», che è stato promosso dal Governo Renzi, il lavoro di Italia Sicura, in particolare sul fronte del dissesto idro-geologico, il Fondo per le emergenze nazionali, che è stato, diciamo, previsto per fronteggiare le prime necessità, la legge di stabilità dello scorso anno, che per la prima volta ha introdotto il ristoro dei danni da calamità subiti da cittadini e imprese, i 7 miliardi già stanziati per la ricostruzione del centro Italia, il decreto-legge che stiamo discutendo in queste settimane e in questi giorni in Commissione ambiente, sono tutti pezzi di un puzzle che in questi anni si è iniziato a Pag. 16costruire e che deve però trovare una sua stabile definizione. Ecco perché, tra i primi ambiti della delega, vengono identificate tutte le attività di protezione civile, quelle che ricordavo prima: previsione, prevenzione, mitigazione dei rischi e gestione delle emergenze, secondo quella visione unitaria dell'intero ciclo di protezione civile, che costituisce il punto di forza irrinunciabile.
  Mi avvio a concludere, toccando un ultimo aspetto fondamentale, a mio avviso, per dar conto del lavoro che ci attende.
  Questa delega, questo disegno di legge, non intende sovvertire un sistema che ha dato prova già in molte occasioni di funzionare e che anche ha saputo autoriformarsi superando alcune degenerazioni che nel recente passato purtroppo hanno rischiato di compromettere il valore indiscutibile e riconosciuto del sistema di Protezione civile italiano, né vuole mettere in discussione l'originalità del modello italiano di protezione civile – è stato detto –, un sistema policentrico, articolato sul territorio e improntato sul coinvolgimento e la responsabilizzazione dei livelli territoriali e la sinergia con quelli centrali, l'apporto di tutte le componenti operative e il ruolo fondamentale del volontariato.
  La legge che oggi approviamo ha proprio l'obiettivo di rafforzare questo sistema, riconoscendone la straordinaria efficacia.
  Anche le ultime calamità – il terremoto del centro Italia unito alle forti nevicate che sono seguite – ci hanno dimostrato quanto questa articolazione sia la vera ricchezza e il punto di forza del sistema nazionale della protezione civile.
  Solo questa articolazione di strutture, di componenti, di professionalità, così come è stato pensato nel 1992 con la legge n. 225, ha consentito di dare le risposte che sono state date.
  Certo, abbiamo ascoltato in queste settimane degli improbabili richiami a un modello verticistico, calato dall'alto, imposto al territorio in nome di un ideale di efficienza che, in realtà, stride fortemente anche con pagine oscure del recente passato che tutti ricordiamo, quello delle opacità e della corruzione dei grandi eventi.
  Solo chi non riconosce la peculiarità della nostra Protezione civile e la fatica quotidiana, silenziosa, generosa di soccorritori, strutture operative, personale sanitario, Vigili del Fuoco, tecnici, operatori delle amministrazioni pubbliche e delle migliaia di volontari specializzati e formati, che intervengono prontamente ad ogni calamità, può pensare seriamente di cancellare questo straordinario patrimonio.
  Ecco mi piace, signor Presidente, pensare che la legge che il Parlamento si appresta ad approvare sia anche un omaggio a ciascuno dei componenti di quel sistema, la riconoscenza che, attraverso il Parlamento italiano, arriva da tutti i cittadini italiani per l'instancabile e generoso impegno degli uomini e delle donne della Protezione civile.
  L'auspicio è che, attraverso l'approvazione di questa legge e la sua rapida attuazione, si possa corrispondere alle aspettative di adeguamento del quadro di regole in cui è chiamato adoperare il sistema della Protezione civile, per consentirne un'azione ancora più efficace a servizio del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche – A.C. 2607-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice rinuncia alla replica. Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, che diciamo al volo prende la parola, prima che il Presidente...

  SESA AMICI, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie Presidente, veramente pochi minuti, perché credo che, a partire dalla Pag. 17relazione della onorevole Mariani ma soprattutto dal dibattito che è seguito in questa fase della discussione generale, emerga con grande nettezza la sensibilità, la sensibilità ma anche la responsabilità politica di chi oggi è chiamato, in quest'Aula, a dare velocemente un assenso, un via libera alla legge delega.
  In particolare, la collega del MoVimento 5 Stelle ha posto una questione, come pure rilevato dal collega Zaratti: hanno detto che, pur dentro un elemento di difficoltà, data anche dalle posizioni politiche, nel dare la delega al Governo, purtuttavia si riconosce che nei principi direttivi di questa delega esistono alcuni elementi che danno forza e serietà al sistema di protezione civile, in particolare alla lettera d), dove viene ribadito il valore policentrico della Protezione civile.
  Io credo che su questo argomento, sia nella fase dei decreti attuativi che del controllo da parte delle Commissioni parlamentari, bisognerà mantenere alto, come dire, questo profilo di raccordo, perché mettere in discussione oggi – alla luce delle emergenze che sono avvenute e che noi dobbiamo avere la forza di non immettere nella discussione sul tema generale della Protezione civile, quindi però affrontarlo per quello che è, l'emergenza – un modello che negli anni, pur nelle trasformazioni, si è fondato essenzialmente su due aspetti...
  La visione policentrica richiede una capacità di sussidiarietà da parte delle componenti dello Stato e quindi ad ognuno devono essere chiare le funzioni che spettano ai vari livelli.
  L'altro aspetto è pilastro: è la valorizzazione massima del volontariato civile, perché questo mette in relazione tutti i vari livelli dello Stato, a partire dai comuni e dalle regioni, di una capacità di guardare alla Protezione civile come un elemento di salvaguardia non solo della vita, dei beni strumentali, ma soprattutto del valore della solidarietà.
  Io credo che la filosofia di fondo di questa delega è esattamente questa: riordinare, ma nel riordinare mantenere principi molto chiari e molto delineati, perché troppo spesso, nelle vicende di questo Paese, la fragilità di cui parlava il Presidente Realacci si è unita a un'idea della Protezione civile più collegata agli strumenti dei grandi eventi e quindi snaturando di fatto un livello che invece attiene alla soggettività e alla volontà di ogni singolo cittadino.
  Dentro questo principio, il Governo apprezza in questo momento la discussione di grande responsabilità politica che io ho sentito in tutti gli interventi e credo che, proprio per questo, il Governo ne deve trarre ancora di più la forza di attuare questa delega all'interno di principi così delineati, ma che permettono al Parlamento anche un controllo nella sua fase attuativa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendiamo la seduta che riprenderà alle ore 16,15 col punto successivo all'ordine del giorno.

  La seduta, sospesa alle 16,10, è ripresa alle 16,15.

  ROCCO PALESE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, intervengo semplicemente per formulare gli auguri di pronta guarigione alla Presidente Boldrini, a nome mio personale e della mia componente.

  PRESIDENTE. La ringrazio, anche lei si unisce al coro unanime dei colleghi che, anche in precedenza, hanno formulato lo stesso augurio, al quale si è aggiunta la Presidenza di turno. A questo punto credo che lo diamo per sottinteso da parte di tutti gli interventi prossimi venturi.

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Discussione del disegno di legge: S. 2233 – Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato (Approvato dal Senato) (A.C. 4135-A); e delle abbinate proposte di legge: Mosca ed altri; Ciprini ed altri; Ciprini ed altri; Mucci ed altri; Gribaudo ed altri (A.C. 2014-3108-3120-3268-3364) (ore 16,17).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 4135-A: Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato; e delle abbinate proposte di legge nn. 2014-3108-3120-3268-3364.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell’allegato A al resoconto stenografico della seduta del 3 marzo 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 3 marzo 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4135-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, presidente della Commissione lavoro, onorevole Cesare Damiano.

  CESARE DAMIANO, Relatore per la maggioranza. Presidente, l'approdo in Aula del provvedimento di cui lei ha parlato, quindi il disegno di legge n. 4135, è un motivo di particolare soddisfazione per me e per l'intera Commissione lavoro. Nell'arco di questa legislatura, infatti, la nostra Commissione ha dedicato una specifica attenzione a questi temi, con iniziative tanto sul piano legislativo quanto su quello della costante interlocuzione con il Governo, e credo che sia giusto sottolineare che l'attenzione della Commissione ha trovato in molti casi corrispondenza nelle scelte dell'Esecutivo, che in questi ultimi anni ha colto l'importanza di prestare attenzione ai bisogni e alle istanze di un universo complesso e troppo spesso trascurato.
  In questo senso, credo che in questa legislatura ci sia stato un cambio di passo. Tra le iniziative legislative adottate voglio ricordare, in primo luogo, l'impegno costante a congelare l'incremento dell'aliquota contributiva dovuta dai lavoratori con partita IVA iscritti alla gestione separata dell'INPS. Come tutti ricordano, con l'incremento previsto dalla cosiddetta legge Fornero, a regime l'aliquota avrebbe dovuto raggiunge il 33 per cento; l'impegno del Parlamento e del Governo è culminato con la recente legge di bilancio, che ha stabilizzato l'aliquota al 25 per cento, un dato molto importante per questi lavoratori e a lungo richiesto. Sempre nell'ambito delle ultime manovre di bilancio, novità di rilievo sono venute anche con le misure relative al cosiddetto regime dei minimi e al progressivo superamento degli studi di settore. Per altro verso, non si possono dimenticare gli sforzi compiuti per la proroga dell'indennità di disoccupazione per i collaboratori coordinati e continuativi, la Dis-Coll, istituita in via sperimentale in attuazione della delega relativa al cosiddetto Jobs Act, che potranno trovare il coronamento al momento dell'approvazione definitiva di questo disegno di legge, che intende stabilizzarla ed estenderla anche agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca; una misura a nostro avviso di straordinaria importanza e di straordinario interesse, che interviene quindi sulla tutela, in carenza di lavoro, dei lavoratori autonomi. A completamento di questi interventi, tanto il Governo che il Parlamento hanno avvertito l'esigenza di Pag. 19adottare misure tese a promuovere un complessivo rafforzamento delle tutele sul piano economico e sociale per i lavoratori autonomi. In questo senso si sono mosse diverse proposte di legge che sono state abbinate al disegno di legge ormai al nostro esame, e si muoveva già la proposta di legge di cui sono primo firmatario (atto Camera 2017), che reca lo statuto delle attività professionali, riprendendo in parte i contenuti di un'analoga proposta di legge presentata nel lontano 2011. Quindi, come si vede, un lavoro che parte da lontano. In questo senso si è mosso opportunamente anche il Governo, con la presentazione del disegno di legge che oggi esaminiamo, il cosiddetto Jobs Act, o meglio statuto del lavoro autonomo, affermando l'esigenza di protezioni sociali più ampie e di garanzie rispetto a contraenti economicamente più forti per tutti i lavoratori, a prescindere dal carattere subordinato del rapporto di lavoro.
  Quindi, la concezione di lavoro va oltre la subordinazione, e abbraccia l'intero mondo del lavoro, come noi abbiamo voluto: dipendente, autonomo, parasubordinato. Anche per quanto riguarda il cosiddetto lavoro agile, l'intervento del Governo tiene conto degli approfondimenti svolti dalla Commissione lavoro della Camera. Ricordo infatti che nel novembre 2015 avevamo avviato l'esame in sede referente della proposta di legge atto Camera 2014, di cui è stata prima firmataria la collega Mosca, recante disposizioni per la promozione di forme flessibili e semplificate di telelavoro, la quale è stata successivamente abbinata alla proposta di legge di cui è prima firmataria la collega Ciprini, che reca disposizioni concernenti la flessibilità dell'orario di lavoro. L'esame delle proposte fu successivamente interrotto, anche in considerazione della preannunciata presentazione da parte del Governo del disegno di legge ora in esame, al quale le proposte sono state successivamente abbinate. Per queste ragioni, il dibattito che si svolge oggi è particolarmente importante, come pure importante è portare a compimento a tempi brevi l'esame del provvedimento stesso: questo è l'invito che ci è stato rivolto da tutte le associazioni di riferimento del settore che abbiamo ascoltato nelle numerose audizioni svolte nell'ambito dell'istruttoria legislativa, ed è questo l'intendimento di tutti noi, perché siamo consapevoli delle grandi aspettative circa la rapida approvazione del disegno di legge e dell'esigenza di non interrompere il cammino di questa riforma.
  Anche al fine di rendere chiari a tutti i margini di manovra disponibili nell'ambito dell'esame che dovremo svolgere, sottolineo che l'esigenza di assicurare una rapida conclusione del provvedimento e di consolidare definitivamente le misure positive in esso contenute ha imposto in Commissione e imporrà in Assemblea una drastica limitazione degli interventi sul testo approvato dal Senato. Pur trattandosi di un provvedimento sicuramente migliorabile, non possiamo correre il rischio di disperdere l'importante lavoro fin qui svolto, ma dobbiamo cercare di fare in modo che la prossima lettura presso il Senato sia quella definitiva. Ovviamente, la scelta di limitare il perimetro delle modifiche e di contenere i tempi di esame ha comportato una dura rinuncia ad affrontare in questa sede temi importanti. Penso, ad esempio, ad un tema che io ritengo particolarmente rilevante, così come per la Commissione, quello della individuazione di un equo compenso per i lavoratori autonomi che tenga conto della natura e delle caratteristiche delle prestazioni svolte. Si tratta di una questione che acquista in questa fase particolare rilevanza, anche in considerazione del superamento, a parte il decreto legislativo n. 81 del 2015, dei contratti di collaborazione a progetto. Per tale tipologia contrattuale, infatti, la cosiddetta legge Fornero aveva previsto una specifica disciplina, volta a prevedere compensi minimi, che oggi, per i coordinati e i continuativi, non ci sono più. I tempi a nostra disposizione, però, non hanno consentito di affrontare in questa sede questa materia, sulla quale, a mio avviso, il legislatore dovrà tuttavia tornare a lavorare, perché la questione dell'equo compenso, costituzionalmente Pag. 20rilevante, è per noi materia di vitale importanza, soprattutto per le nuove generazioni.
  Quanto al contenuto del disegno di legge in esame, ricordo che il provvedimento, dopo l'esame in Commissione, consta di 26 articoli, quattro in più di quelli contenuti nel testo del Senato. Si articola in tre capi, relativi rispettivamente al lavoro autonomo, al lavoro agile e le disposizioni finali, che riguardano la copertura finanziaria. Quanto al contenuto principale del provvedimento, la stessa struttura del disegno di legge indica che esso si compone di due insiemi di norme complementari, volte, da un lato, ad introdurre un sistema di interventi per la tutela sul piano economico e sociale dei lavoratori autonomi e, dall'altro, a sviluppare all'interno dei rapporti di lavoro subordinato modalità flessibili di esecuzione delle prestazioni lavorative. Per quanto riguarda il lavoro autonomo, il disegno di legge, salvo forse per la disposizione dell'articolo 14, che interviene per precisare la definizione di collaborazione coordinata e continuativa, non si muove tanto nella direzione di stabilire i confini tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, ma intende piuttosto concentrarsi sulla condizione dei lavoratori autonomi, che negli anni della crisi, che faticosamente stiamo cercando di lasciarci alle spalle, hanno particolarmente sofferto per le difficoltà del nostro sistema economico.
  Il disegno di legge cerca, quindi, di dare una risposta all'esigenza di contrastare la condizione di fragilità dei lavoratori autonomi privi di un'adeguata rete di protezione che ne garantisca la tutela nei momenti di maggiore debolezza. Si tratta, ovviamente, di un percorso che non si esaurisce solo con il disegno di legge in esame, ma potrà completarsi con futuri interventi, a partire dalla realizzazione delle deleghe. In primo luogo, evidenzio che sull'articolo 5, inserito dalla XI Commissione del Senato, che reca una delega al Governo in materia di rimessione di atti pubblici alle professioni ordinistiche, si sono appuntate diverse modifiche introdotte nel corso dell'esame in sede referente. In particolare, segnalo che è stato soppresso il criterio direttivo relativo alla devoluzione ai professionisti dell'assolvimento di compiti e funzioni finalizzate alla deflazione del contenzioso giudiziario e all'introduzione di semplificazioni in materia di certificazione dell'adeguatezza dei fabbricati alle norme di sicurezza ed energetiche, anche attraverso l'istituzione del fascicolo di fabbricato.
  Entrambi questi ambiti materiali, infatti, dovrebbero essere esaminati più attentamente in coordinamento con i progressi della normativa di settore e con le iniziative in corso di evoluzione, anche in considerazione della giurisprudenza costituzionale relativa alla normativa regionale relativa al fascicolo del fabbricato. Ricordo, peraltro, che, come per le successive deleghe di cui all'articolo 6 e all'articolo 10, nell'articolo 14-bis, introdotto dalla Commissione, è stata specificata la procedura per l'adozione dei decreti legislativi, prevedendosi, in particolare, l'intesa con le rappresentanze degli enti territoriali e l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. È stata prevista anche una delega per l'adozione di disposizioni integrative o correttive.
  Osservo che l'articolo 6, al comma 1, reca una delega al Governo finalizzata al rafforzamento delle prestazioni di sicurezza e di protezione sociale dei professionisti iscritti a ordini e a collegi. Il decreto delegato dovrà consentire agli enti di previdenza di diritto privato, anche in forma associata, ove autorizzati dagli organi di vigilanza, di attivare, oltre a prestazioni complementari di tipo previdenziale e sociosanitario, anche altre prestazioni sociali, finanziate da apposita contribuzione, con particolare riferimento agli iscritti che hanno subito una significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla loro attività o che siano stati colpiti da gravi patologie.
  Con questa disposizione, introdotta nel corso dell'esame in Commissione, il comma 1-bis reca un'altra delega finalizzata ad incrementare ulteriormente le prestazioni sociali per maternità e malattia Pag. 21riconosciute agli iscritti alla gestione separata INPS, prevedendo che, per assicurarne il finanziamento, possa essere aumentata in misura non superiore a 0,5 punti percentuali l'aliquota contributiva di riferimento. Con l'articolo 6-bis, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, si rende permanente – lo sottolineo, permanente – l'indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cosiddetta Dis-Coll, introdotta in via sperimentale dal decreto legislativo n. 22 del 2015 ed estesa fino al 30 giugno 2017 dal recente decreto «proroga termini».
  Al contempo, quindi, dal 1o luglio di quest'anno l'indennità sarà riconosciuta anche agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca. La stabilizzazione dell'indennità si associa alla previsione che il finanziamento sia assicurato attraverso un incremento di 0,51 punti percentuali dell'aliquota contributiva dovuta dai beneficiari e dagli amministratori e sindaci di società con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, questi ultimi non beneficiari della misura, con un meccanismo di solidarietà interna alla gestione separata. Naturalmente, parliamo sempre di un terzo a carico del lavoratore e due terzi a carico del committente. Per quanto riguarda, infine, il capo II, recante disposizioni riguardanti il lavoro agile, credo che, per sgombrare il campo da equivoci, sia giusto sottolineare, come fa il disegno di legge che stiamo esaminando, che il lavoro agile, il cosiddetto smart working, non rappresenta una nuova tipologia contrattuale, né un ibrido tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, ma costituisce una particolare modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato basata sulla flessibilità di orari e di sede e caratterizzata principalmente da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici e della possibilità tecnologica esistente, nonché dall'assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti al di fuori dei locali aziendali.
  Proprio alla luce di questa premessa, assume particolare rilievo e significato l'articolo 17, che disciplina il trattamento economico e normativo del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile, stabilendo che questi, oltre ad essere un lavoratore subordinato, non abbia diritto ad un trattamento che sia inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda. Con un emendamento, infine, approvato in Commissione, abbiamo specificato che tale trattamento è quello applicato ai lavoratori sulla base dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale, anche per chiarire un punto, che, come Commissione lavoro, noi siamo unitariamente avversi alla stipula di contratti collettivi in dumping sociale. Come sapete, ci confrontiamo, quindi, con un fenomeno nuovo, che si distingue dalle forme di lavoro a distanza riconducibili al telelavoro, reso possibile essenzialmente dallo sviluppo e dalla capillare diffusione delle tecnologie informatiche, che moltiplicano le possibilità di connessione dal domicilio del lavoratore o da altri luoghi da lui scelti per la prestazione lavorativa.
  Ovviamente, questi sviluppi, che interessano anche le pubbliche amministrazioni, come esplicitato dal comma 3 dell'articolo 15, pongono delle sfide diverse e ulteriori rispetto a quelle affrontate per la disciplina del lavoro all'interno dell'azienda. Basti pensare al tema, affrontato dall'articolo 16, dei tempi di riposo del lavoratore e alla connessa previsione, introdotta al Senato, che affida all'accordo individuale di lavoro agile l'individuazione delle misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche del lavoro. Si tratta, come sapete, di un tema particolarmente delicato, al quale si è cominciato a prestare attenzione anche in altri ordinamenti, a partire da quello francese, dove la cosiddetta Loi Travail, approvata nel corso dello scorso anno, ha disciplinato a decorrere dall'inizio del 2017 il diritto alla disconnessione delle imprese con più di 50 dipendenti.
  La prestazione di lavoro in modalità agile pone poi ulteriori sfide anche con Pag. 22riferimento ai temi della sicurezza e della salute dei lavoratori per gli evidenti problemi che derivano dall'applicazione di una normativa pensata per i locali aziendali a prestazioni svolte in luoghi non predeterminati. Su questo, come su altri temi, il disegno di legge al nostro esame cerca di realizzare un bilanciamento tra le fondamentali esigenze di tutela dei lavoratori e la necessità di non sovraccaricare il ricorso al lavoro agile di adempimenti che mal si attagliano alle sue caratteristiche estremamente duttili. In questo senso, credo che le norme che ci accingiamo ad approvare possano costituire una valida base di partenza; trattandosi di un fenomeno giovane, l'esperienza applicativa potrà dirci se si renderanno necessarie correzioni e integrazioni. In conclusione, credo che – lo posso dire per la mia esperienza – analogamente a quanto si è fatto nel corso del Novecento per estendere al massimo livello possibile le tutele del cosiddetto lavoro dipendente, tutele che, purtroppo, a seguito delle crisi e della globalizzazione, si stanno un po’ perdendo per strada e per le quali continueremo a combattere, questo provvedimento, nel nuovo secolo, sta introducendo analoghe tutele universali per un mondo composito, quello del lavoro autonomo, che ha bisogno di riconoscimenti e di tutele per far fronte a situazioni di crisi e di discontinuità e alle previsioni, nell'ambito di un sistema che va verso la rivoluzione digitale, di uno spostamento di peso dal lavoro dipendente al lavoro autonomo, che anch'esso ha bisogno di tutele e di protezioni adeguate: maternità, malattia, deducibilità dei costi della formazione, accesso ai bandi e tutela nel caso di mancata attività.
  Crediamo che questi siano obiettivi perseguibili, questa legge ce lo consente e, se arriveremo al traguardo in tempi rapidi, pur, come sempre, non essendo del tutto soddisfatti, perché, come sempre, si può fare di più, avremo reso un servizio molto utile a milioni di lavoratori e, soprattutto, alle nuove generazioni che si affacciano al variegato e difficile mondo del lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Simonetti.

  ROBERTO SIMONETTI, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Il testo del disegno di legge governativo interviene sulla disciplina del lavoro autonomo con un titolo di rubrica molto altisonante, ma che, di fatto, nel testo non trova nessun riscontro, soprattutto nell'articolato. In più – ed è una delle parti più criticabili – compie una vera e propria confusione, solo parzialmente sanata dall'attività emendativa della Commissione, fra liberi professionisti iscritti ad ordini e collegi e semplici professionisti iscritti alla gestione separata, i cosiddetti autonomi disciplinati dalla legge n. 4. Una confusione questa che io valuto come voluta e ricercata, nel senso di continuare nello smantellare il ruolo degli ordini e dei collegi togliendo loro ulteriori tasselli, fino quasi ad equiparare le professioni non abilitate a quelle abilitate. Si tratta di una visione delle professioni che viene da lontano. Infatti, ricordo che nel corso dell'ultimo decennio gli ordini professionali hanno perduto molte delle loro funzioni originarie, solo parzialmente ricostruite in forma diversa dalla recente riforma delle professioni. Il primo serio colpo agli ordini professionali è arrivato con l'abolizione dei minimi tariffari obbligatori, di cui l'ordine ne era il custode, e dall'obbligo di vistare le parcelle per i compensi ricevuti nell'ambito dei lavori pubblici. Poi, all'inizio del 2012 si è completato il lavoro con la soppressione delle tariffe professionali e con l'obbligo di sottoscrivere un contratto scritto con il cliente (la legge n. 27 del 2012).
  Preso atto che non è possibile, di fatto, modificare l'articolo 33 della Costituzione, che recita – ricordo – che «è prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi delle scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale», si cerca, quindi, di annacquare il valore ordinistico, per poi forse sostituirlo con un'associazione di categoria di tipo squisitamente sindacale. Pag. 23Non per niente con l'articolo 14-ter, inserito durante i lavori di Commissione e sul quale ho presentato comunque un emendamento soppressivo, si vuole istituire un tavolo di confronto permanente sul lavoro autonomo, composto anche dai sindacati, per definire nuovi modelli previdenziali di welfare e di formazione professionale. Appare del tutto fuori luogo la partecipazione dei sindacati a questo tavolo se non nell'ottica che ho prima esplicitato, cioè partecipare a un tavolo di confronto del lavoro autonomo, lavoro per antonomasia escluso dall'attività propria dei sindacati.
  Così come un altro tentativo di equiparazione fra abilitati e non si rinviene nell'articolo 11 del provvedimento, ove si parla di appalti pubblici. Quindi, con la semplice definizione di lavoratori autonomi, al comma 1, si equiparano tutti i liberi professionisti per la partecipazione a bandi di appalti per la prestazione di servizi o per l'assegnazione di incarichi professionali di consulenza e ricerca, anche attraverso la costituzione di reti, associazione e consorzi professionali. Non vorremmo che nel prossimo futuro si attui una sorta di globalizzazione delle professioni in cui un unico abilitato, titolare di uno studio di dimensioni nazionali o internazionali, possa poi con i non abilitati approdare alla vittoria di bandi di appalti pubblici grazie alla possibilità di offerta economica a prezzi decisamente più contenuti.
  Così come critichiamo fortemente l'intermediazione dei centri per l'impiego fra la domanda e l'offerta di lavoro autonomo, preludio e dell'abbassamento della qualità e del pagamento delle prestazioni e dell'utilità degli ordini e collegi. A suffragio di questa visione, forse pessimistica ma certamente realistica, va la mancata volontà della maggioranza di inserire un ritorno alla definizione di equo compenso all'articolo 3, clausole e condotte abusive, intendendo come tale il compenso inferiore ai minimi stabiliti da parametri fissati anche da un nuovo decreto ministeriale attraverso la codificazione secondo standard prestazionali e di corrispettivi economici idonei a costituire un efficace strumento di orientamento. Senza questa clausola diventa difficile poter salvaguardare il lavoro autonomo. Senza dei parametri ufficiali il lavoro fiduciario, che è proprio della prestazione del libero professionista, si tramuta anch'esso in un lavoro ad affidamento al miglior offerente, a scapito della qualità della prestazione, prestazione poi che non viene appieno garantita nella sua complessità.
  È bene che all'articolo 2 si inseriscano i rapporti commerciale fra autonomi e imprese e autonomi e amministrazioni pubbliche ai fini della tutela del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali. Tuttavia, la nuova normativa appare subito monca nella parte più consistente delle casistiche di mancato incasso da parte del professionista, che è quella, appunto, del rapporto commerciale fra libero professionista stesso e il committente privato, situazione non tutelata da nessuna forma legislativa né tanto meno da questo provvedimento, definito in pompa magna come lo «statuto del lavoro autonomo» ma che di fatto non lo è.
  Di più. Il provvedimento, consentendo la deducibilità degli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni da lavoro autonomo fornite da forme assicurative, induce di fatto il libero professionista ad avvalersi di un'assicurazione privata essendo privo di una tutela statale, soprattutto per la parte legata alla committenza privata. E così come con il provvedimento sulla responsabilità dei professionisti in campo sanitario, anche con questo provvedimento sui lavoratori autonomi si profila un'ulteriore manna per le compagnie di assicurazione.
  Inoltre, le maggiori tutele per i lavoratori autonomi previste nel testo sono tutte subordinate a ulteriori prelievi contributivi a carico degli stessi. Eppure, sia per coloro che hanno subito una significativa riduzione del reddito sia per coloro che hanno subito malattie e infortuni di gravità tale da impedire lo svolgimento di attività professionali per una durata superiore ai 60 giorni il versamento degli oneri previdenziali e dei premi assicurativi è semplicemente sospeso per l'intera durata della Pag. 24malattia e dell'infortunio fino ad un massimo di due anni, ma dovrà comunque essere versato successivamente, dimenticando però come agevolazione, come ulteriore agevolazione, la sospensione degli ulteriori obblighi fiscali nonché l'esclusione dagli studi di settore a carico dei medesimi lavoratori autonomi, studi di settore che anche con la nuova normativa e con la nuova formulazione, prevista dal recente decreto fiscale, cambiano il nome ma, di fatto, continuano ad esistere. Li chiamate «indici di affidabilità», ma sono di fatto studi di settore.
  Ci sono poi costi aggiuntivi per gli amministratori e i sindaci, con l'aumento dell'aliquota contributiva pari allo 0,51 per cento per coprire il sistema dell'indennità di disoccupazione, denominata Dis-coll, a favore di chi finora è stato giustamente considerato dal Ministero uno studente e non un lavoratore e, quindi, escluso dalla Dis-coll, cioè gli assegnisti e i dottorandi di ricerca con borsa di studio. Quando si aprono le platee di tutela non si può che essere ovviamente d'accordo, però è facile farlo gravando le stesse platee o addirittura platee che non possono neanche usufruire dei versamenti che fanno. Infatti, noi critichiamo fortemente la copertura utilizzata, che prevede anche un esborso da parte di una categoria, che è rappresentata dagli amministratori e dai sindaci delle società, che per legge proprio non potranno usufruire dei versamenti obbligatori a cui sono sottoposti attraverso questa nuova normativa. In più, voi prevedete anche una clausola di salvaguardia con un aumento di questa percentuale senza mettere un tetto massimo e, quindi, questo può essere davvero preoccupante.
  Dalla nuova normativa sulla salute e sicurezza degli studi professionali deriveranno costi aggiuntivi diretti e indiretti quando il Governo individuerà, tramite delega ricevuta con questo provvedimento, specifiche misure di prevenzione certamente più stringenti rispetto a quelle odierne e a quelle inizialmente previste dal testo, il cui riferimento era inizialmente semplicemente quello delle abitazioni. Prevedere, poi, obblighi in capo allo studio professionale anche in presenza di lavoratori non retribuiti, cioè i praticanti, comporterà, nel concreto, una maggiore difficoltà, se non addirittura quasi l'impossibilità per i neodiplomati di poter accedere al periodo di formazione obbligatorio propedeutico all'esame di Stato per l'ottenimento dell'abilitazione professionale.
  La parte del capo II, sul «lavoro agile», sembra dare adito ad una nuova figura di lavoro parasubordinato e, dunque, una nuova zona grigia, metà subordinato e metà autonomo, con poche garanzie e poche tutele per il lavoratore e pochi incentivi ad attivarla per il datore di lavoro. In realtà, lo smart working è una modalità flessibile di svolgimento del rapporto di lavoro volta a soddisfare le esigenze dei lavoratori di coniugare i tempi di vita e di lavoro e quelle delle imprese di ridurre i costi fissi di strutture e postazioni. Come tale, quindi, è sufficiente se è prevista nei contratti aziendali o territoriali. Ed infatti già lo stesso decreto interministeriale 25 marzo 2016, sulla detassazione dei premi di produttività, all'articolo 2, comma 2, contempla la possibilità che i contratti collettivi prevedano il ricorso al «lavoro agile», definito quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato. Il provvedimento all'esame, invece, vuole fare dello smart working una nuova tipologia contrattuale, ponendo in capo al datore di lavoro una serie di obblighi e garanzie che nei fatti lo dissuaderanno dall'attivarlo, rappresentandone un vero e proprio deterrente. Mi riferisco, in particolar modo, alla previsione dell'obbligo, per il datore di lavoro, di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità agile, di cui all'articolo 19 del testo, e di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali anche in itinere, di cui all'articolo 20 del provvedimento. Avevo presentato un emendamento, respinto in Commissione, per sostituire la parola: «garantisce» con il termine: «promuove», perché è ovvio che il datore di lavoro deve mettere il lavoratore nelle condizioni di tutelare la salute e Pag. 25la sicurezza ed evitare eventuali infortuni e la contrazione di malattie professionali, ma egli non può garantire o assicurare che ciò non accada in luoghi e posti estranei all'azienda e sui quali non ha poteri per la messa in sicurezza. A mio avviso, infatti, il combinato disposto – e concludo – delle previsioni di cui agli articoli 19, comma 1, e 20, comma 2, non esonereranno il datore di lavoro dalla responsabilità civile e penale semplicemente consegnando al lavoratore un'informativa scritta in cui sono individuati i rischi specifici connessi al lavoro medesimo.
  In conclusione, auspico che in Assemblea si svolga un dibattito costruttivo, e la posizione del nostro gruppo sarà ovviamente considerata a valle della fase emendativa durante il dibattito in Aula: chiaramente con la non approvazione dei nostri emendamenti sarà difficile votare a favore di questo provvedimento.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza, onorevole Ciprini.

  TIZIANA CIPRINI, Relatrice di minoranza. Finalmente è approdato anche in quest'Aula il provvedimento sul lavoro autonomo presentato dal Governo più di un anno fa, e collegato alla manovra finanziaria dell'anno scorso, addirittura. Ebbene, questo provvedimento è restato in ostaggio al Senato per ben nove mesi, ostaggio nelle mani di Sacconi: da quanto apprendo, ancora rimane ostaggio e blindato. Evidentemente la maggioranza parlamentare, per le leggi che interessano la vita dei cittadini, se la prende comoda, avendo preferito lavorare per mesi e mesi a vuoto, su leggi di riforme incostituzionali promosse da Renzi e poi bocciate, o dalla Consulta, o dai cittadini stessi o dal Consiglio di Stato; oppure intento a salvare le banche a colpi di decreti-legge.
  Quella dei lavoratori autonomi è una condizione che sta molto a cuore al MoVimento 5 Stelle, sin da sempre: ricordo che il MoVimento 5 Stelle in questa legislatura ha avuto cura di depositare per primo in Parlamento una proposta di legge a mia prima firma, nel maggio 2015, che aveva proprio l'obiettivo di offrire tutele, garanzie e opportunità ai lavoratori autonomi; e nello stesso anno abbiamo presentato in Commissione anche una risoluzione per impegnare il Governo ad agire sui giusti binari proprio su questo tema, perché i deragliamenti del Governo erano continui. Quindi questo provvedimento è frutto anche di un'attività di pungolo costante del MoVimento 5 Stelle; ma questo provvedimento è solo un sassolino nello stagno, un qualcosa di embrionale, un puntino di inizio, di interessamento da parte della politica verso quel mondo dei lavoratori autonomi completamente dimenticato da tutti, ma non dal fisco e dalle tasse. È quello del popolo delle partite IVA, una realtà molto variegata che va da 1,3 a 3,5 milioni di persone, a seconda che si considerino solo i liberi professionisti, i professionisti iscritti agli ordini, quelli iscritti alla gestione separata o anche i piccoli artigiani e i commercianti. Questi lavoratori producono un PIL tra il 4 e il 7 per cento, e rappresentano il 14 per cento degli occupati italiani. È il quinto stato, come lo chiama qualcuno, un mondo liquido, fatto soprattutto da giovani, che negli anni della crisi è cresciuto a causa del fenomeno delle false partite IVA, che aveva subito una leggera battuta d'arresto con la decontribuzione per le assunzioni, ma che è ritornato a crescere con la fine dei bonus. Ebbene, una prima criticità infatti di questo provvedimento è proprio l'ambito di applicazione. Scorretto quindi parlare di statuto dei lavoratori autonomi: si tratta infatti di una versione molto, ma molto light, e sono esclusi infatti i piccoli imprenditori, i coltivatori diretti e gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della propria famiglia; come a dire che le piccole imprese individuali, come ad esempio una piccola attività di estetista, debbono continuare a cavarsela da sole, avendo zero diritti e zero tutele.
  Inoltre, l'applicazione di norme di delega introdotte al Senato ha come destinatari Pag. 26professionisti iscritti agli ordini e ai collegi, escludendo quell'ampia platea di professionisti disciplinati sempre da legge dello Stato, la legge n. 4 del 2013. C'era invece nella nostra proposta di legge, abbinata a questa del Governo, l'intento di avere cura di tutti i lavori autonomi, compresi anche gli artigiani e i piccoli commercianti.
  L'articolo 2 poi di questo provvedimento estende l'applicazione della legge n. 231 del 2002 anche ai lavoratori autonomi. Ebbene, questa legge se si è dimostrata fallimentare per le imprese, perché pur prevedendo che le fatture debbano essere saldate a 30 giorni, massimo 60, in realtà la cronaca ci ha raccontato di ritardi mostruosi, soprattutto da parte delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei creditori, siano essi lavoratori autonomi o imprese; e anche nei rapporti tra imprese spesso una piccola impresa, e adesso anche un lavoratore autonomo, non può che adattarsi alle lungaggini del committente più potente, perché andare in giudizio comporta non solo spese legali e ulteriori attese, ma spesso può anche minare il rapporto di fiducia e comportare la fine della collaborazione.
  Certo che l'articolo 14 di questo disegno di legge ha previsto che anche le scritture contabili degli autonomi potranno costituire prova ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo per il credito maturato.
  Ma ciò evidentemente non basta: infatti non si danno in mano ai lavoratori autonomi degli strumenti concreti per tutelare le loro paghe; anzi, si dice loro di farsi un'assicurazione privata per i mancati pagamenti, perché poi tanto qualche articolo più in là gliela si dedurrà. Quindi un ennesimo regalino alle compagnie assicuratrici ! Bisogna invece fare in modo che lo Stato, che le pubbliche amministrazioni che sono la mano dello Stato paghino nei tempi e nei termini stabiliti.
  Inoltre gli articoli di delega 5, 6 e 10, aggiunti al Senato, sono caratterizzati da elementi di vaghezza, non circoscrivono la discrezionalità del Governo, non individuano i Ministeri competenti e i principi e criteri direttivi a cui l'Esecutivo deve attenersi.
  Passo per mancanza di tempo ad illustrare le criticità del comma 8, articolo 7, che concerne la disciplina dell'indennità di malattia per gli iscritti alla gestione separata INPS. Questo comma recepisce di fatto quanto richiesto con la nostra risoluzione in Commissione lavoro, cioè l'equiparazione della misura di indennità di malattia alla misura di indennità di degenza ospedaliera nei casi di malattie che prevedano terapie intensive; tuttavia, è necessario ampliare la definizione di malattia grave, includendo ogni condizione di salute grave conseguente a trattamenti terapeutici. Stupisce inoltre il mancato accoglimento in Commissione del nostro emendamento, che avrebbe introdotto la previsione secondo cui la misura minima dei contributi necessari per godere dell'indennità di malattia non debba essere quella maturata negli ultimi 12 mesi prima della malattia, come accade oggi, bensì negli ultimi 36 mesi, nonché la copertura figurativa del medesimo periodo di malattia: misure che avrebbero veramente contribuito alla tutela effettiva delle lavoratrici e dei lavoratori autonomi in caso di malattie improvvise, o che si ripresentano a distanza di tempo.
  All'articolo 13, invece, vengono introdotte misure per la tutela della maternità, della malattia e dell'infortunio: attualmente, infatti, il lavoratore autonomo è privo di tutele efficaci. Ecco, noi avevamo proposto di prevedere non solo la sospensione degli obblighi contributivi, come è previsto in questo disegno di legge, ma anche di quelli fiscali, nonché l'esclusione degli studi di settore a carico dei medesimi autonomi, in tutti i casi di patologie gravi o le cui cure rendano impossibile la continuazione dell'attività; la norma non prende in alcuna considerazione la possibilità di sospendere in caso di malattie gravi o di infortunio anche il versamento dei tributi, nonché la sospensione degli studi di settore, ovvero dei futuri indici di affidabilità fiscale, come abbiamo cercato di emendare appunto in Commissione. Il Pag. 27comma non contiene inoltre la specifica previsione del divieto di applicare maggiorazioni per interessi legali o di mora in caso di rateizzazione o restituzione delle somme oggetto della sospensione: vedremo se questo emendamento riesce quantomeno a passare in Aula.
  Infine, sempre sul fronte fiscale, nemmeno il nostro emendamento volto ad escludere l'imposta regionale sulle attività produttive e l'IRAP ai lavoratori autonomi, unitamente a una drastica riduzione degli adempimenti fiscali a loro carico, ha trovato accoglimento in Commissione.
  Poi, rapidamente, sul Capo II di questo disegno di legge, molti hanno detto che non si capisce qual era il legame tra lo smart working, o lavoro agile, previsto per il lavoro subordinato, quindi per i lavori dipendenti, e il Capo I, quello dei lavoratori autonomi: chiaramente il legame è gig economy, che va appunto adesso a creare quella zona grigia a metà tra lavoro autonomo e lavoro dipendente. Con questo testo di legge infatti non andiamo a creare confini tra l'una o l'altra tipologia di lavoro, li andiamo ad abbattere proprio.
  Quello della gig economy è un modello economico sempre più diffuso, dove non esistono più le postazioni di lavoro fisse, e dove domanda e offerta vengono gestite online attraverso piattaforme, app, come Uber o come Foodora. Nella gig economy i lavoratori sono tutti, guarda caso, autonomi: praticamente svolgono attività temporanee. In questa prospettiva ci sarà allora sempre meno lavoro dipendente, con le relative tutele, e sempre più lavoro autonomo, in balia però del libero mercato senza regole e delle leggi del capitale, che precarizzano le esistenze, richiedendo massima flessibilità e capacità di adattamento. Ecco che il lavoro agile, se non viene definito e normato, rischia di sfociare nella bioeconomia, quando l'economia si prende anche il tempo di vita, il tempo familiare, ed esso viene colonizzato dal tempo di lavoro. È il sogno inconfessato e inconfessabile del neoliberismo ultracapitalista quello di abbattere le barriere tra spazio di lavoro e spazio di vita privata, non già per conciliarli, ma per profanarli secondo le logiche della produzione flessibile e della concorrenza h24. Un tempo, infatti, il capitale si fermava davanti ai cancelli della fabbrica: ora, per mezzo delle nuove tecnologie, ti promettono di emanciparti perché puoi lavorare da casa, oppure fuori dagli uffici, ma, in realtà, ti trovi a dover rispondere alle e-mail e a lavorare in tempi sempre più impensati.
  Per questo abbiamo chiesto la soppressione dell'inciso che fa riferimento, per lo smart working, a fasi, cicli e obiettivi, perché questa modalità è tipica del lavoro autonomo. Abbiamo piuttosto previsto delle fasce di reperibilità ed è chiaro che in assenza di tali correttivi il disegno di legge appare sbilanciato a favore del potere datoriale delle imprese e tradisce la tanto sbandierata finalità che non è quella di voler conciliare la vita lavorativa con quella familiare, come da noi proposto con un'altra proposta di legge a mia prima firma, la n. 3120, ma è proprio quella di arginare in qualche modo e di superare la rigidità ad esempio del telelavoro e delle sue tutele. Quindi, ci auguriamo che anche questo aspetto venga migliorato in sede di votazione in Aula.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  LUIGI BOBBA, Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. Presidente, colleghi, vorrei soffermarmi su pochi punti per cercare di delineare qual è stato il quadro entro cui questo provvedimento, che, come ha già detto il relatore, viene oggi in Aula e sperabilmente dovrebbe avere un esito conclusivo in tempi sufficientemente rapidi perché dà attuazione a un disegno più ampio del Governo. Questo disegno è iniziato con la riforma del mercato del lavoro, con il provvedimento del 2014, il cosiddetto Jobs Act, che già di per sé conteneva degli elementi particolarmente innovativi. A fronte del fatto che avevamo una sostanziale marginalizzazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato, del contratto di lavoro standard, si è proceduto in quella Pag. 28tornata, in quel passaggio normativo a riportare al centro il contratto di lavoro standard, come elemento caratteristico del rapporto di lavoro subordinato. Eravamo allora in presenza – e lo siamo ancora in parte – di una vasta zona grigia di contratti che erano di fatto privi di ogni autonomia organizzativa nel rendere la prestazione. Insomma, un'area che si era incuneata tra il lavoro dipendente subordinato e il lavoro autonomo. Ebbene, di fronte a quella platea di lavoratori atipici, si poteva agire in una duplice direzione: o riconoscere a loro una specie di statuto speciale, un tertium genus, un ibrido insomma, oppure invece ampliare l'area di copertura dell'intera disciplina del lavoro subordinato, fino a ricomprendere quelle figure che si erano presentate come atipiche, ma che di fatto rappresentavano forme del lavoro dipendente. La scelta che viene fatta con il decreto legislativo n. 81 del 2015, va appunto in questa direzione, cosicché l'ordinamento supera in un certo senso un'ipocrisia di una para subordinazione fatta di lavoratori autonomi, che erano autonomi solo sulla carta, ma subordinati nella sostanza. Insomma, mentre per molti anni si era cercato di costruire una specie di riserva speciale per gli apolidi del mercato del lavoro, la scelta del Jobs Act è stata quella di ricondurli alle normali regole del lavoro dipendente. Ma, compiuta questa operazione di pulizia di quella zona spuria tra autonomia e subordinazione, restava invece un compito importante che è quello che è oggetto di questo provvedimento, ovvero proteggere, valorizzare ed incentivare il lavoro genuinamente autonomo, che è un rapporto di lavoro e una presenza particolarmente significativa nel nostro Paese, divenuta sempre più strategica nel sostenere la parte più avanzata del tessuto economico e produttivo del Paese.
  Dentro quest'area, si presentano infatti professionalità ad alto valore aggiunto, che possono consentire al sistema delle piccole e medie imprese del nostro Paese quelle competenze necessarie per il continuo cambiamento nell'innovazione tecnologica e organizzativa delle stesse. Perciò, con questo provvedimento, diversamente da quanto hanno sostenuto i relatori di minoranza, si introduce un vero e proprio statuto dei diritti e delle tutele dei lavoratori autonomi che non è – lo si dica con chiarezza – una imitazione in scala ridotta dei diritti tipici del lavoro subordinato, ma al contrario valorizza e protegge proprio le specificità tipiche dell'autonomia di organizzazione e di gestione dell'attività professionale, sostenendo tutti coloro – in particolare i più giovani – che vogliono mettersi in proprio, facendo valere il proprio patrimonio di competenze professionali. I quattro punti in cui questo disegno si esplicita sono credo sufficientemente chiari. Primo: la tutela nel contratto con il committente contro clausole contrattuali abusive nei confronti del lavoratore autonomo, la tutela contro i ritardi nel pagamento dei compensi, il riconoscimento dei diritti di proprietà intellettuale al lavoratore autonomo. Secondo: la tutela nel mercato del lavoro, con una serie di strumenti che vengono messi a disposizione dalle istituzioni pubbliche con il concorso di soggetti privati, che aiutano e favoriscono quell'orientamento nel mercato del lavoro e quell'accesso alle opportunità che diventa sempre di più un servizio indispensabile per tutte le persone che lavorano, non solo per quelle dipendenti. Il terzo punto è l'allargamento e il rafforzamento dei diritti previdenziali e di assistenza e va dalla malattia all'infortunio, alla maternità, ai congedi parentali, oltre che, su una base di tipo mutualistico, alla protezione del reddito in caso di perdita di lavoro e a una garanzia più robusta nella copertura previdenziale. Infine, l'alleggerimento dell'onere fiscale e lo stimolo al lavoro autonomo di qualità, con l'ampliamento delle deduzioni fiscali per la formazione e lo sviluppo della professione. L'operazione che viene indicata e configurata in questo provvedimento ha a che fare con il fatto che dentro l'evoluzione del lavoro e l'organizzazione delle imprese si presenta altresì, nella forma del lavoro dipendente, un carattere nuovo, che la legge nella seconda parte dell'articolato normativo va Pag. 29in qualche modo a regolare, a tutelare e a promuovere. Mi riferisco a quello che viene chiamato smart work, o lavoro agile, cioè una forma della prestazione lavorativa che non indica una nuova configurazione contrattuale, ma piuttosto un modo di presentarsi della prestazione lavorativa che si differenzia in ragione soprattutto degli imponenti cambiamenti che avvengono con le tecnologie. Questa forma della prestazione lavorativa abbisogna oggi di un modello regolatorio diverso, di un adeguato senso di protezione e di regolazione di queste novità che sempre più sono evidenti nel campo delle nostre imprese. In un certo senso, nell'originario disegno, il n. 183 del 2014, ovvero il Jobs Act, questa parte era stata in qualche modo non indicata in modo compiuto e dunque occorreva proprio intervenire su questa forma nuova che anche il lavoro subordinato a tempo indeterminato prende all'interno delle imprese.
  Ecco perché la seconda parte del provvedimento (nella prima parte vi sono nuove norme sul lavoro autonomo) riguarda proprio questo presentarsi inedito di forme della prestazione lavorativa. Quindi, le scelte che sono contenute in quegli articoli inducono diciamo a definire, a presentare le forme del lavoro agile come una modalità flessibile di esecuzione del lavoro subordinato.
  Come ho già detto, non viene introdotta una nuova tipologia contrattuale, ma più semplicemente la prestazione di lavoro può essere resa con modalità particolari, che il legislatore puntualmente stabilisce sia nell'esecuzione della prestazione lavorativa, in parte all'interno, in parte all'esterno dei locali dell'azienda, sia con la possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici e, infine, con l'assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all'esterno dei locali aziendali.
  Dunque, con questo provvedimento viene diciamo così in un certo senso a compimento quella ampia riforma del mercato del lavoro con nuovi strumenti della protezione delle forme diverse del lavoro, sia dipendente che autonomo, e diciamo delle novità che si sono presentate sotto la forma del lavoro subordinato.
  Credo che, nel lavoro fatto anche dalla Commissione in questa predisposizione del testo che viene oggi in Aula, vi siano degli elementi puntuali; in particolar modo voglio sottolineare anch'io – lo ha già fatto il relatore – l'introduzione in forma strutturale della Dis-Coll, un elemento caratteristico appunto della protezione di quella forma, di quella modalità della prestazione lavorativa che riguarda i collaboratori nelle diverse forme con cui si presenta.
  Ecco, credo che se la Camera vorrà procedere in modo spedito all'approvazione di questo testo, che deve essere rinviato per l'approvazione finale al Senato, avremo finalmente un disegno compiuto, un sistema di regole più moderno e più legato all'evoluzione effettiva del mercato del lavoro, un sistema di protezione del lavoratore dipendente e autonomo più adeguato alle nuove necessità e capace anche di conciliare meglio le esigenze della vita e le esigenze del lavoro.

  PRESIDENTE. Saluto studenti e insegnanti dell'Istituto comprensivo statale d'Azeglio e Falcone e Borsellino di Ascoli Piceno, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna.
  È iscritta a parlare l'onorevole Tinagli. Ne ha facoltà.

  IRENE TINAGLI. Sì, grazie Presidente. Allora, oggi iniziamo la nostra discussione in Aula, alla Camera dei deputati, di un provvedimento lungamente atteso, un provvedimento varato dal Governo Renzi oltre un anno fa, che ha avuto un lungo iter di discussione e approvazione al Senato e che noi ci auguriamo possa terminare al più presto tutte le fasi dell'approvazione, perché davvero siamo convinti che sia un provvedimento importante non solo per le misure che contiene, ma anche per il messaggio che lancia ad un mondo, quello del lavoro autonomo, che per troppo tempo è stato dimenticato anche da un certo dibattito della politica.
  Con questo provvedimento invece la politica prende atto che ci sono delle Pag. 30misure basilari di tutela della sicurezza e della dignità di un lavoratore, che devono essere universali e che non possono essere distinte tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi.
  Ci si è accorti, forse anche a causa della lunga crisi economica che ha colpito il nostro Paese, ecco ci si è accorti che, pur con tutte le sue prerogative, anche un lavoratore autonomo può trovarsi in una posizione di grande debolezza, una debolezza di fronte al committente, una debolezza che può dar luogo ad abusi, a rinegoziazioni unilaterali dei contratti, a ritardati o mancati pagamenti o anche all'impossibilità di esercitare di fatto dei diritti che pensavamo tutelati, come quello della maternità, ma che poi di fatto era difficile per molte donne esercitare, perché quando una lavoratrice autonoma, per poter esercitare questo diritto, è costretta ad astenersi per molti mesi dall'attività, ne risulta talmente penalizzata che in alcuni casi preferisce rinunciare a questo diritto.
  Quindi si è preso atto di una serie di fragilità, di difficoltà dei lavoratori e delle lavoratrici del mondo del lavoro autonomo, a cui si è voluto dare una risposta importante, anche in chiave positiva, quindi dando la possibilità di accedere agli appalti pubblici, ai bandi, ai fondi UE, a valorizzare i percorsi di formazione, aumentando la deducibilità dei costi della formazione e della qualificazione, quindi veramente una serie di misure e di attenzioni a questo mondo, che rappresenta una parte fondamentale della nostra economia.
  Il provvedimento, mira dunque a riavvicinare lavoro autonomo e lavoro dipendente, a colmare un gap, un dualismo che si era verificato nel mondo del lavoro, ma un po’ da entrambi i lati, quindi da un lato dare più tutele al mondo del lavoro autonomo, che come dicevo prima era penalizzato su questo fronte, però dall'altro anche dare al lavoro dipendente una maggiore flessibilità nelle modalità di esecuzione del lavoro, perché questo era un aspetto su cui invece il lavoro dipendente aveva sofferto una maggiore arretratezza rispetto al lavoratore autonomo, che aveva potuto beneficiare in questi anni maggiormente dell'evoluzione delle tecnologie, che consentono una maggiore flessibilità nelle modalità con cui si presta il lavoro.
  Quindi questo provvedimento contiene nella prima parte una serie di misure di tutela e di supporto per il lavoro autonomo e nella seconda parte delle misure che aiutano invece il lavoro dipendente a poter essere esercitato in maniere più flessibile e quindi anche un modo per aumentare la conciliazione tra famiglia e lavoro, ma anche un modo per aumentare la produttività, perché, quando una persona riesce ad esercitare il lavoro con modalità più consone ai propri ritmi di vita e di lavoro, spesso risultano degli incrementi di produttività.
  Quindi un provvedimento molto importante.
  Il passaggio al Senato ha introdotto degli elementi aggiuntivi, che non facevano parte dell'impianto originario, su cui noi abbiamo lungamente dibattuto, come Commissione lavoro della Camera, elementi che riguardano i lavoratori autonomi iscritti ad un ordine professionale, in particolare ecco con l'aggiunta di quello che poi è stato l'articolo 5 e l'articolo 6 con le due deleghe al Governo di intervenire su alcuni aspetti dei lavoratori iscritti agli ordini professionali.
  Ecco, questi due articoli sicuramente rispondevano e rispondono a delle esigenze molto importanti e diffuse in una parte del mondo professionale, però anche nel corso del dibattito e delle audizioni erano aumentate, erano emerse delle criticità e il timore, da parte di alcuni, che potesse, questa distinzione, queste norme esclusive per alcune tipologie di lavoratori autonomi, introdurre anziché ridurre i dualismi nel mercato del lavoro, creando dei professionisti di serie A e di serie B.
  È per questo motivo che la Commissione lavoro della Camera ha lavorato molto per cercare di far sì che non avvenisse questo aumento del divario, ma che, anzi, venisse maggiormente rispettato l'intento originario del provvedimento, che era proprio quello di allargare la maglia delle tutele e di eliminare i dualismi, Pag. 31anziché accentuarli e quindi l'abbiamo fatto con un lavoro collettivo nella Commissione lavoro, con una lunga discussione ed alcune modifiche che hanno consentito per esempio, per quanto riguarda l'articolo 6, l'estensione ai lavoratori iscritti alla gestione separata di una serie di misure precedentemente immaginate solo per gli iscritti alle Casse previdenziali degli ordini, quindi misure anche per i lavoratori iscritti alla gestione separata, per ridurre i requisiti di accesso alla maternità e alla malattia, quindi questo mi sembra anche un segnale importante, di ulteriore attenzione al mondo del lavoro autonomo inteso nel senso più ampio possibile.
  Sempre all'interno di quest'articolo vi è la parte dove è stata resa strutturale la Dis-Coll, cioè l'indennità di disoccupazione per i collaboratori.
  Anche questo è un segnale di attenzione ad un mondo, ad una parte del mondo del lavoro tradizionalmente molto fragile, che rischiava di trovarsi schiacciata in una misura sperimentale che poi non era stata rinnovata. Invece per quanto riguarda l'articolo 5, ovvero l'articolo riguardante la possibilità di delegare lo svolgimento di funzioni proprie della pubblica amministrazione ai professionisti iscritti agli ordini professionali, si è cercato semplicemente di far fronte alle critiche che erano emerse, alle perplessità di circoscrivere un po’ meglio i contorni e il limite della delega per evitare, ad esempio, che si potessero creare problemi in merito alla privacy e alla sicurezza dei dati dei cittadini in questo processo di delega o di outsourcing rispetto alla pubblica amministrazione e anche di evitare che potessero insorgere conflitti di interesse da parte dei professionisti coinvolti.
  Poi, sempre all'interno di quest'articolo, come è stato ricordato dal presidente della Commissione, si sono tolti i riferimenti ad atti delegabili specifici come il «fascicolo del fabbricato», che riguarda un dibattito ancora in corso e assai problematico in quanto sono state coinvolte anche sentenze dei TAR e della Corte costituzionale; quindi, un aspetto molto problematico che abbiamo ritenuto più opportuno togliere e rimandare eventualmente ad un dibattito futuro.
  Sono queste un po’ alcune correzioni. Come ha ricordato il presidente, la Commissione lavoro della Camera ha cercato di limitare al minimo gli interventi per poter garantire la massima celerità di approvazione del provvedimento che riteniamo tanto importante e fondamentale per una parte così larga del mondo del lavoro. Personalmente ricordo solo alcune piccole criticità, che certamente non inficiano la valutazione assolutamente positiva del provvedimento ma su cui ritengo sia necessaria una riflessione anche per la fase attuativa di implementazione. La prima riflessione un po’ critica riguarda la proposta emendativa che era stata condivisa con tutti i colleghi della Commissione lavoro in merito all'articolo 5 dove, tra i criteri che specificavano e limitavano la delega al Governo ad attribuire agli ordini e ai professionisti funzioni della pubblica amministrazione, si inseriva, come criterio, il fatto che tale processo di delega ai professionisti non comportasse alcun onere aggiuntivo per i cittadini rispetto agli oneri che avrebbero avuto se tali funzioni fossero rimaste in capo all'amministrazione pubblica. Ci sembrava necessario specificare questo punto per evitare che chiunque, qualsiasi osservatore potesse pensare che questa norma fosse volta più a garantire una rendita ai professionisti piuttosto che un servizio veramente migliore al cittadino. Quindi penso che questo sia un punto sul quale sono rimasta dispiaciuta del fatto che non si sia trovato il necessario consenso anche con il Governo. Capisco le problematiche che possono esserci e possono derivare anche da una tematica così delicata ma penso che sia un punto su cui potrà essere necessario eventualmente operare una riflessione.
  La seconda criticità o potenziale criticità – anche qui si parla sempre di ipotesi – riguarda gli elementi del lavoro agile sulla normativa della sicurezza legata al lavoro agile e anche alle limitazioni dell'orario di lavoro giornaliero legato al Pag. 32lavoro agile. Sono due aspetti, due limitazioni, due vincoli che potrebbero rendere meno appetibile per un datore di lavoro l'adozione o il ricorso al lavoro agile nei confronti dei lavoratori dipendenti. Naturalmente – ripeto – si parla di ipotesi perché è una fattispecie nuova, quindi mi riferisco solo a sollecitazioni che sono arrivate in audizione e, quindi, l'unica cosa che possiamo fare è garantire un'attenzione e un monitoraggio al fenomeno per accertarci che tali aspetti non diventino un impedimento in futuro.
  Infine, pur nella grande soddisfazione per la Dis-Coll strutturale, esprimo perplessità sul concetto di estensione di tale sussidio alla figura del dottorando, che non è tipicamente un lavoratore ma uno studente. Quindi, solitamente nessun percorso di formazione e di selezione, soprattutto quelli di alta formazione che di solito sono sempre molto selettivi, prevede forme di sussidio o di compensazione per chi non riesca a mettere a frutto il percorso formativo o il titolo ottenuto. Quindi, pur riconoscendo che da un punto di vista di correttezza formale non ci sono pericoli per i conti, viene garantita la sostenibilità con l'aumento dell'aliquota. Da un punto di vista formale, quindi, c’è una correttezza che riconosco. Pongo quindi solo un dubbio legato alla natura di questa figura, che non è propriamente un lavoratore e che potrebbe aprire la porta anche ad ulteriori richieste, perché sono molte le persone che intraprendono percorsi di alta formazione e selezione che un domani potrebbero anche legittimamente chiedere forme di sussidio analoghe. Quindi, credo che tale previsione possa aprire un problema, a meno che poi non si vada verso, quando magari ci arriveremo, a forme di sussidi veramente universali e allora quelle saranno altre tipologie di misure.
  Detto questo, si tratta semplicemente di riflessioni su piccolissimi aspetti che sono emersi anche nel dibattito ma che non tolgono nulla alla grande rilevanza, al grande supporto che ho avuto e che tutta la Commissione ha avuto rispetto a questo provvedimento, che ritengo di fondamentale importanza e un punto di partenza di cui essere orgogliosi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Polverini. Ne ha facoltà.

  RENATA POLVERINI. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il gruppo di Forza Italia, sia nel corso del primo passaggio parlamentare al Senato sia alla Camera, ha tenuto un atteggiamento costruttivo nei confronti del testo che giunge oggi all'esame dell'Aula. Del resto, il lavoro che si svolge in Commissione lavoro, guidato dal presidente Damiano, è sempre un lavoro che guarda esclusivamente al merito delle questioni che con puntualità collaboriamo a migliorare. Quindi, il nostro atteggiamento va nella direzione da sempre tenuta, in particolare – insisto – in Commissione lavoro. Questo perché, seppur in presenza di alcuni aspetti sicuramente critici o non pienamente soddisfacenti, il provvedimento rappresenta certamente un primo importante passo verso il riconoscimento della categoria dei lavoratori autonomi, ovvero per un settore che ha avvertito in questi anni una grave e dura crisi. Questa iniziativa legislativa ha dunque senz'altro il merito di aver posto finalmente l'attenzione su un comparto sino ad ora messo da parte e penalizzato in particolare dalla eccessiva pressione fiscale.
  Occuparsi di lavoro autonomo è inoltre necessario perché tra i compiti del legislatore vi è anche quello di bloccare eventuali disparità dei diritti tra chi ha un posto fisso e chi, nel settore privato, ogni giorno deve fare i conti con una maggiore flessibilità in uscita, con il rischio di non vedersi rinnovato il contratto o con stipendi di livello anche più basso di quelli pubblici. Pur rappresentando convintamente una forza di opposizione e confermando la nostra critica nei confronti della politica economica del Governo e soprattutto nei confronti delle politiche implementate sino ad ora in tema di lavoro – mi riferisco, in particolare, al lavoro dipendente e alla fallimentare riforma del Pag. 33mercato del lavoro sostenuta e approvata dal Governo Renzi, denominata Jobs Act – non possiamo non riconoscere le importanti novità contenute in questo testo che danno maggiori garanzie ai lavoratori autonomi e consentono di attribuire valore e dignità alla loro attività professionale. Anche nel corso dell'esame del provvedimento e della fase emendativa il gruppo di Forza Italia ha cercato di proporre alcuni miglioramenti al testo, con l'obiettivo, da una parte, di non limitare la libertà dei lavoratori autonomi con norme troppo restrittive o superflue e, dall'altra, di sostenere il lavoro professionale in una situazione di mercato del lavoro sempre più difficile, che fatica a riconoscere le competenze, a valorizzare conoscenze e professionalità e a tutelare la creatività e l'innovazione.
  Il testo si compone principalmente di due capi. Le norme contenute nel capo I riguardano il lavoro autonomo con l'obiettivo di costruire, per tali lavoratori, un sistema di welfare che offra maggiore sostegno nel presente e più tutela per il futuro.
  In particolare, le modifiche alla disciplina del congedo parentale per le lavoratrici e i lavoratori autonomi nonché la disciplina più favorevole in caso di gravidanza o maternità hanno l'obiettivo di stimolare soprattutto l'occupazione femminile, favorendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, tema particolarmente sentito nel campo degli studi professionali, dove le donne rappresentano un'alta percentuale di occupazione. Di particolare rilievo è la disposizione che prevede l'integrale deducibilità, entro il limite di 5 mila euro all'anno, delle spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca e sostegno all'autoimprenditorialità, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati alle condizioni del mercato del lavoro erogati dagli organismi accreditati ai sensi della disciplina vigente. Questo tipo di norme sono principalmente rivolte ai giovani e ai ragazzi che iniziano una carriera lavorativa e sono sicuramente utili anche per coloro che decidano di cambiare attività lavorativa, orientandosi verso un'idea di lavoratori in continua specializzazione.
  Merita, inoltre, un passaggio la disposizione, introdotta dalla Commissione lavoro, che riconosce la Dis-Coll, cioè l'indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, a decorrere dal 1o luglio 2017, ai collaboratori, agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca, a fronte di un incremento dell'aliquota contributiva pari allo 0,51 per cento. La seconda parte del provvedimento introduce la disciplina del lavoro agile anche con riferimento al pubblico impiego, allo scopo di rispondere alle nuove esigenze del mercato del lavoro. Più nel dettaglio, il lavoro agile, promosso allo scopo di incrementare la competitività ed agevolare la conciliazione vita-lavoro, viene configurato non come una nuova tipologia contrattuale, ma come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato. Questo è stato anche ben sottolineato dal presidente relatore Cesare Damiano.
  Grazie ad un accordo tra le parti, il lavoratore e l'azienda possono così definire forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, e senza vincoli di orario o luogo di lavoro, con possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La modalità flessibile di esecuzione della prestazione consentirà, da un lato, di rispondere all'esigenza dei lavoratori di meglio coniugare i tempi di vita e di lavoro, e, dall'altro, alle imprese di ridurre strutture fisse e costi. Da questo punto di vista, il provvedimento intraprende un percorso al passo con i tempi. Il dato più rilevante delle indagini svolte nel 2016 tra le grandi imprese è che il 30 per cento di queste hanno attuato iniziative strutturate di smart working contro il 17 per cento del 2015 e l'8 per cento del 2014. Tra le piccole e medie imprese, le iniziative strutturate sono passate dal 9 per cento del 2015 al 13 per cento del 2016, dato piuttosto rilevante, ma è interessante notare come si sia drasticamente ridotto il numero delle PMI che a priori si Pag. 34dichiaravano contrarie a misure di smart working: siamo passati dal 48 al 27 per cento.
  Tale tipologia di lavoro è poi già presente nella contrattazione collettiva: ne sono dimostrazione i recenti rinnovi dei contratti nazionali, come quello del settore bancario e assicurativo, delle telecomunicazioni e dell'informatica. Tuttavia, la diffusione dell'istituto risulta ancora limitata da profili di incertezza normativa che ostacolano al momento il pieno successo delle sperimentazioni. La definizione di una cornice normativa per il lavoro agile è quindi necessaria per un cambio di passo delle parti, in vista di un ripensamento del lavoro che vada oltre le limitate forme di flessibilità concesse dalla sperimentazione e che sappia stimolare una cultura dell'autonomia e della responsabilità dei lavoratori.
  Al di là degli aspetti sicuramente positivi del testo, va rilevato, comunque, che una riforma del lavoro autonomo non imprenditoriale avrebbe richiesto forme di investimento più rilevanti da parte dello Stato. Il disegno di legge in esame mette in campo pochissime risorse economiche – questo lo troviamo, purtroppo, in quasi tutti i provvedimenti, come quello di cui abbiamo discusso qualche mese fa sulla povertà, dove l'intenzione è sicuramente ottima, ma le risorse che poi vengono messe a disposizione ne riducono gli effetti – tra l'altro distogliendole da fondi e capitoli di spesa già dedicati al mondo del lavoro, in questo caso. Una vera riforma del lavoro autonomo non può prescindere, poi, dall'affrontare il tema della semplificazione di burocrazia e fisco e dalla fiscalità generale, a partire dal livello delle aliquote per passare al modello delle deduzioni e detrazioni fiscali, che sono meno ampie di quelle dei lavoratori dipendenti. Altro tema di rilievo decisivo per il mondo del lavoro autonomo, non affrontato dal testo, è quello dell'accesso al credito, i cui evidenti ostacoli, in particolare negli ultimi anni, hanno non solo costretto tanti piccoli imprenditori e professionisti ad abbandonare o ridurre le proprie attività, ma, soprattutto, disincentivato tanti lavoratori od aspiranti tali a mettersi in proprio.
  In ogni modo, il gruppo di Forza Italia affronterà con favore e con spirito costruttivo la discussione sul testo, con l'obiettivo di favorire un percorso positivo per lo sviluppo del lavoro e del tessuto economico e produttivo del Paese.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Paris. Ne ha facoltà.

  VALENTINA PARIS. Grazie, Presidente. Come anticipato dai miei colleghi, dal relatore Damiano, ma già detto anche dal Governo, la discussione sulle linee generali di questo provvedimento è per noi estremamente importante, al punto da sottolineare con un po’ di rammarico che, per esempio, i colleghi del MoVimento 5 Stelle non ritengono di dover rimanere in Aula, almeno quelli della Commissione lavoro, in un momento in cui proviamo a confrontarci su tutto quello che ancora può essere migliorato di questo provvedimento. Mi verrebbe da dire, con una battuta: forse hanno preso tutti la camomilla di cui parlavano rispetto al Presidente del Consiglio Gentiloni qualche minuto fa. Non lo dico per pura polemica, ma perché credo che il nostro ruolo in questa legislatura sia fondamentale per provare a sanare una serie di fratture che in questa società ancora vivono, e ancora vivono con grande difficoltà.
  E, allora, se diventasse sforzo di tutti noi legittimare le istituzioni, allora ciascuno di noi potrebbe far sì che il proprio lavoro fosse percepito come più efficace da parte dei cittadini. Purtroppo erano brutte le foto che giravano, durante la nostra esperienza legislativa, di questi banchi vuoti, facendo credere ai cittadini italiani che qui non ci fosse qualcuno che lavorava. Noi lavoriamo sempre, tutti i giorni, sia quando siamo qui dentro sia quando siamo fuori da qui, e non lo facciamo perché ipotizziamo che poi qualcosa ci debba essere riconosciuto su chi oggi quantifica i nostri emendamenti presentati o i nostri ordini del giorno; lo facciamo perché il ruolo del legislatore è di tutt'altra Pag. 35natura. È il ruolo di chi, come in questo caso, su questo provvedimento, ha capito che c'era un vuoto, c'era una mancanza di riconoscimento dei lavoratori autonomi che chiedevano, e chiedevano a noi, in questa legislatura, un riconoscimento vero, un riconoscimento di diritti e di cittadinanza in un mondo del lavoro che è cambiato.
  E non è cambiato l'altro ieri, non è cambiato da pochi anni; ahimè, è cambiato da circa trent'anni, e noi abbiamo agito, rispetto a questi lavoratori, per troppo tempo in maniera ambigua, dal mio punto di vista, considerando, per esempio, i lavoratori autonomi come solo finti lavoratori subordinati. Ecco, credo che la scommessa del Governo che ha presentato questo disegno di legge sia stata proprio quella di dire: riconosciamo l'autenticità dei lavoratori autonomi; proviamo a dire in maniera chiara che, a coloro a cui abbiamo imposto un'aliquota che doveva arrivare, secondo le previsioni dell'ultima legge di stabilità della XVI legislatura, addirittura al 33 per cento, noi diciamo che è necessario fermarsi al 27, e lo facciamo con determinazione, lo abbiamo fatto in tutti gli anni in cui abbiamo approvato leggi di stabilità a firma del Partito Democratico. Ricordiamolo, perché sappiamo che quei lavoratori hanno pagato la crisi più di tanti altri e perché abbiamo inteso riconoscere a quei lavoratori dignità; dignità del lavoro che svolgono, dignità delle competenze che mettono in campo, ma, anche e soprattutto, dignità del tempo che dedicano al proprio lavoro. Rispetto a questo lavoro fatto, pensare che oggi la nostra discussione possa essere su come andava modificato il piccolo comma, se o come dovevamo garantire di più i lavoratori iscritti alla gestione separata, quelli inseriti negli ordini professionali, gli assegnisti, come ha ricordato bene qualche collega prima di me, sono osservazioni parziali, perché è più importante, oggi, il dato politico.
  Il dato politico è che c’è un sistema di norme che finalmente riconosce il lavoro autonomo. E se questo arriva oggi, a nostro avviso anche con un po’ di ritardo, ci arriva, però, proprio perché questa è una legislatura all'interno della quale noi ci siamo dati come obiettivo quello di superare il dualismo tra chi era dentro e chi era fuori un sistema di regole, tra chi era garantito e chi garantito non lo era. Su un esempio per tutti mi soffermo, e avremo modo poi di entrare anche nel merito dei dettagli del provvedimento: abbiamo avuto una discussione molto forte, anche all'interno del gruppo del PD della Commissione lavoro, su come dovesse essere intesa la maternità e il diritto alla maternità per le lavoratrici autonome.
  C'era una questione, e cioè che tante donne prima di me, prima della mia generazione, avevano fatto del proprio diritto di allontanarsi dal luogo di lavoro un elemento di garanzia della propria maternità. Una lavoratrice autonoma racconta, dice a noi in audizione in Commissione, ma lo dicevano già in questi anni, che, per chi è lavoratore autonomo, allontanarsi dal proprio lavoro nel periodo in cui si è in maternità significa rinunciare al reddito, significa non avere la possibilità effettivamente di mantenere quella committenza, di continuare a preservare il rapporto con quel cliente e continuare a svolgere quell'attività. Non è stato semplice, perché c’è anche un conflitto generazionale, c’è anche un modo diverso di intendere la cura, c’è anche un modo diverso di intendere il nostro modo di far sì che il lavoro non risucchi tutti gli spazi della vita e del privato.
  Ebbene, noi abbiamo ritenuto – e arriva, poi, anche in questo provvedimento – che le lavoratrici in maternità non solo non debbano avere l'obbligo di non svolgere la propria attività lavorativa, ma che, soprattutto, possano essere coloro che indicano al proprio committente la possibilità di far lavorare i colleghi, che hanno i requisiti, ai quali ovviamente si sentono di poter affidare quella committenza. È una mediazione ? Sì, è una mediazione e le mediazioni, quando il legislatore le fa convinto di dover garantire diritti e welfare ai cittadini, le fa al rialzo. Non sono una cosa sporca le mediazioni; sono la capacità più alta che la politica ha di poter Pag. 36risolvere effettivamente le complessità che oggi vivono i cittadini giorno per giorno. È quella complessità cui faceva riferimento, in apertura di questo dibattito, il presidente della Commissione, Cesare Damiano, una complessità che, appunto, oggi lascia forse ancora delle zone grigie nella differenza tra «lavoro agile», lavoro autonomo, iscritti agli ordini e non iscritti.
  Ebbene, non possiamo convincerci che debba esserci per forza un'accezione negativa; dobbiamo sapere che il nostro dovere è quello di legiferare per far sì che l'allargamento dei diritti dei lavoratori sia sempre in crescita, sia il nostro obiettivo quotidiano e costante, perché sappiamo – e sono certa che verrà fuori anche dalla nostra discussione – che il mondo del lavoro della mia generazione non sarà mai il mondo del lavoro in cui si può essere o lavoratore subordinato per tutta la vita o lavoratore autonomo per tutta la vita. Sappiamo e abbiamo il dovere di far sì che anche il passaggio da un lavoro stabile presso una pubblica amministrazione o presso un'impresa e il lavoro autonomo siano compatibili dentro un percorso che garantisca non solo diritti e welfare ma anche qualità, competenza e reddito al lavoratore stesso. È stato questo l'orientamento della Commissione lavoro e del gruppo del Partito Democratico nella Commissione lavoro, non solo rispetto a questo provvedimento ma rispetto a tutti gli atti che abbiamo portato avanti in questa XVII legislatura che, come dicevo, ci ha visti impegnati soprattutto a far sì che venisse sanata quella distanza, oramai insopportabile, tra coloro che sono inclusi dentro un sistema di welfare e di regole e coloro che ne sono esclusi.
  Per me, e per alcuni che con me hanno condiviso questa esperienza legislativa, questo provvedimento porta anche un nome e un cognome, perché è il provvedimento che alcuni di noi associano a Davide Imola, che è stato il compagno del sindacato – e dico, ahimè purtroppo, «è stato» perché lo abbiamo perso – che ha insegnato a tanti di noi che i corpi intermedi non si liquidano: i corpi intermedi si trasformano lavorando all'interno. E proprio lui, che veniva da un'esperienza sindacale, che ha insegnato a me quanto il lavoro autonomo e le nuove forme di lavoro e di professionalità, ahimè, fossero state ignorate per troppi anni da quegli stessi sindacati. Ma con estrema determinazione abbiamo fatto in modo che, anche attraverso partiti e sindacati, queste professionalità e questi cittadini ritrovassero nelle istituzioni un'interlocuzione pronta a garantire a ciascuno di loro diritti e dignità. Su questo credo che il lavoro della Commissione, che approda oggi in Aula, sarà un lavoro celere, perché l'unico obiettivo che non possiamo perdere è che questo provvedimento non possa decadere. Quindi, auspichiamo ovviamente non solo un celere lavoro di questa Camera ma speriamo anche in un ancor più celere lavoro del Senato che, sempre a futura memoria, alcuni di noi ritenevano non più necessario nella forma di questo bicameralismo paritario ma che forse, se superato, avrebbe potuto offrire sicuramente più celerità nella nostra capacità normativa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gnecchi. Ne ha facoltà.

  MARIALUISA GNECCHI. Presidente, grazie. Tra le rinunce di cui ha parlato il presidente Damiano, relatore anche di questo provvedimento, ce n’è una, quella che non abbiamo potuto fare, sulla gestione separata e, quindi, oltre agli interventi delle colleghe che mi hanno preceduto e del presidente della Commissione, io darò proprio un titolo a questo mio intervento: dare dignità alla gestione separata.
  Ricordo a tutti – e noi lo sappiamo, ovviamente – che i lavoratori e le lavoratrici autonome sono iscritti a questa gestione separata che è nata con la legge n. 335 del 1995, diventata poi operativa dall'aprile 1996. È stata sicuramente un'ottima risposta del legislatore a tutta la diversità dei lavori, a tutti i lavori diversi che nascevano. Non eravamo più nella situazione in cui esisteva solo il lavoro Pag. 37dipendente o i lavori classici autonomi, artigiano, commerciante o libere professioni.
  E, quindi, questa gestione separata è nata proprio come una risposta, come spesso il sistema previdenziale ha fatto: rispondere alle modifiche dei lavori, del lavoro e del mercato del lavoro e, quindi, anche alle modifiche delle persone.
  Non è un caso, però, che sia iniziata con l'aprile 1996 e siano dovuti passare dieci anni fino alla legge finanziaria del 2006 per il 2007 – articolo 1, comma 788 – per il riconoscimento dell'indennità di malattia e il congedo parentale almeno di tre mesi. Quindi, dieci anni, dall'inizio della gestione separata al 2006, per questo riconoscimento. E poi siamo adesso ad altri dieci anni dopo e nella legge di bilancio per il 2017 siamo riusciti finalmente a consentire il cumulo dei contributi anche della gestione separata con tutti gli altri contributi per poter avere una pensione unica. Abbiamo inserito in questo cumulo anche le casse professionali e, quindi, da questo punto di vista, anche se appunto ormai siamo a vent'anni dall'origine della gestione separata, adesso la gestione separata può almeno essere cumulata agli altri contributi per poter arrivare ad una pensione unica.
  Però, ci sono ancora tante difficoltà. Quello che noi vogliamo è che la gestione separata diventi veramente una gestione di pari dignità rispetto alle altre gestioni e agli altri fondi e, quindi, abbia in toto una reciprocità reale, ma ci accorgiamo che spesso le difficoltà sono proprio celate anche nelle virgole. Per esempio, il cumulo non è possibile per le donne che aspirano ad «opzione donna»; non è possibile per i lavoratori e le lavoratrici che stanno affrontando le salvaguardie. Ma vediamo anche che purtroppo il lavoro all'estero non sempre è riconosciuto nello stesso modo e anche la gestione separata per alcuni fondi non è ancora riconosciuta allo stesso modo. Per esempio, i telefonici non riconoscono il lavoro all'estero. Cioè, esiste tutta una serie di situazioni per le quali bisognerebbe veramente riuscire ad arrivare a un testo unico della previdenza sociale che, magari, metterebbe in evidenza tutte le contraddizioni e permetterebbe di risolverle.
  Non ultima è la questione della pensione supplementare, che noi già dalla scorsa legislatura chiedevamo che fosse reciproca tra tutti i fondi e che per la gestione separata è ancora più difficile che per gli altri, perché, se un lavoratore o una lavoratrice diventano titolari di pensione della gestione separata e hanno un ulteriore lavoro successivo in gestione separata, possono avere il supplemento di pensione o la pensione supplementare, ma se per caso vanno a fare i lavoratori dipendenti o un altro tipo di lavoro quei contributi vanno persi. Quindi, è evidente che serve veramente riuscire a riflettere sulla gestione separata.
  Di recente abbiamo anche presentato un'interrogazione, alla quale ci ha risposto proprio il sottosegretario Bobba, sulla possibilità di riscatto di anni prima del 1996. È una possibilità che la legge n. 335 ha riconosciuto per le collaborazioni coordinate e continuative ma, per esempio, non per chi aveva la partita IVA (e aveva la partita IVA e non come forma di collaborazione coordinata e continuativa). Anche questa è una situazione strana perché si sa ormai, per la possibilità di riscatto, che il lavoratore e la lavoratrice pagano totalmente l'onere, compresa la riserva matematica, e quindi pagano totalmente quello di cui beneficeranno. Dunque, è evidente che questa rimane una cosa strana.
  Quindi, dicevo appunto che tra le rinunce che abbiamo fatto c’è proprio anche questa rinuncia di approfondimento sulla gestione separata. Il sottosegretario Bobba ha elencato quali sono le cose positive che sono state previste, anche legate alla gestione separata nell'attuale disegno di legge delega.
  Però, veramente la gestione separata rimane un problema aperto da risolvere. E quindi questo noi ci auguriamo, che ovviamente possa essere oggetto di riflessione, e che rispetto a questo diritto dei lavoratori e delle lavoratrici... Che ormai stanno anche molto attenti alla propria Pag. 38pensione: perché se c’è un unico dato positivo della «manovra Fornero» è che i lavoratori e le lavoratrici si sono resi conto che controllare in continuazione la propria posizione previdenziale e stare attenti ad accumulare i contributi serve per riuscire a pensare, a immaginare poi una pensione dignitosa con la quale poter vivere.
  Noi siamo a vent'anni dall'inizio della gestione separata, e vorremmo che, anche se non siamo riusciti in questa delega, si riuscisse a pensare che questa gestione ha veramente il diritto di essere una gestione pari in tutto a tutte le altre; proprio per quello che i miei colleghi hanno già detto prima di me: ormai non esiste più il lavoro garantito 40 anni, 42 e 10 mesi 41 e 10 mesi nella stessa azienda, o iscritti allo stesso fondo: soprattutto i giovani continuano a cambiare lavoro, a volte per scelta, ma non sempre per libera scelta. Quindi che il sistema previdenziale sia una risposta reale a tutti i lavoratori e le lavoratrici, diventa veramente un obbligo per un Paese civile.
  Nella speranza dunque, e contando che se non in questa legislatura, ci sia qualcuno nella prossima che si occupi anche di questo, sottolineiamo che questo provvedimento è un provvedimento importante, che va nella direzione di garantire al lavoro autonomo gli stessi diritti del lavoro dipendente, indipendentemente dal fatto che ci sia una cassa professionale di iscrizione o un'altra; però ovviamente dobbiamo ancora lavorare dal punto di vista previdenziale, perché comunque noi vogliamo che il lavoro sia la vera forma di inclusione sociale, e non si lavora solo ed esclusivamente per guadagnare. Vogliamo però che, se si guadagna, si abbiano almeno i contributi per poter avere una pensione dignitosa, e possibilmente prima di morire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rostellato. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Presidente, arriviamo finalmente a discutere questo testo collegato alla legge di stabilità per il 2016, dopo una lunga lettura del Senato, e che arriva alla parte finale, e purtroppo non definitiva, della sua discussione alla Camera. Questo testo, che tratta nella prima parte il lavoro autonomo e nella seconda parte il lavoro agile, come già detto dai colleghi è un testo molto importante e molto atteso dal mondo dei professionisti. Esso deriva da un lungo lavoro di anni, in cui tutti i gruppi parlamentari, ma in particolare il nostro, hanno lavorato per garantire una maggiore tutela dei lavoratori autonomi; questo provvedimento ne segue altri già approvati in questo Parlamento su questo fronte, come è già stato precedentemente detto dai miei colleghi.
  Il testo introduce tutele in ambito di pagamenti, condizioni contrattuali, invenzioni del lavoratore, maternità, malattie gravi e appalti pubblici, maggiori deducibilità fiscali in ambito di formazione e deleghe in materia di rimessioni di atti pubblici della pubblica amministrazione alle professioni ordinistiche, maggiori prestazioni sociali e previdenziali alle casse private e alla gestione separata, semplificazione della normativa sulla sicurezza negli studi professionali. Non mi soffermerò su questi punti, essendo già stati ampiamente trattati dalle colleghe che mi hanno preceduto, e preferendo invece soffermarmi piuttosto sulla seconda parte di questo provvedimento: seconda parte di cui si è parlato molto meno rispetto a quella sul lavoro autonomo, ma che è comunque una svolta importante nella normativa che riguarda invece il lavoro dipendente.
  Che cosa si intende per lavoro agile ? Il lavoro agile, come è già stato specificato dai colleghi ma anche dal Governo, non è un nuovo contratto di lavoro subordinato, questo è importante sottolinearlo, bensì una modalità di svolgimento di un qualunque contatto di lavoro dipendente. Esso consiste nello svolgere la propria attività in maniera dinamica, senza precisi vincoli di orari o luogo di lavoro: ciò significa che la prestazione può essere svolta in parte all'interno dei locali aziendali, in parte Pag. 39all'esterno, senza una posizione fissa, a domicilio, in viaggio, ovunque il dipendente si trovi, grazie anche agli strumenti tecnologici oggi esistenti.
  Il datore di lavoro in tutto ciò fornirà gli strumenti di lavoro necessari allo svolgimento di questa attività. Ovviamente questa modalità può essere utilizzata fin dall'assunzione, o essere scelta in un momento successivo per venire incontro a eventuali esigenze o richieste da parte del lavoratore. Il lavoro agile può essere un ottimo strumento, in particolare per le donne, per conciliare in maniera più semplice i tempi da dedicare alla famiglia con il proprio lavoro; ma può essere una modalità interessante e innovativa per molte attività intellettuali.
  Come spesso avviene in ambito di lavoro, non stiamo creando nulla che già non esista: infatti in fase di audizione l'Osservatorio di smart working del Politecnico di Milano ci ha segnalato come già esistano circa 250 mila lavoratori in Italia che svolgono la loro attività con questa modalità. Il loro numero è cresciuto del 40 per cento in poco più di due anni, ed è un fenomeno diffuso soprattutto nelle grandi imprese, e meno nelle piccole e medie imprese: solo il 5 per cento dei lavoratori, forse proprio anche per la mancanza di una normativa dedicata. Nella pubblica amministrazione invece questo tipo di modalità risulta totalmente assente, e il testo in questo caso invece ne prevede l'applicabilità e la diffusione.
  Si è sottolineato, sempre nelle audizioni, come oltre a permettere ai dipendenti di gestire in maniera più semplice la propria vita privata, questa modalità di lavoro aumenti anche la produttività dei lavoratori, fino al 20 per cento in più, e migliori la soddisfazione del dipendente nei confronti del proprio lavoro, che si tramuta in un clima positivo anche all'interno dell'azienda. Lo smart working, inoltre, permette alle aziende un risparmio del costo degli spazi, riduce il traffico e quindi l'inquinamento; esso ha un impatto positivo sia sulla vita del dipendente che sull'impresa e la società tutta. È importante quindi dare oggi una cornice normativa a questo strumento, pur senza appesantirlo per lasciare alla contrattazione collettiva, aziendale e individuale ampi spazi di manovra, per poter adeguare l'accordo alle necessità dei dipendenti e delle imprese, che possono essere molto differenti fra loro. Il dipendente che lavora in smart working ha diritto alla stessa paga prevista per gli altri lavoratori del medesimo livello, ai premi di produttività se previsti, alla formazione e ovviamente all'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.
  Io credo che questa nuova normativa sia molto importante, e apprezzo molto l'attenzione che il Governo ha avuto per tale forma flessibile di lavoro; però probabilmente ci sono alcuni punti in questo testo che si sarebbero dovuti rivedere per migliorare la normativa. Si tratta in particolare di due punti: il primo è la durata massima, giornaliera e settimanale, dell'orario di lavoro, tra l'altro difficilmente controllabile sia dal datore di lavoro, e probabilmente anche dal dipendente stesso. Infatti sembra contraddittorio prevedere dei limiti massimi, e soprattutto giornalieri, a questa modalità di lavoro, in cui è il dipendente stesso ad autoregolarsi in base alle proprie possibilità e necessità, e in cui in certi giorni possono esserci carichi di lavoro completamente diversi da altri. Si può pensare che questo punto sia stato inserito per evitare prestazioni orarie eccessive; però, appunto per il fatto che è lo stesso dipendente ad autoregolarsi, a mio parere poco si registreranno, queste eventuali distorsioni, e sarà comunque impossibile valutarle.
  Il secondo punto è quello della sicurezza sul lavoro, e questo probabilmente è il punto più delicato di questa seconda parte del testo, che avrebbe necessitato effettivamente di un'attenzione in più da parte del Governo. Sarebbe stato auspicabile specificare che la responsabilità del datore di lavoro è limitata ai soli strumenti che vengono forniti al lavoratore, proprio per evitare incertezze e ambiguità al fine di favorire la diffusione dello smart working. E sempre a tal fine, sarebbe stato utile specificare che non vi debbano essere Pag. 40extra-oneri assicurativi per le aziende a seguito dell'adozione di questa modalità di lavoro. Infatti, se come abbiamo visto lo smart working è una forma di prestazione che aumenta in particolare la qualità della vita del dipendente, allora è tanto più necessario incentivare le aziende a metterlo in atto, perché creando impedimenti si va soprattutto a scapito dei lavoratori stessi. Quindi auspichiamo che... Adesso dovremo ovviamente monitorare, come diceva anche la collega Tinagli, il futuro di questa forma contrattuale, perché al momento non è così diffusa da poter capire se la normativa è adeguata o meno; e auspichiamo appunto che il testo non debba essere rivisto su tale punto, proprio perché limita la diffusione di questo tipo di lavoro.
  Concludendo quindi, io credo che, pur sapendo insomma che questo testo non è perfetto, come Partito Democratico, noi crediamo che questa sia un'ottima risposta, una prima buona risposta insomma al mondo delle partite IVA e delle professioni e, nonostante molte altre cose potessero essere inserite, io credo che sia fondamentale appunto che questo testo entri in vigore nel più breve tempo possibile e che appunto – come dicevano anche prima le colleghe – il Senato concluda nel più breve tempo possibile i lavori, in modo che all'interno di questa legislatura riusciamo finalmente a dare delle risposte importanti ai lavoratori autonomi, come loro ci hanno richiesto in tutti questi anni.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, quindi dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche – A.C. 4135-A)

  PRESIDENTE. L'onorevole Simonetti non c’è, ma non avrebbe più tempo per replicare; men che meno l'onorevole Ciprini. Onorevole Damiano, intende replicare ? Ha due minuti.

  CESARE DAMIANO, Relatore per la maggioranza. Io rinuncio alla replica. Mi pare che gli argomenti siano stati sufficientemente affrontati da tutti, quindi direi di procedere.

  PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo intende intervenire ancora ?

  LUIGI BOBBA, Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. Sì, solo per dire che ho ascoltato con attenzione le osservazioni anche critiche che sono state fatte dai componenti nella Commissione lavoro, il che dà conto di un'attenzione molto circostanziata e competente sul provvedimento. Potrei dire un po’ banalmente che a volte il meglio è nemico del bene, e che quindi diciamo la necessità, peraltro sottolineata, di arrivare in porto con questo provvedimento proprio per dare una forma compiuta a quella riforma del complesso dei contratti del mercato del lavoro e delle tutele, sia dal versante del lavoro autonomo, sia dalle nuove forme della prestazione del lavoro agile, è la necessità principale. Colgo anche la sottolineatura posta dall'onorevole Gnecchi di un ripensamento e revisione, a partire appunto dallo strumento della gestione separata, che è entrato dentro questo provvedimento in una parte, in un segmento, ma che forse ha bisogno di un ripensamento più generale.

  PRESIDENTE. Come da copione, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali adottata il 14 gennaio 2017 (Doc. CCL, n. 1) (Doc. XVI, n. 3) (ore 18).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione Pag. 41dell'Italia alle missioni internazionali adottata il 14 gennaio 2017 (Doc. CCL, n. 1) (Doc. XVI, n. 3).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto, altresì, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione – Doc. XVI, n. 3)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la III Commissione, deputato Andrea Manciulli, sempre che riesca a raggiungere il Comitato dei nove e la sua postazione, tra i complimenti e gli applausi dei colleghi presenti.

  ANDREA MANCIULLI, Relatore per la III Commissione. Grazie, Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo. In qualità di relatore sulla legge n. 145 del 2016, a tutti nota come legge-quadro sulla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, sono particolarmente contento di riferire a questa Assemblea, anche a nome del collega Causin, in merito al lavoro svolto dalle Commissioni affari esteri e comunitari e difesa, in vista dell'autorizzazione definitiva della partecipazione italiana alle missioni internazionali da parte della Camera dei deputati. Si compie così il primo percorso attuativo della legge n. 145 del 2016, con la quale si è suggellato il ruolo del Parlamento quale soggetto istituzionale codecisore nell'impiego del fondamentale strumento di politica estera e di difesa che sono le missioni internazionali. Oltretutto, la nuova normativa ha assicurato al Parlamento la fruibilità di uno strumento, la deliberazione governativa, innovativo, molto approfondito, e trasparente nella sua stesura e su questo deve essere riconosciuta la collaborazione assicurata dai ministeri coinvolti e dal Governo nel suo complesso.
  Come già ricordato, all'avvio dell’iter in Commissione, con la legge n. 145 del 2016, si è definitivamente sanata ogni lacuna normativa in materia di invio di contingenti militari e di cooperanti civili all'estero, lacuna non più procrastinabile in ragione dell'elevato numero di missioni in cui l'Italia è oggi impegnata, nel quadro delle Nazioni Unite, della NATO, dell'Unione europea e in considerazione della rapidità che connota la decisione in materia di intervento all'estero.
  Quanto ai profili di metodo, alla luce di questa prima esperienza, è da valutare per il futuro un'ulteriore elaborazione e affinamento da parte della Giunta per il Regolamento, dell'obiettivo di riconoscere anche sul piano regolamentare il giusto carattere di specificità alla nuova procedura delineata dalla legge n. 145. L'esame da parte delle Commissioni si è dunque concluso con l'approvazione di una relazione a questa Assemblea, articolata in una premessa, in una serie di impegni finalizzati all'autorizzazione delle singole missioni e dei correlati interventi di carattere civile, di cui in questa sede mi accingo a tratteggiare i principali contenuti. Quanto alla premessa, è finalizzata a delineare il contesto giuridico strategico e politico in cui si colloca l'impegno italiano all'estero, a partire dal riferimento all'articolo 11 della Costituzione e dai quattro pilastri su cui poggia la strategia italiana di politica estera: atlantismo, europeismo, multilateralismo efficace e attenzione ai diritti umani. La premessa reca in apertura un significativo riferimento all'Europa, richiamando il momento celebrativo che si sta per inaugurare, ma ponendo al centro della riflessione la questione della crisi del Progetto europeo, derivante sul piano interno da Brexit e sul piano esterno dalla necessità di un incremento di efficacia nell'azione esterna dell'UE, in risposta alle gravi crisi aperte lungo i confini esterni o comunque laddove si estende l'orizzonte strategico europeo. Si richiama pertanto l'impegno dell'Italia a rafforzare il suo approccio integrato nella gestione delle crisi internazionali, in linea con i principi della strategia globale dell'Unione Pag. 42europea, elaborata dall'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, con la contestuale firma richiesta agli Stati membri per un ritorno al principio di solidarietà nella gestione delle crisi, inclusa quella migratoria, figlia di un quadro internazionale e regionale segnato da instabilità e nella gestione di impegni comuni anche in materia di difesa. Su questo terreno, richiamandomi anche alla riflessione avviata nei giorni scorsi dal Presidente della Commissione europea, Juncker, rappresentano un orizzonte da approfondire le cooperazioni permanenti strutturate e previste dal Trattato di Lisbona e in generale tutto il versante della difesa europea, in un'ottica integrata e non competitiva rispetto alla NATO e in un contesto di necessario incremento dell'investimento in sicurezza e stabilità. Sul piano del multilateralismo, questo è un anno di grandi responsabilità, oltre che di prestigio per il nostro Paese, con riferimento alla titolarità del seggio non permanente presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, alla presidenza di turno del G7, alla partecipazione alla troika dell'OSCE, in vista della presidenza italiana prevista nel 2018, nonché alla presidenza del processo di Berlino per l'integrazione europea dei Balcani occidentali. Forte di questo ruolo guida, l'Italia proietta il suo impegno estero su un arco di crisi assai ampio, che spazia dall'Africa all'Asia, dal Medio Oriente ai confini dell'Alleanza Atlantica. Si pensi alle missioni di contrasto alla pirateria al largo del Corno d'Africa e nell'Oceano Indiano, di difesa integrata lungo i confini dell'Alleanza Atlantica, di assistenza militare e civile, senza trascurare alcune missioni più prettamente scientifiche, come quella in Antartide e di salvaguardia del patrimonio culturale condotte da apposite task force dei cosiddetti caschi blu della cultura nel contesto della coalizione globale UNESCO, United for Heritage.
  Passando agli specifici quadranti di impegno, con la deliberazione di Gennaio, il Governo ha prospettato di svolgere nel 2017 circa 40 missioni, in parte nuove, in parte riattivazione di missioni sospese o riviste nelle sedi internazionali, con un impiego massimo di 7.459 unità di personale delle Forze armate e di 167 unità di personale delle Forze di polizia. Il fabbisogno finanziario totale è pari a circa un miliardo e 427 milioni di euro, in lieve incremento rispetto al 2016, comprensivo delle risorse da destinare agli interventi di cooperazione allo sviluppo per il sostegno dei processi di pace e stabilizzazione, pari a 295 milioni di euro. In questo impegno, il punto di riferimento dell'Italia è certamente rappresentato dal Mediterraneo, unitamente all'azione contro il terrorismo e ad una condivisione più equa e responsabile innanzitutto fra Paesi europei delle conseguenze del fenomeno migratorio.
  Mediterraneo in questo momento significa innanzitutto Libia. Dopo la sigla del Memorandum tra il Governo italiano e il Governo libico per il rafforzamento del controllo delle frontiere esterne del Paese e la lotta ai trafficanti di esseri umani, i lavori della Commissione hanno evidenziato quanto alla missione EUNAVFOR MED operazione SOPHIA (e su proposta del gruppo di Forza Italia e Lega condivisa dalla maggioranza) l'esigenza di attivare ogni iniziativa diplomatica nelle competenti sedi internazionali per consentire in un lasso di tempo ragionevole la piena operatività della Fase 2 e il passaggio alla Fase 3, e in generale affinché vengano rafforzate le attività tese a smantellare il modello di business delle reti del traffico e della tratta di esseri umani dalle coste libiche verso quelle italiane.
  Sempre in Commissione (e su condivisibile proposta di una parte dell'opposizione) quanto alla missione Operazione IPPOCRATE, sono da valutare, in concerto con le autorità libiche, le prospettive future per un eventuale rischieramento del contingente italiano non appena le condizioni del Paese lo consentano.
  Rispetto alla partecipazione dell'Italia alla missione UNSMIL è da valutare la possibilità di esplorare percorsi per assumere un ruolo sempre più preminente nella ricostruzione delle forze sotto il controllo del Governo libico di accordo Pag. 43nazionale (GNA), anche attraverso la facilitazione e la collaborazione con attori del settore della difesa nazionale.
  È, altresì, da valutare la possibilità di attuare un coordinamento tra l'attività addestrativa del personale della Guardia costiera libica, in esecuzione degli accordi di cooperazione tra il Governo italiano e il Governo libico, per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, con analoghi compiti riguardanti lo sviluppo di capacità e di attività di formazione previste dalla missione EUNAVFOR MED operazione SOPHIA.
  È altresì da valutare la definizione, nell'ottica di una possibile predisposizione di un protocollo attuativo del Memorandum siglato dal Governo italiano con il Governo libico, di ulteriori forme di cooperazione alla formazione e all'addestramento delle forze militari libiche, per un rafforzamento del controllo delle frontiere esterne della Libia, strumento indispensabile per una concreta lotta al traffico di esseri umani.
  In generale, la concreta attuazione del Memorandum da parte di entrambi gli Stati può contribuire concretamente anche all'obiettivo più generale della stabilizzazione della Libia e del mantenimento della sua integrità territoriale, possibile solo mediante un approccio inclusivo delle diverse anime del Paese e la promozione del dialogo tra le istituzioni libiche.
  Il nostro impegno per rafforzare le capacità libiche di contrasto all'immigrazione clandestina si inserisce nel più ampio spettro di investimenti a sostegno del rafforzamento istituzionale e delle tutele di carattere umanitario.
  La cifra dell'impegno italiano nelle missioni internazionali sta infatti, in questo come in tutti gli altri casi, nel binomio tra sicurezza e cooperazione, nel pieno rispetto dei diritti umani.
  Passando allo scenario mediorientale, anche se in Siria non sono presenti missioni internazionali, si tratta di uno scenario chiave per l'impegno internazionale proteso verso una risoluzione del conflitto e un contenimento dei disastri umanitari commessi soprattutto in questi ultimi mesi.
  Su quel terreno il nostro impegno politico-diplomatico deve essere massimo contro l'ulteriore destabilizzazione regionale e per il ripristino di pace e sicurezza, presupposto per il ritorno nella regione dei profughi e delle minoranze etniche e religiose autoctone, comprese le comunità cristiane e yazida, fuggite dal Daesh. La priorità è ora l'attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2254 adottata nel dicembre 2015, che ha sancito il cessate il fuoco e la ripresa dei negoziati.
  Ne consegue, quale maggior polo di impegno italiano anche ai fini della lotta contro il terrorismo, la nostra partecipazione alla coalizione anti Daesh, di cui l'Italia è parte insieme a 65 Paesi e a 3 organizzazioni internazionali. Tra i compiti del contingente italiano, il secondo per consistenza numerica dopo quello statunitense, si annoverano quelli umanitari, di fornitura di equipaggiamento, di ricognizione e sorveglianza aeree, di recupero del personale civile e militare e di addestramento delle Forze di sicurezza irachene e curde: il ruolo svolto dall'Italia è riconosciuto essenziale e straordinariamente apprezzato. Il nostro dispositivo di sicurezza presso la diga di Mosul, per citarne uno su tutti, garantisce lo svolgimento delle opere di riparazione nel delicato momento della campagna per la liberazione della città.
  Si tratta di impegni il cui successo è condizione per vincere le sfide di lungo termine legate alla stabilizzazione e alla prevenzione delle recrudescenze nella regione colpita da Daesh.
  Su questo terreno è essenziale continuare a dare priorità alle eventuali conseguenze di carattere umanitario derivanti dalla liberazione dal Daesh della città di Mosul, nell'ambito del dispositivo internazionale umanitario coordinato dall'ONU e dal Governo iracheno, insieme al gruppo di stabilizzazione della Coalizione, e prevedere adeguati riconoscimenti al personale impiegato nel servizio di soccorso alle migliaia di profughi e migranti dalla regione.Pag. 44
  L'Italia vuole infatti rappresentare un modello di cooperazione per un Iraq più solido, inclusivo, pluralistico nella fase post-Daesh, promuovendo i processi di pace e di riconciliazione attraverso interventi di assistenza e di sostegno alle minoranze vittime delle offensive.
  Un altro prioritario versante di impegno in tale quadrante è rappresentato dalla missione in Afghanistan, dove l'Italia contribuisce all'addestramento, alla formazione e all'assistenza delle locali Forze di sicurezza e difesa. Dopo la caduta dei talebani, malgrado i progressi registrati, la situazione rimane fragile e il sostegno internazionale è ancora necessario per la stabilizzazione del Paese e per combattere il terrorismo e l'azione dei gruppi estremisti violenti.
  Restando in Medioriente nell'ambito della perdurante crisi israelo-palestinese, l'iter in Commissione ha valorizzato lo spunto volto a promuovere che le missioni a carattere bilaterale, in sede di revisione degli accordi, possano essere integrate da una base partecipativa più ampia, conservando al nostro Paese in ogni caso il ruolo attualmente svolto in tali missioni e fermo restando che l'ingresso di nuovi membri deve essere approvato dalle due Parti, con cui è da valutare la possibilità di provvedere alla stipula di nuovi memorandum di intesa miranti alla definizione di programmi di formazione.
  Nel resto della regione si richiede che il nostro Paese mantenga la propria presenza a partire dalla missione UNIFIL in Libano, che rappresenta, anche in ragione dell'efficace meccanismo di dialogo tripartito con israeliani e libanesi, un importantissimo se non il principale esempio del modello civile-militare di peacekeeping, nonché il primo esempio di missione navale ONU. La sua efficacia è testimoniata dal successo nel mantenere la stabilità di un'area delicata, esposta alle conseguenze politiche, sociali ed umanitarie della crisi siriana, ed è per questa ragione specifica che occorre che si rafforzi l'impegno dell'Italia per svolgere un ruolo preminente nella ricostruzione delle Forze armate libanesi.
  Passando al pilastro dell'atlantismo, è da tutti condiviso un opportuno rilancio della difesa europea atlantica anche in chiave mediterranea; così come l'esigenza che, come l'Unione europea, anche la NATO, caposaldo del nostro sistema di sicurezza, adegui la propria azione alle nuove sfide di sicurezza internazionali, alle minacce asimmetriche e al terrorismo internazionale, in un'ottica di complementarietà tra le due organizzazioni. Ciò premesso, l'Alleanza atlantica ha deciso, al vertice di Varsavia, il completamento delle misure di rassicurazione degli Alleati orientali attraverso il dispiegamento di una presenza militare nei Paesi baltici e in Polonia con funzioni esclusivamente di difesa e deterrenza, attività cui l'Italia partecipa in un'ottica di solidarietà alleata tramite un contributo in Lettonia. È inoltre previsto un contributo all'attività NATO di polizia aerea in Bulgaria e Islanda, con funzioni di sorveglianza dei relativi spazi aerei. Tali operazioni vanno condotte mantenendo attivo al contempo il dialogo con la Russia. Consegno senza dubbio, diciamo...

  PRESIDENTE. Presidente Manciulli, se vuole può consegnare il resto della relazione, diciamo che per grandi linee, per sommi capi...

  ANDREA MANCIULLI, Relatore per la III Commissione. Faccio solo presente che noi stiamo passando da un esercizio della legge che prevedeva interminabili sedute con l'apposizione della fiducia a una lista di missioni che noi votiamo nel giro di una mattinata: e quindi in qualche maniera sarebbe giusto puntualizzarle, considerando, come si può dire, questa materia una materia abbastanza importante.
  Vorrei solo, consegnando il resto del testo, visto che si deve finire, dire alcune cose.
  La prima di metodo: è senza dubbio vero che l'applicazione di questa nuova legge, soprattutto nel confronto con l'opposizione, che in Commissione ha svolto i suoi profili di competenza, è stato particolarmente proficuo. Da questo punto di Pag. 45vista possiamo riservare all'Aula la presentazione di un impianto dei vari gruppi politici, delle proprie idee rispetto alla politica estera, offrendo al Paese una discussione molto più seria e più fondante rispetto all'epoca nella quale discutevamo del rifinanziamento soltanto delle missioni; e da questo punto di vista voglio svolgere un apprezzamento particolare anche alle altre forze di opposizione, che hanno partecipato a questo dibattito e alla legge che votammo tutti insieme come un momento d'avanzamento della vita del Paese.
  Proprio per questo, alla luce di tali premesse, le Commissioni propongono all'Assemblea di autorizzare tutte le missioni e le attività di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 14 gennaio 2017, nei termini e con gli impegni risultanti dalla relazione in oggetto (questa frase la dovevo dire, perché altrimenti il nostro compito di legislatori non sarebbe esaustivo).

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Manciulli, pur tuttavia, la Presidenza si attiene al Regolamento, che prevede 15 minuti per il relatore; che poi il relatore li utilizzi per considerazioni di natura politica o generale o per descrivere esattamente ciascuna delle missioni in corso, il tempo quello è e, ahimè, quello rimane.
  È iscritto a parlare l'onorevole Moscatt, che però può farci risparmiare del tempo, se crede. Prego, ne ha facoltà.

  ANTONINO MOSCATT. Presidente, veramente io avrei 30 minuti, quindi proverò ad essere un po’ più sintetico del tempo assegnatomi.

  PRESIDENTE. Questo è certamente gradito dai colleghi, soprattutto da quelli che parleranno per ultimi.

  ANTONINO MOSCATT. Presidente, gentili colleghi, Governo, il testo che ci apprestiamo a votare è la prima deliberazione in materia di autorizzazione e proroga delle missioni internazionali adottate dal Governo successivamente all'entrata in vigore della richiamata legge n. 145 del 2016, la cosiddetta legge quadro per le missioni internazionali. Ci tengo a ricordarlo, perché la sua approvazione è stato un grande successo per questa legislatura, dopo che, per ben quattro legislature, il progetto di una legge di carattere generale riguardante le missioni internazionali non aveva mai raggiunto il traguardo. Oggi dunque il Parlamento prova a scrivere, anzi scrive, una pagina importante. Il provvedimento in esame ci permette infatti di dotarci di uno degli strumenti legislativi più rilevanti della nostra politica estera e di difesa, dando al nostro Paese e ai nostri militari l'opportunità di definire un quadro giuridico e normativo in materia di missioni internazionali che dà finalmente certezze. In questi anni abbiamo alcune volte navigato nella massima precarietà, molte volte abbiamo dovuto rincorrere le missioni internazionali con la decretazione d'urgenza, oggi invece votiamo un quadro giuridico che ci permette una maggiore capacità di programmazione, anche grazie a una più precisa e stabile definizione delle risorse a disposizione. Finalmente abbiamo un quadro d'insieme chiaro dentro il quale muoverci. Prima però di entrare nel merito del provvedimento, non posso che esordire di fronte a quest'Aula, rivolgendo a nome mio e dell'intero gruppo del Partito Democratico un ringraziamento doveroso ai nostri militari e ai nostri Ministri, per l'ottimo risultato, sia da un punto di vista militare che civile, da tutti riconosciuto laddove operano. Devo farlo perché le nostre decisioni oggi cammineranno sulle loro gambe; risultati, stima ed affetto guadagnati con l'inconfondibile tratto di umanità degli italiani. Non c’è qui alcuna concessione retorica, solo l'orgoglio e la gratitudine per quanto i nostri uomini hanno fatto e stanno facendo ogni giorno nel mondo.
  Proprio riguardo alla messa in sicurezza del nostro personale, dal punto di vista sanitario e anche sotto i profili del rischio che i nostri soldati in quelle circostanze corrono, voglio ricordare, con grande piacere, che il Partito Democratico Pag. 46ha voluto inserire un emendamento, votato poi in maniera unanime da tutta la Commissione, per assicurare strumenti di monitoraggio della salute del personale inviato all'estero nelle missioni internazionali. Non ci dimentichiamo che questo è un momento di grande transizione per l'intero mondo della difesa italiana: l'approvazione del Libro bianco della difesa, che finalmente, dopo anni di discussione ed elaborazione, ha visto la nascita anche grazie al caparbio lavoro della nostra Ministra, e l'approvazione del decreto per il riordino delle carriere rappresenteranno la nuova importante stagione per la difesa italiana, che non può restare immobile dinanzi ai cambiamenti globali nella geopolitica, alle innovazioni tecniche e ad un calo di risorse che hanno imposto nuove sfide e la necessità di una trasformazione culturale nel modo di fare difesa, in un'ottica di risparmio ma anche di aumento dell'efficacia dell'integrazione interforze.
  Per ragioni di tempo non entro nel dettaglio delle singole missioni illustrate dal collega relatore, ma vorrei ricordare che le missioni militari internazionali oggetto della deliberazione contribuiranno a rafforzare il ruolo internazionale dell'Italia, consolidando le relazioni nell'ambito delle alleanze, in piena armonia con l'azione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e del sistema del Ministero della difesa e a vantaggio del sistema Paese, come peraltro delineato anche dal Libro bianco della difesa, in questo momento storico in cui lo scacchiere internazionale brulica di crisi regionali, anche alle porte del Mediterraneo e dei confini europei. Pur non ripercorrendo le missioni che ci accingiamo a votare, vorrei però esprimere qualche parola su quella che ci vede impegnati nel Mediterraneo, il Mare Nostrum. La sicurezza nel Mediterraneo è premessa per la sicurezza di tutta Europa, e per garantire questa sicurezza l'Italia è da sempre in prima linea con azioni di intervento e prevenzione degli attacchi terroristici, identificazione ed espulsione dal nostro territorio degli estremisti violenti, dal punto di vista più strettamente strategico e militare, ma non dimenticando anche il lato umano e civile, con il salvataggio di tantissime vite dalle acque del Mediterraneo, sempre in coerenza agli impegni assunti nei contesti multilaterali ed europei.
  Presidente, io sono siciliano, la mia comunità vive in prima linea il dramma degli sbarchi; il 90 per cento degli arrivi in Italia passa dalla cosiddetta rotta libica, che trova il suo triste epilogo proprio nelle coste siciliane, ecco dunque che il pattugliamento delle coste e delle acque e il difficile processo d'aiuto alla stabilizzazione nel territorio libico diventano due capisaldi veri e concreti nella lotta all'immigrazione clandestina, una risposta fattiva e non retorica e vuote parole, perché la lotta all'immigrazione non può che passare attraverso la stabilizzazione e la costruzione di processi di pace nei territori interessati dai conflitti, proprio quelli dove le nostre missioni si cimentano con ottimi risultati in azioni di peacekeeping. Quanto alla Libia, il memorandum siglato dal Governo italiano con il Governo libico costituisce un cruciale passo in avanti verso il rafforzamento del controllo delle frontiere esterne del Paese e la lotta ai traffici di esseri umani. In questo senso, la missione EUNAVFOR Med Operazione Sophia ha dato ottimi e apprezzabili risultati, tanto da favorire i tempi per attivare ogni iniziativa diplomatica nelle competenti sedi internazionali, per consentire, in un lasso di tempo ragionevole, la piena operatività della fase 2 e il passaggio alla fase 3. Anche per la missione «Operazione Ippocrate», sono da valutare, di concerto con le autorità libiche, le aspettative future per un'eventuale rischieramento del contingente italiano.
  Dunque, colleghi, questo atto è decisivo per l'impegno dell'Italia in scenari al di fuori dei nostri confini, dove la pace e i diritti umani non sono la certezza per migliaia di persone. Un impegno, tengo a sottolinearlo, che rinnoviamo, mossi da un sentimento di solidarietà, nel rispetto dell'articolo 11 della Costituzione e degli impegni internazionali, che sono la base per il nostro operato nel mondo. Non vedere con i nostri occhi un conflitto sul Pag. 47nostro territorio non può far dimenticare che l'Italia si è impegnata nel mondo in una pluralità di contesti. Le missioni internazionali non sono solo un mero strumento di politica estera, ma contribuiscono effettivamente all'eliminazione dei conflitti e al superamento delle crisi. Le nostre Forze armate perseguono inoltre l'attività di stabilizzazione – al fine di ricostruire il tessuto sociale e per evitare che i vuoti di potere lascino spazio alle criminalità – con il sostegno alle comunità locali. Da decenni, inoltre, le Forze armate sono impegnate anche sul fronte dell'addestramento delle forze di sicurezza locali e del personale straniero in Italia. Mai come in questo momento l'impegno dei militari italiani è stato di fondamentale importanza per la sicurezza nazionale. Il lavoro che stanno svolgendo nelle missioni di stabilizzazione ha contribuito e contribuisce alla nostra sicurezza nazionale, oltre che rappresentare un'opportunità, per i Paesi in cui si interviene, per uscire da situazioni di guerra o da regimi che negavano la democrazia. Noi del Partito Democratico vogliamo ribadire l'importanza per il nostro Paese di un'assunzione di responsabilità negli scenari di maggiore crisi. L'Italia ha iniziato nei primi anni Novanta una massiccia partecipazione alle missioni militari internazionali sotto diversi «cappelli»: quello delle Nazioni Unite, quello della NATO e dell'Unione europea, e questo è stato per il nostro Paese un modo per ricostruire un profilo internazionale all'altezza della sua ambizione. Noi crediamo che questo sia e debba essere ragione d'orgoglio per questo nostro Parlamento. Il nostro è il primo Paese, fra quelli occidentali dell'Unione europea, per il personale impegnato nelle missioni ONU, il secondo nelle missioni NATO dopo gli Stati Uniti, e il primo per partecipanti alle missioni dell'Unione europea: un contributo di primo piano nella comunità internazionale, sia per numero di personale sia per la qualità dello stesso.
  In ogni circostanza il nostro Paese ha ricevuto apprezzamenti. La competenza tecnica italiana rende possibile la disponibilità di forze di sicurezza affidabili, che contribuiscono alla stabilizzazione delle aree di crisi e conseguentemente alla riduzione della durata dell'impegno internazionale. Questo deve essere ragione di unità nazionale e di consenso bipartisan. Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma voglio concludere, ricordando che, negli ultimi mesi, lo scenario vicino e lontano rispetto a noi sta cambiando, oltre a nuovi rischi e nuove opportunità, non dobbiamo fare l'errore di discutere sulle missioni internazionali con vecchi meccanismi e vecchie posizioni. Nuovi modi di fare la guerra si stanno tristemente diffondendo con modalità più drammatiche e più difficile da combattere; cambiano i regimi, cambiano i vertici democratici mondiali, e cambiano anche le alleanze e le missioni delle organizzazioni sovranazionali. Il nostro Paese non può restarne fuori, siamo chiamati ad un senso di responsabilità e solidarietà, siamo chiamati all'impegno. Riuscire a sedare quei conflitti vuol dire riuscire a ridurre i rischi di terrorismo in casa.
  È per questo che le missioni internazionali acquistano un significato particolare, oggi più che mai, perché solo costruire in quelle terre lontane pace e stabilità può scongiurare e allontanare il pericolo del terrorismo.
  La nostra sicurezza a casa dipende dalla pace oltre le nostre frontiere, la grandezza di uno Stato dipende anche da come riesce ad essere nel panorama internazionale e a dare qualità, stabilità e sicurezza.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Artini. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ARTINI. Grazie, Presidente. Il mio sarà, nello spirito che non vorremmo essere quello dell'applicazione della legge quadro, un intervento breve, contingentato dai tempi della componente che rappresento. Semplicemente, prima di tutto un appunto rispetto a quella che è stata l'approvazione della legge e di quella che è stata la sua prima applicazione: devo indubbiamente ringraziare tutti i colleghi della Commissione, gli uffici di presidenza Pag. 48in particolare, perché effettivamente nella trattazione della norma si è dato spazio a quello che era il principio ispiratore, cioè la possibilità di potere implementare un discorso più politico che esclusivamente finanziario. In questo, da parte dei nostri colleghi, anche oggi in discussione sulle linee generali, sarebbe stato interessante avere più rappresentanza anche degli altri gruppi, sarebbe stato bello iniziare una nuova prassi in cui tutti i gruppi portassero un contributo politico a questa parte delle missioni internazionali.
  È anche vero che da parte del Governo la scelta di applicare l'articolo 2, quindi rideliberare tutte le missioni come primo punto di partenza della legge, è indubbiamente un passaggio che legittima il Parlamento e contemporaneamente dà legittimità alle missioni, al netto, poi, della scelta politica che ogni singola forza vorrà applicare. Una cosa interessante, e già in questa prima deliberazione raramente se ne è fatta menzione, è il fatto che il Governo ha dovuto attendere per almeno quattro missioni, nuove missioni, la deliberazione da parte della Camera e da parte del Senato, ovvero da parte dei due rami del Parlamento. Questo è un punto che era fondamentale: nel passato, con il «decreto missioni», il Parlamento veniva informato successivamente di quelle che erano le azioni di politica estera e delle missioni internazionali. Nel futuro, questo Parlamento, magari, e nel futuro altri Parlamenti potranno valutare nel merito le missioni prima di essere implementate ed, eventualmente, dispiegate sui teatri esteri. Trattando la parte politica, è indubbiamente vero che questo tipo di norma dà lo spazio a tutte le forze di poter esprimere non solamente un voto a favore o contrario a un decreto dove normalmente c'era un'apposizione di fiducia, ma di dare uno spazio, con delle risoluzioni, ad un concetto di politica estera, che vale per le missioni che vengono richieste di deliberare e, probabilmente, ai sensi dell'articolo 3 della legge in questione, entro la fine dell'anno avrà ancora più spazio da un punto di vista politico.
  Concludo dando due spunti rispetto a delle missioni che negli anni hanno fatto discutere questo Parlamento. Penso, in particolare, alla missione in Afghanistan e alla missione in Libia. Per la missione in Afghanistan il nostro giudizio è completamente negativo, anche a fronte di quelli che sono stati i passaggi fatti dagli auditi, e ringrazio i colleghi che hanno fatto questa richiesta durante la fase di trattazione in Commissione. Gli auditi hanno chiesto espressamente che l'Italia si concentri sui suoi interessi. L'Afghanistan, a nostro modo di vedere, non è un interesse italiano, è un interesse di copertura per altri Paesi, e, a fronte di quel rispetto di un'alleanza, non se ne ha nessun beneficio.
  E, al netto dei benefici, non ne ha un beneficio la popolazione afgana, non ne ha un beneficio l'area, che rimane comunque instabile. Quello è un passaggio fondamentale, e io ritengo che nella trattazione delle risoluzioni si debba dare la possibilità a tutte le forze politiche, in maniera ampia, di poter dare voti favorevoli o contrari all'autorizzazione di determinate missioni, tra cui, in particolare, questa.
  Tutta un'altra serie di missioni devono sottostare, come abbiamo scritto nella nostra risoluzione, a degli impegni che le rendano legittimate, e anche, e concludo, Presidente, il più possibile nell'alveo di una indicazione di legalità e di giurisdizione che attualmente manca. Penso all'Iraq – chiudo, Presidente – in particolare, dove non c’è un accordo SOFA, e questo è un problema, potrebbe generare un problema per le nostre Forze armate, in massa, massicciamente presenti in Iraq.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Duranti. Ne ha facoltà.

  DONATELLA DURANTI. Grazie, Presidente. Siamo all'esame di un nuovo procedimento autorizzatorio, è stato ricordato, a norma della legge n. 145 del 2016. All'esame oggi è per l'appunto la relazione sulle missioni internazionali che è stata approvata dalle Commissioni III e IV e che si riferisce alla deliberazione del Consiglio Pag. 49dei ministri del 14 gennaio scorso. La legge n. 145 del 2016 ha riformato l'autorizzazione e la proroga delle missioni internazionali, superando l'adozione dei consueti decreti-legge, ed ha avviato un procedimento autorizzatorio nuovo, che prende avvio dalla deliberazione in titolo. La nuova norma avrebbe dovuto trasferire la decisione dal Governo al Parlamento su questa materia sensibile e determinante che attiene all'analisi del quadro geopolitico internazionale, delle crisi regionali e delle cosiddette nuove minacce, e alle risposte che un Paese come il nostro, che ha una Costituzione che è vincolata al ripudio della guerra ed è firmatario di tutti i trattati internazionali sul diritto umanitario, il diritto internazionale, dovrebbe proporre e mettere in campo.
  Alcune cose sono state dette dal collega Artini: ci sono indubbiamente degli aspetti positivi rispetto al precedente procedimento autorizzatorio, eppure ci sono ancora delle criticità e delle insufficienze sia della norma che del relativo iter procedurale. Anch'io auspico che, dopo questa fase, nel futuro il Parlamento possa intervenire sulle singole missioni, valutandone puntualmente obiettivi, natura, costi, durata, e, soprattutto, intervenire prima che le missioni siano in qualche maniera non autorizzate, ma previste. Dal punto di vista del contenuto, poi, ci troviamo ad affrontare uno schema sostanzialmente identico, a mio giudizio, a quello utilizzato dai decreti-legge come li abbiamo conosciuti negli anni, e questo è l'aspetto che io considero più negativo.
  Le missioni restano, infatti, suddivise per aree geografiche, e non, come avremmo voluto, secondo la natura giuridica su cui si fondano. Le risorse finanziarie impiegate riproducono la consolidata sproporzione a svantaggio degli interventi di cooperazione internazionale. Voglio ricordare che per il 2017 il fabbisogno finanziario delle spese militari connesse alle missioni ammonta a un miliardo e 280 milioni di euro, mentre quelle specifiche per la cooperazione e il sostegno alla pace ammontano a soli 145 milioni di euro. Vengono riproposte, dopo decenni, uguali missioni, sia per numero che per natura giuridica, eludendo, a mio giudizio, il necessario e puntuale bilancio in riferimento al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
  A questo proposito, voglio fare riferimento alla missione in Afghanistan, la missione Resolute Support, dove c’è il secondo teatro operativo più impegnativo per l'Italia. Il nostro Paese è presente in quella regione da più di quindici anni. La missione sta assumendo e assumerà sempre più un carattere combat, come la precedente missione ISAF, con i nostri militari in prima linea al fronte. Quel Paese è tuttora insicuro, non è stabilizzato. I talebani controllano la metà del Paese, che è classificato tra gli ultimi nell'indice globale della pace. Secondo le comunicazioni del Ministero della difesa e del Governo, avremmo dovuto chiudere questa missione da oltre un anno, mentre siamo ancora in quel teatro e non è prevista alcuna conclusione della missione.
  Una missione che, a detta di tutti, ha fallito i suoi obiettivi e che, appunto, doveva chiudersi da più di un anno e, invece, viene prolungata e viene prorogata senza una specifica ragione se non, appunto, quella che siamo rimasti ormai soli, noi e gli Stati Uniti d'America, ad avere militari su quel fronte mentre tutti gli altri Paesi si sono ritirati.
  Ma voglio dire che siamo di fronte ad un ulteriore utilizzo delle missioni internazionali che, a mio parere, è fortemente negativo. Inoltre, la politica estera del nostro Paese continua ad avere un carattere quasi esclusivamente militare. Infatti, a fronte di un totale di 7.600 uomini e donne impegnati nei teatri operativi, poco più di 150 sono forze di polizia e il resto sono Forze armate. Abbiamo 1.300 mezzi terrestri impiegati nei teatri operativi: 54 mezzi aerei e 14 navali. Quindi, abbiamo una presenza consistente sia di uomini sia di mezzi. Ma con la deliberazione del Consiglio dei Ministri e la relazione proposta dai relatori e approvata dalle Commissioni alcune missioni assumono un nuovo significato e ad esse si riconosce un nuovo obiettivo, significato e obiettivo che Pag. 50sono resi chiari dalle parole del Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che io prendo a prestito. Donald Tusk ha avuto modo di dire: «Siamo stati capaci di chiudere la rotta balcanica, possiamo ora chiudere la rotta libica». Tutto ciò è reso concreto dalle missioni di accelerazione del programma per l'addestramento della guardia costiera libica, che avrebbe la responsabilità di riportare i migranti sulla costa. È ciò che viene previsto dal memorandum firmato dal nostro Governo con il Presidente del Consiglio presidenziale libico, cui si riferisce anche la relazione all'Assemblea proposta dai relatori, e che rappresenta una soluzione che chiede alla guardia costiera libica di operare, con il sostegno dell'Unione europea, per fermare le partenze, chiudendo i porti e bloccando con la forza i migranti.
  Al riguardo, voglio ricordare che la Libia resta un Paese fortemente instabile; è diviso in almeno tre Governi e, quindi, ci sono tre rappresentanti di quel Paese che non ha mai ratificato le più fondamentali convenzioni in materia di diritto di asilo e di rispetto dei diritti umani. Ricordo, inoltre, che nei luoghi di trattenimento libici i migranti vengono sottoposti a trattamenti disumani e degradanti. Si continua, cioè, l'esperienza delle missioni militari dell'ultimo decennio, nonostante in Libia, in Iraq e in Afghanistan, per fare esempi concreti, quell'esperienza abbia dimostrato che la sicurezza globale è peggiorata e che interi popoli sono stati condannati alla violenza e al terrore, che si estende oramai del Medio Oriente all'Africa, attraversa il Mediterraneo e arriva fino in Europa.
  Si tratta, a mio giudizio, di mettere in discussione il modello utilizzato sino a qui. Noi proviamo a dirlo con la nostra risoluzione, con gli impegni che proponiamo e le missioni che chiediamo di non autorizzare. Lo schema, nonostante questi drammi, è il medesimo: una potenza medio-piccola, come quella italiana, è uno dei Paesi più impegnati nelle missioni militari – è stato ricordato – e si accredita per questa via presso gli alleati e gli organismi internazionali con importanti risultati sul sistema Paese, come ci ricorda spesso la Ministra della difesa, in termini di boom dell'industria militare nazionale. Voglio ricordare che il nostro export di armamenti negli ultimi anni è aumentato drasticamente.
  Ritengo che sia necessario, invece, mettere in discussione un modello economico che determina la spirale tra produzione e vendita di armi, che alimentano guerre e violenze che poi si reprimono con nuove armi e nuove guerre. Bisogna invertire la rotta: operare una discontinuità per ripensare la visione della politica estera del nostro Paese; investire sulla cooperazione e sul sostegno alla pace; rafforzare gli strumenti della diplomazia e dell’intelligence; chiudere con la logica securitaria che informa le politiche per i migranti; cambiare drasticamente la direzione delle politiche europee sulla gestione dei flussi migratori, se non vogliamo più contare – come non vogliamo più contare – migliaia di morti nel Mediterraneo ed essere responsabili di altre migliaia di morti a causa dei respingimenti e dei trattenimenti sulla coste del Nord Africa.
  Noi abbiamo provato a rappresentare queste questioni, questi impegni e questa impostazione nella nostra risoluzione.
  Ovviamente, avrei auspicato un dibattito un po’ più ampio e auspico, appunto, che mercoledì alcune delle richieste, almeno alcune delle richieste che noi facciamo e che altri gruppi fanno, possano essere in qualche maniera accolte, perché appunto pensiamo e penso che la politica estera del nostro Paese debba cambiare e lo dobbiamo soprattutto ai tanti uomini e alle tante donne che ci guardano dall'altra parte del Mediterraneo e a tutti quei popoli, dal Medio Oriente all'Africa, che in questi anni hanno subito la violazione dei diritti umani, che sono morti sotto i bombardamenti, che forse si aspettano dall'Italia un cambio di rotta per avere di nuovo una speranza di un mondo pacificato, un mondo dove la terza guerra mondiale non si concretizzi né a pezzetti, come dice Papa Francesco, e neanche, soprattutto, per intero. Quindi, l'auspicio è che mercoledì si possa continuare la discussione Pag. 51e provare a cambiare il senso della partecipazione alle missioni internazionali.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frusone. Ne ha facoltà.

  LUCA FRUSONE. Grazie, Presidente. Inauguriamo oggi questo nuovo metodo per quanto riguarda l'approvazione delle missioni internazionali, un nuovo metodo richiesto, e che stiamo testando tutt'oggi in quest'Aula, che va a sostituirsi al classico «decreto missioni» che abbiamo visto praticamente dall'inizio legislatura fino ad oggi. Questo nuovo metodo da un certo punto di vista innova e dà la possibilità anche di avere maggiori informazioni rispetto al passato. Infatti, devo ammettere che effettivamente c’è una migliore fruibilità delle informazioni per quanto riguarda le singole missioni e per quanto riguarda anche le coperture giuridiche delle singole missioni e una maggiore attenzione anche alla copertura finanziaria delle singole missioni; d'altra parte, per quanto riguarda le opposizioni, non permette, come anche è già stato detto prima, di portare avanti un eventuale ostruzionismo, che è sempre stato utilizzato dalle opposizioni come merce di scambio per avere magari delle modifiche che altrimenti sono irraggiungibili. Spero che nei prossimi anni il lavoro in Commissione venga approfondito, in modo da lasciare all'Aula la possibilità, appunto, di essere solo una vetrina e la possibilità ai vari gruppi di esprimere la loro posizione. Quest'anno in Commissione, essendo la prima volta, abbiamo fatto un rodaggio e non abbiamo, dal mio punto di vista, portato a compimento e utilizzato al 100 per cento tutte le potenzialità che questo nuovo strumento ci mette a disposizione, ma speriamo che negli anni successivi questo possa cambiare.
  Entrando un po’ più nello specifico di questo atto, c’è naturalmente da sottolineare un aumento della spesa generale per quanto riguarda le missioni internazionali. Sottolineiamo un aumento di circa l'8 per cento, naturalmente rispetto all'anno passato, ed arriviamo a un totale di oltre un miliardo e 400 milioni, un miliardo e 427 milioni se non erro a memoria, che quindi portano l'Italia ad un impegno veramente cospicuo al di fuori dei confini nazionali, tant’è che l'Italia, ormai si può dire, è presente in tutti gli scenari più importanti. La critica che muoviamo a questo modo di fare riguarda proprio questo numero così elevato di militari all'estero, questa spesa economica così elevata per quanto riguarda le missioni internazionali, mentre per quanto riguarda la cooperazione purtroppo questa è sempre la cenerentola; così come lo era nei «decreti missioni» lo è anche in questo caso, in questa nuova legge quadro. Ma quello che noi critichiamo seriamente di tutto questo aspetto delle missioni internazionali è l'utilizzo che si fa dello strumento militare, un utilizzo che è quasi come una merce di scambio. Noi vediamo che siamo presenti in tutti gli scenari più importanti, ma quello che non si riesce a fare, quello che non si riusciva a fare con i vecchi «decreti missioni» e non si riesce a fare oggi con questo nuovo assetto, è capire e aprire una discussione su che cosa realmente voglia fare l'Italia fuori dai propri confini.
  Noi vediamo che in un certo senso siamo presenti un po’ ovunque, siamo quasi il jolly delle missioni internazionali, e molto spesso noi del MoVimento 5 Stelle ci chiediamo a chi giova questa situazione. In alcuni casi ci ritroviamo in delle missioni che nulla hanno a che fare con l'interesse italiano, e quindi vediamo in questi casi, denunciamo l'utilizzo di questo strumento militare come una merce di scambio sui tavoli diplomatici: come se l'Italia non potesse mettere null'altro se non i propri uomini, i propri mezzi e le proprie risorse economiche per poter sedere al tavolo dei grandi.
  Questo è un pochino quello che accade in materia di politica estera: la Difesa viene quasi sottomessa da interessi diplomatici, dalla politica estera che altro non può offrire al di fuori di questo. Quello che noi chiediamo seriamente è che ci sia un cambio, un cambio che vada verso una presa di posizione più forte dell'Italia nel Pag. 52rapporto con alcuni alleati, una presa di posizione più forte anche in alcune situazioni dove l'Italia non deve più dire «sissignore», ma può iniziare ad agire con una testa propria, può iniziare ad agire nell'interesse singolo dell'Italia, e non solo in una visione di alleanza, non solo in una visione magari di un'unione; e che possa quindi spostare i propri interessi in ambiti molto più vicini a quello che i cittadini italiani richiedono.
  Per fare un esempio molto concreto: le nuove missioni, perché comunque stiamo parlando di missioni che sono state prorogate da venti anni a questa parte, per la maggior parte dei casi, sono pochissime le nuove missioni... Sono chiare per esempio le missioni che riguardano i confini ad est dell'Unione europea, tutte in ottica NATO, che naturalmente servono per rassicurare gli alleati di quella parte del mondo verso una potenziale minaccia russa. Benissimo: l'Italia oggi, considerando la questione libica che grida vendetta, dovrebbe un attimo soffermarsi più su questi aspetti, l'Italia dovrebbe diventare in un certo senso leader del Mediterraneo, e magari accantonare delle pretese, ed essere un pochino più sorda a determinate richieste da parte di chi molto spesso viene qui a dettare legge.
  Questo è l'aspetto principale, quindi, che riguarda tutta la discussione sulle missioni internazionali. Poi, se andiamo a guardare le singole missioni, vediamo come di nuovo, ritornando al discorso che facevo prima, l'Italia continua a perseguire l'assurdità della missione in Afghanistan: una missione dove ci ritroviamo appunto per volontà di qualcun altro. L'Italia non aveva assolutamente alcun interesse a quella missione in Afghanistan, e comunque continuiamo ad essere lì presenti e a mettere a rischio i nostri militari, ad utilizzare risorse per gli interessi di altri, quando invece in Libia noi chiediamo che il Governo si faccia promotore di un tavolo di pace tra le forze, visto che il problema più grande, l'ostacolo più grande che abbiamo avuto fino adesso era proprio questa divisione libica; quindi l'Italia potrebbe diventare promotore di pace e creare veramente quest'unione, la cui assenza da quando siamo entrati qui, da quando c’è stata la caduta del regime di Gheddafi, ha bloccato tutto. Purtroppo, anche qui però ravvisiamo un fallimento da parte della politica estera italiana, che si è invece sottomessa ad un volere dell'ONU, con degli inviati che, abbiamo visto, sono incappati anche in diversi scandali, che hanno fatto capire che lì non si stava facendo l'interesse né della Libia né dell'Italia, ma solamente di alcuni attori che, per procura, cercano di mettere le mani su determinati asset e su determinati interessi.
  Poi, per quanto riguarda l'Iraq, non possiamo che denunciare l'assurdità di una missione che parte come una coalizione anti-Daesh, e poi si trasforma in una piccola parte in una sorta di guardia giurata privata per un'azienda italiana che è lì, e si trova lì per dei lavori alla diga di Mosul che possono essere fatti solamente con la scorta da parte dell'Esercito italiano.
  Io non credo che l'Esercito italiano si debba trasformare in una sorta di gendarmeria agli ordini di aziende private, ma dovrebbe sempre tenere al centro dei propri interessi quelli che sono gli interessi italiani, non quelli di una singola azienda; ed anche per questo noi chiediamo, abbiamo chiesto in Commissione e chiediamo anche in Aula, che venga «spacchettato» questo aspetto.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  LUCA FRUSONE. Dopodiché sono molte le missioni, ma sono, come dicevo prima, le stesse dei vari decreti-legge «missione» che abbiamo, nel nostro caso, cercato di non far approvare qui in quest'Aula, ma che purtroppo, non sentendo le minoranze di quest'Aula, sono stati portati avanti. Noi speriamo che successivamente, quando si arriverà alle risoluzioni, si possa avere un dialogo più franco, con la possibilità anche di intervenire e di modificare quelli che sono in realtà gli interessi del Governo, perché purtroppo tutto quello che viene fuori dalle discussioni, Pag. 53soprattutto sulle missioni internazionali, è che il Parlamento è comunque succube del Governo; e quindi tutto questo avviene con una chiara volontà governativa che detta l'agenda politica al Parlamento, e non c’è purtroppo sempre più spesso la possibilità di intervenire come opposizione e modificare determinati aspetti che in realtà potrebbero giovare al Governo stesso. Quindi, con questo auspicio, io spero che successivamente si possano prendere gli impegni che abbiamo previsto nelle varie risoluzioni, e che comunque si vada sempre nell'interesse di un'Italia che dovrebbe aspirare più ad essere sovrana, per quanto riguarda la politica estera, e meno «gioco» in mano di Paesi che definiamo più potenti e più grandi. È l'ora che l'Italia abbia una politica estera autonoma, e questo si può fare proprio attraverso le missioni internazionali.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
  A questo punto, poiché sono giunte presso la Presidenza diverse risoluzioni sulle quali è in corso una valutazione di ricevibilità e di ammissibilità, sospendo la seduta per dieci minuti, e la riprendiamo per dare successive comunicazioni in relazione alle risoluzioni in corso.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 18,55, è ripresa alle 19,05.

(Annunzio di risoluzioni – Doc. XVI, n. 3)

  PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Garofani, Cicchitto ed altri n. 6-00290, Cimbro ed altri n. 6-00291, Vito ed altri n. 6-00292, Frusone n. 6-00293, Gianluca Pini ed altri n. 6-00294, Palazzotto e Marcon n. 6-00295 e Artini ed altri n. 6-00296, che sono in distribuzione.
  Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in altra seduta, anche per esprimere il parere sulle suddette risoluzioni presentate.
  Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di mercoledì 8 marzo alle ore 12.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari e conseguente cessazione dalla carica di un Segretario di Presidenza.

  PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data odierna, il deputato Gianni Melilla ha comunicato di essersi dimesso dal gruppo parlamentare Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà ed ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista. La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta. Conseguentemente, ai sensi dell'articolo 5, comma 7, del Regolamento, il deputato Melilla cessa dalla carica di Segretario di Presidenza.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 7 marzo 2017, alle 11:

  1. – Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.

  (ore 15,30)

  2. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   BRAGA ed altri; SEGONI ed altri; ZARATTI e PELLEGRINO: Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (C. 2607-2972-3099-B).
  — Relatrice: Mariani.

Pag. 54

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 2233 – Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato (Approvato dal Senato) (C. 4135-A).
   e delle abbinate proposte di legge: MOSCA ed altri; CIPRINI ed altri; CIPRINI ed altri; MUCCI ed altri; GRIBAUDO ed altri (C. 2014-3108-3120-3268-3364).
  — Relatori: Damiano, per la maggioranza; Simonetti e Ciprini, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   BINDI ed altri: Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia (C. 3500-A).
  — Relatori: Dambruoso e Mattiello.

  La seduta termina alle 19,10.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: ANDREA MANCIULLI (DOC. XVI, N. 3)

  ANDREA MANCIULLI. (Relazione – Doc. XVI, n. 3). Illustre Presidente, Onorevoli colleghi deputati, Rappresentante del Governo, in qualità di relatore sulla legge n. 145 del 2016, a tutti nota come «Legge quadro sulla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali», sono particolarmente orgoglioso di riferire a questa Assemblea, anche a nome del collega Causin, in merito al lavoro svolto dalla Commissioni Affari esteri e comunitari e Difesa in vista dell'autorizzazione definitiva della partecipazione italiana alle missioni internazionali da parte della Camera dei deputati. Si compie così il primo percorso attuativo della legge n. 145 del 2016, con la quale si è suggellato il ruolo del Parlamento quale soggetto istituzionale co-decisore nell'impiego del fondamentale strumento di politica estera e di difesa che sono le missioni internazionali. Oltretutto la nuova normativa ha assicurato al Parlamento la fruibilità di uno strumento, la Deliberazione governativa, innovativo, molto approfondito e trasparente nella sua stesura e su questo deve essere riconosciuta la collaborazione assicurata dai Ministeri coinvolti e dal Governo nel suo complesso.
  Come già ricordate ad avvio dell’iter in Commissione, con la legge n. 145 del 2016 si è definitivamente sanata ogni lacuna normativa in materia d'invio di contingenti militari e di cooperanti civili all'estero, lacuna non più procrastinabile in ragione dell'elevato numero di missioni in cui l'Italia è oggi impegnata, nel quadro delle Nazioni Unite, della NATO e dell'Unione europea e in considerazione della rapidità che connota la decisione in materia di intervento all'estero.
  Quanto ai profili di metodo, alla luce di questa prima esperienza, è da valutare per il futuro un'ulteriore elaborazione ed affinamento da parte della Giunta del Regolamento, nell'obiettivo di riconoscere anche sul piano regolamentare il giusto carattere di specificità alla nuova procedura delineata dalla legge n. 145.
  L'esame da parte delle Commissioni si è dunque concluso con l'approvazione di una Relazione a questa Assemblea, articolata in una premessa e in una serie di impegni finalizzati all'autorizzazione delle singole missioni e dei correlati interventi di carattere civile, di cui in questa sede mi accingo a tratteggiare i contenuti.
  Quanto alla premessa, essa è finalizzata a delineare il contesto giuridico, strategico e politico in cui si colloca l'impegno italiano all'estero, a partire dal riferimento all'articolo 11 della Costituzione e dai quattro pilastri su cui poggia la strategia italiana di politica estera: atlantismo, europeismo, multilateralismo efficace e attenzione ai diritti umani.
  La premessa reca in apertura un significativo riferimento all'Europa, richiamando il momento celebrativo che si sta Pag. 55per inaugurare ma ponendo al centro della riflessione la questione della crisi del progetto europeo, derivante sul piano interno da Brexit e sul piano esterno dalla necessità di un incremento di efficacia nell'azione esterna dell'Unione europea in risposta alle gravi crisi aperte lungo i suoi confini esterni o comunque laddove si estende l'orizzonte strategico europeo.
  Si richiama pertanto l'impegno dell'Italia a rafforzare il suo approccio integrato nella gestione delle crisi internazionali, in linea con i principi della Strategia globale dell'Unione europea, elaborata dall'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, con la contestuale ferma richiesta agli Stati Membri per un ritorno al principio di solidarietà nella gestione delle crisi, inclusa quella migratoria, figlia di un quadro internazionale e regionale segnato da instabilità, e nella gestione di impegni comuni anche in materia di difesa. Su questo terreno, richiamandomi anche alla riflessione avviata nei giorni scorsi dal presidente della Commissione europea Juncker, rappresentano un orizzonte da approfondire le cooperazioni permanenti strutturate previste dal Trattato di Lisbona e, in generale, tutto il versante della difesa europea, in un'ottica integrata e non competitiva rispetto alla NATO, e in un contesto di necessario incremento dell'investimento in sicurezza e stabilità.
  Sul piano del multilateralismo, questo è un anno di grandi responsabilità, oltre che di prestigio, per il nostro Paese con riferimento alla titolarità del seggio non permanente presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; alla presidenza di turno del G7; alla partecipazione alla troika dell'OSCE in vista della presidenza italiana prevista per il 2018; nonché alla presidenza del Processo di Berlino per l'integrazione europea dei Balcani Occidentali.
  Forte di questo ruolo guida, l'Italia proietta il suo impegno estero su un arco di crisi assai ampio che spazia dall'Africa all'Asia, dal Medio Oriente ai confini dell'Alleanza atlantica – si pensi alle missioni di contrasto alla pirateria al largo del Corno d'Africa e nell'Oceano indiano, di difesa integrata lungo i confini dell'Alleanza Atlantica, di assistenza militare e civile in Mali – senza trascurare alcune missioni più prettamente scientifiche come quella in Antartide e di salvaguardia del patrimonio culturale, condotte da apposite Task Force dei cosiddetti «Caschi blu della Cultura» nel contesto della coalizione globale Unesco Unite4Heritage.
  Passando agli specifici quadranti di impegno, con la Deliberazione di gennaio il Governo ha prospettato di svolgere nel 2017 circa quaranta missioni, in parte nuove, in parte riattivazioni di missioni sospese o riviste nelle sedi internazionali, con un impiego massimo di 7.459 unità di personale delle Forze armate e di 167 unità di personale delle Forze di polizia. Il fabbisogno finanziario totale è pari a circa 1.427 milioni di euro, in lieve incremento rispetto al 2016, comprensivo delle risorse da destinare agli interventi di cooperazione allo sviluppo per il sostegno dei processi di pace e stabilizzazione, pari a 295 milioni di euro.
  In questo impegno il punto di riferimento dell'Italia è certamente rappresentato dal Mediterraneo, unitamente all'azione contro il terrorismo e ad una condivisione più equa e responsabile, innanzitutto tra Paesi europei, delle conseguenze del fenomeno migratorio.
  Mediterraneo in questo momento significa innanzitutto Libia. Dopo la sigla del Memorandum tra Governo italiano e Governo libico per il rafforzamento del controllo delle frontiere esterne del Paese e la lotta ai trafficanti di esseri umani, i lavori della Commissione hanno evidenziato, quanto alla missione EUNAVFOR MED operazione SOPHIA (e su proposta del gruppo Forza Italia e Lega condivisa dalla maggioranza), l'esigenza di attivare ogni iniziativa diplomatica nelle competenti sedi internazionali per consentire in un lasso di tempo ragionevole la piena operatività della Fase 2 e il passaggio alla Fase 3 e, in generale, affinché vengano rafforzate le attività tese a smantellare il modello di business delle reti del traffico e della tratta di esseri umani dalle coste Pag. 56libiche verso quelle italiane. Sempre in Commissione (e su condivisibile proposta della Lega), quanto alla missione Operazione IPPOCRATE, sono da valutare, in concerto con le autorità libiche, le prospettive future per un eventuale rischieramento del contingente italiano non appena le condizioni del Paese lo consentiranno. Rispetto alla partecipazione dell'Italia alla missione UNSMIL, è da valutare la possibilità di esplorare percorsi per assumere un ruolo sempre più preminente nella ricostruzione delle forze sotto il controllo del governo libico di accordo nazionale (GNA), anche attraverso la facilitazione e la collaborazione con attori del settore della difesa nazionale. È, altresì, da valutare la possibilità di attuare un coordinamento tra l'attività addestrativa del personale della Guardia costiera libica, in esecuzione degli accordi di cooperazione tra il Governo italiano e il Governo libico, per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, con analoghi compiti riguardanti lo sviluppo di capacità e di attività di formazione previste dalla missione EUNAVFOR MED operazione SOPHIA. È altresì da valutare la definizione, nell'ottica di una possibile predisposizione di un protocollo attuativo del Memorandum siglato dal Governo italiano con il Governo libico, di ulteriori forme di cooperazione alla formazione e all'addestramento delle forze militari libiche per un rafforzamento del controllo delle frontiere esterne della Libia, strumento indispensabile per una concreta lotta al traffico di esseri umani. In generale, la concreta attuazione del Memorandum da parte di entrambi gli Stati può contribuire concretamente anche all'obiettivo più generale della stabilizzazione della Libia e del mantenimento della sua integrità territoriale, possibile solo mediante un approccio inclusivo delle diverse anime del Paese e la promozione del dialogo tra le istituzioni libiche. Il nostro impegno per rafforzare le capacità libiche di contrasto all'immigrazione clandestina s'inserisce nel più ampio spettro di interventi a sostegno del rafforzamento istituzionale e delle tutele di carattere umanitario. La cifra dell'impegno italiano nelle missioni internazionali sta infatti, in questo come in tutti gli altri casi, nel binomio tra sicurezza e cooperazione e nel pieno rispetto dei diritti umani.
  Passando allo scenario mediorientale, anche se in Siria non sono presenti missioni internazionali, si tratta di uno scenario chiave per l'impegno internazionale proteso verso una risoluzione del conflitto ed un contenimento dei disastri umanitari commessi soprattutto in questi ultimi mesi. Su quel terreno il nostro impegno politico-diplomatico deve essere massimo contro l'ulteriore destabilizzazione regionale e per il ripristino di pace e sicurezza, presupposto per il ritorno nella regione dei profughi e delle minoranze etniche e religiose autoctone, comprese le comunità cristiane e yazida, fuggite dal Daesh. La priorità è ora l'attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2254 adottata nel dicembre 2015 che ha sancito il cessate il fuoco e la ripresa dei negoziati.
  Ne consegue quale maggior polo di impegno italiano anche ai fini della lotta contro il terrorismo la nostra partecipazione alla Coalizione anti Daesh di cui l'Italia è parte insieme a 65 Paesi e a 3 Organizzazioni internazionali. Tra i compiti del contingente italiano, il secondo per consistenza numerica dopo quello statunitense, si annoverano quelli umanitari, di fornitura di equipaggiamento, di ricognizione e sorveglianza aeree, di recupero del personale civile e militare e di addestramento delle Forze di Sicurezza irachene e curde: il ruolo svolto dall'Italia è riconosciuto essenziale e straordinariamente apprezzato. Il nostro dispositivo di sicurezza presso la diga di Mosul, per citarne uno su tutti, garantisce lo svolgimento delle opere di riparazione nel delicato momento della campagna per la liberazione della città. Si tratta di impegni il cui successo è condizione per vincere le sfide di lungo termine legate alla stabilizzazione e alla prevenzione delle recrudescenze nella regione colpita da Daesh. Su questo terreno è essenziale continuare a dare priorità alle eventuali conseguenze di carattere umanitario Pag. 57derivanti dalla liberazione dal Daesh della città di Mosul, nell'ambito del dispositivo internazionale umanitario coordinato dall'ONU e dal Governo iracheno, insieme al gruppo di stabilizzazione della Coalizione e prevedere adeguati riconoscimenti al personale impiegato nel servizio di soccorso alle migliaia di profughi e migranti dalla regione. L'Italia vuole, infatti, rappresentare un modello di cooperazione per un Iraq solido, inclusivo e pluralistico nella fase post-Daesh, promuovendo i processi di pace e di riconciliazione attraverso interventi di assistenza e di sostegno alle minoranze vittime delle offensive e attivando una risposta sanitaria interforze per i più bisognosi di cure, che includa anche l'evacuazione in Italia dei feriti e degli infortunati più gravi.
  Un altro prioritario versante di impegno in tale quadrante è rappresentato dalla missione in Afghanistan, dove l'Italia contribuisce all'addestramento, alla formazione e all'assistenza delle locali Forze di sicurezza e difesa. Dopo la caduta dei talebani, malgrado i progressi registrati, la situazione rimane fragile e il sostegno internazionale è ancora necessario per la stabilizzazione del Paese e per combattere il terrorismo e l'azione dei gruppi estremisti violenti.
  Restando in Medio Oriente nell'ambito della perdurante crisi israelo-palestinese, l’iter in Commissione ha valorizzato lo spunto volto a promuovere che le missioni a carattere bilaterale, in sede di revisione degli accordi, possano essere integrate da una base partecipativa più ampia, conservando al nostro Paese in ogni caso il ruolo attualmente svolto in tali missioni e fermo restando che l'ingresso di nuovi membri deve essere approvato dalle due Parti, con cui è da valutare la possibilità di prevedere la stipula di nuovi memorandum d'intesa irati alla definizione di programmi di formazione.
  Nel resto della regione si richiede che il nostro Paese mantenga la propria presenza a partire dalla missione UNIFIL in Libano, che rappresenta, anche in ragione dell'efficace meccanismo di dialogo tripartito con israeliani e libanesi, un importantissimo se non il principale esempio del modello civile-militare di peacekeeping, nonché il primo esempio di missione navale ONU. La sua efficacia è testimoniata dal successo nel mantenere la stabilità in un'area delicata, esposta alle conseguenze politiche, sociali ed umanitarie della crisi siriana ed è per questa ragione specifica che occorre che si rafforzi l'impegno dell'Italia per svolgere un ruolo preminente nella ricostruzione delle forze armate libanesi.
  Passando al pilastro dell'atlantismo, è da tutti condiviso un opportuno rilancio della difesa, europea e atlantica, anche in chiave mediterranea, così l'esigenza affinché, come l'Unione europea, anche la NATO, caposaldo del nostro sistema di sicurezza, adegui la propria azione alle nuove sfide di sicurezza internazionali, alle minacce asimmetriche e al terrorismo internazionale, in un'ottica di complementarità tra le due Organizzazioni. Ciò premesso l'Alleanza Atlantica ha deciso al Vertice di Varsavia il completamento delle misure di rassicurazione degli Alleati orientali attraverso il dispiegamento di una presenza militare nei tre Paesi Baltici e in Polonia con funzioni esclusivamente di difesa e deterrenza, attività cui l'Italia partecipa in un'ottica di solidarietà alleata tramite un contributo in Lettonia. È, inoltre, previsto un contributo alle attività NATO di polizia aerea in Bulgaria e Islanda con funzioni di sorveglianza dei relativi spazi aerei. Tali operazioni vanno condotte mantenendo attivo al contempo il dialogo con la Russia.
  Sempre sul suolo europeo, la sicurezza del nostro Paese e dell'Europa non può prescindere da quella dei Paesi dei Balcani Occidentali dove, anche alla luce degli sviluppi della situazione nella regione, appare opportuno un rafforzamento della partecipazione italiana alle missioni, sostenendo un incremento di attenzione anche in tale ambito sui temi del contrasto al fenomeno dei foreign fighters e della criminalità organizzata, che potrebbero costituire nuovi obiettivi per specifiche missioni, nonché un maggiore impegno nel Pag. 58contrasto alla criminalità finanziaria (anche in linea con specifici spunti emendativi del M5S recepiti dalle Commissioni). Quanto al Kosovo, il nostro ruolo, che si impernia sulla guida della missione NATO KFOR e nella partecipazione alla missione UNMIK, è ampiamente apprezzato dalle autorità kosovare e della popolazione locale ed è essenziale come contributo per l'auspicabile definitivo superamento delle crisi del passato e la promozione di un percorso di integrazione europea della regione.
  Per quanto concerne le missioni dispiegate in Africa, e in particolare nel Corno d'Africa, l'Italia è chiamata a svolgere un ruolo preminente nella ricostruzione delle forze armate della Somalia e di Gibuti, anche attraverso la facilitazione e la collaborazione con attori del settore della difesa nazionale, con particolare riferimento al settore addestramento.
  La Deliberazione ha opportunamente confermato l'impegno a coniugare la dimensione militare con quella civile, che è una delle caratteristiche più apprezzate del nostro impegno all'estero, con l'obiettivo di una stabilizzazione che sia più duratura. Ciò si traduce in una maggiore disponibilità di risorse per iniziative in ambito umanitario, di rafforzamento dello Stato di diritto, di sostegno alle amministrazioni locali, di consolidamento delle strutture di governo e di miglioramento economico e sociale anche prevedendo il coinvolgimento e la partecipazione delle donne. Nel condurre i propri sforzi a sostegno della pace e della sicurezza internazionali, l'Italia assicura l'attuazione dei principi dell'Agenda «Donne, Pace e Sicurezza» istituita con la citata risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 1325 del 2000 e con le successive, in particolare, in linea con l'approccio onusiano alla «pace sostenibile», che prevede l'attiva partecipazione delle donne a tutte le attività a sostegno della pace, dalla prevenzione, al peacekeeping alla stabilizzazione post-conflitto.
  Questo approccio spiega la centralità degli interventi di cooperazione allo sviluppo per il nesso tra pace, sicurezza, sviluppo e diritti umani, per i quali l'impegno finanziario è cresciuto rispetto al 2016 e il cui esercizio si effettuerà coerentemente con le direttive OCSE-DAC in materia di aiuto pubblico allo sviluppo e con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell'Agenda 2030.
  Il fabbisogno finanziario complessivo per il 2017 per i diversi interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione è stimato in 295 milioni di euro. La cooperazione è uno strumento strategico per la prevenzione dei conflitti, il consolidamento delle istituzioni democratiche e il rafforzamento dei processi di stabilizzazione. I nostri interventi vanno dall'Afghanistan all'Etiopia, dalla Repubblica Centrafricana alla Libia, alla Siria e all'Iraq, allo Yemen e alla Turchia, fino ai Paesi maggiormente interessati all'assistenza dei rifugiati nell'area mediterranea, come il Libano e la Giordania. Si sostanziano in settori di importanza prioritaria quali l'aiuto umanitario ai rifugiati, la ricostruzione in situazioni di post-conflitto o di calamità, la stabilizzazione di «Stati fragili» e la sicurezza alimentare, senza dimenticare lo sviluppo economico e rurale, la sanità e la tutela del patrimonio culturale. Gli interventi di sostegno dei processi di pace, stabilizzazione e rafforzamento della sicurezza sono indirizzati principalmente a favorire la riconciliazione nazionale e la transizione in Libia, a stabilizzare il processo democratico in atto in Tunisia, a sostenere la ricostruzione in Afghanistan, Iraq e Libia, a presidiare la fascia di instabilità cruciale per i flussi di migranti, che corre dalla Mauritania al Corno d'Africa, nonché a sostenere quei Paesi del Medio Oriente maggiormente esposti a rischi di destabilizzazione come Libano e Giordania. Permane elevato l'impegno sul terreno con iniziative di cooperazione allo sviluppo e di sminamento umanitario, per le quali con emendamenti del M5S si intende impegnare il Governo ad assicurare fondi alla legge n. 58 del 2001 pari a 2 milioni e 700 mila euro.
  Tengo a sottolineare che le missioni internazionali oggetto della Deliberazione Pag. 59contribuiranno a rafforzare il ruolo internazionale dell'Italia, consolidando le relazioni nell'ambito delle alleanze, in piena armonia con l'azione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e del Ministero della difesa e, a vantaggio del sistema Paese, come peraltro delineato dal Libro Bianco della Difesa.
  La Relazione delle Commissione Affari esteri e comunitari e Difesa conferma la speciale valenza politica di questo passaggio parlamentare, con cui si rafforza il ruolo da protagonista del Parlamento nel processo di decisione sulla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, attraverso l'esercizio delle prerogative costituzionali di controllo, nell'interesse del Paese e a tutela degli uomini e delle donne che, quotidianamente e anche a rischio della propria vita, operano nelle missioni all'estero costruendo ponti di dialogo nel faticoso percorso a sostegno della pace e della sicurezza a livello globale. Proprio a loro vogliamo esprimere la nostra profonda gratitudine per quello che fanno per il nostro Paese. Ed è anche in ragione di questo riconoscimento che le Commissioni hanno anche unanimemente valutato di integrare il prospetto degli impegni indirizzati al Governo con una misura volta a tutelare la salute dei nostri militare affidando compiti di raccolta dati e di studio all'Istituto superiore di sanità, non provvedendo ad una trattazione separata dei profili assicurativi rispetto a quelli di natura logistica.
  Auspico che questa prima sessione parlamentare sull'invio di contingenti militari all'estero possa rafforzare nel nostro Parlamento la consapevolezza di superare la tradizionale distinzione tra sicurezza interna ed esterna a fronte di minacce sempre più multidimensionali e pervasive: in questa nuova «età dell'incertezza» che siamo chiamati a vivere, le missioni internazionali rappresentano un fattore concreto e di continuità tra la politica estera e di difesa del nostro Paese, nonché il presupposto per il conseguimento di una maggiore centralità dell'Italia nelle relazioni internazionali, in considerazione della nostra proiezione di Paese cerniera tra Europa e Mediterraneo.
  Alla luce di tali premesse le Commissioni propongono all'Assemblea di autorizzare tutte le missioni e le attività di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2017 nei termini e con gli impegni risultanti dalla Relazione in oggetto.