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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 723 di venerdì 13 gennaio 2017

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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 9,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  GIANNI MELILLA, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 gennaio 2017.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Stella Bianchi, Paola Boldrini, Braga, Bratti, Capelli, Catalano, Cominelli, Crivellari, Duranti, Rizzo, Francesco Saverio Romano, Santerini, Scanu, Zampa e Zardini sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente cento, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Tempi per l'adozione del decreto attuativo relativo all'effettuazione di operazioni di pagamento basate su carta di debito o di credito – n. 2-01522)

  PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Boccadutri ed altri n. 2-01522 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Boccadutri se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  SERGIO BOCCADUTRI. Grazie, Presidente. L'Unione europea nel 2015 ha emanato un Regolamento molto importante per il mercato dei pagamenti, perché ha consentito di ridurre una componente delle cosiddette commissioni legate ai pagamenti con carta di credito e carte di debito. In particolare, ha posto un tetto dello 0,3 per cento sulle commissioni interchange lato carta di credito, dello 0,20 per cento sulle commissioni interchange lato carte di debito, quindi con un effettivo vantaggio per tutti quei commercianti che si sono visti poi ridurre complessivamente la commissione e, dall'altra parte, anche un tentativo di armonizzare quello che è appunto il costo delle operazioni a livello europeo con un regolamento europeo. Quindi, un vantaggio per i commercianti, un vantaggio anche per i consumatori, perché questo indirettamente ne aumenta l'accettazione da parte dei commercianti, e Pag. 2quindi una maggiore libertà di scelta dei consumatori di poter pagare i beni e i servizi come meglio credono.
  Questo regolamento è già in vigore, ma consentiva e consente attualmente ai Paesi di potere determinare anche delle ulteriori riduzioni per certe categorie di prodotti ovvero per certe soglie ulteriori. Il Parlamento aveva fatto una scelta, aveva deciso di ridurre ulteriormente queste commissioni per i pagamenti sotto i 5 euro; questo perché l'Italia è uno dei Paesi che più stenta nell'adozione, nella diffusione di pagamenti alternativi al contante – oggi all'incirca l'80 per cento delle transazioni che avvengono quotidianamente avviene per contante, soltanto il 20 per cento con mezzi diversi dal contante, a differenza di tanti altri Paesi, dove invece si sfiorano percentuali ben più alte, anche superiori al 40 per cento, con dei vantaggi diretti anche in termini di efficienza del sistema, ma anche di emersione del nero, perché più contante circola e più il nero naturalmente ha il vantaggio di essere visto meno, perché ovviamente sta molto in profondità. Quindi, quando si abbassa il livello del contante, si vede meglio il fondo del fiume e si vedono anche, appunto, quelle che sono le operazioni in nero. Perché il Parlamento aveva fatto questa scelta ? Aveva fatto questa scelta per sensibilizzare, per incentivare l'utilizzo comune quotidiano – quindi anche con piccole somme – di pagamenti elettronici e favorire l'accettazione da parte di un merchant del pagamento anche con carta per l'acquisto di una colazione, di un caffè e d'altra parte, quindi, una maggiore fiducia da parte del consumatore di poterlo utilizzare naturalmente poi anche in altre occasioni. Quindi, un maggior utilizzo quotidiano, una maggiore incentivazione dei micropagamenti porterebbe – ne siamo sono ancora convinti, ne sono ancora convinto – una maggiore diffusione dei pagamenti elettronici. Tra l'altro, questa possibilità, quando sono state fatte tutte le fasi di preparazione del regolamento, è stata fortemente voluta anche dai rappresentanti italiani, perché noi abbiamo anche una caratteristica particolare, di un circuito domestico molto vantaggioso per i commercianti, per i merchant e anche per i consumatori. Si fidano tantissimo, ma anche a livello di frodi; basti pensare che le frodi, sul lato appunto delle carte di debito, è pari allo 0,001 per cento – sono cifre sostanzialmente ineguagliate in Europa. Abbiamo il sistema più sicuro che c’è in Europa, anche superiore a quello inglese, che pure invece ha una maggiore diffusione di pagamenti elettronici; eppure noi non l'abbiamo utilizzato.
  Non l'abbiamo fatto. Sarebbe bastato appunto un decreto per determinare questa ulteriore riduzione di interchange, con un vantaggio anche del sistema e della competizione dei sistemi di pagamento, un vantaggio dei merchant, un vantaggio dei consumatori. Francamente non si capisce perché il Governo, ad oggi, non abbia adempiuto a questo che è appunto un obbligo contenuto nella legge di bilancio ormai di due anni fa. Insieme però con quel decreto si sarebbe dovuto adempiere anche ad alcuni obblighi, quello appunto di stabilire quali sono le autorità che devono regolare le sanzioni per i circuiti e determinare anche le sanzioni stesse per i circuiti, non per i commercianti – quella è un'altra cosa – per i quali avremmo dovuto provvedere entro il 9 giugno 2016. Ovviamente mancando l'indicazione di idoneità, mancando quindi che queste possano in sé organizzarsi, noi in questo momento non stiamo adempiendo a quello che è il dettato anche di un regolamento europeo e penso, appunto, che ciò sia grave in sé.
  In più, le stesse norme approvate dal Parlamento prevedevano anche un impegno affinché fosse garantita la libertà del consumatore di poter scegliere lo strumento di pagamento a lui più confacente, quindi anche con un'accettazione da parte dei commercianti che fosse in qualche modo vigilata, controllata da questo punto di vista, anche con una sanzione. Devo dire che l'effetto di quella norma è stato anche quello di diffondere ulteriormente i pagamenti elettronici anche sotto Pag. 3il livello precedentemente fissato dalla norma sopra i 30 euro; ormai sotto i 30 euro tutti accettano, perché quella norma ha tolto anche quel tetto che era obbligatorio.
  Però, ovviamente, laddove appunto questo non venga fatto, il cittadino non ha nessun potere. Da questo punto di vista io mi permetterei di suggerire anche di estendere l'applicazione dell'articolo 693 del codice penale, che prevede una semplice sanzione amministrativa di 30 euro per chi non accetta la moneta, il contante. Oggi abbiamo un articolo del codice penale che dice «se tu non accetti la moneta che ha corso legale nello Stato, tu hai una sanzione di 30 euro». Quindi il cittadino può dire «tu non stai accettando la moneta, io ti segnalo e tu hai una sanzione di 30 euro». Basterebbe estendere questo a tutti gli strumenti di pagamento regolati esattamente come il contante, quindi alle carte di pagamento, perché il cittadino abbia almeno uno strumento di pressione e dire: «se tu non accetti il pagamento come voglio io, stai violando una legge dello Stato, stai violando il codice penale». Per carità, stiamo sempre parlando di una sanzione amministrativa, quindi anche nella portata di una relazione tranquilla, perché poi a questo punto non stiamo parlando di chissà che. Basterebbe quindi questo, mi permetto come suggerimento. Anche questo doveva essere oggetto del decreto e non c’è, non c’è nulla. Quindi noi rimaniamo il Paese più indietro da questo punto di vista, che lede quindi un principio di scelta del consumatore di decidere come pagare. Da questo punto di vista il Parlamento ha anche fatto un passo in avanti rispetto ad anni passati, perché ormai in tutto l'emiciclo c’è una concordanza sul fatto che i pagamenti elettronici creano veramente efficienza, che sono vantaggiosi per i cittadini e che devono essere messi nelle stesse condizioni del contante di essere accettati. Noi abbiamo fatto una scelta, abbiamo, in quella legge di stabilità, innalzato il limite del contante a 3000 euro, ma anche detto però «il cittadino decida come voler pagare». Abbiamo fatto una scelta che poteva sembrare di controtendenza, ma dall'altro lato abbiamo detto «è vero, alziamo a 3000 euro il limite del contante, non ci sono però più limiti per l'accettazione delle carte, perché non c’è più questo limite dei 30 euro, e il cittadino è libero di poter pagare». Va reso oggettivo ed effettivo questo diritto di scelta del cittadino, attraverso l'emanazione di questi due decreti, anche per portarci ai livelli europei, tentare almeno. Lo dico, perché questo è il Paese dove, invece, abbiamo una delle migliori industrie di punta del mercato dei pagamenti, i migliori sistemi di sicurezza a livello tecnologico – ce li invidiano ovunque, ce li comprano ovunque, nel senso che sono poi esportati in tutto il mondo – però poi nel nostro Paese non riusciamo ad essere altrettanto bravi. Da questo punto di vista spesso ciò capita per una mancanza anche di mercato, di volontà, di quella che è la capacità, che in questo caso invece manca, perché manca un vero e proprio minimo adeguamento di norme a quello che è ormai dettato anche dal regolamento europeo.
  E lo dico anche alla luce di una prossima emanazione di una direttiva europea che dovrà ulteriormente incentivare questi strumenti di pagamento, sempre nell'ottica che il cittadino decida come voler pagare.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Umberto Del Basso De Caro, ha facoltà di rispondere.

  UMBERTO DEL BASSO DE CARO, Sottosegretario di Stato per le Infrastrutture e i trasporti. Presidente, con l'interpellanza urgente n. 2-01522 l'onorevole Sergio Boccadutri ed altri chiedono di conoscere quali siano i tempi per l'emanazione del decreto ministeriale attuativo del regolamento (UE) n. 751/2015 del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carte, il cosiddetto regolamento IF, rilevando che, ad oggi, non si hanno notizie sui tempi della possibile emanazione Pag. 4di tale decreto né di quelli dell'auspicata consultazione pubblica sul contenuto dello stesso. Osservano, inoltre, che da ciò deriverebbe una situazione di incertezza in ordine all'esercizio delle opzioni nazionali previste dal regolamento, nonché, quindi, sull'effettivo contenuto del complessivo quadro normativo introdotto con detto regolamento IF. Secondo gli interpellanti, tale circostanza starebbe creando anche una grave situazione di svantaggio competitivo per il sistema nazionale dei pagamenti al dettaglio e, più in generale, per tutti gli utenti dei servizi di pagamento con carte. Tra i soggetti negativamente affetti dalla mancata emanazione, finora, del suddetto decreto ministeriale attuativo rientrerebbero, secondo gli onorevoli interpellanti, anche le Autorità pubbliche nazionali competenti ad ottemperare ad alcuni specifici obblighi che il regolamento IF pone a carico degli Stati membri, quali quelli in materia di definizione dell'apparato dei controlli e sanzionatorio. Al riguardo, gli interpellanti richiamano, altresì, il fatto che l'articolo 1, comma 900, lettera c), della legge di stabilità 2016 ha modificato, inoltre, il comma 5 dell'articolo 15 del decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221, prevedendo che i decreti ministeriali attuativi della norma prevista dal precedente comma 4 del medesimo articolo, che stabilisce, appunto, l'obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare i pagamenti con carte di debito e di credito, devono disciplinare le modalità, i termini e l'importo delle sanzioni amministrative e pecuniarie in relazione ai soggetti interessati, anche con riferimento alle fattispecie costituenti illecito ed alle relative sanzioni pecuniarie amministrative. Ciò posto, l'onorevole Boccadutri chiede di conoscere quali siano i tempi per l'emanazione, da parte dei ministri interpellati, del decreto ministeriale attuativo del regolamento IF previsto dall'articolo 1, comma 900, lettera b), della legge di stabilità 2016.
  Al riguardo, per quanto di competenza, si fa preliminarmente presente che i lavori per l'emanazione del decreto ministeriale attuativo del regolamento suddetto si sono prolungati, e sono tuttora in corso, principalmente a causa della necessità di realizzare il migliore coordinamento tra il disposto di tale decreto ministeriale, previsto all'articolo 1, comma 900, lettera b), della legge di stabilità 2016, e quello dei diversi decreti da emanarsi, invece, da parte del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, per disciplinare le modalità, i termini e l'importo delle sanzioni amministrative e pecuniarie anche in relazione ai soggetti interessati di attuazione della disposizione di cui al comma 4, anche con riferimento alle fattispecie costituenti illecito ed alle relative sanzioni pecuniarie amministrative, ossia con riguardo all'obbligo esistente dal 30 giugno 2014 per i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazioni di servizi, anche professionali, di accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito e carte di credito, salvi i casi di oggettiva impossibilità tecnica.
  In particolare, gli aspetti più delicati, al fine del dovuto coordinamento tra le diverse norme, riguardano, primariamente, ma non solo, l'applicazione delle nuove business rules, regole del business, stabilite dal regolamento IF, in materia di libertà di steering del cliente – bisogna confrontare sul punto l'articolo 11 del regolamento IF sulle norme in materia di orientamento – e sulla possibilità del merchant di non accettare determinate carte di pagamento, anche qui bisogna confrontare l'articolo 10 del regolamento IF sulle regole in materia di obbligo di accettare tutte le carte di uno schema. Si osserva, inoltre, che nell'ambito di tale lavoro di coordinamento normativo si è da ultimo dovuto tenere conto anche dell'entrata in vigore, nel frattempo, dell'articolo 11 della legge di delegazione europea 2015, che è la legge n. 170 del 2016, in vigore dal 16 settembre del 2016, che contiene una delega al Governo ad adottare, entro dodici mesi dall'entrata in Pag. 5vigore della stessa legge di delegazione, un decreto legislativo recante le norme occorrenti all'adeguamento del quadro normativo vigente, a seguito, proprio dell'entrata in vigore del regolamento IF. In particolare, rileva al riguardo che nell'esercizio di tale delega il Governo è espressamente tenuto, tra l'altro, a prevedere, in conformità alle definizioni, alla disciplina e alle finalità del regolamento (UE) n. 751/2015, le occorrenti modificazioni ed abrogazioni della normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di assicurare la corretta ed integrale applicazione del medesimo regolamento e di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
  La stessa legge di delegazione europea 2015 contiene, all'articolo 12, una delega al Governo ad adottare, entro dodici mesi dall'entrata vigore della medesima legge, un decreto legislativo recante l'attuazione della direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del consiglio del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, il cosiddetto PSD2. Al riguardo, il comma 1, lettera o), dello stesso articolo 12, prevede che nell'esercizio di tale delega il Governo è tenuto, tra l'altro, ad apportare tutte le abrogazioni, modificazioni ed integrazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, al fine di assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione del presente articolo e la complessiva razionalizzazione della disciplina di settore. Si rappresenta dunque che il decreto ministeriale attuativo del regolamento IF, da emanarsi da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 1, comma 900, lettera b), della legge di stabilità 2016, benché in ampia parte già definito nella sua struttura e nel suo contenuto, non è stato ancora emanato in quanto è tuttora in corso la necessaria ed attenta valutazione delle migliori opzioni normative da attuare, al fine di assicurare il dovuto coordinamento tra il disposto dell'articolo 1, comma 900, lettera b), della legge di stabilità 2016 e le deleghe legislative contenute negli articoli 11 e 12 della legge n. 170 del 2016 e del relativo impatto sulla coerenza ed efficienza del framework complessivo della disciplina dei servizi di pagamento. Ciò posto, si ritiene di poter procedere in tempi brevi alla messa in consultazione del decreto ministeriale in esame, al fine di dare attuazione all'articolo 1, comma 900, della legge di stabilità 2016.

  PRESIDENTE. Il deputato Boccadutri ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  SERGIO BOCCADUTRI. Grazie, Presidente. Mi trovo in una situazione un po’ imbarazzante, lo dico politicamente, perché fino all'ultima frase della risposta del sottosegretario avrei detto: non sono soddisfatto, perché, francamente, mi ha detto perché non è stato emanato; da questo punto di vista veramente il sottosegretario non è tenuto a saperlo, neanche gli estensori, magari, della risposta, ma l'articolo 12 della legge di delegazione europea, quella recepente della PSD2, e, quindi, anche la lettera o) testé letta è frutto di un emendamento parlamentare del sottoscritto e non del Governo, quindi, conosciamo perfettamente là dove, appunto, andava a cascare il problema. Sarebbe bastato, alla luce di quanto è emerso – e naturalmente io non ho dubbi che ci siano e ci possano essere problemi –, comunque fare un pezzo; quello rimarrà, il tema è quello di regolare l’interchange sotto i 5 euro per dire al mercato: i pagamenti sotto i 5 euro comportatevi così; così che qualcuno possa decidere anche di fare zero commissioni piuttosto che ancora meno di quello che è previsto dal regolamento in modo da incentivarli.
  La legge di delegazione europea è stata approvata soltanto in prima lettura alla Camera, credo poco prima della pausa estiva, poi è stata approvata in via Pag. 6definitiva al Senato al rientro, nel settembre 2016, insomma, era già scaduta la delega da un bel po’ di tempo. E quindi sarebbe bastato, magari, intervenire soltanto su un pezzo; e suggerisco, ulteriormente, sulle sanzioni, di fare ciò che è già scritto in ordinamento, quindi andare per analogia, senza inventare nulla di ché, senza andare a creare anche un conflitto con i commercianti da questo punto di vista; utilizzare l'articolo 693 del codice penale sembrerebbe de facto la soluzione migliore esattamente come non si accetta il contante, non si accetta la carta. Non c’è alcun problema con gli articoli 10 e 11 del Regolamento, perché da questo punto di vista quelli valgono comunque e, quindi, da questo punto di vista la mancata accettazione naturalmente sta dentro lo schema dell'ordinamento. In questo caso, il Regolamento, agli articoli 10 e 11, dispone alcune cose che, da un punto di vista della gerarchia delle fonti, hanno una supremazia su quello che possiamo decidere nel Parlamento, perché si tratta di Regolamento europeo; pertanto, se un commerciante rifiuta una determinata carta in un determinato schema, ciò gli è consentito dal Regolamento e ovviamente non è punibile da questo punto di vista, mentre se ha deciso di accettare tutte le carte di quel determinato schema, deve farlo, perché invece così appunto dispone il regolamento.
  Quindi, da questo punto di vista, non c’è alcuna contraddizione con il Regolamento, perché da questo punto di vista è molto chiaro in quella parte ed è molto chiaro perché si è voluto entrare nel dettaglio di alcuni contratti che i circuiti facevano e che imbrigliavano un po’ troppo i commercianti. Dunque, da questo punto di vista, si è fatta molta chiarezza proprio a favore dell'accettazione delle carte e di evitare contratti poco chiari e che, in un certo modo, imbrigliassero troppo i commercianti.
  Detto questo, quindi, per quanto riguarda tutta la prima parte della risposta, mi riterrei insoddisfatto perché, ovviamente, il decreto, almeno per quanto riguarda le soglie sotto i 5 euro, si poteva e si doveva fare tranquillamente nei tempi.
  L'ultima parte della risposta mi lascia in imbarazzo, perché invece dice: lo stiamo per mettere in consultazione, e quindi a questo punto penso che sia pronto già un testo da mettere in consultazione nei prossimi mesi. A questo punto, io non posso che sperare che ciò venga effettivamente fatto, perché io penso che la responsabilità prima della politica è quella di creare regole certe, non soltanto appunto per i cittadini, ma anche per le imprese che investono. E quando si tratta di andare a decidere, sotto una soglia, quali possibilità si hanno di calcolo di una commissione, significa investire soldi in sistemi informatici che poi gestiscono tutti i pagamenti sul territorio nazionale e significa anche dare certezza alle imprese che investono in un settore come questo, rispetto appunto alle norme. Invece, noi li abbiamo tenuti fermi per oltre un anno perché mancava questo e, quindi, da questo punto di vista abbiamo tenuto ferma la loro possibilità, la possibilità che il mercato incentivasse l'utilizzo dei pagamenti elettronici da parte dei cittadini, perché sarebbe bastato definire sotto i 5 euro quali erano le commissioni e quindi i cittadini avrebbero potuto utilizzarli anche più facilmente, i baristi avrebbero potuto anche accettare più facilmente le carte perché sapevano che sotto i 5 euro, essenzialmente, non pagavano commissioni e pagavano una bazzecola, e quindi diffondere una cultura dei pagamenti alternativi al contante. Il gioco sarebbe stato questo: il Governo, in questo caso delegato dal Parlamento fa una norma, il mercato recepisce la norma e fa degli investimenti, e poi da questo punto di vista si crea una cultura dei pagamenti più efficiente nel Paese.
  Quindi, da questo punto di vista, io non posso che dirmi, come si usa dire, parzialmente soddisfatto relativamente all'ultima risposta, auspicandomi che, almeno entro questo semestre, ci sia finalmente questo decreto e auspicando, ovviamente, Pag. 7anche l'attuazione del mio emendamento, poi approvato dal Parlamento, relativamente alla PSD2, teso non soltanto ad armonizzare il sistema dei pagamenti in Italia, ma anche a fare di questo Paese... è un Paese a cui noi critichiamo molto spesso – c’è anche qui il sottosegretario Giacomelli – la capacità dei cittadini italiani di avere una confidenza con le nuove tecnologie, ma io penso che, quando la politica fa delle scelte, poi i cittadini stanno dietro a queste cose.
  Lo abbiamo visto con tutto il piano della banda larga, abbiamo una diffusione di smartphone che non abbiamo in nessun altro Paese, e se non incentiviamo, anche normativamente, le cornici normative e creiamo norme da questo punto di vista, testi unici sui pagamenti, evitando appunto che poi siano sparsi in tante norme, creiamo un mercato anche più vivo e più concorrenziale e, quindi, un vantaggio anche per i consumatori e per i commercianti che avranno strumenti più efficienti, più sicuri e ad un minor costo per tutti.
  Ecco, io spero quindi che sia l'adozione del decreto legislativo sulla PSD2, sia appunto la definizione di un’interchange più bassa, anche sotto i 5 euro, vengano fatte almeno prima dell'estate così poi da rimetterci almeno nelle condizioni di poter raggiungere gli altri Paesi europei sui livelli di transazioni non in contante.

(Iniziative urgenti per prevenire e contrastare la diffusione del gioco d'azzardo – n. 2-01569)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti ed altri n. 2-01569 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Prego, onorevole, ha quindici minuti.

  PAOLA BINETTI. Questa non è la prima interpellanza, Presidente, membri del Governo, né probabilmente l'ultima interpellanza in questa materia che farò nell'arco di questa legislatura e devo dire che questo è un esordio che nasce con un pizzico di pessimismo davanti all'incapacità o all'impossibilità di essere presi sul serio quando si tratta di un tema di questo genere.
  Faccio presente che ci sono i numeri – proprio perché il riferimento di oggi è il Ministro dell'economia – che danno ragione di un vistoso aumento del volume di gioco, di un vistoso aumento della quantità di denaro che circola intorno al gioco e, come dicevano gli antichi, contra factum non valet argomentum: i numeri sono numeri importanti, sono numeri contenuti nella mia interpellanza e tra qualche minuto li ricorderò per quei colleghi che non ne avessero conoscenza.
  Sappiamo tutti che questo significa una cosa: che lo Stato vince perché incassa e i cittadini perdono. E non mi si dica che i cittadini giocano per vincere, perché su cento cittadini che giocano per vincere, uno vince, novantanove perdono, quindi per quello che riguarda una valutazione complessiva dei fatti dobbiamo dire che la stragrande maggioranza dei cittadini che gioca, perde, e quindi chi risulta veramente capace di incassare – e di incassare, lo sa benissimo proprio dai numeri il sottosegretario, il 25 per cento in più rispetto all'anno precedente, sempre secondo questa logica per cui il numero ha una sua crudezza che merita di essere presa in considerazione – è lo Stato.
  Sappiamo che, se dividiamo il gettito totale di ciò che si gioca per i cittadini italiani, considerando tutti i cittadini italiani, compresi i neonati e gli anziani ultranovantenni, viene fuori una cifra un po’ singolare, un po’ simbolica: vengono fuori 365 euro l'anno, pari a 1 euro al giorno, pari a un caffè. Questo potrebbe far pensare a tutti noi: beh, che problema c’è se in fondo io tutti i giorni mi prendo i miei tre, quattro caffè, se rinuncio a un caffè per giocarmi un euro, che problema c’è ? Probabilmente faccio quello che fanno molte persone: mantenere acceso un lumicino alla speranza di vincere. Ma sappiamo che non è così: non è che tutti gli italiani giocano 1 euro al giorno, per 365 giorni. Sappiamo che il popolo dei Pag. 8giocatori – dei giocatori sociali, dei giocatori abituali e dei giocatori affetti da patologia specifica, quella che noi non vogliamo chiamare ludopatia, perché ci sembra un termine, come dire, troppo dolce, che fa riferimento all'approccio ludico del bambino, preferiamo chiamarlo con la crudezza di chi parla di «azzardopatia», cioè di una malattia legata proprio al gioco e a un gioco che sfida i limiti naturali, in questo senso parliamo di «azzardopatia» – sappiamo che il numero di giocatori che in qualche modo contraggono questa dipendenza dal gioco è in crescita.
  È chiaro che ciò che fa notizia è il padre di Ostia che, pochi giorni fa – tutti i giornali questo l'hanno riportato – ha lasciato il bambino di tre anni in macchina per andare, alle cinque del pomeriggio, a giocare. Alle tre di notte non era ancora tornato, il bambino si è agitato nella macchina, per cui una pattuglia, fortunatamente, che passava lo ha intercettato. È un bambino sicuramente intelligente, perché gli hanno spiegato, dall'esterno, come doveva fare per aprire la macchina dall'interno; un bambino che aveva un principio di assideramento. Il bambino ha detto che il papà era andato a giocare e sono andati a cercarlo nei «Bingo» intorno. Questo fa notizia, ma non è questo: se fa notizia sui giornali, non è questo che può muovere la volontà politica del Governo ad affrontare un tema sul quale noi richiamiamo l'attenzione costantemente.
  E ogni volta che richiamiamo l'attenzione del Governo su questo tema ci viene posta una domanda; una domanda che, in qualità di medico nonché, se volete, anche in qualità di persona che, perlomeno, da un paio di legislature, se non da tre, coordina l'Intergruppo delle malattie rare, vi dico che anche se fosse una malattia rara, anche se riguardasse soltanto sette, otto, dieci persone, noi avremmo l'obbligo morale di curarla, esattamente come ci sforziamo di curare tante malattie rare per le quali noi non disponiamo dei farmaci opportuni (si tratta dei famosi «farmaci orfani»).
  Ma l'intrattenimento sul numero dei potenziali azzardopatici diventa un motivo necessario e sufficiente per non affrontare il problema, perché, se sono pochi, che problema c’è ? Perché mi dovrei occupare di pochi ? Per inciso, in questi giorni, noi, con grande serietà, ci occupiamo ogni giorno, con una sorta di bollettino di guerra, dei pazienti che si ammalano di meningite. Un solo malato di meningite riesce a monopolizzare un interesse tale e forte da parte di tutti da aver avuto una spinta non indifferente su quello che è il piano delle vaccinazioni nazionali. Non è il numero dei malati che fa la differenza.
  Per di più in questo caso, mentre il Governo non ha nessuna colpa se si crea un caso di meningite – è difficile immaginare che ci possa essere una responsabilità diretta, intendo dire –, viceversa, quando si parla di gioco, la responsabilità non è diretta, è direttissima, perché lo Stato è il monopolista e c’è una sorta di associazione, che non voglio definire con parole pesanti, che però è un'associazione ambigua, un'associazione rozza, volta esclusivamente a tutelare interessi di parte tra lo Stato e i concessionari, che sono gli unici che guadagnano sempre. Ai danni di chi ? Ai danni dei cittadini italiani.
  Quando noi diciamo che il volume globale di gioco quest'anno – non voglio ingannarmi sulle cifre – è di 95 miliardi e lo Stato ha incassato oltre 10 miliardi di gettito fiscale – ricordo al pubblico che è presente qui in Aula che lo Stato, che il Governo non è stato capace di fare un decreto fiscale sul gioco –, ebbene, questi soldi da dove sono venuti fuori ? Non è mica la legge di Lavoisier per cui nulla si crea e nulla si distrugge: questi soldi non è che sono stati stampati, questi soldi sono venuti fuori semplicemente dalle tasche degli italiani. Noi abbiamo tolto da quelle tasche oltre 10 miliardi solo per versarli all'erario, in un contesto in cui tutti sappiamo perfettamente essere problemi dominanti del Paese la disparità sociale e, quindi, anche il livello di impoverimento a cui va incontro il Paese.
  Sappiamo perfettamente come la disoccupazione sia il problema dei problemi: ce Pag. 9l'ha detto due giorni fa la Consulta, bocciando l'uso e l'abuso dei voucher, ma sappiamo anche il peso enorme che c’è come tentazione permanente di risolvere un problema di disoccupazione, di risolvere un problema di impoverimento, ricorrendo, come dire, alla bacchetta magica – forse sono fortunato, forse sono fortunato –, perché indubbiamente è stata una delle cause dell'incremento del gioco del Superenalotto quel singolo giocatore che, con una sola giocata, ha vinto oltre 160 milioni.
  Per inciso, io mi chiedo anche se un regolamento di questo genere sia eticamente corretto. Quando non usciva quel numero – e non usciva da molto tempo –, io avevo fatto una provocazione, dicendo: prendiamo questi soldi, che sono degli italiani e che non ancora appartengono a qualcuno, e impegniamoli in quella che era allora la ricostruzione di Amatrice, la ricostruzione dei centri terremotati. Ci fu una sollevazione di scudi, dicendo che non sarebbe mai stata possibile una cosa di questo genere, perché quei soldi dovevano andare al vincitore. Facciamo in modo che ci sia un vincitore virtuale, che è l'intera popolazione di Amatrice, perché mi domando: ma cosa farà mai un signore, che, probabilmente, non ha una grande mentalità di imprenditore, con 160 milioni di euro ? Ma, comunque, queste sono le aberrazioni del gioco. Non è detto che questo signore, poi, sia davvero più felice: non lo so, glielo auguro, comunque.
  Quindi, noi ci troviamo davanti a situazioni in cui è inconcepibile il silenzio del Governo, è inconcepibile quello che si investe in pubblicità. Lo faccio presente al collega Basso, che dirige l'Intergruppo contro il gioco d'azzardo, al collega Baroni del MoVimento 5 Stelle, ai colleghi di Forza Italia, a mille altri colleghi di tutti i gruppi, contro questa operazione di rastrellamento dei fondi attraverso il gioco, attraverso una pubblicità sfacciata. Moltissime delle interrogazioni che ho presentato – alle quali non ho avuto risposta – sono legate proprio al fatto che – non la prendo come un'offesa personale – sul mio computer, server della Camera, quindi attraverso un sistema, chiamiamolo così, paraistituzionale, vengano accreditati 10 euro, 20 euro, 50 euro; anche stamattina ne ho cancellato un altro.
  Non c’è dubbio che, come se tutto questo fosse poco, attraverso questo sistema monopolistico, quindi attraverso la sua agenzia, chiamiamola tra virgolette, personale, lo Stato adesso cosa ha fatto ? Per diffonderlo ancora di più premia l’«ambetto». Quindi, noi abbiamo avuto rispetto al Superenalotto, da una parte, la crescita spettacolare del cittadino di cui dicevo e, dall'altro, le microvincite attraverso l’«ambetto». Tutti noi veniamo dalle vacanze di Natale, avremo giocato a «Tombola» con i nipotini, sappiamo la soddisfazione che hanno i bambini quando fanno ambo e, come l'ambo, in qualche modo, c’è l'incentivo: hai vinto l'ambetto, come quando al «Gratta e vinci», gratti e vinci 5 euro, cioè la cifra pari a quella che hai investito per comprarlo.
  E lo Stato, rispetto a tutto questo insieme di paradossi, di contraddizioni, di un cuneo messo proprio per implementare il livello di impoverimento complessivo – insisto – a favore, forse, di uno, non è in grado di legiferare non solo rispetto al decreto fiscale. Mi permetto di ricordare che, in questa legislatura, sono oltre due anni che è uscito dalla Commissione affari sociali un provvedimento ad approvazione trasversale, di tutti i membri presenti nella Commissione, per mettere in gioco delle azioni positive, un'azione positiva di formazione, per dire che non è solo vietato ai minori di 18 anni; non è solo per dire – lo dico veloce, più veloce, più veloce che posso – che questo gioco può creare dipendenza (ma lo dico così veloce che nemmeno si sente): è un'azione forte, chiara e precisa di informazione.
  Ebbene, mi sia concessa una connotazione polemica forte: mentre questo provvedimento, approvato dalla Commissione – quindi, ampiamente emendato, eccetera –, giace in attesa non si sa di che cosa, perché non si è mai visto un provvedimento approvato in una Commissione che non sia arrivato in Aula, noi abbiamo già calendarizzato, senza che sia stato esaminato Pag. 10un solo emendamento dei 3.300 che sono stati presentati, il provvedimento sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Quello l'abbiamo già calendarizzato per lunedì 30. Quindi, quello che tutela i cittadini, quello che li protegge, quello che, in qualche modo, ne garantisce alcuni diritti, lo lasciamo nel cassetto; perché pecunia non olet ?
  Non lo so ! Quello che invece contiene, nonostante le mediazioni, forti rischi di tradursi in una sorta di eutanasia passiva, noi quello lo calendarizziamo subito.
  Facciamo una tale disparità, nelle scelte di Governo, a tutto campo ! C’è un'offesa profonda alla dignità della persona ! Allora, mi chiedo davvero – come diceva, Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra ? –: fino a che punto si abuserà della nostra pazienza, per cui ciò che è un diritto viene messo nel cassetto, ciò che è un'ideologia viene messa in primo piano ? E il Governo tace.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Umberto Del Basso De Caro, ha facoltà di rispondere.

  UMBERTO DEL BASSO DE CARO, Sottosegretario di Stato per le Infrastrutture e i trasporti. Presidente, con il documento in esame, gli onorevoli interpellanti lamentano che nel corso dell'ultimo anno le spese sostenute dagli italiani in giochi ricompresi sotto la usuale dizione di «gioco d'azzardo» sono cresciute, a fronte di una raccolta complessiva dell'industria del gioco pari a 95 miliardi di euro. Pertanto, gli onorevoli interpellanti chiedono al Ministro dell'economia e delle finanze come intenda intervenire il Governo per evitare un'ulteriore diffusione del gioco d'azzardo, identificando misure molto concrete da applicare in tempi brevi e da monitorare in modo molto rigoroso, a cominciare dalla proibizione per le aziende di regalare danaro a chi inizia a giocare, e dicendo un «no» netto e chiaro alla pubblicità, compresa quella legata agli eventi sportivi.
  Al riguardo l'Agenzia delle dogane e dei monopoli fornisce i seguenti elementi. Relativamente alla spesa, i dati hanno fatto registrare per il 2016 un incremento di circa 2 miliardi di euro in valore assoluto, per un totale complessivo che arriva a circa 19 miliardi di euro rispetto al 2015, che ne registrò 17. Tale aumento è largamente spiegato dall'incremento della pressione fiscale specifica sull'attività di gioco. Il gettito è infatti cresciuto di circa 2,15 miliardi di euro, sino a 10,5 miliardi di euro complessivi, registrando dunque un incremento del 25,4 per cento rispetto al 2015, mentre quanto ricavato dalla filiera commerciale è rimasto sostanzialmente invariato rispetto allo scorso anno, intorno agli 8,5 miliardi di euro. L'introito destinato allo Stato sotto forma di prelievo tributario e non tributario rappresenta ormai il 55 per cento della spesa. La raccolta complessiva del settore si è attestata nel 2016 a 96 miliardi di euro, in aumento di circa il 9 per cento rispetto all'anno precedente. Si tratta tuttavia di un dato puramente tecnico, che come correttamente evidenziato nelle premesse dell'interpellanza, definisce il volume di danaro giocato, cioè le puntate, e non deve essere confuso con la spesa, cioè con il costo che le famiglie nel loro complesso sostengono dato dalla differenza tra la raccolta e le vincite, il cosiddetto payout.
  Deve altresì osservarsi che, negli ultimi 20 anni, l'offerta di gioco si è notevolmente trasformata, con l'avvento di giochi già presenti sul circuito illegale e, quindi, praticati anche in Italia. Si pensi ai videopoker, che sono i progenitori delle attuali slot, al gioco a distanza e così via, ad alto payout. In particolare, l'elevato payout consente, per alcune categorie di gioco – segnatamente per le slot, le lotterie istantanee e molti altri giochi online, – a parità di budget stanziato dal giocatore, quindi la perdita programmata tollerabile, di sviluppare una notevole quantità di gioco attraverso il reingaggio successivo delle somme vinte. Tali somme reimpiegate, il cosiddetto rigioco, alimentano la raccolta ma non la spesa. Per quanto concerne le misure volte ad evitare un'ulteriore diffusione del gioco d'azzardo, si osserva che l'articolo 1, comma 943, della legge 28 Pag. 11dicembre 2015, n. 208 (appunto la legge di stabilità per il 2016), prevede la riduzione di almeno il 30 per cento del numero di apparecchi da divertimento e intrattenimento presenti in pubblici esercizi e nelle sale specializzate, che sono le sale VLT, scommesse e Bingo, da realizzarsi nel triennio 2017-2019 mediante emanazione di un apposito decreto ministeriale.
  Rispetto al numero di apparecchi attivi alla data del 31 luglio 2015 (tale è la data fissata al riferimento dalla legge di stabilità per il 2016), circa 378.000, la predetta riduzione comporterà una diminuzione di 133.000 slot sul territorio nazionale. Per quanto riguarda la richiesta circa il divieto netto e chiaro alla pubblicità, compresa quella legata ad eventi sportivi, si segnala che l'articolo 1, commi da 937 a 940, della citata legge di stabilità per il 2016, la n. 208 del 2015, già prevede un parziale divieto di pubblicità, esclusivamente per il settore del gioco. In particolare, il citato comma 937 recepisce i principi contenuti nella raccomandazione sul gioco d'azzardo online della Commissione europea, estendendoli al gioco fisico ed afferma espressamente che la propaganda pubblicitaria audiovisiva di marchi o prodotti di giochi con vincite in denaro è effettuata tenendo conto dei principi previsti dalla raccomandazione 2014/478/UE della Commissione del 14 luglio 2014.
  Il successivo comma 938 prevede, in ogni caso, il divieto di pubblicità che incoraggi il gioco eccessivo o incontrollato; che neghi che il gioco possa comportare dei rischi; che ometta di rendere esplicite le modalità e le condizioni per la fruizione di incentivi o di bonus; che presenti o suggerisca che il gioco sia un modo per risolvere problemi finanziari o personali, ovvero che costituisca una fonte di guadagno o di sostentamento alternativa al lavoro, piuttosto che una semplice forma di intrattenimento e di divertimento; che induca a ritenere che l'esperienza, la competenza o l'abilità del giocatore permetta di ridurre od eliminare l'incertezza della vincita o consenta di vincere sistematicamente; che si rivolga o faccia riferimento, anche indiretto, ai minori e rappresenti questi ultimi, ovvero soggetti che appaiano evidentemente tali, intenti al gioco; che utilizzi segni, disegni, personaggi e persone direttamente e primariamente legate ai minori, che possano generare un diretto interesse su di loro; che induca a ritenere che il gioco contribuisca ad accrescere la propria autostima, considerazione sociale e successo interpersonale; che rappresenti l'astensione dal gioco come un valore negativo; che induca a confondere la facilità del gioco con la facilità della vincita; che contenga dichiarazioni infondate sulla possibilità di vincita o sul rendimento che i giocatori possono aspettarsi di ottenere dal gioco; che faccia riferimento a servizi di credito al consumo immediatamente utilizzabili ai fini del gioco.
  Questi punti, elencati dal comma 938, riproducono sostanzialmente i principi contenuti nella citata raccomandazione del 2014, applicabili, solo in Italia, anche al canale fisico di raccolta. Inoltre, il comma 939 dispone il divieto di pubblicità di giochi con vincita in denaro, nella fascia oraria che va dalle ore 7 alle ore 22 di ciascun giorno, nelle trasmissioni radiofoniche e televisive generaliste. Infine, relativamente alla prassi delle aziende private concessionarie di regalare denaro a chi inizia a giocare, il cosiddetto bonus, tipica del solo gioco online, occorre precisare che il fenomeno è tanto più incontrollabile quanto maggiori sono i siti illegali presenti sul mercato. Nonostante il notevole impegno profuso dall'Agenzia e dalla Guardia di finanza nell'attività di contrasto ai siti illegali (finora sono stati oscurati oltre 6.000 siti illegali), e conseguentemente anche alla possibilità di offrire bonus incontrollati e privi di qualsiasi tutela o regola, contrariamente a quanto avviene invece nel comparto legale (ad esempio, i tetti massimi di puntata, la possibilità di autolimitarsi, la tracciatura dei flussi finanziari), il fenomeno del gioco illegale è ancora molto diffuso, nello specifico quello esercitato da soggetti situati in Paesi esteri, che offrono gioco via web privi della concessione statale.
  Ciò nondimeno, tuttavia, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli condivide l'opportunità Pag. 12di introdurre misure volte a limitare la possibilità di offrire i menzionati bonus da parte dei concessionari dello Stato. In ordine alle prospettive del comparto per l'anno 2017 e seguenti, alcuni elementi inducono a ritenere probabile una contrazione, ad oggi non quantificabile, del gettito.
  In primo luogo, molte delibere degli enti locali, assunte a seguito delle leggi regionali che hanno inteso disciplinare il gioco pubblico legale, includono misure che comporteranno un forte ridimensionamento dell'offerta legale di gioco e, in alcuni casi, un effetto sostanzialmente espulsivo del gioco pubblico, in particolare per quanto attiene ai comparti degli apparecchi e delle scommesse.
  Per esempio, il comune di Genova ha previsto che, a partire dal 2 maggio 2017, le sale e i punti di gioco debbano richiedere il rinnovo delle autorizzazioni e delle licenze attualmente vigenti in base ai criteri fissati dal regolamento comunale. Ciò significa che questo tipo di attività potrà essere svolto a non meno di 300 metri da determinati e numerosi luoghi sensibili (come scuole, ospedali, cimiteri, stabilimenti balneari, istituti di cura, bancomat, compravendita di oro eccetera), comportando di fatto l'espulsione del gioco legale dalla città. I comuni di Napoli e di Firenze hanno introdotto forti limitazioni orarie all'apertura dei punti di vendita del gioco e tali limitazioni porteranno, con ogni probabilità, molti di essi alla chiusura. Molti comuni della Lombardia hanno assunto iniziative analoghe, come ad esempio i comuni di Milano e di Bergamo, che applicano le misure restrittive a tutti i giochi, esclusi il Bingo e il Lotto, ma non il 10eLotto e il Superenalotto.
  Infine, occorre ricordare che, seppure ad oggi ancora non è stata formalizzata l'intesa prevista dal comma 936 della legge di stabilità 2016, tuttavia il Governo si sta adoperando affinché il previsto accordo con gli enti locali, in sede di Conferenza unificata, trovi la più ampia condivisione tra le parti interessate. Tale accordo sarà volto ad un maggiore ed uniforme controllo della diffusione del gioco d'azzardo e alla realizzazione di ulteriori misure finalizzate ad arginare tale fenomeno.

  PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLA BINETTI. Non sono soddisfatta e credo che la maggiore ragione della mancata soddisfazione nasce dalla reiterazione di quelle che, per chi è abituato a porre questo problema ripetutamente – non solo io, ma anche colleghi di altri gruppi, di altri raggruppamenti – sono tutte cose già sentite, sono tutte cose già banalmente dette e mai realizzate. Il problema è: il Parlamento fa le leggi, il Governo in qualche modo le fa rispettare. Che sia un'affermazione di principio a cui non seguono le azioni concrete e precise che la fanno rispettare è un fallimento dell'azione di Governo.
  Lei citava il 2014 – tante grazie ! –, peccato che di quella cosa che è accaduta nel 2014 non c’è stata applicazione. Noi lo ripetiamo oggi, nel 2017, ma perché vi è stato il fallimento di ciò che si è affermato nel 2014. Nella finanziaria dell'anno scorso, fatta nel 2015 e che faceva riferimento al 2016, si prevedeva che avremmo dovuto avere la riduzione del 30 per cento delle slot. Non c’è stata la riduzione delle slot; non c’è stata affatto.
  Lei dice che l'aumento è legato all'aumento del payout, cioè all'aumento di quello che noi possiamo chiamare, in qualche modo, il riciclo del gioco. Diciamo subito che in questa industria l'Italia è al primo posto: siamo al primo posto per competenze tecnologiche, nel costruire queste macchine, ma siamo anche al primo posto in quell'elaborazione delle scienze cognitive che permettono di capire cosa devo fare io per mantenere il giocatore attaccato al gioco.
  La tecnica maggiore per mantenere il giocatore attaccato è la microvincita, che, ogni tanto, interrompe il ciclo delle perdite e che serve a rilanciare la motivazione. È per questo che c’è questo riciclo costante del gioco, perché ogni tanto c’è una vincita. Quella vincita fa dire: «Adesso mi Pag. 13gioco questa cosa; probabilmente mi rifaccio di quello che avevo giocato e forse porto a casa anche qualcosa». Peccato che poi non c’è mai la capacità di fermarsi, se non quando hai esaurito le tue risorse.
  Rispetto al fatto di impedire la pubblicità sulla televisione generalista, io ho presentato molte interrogazioni, ho fotografato le pubblicità del mio televisore e le ho allegate. Questa pubblicità c’è e c’è esattamente nelle ore previste. Poi forse non c’è sulla RAI, ma c’è sugli altri canali; tant’è vero che qualcuno ha considerato che questo fosse stato un regalo ad altri tipi di televisioni. C’è una pubblicità enorme.
  Lo spettatore non si chiede tanto se chi sta trasmettendo è la RAI o se è Mediaset o Sky, sente soltanto che dalla macchina, dal televisore, viene la suggestione al gioco. Il gioco del Lotto, che emblematicamente è il gioco più direttamente gestito dallo Stato, ha il «Si Vince Tutto»; l'ambetto lo ha inventato lui, mica lo abbiamo inventato noi.
  Sottosegretario, quelle che si fanno sono tante belle affermazioni, a cui non seguono le azioni. Che non seguono le azioni ce lo dicono i numeri. Non ci sarebbero stati questi incrementi, se non ci fossero state azioni positive, non deterrenti. È inutile riempirsi la bocca di un elenco di buone cose («bisogna dire ai giovani che non si risolvono i problemi della loro vita giocando», «bisogna dire che il gioco crea dipendenza»).
  Queste sono affermazioni importanti se si inseriscono in un quadro normativo esigente, severo, che realmente riduca il gioco. Quell'elenco che lei ha fatto delle città cosiddette «virtuose» intanto ci dice semplicemente che, qualche volta, i sindaci sono più capaci del Governo di prendere posizione. Questa è la prima affermazione: loro, certe leggi riduttive le hanno fatte. Ma qual è la conseguenza di questo, se non si inquadra in una cornice nazionale ? Che quelle macchinette, che io ho spostato dai luoghi sensibili del centro, le ho spostate verso la periferia. Non so se vi è capitato di fare una passeggiata – non è luogo di passeggio – sulla via Tiburtina a Roma. Quella è la Las Vegas romana. La riduzione delle ore con un bilanciamento degli orari permette di garantire h24. Lei crea poi delle zone in cui si annida il gioco, si annida l'usura, si annidano le polidipendenze.
  Il Governo non sta assumendo questo problema con la dovuta serietà. Lunedì avremo, qui in Aula, un intervento che riguarderà quella parte che analizza il gioco nella frontiera della criminalità, quindi tutte le interfacce del gioco, con tutto quello che riguarda fronti molto più drammatici. Ma sappiamo anche che il gioco cosiddetto legale è un modo di riciclare il gioco illegale.
  Non c’è mai una serietà concreta su questo argomento. Non c’è una tutela del cittadino, attraverso quello che il più importante dei canali, che non è il proibizionismo, ma è la formazione; non c’è. Non c’è una tutela degli spazi. Non c’è una tutela della città come realtà composita nella quale tutti viviamo. Invece, ci vengono dette cose che non si fanno, ma questo è scritto nella sua relazione, signor sottosegretario. Infatti, lei dice nella finanziaria 2017 quello che si era detto nella finanziaria del 2016, rimanda alla finanziaria 2015, rimanda alla finanziaria 2014, per citare le finanziarie approvate da questo Governo e non andare oltre. Fa annunci: parole, ma non fatti.
  Il Governo sembra in scacco matto su questo gioco. Non c’è la volontà di rompere con gli schemi, con le complicità, con i conflitti di interessi, probabilmente perché il principale conflitto di interessi è il proprio. Quell'incremento del gettito fiscale fino a 10 miliardi e mezzo è esattamente – si ricorda Gollum nel film «Il signore degli anelli» – «il mio tesoro». Se lo ricorda quell'orribile personaggio che ritrova l'anello ? Il mio tesoro.
  Ecco, sembra che faccia un po’ così: quello è il mio tesoro e, quindi, non lo tocco, non legifero e gli altri che vadano pure e noi non riusciamo: 26 giugno 2014, peccato che lei non l'abbia citata questa data, giorno in cui è stato approvato in Commissione un progetto di legge, che, tuttavia, non è mai giunto qua, perché Pag. 14avrebbe contrastato interessi molto forti. Quindi – concludo – è il buonismo delle sue parole, che peraltro apprezzo, molto pacato, molto disteso, ma privo di fatti, che rende impossibile essere soddisfatti.

(Iniziative di competenza in ordine alla prospettata riduzione dei treni intercity da parte di Trenitalia – n. 2-01559)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Dallai ed altri n. 2-01559 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Dallai se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  LUIGI DALLAI. Grazie, Presidente. Siamo alla terza sollecitazione verso il Governo in tre anni, quindi praticamente una all'anno, rispetto a questo problema della ventilata soppressione di treni intercity che Trenitalia, ad ogni cambio di orario, invernale o estivo, paventa, perché oggettivamente messa in calendario. In teoria il 15 gennaio sarebbero dovuti essere soppressi sette coppie di treni intercity, che attraversano le regioni dell'Italia centrale, in particolare quelli che collegano le città toscane, attraverso la Toscana, l'Umbria e il Lazio verso Roma.
  Lo stato dell'arte vede i pendolari utilizzare i treni intercity come la sola possibilità, quindi senza reali alternative, per trasferirsi verso le città in cui lavorano o, per gli studenti, verso le città in cui studiano. Lo stato dell'arte ci dice appunto che, nonostante gli impegni fattivi e concreti delle regioni verso un trasporto regionale più efficiente, il trasporto interregionale è di difficile interruzione. Anzi, un'interruzione di tale servizio si configurerebbe per davvero come l'interruzione di un diritto al trasporto verso località che sono necessariamente da raggiungere per motivi di lavoro, di studio o anche semplicemente per quella clientela che non può permettersi le spese relative all'utilizzo dell'alta velocità, servizio che, invece, Trenitalia sembra voler privilegiare, forse come unico servizio di livello interregionale.
  Credo che lo stato dell'arte ci dica che le nostre sollecitazioni verso il Governo ad ottenere risposte rispetto a questa materia testimoniano non solo la sofferenza dei pendolari, ma anche la sofferenza o, forse, l'insofferenza di Trenitalia verso questo servizio, forse perché è un servizio su cui l'azienda non solo non intende investire, ma non intende proseguire i propri investimenti; e questo credo sia un nodo da affrontare da parte del Governo allorquando il Ministro delle infrastrutture Delrio sostiene, a ragione, di volere investire risorse ingenti verso il trasporto regionale ed interregionale.
  Tuttavia, prendiamo atto che l'azienda di riferimento ogni anno ci pone di fronte a questa problematica, su cui molti parlamentari intervengono: lo testimonia proprio il numero di firme, la facilità con la quale siamo riusciti ad ottenere una sollecitazione dal Governo e anche un'interlocuzione verso le amministrazioni regionali e, attraverso di loro, verso l'azienda Trenitalia. Tutto questo testimonia che questa problematica si ripropone, diciamo in maniera continua, ciclicamente.
  Forse il Governo può farsi carico di assumere un'iniziativa sul criterio rispetto al quale il trasporto interregionale deve essere valutato nel novero dei servizi offerti per il trasporto dei pendolari, degli studenti o, comunque, della clientela che non necessariamente e non solamente può avvantaggiarsi di un servizio che è all'interno delle proprie regioni, e quindi può valutare se anche il servizio dell'alta velocità possa essere allargato in termini di perimetro affinché possa essere utilizzato in una forma plausibile anche da parte dei pendolari e della clientela che adesso ne rimane esclusa.
  Penso che non vorrei ritrovarmi, tra qualche mese, al cambio dell'orario, verso quello estivo, con una nuova proposta di Trenitalia delle soppressioni di qualche numero di servizi intercity, perché so benissimo che il Governo, anche in quel momento, si farebbe carico di intervenire, di concerto con le regioni interessate. Credo, però, che questo sia verosimile. Credo, dunque, che forse un ragionamento Pag. 15più complessivo e, forse, risolutivo potrebbe essere messo in atto dal Governo stesso.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Del Basso De Caro, ha facoltà di rispondere.

  UMBERTO DEL BASSO DE CARO, Sottosegretario di Stato per le Infrastrutture e i trasporti. Grazie, Presidente. In risposta ai quesiti posti dagli interroganti, Trenitalia ricorda che la quasi totalità dei servizi intercity è inserita nel contratto di servizio stipulato tra Trenitalia e lo Stato e che, come è noto, la caratteristica di tali treni è quella di non essere economicamente sostenibili da parte di Trenitalia e, quindi, lo Stato eroga corrispettivi in coerenza con quanto stabilito nel piano economico-finanziario, inserito anch'esso nel contratto.
  Fanno eccezione solo cinque coppie di intercity, che sono state effettuate in regime di mercato da Trenitalia fino a tutto il 2016, compresi i collegamenti che servono Prato, Firenze, Arezzo e Chiusi. Questi treni registrano ormai da anni perdite economiche estremamente rilevanti, che ammontano a diversi milioni di euro e, pertanto, Trenitalia, non potendo continuare a sostenerne l'onere, ne aveva previsto la soppressione a partire dal 2017.
  Tuttavia, anche in considerazione della funzione di tali collegamenti per il traffico pendolari, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ne ha evitato la soppressione. Infatti, nell'ambito delle trattative per il nuovo contratto di servizio di media-lunga percorrenza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha previsto la inclusione di detti collegamenti nel nuovo perimetro, scongiurando così i paventati disagi all'utenza e operando al meglio nell'interesse della collettività.
  Quanto poi alla ipotesi di realizzare una stazione per i treni di alta velocità nel sud della Toscana, Rete Ferroviaria Italiana ricorda che nel dicembre 2014 è stato costituito un tavolo tecnico per individuare la posizione più idonea da assegnare ad una nuova stazione sulla linea di alta velocità Roma-Firenze nel tratto Arezzo-Chiusi, denominata Medio Etruria. Il tavolo tecnico è composto dai rappresentanti di regione Umbria e regione Toscana, dall'Università di Firenze, di Siena e di Perugia nonché dalla stessa Rete Ferroviaria Italiana.
  Il tavolo tecnico ha individuato cinque possibili posizioni: Arezzo e Chiusi nelle attuali stazioni, sfruttando le interconnessioni con la linea lenta; Rigutino, lungo la linea di alta velocità ad una distanza di circa 100 metri dalla linea lenta, con possibilità, quindi, di realizzare l'interscambio ferro-ferro; Valdichiana, località Farneta, al chilometro 175 della linea direttissima, baricentrica rispetto al bacino senese e al bacino perugino ed in corrispondenza della strada provinciale n. 28; Chiusi sud, infine, situata a circa 1,2 chilometri dall'attuale stazione. Le possibili alternative, che ora ho descritto, sono in corso di valutazione.

  PRESIDENTE. Il deputato Dallai ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  LUIGI DALLAI. Grazie, Presidente. Ringrazio il sottosegretario per la puntualità con la quale ha risposto all'interpellanza e anche per l'attivazione del Ministero verso Trenitalia per la salvaguardia dei treni intercity per la percorrenza interregionale.
  Come appunto si evince anche dalle parole del sottosegretario, il problema oggettivo di questo servizio di treni intercity è la loro sostenibilità finanziaria, essendo un servizio in teoria di mercato, ma sostanzialmente che non riesce minimamente a sostenere i propri costi. Tuttavia, sappiamo che, in assenza di alternative, i costi devono essere sostenuti. Quindi, ripropongo, come credo possa anche trasparire dalle valutazioni che venivano elencate dal sottosegretario, il problema di valutare eventuali alternative e, in assenza di eventuali alternative, avere la certezza della continuazione di questo servizio. Grazie.

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(Iniziative urgenti per fare chiarezza sulla morte di un alto funzionario del consolato italiano in Venezuela – n. 2-01536)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente n. 2-01536 dei deputati Cenni ed altri (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Cenni se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  SUSANNA CENNI. Grazie, Presidente. Questa interpellanza è relativa a un fatto tragico verificatosi sette mesi fa. Il 4 giugno scorso è stato ritrovato nella sua abitazione a Caracas il corpo senza vita di Mauro Monciatti, un alto funzionario del consolato italiano in Venezuela, originario di Sinalunga, nella provincia di Siena. Nonostante le autorità venezuelane avessero indicato come causa della morte un infarto del miocardio, questa tesi è apparsa subito poco convincente per i familiari della persona deceduta, che hanno ipotizzato un omicidio legato all'attività lavorativa del congiunto e per i legali della famiglia.
  Il 9 giugno del 2016, nel corso della discussione che c’è stata in Commissione e su un'interrogazione dell'onorevole Porta, il Ministero degli affari esteri, parlando del Venezuela come di un Paese che sta attraversando una delle fasi più critiche della sua storia, che si sta ripercuotendo anche sulla numerosa comunità italiana residente, le cui condizioni economiche e sociali sono fortemente deteriorate, ha di fatto non escluso la tesi dell'omicidio.
  Monciatti era ovviamente un servitore dello Stato, aveva svolto incarichi in molte realtà: era stato in Africa, in Bielorussia, a lungo in Perù, prima di giungere a Caracas. Le indagini difensive fino a oggi svolte ed acquisite dall'avvocato della famiglia sostengono che Monciatti, il 6 giugno del 2016, non si era presentato al lavoro, non rispondeva al telefono; pertanto il consolato generale d'Italia a Caracas aveva disposto l'invio di due incaricati presso la sua abitazione, per accertarsi di cosa poteva essere accaduto al loro collega. Giunti alla residenza di Monciatti, i due colleghi constatavano che la porta blindata esterna era socchiusa e altrettanto il portone blindato. In seguito all'arrivo sul luogo di agenti del Corpo di Polizia locale, era stato poi possibile constatare la morte del funzionario italiano, il quale si trovava riverso a terra davanti alla porta di ingresso dell'abitazione, posto in una posizione che ostacolava addirittura l'apertura della porta. Il suo corpo evidenziava escoriazioni sulla parte esterna di entrambe le braccia, alla fronte, al mento, un'ecchimosi all'occhio destro, escoriazioni sulle ginocchia e inoltre era evidente la presenza di tracce di sangue sulla parte esterna del portone blindato, sul lavandino del bagno, sul pavimento di fronte al portone, cosa senz'altro difficilmente compatibile con una morte naturale da arresto cardiaco. Questi elementi evidenziano e confermano in maniera abbastanza inconfutabile che Monciatti è stato vittima di un'aggressione. Va ricordato anche che ulteriori indagini approfondite risultano ad oggi abbastanza complesse, perché le autorità venezuelane hanno effettuato due autopsie – o comunque due interventi sul corpo di Mauro Manciatti – tanto che questo corpo è giunto in Italia privo degli organi e l'attuale autopsia disposta dalla procura della Repubblica di Roma è ancora in corso e in attesa di ricevere i vetrini degli esami di laboratorio. La procura della Repubblica di Roma ha da tempo svolto istanza di rogatoria internazionale, sebbene ad oggi senza successo.
  I congiunti avevano presentato denuncia dinanzi alla procura della Repubblica di Siena che, appurata la precedente apertura del procedimento penale presso la procura la Repubblica di Roma, ha immediatamente trasmesso gli atti a quest'ultima.
  I familiari chiedono anche un'ispezione sull'attività lavorativa del loro congiunto, ritenendo che la causa della morte potrebbe essere collegata al lavoro che il congiunto stava svolgendo in consolato.Pag. 17
  Concludo dicendo questo all'attenzione del sottosegretario. La morte di quest'uomo di Stato ha visto una reazione molto forte nella comunità di Sinalunga e in quella senese. Il consiglio regionale della Toscana ha approvato lo scorso 14 dicembre una mozione che impegna anche quella sede istituzionale ad attivare ogni utile iniziativa, così come ha fatto il consiglio comunale di Sinalunga. Io ho avuto modo di incontrare e parlare con il fratello, ho sentito la moglie, la signora Valentina, sono in contatto con il loro legale. Ho avuto modo di sentirli e di leggere le loro ragioni e le loro motivazioni.
  Mi sento, ovviamente, di rappresentare al Governo, nella richiesta di interpellanza, le ragioni di questa famiglia, che chiede prima di tutto di fare chiarezza e di conoscere la verità. Io ho potuto constatare che è una famiglia molto consapevole e molto determinata nel fare tutto quello che è necessario per conoscere la verità ed è un diritto che io credo il Governo avrà cura di rendere anche il suo obiettivo.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, Della Vedova, ha facoltà di rispondere.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Vorrei innanzitutto rinnovare il mio più vivo e sentito cordoglio ai familiari di Mauro Monciatti, deceduto, come ha richiamato l'onorevole interrogante, il 6 giugno scorso.
  Com’è noto, era in servizio presso il consolato generale a Caracas, dopo aver servito per ben 36 anni la Farnesina e il Paese nel corso di una lunga carriera svolta in gran parte all'estero. Sulla base dell'esame autoptico effettuato a Caracas, le autorità venezuelane hanno indicato, in un primo momento, che si è trattato di un arresto cardiaco. Tale diagnosi aveva tuttavia, fin da subito, sollevato dei dubbi, in particolare per le condizioni in cui il corpo è stato ritrovato, con una vistosa ferita alla testa e una forte perdita di sangue. A seguito dell'avvio di un'indagine da parte delle autorità locali, i cui risultati non sono finora stati resi noti, la Farnesina si è immediatamente attivata per chiedere alle autorità venezuelane di fare piena chiarezza sulle cause del decesso di Mauro Monciatti.
  Anche da noi, com’è stato richiamato, la magistratura ha avviato un'indagine e, non appena giunta in Italia, la salma è stata sottoposta a una nuova autopsia, la quale tuttavia non ha potuto fornire un esito approfondito a causa della pratica comune a tutti i Paesi dell'America del Sud di prelevare quasi tutti gli organi interni. Il nostro Ministero della giustizia ha quindi inviato, il 28 luglio scorso, una richiesta di assistenza giudiziaria internazionale rivolta alle autorità venezuelane, chiedendo di poter acquisire il risultato degli esami effettuati a Caracas sugli organi interni di Mauro Monciatti.
  Nel frattempo, numerose sono state le sollecitazioni e le azioni di sensibilizzazione svolte dalla nostra ambasciata nei confronti delle autorità locali. Tra queste segnalo che il 13 luglio l'ambasciatore d'Italia a Caracas ha incontrato il Vice Ministro degli esteri venezuelano, ottenendo l'assicurazione di un suo interessamento personale, pur trattandosi di indagine svolta dall'autorità giudiziaria locale in piena autonomia. Lo stesso Ministro Gentiloni, lo scorso 28 luglio – allora Ministro Gentiloni –, aveva sollevato la questione del decesso di Mauro Monciatti nel corso di un incontro a Roma con il Ministro degli affari esteri del Venezuela, signora Delcy Rodriguez. Il Ministro chiese la massima collaborazione delle autorità venezuelane, attirando, sul piano più generale, anche l'attenzione della Rodriguez sulle sempre più difficili condizioni che la nostra comunità affronta, in particolare in termini di assistenza sanitaria e sicurezza. Il Vice Ministro Giro, in occasione di una visita in Venezuela nell'ottobre scorso, aveva sollevato la questione del decesso di Mauro Monciatti, ricevendo dal suo omologo rassicurazioni in merito all'attenzione Pag. 18che le autorità venezuelane dedicano alla questione e conferma della massima disponibilità a collaborare. Il Governo, consapevole in particolare della necessità di dare risposte ai familiari, come richiamato dall'onorevole interrogante, continuerà con impegno ad adoperarsi con le autorità venezuelane affinché possa essere fatta piena luce su quanto accaduto. Dobbiamo tuttavia aver presente le condizioni in cui operiamo. La morte di Mauro Monciatti è purtroppo un doloroso capitolo in un contesto politico, sociale e di sicurezza fortemente deteriorato, un contesto che rende difficili le condizioni di vita della popolazione venezuelana, inclusi i 150 mila connazionali che risiedono nel Paese. Da parte sua il Governo italiano continuerà a porre in essere ogni sforzo a sostegno della mediazione politica vaticana. L'obiettivo resta quello di favorire un dialogo tra Governo e opposizione e far sì che l'attuale fase di gravissimo stallo istituzionale possa essere finalmente superata. Certo si tratta di una mediazione non facile, ma continuiamo a sostenerla con convinzione, d'intesa con il resto della comunità internazionale.
  Parallelamente – e concludo con questo – continuiamo a lavorare a tutela dei nostri connazionali. Di recente è stata risolta la nota questione della rivalutazione delle pensioni per un consistente numero di connazionali residenti in Venezuela, così come insisteremo nel chiedere al Governo di Caracas di assicurare standard minimi di assistenza sanitaria alla collettività italiana, in particolare per quanto concerne l'accesso ai farmaci e cercando di superare le resistenze di Caracas nel dichiarare lo stato di emergenza e permettere, in tal modo, l'invio di aiuti umanitari. Parimenti, continueremo a mettere in campo ogni sforzo per tutelare le imprese italiane che sono rimaste nel Paese.

  PRESIDENTE. La deputata Cenni ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  SUSANNA CENNI. Grazie, Presidente. Sottosegretario, io la ringrazio per il garbo, la cortesia ed anche la precisione con cui ha richiamato una serie di passaggi che ci sono stati, ma, francamente, faccio fatica a potermi considerare soddisfatta della risposta, perché lei ha ben presente che sono passati sette mesi da quel momento e che la famiglia da sette mesi si sente ripetere la stessa cosa. È abbastanza discutibile che in sette mesi noi non abbiamo potuto avere una risposta sull'esito delle autopsie compiute, sull'esito delle indagini svolte dalle autorità locali e diventa difficile per me ritenermi soddisfatta della risposta all'interpellanza. Apprezzo, ovviamente, la buona volontà, la determinazione – che lei anche oggi ha confermato – nel voler proseguire. E io le chiedo di proseguire, non lasciando sola questa famiglia, anche incontrando questa famiglia che, le ripeto, è quotidianamente attiva – il fratello, la moglie, i familiari – per tentare ogni strada per comprendere quanto è successo. Mi chiedo anche se non sia il caso che la stessa Farnesina attivi tutti i suoi strumenti per svolgere proprie indagini con le proprie competenze e con i propri uomini per quanto possibile, poiché il fatto è avvenuto in un Paese straniero, ma comunque si tratta di una figura che rappresenta il nostro Governo, il nostro Paese in quel contesto. Non ho molto altro da aggiungere se non questo, ecco, io continuerò ovviamente a seguire gli interessi della famiglia e ad accompagnare i familiari in ogni percorso possibile per giungere alla verità su questa vicenda incresciosa; cosa che, francamente – e rinnovo la richiesta – chiedo di fare anche al nostro Governo.

(Orientamenti ed iniziative del Governo, in sede internazionale ed europea, per la piena affermazione dei diritti costituzionali in Turchia – n. 2-01537)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Romanini ed altri n. 2-01537 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Romanini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

Pag. 19

  GIUSEPPE ROMANINI. Grazie, signora Presidente. L'interpellanza che brevemente illustrerò rischia di apparire un po’ fuori tempo rispetto ai fatti ai quali è riferita, infatti è stata presentata in condizioni di massima urgenza dal sottoscritto e da altri 43 colleghi di diversi schieramenti politici all'inizio del mese di novembre 2016 dopo che, la notte del 3 dello stesso mese, nell'ambito di un'operazione antiterrorismo condotta dalla polizia turca nella gran parte delle province del sud-est del Paese, erano stati arrestati e tradotti in carcere undici deputati del Partito Democratico dei Popoli, il partito filocurdo meglio noto come Hdp, compresi i leader Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag. L'agenda della Camera e l'avvicendamento al Governo del Paese ci hanno portati a discuterne oggi, a più di due mesi di distanza dai fatti, ma purtroppo quel che è accaduto in Turchia in questo lasso di tempo non ne ha fatto venir meno l'attualità, anzi, quella che appare una vera e propria torsione antidemocratica della Turchia si è arricchita di nuovi fatti: arresti di giornalisti, rimozione di sindaci, chiusura di stazione radio, di stazioni televisive, di quotidiani e, infine, una sequela incessante di brutali attentati terroristici.
  Si ha notizia di diversi arresti anche nella giornata di ieri. Ebbene, l'arresto dei deputati curdi ha fatto seguito all'approvazione, da parte del Parlamento turco, avvenuta il 20 maggio 2016, quindi, ben prima del fallito golpe di luglio, di un emendamento costituzionale che ha revocato l'immunità per i deputati sottoposti ad indagine giudiziaria. C'era, quindi, un disegno addirittura precedente al golpe. Noi abbiamo avuto modo di denunciare con l'interpellanza n. 2-01391, dell'8 giugno 2016, come la revoca dell'immunità avesse proprio l'obiettivo di colpire i deputati del partito filocurdo che, nel giugno del 2015, era tornato in Parlamento, riuscendo a superare la soglia di sbarramento del 10 per cento, e mettendo oggettivamente in crisi la possibilità, da parte del Presidente Erdogan, di far approvare direttamente dal Parlamento turco un progetto di revisione costituzionale in senso presidenziale, senza ricorso al referendum confermativo, come quello che, invece, si dovrebbe tenere probabilmente nel prossimo mese di aprile in Turchia. Il Presidente turco, peraltro, aveva più volte auspicato la rimozione dell'immunità per i parlamentari curdi, accusandoli di essere il braccio politico del PKK, tanto che, al momento dell'approvazione dell'emendamento costituzionale, il segretario dell'HDP, Selahattin Demirtas, aveva annunciato la presentazione di un ricorso alla Corte costituzionale, dichiarando: «nessuno dei nostri deputati andrà volontariamente in tribunale. Dovranno venirci a prendere con la forza, perché in Turchia non c’è un potere giudiziario indipendente che possa garantire un giusto processo». Ebbene, così è stato. Come detto, l'arresto dei dodici deputati non è stato un fatto isolato, ha seguito il fermo di Gultan Kisanak e Firat Anli, i due cosindaci dell'Hdp della città di Diyarbakir, anch'essi accusati di legami con il terrorismo e contiguità con il PKK e di centinaia di attivisti del medesimo partito. Tutti questi arresti hanno determinato vaste proteste in Turchia e in Europa, dure prese di posizione dei Governi di diversi Paesi, fino all'approvazione, a larga maggioranza, il 24 novembre, da parte del Parlamento europeo, di una risoluzione che chiede la sospensione dei negoziati per l'adesione della Turchia all'Unione europea. Il Partito Democratico dei Popoli, dal canto suo, in segno di protesta, sta boicottando le sedute della Grande Assemblea di Ankara e ciò aggiunge ai già citati fatti, di per sé estremamente gravi, una conseguenza politica altrettanto grave, perché l'arresto praticamente dell'intero gruppo dirigente del più grande partito di opposizione ha messo fuori gioco il possibile interlocutore del Governo turco nel caso in cui questi avesse voluto mettere su un terreno di dialogo negoziale il tentativo di risolvere la questione curda. L'interlocutore poteva essere esattamente il partito la cui leadership, oggi, è purtroppo agli arresti. Ce lo ha confermato Osman Baydemir, uno dei più qualificati politici del Kurdistan turco, avvocato, deputato dell'HDP, già sindaco di Pag. 20Diyarbakir braccio destro di Demirtas, ospitato a Roma nel passato mese di dicembre nell'ambito delle attività dell'Intergruppo parlamentare di amicizia con il popolo curdo. E lo confermano a maggior ragione le parole che prendo dalla dichiarazione resa congiuntamente in tribunale da Demirtas e dagli altri parlamentari arrestati: «il nostro partito HDP ha adottato politiche adeguate alla struttura sociale multiculturale, multilingue, multireligiosa della Turchia e che comprendono i rappresentanti di tutte le identità e fedi diverse del Paese. Noi, come turchi, curdi, arabi, armeni, turcomanni, assiri, yezidi, mihellemi e molti altri gruppi etnici che credono nella democrazia e nella convivenza, crediamo che una vita giusta ed equa sia possibile, e che ciò possa essere raggiunto solo attraverso una democrazia pluralista e robuste autonomie e democrazie locali. Il nostro partito HDP difende la lotta delle donne per la libertà e l'emancipazione. Garantendo pari partecipazione delle donne in politica, il nostro partito ha raggiunto la più alta rappresentanza femminile nella storia della Turchia. La rimozione dell'immunità dei deputati di sesso femminile nel nostro partito è una minaccia contro le donne in Turchia, e un colpo contro la lotta delle donne. Noi ci opponiamo totalmente a tutti i tipi di violenza e crediamo nella forza del dialogo e dei negoziati come soluzione a tutti i problemi».
  Ecco, queste, tra le altre, le parole di Demirtas e degli altri davanti ai tribunali.
  Questa esautorazione dell'Hdp, anche senza il passaggio formale della sua messa fuori legge, può avere importantissime ricadute sugli sviluppi del conflitto in atto tra il Governo e il Pkk: la delegittimazione dell'Hdp da parte del Governo, le misure della massima gravità, come l'arresto dei suoi vertici, hanno infatti un significato molto chiaro per la popolazione curda; si tratta del tramonto della via politica alla risoluzione della questione curda, che comprende al suo interno non soltanto il conflitto con il Pkk, bensì anche il più generale riconoscimento dei diritti della minoranza curda e la prospettiva di ottenere un riassetto amministrativo per l'intera regione.
  Alla luce di queste ragioni chiediamo, signor sottosegretario, quali siano gli orientamenti politici del Governo rispetto agli accadimenti in Turchia citati nel testo dell'interpellanza e a quelli che, da allora, si sono susseguiti, i quali, nel loro insieme, delineano chiaramente un processo di involuzione antidemocratica. Chiediamo a lei che cosa il Governo intenda fare, quali iniziative intenda assumere o abbia assunto, dal momento che son passati due mesi, in sede internazionale e soprattutto europea, finalizzate a favorire la piena affermazione dei diritti civili e politici in quel Paese, compresa la scarcerazione dei deputati arrestati e il ripristino dell'immunità parlamentare, a garanzia del libero esercizio del mandato di rappresentanza per i deputati di ogni parte politica.
  Questo chiediamo, consapevoli che sarebbe un errore e un danno per gli stessi oppositori interni – questa è una strada stretta, evidentemente – isolare completamente la Turchia ed interrompere ogni dialogo con un Paese col quale abbiamo rapporti, che è sempre stato nostro alleato e che sempre abbiamo considerato amico.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova , ha facoltà di rispondere.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. I recenti attentati ad Istanbul e Smirne e il barbaro assassinio dell'ambasciatore russo ad Ankara testimoniano come la situazione interna in Turchia continui ad essere particolarmente delicata. Il Ministro Alfano ha espresso al Ministro degli esteri turco, Cavusoglu, la ferma condanna dell'Italia per i recenti attentati e il nostro cordoglio per le vittime e ha inoltre ribadito la strenua determinazione con cui il nostro Paese continuerà a combattere il terrorismo accanto ai Paesi amici e ai partner internazionali.Pag. 21
  Nello stesso tempo, il Governo continua a mantenere la più viva attenzione sull'evolversi della situazione in Turchia, monitorando i riflessi e le conseguenze dei fatti che, nei mesi scorsi, hanno destato preoccupazione in Italia e in Europa. Penso alle misure adottate nell'ambito dello stato d'emergenza, decretato a seguito del fallimento del golpe del 15 luglio, stato d'emergenza che, come è noto, a seguito dell'attentato della notte di Capodanno, è stato ulteriormente rinnovato; penso alla recrudescenza del conflitto con il Pkk, che continua a mietere vittime civili e militari in ogni parte del Paese; e ancora, penso alla particolare esposizione agli attacchi del Daesh, che sembra colpire obiettivi turchi selezionati per il loro carattere filo occidentale o, comunque, libertario.
  In ogni caso, deve essere chiaro che il sostegno che abbiamo dato e diamo alla Turchia nel contrastare il golpe militare e la solidarietà di fronte agli attacchi terroristici – inclusi quelli del Pkk, che con l'Unione europea consideriamo un'organizzazione terroristica – non giustificano in alcun modo arresti come quelli dei leader e parlamentari dall'Hdp, che dovrebbero, anzi, essere un interlocutore e, semmai, una chiave di soluzione dei problemi del Paese. A tal proposito, ricordo che sia a Palazzo Chigi che la Farnesina hanno immediatamente manifestato ad Ankara la più viva preoccupazione, condannando ogni uso politico delle recenti norme sulla revoca dell'immunità parlamentare. Continuiamo, inoltre, a fare appello alle autorità turche, affinché tutelino adeguatamente le libertà civili e democratiche e lo stato di diritto.
  In questo contesto estremamente complesso, a cui non sono estranei gli sviluppi del tragico conflitto siriano, ritengo, insieme alla stragrande maggioranza dei Paesi europei, che sia importante continuare a mantenere un dialogo politico ad alto livello con Ankara, come in qualche modo evocato anche nell'illustrazione dell'interpellanza, anche per tutelare i valori fondanti dell'Unione Europea e continuare a promuovere l'ancoraggio euroatlantico della Turchia. Analogamente, perseguiamo, insieme ai principali partner europei, un dialogo con le forze politiche e le principali organizzazioni non governative che in Turchia si battono per la difesa dei diritti civili.
  Come ha avuto modo di ricordare recentemente il Ministro Alfano, la Turchia resta un solido alleato NATO e un partner imprescindibile per la nostra sicurezza. Una brusca interruzione del processo di adesione potrebbe ripercuotersi negativamente sulla stabilità del Mediterraneo e dei Balcani, oltre che fornire pretesti per un’escalation della retorica antioccidentale. Siamo, peraltro, convinti che la responsabilità delle scelte sul futuro dei rapporti tra Unione europea e Turchia sia principalmente nelle mani di Ankara.

  PRESIDENTE. Il deputato Romanini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  GIUSEPPE ROMANINI. Grazie, signora Presidente. Io ringrazio il sottosegretario Della Vedova per la risposta argomentata, che non mi aspettavo diversa perché, giustamente, come viene ricordato, il ruolo della Turchia in quella regione è un ruolo al quale non possiamo rinunciare, sia perché solido alleato della NATO, sia per ragioni di stabilità complessiva, sia per gli accordi, sui quali pure si potrebbe discutere, sottoscritti tra l'Unione europea e la Turchia per quel che riguarda la partita dei migranti.
  Questo non può e non deve, tuttavia, farci dimenticare che, se ci sono possibilità di una composizione pacifica di un conflitto e di una questione curda, che dura da un secolo e che riguarda la Turchia, la Siria, l'Iraq e l'Iran, questo passa per la valorizzazione e l'emancipazione di quei partiti come l'Hdp – che oggi sono stati ingiustamente castigati da Erdogan sulla base di un progetto che, come ripeto, era precedente al colpo di Stato, perché l'eliminazione dell'immunità parlamentare è assolutamente precedente –, di quei partiti democratici che fondano la loro esistenza sulla ricerca del dialogo anche e soprattutto Pag. 22per la soluzione della questione curda, che dura, come dicevo, da un secolo. Da questo punto di vista, io mi dichiaro soddisfatto della risposta del sottosegretario e chiedo, però, che questa attenzione, anche in termini di diretta presa di rapporti con l'Hdp da parte del nostro Governo, debba essere un sostegno concreto, visibile e fattivo, nel senso di avere rapporti diretti con un partito che, unico, può garantire quella transizione da una gestione con le bombe della questione curda ad una gestione parlamentare e di dialogo.
  Ecco, mi fermo qui. Sono sicuro che sulla sensibilità del sottosegretario su questi temi non vi siano dubbi, auspico che questa sia una sensibilità di tutto il Governo.

(Iniziative per tutelare i creditori e i soci della cooperativa «La Perla» e per garantire maggiore trasparenza con riguardo alle procedure di commissariamento per la liquidazione coatta amministrativa delle cooperative – n. 2-01549)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Gagnarli ed altri n. 2-01549 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Gagnarli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  CHIARA GAGNARLI. Questa interpellanza racconta una vicenda assurda, chiunque voglia comprenderne il senso si deve immaginare di vivere per anni con l'ansia di perdere la propria abitazione, di vivere pagando il mutuo senza che gli venga riconosciuto il diritto di proprietà, una vicenda assurda con dinamiche che non sembrano logiche, ma che hanno prodotto un caso unico nel suo genere, seppure in Italia di fallimenti di cooperative legate all'edilizia ce ne siano moltissimi.
  Secondo i dati ministeriali del 2015, le cooperative edilizie erano 10.100, di cui 440 in stato di insolvenza, 85 fallite e 355 in liquidazione coatta amministrativa.
  «La Perla» è una di queste cooperative edilizie, avente sede ad Arezzo che, all'inizio degli anni Duemila, assume l'incarico per la costruzione della lottizzazione de La Pace, con abitazioni che sono arrivate a costare dai 300 ai 400 mila euro.
  I problemi cominciano nel 2009, quando i soci compratori si recano dal notaio per formalizzare il contratto di compravendita. Una delle persone coinvolte ha detto queste parole: «Quando andammo dal notaio per formalizzare il contratto di compravendita, il presidente della cooperativa ci chiese altri 35 mila euro, nonostante noi ed altre famiglie avessimo già pagato tutto il dovuto. In quel momento, diciannove famiglie pagarono. Noi ed altri, seppur in condizioni diverse, ci rifiutammo di ripagare e non ci consegnano il contratto. Nel 2009, la casa doveva essere nostra, ma non lo è diventata, nonostante noi ci abitassimo, nonostante avessimo acceso un mutuo ventennale, che tuttora paghiamo per l'acquisto. Dalla nostra abbiamo anche una sentenza, la prima in Italia del genere, nella quale il giudice, sia in primo grado che in appello, ha confermato che non dovevamo pagare quei 35 mila euro, che non che non avevano il diritto di chiederceli, oltretutto, visto che il fallimento della cooperativa è successivo, datato 2010». La Corte d'appello di Firenze, in maniera chiara e precisa, stabilisce che al momento in cui i soci si recano dal notaio offrendo di pagare il costo di costruzione, le case devono essere assegnate e che la richiesta degli ulteriori 35 mila euro era assolutamente illegittima.
  Il Ministero dello sviluppo economico, in data 5 maggio 2010, ha nominato due ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per esaminare i documenti e valutare, considerata la delicatezza della situazione e la necessità di tutelare prioritariamente i soci, se fosse preferibile il commissariamento o la liquidazione coatta amministrativa. Le case realizzate sono le uniche abitazioni per le famiglie dei soci, i quali ormai vi abitano da anni.Pag. 23
  Gli ispettori nominati avevano 120 giorni per redigere la loro relazione, ma, inspiegabilmente, prima della scadenza del termine e più precisamente in data 6 agosto 2010, con decreto ministeriale n. 309 del 2010, pubblicato in data 30 settembre, è stata disposta la liquidazione coatta amministrativa della cooperativa «La Perla», con contestuale nomina dei tre liquidatori: il dottor Giovanni Lisi, il dottor Stefano Parati e l'avvocato Roberto Mantovano. Intanto, però, l'ex presidente della cooperativa, Angiolo Fracassi, il 20 dicembre 2013, viene condannato in primo grado a due anni e otto mesi di reclusione per tentata estorsione e bancarotta fraudolenta.
  Dopo la nomina, l'operato del liquidatore rimane estraneo ai soci non assegnatari, ai quali, come primo atto, viene inviata una lettera con cui, ai sensi dell'articolo 72 della legge fallimentare, si comunica lo scioglimento del vincolo di assegnazione delle case già pagate e abitate da anni.
  Nonostante la sentenza di condanna del presidente della cooperativa, nonostante il fallimento sia successivo al momento in cui si sarebbe dovuto perfezionare il contratto d'acquisto, i liquidatori ritengono che quanto statuito nella sentenza circa l'illegittimità della pretesa di ulteriori 35 mila euro, che erano finalizzati, chiaramente, a ripianare i debiti cagionati dalla cattiva amministrazione della cooperativa, sia assolutamente ininfluente.
  A fine 2015, in appello, il capo d'accusa di tentata estorsione per l'ex presidente della cooperativa viene modificato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alle persone: ma la condanna rimane, pur venendo ridotta di sei mesi. Proprio la Corte d'appello ribadisce con forza che le case dovevano essere assegnate, senza che potesse essere preteso il pagamento di ulteriori 35 mila euro, oltre al fatto che il costo di costruzione, a sua volta, è lievitato molto nel corso degli anni.
  La cosa surreale che dicono i liquidatori è che la casa potrebbe essere messa all'asta per recuperare i soldi. Questo perché le quote versate fino ad oggi da queste famiglie in qualità di soci della cooperativa, in mancanza del rogito, costituiscono un credito chirografario, perciò, nel caso di fallimento o liquidazione della cooperativa, è difficile da recuperare, in quanto vengono prima soddisfatti i creditori privilegiati, tra cui, paradossalmente, potremmo ritrovare lo stesso presidente condannato, che ha diritto a percepire il TFR per l'attività svolta.
  La cosa grave è che ci sono tutta una serie di questioni civilistiche che riguardano gli amministratori per la responsabilità gravissima nella gestione di questa cooperativa. Come mai non è stata fatta un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ? Nel 2010, il presidente si è liberato di tutti i suoi immobili e non è stato richiesto nessun sequestro; oltretutto, nel 2013, è stato condannato in primo grado anche per aver distratto circa 300 mila euro, ma neanche in quell'occasione è stata fatta la revocatoria per la vendita di quello stesso immobile del valore di 600 mila euro. E adesso tutto è caduto in prescrizione. Rossi, al tempo pubblico ministero, e adesso procuratore capo di Arezzo, aveva autorizzato la Guardia di finanza a mandare una relazione con la quale potevate chiedere il sequestro conservativo.
  Emergono, dunque, delle gravi mancanze a carico dei liquidatori: emerge che i commissari liquidatori non abbiano effettuato il sequestro conservativo di un immobile dell'ex presidente della cooperativa, nonostante fossero stati informati della messa in vendita del bene del valore di 600 mila euro; che i commissari liquidatori non abbiano effettuato alcuna azione revocatoria al fine di far dichiarare inefficace la cessione della proprietà del suddetto bene immobile e che, essendo trascorsi ormai più di cinque anni dall'alienazione, hanno perso qualunque diritto previsto dalla legge; infine, emerge come i commissari liquidatori non abbiano intrapreso azioni di responsabilità civile nei confronti degli ex amministratori della cooperativa, nonostante la cattiva gestione Pag. 24di questi ultimi abbia condotto ad un ammanco che ammonterebbe a 4 milioni di euro.
  Nonostante gli inviti della prefettura, le sentenze che accertavano come l'aver negato l'assegnazione fosse illegittimo e gli inviti dei soci a recuperare dagli altri somme ancora dovute in forza dei contratti di assegnazione, i liquidatori hanno parlato solo di vendita all'asta. Nessun tentativo di concordato promosso dai soci, che avrebbe garantito a tutti i creditori di recuperare parte del credito è stato mai possibile proprio perché i liquidatori, pur essendo stati sollecitati più volte, hanno sempre omesso di quantificare il costo delle spese di liquidatela da inserire nel concordato. È incomprensibile come lo Stato, tramite i suoi incaricati, possa trattare i cittadini che denunciano i reati peggio di coloro che li commettono.
  Ritengo che queste omissioni dei commissari liquidatori si qualifichino come vere e proprie negligenze. Sono o no pubblici ufficiali ? Qui si potrebbe pensare all'omissione di atti d'ufficio. Hanno compromesso il patrimonio della cooperativa e, quindi, danneggiato le legittime aspettative dei creditori e dei soci, i quali, ove non vengono assegnate le case, sono – ripeto –, a loro volta, creditori della cooperativa stessa.
  Per giunta, da quanto ci risulta, uno dei tre commissari liquidatori, avvocato Mantovano, nel corso degli ultimi anni, sarebbe stato designato in numerose procedure: tanto per citarne qualcuna, ricordiamo: la nomina a commissario liquidatore della cooperativa «Elio Bernabei» da parte del Ministero delle infrastrutture; la nomina a commissario liquidatore della Banca dei Due Mari di Calabria da parte della Banca d'Italia; la nomina a commissario governativo della cooperativa edilizia «Polaris» da parte del ministro delle infrastrutture. Riteniamo che il contemporaneo svolgimento di molteplici incarichi non sia compatibile con il dovere di sana e prudente gestione delle società commissariate.
  Inoltre, ci teniamo ad evidenziare una carenza di trasparenza nelle procedure dei commissariamenti per le liquidazioni coatte amministrative. Vorremmo sapere quali sono i criteri con cui si costituiscono i comitati di sorveglianza in seno al Ministero dello sviluppo economico; vorremmo fosse possibile accedere all'albo con cui vengono nominati i liquidatori; vorremmo poter sapere chi compra i beni in liquidazione e con quali fondi. Questa trasparenza servirebbe a controllare in meglio le liquidazioni coatte amministrative dove sospettiamo si possano annidare grosse legalità e possibili forme di nuovo riciclaggio di capitali di provenienza illecita.
  Per questo, le chiediamo quali provvedimenti intende assumere per tutelare creditori e soci della cooperativa «La Perla»; se intende verificare quali siano gli incarichi di liquidatore attualmente ricoperti dall'avvocato Mantovano e se, alla luce dell'operato negligente nel caso della cooperativa «La Perla», anche lei ritiene che il contemporaneo svolgimento di molteplici incarichi di tale tipologia non siano compatibili con il dovere di sana e prudente gestione delle società commissariate. Infine, vorremmo capire se anche a lei sembra una cosa sensata ed opportuna adoperarsi affinché le liquidazioni coatte amministrative diventino dei procedimenti più accessibili e trasparenti.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, ha facoltà di rispondere.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico. Grazie, Presidente. Come ricordato dalla onorevole Gagnarli, in sede di stipula del rogito, alcuni soci della cooperativa edilizia «La Perla» versarono la somma richiesta dal presidente e altri, invece, rifiutano il pagamento e furono esclusi dall'assegnazione dell'abitazione. Questi ultimi diedero inizio alla trafila giudiziaria, conclusasi con la condanna del Fracassi in primo grado, nel 2013, per bancarotta e tentata estorsione, reato quest'ultimo, poi, derubricato, in appello, in quello di esercizio abusivo delle proprie ragioni, con minaccia alle persone.Pag. 25
  La cooperativa, che aderiva a Confcooperative, è stata, poi, posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 6 agosto 2010, in ragione dello stato di insolvenza in cui versava, nonché per il forte contrasto venutosi a creare tra la base sociale e l'organo amministrativo, nonché per l'indisponibilità dei soci a far fronte alla copertura dei debiti.
  Questi dati emergono sia dalla relazione dei revisori mandati da Confcooperative che dai dati dei bilanci – tra cui l'ultimo, 31 dicembre 2009 – approvati dall'assemblea dei soci. All'atto dell'insediamento, i commissari liquidatori ritennero di dover procedere, per la tutela del ceto creditorio, allo scioglimento dei rapporti di prenotazione ed assegnazione, ai sensi dell'articolo 72 della legge fallimentare, poiché a fronte di un passivo di 1.400.000 euro circa per la sola parte privilegiata, l'unico attivo concreto era costituito dalle villette non ancora cedute in proprietà. Ne è seguito un contenzioso nei confronti della procedura liquidatoria, volto a ottenere in sede giudiziale l'assegnazione degli alloggi, con diverse sentenze sfavorevoli già definitive per gli ex assegnatari, il cui credito accertato giudizialmente è di mera natura chirografaria.
  Su questo aspetto va precisato che i commissari liquidatori, come risulta anche dalle relazioni semestrali prodotte nel tempo, si siano attivati per tentare di tutelare gli assegnatari che non avevano potuto rogitare, ammettendo nello stato passivo il credito degli stessi con la collocazione privilegiata, in virtù delle loro domande giudiziali ex articolo 2932 del codice civile, ritenendo, secondo un'interpretazione analogica del disposto di questa norma, di poter assimilare la domanda giudiziale, ex articolo 2932 trascritta, ad un vero e proprio preliminare di vendita trascritto. Questa interpretazione è stata fortemente osteggiata, oltre che da alcuni creditori privilegiati, da circa venti ex soci che avevano già rogitato ed acquisito la proprietà dell'alloggio, i quali, peraltro, avevano altresì intimato ai commissari di provvedere alla vendita degli alloggi non rogitati. Proprio in ragione delle opposizioni proposte da questi e dai creditori privilegiati, il giudice del tribunale di Arezzo, sezione fallimentare, in accoglimento delle loro richieste, non condividendo l'interpretazione prospettata dai commissari, ha degradato a chirografo il credito degli ex soci che non avevano rogitato.
  In questo contesto, i commissari riferiscono di aver comunque sempre rappresentato, fin dall'apertura della procedura, la propria disponibilità ad addivenire ad una soluzione transattiva, che vedesse, da un lato, soddisfatto l'interesse degli ex assegnatari all'assegnazione dell'alloggio e, dall'altro, il diritto dei creditori a vedere soddisfatte, anche se non integralmente, le proprie ragioni di credito ammesse nello stato passivo. Ad oggi, solo tre degli ex assegnatari hanno aderito alla definizione bonaria e hanno rogitato, acquisendo la proprietà dell'alloggio. Tuttavia, i commissari continuano a mantenere una fattiva apertura verso soluzioni transattive, se pure a condizioni differenti rispetto agli atti già conclusi, anche a fronte delle menzionate sentenze nel frattempo intervenute, favorevoli alla procedura e alla linea sinora seguita dagli stessi commissari.
  Sulle notizie di stampa riportate dagli interpellanti in merito alla richiesta di sequestro conservativo di un bene immobile dell'ex presidente Fracassi, i commissari hanno evidenziato come da un punto di vista penale non fosse possibile nessuna tutela cautelare in funzione del risarcimento dei danni, perché all'apposito momento procedurale, ovvero dopo il rinvio a giudizio dell'imputato dinanzi al GUP (settembre 2011) e la costruzione della procedura quale parte civile, gli immobili erano già fuori dalla disponibilità del Fracassi. Come riferito sempre dai commissari liquidatori, la stessa Guardia di finanza, con nota del 10 maggio 2011, anteriore quindi alla conclusione delle indagini e l'accesso al fascicolo da parte dei commissari, comunicava al PM che il Fracassi aveva già venduto il grosso dei suoi beni, peraltro gravati da ipoteca su Pag. 26mutuo, con atto del 10 marzo 2011. Quanto sopra riferito appare peraltro confermato dal fatto che né il pubblico ministero né le altre parti civili costituite nel processo hanno ritenuto di proporre tale misura conservativa al giudice.
  Ad avviso dei commissari, peraltro, non sussistevano neanche i presupposti per l'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria, perché la stessa avrebbe dovuto essere esperita al fine di far revocare l'atto di vendita per un bene immobile già gravato da ipoteche a garanzia di un mutuo preesistente alla vendita, e quindi opponibile alla procedura liquidatoria, poiché la banca mutuante avrebbe avuto il diritto di soddisfarsi in via preferenziale sull'eventuale ricavato della vendita coattiva del bene.
  Non vi era neppure il presupposto di dover revocare l'atto in questione, affinché potesse costituire garanzia dell'esito risarcitorio derivante da un'eventuale azione di responsabilità, che non poteva essere esperita per i motivi che vengono di seguito esposti. La situazione debitoria della cooperativa era ben nota a tutti i soci che avevano approvato tutti i bilanci della stessa, e ammontava, prima dell'apertura della liquidazione coatta amministrativa, a 1.185.197 euro, per privilegi, e a 254.566 euro, per chirografo, vantati da banche ipotecarie, professionisti, artigiani ed erario. Quindi, è anzitutto errato parlare di un ammanco di 4 milioni, perché il passivo di 4 milioni si è generato solo a seguito dell'apertura della liquidazione coatta amministrativa, in ragione del credito vantato a titolo di restituzione somme versate in conto prezzo dagli ex soci che non hanno stipulato il rogito, da un lato, e in ragione del credito da finanziamento postergato dall'altro, cioè da restituirsi solo a fronte dell'avvenuta ed integrale soddisfazione dei creditori preferiti, cioè banche ipotecarie, professionisti, artigiani, erario, insinuato allo stato passivo da venti ex soci, che in sede di stipula del rogito avevano versato la somma richiesta di euro 35 mila (l'aspetto che veniva prima ricordato).
  Si potrebbe argomentare che, essendo la cooperativa già in deficit da prima del 2006, il CdA avrebbe dovuto rispondere, a titolo di responsabilità, per il danno ascrivibile dalla perdita del patrimonio netto per la prosecuzione dell'attività di impresa, senza aver prima ricostituito, con l'apporto dei soci, il patrimonio stesso. Tuttavia, nel caso della cooperativa «La Perla», dalla perdita del patrimonio netto non vi è stata alcuna attività successiva, posto che la stessa aveva già interrotto l'attività prevista dall'oggetto sociale, cioè la realizzazione degli immobili. Non vi erano quindi i presupposti per l'esperimento dell'azione di responsabilità, fatta salva l'azione per i fatti integranti la bancarotta fraudolenta, cioè gli atti distrattivi, per i quali la procedura liquidatoria, come già detto, aveva già svolto l'azione in sede penale, per la quale si è regolarmente costituita parte civile nel processo. Il Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito delle proprie competenze, continuerà a vigilare sull'attività dei commissari, anche sulla base delle notizie fornite dal comitato di sorveglianza, per assicurare la soddisfazione dei creditori nel rispetto del principio della par condicio creditorum, nonché al fine di tutelare l'interesse pubblico.
  Per quanto concerne le procedure di nomina dei commissari liquidatori degli enti cooperativi, si segnala, nel caso di specie, che la nomina ministeriale dei commissari liquidatori è avvenuta ai sensi della normativa vigente in materia, cioè tenendo conto della terna di persone designate dall'Associazione nazionale di rappresentanza del movimento cooperativo, a cui la Cooperativa «La Perla», in liquidazione coatta amministrativa, come peraltro già detto, aderiva. Voglio anche sottolineare che, al fine di assicurare la massima trasparenza ed efficienza, con la circolare n. 574 del giugno 2015, la competente direzione generale del Ministero dello sviluppo economico ha provveduto a perfezionare le procedure per la raccolta delle manifestazioni di interesse dei professionisti interessati a svolge le funzioni di commissario liquidatore e commissario Pag. 27governativo sulla base dei presupposti fissati dalla legge. Inoltre, per garantirne l'effettività, il Mise ha posto in essere un sistema di scelta tramite estrazione informatica su base regionale del professionista, già presente in banca dati, cui affidare un incarico, considerando la sede legale della cooperativa da sottoporre a procedura e il domicilio professionale dei professionisti già censiti.
  Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per quanto di propria competenza, informa, circa la trasparenza delle procedure dei commissariamenti, d'aver istituito, nel 2009, l'elenco dei commissari governativi delle cooperative edilizie fruenti di contributo pubblico, ove sono indicati i nominativi cui lo stesso Ministero attinse per il conferimento degli incarichi medesimi. Questo elenco è pubblicato sul sito della citata amministrazione, cioè del MIT.
  L'ultimo aggiornamento è stato effettuato, con decreto direttoriale, il 28 gennaio 2016. Riferisce ancora il Ministero delle infrastrutture che, con propria circolare del 28 marzo 2008, pubblicata anch'essa sul sito, sono stati individuati i criteri sulle nomine dei commissari governativi delle società cooperative edilizie, disciplinate dal testo unico n. 1165 del 1938 e, pertanto, dallo stesso vigilate. Gli incarichi di commissario liquidatore ricoperti dall'avvocato Mantovano per cooperative edilizie vigilate dal MIT riguardano le cooperative edilizie CO.MI. di Roma, Polaris di Formia, Bernabei di Roma. All'avvocato Mantovano è stato conferito, altresì, l'incarico di commissario governativo della cooperativa edilizia Narbona di Roma ed è stato nominato membro del comitato di sorveglianza della cooperativa edilizia Pietro Nenni di Torino. Sempre lo stesso Ministero delle infrastrutture aggiunge, infine, che ha potuto finora rilevare un corretto e adeguato svolgimento degli incarichi conferiti al nominato avvocato, anche nella gestione delle procedure di liquidazione di cooperative edilizie interessate, prima del commissariamento, da gravi situazioni amministrative e di insolvenza.
  Sempre con riferimento al numero di incarichi di liquidatore dell'avvocato Mantovano, su precisazioni e informazioni dell'interessato stesso – assicura il MIT –, si apprende che la maggior parte delle procedure affidategli sono prive di concreta rilevanza, attesa anche la scarsità dell'attivo, e, comunque, la maggior parte delle stesse, quali quelle citate nell'interpellanza in esame, in fase di chiusura. L'avvocato Mantovano precisa ancora – dice il MIT – che, proprio con riferimento alla cooperativa Polaris, che vede, in situazione analoga, coinvolti 26 ex soci assegnatari versare nelle medesime condizioni, la procedura è in corso di definizione, in virtù di soluzioni transattive autorizzate dall'autorità di vigilanza per oltre il 70 per cento dei soci; così come la procedura della BCC dei Due Mari di Calabria, soggetta ad altre autorità di vigilanza, è stata positivamente definita ed a breve si procederà agli atti finali.

  PRESIDENTE. La deputata Gagnarli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  CHIARA GAGNARLI. Grazie, Presidente. Grazie, Sottosegretario, per la risposta. Ma non posso ritenermi soddisfatta, in quanto quello che ha detto il Sottosegretario, ossia che all'inizio alcuni hanno aderito alla richiesta, quindi hanno riscattato la casa, è vero, ma alla fine si è dimostrato che hanno ceduto a un ricatto, altrimenti non ci sarebbe stata la condanna dell'ex presidente. Quindi, non si può fare una colpa a persone che hanno denunciato una situazione, in quel caso, veramente illegale. Quindi, ben venga che ci siano persone che non cedono ai ricatti, che non si sono fatte ricattare per paura di perdere la casa. Quindi, questa non è una giustificazione. Alcuni l'hanno fatto; complimenti a chi non l'ha fatto perché ha dimostrato di tenere più alla legalità rispetto alla paura di perdere il proprio bene.
  Inoltre, si dimostra ancora che si continua a tutelare chi commette reati. Infatti, stringendo la lunga risposta che poi rileggeremo, Pag. 28si chiede alla fine di ripagare le case per intero. Alcuni di quelli che hanno aderito alla procedura lo hanno fatto perché avevano un credito magari superiore a 100 mila euro. Sono persone che l'hanno pagata per intero. Non è possibile che, dopo aver pagato 200 mila euro, gli si richieda di ripagarla. Veramente, in questo caso lo Stato dovrebbe intervenire come minimo.
  Lei dice che non era dovuta l'azione di responsabilità del sequestro dei beni del presidente Fracassi, ma e non è vero. C’è una lettera del liquidatore Lisi in cui si diceva al PM che dovevano fare il sequestro. Quindi, in realtà, c’è stato qualcosa che non è stato fatto correttamente. Secondo noi, ci sono delle cose veramente non chiare, che più volte abbiamo portato all'attenzione anche in altre occasioni, cosa che continueremo a fare perché, secondo noi, c’è bisogno anche di portare l'attenzione su questi fatti. Questo è il caso della cooperativa La Perla, ma ci sono anche altri fatti.
  Anche la cooperativa Polaris è stata oggetto di un'interrogazione ed è stata all'onore della cronaca per fatti poco chiari. Quindi, crediamo che, oltre al fatto che il Ministero vigili e faccia più chiarezza su queste vicende, probabilmente deve essere interessata anche la Commissione antimafia. La Presidente Bindi è stata informata di quello che sta succedendo. Credo che veramente vada fatta un'analisi più approfondita di tutto quello che è successo e di quello che c’è dietro quello che è successo. Infatti, è un'ingiustizia palese il fatto di aver pagato completamente una casa e poi veder premiare chi ha tentato di truffarmi e di farmi rimanere senza casa. Io mi metto sempre nei panni di queste persone, ne capisco la disperazione e la volontà di giungere anche a un termine di questa vicenda, che ormai dura da numerosi anni. Chiedo che veramente si faccia chiarezza su quello che c’è dietro questo modo di gestire la liquidazione coatta amministrativa de La Perla, ma anche di casi simili. Infatti, sicuramente qualcosa non torna e dietro i cavilli amministrativi, cose molto tecniche, sicuramente c’è qualcosa che non quadra e chiediamo che la questione venga maggiormente approfondita.

(Iniziative, anche normative, per tutelare le imprese italiane da acquisti speculativi di aziende straniere e per valorizzare gli asset strategici nazionali – n. 2-01572)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fantinati ed altri n. 2-01572 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Fantinati se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MATTIA FANTINATI. Certamente. Grazie, Presidente. Saluto lei, saluto i nostri colleghi e saluto i membri del Governo. Saluto anche chi ci sta guardando oggi, un venerdì mattina con un Parlamento che ci sembra davvero quasi vuoto. Oggi vi voglio parlare del cuore del nostro Paese, oggi vi voglio parlare di eroi. Sono i nostri imprenditori, sono le nostre piccole e media imprese. Voglio parlarvi dei nostri talenti creativi, che combattono tutti i giorni, che non gettano la spugna e rimangono nel nostro territorio. Mentre le grandi multinazionali se ne scappano all'estro, magari ricoperte anche di incentivi pubblici, quelli di cui vi sto parlando – i nostri eroi – sono quelli che hanno saputo reinventarsi, quelli che promuovono tutti i giorni il nostro made in Italy all'estero.
  Però, guarda caso, se io devo pensare a che cosa ha fatto il Governo in questi ultimi anni, ma anche i Governi precedenti, nessuno si cura di loro. Il Governo forse è troppo occupato a sistemare una riforma costituzionale o a sistemarsi con una riforma costituzionale. Ma non se ne occupa nemmeno la BCE, che si interessa solo di tasse, spread, finanza creativa: sempre leggi per gli amici degli amici. È vero: bisogna essere eroi per fare impresa in Italia, senza servizi, con la tassazione soffocante, con uno Stato strozzino che non rimborsa i crediti e chiede gli anticipi sulle tasse ed interessi spaventosi per ogni ritardo nei pagamenti. Sono sempre leggi Pag. 29basate sul sospetto; infatti, chiedere gli anticipi delle tasse del nuovo anno è una legge basata sul sospetto. Non c’è mai una legge basata sulla fiducia. Io li capisco un po’ quegli imprenditori che non credono più nella politica, quelli che magari hanno votato a sinistra e si sono trovati negli appalti e nelle cooperative, hanno provato a votare a destra, pensando la meritocrazia, e hanno magari trovato la corruzione. Ora che sinistra e destra governano insieme, magari tenute insieme dai finanziamenti delle lobby, capiscano che ormai questo Governo, come anche quelli precedenti, non ha mai fatto quasi niente per loro.
  Vediamo questa interpellanza sulla tutela del made in Italy. Osserviamo ogni giorno aziende, una volta eccellenze di questo Paese, vendute o ricomprate, spesso passate da una parte all'altra, da un Paese all'altro. Stiamo parlando della storia di molti nostri marchi di eccellenza, nati in Italia, ma che oggi di italiano hanno ben poco. Infatti, molte delle nostre migliori realtà imprenditoriali sono state schiacciate dalla congiuntura economica negativa. Fare un'impresa in Italia è difficile perché la concorrenza è agguerrita. Ogni giorno – parlate con gli imprenditori – bisogna reinventarsi. Ma nel caso italiano, oltre a dover essere competitive sul mercato, le nostre imprese devono difendersi da uno Stato strozzino, che le opprime con troppa burocrazia, con una tassazione iniqua, con la mancanza di aiuti e tutele e con l'impossibilità di accedere al credito.
  Questo intreccio terribile di fattori ha inciso sulla mortalità delle imprese, creando una sorta di mercato malato, all'interno del quale si registra la chiusura di realtà imprenditoriali importanti per quasi tutte le nostre tipologie di produzione. «Paese in svendita» intitolava, lo scorso 26 marzo, il quotidiano Il Tempo.
  «I capitali degli sceicchi stanno acquisendo i centri del potere finanziario e industriale italiano». Da un lato, per carità, è una legge del mercato e non ci sarebbe nulla di male se l'afflusso di questi capitali stranieri fosse avvenuto secondo le normali regole di mercato ma abbiamo assistito al fatto che queste aziende si sono spesso dovute piegare a una vendita sottocosto rispetto al loro reale valore. E sa perché tutto questo, signore del Governo ? Perché questa situazione è avvenuta a causa dell'assenza totale di uno Stato e della politica che non ha mai preso una posizione forte rispetto al progressivo sfaldamento dell'economia italiana, preferendo un atteggiamento silenzioso e proprio per questo complice. Nonostante si parli ormai da anni della vendita a prezzi stracciati del prodotto Italia, purtroppo nessuno ha mai voluto dire la verità, nessuno ha mai voluto dire le cose come stanno: nulla è stato fatto per contrastare questo stato. L'Italia è diventata il Paese dello shopping e non mi riferisco certo ai turisti stranieri che vengono qui a fare shopping nei nostri negozi ma di aziende del made in Italy che finiscono nelle mani di holding straniere perdendo la loro identità e spesso anche i poli produttivi. I saldi all'italiana che negli ultimi anni hanno portato oltre 500 marchi nostrani in mano straniera non accennano a fermarsi. Come si legge dai media soltanto dal 2008 al 2014 ben 830 aziende italiane sono passate nelle mani di acquirenti stranieri per un valore complessivo che supera 101 miliardi di euro, cifra che arriva tranquillamente a 115 dal momento che nelle operazioni di cessione i piccoli importi non sono stati dichiarati. Nello stesso periodo gli investimenti di aziende italiane all'estero, se calcoliamo anche l'altra faccia della medaglia, si sono fermati a 340 per un capitale più o meno di 65 miliardi. Un caso su tutti, la FIAT di Detroit, dopo decenni di aiuti da parte di uno Stato, non solo non ha incentivato la produzione in Italia con un aumento di posti lavoro ma ha anche guardato bene i propri interessi e dal novembre 2012 ha spostato la sede legale in Olanda e il domicilio fiscale nel Regno Unito con tutti i benefici fiscali che ne consegue. A questo punto questa sarebbe l'Europa unita che voi avete creato ? Stessa sorte per la casa FIAT Chrysler fondata a gennaio 2014 e già con le Pag. 30doppie radici ad Amsterdam e a Londra. Lo stesso discorso vale per il prestigioso marchio Ferrari con lo scorporo da FCA e il doppio trasloco datati ottobre 2015. Il 6 maggio 2016 il sito disappore.com illustrava le recenti cessione di marchi storici italiani in mani straniere. Faccio qualche esempio: cioccolatini Pernigotti in mano ai turchi, spumanti Gancia in proprietà russa, gelato Grom in mano ad una multinazionale anglo-olandese, le paste Scotti e Garofalo in mano agli spagnoli, il nostro olio o, meglio, il nostro ex-olio extravergine italiano Carapelli, Sasso, Bertolli che sono in mano a ditte spagnole. Italia in svendita, stranieri scatenati per i nostri marchi: intitolava così un articolo di Libero del 27 ottobre. Però purtroppo l'articolo non trattava nemmeno le conseguenze di tali transazioni perché le aziende italiane che vengono acquisite da aziende straniere vengono anche svuotate dei macchinari e del know how oltre a non riaprire più nel nostro Paese. D'altra parte in un mercato globalizzato all'interno del quale diventa ogni giorno più dura e senza esclusione di colpi, la concorrenza non si fa più solo attraverso un'innovazione di processo e di prodotto ma anche e soprattutto attraverso l'eliminazione dell'avversario diretto, acquistandone l'azienda e dismettendone la produzione. Cito un libro di Sun Tzu «L'arte della guerra» dove si dice «catturare intatto un esercito nemico è meglio che sterminarlo» e questi nostri competitor stranieri lo stanno facendo molto bene. Vedete, signori del Governo, come la svendita della rete produttiva italiana di fatto impoverisca il nostro Paese sia dal punto di vista economico per la perdita di asset immateriali a volte difficili da quantificare perché vengono meno anche le nostre tradizioni, la nostra esperienza, la nostra storia. In questo senso va ricordato che l'imprenditoria italiana è fatta soprattutto di piccole e medie imprese costruite nel corso di decenni con alla base il concetto di qualità ed eccellenza. Non solo, ma accanto a questi problemi non si può tacere in merito alla condizione nella quale versano migliaia di lavoratori cassintegrati che ad ogni nuovo cambio di proprietà attendono la possibilità di un reintegro spesso invano. Quello che spesso accade purtroppo è che, rilevata un'azienda che prima produceva in Italia, si trova più conveniente delocalizzare la produzione in Paesi con minor costo di lavoro ma soprattutto anche con meno barriere burocratiche, con normative diverse da quella italiana sul piano della sicurezza sul lavoro e su quello della tutela dei consumatori.
  Negli ultimi anni con modalità ed interessi differenti imprenditori francesi, cinesi, giapponesi, arabi, americani si sono presentati in Italia affascinati dalle competenze – poi magari torneremo dopo su questo punto – e dalla capacità degli ingegneri – qui faccio una pausa – designer, artigiani cogliendo rinnovate opportunità di investimento e di business per il futuro. Infatti nonostante l'insieme delle statistiche a una prima lettura definisca un'immagine spesso negativa o perlomeno di chiaroscuro dell'economia italiana, ancora oggi il nostro Paese è in grado di fare la differenza quando si tratta di realizzare non solo abiti o gioielli di lusso ma anche in altri settori importantissimi: la meccanica di precisione, ricerca, tecnologia. Chiedo dunque al Ministro sui fatti sopra descritti quali iniziative anche normative – soprattutto normative – intenda adottare al fine di tutelare le imprese italiane dagli acquisti speculativi di aziende straniere con la conseguenza di perdite di posti di lavoro, di personale specializzato e inevitabilmente di abbandono degli standard di qualità del prodotto. Chiedo inoltre se non ritenga di individuare quali siano gli asset strategici industriali italiani da sviluppare e su cui investire.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, ha facoltà di rispondere.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico. Grazie, Presidente. L'obiettivo dell'intera politica economica del Governo è Pag. 31il rilancio della crescita attraverso una serie di misure finalizzate a rendere il Paese più competitivo, salvaguardando in tal modo anche i livelli occupazionali di tutte le aziende che operano in Italia indipendentemente dalla loro proprietà. In diversi interventi si sono anticipate le linee che il Ministero dello sviluppo economico intenderà seguire. Si è volutamente evitato di costruire questo piano sulla base di incentivi a bando che vadano a identificare tecnologie da supportare. Si sono invece definiti i cluster tecnologici sui quali operare. Si è infatti da poco varato il Piano industria 4.0 finalizzato al sostegno della competitività del sistema produttivo nazionale e ad accompagnare le imprese nel necessario processo di ammodernamento e innovazione, anche in chiave di digitalizzazione dei processi produttivi. È opportuno evidenziare che per il Governo le aziende da aiutare sono quelle che si trovano in difficoltà o quelle che vogliono investire. Si è proposto di raggiungere questo obiettivo attraverso una serie di strumenti che vanno dal rafforzamento del fondo di garanzia al super e iper-ammortamento, al credito d'imposta, alla Nuova Sabatini, al lavoro sulle competenze. Un altro importante obiettivo che ci si è posti è l'internazionalizzazione al fine di rafforzare la presenza anche delle PMI sui mercati internazionali. Un veicolo cruciale per ottenere questo risultato è l'attrazione di investimenti esteri di qualità. A questo fine bisogna sia proseguire il percorso di riforme strutturali sia comunicare adeguatamente i vantaggi competitivi del nostro Paese e gli effetti delle politiche attuate. Chiaramente in questo quadro non vi è spazio per politiche pubbliche che sollecitino la vendita ad operatori esteri di quote azionarie di importanti e storiche aziende italiane. L'acquisizione da parte dei gruppi multinazionali di marchi italiani è e deve rimanere un'attività di impresa rispondente a sole logiche di sviluppo aziendale. Il Governo deve invece vigilare perché queste acquisizioni non si traducano in riduzione della nostra base industriale o in perdita di posti di lavoro e anzi portino all'espansione dell'attività svolta in Italia, in particolare delle attività a maggior valore aggiunto. Il miglior modo per garantire questo risultato è ancora creare un contesto favorevole agli investimenti e alla crescita dell'occupazione, indipendentemente dalla nazionalità di riferimento del gruppo che investe. Da questo punto di vista un'azienda è italiana se investe, lavora e produce reddito in Italia. Le aziende acquisite da un gruppo multinazionale vedono espandere il proprio fatturato soprattutto all'estero e le tecnologie e il know how sviluppati in Italia finiscono per essere ulteriormente valorizzati dalle logiche di sviluppo globale, ad esempio creando in Italia centri di competenza ed espandendo altresì la capacità produttiva degli stabilimenti italiani per servire altre aziende del gruppo multinazionale. A completamento dell'intervento di consolidamento della competitività del sistema produttivo nazionale il Ministero dello sviluppo economico ha da tempo avviato una specifica politica di rilancio delle aree caratterizzate da una situazione di crisi. L'azione non si articola solo nei circa 150 tavoli di crisi gestiti dal MiSE ma prevede specifici interventi di riconversione e riqualificazione dei territori riconosciuti come aree di crisi industriale complessa e non complessa. Il tutto al fine di contribuire alla tutela dell'occupazione e delle professionalità acquisite dai lavoratori già portatori di know-how. Il Piano Industria 4.0 ha in sé pertanto due aspetti fondamentali di trasformazione del sistema industriale italiano: uno evolutivo, che mira prevalentemente al miglioramento dell'azienda attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie; l'altro più rivoluzionario che porta a nuovi modi di competere più dirompenti fino ad oggi poco praticati per mancanza di uno sviluppo adeguato delle citate tecnologie.

  PRESIDENTE. Il deputato Fantinati ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

Pag. 32

  MATTIA FANTINATI. Grazie, Presidente. Io ho ascoltato anche con attenzione ciò che ha esposto il sottosegretario, che è un po’ la politica che sta facendo questo Governo. Tuttavia non posso ritenermi soddisfatto, perché io ho trovato scarse risposte alle problematiche che ho illustrato.
  Ho sentito questo excursus molto veloce, quasi condensato, soprattutto sugli incentivi a bando dati tramite il piano Industria 4.0. Ma questo piano presenta una criticità molto particolare che è: andiamo verso la robotizzazione, verso la digitalizzazione, attenzione che, se fisiologicamente andiamo verso questo tipo di industria, dall'altra parte dobbiamo mettere in atto delle misure che quanto meno tutelino i lavoratori. Perché, se sta cambiando l'industria, sta cambiando anche il lavoro, la tipologia di lavoro, il metodo della retribuzione di lavoro.
  Queste parole, Ministro – diciamocelo molto chiaramente –, francamente le ho sentite dire e ridire nel corso di questi anni, sinceramente però non ho visto fatti concreti. Quello che le posso dire, se le posso dare un consiglio, è di andare a parlare con gli imprenditori sui territori.
  Prima li abbiamo definiti eroi, quelli che mantengono l'azienda sul territorio, quando magari non solo molte aziende multinazionali delocalizzano, ma anche aziende pubbliche vengono privatizzate per essere svendute a grandi capitali stranieri. Chiedo al nostro sottosegretario, ma anche ai suoi colleghi di Governo, di parlare con gli operai e spiegare a loro come mai lo Stato non è mai intervenuto per evitare la delocalizzazione dell'impresa dove lavorano. Sinceramente, ve lo dico molto francamente, io vi ritengo responsabili di questa svendita, vi ritengo responsabili, perché non avete fatto nulla. Prima mi sono fermato in un punto, perché non posso non ricordare quella disastrosa e vergognosa figuraccia che il governo del MISE ha fatto parlando dei nostri ingegneri. Su quella brochure, che spiegava alle aziende straniere «Venite pure in Italia a comprare le aziende italiane, tanto i nostri ingegneri costano poco, tanto il nostro know how costa poco», si parlava di ingegneri low cost.
  Cosa dire ? Io so che ieri avete incontrato al Ministero una delegazione del CNI, il Consiglio nazionale degli ingegneri, e c'erano dei giovani con voi che vi hanno portato delle proposte operative. Io vi chiedo soltanto di ascoltarli e di mettere in pratica ciò che vi hanno chiesto, perché i nostri ingegneri, i nostri professionisti, le nostre aziende, i nostri artigiani rappresentano la nostra tradizione, il nostro know how, il nostro patrimonio futuro.
  Tornando a noi, che cosa possiamo dire ? Da un lato, chi può fare, vedo che non ha fatto niente. Il MoVimento Cinque Stelle per le aziende ha fatto più di quello che poteva fare. Lo diciamo dappertutto, ci siamo tagliati gli stipendi, abbiamo pensato noi alle piccole e medie imprese, con il microcredito, dormendo tre notti fuori dal Ministero dell'economia e delle finanze per farci aprire un IBAN dove versare i nostri fondi. Abbiamo creato 3 mila imprese, 7 mila posti di lavoro, senza chiedere un soldo e senza intascarci nulla. Forse questa è una misura fatta da un'opposizione, una delle più grandi misure economiche della storia fatta da un'opposizione. Noi le piccole e medie imprese non le abbiamo lasciate sole. Forse è la misura che può far ripartire l'economia di questo Paese ? Forse no, non siamo certo degli ingenui e dei sognatori, però è la prima misura di una forza politica che denota che questa forza ha fiducia nei propri imprenditori.
  Che cosa dire ? Il Governo, oltre che propinarci una riforma costituzionale scritta male e truffaldina, giustamente rigettata al mittente dai cittadini italiani, mi scusi, che cosa ha fatto ? In questa sede io avrei gradito sentirla parlare di cosa sarebbe il caso di fare, in fretta, per arginare questa – questa ! – situazione di svendita delle nostre piccole e medie imprese italiane.
  Avrei gradito sentirla parlare di sgravi fiscali, incentivi per le aziende che investono in Italia, di tutti quegli atti posti per iniziare a cambiare la rotta di questo Paese. Poi, se mi chiede se sono soddisfatto, Pag. 33io ho sentito le sue cose, cose che si sapevano già, cose dette e ridette. Io la invito a farsi un giro tra le imprese e gli imprenditori. Noi e tanti cittadini non vi crediamo più, perché tante parole, fatti concreti davvero pochi. Grazie.

(Iniziative di competenza volte a salvaguardare i livelli produttivi e occupazionali degli impianti di Assemini e Avezzano della società multinazionale Vesuvius – n. 2-01541)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente n. 2-01541 dei deputati Luigi Di Maio ed altri (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Luigi Di Maio se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  LUIGI DI MAIO. Grazie, Presidente. Mi rivolgo al Governo, facendo notare che lo scorso 3 gennaio il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha fatto un tweet, dicendo: «la General Motors sta mandando modelli di Chevy Cruze prodotti in Messico, esentasse, ai concessionari USA. Fateli negli Stati Uniti o pagherete molti dazi». È stato un tweet chiaro che, finalmente, mette un freno ai costruttori che fabbricano modelli in Messico per poi venderli negli Stati Uniti, minacciandoli semplicemente di introdurre dazi altissimi alla dogana. Ford ha rinunciato a un investimento programmato in Messico di 1,6 miliardi di dollari. Perché dico questo ? Perché dal 2012, anno in cui il PD ha iniziato a governare questo Paese – e non ha mai smesso, perché Monti, Letta, Renzi, Gentiloni –, da quell'anno, secondo uno studio di Confartigianato, le imprese italiane delocalizzate all'estero sono oltre 6.500, con un fatturato complessivo di 217 miliardi di euro e l'impiego di quasi 835 mila operai e addetti lontani dai confini italiani.
  Io non so se ci rendiamo conto: Dainese ha delocalizzato due stabilimenti in Tunisia (circa 500 adetti, produzione quasi del tutto cessata in Italia); Geox, stabilimenti in Brasile, Cina e Vietnam (su circa 30 mila lavoratori, solo 2 mila sono italiani); Bialetti – quelli che ci consentono di fare il caffè ogni mattina con la moka –, fabbrica in Cina (rimane il marchio dell'omino, ma i lavoratori perdono il lavoro); OMSA, stabilimento in Serbia (cassa integrazione per 320 lavoratrici italiane); Rossignol, stabilimento in Romania, dove insiste la gran parte della produzione, 108 esuberi a Montebelluna; Ducati Energia, stabilimenti in India e Croazia; Benetton, stabilimenti in Croazia (a questi regaliamo anche le autostrade italiane); Calzedonia, stabilimenti in Bulgaria; Stefanel, stabilimenti in Croazia; Telecom Italia, call center in Albania, Tunisia, Romania, Turchia, per un totale di circa 600 lavoratori, mentre in Italia vengono dichiarati 9 mila esuberi di personale; Wind, call center in Romania e Albania, tramite aziende in outsourcing per un totale di circa 300 lavoratori; Vodafone, call center in Romania, tramite aziende sempre in outsourcing, per un totale di 300 lavoratori impiegati; Sky Italia, call center in Albania; Magneti Marelli apre uno stabilimento produttivo in Serbia; Bianchi e Atala, delocalizzazione della produzione in Turchia e altri Paesi asiatici; Kavo Promedi, esperta nella fabbricazione di poltrone, lo stabilimento di Genova è stato recentemente chiuso e i macchinari nottetempo in Polonia; Almaviva, 2.500 licenziamenti e un biglietto per la Romania.
  Questa interpellanza è di due mesi fa – ci avete risposto solo ora – e riguarda uno dei tanti insediamenti produttivi che stanno spostando la produzione all'estero e a cui voi vi limitate soltanto a chiedere, per cortesia, di restare. Da quando abbiamo presentato – io, la collega Corda, il collega Vallascas, il collega Vacca ed altri – questa interpellanza sono passati due mesi e intanto la Vesuvius, che aveva stabilimenti ad Assemini in Sardegna e ad Avezzano in Abruzzo, se ne sta andando e ha licenziato 190 dipendenti.
  In un incontro tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico, i rappresentanti di questa azienda hanno affermato Pag. 34l'intenzione di non voler cedere gli impianti ad imprenditori che volessero avviare un'attività in concorrenza con la produzione della Vesuvius. Perché ? Perché oltre il danno, la beffa: questi non solo se ne vanno, sembra in Repubblica Ceca, e portano la produzione lì, ma continuano a tenere il mercato italiano di quel prodotto !
  Noi abbiamo incontrato i dipendenti di questa azienda, sia ad Avezzano che ad Assemini. La Vesuvius sembra essere in Italia dal 1956. Abbiamo incontrato gli operai, come dicevo, e anche i dirigenti; abbiamo incontrato tutti quelli che lavorano in questa azienda, e ci hanno raccontato di come in questi anni, prima i padri e poi i figli, durante i processi produttivi hanno inventato molti prodotti che poi sono stati portati anche negli stabilimenti esteri della Vesuvius: il sangue che hanno dato i lavoratori di queste aziende nel far progredire questa azienda ! E intanto, questi stabilimenti hanno sicuramente preso soldi dallo Stato: incentivi per i macchinari, corsi di formazione, aggiornamento; soldi che arrivano alle regioni e poi dalle regioni vengono trasferiti agli insediamenti produttivi, soldi dello Stato, delle tasse dei cittadini. Adesso se ne vanno all'estero, continuando a possedere anche il mercato italiano !
  Quello che voi avete fatto per noi non è abbastanza: chiedere di venderla a qualcuno. Allora qui, in questo caso della Vesuvius, ci sono tutte le mancanze di questo Governo, che non è passato per le elezioni, di quello precedente di Matteo Renzi, che pensava solo ai tweet, di quello di Letta, che si premurava di passare 7 miliardi e mezzo di euro alle banche, e di quello di Monti che ci ha dato la prima mazzata lacrime e sangue, di quest'ultima serie. Voi non avete mai fatto un piano per l'acciaio in questo Paese. Questa azienda è collegata ai grandi stabilimenti che si occupano di acciaio in questo Paese: non avete mai fatto un piano strategico nazionale, e quindi non ci avete mai detto se questo tipo di stabilimenti siano strategici per la produzione dell'acciaio in Italia. Non avete mai chiesto a queste aziende che se ne vanno di restituire i soldi delle tasse degli italiani, che hanno preso per incrementare la loro produzione in Italia, per comprare i nuovi macchinari: non avete mai chiesto niente di tutto questo; e siccome non abbiamo un piano strategico, non possiamo neanche dire se questi stabilimenti siano strategici oppure no, per fare intervenire lo Stato e salvarli dalla chiusura. Perché noi vi abbiamo chiesto anche questo: perché in questo Paese non possiamo pensare che solo quando stanno fallendo le banche amiche vostre mettete 20 miliardi di euro sul piatto, e dite che è interesse nazionale; e quando devono chiudere gli stabilimenti, allora in quel caso si chiama internazionalizzazione, si chiama Unione europea, si chiama mercato unico globale, si chiama globalizzazione.
  Noi avevamo chiesto di rispondere a questa interpellanza quando c'erano ancora i tempi utili. Tra le nostre proposte c’è anche una proposta che abbiamo già fatto approvare nella legge di stabilità: non basta, ma rappresenta il nostro modo di immaginare un Paese come l'Italia, che protegge le proprie aziende, i propri imprenditori e i propri lavoratori. Ed è una norma presente nella legge di stabilità del 2014, che abbiamo fatto approvare grazie al contributo del collega che siede qui a fianco, Mattia Fantinati, che è una norma anti-delocalizzazioni, che, al comma 60 dell'articolo unico della legge n. 147 del 2013, per salvaguardare gli investimenti sulle imprese in Italia e i diritti dei lavoratori italiani, fa una cosa molto semplice: afferma che, se un'azienda beneficia di un contributo pubblico ed entro i tre anni delocalizza la produzione dal sito incentivato in un Paese non appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione di almeno il 50 per cento del personale, il beneficio decade e l'azienda deve restituire tutto il malloppo. La norma vale solo per i contributi erogati dopo la sua entrata in vigore.
  Ora, è chiaro che è una norma che è un punto di inizio, quella che abbiamo fatto approvare nel 2014: a noi sarebbe piaciuto approvare una norma molto più grande, Pag. 35che bloccasse tutte quelle aziende che hanno preso soldi dallo Stato e poi se ne sono andate, tutti quegli insediamenti produttivi, anche se di proprietà estera, che vengono qui, fanno shopping dei fondi pubblici, e poi se ne vanno.
  Ma quello che voglio dire a lei, rappresentante del Governo che è qui in Aula, è che noi vi abbiamo presentato questa interpellanza urgente due mesi fa, perché volevamo una risposta urgente.
  I vostri Ministeri fanno acqua quasi da tutte le parti nelle risposte alle interpellanze: se andiamo a comparare la prontezza di risposta che avete alle interrogazioni, alle interpellanze, a tutto il materiale che vi produce il Parlamento per sapere che intenzioni abbiate su crisi importantissime di questo Paese, sono pochissimi i Ministeri che rispondono in maniera efficace. A volte passano sei mesi, a volte passa un anno, due anni, a volte non rispondete proprio; e questo, ovviamente, continua a dare un pessimo esempio ai cittadini, i quali devono pagare le tasse sempre entro i termini stabiliti della legge, altrimenti gli mandate Equitalia; devono rispondere sempre ogni volta che c’è un accertamento, altrimenti mandate loro l'Agenzia delle entrate, ed è giusto che sia così, per quanto riguarda i termini; però poi allo stesso tempo, quando il Parlamento vi chiede di salvare dei lavoratori per due insediamenti produttivi che stanno chiudendo, e che addirittura potrebbero essere strategici per la produzione dell'acciaio a livello nazionale, voi ci rispondete dopo due mesi, quando sono stati già licenziati 190 dipendenti !

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, ha facoltà di rispondere.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico. Il presidente Di Maio, in una illustrazione molto ampia che ha toccato analisi della politica economica del Presidente Trump e le modalità in risposta al sindacato ispettivo, evidentemente non ha avuto modo di approfondire tutti questi argomenti con la dovuta e riconosciuta attenzione. Io tralascerò naturalmente l'illustrazione, per stare invece alla risposta all'atto di sindacato ispettivo che è stato presentato.
  Relativamente alla situazione del gruppo in oggetto, nei diversi tavoli di riunione che si sono tenuti presso il Ministero dello sviluppo economico i rappresentanti di Vesuvius Italia Spa avevano comunicato la propria intenzione di chiudere entro fine anno 2016 gli stabilimenti di Assemini e Avezzano, a causa della sovraccapacità produttiva del gruppo. In particolare, nel corso del tavolo tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico in data 18 ottobre 2016, l'azienda aveva confermato l'intenzione di procedere alla chiusura degli stabilimenti di Assemini e Avezzano con il licenziamento di tutti i 186 lavoratori, rifiutando gli inviti a ripensare le proprie decisioni. L'azienda si era dichiarata disponibile a cedere a prezzi di mercato gli stabilimenti ma non gli impianti, escludendo quindi qualsiasi continuità delle attuali produzioni con altri imprenditori eventualmente interessati.
  Di contro, nella stessa sede il Governo, le istituzioni regionali interessate, le organizzazioni sindacali avevano chiesto all'azienda di ritirare o sospendere la mobilità, e comunque di poter cedere gli asset ad un nuovo imprenditore ancora da individuare operante nello stesso settore di Vesuvius; questo al fine di preservare l'occupazione nei siti interessati.
  Nell'incontro del 10 novembre 2016, l'azienda ha ribadito il rifiuto alla cessione a soggetto in concorrenza, ossia quanto ha affermato nel corso degli incontri tenutisi in precedenza presso il Ministero dello sviluppo economico, cioè la possibilità di cedere il sito a soggetti operanti in settori diversi da quello di Vesuvius.
  Si rappresenta infine che, in data 14 dicembre 2016, nel corso dell'incontro tenutosi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali alla presenza del Ministero dello sviluppo economico, delle regioni coinvolte, Abruzzo e Sardegna, dell'azienda Vesuvius e delle organizzazioni Pag. 36sindacali, è stato sottoscritto un verbale di accordo e definizione della fase amministrativa della procedura di licenziamento collettivo avviata dalla Vesuvius in data 29 settembre 2016. Questa procedura di licenziamento collettivo è stata conclusa con l'accordo per un numero di 181 unità lavorative, di cui un dirigente, pari all'intero organico aziendale occupato presso le sedi di Assemini ed Avezzano, a fronte della cessazione di attività nei siti. Il licenziamento sarà intimato ai lavoratori entro il termine di legge. Ai lavoratori licenziati con qualifica di operaio, impiegato e quadro dell'azienda, l'azienda stessa si impegna a corrispondere un incentivo all'esodo determinato in separato accordo, sottoscritto in data 22 dicembre, secondo i termini e le modalità dallo stesso previste.
  Inoltre, l'accordo in oggetto contempla un concreto e fattivo impegno dell'azienda a procedere ad un percorso di reindustrializzazione dei siti coinvolti.
  Questo percorso prevede che l'azienda, come suggerito dal Ministero dello sviluppo economico, si doti di un advisor che individui nuovi soggetti imprenditoriali, operanti non in concorrenza, destinando a tal fine la Vesuvius delle risorse proprie, oltre all'impegno della medesima ad agevolare in concreto il subentro del nuovo imprenditore, attraverso la cessione degli asset necessari alla prosecuzione delle attività del subentrante, ponendo in essere tutte le condizioni necessarie per favorire in concreto il subentro del nuovo imprenditore. Questo processo verrà monitorato e favorito nell'ambito della normativa vigente e per quanto di propria competenza dal Ministero dello sviluppo economico, dalle istituzioni e delle regioni interessate.

  PRESIDENTE. La deputata Corda ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta all'interpellanza Luigi Di Maio ed altri n. 2-01541, di cui è cofirmataria.

  EMANUELA CORDA. Grazie, Presidente. Ringrazio il sottosegretario, però, ovviamente, non siamo soddisfatti. Tra l'altro, ci tengo a precisare che quanto detto in precedenza dal mio collega Di Maio è assolutamente corrispondente al vero e la tardiva risposta a quest'interpellanza ne è la conferma, ovvero, quei ministeri rispondono in maniera tardiva, in tempi non consoni, infatti ci sono tantissime interrogazioni, tantissimi atti che sono stati depositati e ai quali non è mai stata data risposta. Quindi, lo ripeto, la polemica l'ho trovata assolutamente superflua. Vogliamo dire, per quanto riguarda quella che noi consideriamo una vera e propria tragedia, quella dei lavoratori della Vesuvius Spa, che il tutto si è consumato in un silenzio assolutamente assordante, anche perché c'era in ballo il discorso del referendum, nel quale il precedente Governo stava giocando tutte le sue carte e stava avviando una vera e propria partita a Risiko con i suoi contendenti, per convincere il Paese che soltanto cambiando la Carta costituzionale si sarebbe potuto avere un rilancio dell'economia, un rilancio della situazione che, attualmente, è gravissima. Invece, era un'assoluta bufala, come tante altre cose che sono state dette e lasciano il tempo che trovano. Infatti, poi, il risultato del referendum ha smentito palesemente il Presidente che, quindi, è dovuto andare a casa con tutto il suo Governo.
  Oggi, ci ritroviamo a discutere una faccenda che purtroppo, ahimè, si è consumata e si è consumata senza che noi potessimo avere delle risposte, perché questa interpellanza era stata depositata due mesi fa e perché, nel frattempo, si cincischiava. Lo ripeto, il silenzio assordante disturba anche perché noi abbiamo incontrato tutte queste persone, questi lavoratori, sia ad Avezzano che ad Assemini, e in loro era viva la speranza che si potesse continuare la produzione, invece, tutti i tavoli tecnici che sono stati avviati dal Governo con i vari attori messi in campo presso il Ministero dello sviluppo economico, con i vertici della Vesuvius, con le rappresentanze sindacali e con i rappresentanti degli enti locali, non hanno portato ad alcun risultato, perché, anche se oggi il sottosegretario ci viene a dire che ci sono stati accordi e che ci sono tuttora Pag. 37degli accordi in itinere, noi non vediamo alcunché di concreto. Infatti, non siamo soddisfatti delle vostre tardive risposte e siamo assolutamente perplessi dell'inefficacia del vostro intervento. Le ricordiamo, innanzitutto, che lo scopo principale dell'Unità per la gestione delle vertenze delle imprese in crisi presso il suo Ministero è quello di favorire, consolidare e sostenere i livelli occupazionali delle imprese di rilevanti dimensioni, e tutto ciò non è stato portato a termine, non è stato assolto. Queste funzioni, alle quali questo strumento era stato deputato, non sono state portate a termine, il che significa che questo è uno strumento assolutamente inefficace, tanto più che nel sito del vostro Ministero è pubblicato il numero di tutte le vertenze che sono state portate avanti, ma non sono pubblicati, per esempio, i dati di quelli che sono gli eventuali esiti di queste vertenze. Quindi, noi non sappiamo quante crisi effettivamente siano state risolte e questi sono i dati aggiornati a giugno dell'anno scorso. Quindi, assolutamente, questa azione del Governo, così come di quelli precedenti, ci risulta assolutamente inutile e non si capisce come non si riesca ad essere concreti nel risolvere dei problemi che sono di sistema. Il signor Renzi ci diceva che se fosse passato il «no» al referendum si sarebbero paventati degli scenari apocalittici, che il nostro Paese non avrebbe più attirato investimenti e, invece, noi sappiamo benissimo che, se il nostro Paese oggi non attira più investimenti, è perché nel nostro Paese esiste una cosa che si chiama corruzione che ci costa ben 70 miliardi all'anno.
  Mi riferisco alla corruzione detta «percepita» che ci costa tanti denari, lo ripeto, tanti denari e per la quale nessuno fa niente. Non si fa una legge seria per combattere la corruzione, inoltre, non si mette mano a una riforma fiscale seria, degna di questo nome e, quindi, il sistema fiscale è insostenibile a livello di impresa e si continua ad agire per tamponare le emergenze. È la logica dell'emergenza che ha portato questo Paese alla deriva e questa ennesima situazione drammatica che ha portato al licenziamento di quasi 200 persone è soltanto l'ultima delle vergogne di questi Governi che si sono succeduti e che non hanno mai portato niente di buono, ma soprattutto di concreto. Noi lo abbiamo detto anche prima, abbiamo provato anche ad introdurre delle norme sulla delocalizzazione per impedire che il nostro Paese diventasse terreno fertile per la speculazione selvaggia e che le nostre eccellenze, il nostro made in Italy fosse appiattito dagli effetti della globalizzazione selvaggia, senza regole, e, invece, tutto ciò che si sta tentando di portare avanti da parte delle opposizioni, con fatica, non viene assolutamente ascoltato, non viene recepito dagli Esecutivi che sono servi di altre logiche che non hanno niente a che fare con il Paese reale. Quindi, a noi, oggi, dispiace dover constatare, ancora una volta, che in questo Paese, invece che fare qualcosa di concreto, si continui a perseguire la via delle chiacchiere e auspichiamo che le cose possano cambiare, ma probabilmente perché ciò avvenga ci vorrà un cambio definitivo di questa classe politica.

(Intendimenti del Governo circa la possibilità di consentire alle popolazioni colpite dai recenti eventi sismici l'esercizio dell'iniziativa privata nel provvedere alle proprie esigenze abitative – n. 2-01564)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Ricciatti ed altri n. 2-01564 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Ricciatti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  LARA RICCIATTI. Signora Presidente, ormai un mese fa questa Camera ha licenziato, ha approvato con la quasi unanimità dei consensi e dei voti, il decreto che prevedeva delle misure urgenti in favore delle zone e delle popolazioni colpite dai sismi di agosto e di ottobre. Ora, all'interno di quel decreto, fra le altre cose – tengo a precisare che il mio gruppo parlamentare ha votato convintamente a Pag. 38favore di quel decreto –, fra le varie prescrizioni, c'era anche l'acquisizione e la predisposizione di aree affinché si potessero sistemare dei container in attesa di poter arrivare all'installazione delle famose casette di legno. Ovviamente, signor sottosegretario, lei capisce con me che il carattere pubblico di questa operazione richiede dei tempi tecnici che rischiano di essere, però, troppo lunghi per delle popolazioni che, invece, hanno bisogno di risposte molto più celeri e molto più veloci, anche perché buona parte di queste persone sono state trasferite fino a 100 chilometri di distanza dai loro comuni di residenza e alcuni comuni della regione Marche, attraverso delle delibere comunali, hanno scelto di poter permettere a delle persone di poter installare dentro le loro zone di proprietà privata la casetta di legno. Questo per una serie di motivi, il più importante è quello, innanzitutto, di permettere a quelle persone di restare nei loro Paesi di residenza, di non dovere essere spostate sulla costa o in altre zone e di continuare, ovviamente nel contesto di una ricostruzione lunga e difficile, quelle attività produttive o quei lavori che, magari, ancora sono rimasti in piedi. Ovviamente, la premessa è che non ci deve essere alcun tipo di incolumità per le persone che poi andrebbero a vivere nella casetta di legno collocata all'interno della proprietà e l'altra premessa importante da fare è che quest'operazione non avrebbe alcun costo a carico dello Stato, perché, di fatto, sarebbe il privato a comprarsi in autonomia, autonomamente, la propria casetta di legno e ad installarla nella propria proprietà.
  Queste iniziative sono state adottate a Pieve Torina, a Pioraco, a Tolentino e a Montecavallo; ovviamente le amministrazioni comunali hanno emanato e approvato delle delibere, intendendole come una risposta celere, una risposta veloce e doverosa, innanzitutto per consentire a quelle popolazioni sfollate di poter riprendere la strada della normalità. Anche perché c’è un altro tema che poggia le basi su quello che è successo durante questo terremoto, e cioè il rischio sempre più forte e sempre più grave di uno spopolamento di tutta la zona montana che è stata colpita da quel terremoto.
  Perché, guardi, signor sottosegretario, chi le parla ha avuto l'onere, ma anche l'impegno, di visitare zona per zona – io sono marchigiana – tutte le zone colpite dal terremoto e ci sono due tipi di persone che stanno reagendo a questo cataclisma: chi sceglie di inseguire il mito della costa e, quindi, sceglie di andarsene e, verosimilmente, non vorrà tornare nella propria abitazione e in quella zona ritenuta sismica; e chi, invece, pur avendo scelto di spostarsi sulla costa, vuole rientrare il prima possibile dentro la propria abitazione.
  Io penso, quindi, che uno dei temi, che è quello dello spopolamento delle aree montane, debba essere preso in considerazione. Lei consideri che le amministrazioni comunali e i sindaci, innanzitutto, sono coloro che si trovano in prima linea ad affrontare problemi non solo logistici, non solo psicologici, ma proprio di tenuta di una comunità che, oggi, di fatto, è divisa e sfilacciata.
  Insomma, sulla scorta di questi atti e di queste delibere dei consigli comunali, la regione Marche risponde inviando una lettera a tutti i sindaci e a tutti i presidenti di provincia, quindi nel dettaglio i presidenti della provincia di Ascoli, di Fermo e di Macerata, chiedendo di fatto la revoca di queste delibere, chiedendo di attenersi alla normativa nazionale e alle prescrizioni contenute all'interno della legge nazionale e palesando, peraltro, fra le altre cose, il reato di costruzione abusiva.
  Ora, le ripeto quello che le ho detto prima, cioè questa è un'operazione che non ha costi per lo Stato e non lede assolutamente e in alcun modo l'incolumità pubblica, quindi il senso di questa interpellanza è, innanzitutto, capire che cosa ne pensa il Governo, soprattutto se il Governo intenda, di fatto, assumere questa iniziativa come una buona pratica e, invece, magari, provare ad estenderla a tutti i comuni, del cratere e non, colpiti dagli eventi sismici.

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  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, ha facoltà di rispondere.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico. Grazie, Presidente. Detto che, naturalmente, comprendo perfettamente, il Governo comprende il complesso dei problemi, dei sentimenti, delle emozioni, delle difficoltà e delle angosce provocato e che è dentro i tragici eventi accaduti. E, premesso questo, evidentemente, quindi, parliamo sempre con consapevolezza di un dramma che ha colpito le comunità interessate.
  Nel merito del tema posto, in particolare in merito alla delibera consiliare del comune di Pieve Torina e degli altri comuni oggetto dell'interpellanza, con la quale è stata autorizzata l'installazione diretta, da parte dei residenti privi di abilitazione, di casette provvisorie su proprietà privata, il Dipartimento della Protezione civile ritiene che questo strumento non sia idoneo per autorizzare la realizzazione di casette provvisorie in deroga agli strumenti urbanistici, ai vincoli paesaggistici, oltre che alle altre normative aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.
  Infatti, il testo unico in materia di edilizia prevede che possano essere eseguite, senza alcun titolo abilitativo – cito testualmente e, quindi, tra virgolette –: «le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all'amministrazione comunale».
  Ma la suddetta disposizione prevede anche che siano – cito di nuovo –: «fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e comunque le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia, in particolare le norme antisismiche, quelle di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, quelle relative all'efficienza energetica, alla tutela del rischio idrogeologico, nonché le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio». Ne deriva quindi che, come riconosciuto da una giurisprudenza che è costante in questo senso, il citato articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 non sottrae gli interventi diretti a soddisfare esigenze contingibili e temporanee al rispetto dei vincoli paesaggistici, di cui al decreto n. 42 del 2004, delle prescrizioni, degli strumenti urbanistici, delle norme antisismiche, nonché delle altre disposizioni di settore.
  Ne consegue, pertanto, che, per un lasso temporale di novanta giorni, l'installazione di casette provvisorie in assenza del titolo abilitativo non configura il reato di abuso edilizio formale, che secondo la giurisprudenza, si realizza nell'ipotesi di interventi posti in essere senza il titolo abilitativo; tuttavia, si configurerebbe comunque il reato di abuso edilizio sostanziale, qualora l'intervento provvisorio non fosse conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente o se ricadente in zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico-ambientale, se fosse stato eseguito in assenza delle relative autorizzazioni o in difformità da esse. Per contro, decorso il lasso temporale di novanta giorni, si configurerebbe il reato di abuso edilizio in entrambe le fattispecie delineate, cioè per assenza del titolo abilitativo e per violazione delle richiamate prescrizioni di settore.
  Alla luce della normativa vigente e della giurisprudenza, non pare, quindi, che lo strumento della delibera consiliare sia idoneo a derogare la disciplina suddetta in materia delizia, né potrebbe autorizzare una struttura in deroga agli strumenti urbanistici generali (ai sensi dell'articolo 14 del decreto n. 380 del 2001). Questa disposizione, infatti, subordina la possibilità di rilasciare un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali, attraverso la previa deliberazione del consiglio comunale, per i soli edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, tra cui non sembrano ricomprese le casette di legno installate dai privati.Pag. 40
  Inoltre, la norma de qua impone, comunque, il rispetto delle disposizioni contenute nel decreto n. 42 del 2004 in materia di vincoli. Al riguardo, la Cassazione ha riconosciuto che il rilascio del permesso, in deroga agli strumenti urbanistici, è previsto attraverso delibera del consiglio comunale esclusivamente per edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico; non può essere rilasciato in violazione delle disposizioni contenute nel decreto n. 42 del 2004, che devono essere, comunque, rispettate; deve, comunque, rispettare le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia; la deroga può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e distanza tra i fabbricati, di cui alle norme d'attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi.
  In conclusione, è doveroso in questa sede evidenziare che l'attuale plesso normativo emergenziale, in ragione della delicatezza della materia trattata, ha puntualmente definito l'ambito d'azione del privato, dettando indirizzi e imponendo al medesimo specifici vincoli, allo scopo di contemperare l'esigenza di assicurare la necessaria assistenza alla popolazione colpita con quella correlata alla tutela dei vincoli paesaggistici e urbanistici, che, come è noto, sono posti anch'essi a tutela di valori costituzionalmente tutelati.
  Infine, si precisa che la facoltà derogatoria prevista dalla normativa vigente in materia di protezione civile può essere esercitata unicamente nell'ambito della cornice normativa delineata dalle pertinenti delibere del Consiglio dei ministri e dalle conseguenti ordinanze del Capo dipartimento della Protezione civile. Pertanto, il procedimento seguito dal comune di Pieve Torina e dagli altri comuni oggetto dell'interpellanza non può considerarsi legittimo.

  PRESIDENTE. La deputata Ricciatti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  LARA RICCIATTI. Assolutamente no, signora Presidente. Signor sottosegretario, voglio raccontargliela così: se io che, fortunatamente, non vivo in una zona terremotata, avessi scelto di installarmi la mia casetta di legno in mezzo al giardino di casa mia, perché, alle ore 17, mettiamo ipoteticamente, avessi il vezzo di bere un tè in giardino, allora tutte le norme che lei mi ha letto, rispondendo alla mia interpellanza, sarebbero giuste e sacrosante.
  Ma qui stiamo parlando di un contesto di straordinarietà in cui, probabilmente, non vi è chiaro che solo un folle può parlare di vincoli paesaggistici ed urbanistici in paesi che oggi sono paesi fantasma, che non esistono più, dove ci sono solo dei cumuli di macerie. Per cui questa è una soluzione per permettere a delle persone di continuare a restare vicino alle proprie stalle – ma di questo ne parleremo dopo –, di continuare a stare vicino ai propri cari, di continuare a tenere insieme il proprio complesso familiare.
  Stiamo parlando di persone che non hanno più gli occhi neanche per piangere, che non hanno più una casa, che non hanno più un lavoro, che probabilmente hanno sepolto i propri cari a seguito della scossa del 24 agosto. Solo un folle può parlarmi di rispetto dei vincoli paesaggistici piuttosto che del rispetto dei vincoli ambientali, perché, all'interno di una montagna di macerie, non c’è vincolo ambientale e non c’è vincolo paesaggistico semplicemente perché non c’è più paesaggio e semplicemente perché non c’è più l'ambiente. Non so come raccontargliela, signor sottosegretario.
  Io capisco che questa normativa riguarda una cosa normale, una circostanza normale, ma ripeto: se io le chiedessi di installare una casetta nel mio giardino per prenderci il tè, allora sarebbe giusto tutto quello che lei mi dice e, quindi, che vi sarebbe la configurazione di fatto di un abuso edilizio sostanziale o di entrambi i casi, dovrei riceverli tutti e dovrei essere responsabile delle mie azioni. Ma ci sono delle persone che chiedono di poter installare, ad esempio, una casetta di legno, magari di fianco alla propria casa agibile, signor sottosegretario, perché hanno Pag. 41paura, perché le scosse non finiscono; perché ieri sera c’è stata, a Muccia, una scossa di 3,3.
  Lei capisce, signor sottosegretario, che dover fronteggiare la paura, ma continuando a restare lì dove la terra ti trema sotto i piedi, è difficile. Allora, per provare a far restare le persone all'interno dei loro paesi, si tratterebbe, per un lasso di tempo circoscritto, di consentire di montare, a proprie spese, una casetta di legno per restare lì, con la condizione che, al momento «x», cioè quando la propria casa tornerà agibile, quella casetta di legno dovrà essere rimossa. Non capire una cosa del genere significa vivere su Marte.
  Lei mi ha parlato di rispetto delle norme antisismiche, ma sono le stesse casette di legno che arriveranno quando lo Stato sarà in grado di fornirle; ma lei capisce che i tempi dello Stato sono lunghi e in quelle zone c’è la neve, fanno meno 7 gradi ? Le faccio un esempio: dentro i container, che ancora, peraltro, non sono arrivati e c’è gente che continua a dormire nelle roulotte, fa freddo. Lei mi parla di efficienza energetica: ma quale efficienza energetica può esserci dentro un container ? Noi lo abbiamo chiamato modulo abitativo, ma, di fatto, di container si tratta e dentro un container, di inverno, si muore di freddo e, d'estate, si muore di caldo. Allora, signor sottosegretario, quella è efficienza energetica ?
  Mi ha parlato di situazioni igienico-sanitarie che, magari, rischiano di non essere garantite dentro una casetta di legno, ma guardi: all'interno della casetta di legno che io mi compro e, quindi, dove verosimilmente farò alloggiare la mia famiglia, sarà mia cura prendermi cura, appunto, della mia casetta di legno. Invece, viceversa, seguendo i parametri dello Stato, quando arriveranno i moduli abitativi, che saranno i container, essi dovrebbero contenere sei persone. Ora, in un contesto in cui la natalità è abbastanza bassa, io la sfido a trovare un contesto familiare dove ci sono sei persone. Significa che, probabilmente, all'interno di quel modulo abitativo, con bagno in comune – quindi, un bagno per un modulo abitativo di sei persone –, ci andranno a vivere due famiglie.
  Allora, lei – ovviamente, non lei, la Protezione civile o chi per lei – non può rispondere che ci sono dei vincoli da rispettare, che sono di efficienza energetica oppure di tutela dei beni ambientali, paesaggistici e culturali o rispetto a fenomeni di efficienza energetica, perché, di fatto, queste persone stanno solo cercando di tornare alla normalità, facendosi carico economicamente di quelle spese, dell'incolumità di chi ci sta dentro, cercando di risolvere un problema allo Stato, non di garantirglielo.
  Stanno cercando di tornare alla normalità, parola questa sconosciuta perché, ripeto, fa freddo, fanno meno 7 gradi; oggi e domani, le condizioni meteo dovrebbero regalare una parentesi senza neve e gelo. La Protezione civile ha già emanato un'altra allerta per cui, da domenica, arriverà una settimana di neve. Queste popolazioni colpite dal sisma stanno uscendo da una settimana dove, di notte, la temperatura arrivava persino a meno 11 gradi.
  Allora, davanti a questo, io vorrò vedere quale magistratura si permetterà, un domani, di accusare queste persone, perché io spero – lo voglio dire all'interno di una delle Aule più importanti dello Stato – che quei comuni non ritirino quelle delibere; io vorrò trovare quel giudice che accuserà quella persona terremotata, che, dopo essersi comprata la propria casetta in legno, avrà il coraggio di accusarla e condannarla per reato di abuso edilizio.

(Chiarimenti in merito ad una consulenza affidata presso la struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale della Presidenza del Consiglio dei ministri – n. 2-01573)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Dieni ed altri n. 2-01573 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Dieni se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

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  FEDERICA DIENI. Sì, Presidente. Membro del Governo, nonostante il Governo Renzi sia formalmente terminato a seguito della netta pronuncia degli italiani il 4 dicembre, che ha bocciato con un sonoro «no» la riforma dissennata della Carta costituzionale, ma l'anima stessa dello pseudoriformismo renziano, i frutti avvelenati del renzismo continuano ad inquinare la vita politica, sociale ed economica del Paese.
  Se ci fossero da fornire delle prove di quanto dico, non servirebbe far altro che rivolgersi ai banchi di questo Governo, che è rimasto pressoché il medesimo di quello Renzi. C’è da scommetterci: anche lo stesso Presidente del Consiglio sarebbe rimasto lo stesso, se non avesse voluto tentare di ricostruirsi una verginità politica lontano dagli occhi degli elettori. Questo inganno, che confida, probabilmente, in un'ingenuità che gli italiani fortunatamente non hanno mai dimostrato, non è solo riferito alle persone, ma ai presupposti del renzismo, che ne hanno caratterizzato gli atti, la legislazione, le azioni concrete, ma anche le stesse logiche di gestione del potere.
  Quello che è rappresentato in quest'interpellanza è il caso di un singolo, ma è soprattutto lo specchio fedele di un metodo che ha caratterizzato le passate legislature e che è stato innalzato a sistema proprio da colui che si è proposto, in passato, come rottamatore della vecchia Italia. Il cambiamento promesso si è trasformato in un rampantismo anni Ottanta, in cui tutto – regole ed opportunità politica – poteva essere travolto pur di superare la palude, in modo che il Paese si rimettesse a correre. Purtroppo, invece di correre, l'Italia si è presto ritrovata in ginocchio e questo vale anche per la pubblica amministrazione.
  Renzi, anziché incidere sulle regole, ha preferito affidarsi al tentativo di una pretesa fedeltà e all'occupazione del maggior numero possibile di cariche di Governo e sottogoverno con persone di propria fiducia, cercando, quindi, di impossessarsi anche di quelle che non avrebbe potuto toccare. Si guardi, ad esempio, alla nomina della dottoressa Manzione al Consiglio di Stato o al tentativo di assoggettare la dirigenza della pubblica amministrazione alla politica operata con la pseudoriforma Madia.
  Il caso di Simona Ercolani, che abbiamo voluto portare all'interesse di quest'Aula oggi, è emblematico. Nell'ansia di riempire di persone fedeli a Palazzo Chigi, non ci si è neppure posti la domanda se l'attribuzione di una consulenza a questa persona sarebbe stata legittima o meno, se non legittima, almeno opportuna.
  La struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale, da ciò che si evince dal sito della Presidenza del Consiglio, ha conferito prima dal 24 febbraio al 31 dicembre 2015 e, poi, dal 1o aprile al 31 dicembre 2016, a Simona Ercolani l'incarico che, cito, «consiste nel coordinamento e nella realizzazione delle iniziative celebrative degli anniversari di interesse nazionale, per la direzione artistica, la promozione e la diffusione della conoscenza delle iniziative celebrative».
  La Ercolani, più specificamente, si sarebbe occupata, nel secondo periodo che ho citato, della direzione artistica nella realizzazione di tre spot televisivi per la ricorrenza del settantesimo anniversario della Liberazione. Per questo incarico la consulente avrebbe ricevuto 46 mila euro lordi, più di 15 mila euro a spot, per la sola direzione artistica, tra l'altro.
  Non vorrei essere accusata di una visione eccessivamente pauperistica, ma quando si spendono soldi pubblici non sarebbe male dettagliare meglio quali siano nello specifico le attività che comportino un tale esborso. Per carità, la Ercolani è una professionista affermata, ma sarà anche lecito domandarsi quale contributo concreto ha portato alla realizzazione di questi spot: che cosa ha fatto concretamente ? Ma lasciamo stare per un momento questo aspetto. Simona Ercolani, nel medesimo periodo, si è occupata anche della regia dell'evento «La piazza è del Popolo», il 29 ottobre 2016, a favore del «sì» al referendum costituzionale e della cosiddetta «Leopolda», incontro politico Pag. 43promosso dal Presidente del Consiglio e organizzato nel 2016 dal sottosegretario Lotti.
  Questo, non solo le ha evidentemente tolto tempo per occuparsi ovviamente della direzione artistica dello spot, ma lascia ingenerare il dubbio – un dubbio che credo sia anche legittimo, e che sarebbe compito del Governo cancellare – che la Ercolani sia stata pagata attraverso soldi pubblici per organizzare gli eventi politici di Matteo Renzi. Si tratta di una malignità, forse, ma siccome la questione mi pare di una certa importanza, sarebbe il caso che qualcuno rassicurasse noi cittadini sul fatto che esistono regole e procedure per assicurarsi che fatti come questi non accadano. E dovrebbe essere importante anche per la Presidenza del Consiglio fornire questo tipo di garanzie, dato che è suo interesse sapere che destinazione prendono i soldi che sborsa per pagare un consulente. Certo, forse è un po’ complesso, se il sottosegretario alla Presidenza è il braccio destro di quel Matteo Renzi che è così vicino a Ercolani.
  È giunto il momento di un giro di vite. Mi chiedo se non sarebbe bene fermarsi e valutare l'opportunità di certe scelte, senza attribuire incarichi di consulenza a cuor leggero. Come è noto, la moglie di Cesare dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto, tanto più dovrebbe esserlo la Presidenza del Consiglio. Come se non bastasse, infatti, la dottoressa Ercolani ha una società privata che fa prodotti per la RAI, e probabilmente, come collaboratrice della Presidenza del Consiglio, per attività che comportino evidentemente un rapporto privilegiato con la stessa RAI, ha qualche possibilità in più quando bussa alle porte dei «renzianissimi» vertici della TV pubblica. Da quanto ci risulta infatti, la società Stand by me, di cui essa stessa è amministratrice, ha realizzato negli ultimi due anni crescite di fatturato consistenti, anche del 24 per cento. Quanto è merito della sua capacità imprenditoriale ? E quanto lo è, invece, per i vantaggi derivati dalla vicinanza a chi comanda e tira le fila ? È dunque perfino secondario sapere se Simona Ercolani è ancora consulente o se lo sarà in futuro. Se siete venuti qua per dirci che non lo è più, questo dimostra al massimo che forse avete la coda di paglia. Ciò che è più importante è che si risponda a come appunto possa essere accettabile il fatto che una consulente della Presidenza svolga nel contempo attività politica ed imprenditoriale senza le necessarie garanzie affinché tutti questi aspetti non vadano a sovrapporsi, ingenerando degli indebiti vantaggi o peggio un utilizzo improprio di fondi pubblici. Ricordo che esistono gli uffici di diretta collaborazione, attraverso i quali il vertice politico può assumere pro tempore persone di propria fiducia. Utilizzare altri mezzucci, specie nello spregio costante del pubblico impiego e delle garanzie di terzietà per esso stesso previste dalla Costituzione, è un triste spettacolo che, pur avendo caratterizzato il corso di questi anni, non ci stancheremo mai di denunciare e di combattere.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico, Antonello Giacomelli, ha facoltà di rispondere.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico. Presidente, la collega Dieni ha fatto già anche l'ipotesi della mia risposta e anche il successivo suo commento con valutazione finale, quindi per la verità ha reso quasi inutile il perseguimento di questo colloquio. Ma perché rimanga agli atti, invece, al di là delle supposizioni e delle fantasie dell'illustrazione, vorrei che rimanessero dati concreti sulla questione oggetto dell'interpellanza.
  L'incarico a cui si fa riferimento, conferito dapprima con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 24 febbraio 2015, successivamente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 1o aprile 2016, debitamente registrati dalla Corte dei conti, è consistito nella consulenza e direzione artistica delle iniziative celebrative riferite al centenario della prima guerra mondiale, al settantesimo anniversario della Resistenza e della guerra di Liberazione, della nascita della Pag. 44Repubblica italiana e del riconoscimento dei diritti elettorali delle donne. L'incarico si è concluso alla data del 31 dicembre 2016, e al momento non risulta essere stato nuovamente conferito.
  Il compenso annuo lordo è stato determinato in 46.000 euro, pari a un importo mensile di 3.833 euro, oltre al contributo del 4 per cento e l'IVA di legge, che è stato corrisposto in rate trimestrali a seguito di presentazione di relazione sull'attività svolta. A titolo esemplificativo e non esaustivo, si riportano alcuni risultati conseguiti grazie anche all'attività svolta dalla signora Simonetta Ercolani in raccordo con la struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale e con il comitato storico-scientifico competente: la direzione artistica delle iniziative celebrative realizzate nella settimana della Liberazione dal 20 al 25 aprile, naturalmente del 2015, in particolare la campagna di comunicazione istituzionale che ha interessato anche i social media e gli spot televisivi andati in onda nelle maggiori emittenti televisive; l'ideazione e il coordinamento delle attività realizzate in collaborazione con i maggiori broadcaster nazionali, ad esempio la serata «Viva il 25 aprile», in onda su RAI 1, e lo speciale di Sky Arte dedicato alla street art; il coordinamento delle iniziative commemorative dell'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale, realizzare il 24 maggio 2015, e in particolare la promozione e la diffusione della campagna di comunicazione istituzionale «I versi della memoria»; la direzione artistica di alcuni spot televisivi con a tema la memoria e la parola «ricorda», trasmessi dai maggiori broadcaster italiani, digitali e satellitari; l'ideazione ed il coordinamento con Rcs Sport delle iniziative di commemorazione del centenario della prima guerra mondiale all'interno del Giro d'Italia; l'ideazione e la preparazione dell'evento di inaugurazione della «Piazza delle Pietre d'Italia» presso il Sacrario militare di Redipuglia, il 9 novembre 2015; l'ideazione e la preparazione degli eventi, svoltisi il 1o ed il 2 giugno 2016, per celebrare il settantesimo anniversario dalla nascita della Repubblica italiana e dei diritti elettorali delle donne.
  Per quanto attiene ad eventuali ulteriori attività a cui fa riferimento l'interpellanza in argomento, queste non attengono alla competenza di questa struttura, e comunque non hanno dato luogo a corresponsione di compensi da parte della struttura medesima.

  PRESIDENTE. La deputata Dieni ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  FEDERICA DIENI. Presidente, come dicevo in premessa, il caso di Simona Ercolani era solo un pretesto per aprire un dibattito sulle vere domande che caratterizzavano questa interpellanza. Vorrei riproporla. Al di là del caso specifico illustrato in premessa, chiedevo se non si ritenga opportuno rivedere i criteri dell'assegnazione delle consulenze da parte della Presidenza del Consiglio, o quanto meno aumentare le garanzie di trasparenza, in modo da evitare che soggetti retribuiti con risorse pubbliche per svolgere attività istituzionali si adoperino nel contempo in attività professionali per un partito o una parte politica. Semplificando, la risposta che mi è stata fornita è «no, tutto va bene così, a gonfie vele», com'era prevedibile.
  Questo è il motivo per il quale non posso dirmi soddisfatta della risposta, non perché tolga qualcosa a me, ma perché è un ulteriore tassello del disprezzo che questa classe politica ha dimostrato nei confronti del pubblico impiego e di tutti coloro che hanno vinto o sono risultati idonei ad un concorso pubblico. La nostra classe politica, specie il PD del renzismo, non pende infatti occasione per ribadire quella che è per essa una semplice verità: la pubblica amministrazione deve essere a disposizione della politica; chi vince deve poter fare ogni cosa: spostare le persone sgradite, esercitare il controllo sui dipendenti pubblici e remunerare chiunque deve ricompensare. E chi se ne frega delle regole, dei possibili conflitti di interessi, Pag. 45della semplice decenza ! L'importante è avere un gruppo di pretoriani fedeli a tirare le leve, indipendentemente da dove provengano.
  Ebbene, forse è il caso che vi rileggiate l'articolo 97 della Costituzione, quel quarto comma in cui si sostiene che agli impieghi delle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. L'impressione è invece che tanto più passa il tempo quanto più il concorso sia una pratica eccezionale e non quella normale. C’è sempre qualche compito che i pubblici dipendenti non possono svolgere, per allargare le maglie e fare entrare qualcuno più specializzato. Peccato che, dopo, a ben guardare, esso sia il più delle volte l'amico degli amici, che non risolve il problema ma lo complica. Attendiamo una svolta, caro sottosegretario, affinché tutto questo finisca, ma sappiamo che non può accadere in questa legislatura, ed è un peccato. Non si tratta soltanto di una questione estetica, di un moralismo da bar: uno dei principali problemi del Paese è nella pubblica amministrazione, ma questo problema non si risolve riempiendola di amici, amici degli amici e di persone che si vogliono ricompensare. Questa è una delle più gravi cause del problema, non certo la soluzione.
  Quindi, con questa interpellanza abbiamo voluto mettere in luce purtroppo questo problema, un problema molto sentito, soprattutto dalle nuove generazioni che io in quest'Aula rappresento, persone che, comunque, non possono essere messe in condizione, senza conoscere qualcuno, di ricoprire alcunché all'interno della pubblica amministrazione, anche perché lo strumento dei concorsi, purtroppo, in questi anni è venuto meno e ci sono idonei, vincitori di concorso, che ancora aspettano di essere assunti dopo anni e anni dalle pubblicazioni delle graduatorie. Quindi, il nostro avviso, in questo momento, è quello di ricoprire questi incarichi prevalentemente con persone all'interno delle pubbliche amministrazioni, che ci sono, sono brave, sono competenti, e soprattutto svecchiare realmente la pubblica amministrazione, non attraverso i proclami, assumendo persone adeguate, persone giovani che hanno tutta la voglia di fare e di dimostrare le proprie competenze e il proprio merito allo Stato italiano, le quali non siano più costrette a emigrare per impossibilità di ricoprire cariche all'interno del nostro Stato e anche per mancanza di interesse. Molte persone molto brave, purtroppo, devono lasciare il Paese e questo non è giusto.

(Chiarimenti ed iniziative urgenti in ordine ai ritardi nella fornitura delle strutture da adibire al ricovero degli animali da allevamento nelle zone colpite dai recenti eventi sismici – n.  2-01574)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Ricciatti ed altri n. 2-01574 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Ricciatti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  LARA RICCIATTI. Grazie, signora Presidente. Si tratta di una sorta di continuo dell'interpellanza che abbiamo presentato prima, perché il tema è lo stesso. Questa volta c’è un ulteriore disagio, sempre nel contesto delle zone terremotate, cioè il ricovero degli animali presenti in quelle zone. Gli allevatori avevano lanciato un allarme, perché, peraltro, questo è il periodo in cui pecore, mucche, cavalli stanno partorendo in un contesto meteorologico che era – quello sì – prevedibile. Infatti, se, da un lato, il terremoto non è prevedibile, il contesto meteorologico lo è. La scorsa settimana ci sono stati fenomeni di neve, ma soprattutto ci sono state temperature polari. Come ho detto prima, la temperatura è arrivata fino a meno 11 gradi e, al netto di questa parentesi di un paio di giorni, in cui le temperature si sono alzate, la Protezione civile ha emanato un nuovo bollettino di allerta meteo, perché fra due giorni dovrebbero riprendere copiose nevicate e le temperature dovrebbero tornare ad essere gelide. Ovviamente ci sono allevatori che stanno Pag. 46denunciando dei fortissimi ritardi nella fornitura delle stalle provvisorie adibite a ricovero degli animali. Alcuni animali stanno morendo. Quindi, ci sono gli allevatori che, da una parte, vedono morire il proprio bestiame e, dall'altra, sono costretti a riportare il bestiame, almeno la notte, all'interno delle stalle dichiarate inagibili oppure sono costretti a costruire con mezzi di fortuna, seppure in maniera provvisoria, perché con una piovuta se ne va tutto, imballaggi di paglia con cui si prova a coprire, almeno dal freddo, gli animali. In aggiunta a tutto ciò, se non vogliono far morire gli animali, sono costretti a svenderli rispetto al prezzo di mercato. Fare l'allevatore per chi vive in quelle zone, di fatto, è una delle uniche fonti di reddito.
  La Protezione civile, insieme al Governo, aveva garantito che una delle prime cose che sarebbero arrivate in queste zone sarebbero state le stalle per gli animali, perché le condizioni meteorologiche possono prevedersi. Comunque, che l'inverno nell'entroterra laziale, umbro e marchigiano sia abbastanza freddo è noto. Invece, c’è stato un ritardo molto grave, che oggi sta portando conseguenze pesantissime per gli allevatori, che, da una parte, hanno delle ripercussioni economiche e, dall'altra, non sono messi nelle condizioni di poter lavorare.

  PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato, Antonello Giacomelli, ha facoltà di rispondere.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico. Grazie, Presidente. Come la collega ha ricordato, c’è un filo che lega questo argomento a quello trattato in precedenza. Io cercherò di dare tutti gli elementi. È evidente – lo dico anche pensando al tema, sempre legato, di cui abbiamo parlato poco fa – che tutti abbiamo chiaro che stiamo affrontando una situazione emergenziale. Se la situazione è emergenziale, è evidente che anche gli strumenti e le modalità con cui si affronta debbano essere emergenziali.
  Per usare un'espressione che ha usato la collega, sarebbe folle, per esempio, immaginare che una espressione della funzione legislativa, del potere legislativo, un parlamentare che concorre a fare le norme, che le conosce tutte, che indica, con le norme, qual è l'azione che devono seguire le amministrazioni locali e il Governo, poi immaginasse che una iniziativa che non rispetta le norme, che può essere giustificata da logiche emergenziali, debba essere oggetto, magari, di una domanda in una sede pubblica ufficiale, in Parlamento, per poter ottenere una risposta ufficiale e pubblica contraria a quelle stesse norme che il Parlamento ha posto come limite. Se accadesse una cosa del genere, io penserei che chi fa questo tipo di iniziativa, più che a risolvere il problema, che va risolto evidentemente con altri strumenti e per altre strade, forse è interessato a scandalizzarsi della risposta, inevitabilmente ineccepibile nella sede in cui viene posta la domanda, che era facile immaginare in precedenza.
  Quando accadono le tragedie che il terremoto e gli eventi di questo tipo inevitabilmente comportano, tutti gli aspetti della vita sono coinvolti e, quindi, è comprensibile che vi sia, oltre agli aspetti principali che riguardano la vita delle persone, posti dall'interpellanza precedente, anche il tema dell'assistenza alle popolazioni dal punto di vista degli strumenti per fronteggiare l'emergenza nel settore della zootecnia nei territori colpiti, in questo caso, dagli eventi sismici del 24 agosto e, poi, del 30 ottobre. A questo fine è stata attivata, presso la stazione diagnostica dell'Istituto zooprofilattico sperimentale di Rieti, l'unità di coordinamento delle attività concernenti la sanità pubblica veterinaria e la sicurezza alimentare, con la partecipazione del Ministero della salute, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dei settori sanità e agricoltura delle quattro regioni colpite, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, dei carabinieri del NAS, dei servizi veterinari Pag. 47delle aziende sanitarie locali competenti per territorio. Nella più generale azione di assistenza alla popolazione si è ritenuto necessario prevedere specifiche forme di sostegno per gli allevatori che hanno subito danni alle abitazioni e/o alle strutture di stabulazione degli animali e di produzione.
  L'attuazione delle misure, studiata in raccordo con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, condivise con i quattro presidenti delle regioni, è stata affidata alle regioni stesse. Le prime misure urgenti per consentire il ricovero degli animali e la continuità delle attività produttive sono state previste, con ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione civile, il 13 settembre 2016. Altri provvedimenti sono stati inclusi nel decreto-legge n. 189 dell'ottobre 2016, convertito dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229. In particolare, per consentire la continuità produttiva del settore di allevamento zootecnico, è stata prevista l'installazione di moduli temporanei presso le aziende danneggiate, volti a coprire sia il fabbisogno abitativo delle famiglie degli allevatori sia il ricovero provvisorio degli animali e lo stoccaggio dei mangimi, in attesa della ricostruzione. In conseguenza del sisma del 24 agosto 2016, le regioni Lazio e Umbria si sono fatte carico di effettuare, anche per conto delle altre regioni interessate, le gare, rispettivamente, per la fornitura di stalle e fienili e per il noleggio dei moduli abitativi provvisori rurali, per consentire la continuità produttiva delle aziende zootecniche con abitazione e struttura produttiva danneggiata. Con una gara bandita il 22 ottobre sono stati acquisiti 178 moduli (stalle e fienili); con una gara bandita il 24 ottobre sono stati acquisiti 73 moduli provvisori per le esigenze delle aziende delle quattro regioni. In attesa della consegna, il Dipartimento della Protezione civile ha messo a disposizione dei camper, allestiti dalla Croce Rossa Italiana, per chi ha richiesto una soluzione abitativa temporanea vicina alla propria attività. Al 30 ottobre risultavano consegnati 14 camper ad Amatrice e Accumuli, utili a soddisfare le esigenze rappresentate.
  In alternativa ai moduli, gli allevatori con abitazioni inagibili hanno potuto richiedere l'assegnazione di un modulo provvisorio nelle aree individuate dai comuni, come la restante parte della popolazione.
  Per dotare gli allevatori di un luogo di lavoro temporaneo, inoltre, sono stati messi e consegnati 70 moduli di supporto donati dalla regione Friuli-Venezia Giulia attraverso il sistema di protezione civile regionale.
  Gli eventi del 27 e 30 ottobre hanno determinato un cambio di scala dei bisogni, con un aumento notevolissimo delle aziende zootecniche che hanno subito danneggiamenti. Si è pertanto lavorato per implementare ed estendere le forme d'assistenza già previste pur nella consapevolezza che la dimensione del fenomeno avrebbe determinato disagi consistenti e tempi lunghi di risposta. Le gare effettuate a seguito del sisma del 24 agosto, infatti, tenevano conto delle esigenze precedenti ai sismi di fine ottobre e pertanto è stato necessario adottare provvedimenti normativi al fine di consentire un approvvigionamento ulteriore di moduli. In particolare il decreto-legge n. 189 del 2016 ha dato la possibilità alle centrali di committenza di Lazio e Umbria di incrementare gli ordini a partire dalle ditte prime classificate delle rispettive gare per poi scorrere la graduatoria qualora il fabbisogno non sia interamente coperto. Inoltre gli allevatori sono stati autorizzati a realizzare in maniera autonoma, previa autorizzazione delle regioni, opere di urbanizzazione utili per il posizionamento dei moduli provvisori delle stalle e dei fienili.
  Con l'ordinanza del capo del Dipartimento della Protezione civile n. 415 del 21 novembre 2016 è stato consentito agli operatori danneggiati di chiedere alla regione di eseguire autonomamente i lavori di predisposizione delle aree su cui collocare le strutture, mentre l'ordinanza del commissario alla ricostruzione n. 5 del 28 Pag. 48novembre 2016 consente agli allevatori che hanno strutture zootecniche di poter provvedere direttamente alla sistemazione dell'area e alla fornitura delle strutture produttive danneggiate per una delocalizzazione temporanea. Le esigenze rilevate ammontano a 68 moduli provvisori rurali e 194 stalle e fienili per un totale di 262 strutture. Tutte e quattro le regioni sono impegnate nell'attività di predisposizione delle aree per l'installazione delle strutture. Dopo il 30 ottobre è iniziata la consegna dei primi moduli. In particolare nella regione Umbria sono state installate tutte le strutture previste per le aziende colpite dal sisma del 24 agosto. Infine, in aggiunta agli interventi già adottati, il commissario, alla luce delle avverse condizioni climatiche che a partire dai primi giorni di gennaio stanno interessando il centro-sud e in particolare le zone colpite dagli eventi sismici, sta verificando quali ulteriori interventi possano essere posti in essere a sostegno degli allevatori.

  PRESIDENTE. La deputata Ricciatti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  LARA RICCIATTI. No, non sono soddisfatta della risposta. Vengo al merito ma mi permetto di prendermi la licenza di scambiare l'ultima battuta con il sottosegretario Giacomelli rispetto all'interpellanza di prima. Vede, signor sottosegretario, una legge si può approvare anche sbagliata. Il suo gruppo parlamentare, il mio gruppo parlamentare hanno dichiarato che ci sono state leggi approvate ma sbagliate e che questo decreto-legge sul terremoto fosse perfettibile l'avevamo detto tutti, che fosse un decreto che era stato scritto di prima mano per il sisma del 24 e riadattato con il famoso maxiemendamento al Senato per i sismi di ottobre lo sapevamo tutti ma, per senso di responsabilità e perché appunto siamo nell'emergenza, è stato votato con l'impegno però, presente la Ministra Finocchiaro, di reintervenire nuovamente sul tema perché appunto quello era un decreto perfettibile che presentava palesi vuoti normativi che non sto qui a snocciolare perché ho la necessità di restare su un tema che è un'altra emergenza, che è quella delle stalle. Tuttavia mi permetta, signor sottosegretario: se una misura è urgente lo deve essere anche nei fatti e non solo nelle parole. Lei ha richiamato il fatto che prima c'erano delle cifre rispetto al terremoto del 24 agosto e poi, con i sismi del 30 ottobre, ovviamente le cifre sono lievitate, sono diciamo triplicate, quintuplicate, in alcuni casi persino decuplicate. Quindi non sta a me giudicare rispetto ai conteggi che sono stati fatti. Lo abbiamo detto e siamo tutti d'accordo: i tempi sono lunghi e la burocrazia in questi casi però, diciamocelo, non sta aiutando. Lei ha richiamato l'ordinanza n. 5, che lei ha detto essere del 28 novembre e a me risulta del 26 novembre ma, giorno più giorno meno, poco cambia, in cui si autorizzano gli allevatori a provvedere autonomamente nel fare stalle per poter avere, dopo un mese, il risarcimento.
  C’è solo un problema, l'assessore regionale Sciapichetti, che nella sua provincia di Macerata peraltro è anche assessore alla protezione civile, dichiara in maniera candida che probabilmente c’è stato un deficit di chiarezza e di comunicazione perché c’è un dettaglio: gli allevatori, i proprietari dei capi di bestiame lamentano che non c’è stata comunicazione sui rimborsi per chi realizza le strutture in proprio. C’è un articolo di giornale – non lo invento io – fonti delle Cronache maceratesi dicono che gli allevatori dichiarano che non erano a conoscenza di questa ordinanza. Gliele voglio citare perché non inventiamo niente: articolo di ieri di Albano Liberti «Stanotte mi sono morti per il freddo sette maialini»; Fabio Ottaviani «non sapevo niente di questa opportunità»; Attilio Rivelli «Ci avevano detto di aspettare, abbiamo perso un mese». Peccato che dal 24 agosto in piena estate a ieri che era il 12 gennaio in mezzo ci sono state temperature polari che torneranno. Nei giorni scorsi il Ministro Martina è stato nelle Marche anche a rassicurare gli Pag. 49allevatori dicendo che arriveranno i fondi della PAC che saranno a disposizione. Però vede – l'ho detto prima – la parola «emergenza» e la parola «urgenza» devono tramutarsi in fatti. Queste persone hanno bisogno di avere dei fatti perché purtroppo delle parole del Governo ma anche di chiunque si candidi a fare politiche, chiunque rappresenti un'istituzione iniziano a farci ben poco, signor sottosegretario. Infatti i loro animali stanno morendo, perché la loro unica fonte di reddito sta morendo perché vedono che i moduli abitativi che dovevano arrivare per Natale non sono ancora arrivati, perché vedono che i container per il ricovero degli animali che dovevano arrivare non sono ancora arrivati. E allora iniziano a domandarsi dove sia lo Stato, al netto di un decreto, ripeto, che il mio gruppo parlamentare ha convintamente sostenuto e non abbiamo presentato emendamenti perché sapevamo che sarebbe decaduto, perché bisognava fare in fretta e perché lo Stato davanti a queste tragedie non deve fare polemica. Tuttavia, se mi permette, all'interno di quest'Aula almeno rendersi conto che ci sono stati ritardi e che non vale più dire a queste persone «faremo» perché, se tu uccidi la zootecnia in quelle realtà, significa azzoppare un intero comparto non solo di attività produttive ma uccidere l'economia di una famiglia. Chi il lavoro ce l'aveva e gli è rimasto sotto le macerie e chi invece è riuscito a salvarlo, perché le mucche, gli agnelli, le pecore non gli sono morti sotto le macerie, ora glieli stanno uccidendo il mal tempo e i ritardi dello Stato. Era sbagliato: probabilmente avrebbe avuto più senso suggerire a questi allevatori di trovare soluzioni alternative, ma buonsenso avrebbe voluto una comunicazione a queste persone che impegnate come sono, capirà, non saranno perennemente davanti ai server della regione Marche o della regione Lazio o della regione Umbria a controllare le ordinanze anche perché – mi permetta di dirlo ma questo lo dico con tono positivo – sia Curcio che Errani sono stati molto presenti in queste zone terremotate e, davanti alle lamentele di questi allevatori, si poteva quanto meno comunicare che c'era un'ordinanza e che potevano procedere in maniera autonoma alla ristrutturazione e alla costruzione di stalle provvisorie. Bene, signor sottosegretario, questo non è stato fatto e allora ogni tanto un bagno d'umiltà nel dire che c’è stato un ritardo si potrebbe anche fare perché si ricordi che in quelle zone si gioca con la vita delle persone.

(Iniziative volte a garantire alle scuole paritarie la partecipazione al programma operativo nazionale «Per la scuola, competenze e ambienti per l'apprendimento» 2014-2020 – n. 2-01538)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Binetti ed altri n. 2-01538 (Vedi l'allegato A – Interpellanze e interrogazioni).
  Chiedo all'onorevole Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLA BINETTI. Presidente, illustre membro del Governo, è importante l'interpellanza urgente in esame che in questo momento di inizio di anno scolastico è presentata in quest'Aula, perché potrebbe segnare davvero il clima e il tono di cui l'attenzione alle scuole paritarie potrà godere per quel che resta di questa legislatura. Ora non c’è dubbio che se c’è una legislatura nella quale la scuola paritaria ha goduto di un'attenzione forse non adeguata sui bisogni, ma significativamente diversa e migliore rispetto a quelle precedenti, è proprio con questo Governo.
  L'aver riconosciuto alla scuola paritaria la dignità che gli deriva dal fatto che essa è una scuola paritaria e, quindi, una scuola che ha pari diritti, oltreché pari doveri, e aver riconosciuto, quindi, implicitamente uno dei più importanti diritti umani che c’è, il diritto alla libertà di educazione e il diritto dei genitori ad essere protagonisti, perlomeno nelle prime fasi della vita dei ragazzi, di questa scelta, Pag. 50questo significa aver fondato uno dei valori capisaldi della nostra democrazia. Noi abbiamo salutato davvero con grande spirito positivo il primo riconoscimento: i famosi 500 milioni alla scuola paritaria. Ce ne siamo rallegrati profondamente, perché ci sembrava che fosse un fatto di giustizia, non un fatto eccezionale, anche se non le nascondo, sottosegretario – proprio perché so quanto lei è sensibile a questo tema –, che la vera giustizia sarà quando ogni ragazzo avrà un suo peso specifico, un suo posto e questo sarà – come dire – una piccola dote che il ragazzo si porta là dove sceglie di andare a scuola. È quello che succede in molti Paesi europei, ogni ragazzo ha un suo budget e questo budget viene investito lì dove lui sceglie di andare a perfezionare il proprio percorso formativo.
  Detto questo, il secondo step è stato quando noi abbiamo salutato altrettanto positivamente il momento in cui c’è stato un ulteriore stanziamento – e questa volta non erano 500 milioni, soltanto 50 milioni –, ma avevano una destinazione, anche questa, che rifletteva la parità di responsabilità e la parità di impegno concreto che la scuola si assume nei confronti dei ragazzi che hanno una qualche disabilità. Diciamo che, tra le possibili debolezze che ci sono nella legge sulla «Buona scuola», indubbiamente io riconosco come punto di forza di quella legge l'insistenza positiva che c’è stata vuoi sulla disabilità, vuoi sulla responsabilità degli insegnanti di sostegno e sul fatto che questo non potesse essere un ruolo transitorio – come dire –, un ruolo di passaggio. Questo dimostra ancora una volta che si è cercato davvero di centrarsi sui diritti degli studenti, a prescindere da quello che fosse il loro handicap iniziale, per ottenere tutte le risorse necessarie e sufficienti per un pieno sviluppo delle loro capacità.
  Quindi, come vede, voglio esordire con due punti positivi, ma – e qui vengo al terzo punto – il terzo punto a me sembra francamente contraddittorio rispetto ai due punti precedenti e, devo dire sinceramente, gravemente dimentico di una realtà storica. Il terzo punto si riferisce al bando che ha come titolo «Scuola al centro». È un bando al quale possono concorrere solo le scuole statali; le scuole paritarie che volessero concorrere a questo bando possono farlo esclusivamente in via subalterna rispetto a quello che è il ruolo giocato dalle scuole statali. Non gli si riconosce la dignità, la competenza, la responsabilità, la specificità, per assumere, in prima persona, iniziative complesse come sono quelle di caratterizzare il territorio in cui stanno, con progetti formativi che in modo creativo siano in grado di fare sintesi tra i bisogni espressi, le risorse disponibili e una progettualità che abbia come orizzonte di senso un autentico sviluppo personale e territoriale. È quello che a livello dell'università noi chiamiamo la famosa «terza missione»; oggi l'università, oltre all'attività di docenza e all'attività di ricerca, ha come must proprio la terza missione. Si è capito che l'università non è un castello, con un suo stagno intorno e con un ponte levatoio che si alza e si abbassa a seconda delle realtà. Si è capito che l'università è un territorio aperto e che quindi dall'università verso il territorio devono discendere una serie di energie che servono a vitalizzare il territorio e nello stesso tempo a creare le giuste sinergie (quella collaborazione che va sotto la sigla «più programmi di impresa/università») che fanno sì che ci siano possibilità di arricchirsi di un patrimonio di esperienze e di competenza del territorio che ridonda totalmente a vantaggio degli studenti, che poi vengono restituite al territorio in questo modo. Quindi, tutti quelli che sono i programmi di integrazione sul territorio, che sono ricompresi in questa formula di «La scuola al centro» che significa scuola open, aperta, con la porta aperta, permettono una ricchezza di sperimentazione incredibile. Beh, la scuola paritaria è esclusa.
  Sarei disonesta se non citassi in questo momento uno degli esperimenti più straordinariamente efficaci e anche più noti a livello internazionale di modelli della Pag. 51scuola – allora non si parlava di scuola paritaria, ma tra due minuti, quando dirò il protagonista, non ci sarà nessuno che non lo conosca – che invece hanno fatto tanto bene alla scuola italiana e tanto bene ai modelli educativi. Mi riferisco a don Milani. In questi giorni è l'anniversario che tocca proprio la sua vita. Don Milani è stato un innovatore straordinario, peccato che non insegnava in una scuola pubblica, una scuola statale, anzi perdonate il lapsus, perché la scuola paritaria è scuola tanto pubblica come la scuola statale. Lui aveva una scuola paritaria, una scuola di una straordinaria forza e competenza che ha permesso di innovare modalità. Io potrei star qui – mi atterrò ai tempi che ci sono, tranquilla la Presidente – a citare l'infinità delle formule nate nelle scuole paritarie, che poi sono state esportate nelle scuole pubbliche, i veri laboratori didattici, non solo sotto il profilo della sperimentazione, ma anche sotto il profilo concreto delle risposte ai bisogni, sia che si tratti, per esempio, di classi sociali molto spesso con minore disponibilità.
  I grandi santi del Novecento – mi sia concesso dirlo – molti dei quali sono tutti i torinesi e piemontesi, penso a Don Bosco – per citarne solo uno –, ma penso anche a tutto il lavoro che ha fatto Faà di Bruno, meno noto matematico che si è occupato moltissimo della formazione delle persone che oggi noi diremmo confluiscono in quelle che sono le scuole alberghiere, le scuole del servizio domestico, le scuole del servizio strutturate, tutte scuole paritarie, signori. Il tutorato, di cui la legge della «Buona scuola» tesse elogi or qua or là, ma chi l'ha inventato ? È nato nelle scuole paritarie, cioè è nato in quella dimensione di attenzione personalizzata a ogni studente e a tutta la persona dello studente. L'esperienza del teatro, l'esperienza del volontariato, l'esperienza della creatività, ma voglio citare anche un'altra cosa, i licei linguistici. Signori, fino a pochi anni fa non esistevano nel patrimonio scolastico nazionale licei linguistici, se non quelli che nascevano dalle scuole paritarie. La sperimentazione necessariamente nasce in un contesto più piccolo e più controllato, là dove c’è un patrimonio pedagogico forte con una vocazione. Quando io ero piccola si diceva che per fare il medico, che è quello che ho fatto quarant'anni, e per fare l'insegnante ci voleva la vocazione, ci vuole una vocazione specifica anche a una donazione di servizio, a una fantasia, a una creatività, che non è strettamente misurabile, contabilizzabile, che va oltre.
  Ecco, signori, aver escluso tutte le scuole paritarie dalla possibilità di partecipare al bando «La scuola al centro» significa aver dato una prova, sottoscritta, di non conoscenza storica della storia della scuola italiana, della scuola del pensiero pedagogico, della scuola dello sviluppo.
  Ora, io mi chiedo e chiedo al sottosegretario come sia stato possibile tollerare, prima di tutto sul piano dell'ingiustizia, perché se paritaria è, paritaria è. Dovremmo forse ricorrere al Ministro delle pari opportunità, che in questo momento non abbiamo, per porre il problema ?
  Perché ci sono tanti temi di disparità ! Dovremo porre il problema di una disparità, oppure avendo assunto all'interno del progetto il valore di una scuola paritaria come scuola a tutto campo e in pienezza di dignità, averla esclusa deve rappresentare una di quelle argomentazioni forti per cui si possa fare ricorso. Ma un ricorso serio ! Anche perché anche a livello europeo, si tratta di molte delle scuole più innovative, molte delle scuole più creative, molte delle scuole in cui tu trovi sia una sperimentazione sui ragazzi più dotati, sia una sperimentazione di inserimento e di valorizzazione di ragazzi che hanno diversi tipi di abilità. E tutto questo cancellato, tutto questo non esiste per una pura, esclusiva ragione ideologica !
  Mi sia concesso – e con questo chiudo questa prima fase – di rallegrarmi, e tuttora io faccio i miei migliori auguri, al Presidente del Consiglio Gentiloni, che si è ricoverato al Policlinico Gemelli, Policlinico di cui ho l'onore di essere stata tra gli alunni della primissima generazione (il Pag. 52che già la dice lunga sull'età): perché evidentemente l'eccellenza stava là, se no il Presidente del Consiglio non l'avrebbero portato là ! Allora, signori, vogliamo escludere anche questo; e poi, quando ci ammaliamo, quando vogliamo mandare i nostri figli, dove li mandiamo ? Semplicemente perché l'ideologia ci dice che o è statale o non è ? Ecco, io vorrei sapere il sottosegretario cosa può dire.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Istruzione, l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'Istruzione, l'università e la ricerca. Presidente, ringrazio l'onorevole Binetti, anche perché con la sua ricostruzione ha ricordato alcuni passaggi degli ultimi anni, che questo Governo, e aggiungo anche questo Parlamento, hanno voluto dedicare, l'attenzione che abbiamo dedicato al tema della parità scolastica, della libertà di scelta educativa, come la stessa onorevole Binetti ha ricordato. E la voglio ringraziare anche del richiamo che ha fatto, rispetto proprio al tema del concetto di parità, che va ben oltre il tema più volte utilizzato, in maniera forse troppo ideologica, di scuola privata. Si tratta di scuole non private ma paritarie, cioè che seguono regole e regolamenti amministrativi, normativi, nazionali, regionali, comunali: proprio per questo fanno parte del Sistema nazionale di istruzione, come ci ricorda la legge n. 62 del 2000, la cosiddetta legge Berlinguer. Quindi paritarie, e non semplicemente private.
  Veniamo al tema dell'interrogazione. L'iniziativa «La scuola al centro» ha suscitato molto entusiasmo nel Paese, ed è comprensibile quindi l'interesse delle scuole paritarie a partecipare e contribuire a questa idea nuova di scuola e di apertura anche in mesi estivi, in realtà particolarmente complesse, delle istituzioni scolastiche. Si è partiti, l'anno scolastico precedente, con un progetto sperimentale pilota su 400 scuole in 4 aree metropolitane del Paese: Milano, Roma, Napoli e Palermo; nel periodo estivo, come ricordavo. Questa prima fase sperimentale è stata finanziata con le risorse proprie del Ministero con il Fondo ex legge 440, in quanto ascrivibile come ampliamento dell'offerta formativa: tale tipologia di fondi, in quanto erogabili alle sole istituzioni scolastiche statali, non ha permesso nel primo bando sperimentale l'apertura anche alle scuole paritarie.
  Il secondo bando – e vengo all'attualità, il bando per l'anno scolastico 2016-2017, sempre sul tema «scuole al centro» e apertura estiva, ha visto invece un carattere nazionale, non sulle quattro aree metropolitane ricordate, e uno stanziamento di 240 milioni di euro.
  Le scuole paritarie non sono state escluse da questo progetto, ma è stato consentito loro di partecipare in rete e in collaborazione con le istituzioni scolastiche statali. È un passo in avanti ! Tale partecipazione in rete non solo è stata consentita, ma il Ministero ha deciso di favorirla attraverso la previsione di un punteggio aggiuntivo e premiale per quelle scuole statali che hanno dato vita a tale coinvolgimento.
  Il metodo della partecipazione in rete si è giustificato alla luce della tipologia di risorse destinate al progetto, ovvero provenienti dal Fondo sociale europeo nell'ambito del PON 2014-2020. All'epoca del progetto, difatti, ci si è attenuti a quanto previsto nelle osservazioni della Commissione europea in merito all'Accordo di partenariato relativo alla programmazione 2014-2020, secondo cui le scuole paritarie non possono essere destinatarie dirette di finanziamenti; e leggo letteralmente proprio un passaggio dell'Accordo di partenariato sulla programmazione 2014-2020: «Il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di sviluppo regionale interverranno nel settore dell'educazione pubblica, con l'esclusione delle scuole private e/o paritarie».
  Ad oggi però il quadro giuridico si è arricchito di una recente disposizione in merito. Giova infatti ricordare che nel corso dell'esame della legge di bilancio di Pag. 53quest'anno, per l'anno 2017, in V Commissione alla Camera sono stati approvati diversi emendamenti di analogo contenuto, che miravano e mirano a chiarire in chiave interpretativa la portata della decisione della Commissione europea n. 9952 del 17 dicembre 2014, come ho appena ricordato, precisando che ove si parla di istituzioni scolastiche, con tale locuzione si debbono intendere tutte le istituzioni scolastiche che costituiscono il Sistema nazionale di istruzione ai sensi della legge n. 62 del 2000. Alla luce di ciò, l'amministrazione e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca stanno avviando l'iter per ottenere una specifica modifica del menzionato Accordo di partenariato, nel senso indicato dalla disposizione recentemente approvata con diversi emendamenti.
  Voglio concludere ricordando, come da lei stessa evidenziato sia nel testo che nell'illustrazione, come questo Governo, a dimostrazione ulteriore dell'importanza che questo Esecutivo riconosce alle paritarie nell'ambito del Sistema nazionale di istruzione, ha predisposto, proprio in occasione della legge di bilancio per l'anno 2017, importanti misure di sostegno. Voglio ricordare il raddoppio del contributo alle scuole che accolgono alunni con disabilità, contributo che era una innovazione proprio di questo Governo l'anno precedente, e il fondo è passato da 12,2 milioni a 23,4 milioni di euro; è in fase di definizione il relativo decreto, che verrà inviato anche al Parlamento nei prossimi giorni. Sono state aumentate le risorse destinate alla scuola, e in particolar modo è stato creato un fondo per il 2017 di 50 milioni di euro, con un capitolo di bilancio dedicato alle scuole paritarie dell'infanzia. È stato esteso – e anche questa è una novità assoluta – il tema delle detrazioni fiscali, quindi si torna al concetto di libertà di scelta educativa e di aiuto economico anche alle famiglie: da 400 euro si passerà nel triennio fino ad un massimale di 800 euro. Voglio ricordare che alle scuole paritarie da quest'anno potranno partecipare le secondarie di secondo grado, a beneficiare dei 100 milioni di euro destinati a tutte le secondarie di secondo grado che attuano i progetti di alternanza scuola/lavoro. E infine, voglio ricordare che viene esteso alle paritarie il sistema dello school bonus.
  Come si vede, questo Governo e questo Parlamento credono nella parità scolastica, credono che il sistema di istruzione sia unico e sia unico anche il sistema di istruzione nazionale, ovvero la scuola relativa ai nostri ragazzi.

  PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLA BINETTI. Certamente sono soddisfatta per la risposta a cui, però, voglio aggiungere una puntualizzazione. Il motivo principale per cui ci siamo dispiaciuti, non solo io, ma molte persone, dell'esclusione del ruolo direttivo delle scuole paritarie nell'ambito dei progetti sperimentali del progetto La scuola al centro, nasce proprio da una discriminante ideologica. Ora lei ha parlato di accordi bilaterali e di partenariato; questo significa che quell'accordo era sbagliato e non andava firmato in questo modo. Semplicemente la cultura, la tradizione, l'esperienza, la competenza, perlomeno in Italia, delle scuole paritarie è tale da meritare ampiamente il riconoscimento. Non doveva nemmeno permetterla nell'accordo la distinzione, l'esclusione esplicita, così come lei l'ha letta. Perché, evidentemente, il cancro ideologico nasce da là, nasce nel momento in cui si sottoscrive un accordo che intrinsecamente non dà atto della verità dei fatti, dà atto dei pregiudizi e delle teorie. Allora, sono molto contenta che voi vogliate intervenire lì a modificare, perché queste sono le battaglie politiche; le battaglie politiche sono proprio quelle che assumono un valore, un diritto, e conformano l'insieme dei comportamenti traducendoli in forme di dovere per gli altri che devono in qualche modo farsene carico.
  Allora, detto questo, sottosegretario, a tutte le cose che lei ha elencato positive, Pag. 54belle, io voglio aggiungere però un altro punto di criticità che, molto spesso, è il ritardo del trasferimento delle risorse dal centro ai soggetti aventi diritto. Anche questo è un tradimento, è un tradimento vero e proprio, perché la gente è in attesa di questo. Absit iniuria verbis, la collega di SEL che parlava prima, parlava di stalle, parlava del terremoto, parlava dell'urgenza e diceva come il ritardo ha un sapore di morte, perché gli animali muoiono; anche qui il ritardo ha un sapore di morte, per le scuole, perché chiudono Non sfugge sicuramente al sottosegretario quante sono le scuole paritarie che in questi anni hanno dovuto chiudere, e perché hanno dovuto chiudere ? Perché nella crisi generale la libertà si sostiene e si garantisce anche con le risorse e le risorse per essere fruibili vanno anche date nei tempi giusti, altrimenti si caricano di quegli interessi passivi che non sono sopportabili per realtà che non hanno scopo di lucro. Perché questa è una delle ragioni fondative della scuola paritaria: la parità di bilancio, ma non lo scopo di lucro; non sono diplomifici quelli a cui noi stiamo pensando, sono scuole che investono le risorse che hanno nel servizio diretto, migliorandolo in tutti i modi possibili, agli studenti. Ci sono scuole paritarie che sono aperte il pomeriggio o il pomeriggio-sera per l'accoglienza di immigrati, per l'accoglienza di persone in difficoltà, per l'accoglienza di adulti ai corsi di alfabetizzazione per gli adulti e garantiscono stesse risorse, analoghi professori per compiere un servizio di parità nel Paese. E hanno bisogno, semplicemente, dei loro livelli di sopravvivenza. Non c’è un arricchimento, c’è semplicemente un mantenimento.
  Allora io credo che di questo si debba tener conto e mi auguro, anzi, le sarò immensamente grata se nel momento in cui si ottiene il ritocco, il cambiamento, la modifica dell'accordo di partenariato, lei ce lo farà sapere. Però, mi auguro anche che sia un'azione bella, intelligente, interessante del Governo, come restituzione di memoria storica, un bel convegno, per quello che vale, in cui si dimostrino tanti e quanti sono stati i contributi sperimentali, i contributi originali con cui si è cercato di rispondere. Perché oggi, noi abbiamo scuole materne diffusissime, ma chi se lo ricorda quando le scuole materne le tenevano soltanto i giardini d'infanzia, le suore, per permettere alle madri lavoratrici di andare a lavorare, perché altrimenti non avrebbero potuto lavorare in tempi in cui il lavoro femminile era una sfida per la sopravvivenza e non soltanto, come peraltro è giusto che sia, una libera affermazione dei propri diritti ? Erano lì. E le scuole nelle condizioni disagiate ? Chi ha inventato infiniti corsi di scuole professionali ? Lei, giustamente, ha fatto riferimento a una delle belle cose della legge sulla Buona scuola che è l'alternanza scuola-lavoro, ma chi l'ha inventato il lavoro a scuola, dove le va a cercare lei le scuole con i laboratori dove i ragazzi potessero apprendere e sviluppare concrete skills che poi servissero e fossero spendibili sul piano professionale ? Allora, cerchiamo di essere intellettualmente onesti, come si addice a chi si occupa di scuole e di formazione, e cerchiamo di riconoscere il merito lì dove il merito sta e cerchiamo, davvero, di valorizzarne tutta la potenza espressiva.

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 16 gennaio 2017, alle 15:

  1. – Discussione sulle linee generali della relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito e illecito, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Doc. XXIII, n. 18).

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  2. – Discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge:
  MINARDO; CANCELLERI ed altri; BASSO ed altri; RICCIATTI ed altri: Disciplina dell'attività di ristorazione in abitazione privata. (C. 3258-3337-3725-3807-A).
  — Relatore: Senaldi.

  3. – Discussione sulle linee generali della mozione Fedriga ed altri n. 1-01231 concernente iniziative in materia di gestione dei flussi migratori, anche alla luce di recenti circolari del Ministero dell'interno.

  La seduta termina alle 13,40.

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