Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 661 di lunedì 25 luglio 2016

Pag. 1

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 12.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di 22 luglio 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castelli, Castiglione, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Valeria Valente, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico (A.C. 3954-A) (ore 12,02).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3954-A: Conversione in legge del decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico.
  Ricordo che nella seduta del 12 luglio 2016 è stata respinta la questione pregiudiziale Molteni ed altri n. 1.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3954-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.Pag. 2
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, presidente Donatella Ferranti.

  DONATELLA FERRANTI, Relatrice. Signora Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame è diretto a convertire in legge il decreto-legge n. 117 del 2016 che interviene sulla disciplina del processo amministrativo telematico e posticipa di sei mesi il termine a decorrere dal quale tutti gli atti del processo amministrativo dovranno essere sottoscritti con firma digitale.
  Nel corso dell'esame in sede referente, la Commissione vi ha inserito disposizioni relative alle assunzioni di personale amministrativo da parte del Ministero della giustizia che avranno effetti positivi anche sul processo di digitalizzazione della giustizia oltre che sull'intero comparto giustizia.
  Mi soffermerò, quindi, su due temi affrontati dal decreto. Per quanto riguarda la proroga del processo digitale amministrativo ricordo che il codice del processo amministrativo varato nel 2010, all'articolo 136, dettava, appunto, disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi telematici, prevedendo che tutti gli atti e i provvedimenti del giudice e dei suoi ausiliari e del personale degli uffici giudiziari e delle parti possono essere sottoscritti con firma digitale.
  La facoltà di utilizzare le modalità telematiche, che lì, appunto, era prevista, nel 2010, come facoltà, nel processo amministrativo è diventata un obbligo. Infatti, per accelerare innanzi al TAR e al Consiglio di Stato la digitalizzazione, ormai ampiamente avviata nel processo civile telematico, l'articolo 38, comma 1-bis del decreto-legge n. 90 del 2014, più volte modificato nel corso degli ultimi due anni, ha previsto che tutti gli atti, i provvedimenti del giudice, degli ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale. Questa disposizione, però, non ha avuto ancora efficacia, in quanto lo stesso articolo 38 del decreto-legge n. 90 del 2014 ha fissato un termine a partire dal quale il processo amministrativo avrebbe dovuto affermarsi, ma quella data, che era stata originariamente fissata al 1o gennaio 2015, poi spostata al 1o luglio 2015, successivamente al 1o gennaio 2016 e poi, ancora, al 1o luglio 2016, ora con questo decreto vede una successiva e, riteniamo, ultima posticipazione. La posticipazione del termine previsto per la piena operatività nel processo amministrativo dell'aspetto dell'informatizzazione è dovuta ad alcuni ritardi nella predisposizione delle regole tecnico-operative necessarie per applicare il principio dell'obbligatorietà della sottoscrizione digitale degli atti.
  L'articolo 13 delle disposizioni di attuazione del codice del processo amministrativo, infatti, demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e l'Agenzia per l'Italia digitale, l'introduzione di regole tecnico-operative per la sperimentazione, la graduale applicazione, l'aggiornamento del processo amministrativo telematico, tenendo conto delle esigenze di flessibilità e di continuo adeguamento delle regole informatiche alle peculiarità del processo, della sua organizzazione, alla tipologia di provvedimenti giurisdizionali e solo recentemente, con Gazzetta Ufficiale 21 marzo 2016, in attuazione di questa disposizione, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 2016 n. 40, che reca il regolamento riguardante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico.
  Si osserva, peraltro, che come previsto dall'articolo 13 delle disposizioni di attuazione del codice del processo amministrativo, in attuazione del criterio della graduale introduzione del processo telematico, dalla data di entrata in vigore del regolamento e fino al 30 giugno 2016 si procede alla sperimentazione delle nuove Pag. 3disposizioni presso i TAR e il Consiglio di Stato, con modalità individuate dagli organi della giustizia amministrativa. Il regolamento, dunque, precisa che nella fase di sperimentazione continuino ad essere applicate le norme previgenti in materia di perfezionamento degli adempimenti processuali e, dunque, la facoltatività della sottoscrizione digitale degli atti.
  Su questo quadro normativo, che quindi è in fase di evoluzione e perfezionamento, si inserisce il decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, di cui stiamo discutendo che ha posticipato il termine dal 1o luglio 2016 al 1o gennaio 2017.
  Conseguentemente, durante i prossimi sei mesi il processo amministrativo telematico avrà sempre carattere sperimentale e facoltativo; solo al termine della sperimentazione, il 1o gennaio 2017, il deposito di tutti gli atti di parte e del giudice dovrà obbligatoriamente essere realizzato con modalità telematiche.
  Sul resto del tema rimando alla relazione scritta, mentre mi vorrei occupare dell'altro punto, quello che attiene all'esame dell'emendamento che è stato approvato in sede referente dalla Commissione giustizia che ha inserito, appunto, nell'articolo 1 del decreto-legge sedici ulteriori commi, con i quali il Ministero della giustizia è autorizzato a procedere ad assunzioni straordinarie del personale amministrativo. L'importanza strategica per l'intero comparto della giustizia di questa disposizione di cui auspichiamo l'approvazione da entrambe le Camere, a breve, è stata evidenziata anche dal Ministro Orlando in occasione di una seduta di question time svoltasi lo scorso 13 luglio.
  In quella sede vorrei, appunto, ricordare che il Ministro Orlando ha rimarcato come, nell'ambito del comparto giustizia, si sconta il peso di una lunga stagione di stagnazione che ha determinato il progressivo invecchiamento del personale amministrativo della giustizia, settore in cui da oltre vent'anni non si fanno più assunzioni e con vistose carenze d'organico. Al 30 giugno 2016 il tasso nazionale di scopertura è pari al 21 per cento, nonostante i reclutamenti provenienti dal bando della mobilità volontaria.
  Ma proprio per l'attenzione particolare che in questa legislatura sia le Camere che il Governo hanno posto sul problema del personale amministrativo della giustizia, da ultimo anche con la legge di stabilità, voglio sottolineare anche che dal 1o luglio si è dato avvio alle procedure di riqualificazione previste dall'articolo 21-quater per cancellieri e ufficiali giudiziari; entro agosto sarà pubblicato il bando per le prime 1082 unità.
  Proprio perché si sta chiudendo, prima del previsto, anche in ragione dell'assorbimento virtuoso che è stato realizzato da parte delle regioni, il processo di mobilità dalle province, si è potuto valutare in maniera responsabile la necessità di un intervento normativo che liberi le risorse destinate dalla mobilità obbligatoria per procedere, quindi, a nuove assunzioni di personale.
  Su questo punto il contenuto dell'emendamento approvato in Commissione giustizia, devo dire a larga maggioranza, ha introdotto, all'articolo 1, i commi 2-bis e 2-ter, con cui si autorizza il Ministro della giustizia, per il triennio 2016-2018, ad assumere a tempo indeterminato fino a 1000 unità di personale amministrativo non dirigenziale. Il personale sarà inquadrato nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria e potrà essere selezionato sia bandendo nuovi concorsi che attingendo a graduatorie ancora valide.
  L'aumento del personale è destinato a supportare i processi di digitalizzazione degli uffici e a completare il processo di trasferimento allo Stato dell'obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari precedentemente a carico di comuni. Ricordiamoci che è stato avviato questo procedimento nuovo dal 1o settembre 2015. Alle assunzioni si potrà procedere trascorsi sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, e quindi a partire dal 29 agosto, che, presumibilmente, sarà anche la data di entrata in vigore della legge di conversione.Pag. 4
  Spetterà a un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, definire le graduatorie dalle quali attingere, nonché i concorsi da bandire, dopo aver valutato i fabbisogni di professionalità, che saranno realizzati, appunto, dalla elaborazione del Ministero.
  Il comma 2-quater consente al Ministro della giustizia di assumere a tempo indeterminato ulteriore personale amministrativo non dirigenziale, attraverso, come dicevo, procedure concorsuali disciplinate dal decreto ministeriale previsto dal comma 2-bis, attingendo a quelle risorse che residuano dall'espletamento delle procedure di mobilità del personale proveniente dalle province. In sostanza, ipotizzando che i posti individuati dalle leggi di stabilità 2015 e 2016 non vengano integralmente coperti attraverso la mobilità, il provvedimento autorizza, quindi, il Ministero ad assumere personale fino a coprire quel contingente, attingendo alle risorse residue già stanziate e previste.
  Si potrà procedere all'assunzione trascorsi trenta giorni dalla comunicazione della conclusione delle suddette procedure di mobilità. Le risorse da destinare per realizzare queste procedure straordinarie di assunzione sono, quindi, individuate al comma 2-sexies, che rinvia a due disposizioni delle leggi di stabilità 2015 e 2016, come ho già detto, e anche tutto questo iter è stato vagliato ampiamente, con parere positivo, anche dalla Commissione bilancio.
  Il carattere straordinario del reclutamento è confermato dal comma 2-septies, che specifica come allo stesso si proceda in deroga alla normativa vigente. Le procedure straordinarie avranno, inoltre, priorità su ogni altra procedura di trasferimento all'interno del Ministero della giustizia.
  Il comma 2-quinquies specifica che, per quanto riguarda le ordinarie procedure di assunzione, diverse dalle procedure straordinarie dei commi precedenti, l'amministrazione non potrà procedere se prima non sarà stato ricollocato in ambito regionale il personale proveniente dalle province.
  Per quanto riguarda l'inquadramento del personale, il comma 2-novies consente, limitatamente alle procedure già in atto di riqualificazione del personale del Ministero e di mobilità iniziate il 1o luglio, come dicevo, l'inquadramento in soprannumero nei singoli profili, ma nel rispetto della dotazione organica complessiva, fino al completo riassorbimento e alla revisione della pianta organica. Tale divisione, infatti, è prevista dal precedente comma 2-octies, ai sensi del quale, con decreto ministeriale della giustizia, prima di procedere con le assunzioni straordinarie, si provvede alla rimodulazione dei profili professionali del ruolo dell'amministrazione giudiziaria e alla revisione della relativa pianta organica, sempre nel rispetto del limite della dotazione organica complessiva attuale e del conseguente limite di spesa.
  Il comma 2-decies sopprime le disposizioni che consentono, se non sono possibili le procedure di mobilità, l'acquisizione del personale proveniente dagli enti di area vasta mediante mobilità volontaria, prescindendo dall'assenso dell'amministrazione di appartenenza. Tale modalità, quindi, è da ritenersi superflua alla luce delle disposizioni che consentono ora al Ministero di indire procedure concorsuali per la copertura di posti, così come previsto anche dalla nostra Costituzione.
  Il comma 2-undecies prevede un preciso stanziamento per il 2016 per lo svolgimento delle procedure concorsuali e il comma 2-duodecies riduce il contingente di personale che può transitare verso il Ministero della giustizia in mobilità in base al comma 425, settimo periodo, della legge di stabilità 2015, portandolo da 1.943 a 1.268 unità. Analogamente dispone il comma 2-terdecies, intervenendo non sul comma 425 della legge di stabilità, ma su una disposizione successiva che tale norma aveva già modificato. È l'articolo 21, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2015.Pag. 5
  In relazione, quindi, alla riduzione del contingente assumibile ai sensi del comma 425 della legge di stabilità del 2015 e dei commi che prima ho citato, si provvede a rimodulare in parallelo la riduzione della copertura finanziaria, proprio per fare in modo che le risorse rese in tal modo disponibili, completate le procedure di mobilità, siano destinate all'attuazione del comma 2-bis del testo in esame, e quindi all'assunzione di mille unità di personale amministrativo mediante graduatorie aperte o concorsi da bandire presso il Ministero della giustizia. Infine, il comma 2-septiesdecies autorizza il Ministero dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Con questo chiudo e chiedo di poter anche depositare il testo scritto della relazione, ringraziando.

  PRESIDENTE. Sì, presidente, senz'altro può consegnare il testo scritto.
  Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Prego, sottosegretario Ferri.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Grazie, Presidente. Ringrazio anche il presidente della Commissione giustizia, l'onorevole Ferranti, per questa relazione completa e che tocca davvero tutti i punti, e sottolinea in maniera coerente e decisa anche la linea di questo Governo in tema di giustizia e sulle politiche del personale amministrativo, che, come sapete, è centrale per il funzionamento del servizio giustizia.
  Il testo che quest'Aula oggi è chiamato ad esaminare si pone nel solco degli interventi varati da questo Governo per il miglioramento dell'efficienza, nonché, attraverso l'innovazione, dell'efficacia del servizio giustizia. Ci occupiamo oggi di misure strutturali che, in un'ottica duratura, tendono a irrobustire l'organizzazione della giurisdizione sul piano della dotazione delle risorse umane e tecnologiche.
  Le direttrici del cambiamento che ha portato avanti questo Governo: primo, rendere il processo più attrezzato, fornendogli nuove tecnologie che consentano di ridurre i tempi di lavorazione delle singole procedure e di risparmiare, razionalizzando l'interazione tra i diversi soggetti. Seconda direttrice: investire nell'acquisizione di nuovo personale qualificato, utile a soddisfare la domanda proveniente dai diversi uffici giudiziari del Paese.
  In questi giorni ha compiuto due anni l'introduzione della telematica nel processo civile, intrapresa il 30 giugno 2014, a partire dai nuovi procedimenti, per essere poi estesa agli altri e, un anno fa, alle corti di appello. A maggio di quest'anno è stato rilevato, rispetto a un anno fa, un aumento notevole, di circa un terzo, sia dei depositi telematici da parte di avvocati e professionisti sia degli atti generati fin dall'inizio in forma digitale dai magistrati.
  Ciò significa che con il processo civile telematico, pur con le ineludibili criticità applicative, si è delineata, oggi, una nuova dimensione, che, oltre a modernizzare il rito civile, ha consentito di far salva la prossimità della giurisdizione rispetto ai cittadini e agli avvocati all'esito della rivisitazione della geografia giudiziaria.
  Anche nel processo penale è già molto diffusa la tecnologia, poiché numerosi sono gli applicativi informatici per renderne più rapida ed efficace la gestione. Il primo risultato ottenuto è l'informatizzazione dei registri generali, con il passaggio dal Rege, Registro generale, al SICP, Sistema informativo della cognizione penale, concluso nel 2015, che consente una gestione integrata dei dati del processo di primo e secondo grado, per la fase dell'esecuzione penale il SIES, Sistema informativo esecuzione sorveglianza, e per le misure di prevenzione il sistema SIPPI, Sistema informativo prefetture e procure dell'Italia meridionale.
  Con il TIAP, Trattamento informatizzato atti penali, il Ministero tende all'obiettivo di dematerializzazione degli atti con digitalizzazione del fascicolo nelle varie fasi del procedimento di primo grado, onde consentire una più facile consultazione e gestione da parte di tutti gli attori del processo. Pag. 6
  A differenza del processo civile, che si basa su un sistema unico che assolva alle diverse funzioni, il processo penale telematico ha diversi applicativi, a seconda della funzione svolta, per cui quello che resta da fare è garantire la piena interoperabilità dei sistemi, e, come annunciato dal Ministro della giustizia, questo è l'anno cruciale per l'uniformazione del sistema alla base del processo penale telematico, con la reingegnerizzazione dei sistemi in uso per arrivare ad un unico sistema che sia completo, integrato e sicuro.
  Nel quadro di tale premessa, il processo amministrativo è a pieno titolo coinvolto in questo percorso di innovazione, che è destinato ad accorciare le distanze tra il giudice amministrativo e i suoi utenti, che sono tutti i cittadini.
  Questo percorso non può non tener conto delle peculiarità del processo amministrativo, che – ricordiamolo – soltanto dal 2010 è regolato da un codice organico nell'organizzazione e nel funzionamento. Non dimentichiamo che la struttura della giustizia amministrativa si caratterizza, rispetto a quella ordinaria, per la presenza delle sedi degli uffici giudiziari di primo grado nei capoluoghi di regione e in alcune altre province, come sezioni distaccate dei tribunali amministrativi, e per il fatto che il giudizio di appello si svolge a Roma, con la sola eccezione del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana.
  Proprio il codice del processo amministrativo adottato negli anni in cui era acquisita nel dibattito politico l'indispensabilità del processo per un salto di qualità in termini di efficienza del servizio, aveva previsto la facoltà per il giudice, le parti ed il personale degli uffici di sottoscrivere atti e provvedimenti con firma digitale.
  Un deciso passo in avanti verso l'innovazione del processo amministrativo è stato compiuto con l'articolo 38, comma 1-bis, del decreto-legge n. 90 del 2014, che detta misure in materia di processo amministrativo digitale ed introduce l'obbligo della sottoscrizione con firma digitale.
  Nel 2016 vi è stata una tappa fondamentale nell'attuazione di tale programma con il DPCM 16 febbraio 2016, n. 40, regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico, che ha introdotto fino al 30 giugno 2016 la sperimentazione delle nuove disposizioni presso TAR e Consiglio di Stato, con le modalità individuate dagli organi della giustizia amministrativa. Il Consiglio di Stato, nel rendere il parere su uno schema di regolamento, ha evidenziato come le nuove regole tecniche «rappresentano un elemento di particolare rilevanza per il raggiungimento dei fini enunciati, nella consapevolezza che la strumentazione informatica può contribuire ad assicurare la snellezza e l'effettività della tutela, nonché la ragionevole durata del processo e la standardizzazione delle procedure, con conseguente incremento della trasparenza e riduzione dei costi delle medesime».
  L'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 117 del 2016, sulla cui conversione in legge quest'Aula è chiamata a pronunciarsi, interviene sulla disciplina del processo amministrativo telematico, posticipando di sei mesi, dal 1o luglio 2016 al 1o gennaio 2017, l'efficacia della disposizione che rende obbligatoria l'adozione delle modalità telematiche nel deposito degli atti del processo amministrativo. Le ragioni della proroga risiedono nelle necessità successive alla predisposizione in corso delle regole tecnico-operative per il processo amministrativo telematico, non potendosi prescindere, come è accaduto per il processo civile e per quello penale, dai graduali introduzione ed aggiornamento dei meccanismi di recepimento di questo nuovo modello.
  Per consentire il perfezionamento della sperimentazione delle regole introdotte dal DPCM n. 40 del 2016, l'articolo 1, comma 2 del decreto-legge ne proroga la durata fino al 31 dicembre 2016.
  L'articolo 2, comma 1, fissa, dunque, al termine di questo articolato e complesso percorso, l'avvio del processo amministrativo telematico alla data del 1o gennaio 2017, e la Commissione giustizia ha inserito Pag. 7il comma 1-bis dell'articolo 2 per consentire, sempre in ossequio al principio di gradualità, l'avvio ordinato del processo amministrativo telematico, consentendo fino al 31 marzo 2017 la sottoscrizione sia in modo tradizionale che in forma digitale.
  Ma qualunque riforma della giustizia in mancanza di personale amministrativo qualificato è destinata a rimanere lettera morta: questo principio deve essere applicato anche al processo di digitalizzazione, che dopo il civile e il penale si appresta a diventare una realtà anche per l'amministrativo. Non c’è del resto cambiamento nei modelli organizzativi, nei moduli gestionali, negli schemi regolamentari che funzioni, se non si immettono anche nuove energie: occorre dunque personale adeguato, attrezzato e posto nelle condizioni di lavorare al meglio, in modo da concretizzare gli indirizzi che il legislatore predispone. È innegabile che gli uffici giudiziari, come segnalato più volte dai loro vertici, versino in una condizione di sofferenza per effetto della contrazione delle assunzioni dovuta al contenimento della spesa pubblica. Questo problema è stato affrontato dal Ministero della giustizia nel corso del triennio 2014-2016, percorrendo diverse strade tra loro parallele: in primis attingendo ad altre graduatorie in corso di validità (cito lo scorrimento delle graduatorie del Ministero dell'interno, 48 unità, e quelle dell'Istituto commercio estero, 95 unità); attraverso la mobilità volontaria, per 1031 unità; e infine, in ossequio alla normativa prevista nell'ultima legge di stabilità, attraverso la mobilità obbligatoria, per assorbire le unità di personale dichiarate in sovrannumero da parte della Croce rossa italiana (600) e degli enti di area vasta (1000 unità).
  A tali iniziative si sono affiancate, come negli anni precedenti, le ordinarie forme di utilizzo temporaneo di personale, che permettono in tempi rapidi di garantire, sia pure con provvedimenti di natura transitoria, l'incremento della forza lavoro degli uffici giudiziari. Rientrano in tale tipologia i comandi da altre amministrazioni e gli spostamenti di dipendenti all'interno di ciascun distretto, con lo strumento dell'istituto delle applicazioni infradistrettuali. Quanto al primo istituto menzionato, è possibile coprire temporaneamente i posti vacanti con il personale che presenti richiesta di comando da altre pubbliche amministrazioni del comparto Ministeri, secondo le vigenti disposizioni contrattuali. Da ultimo si segnala l'evoluzione degli interventi sull'ufficio per il processo, su cui sta insistendo questo Governo e il Ministero della giustizia, nel quale come è noto confluiscono anche i tirocinanti ex articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011.
  Venendo alla misura odierna, essa dimostra la volontà di affrontare in termini strutturali la grave crisi di personale amministrativo che affligge gli uffici giudiziari: ed infatti nel corso dell'esame in sede referente il Ministero è stato autorizzato a procedere ad assunzioni straordinarie e in deroga alla vigente normativa sui limiti assunzionali (cosiddetto turnover), che consentirà di assumere per il triennio 2016-2018 fino a 1000 unità di personale amministrativo non dirigenziale a tempo indeterminato, da inquadrare nei ruoli dell'amministrazione della giustizia, che potrà essere selezionato sia bandendo nuovi concorsi sia attingendo a graduatorie ancora valide. Quindi starà, una volta approvata dall'Aula questa norma e quando diventerà legge, al Ministero stabilire poi in che modo distribuire la percentuale di posti che verranno assunti grazie alla mobilità, con dichiarati idonei e con concorso pubblico. Questo dimostra l'intenzione ancora una volta del Ministero di cercare di rispondere a questa criticità strutturale delle carenze del personale amministrativo. Inoltre, da pochi giorni il Ministero della giustizia ha inviato al Consiglio superiore della magistratura anche la modifica delle piante organiche che riguarda i magistrati ordinari, proprio perché ritiene che personale amministrativo e personale dei magistrati sia essenziale per modernizzare e per rendere efficiente ed efficace la macchina della giustizia: che vogliamo rilanciare con Pag. 8forza, per garantire, anche dal punto di vista dell'efficienza del servizio giustizia, una effettiva ripresa economica.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Signora Presidente, egregi colleghi, signori del Governo, ancora una volta un decreto-legge: il 30 giugno il Governo ha emanato un ennesimo decreto-legge intitolato «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico». Abbiamo già denunciato in quest'Aula l'abuso della decretazione d'urgenza e la sua adozione in netto contrasto con l'articolo 77 della Costituzione. Ribadiamo che, dall'inizio della legislatura al 15 giugno 2016, sono stati emanati dai Governi ben 70 decreti-legge. Quindi, con questo, se non ho perso il conto, andiamo, perlomeno, a quota 71. Vi era necessità di questo decreto-legge ? La sua emanazione è giustificata dal fatto che a febbraio ultimo scorso è stato finalmente emanato il regolamento di attuazione delle norme per il processo telematico, però si dice che è indispensabile modificare altre norme del codice del processo amministrativo.
  Ecco come si pronuncia il Comitato per la legislazione: il decreto-legge si compone di due articoli e reca un contenuto puntuale e corrispondente al titolo, in quanto posticipa di sei mesi, dal 1o luglio 2016 al 1o gennaio 2017, il termine a decorrere dal quale tutti gli atti del processo amministrativo dovranno essere sottoscritti con forma digitale e prevede che, conseguentemente, durante i prossimi sei mesi, il processo amministrativo telematico avrà – io aggiungo, ancora – carattere sperimentale e facoltativo. Poi conclude: il decreto-legge non procede, tuttavia, all'adeguamento delle norme richiamate nella relazione illustrativa, limitandosi alla proroga.
  In parole povere, dal 2010 – sono passati sei anni – noi abbiamo vissuto come giocatori applicati al gioco dell'oca. Infatti, nel 2010, quando fu adottato il codice del processo amministrativo, si stabilì la facoltà di smaterializzare tutta l'attività burocratica annessa alla procedura. Poiché nulla si fece, evidentemente, nel 2014 fu emanato un altro decreto con il quale si stabilì, invece, che la facoltà dovesse diventare obbligo. Però, lo stesso articolo 38 – già citato dal sottosegretario e dalla relatrice – conteneva la smentita a se stesso, perché prevedeva che questa innovazione entrasse in vigore sei mesi dopo. Questi «sei mesi dopo» sono diventati praticamente due anni; due anni in cui, per effettuare ulteriori proroghe, sono stati emanati ben quattro decreti-legge: il n. 90 del 2014, il n. 192 del 2014, il n. 83 del 2015 e il n. 210 del 2015. Adesso siamo al n. 117 del 2016.
  Perché ho parlato del gioco dell'oca ? Perché la conclamata obbligatorietà è rimasta sempre una mera facoltà; l'attività che si è realizzata è stata un'attività sperimentale e ancora oggi si dice che bisogna continuare su questa strada, sulla strada della facoltatività e della sperimentazione fino al 2017 e ciò in modo ingiustificato.
  Questo la dice lunga sulla produttività del Ministero in materia. Come vedremo dopo parlando delle modifiche apportate al testo del decreto-legge dalla Commissione, questa inerzia del Ministero è abbastanza conclamata.
  Io vorrei tornare con la mente al 2014 e al 2015, quando in quest'Aula si è deciso di convertire quei decreti-legge. Riascolto l'eco di quelle parole: i decreti-legge sono emanati in conformità alla Costituzione; sussistono le condizioni di straordinarietà ed urgenza. L'urgenza, indubbiamente, non la possiamo contestare, ma la straordinarietà... Non c'era e non c’è alcuna straordinarietà, perché chi decideva una data sapeva bene che il tempo messo ancora a disposizione non sarebbe stato sufficiente per gli adempimenti burocratici, oppure, se non lo sapeva, vuol dire che siamo a livelli di incapacità. Quindi, per ben cinque volte, quest'Aula ha fatto finta che fosse di fronte a casi di straordinarietà e di urgenza.
  Cos’è accaduto in Commissione ? La Commissione giustizia, a cui va dato atto di colmare molto spesso le lacune dei Pag. 9provvedimenti del Governo e a cui va dato atto di sostituirsi efficacemente alla inattività del Governo stesso, cosa ha fatto ? Ha trasformato un decreto-legge di appena due articoli in un decreto-legge di ben – potrei dire – 17 articoli. Per pudore, non si parla di articoli e si parla di commi, ma è un éscamotage che la Commissione – o la maggioranza della Commissione – ha adottato per non smentire completamente il Governo. Noi abbiamo un provvedimento del Governo, composto da due articoli, che si limitavano semplicemente a chiede di spostare il termine di sei mesi per consentire agli uffici del Ministero di adempiere alle ultime formalità, e poi abbiamo, invece, un'attività dalla Commissione giustizia, che modifica il testo introducendo delle novità, che sono completamente scoordinate con quanto il Ministero ha legiferato con il decreto-legge.
  Infatti, badate, è giurisprudenza costante – parleremo anche dell'attuale riforma della Costituzione – che i decreti devono avere contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. Tanto è vero che, come ho già detto in precedenza, quando il Comitato per la legislazione ha visionato il decreto-legge così come deliberato dal Governo, ha affermato che il decreto, che si compone di due articoli, reca un contenuto puntuale e corrispondente al titolo, in quanto posticipa di sei mesi, dal 1o luglio 2016 al 1o gennaio 2017, il termine a decorre dal quale gli atti del procedimento amministrativo dovranno essere sottoscritti con forma digitale. Praticamente, il contenuto è conforme al titolo, come la legge n. 400, oltre che la giurisprudenza della Corte, obbliga a fare. Quando si legge il titolo di una legge non si deve essere tratti in inganno, perché quel titolo deve corrisponde al contenuto e il contenuto di una legge si deve ritrovare nel titolo di questa legge. Invece, cos’è accaduto ? Che la Commissione, ricordandosi della sofferenza dei tribunali e delle corti di giustizia italiane per la carenza di personale, che è una delle cause riconosciute delle lungaggini dall'attività processuale e giurisdizionale dei tribunali, si ricorda di questo e, quindi, modifica completamente il decreto-legge introducendo ben – ho detto – 15 articoli nuovi, in cui si disciplina la futura assunzione in tre anni di un certo numero di unità e si dice: blocchiamo le graduatorie, graduatorie che erano bloccate, come si evince dal discorso anche del sottosegretario, e poi dopo alla fine, se ci sono ancora dei posti liberi, mettiamoli a concorso, e poi dice: qualora – ma parliamo sempre al futuro – con la mobilità dovessero residuare delle risorse, utilizziamo anche queste per ampliare, come dire, l'ingresso di lavoratori, di personale amministrativo non dirigenziale. Quindi, da un lato, il gioco dell'oca, dall'altro lato, la certificazione della inerzia del Governo sui punti cruciali della carenza di personale di ogni tipo, amministrativo, presso i tribunali, dall'altra parte ancora, un'attività della Commissione che certamente va apprezzata nel suo spirito – come si può non essere d'accordo con la Commissione che smentisce il Governo o commette una toppa alla inerzia del Governo ? Però dobbiamo abituarci – il Governo da un lato e la Camera dall'altro lato – a legiferare secondo i canoni che noi ci siamo dati, sia quelli previsti dalla Costituzione italiana, sia quelli previsti dalle varie leggi che esistono in materia e dalla giurisprudenza della stessa Corte costituzionale.
  Onestà – chiamiamola – intellettuale avrebbe voluto che il titolo della legge di conversione non fosse più quello originario, perché il Comitato per la legislazione si è espresso su un contenuto dicendo che è conforme, come deve essere, al titolo, ma aggiungesse: recante proroga dei termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico e, ad esempio, apertura dei concorsi, non so, altra terminologia che ricomprendessero, comunque, in questa nuova titolazione, l'effettivo contenuto di questa legge.
  Ma l'atteggiamento, la cosa che, in un certo senso, mi ha fatto sorridere assistendo a questa vicenda è un'altra: in questi giorni, ormai da tempo, è in atto una campagna referendaria in Italia, nascono comitati per il «sì», nascono comitati Pag. 10per il «no», giustamente, perché ad ottobre noi saremo chiamati a decidere se confermare o meno la controriforma della Costituzione. E che cosa abbiamo scritto a questo proposito nella controriforma della Costituzione ? Abbiamo scritto esattamente quello che vi ho letto poc'anzi: «i decreti recano misure di immediata applicazione» – e qui non abbiamo misure di immediata applicazione, mi riferisco a quelle per il personale – «e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». Allora il paradosso qual è ? Che qui, a calci, a spintoni, il Parlamento, con voto non libero, è stato portato a deliberare la riforma, anzi la controriforma della Costituzione, e noi, o voi, che quella controriforma avete votato, che fate ? Nella prassi quotidiana vi smentite così platealmente ?
  Allora, qual è il problema ? Il problema è che tutta questa riforma, alla fin fine, è fumo negli occhi, perché le prassi in vigore in relazione alla emanazione dei decreti-legge resteranno, perché non basta cambiare le norme, deve cambiare il costume !
  E quindi voi oggi avete anche l'obbligo, come dire, morale e politico di dimostrare già che applicherete la Costituzione per quanto riguarda i requisiti dei decreti-legge, perché il nuovo testo rispetto a quello precedente è ancora più preciso, perché introduce nel testo una mera rassegna di giurisprudenza che noi già conoscevamo. E allora, vista la testardaggine, visto l'abuso del Parlamento, ci si illude che introducendo nella Carta costituzionale questi principi, questi saranno rispettati. Ma non sono rispettati da tempo, si è parlato appunto di 70 decreti-legge nel giro tre anni, praticamente, di questa legislatura, e anche in prossimità del referendum non ne diamo buona prova. Da un lato si scrivono alcune cose, dall'altro lato ci si comporta in tutt'altra maniera.
  Quindi, in sintesi, noi non apprezziamo che si continui a tenere in piedi il banco del gioco dell'oca ! È dal 2010 che questa partita è aperta. Sono sei anni – sei anni ! – e non è detto che a gennaio o a marzo 2017 questa partita si chiuda. D'altra parte, si poteva già chiudere prima, lo dice il Comitato per la legislazione, quando dice: scusate, avete fatto un decreto-legge per spostare i termini, ma non potevate fare un decreto-legge per realizzare quelle modifiche che dite di dover fare nei prossimi sei mesi ? Lo dice il Comitato per la legislazione, che, come è noto, come il profeta Battista, è vox clamantis in deserto.
  Ora, alla luce di tutto questo, voi capite l'imbarazzo nel quale viene messo il Parlamento: da un lato, una profonda ostilità a questa proroga, perché non si dice neanche che sarà l'ultima, abbiamo bisogno di tempo; dall'altro lato, si introducono delle norme che dovrebbero, nel giro di tre anni, consentire di alleggerire le sofferenze dei tribunali per carenza di personale. Ora, indubbiamente, in questa materia, in materia di ordinamento di giustizia, questo Parlamento e questa Commissione sono molto attenti, però anche molto schizofrenici, perché molto spesso siamo in grado di fare delle riforme attese dalla civiltà giuridica più evoluta della nostra società, ma dall'altro lato procediamo con i soliti vizi che qui ho cercato di evidenziare.
  Quindi, signor Ministro – scusate, signor sottosegretario, era un auspicio indubbiamente ! –, da un lato non possiamo che criticare le lungaggini e l'inerzia del Ministero, ma dall'altro lato non possiamo che, purtroppo, sia pure con un metodo sbagliato, apprezzare il comportamento e l'attività della Commissione giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche della relatrice e del Governo – A.C. 3954-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, presidente della Commissione giustizia, deputata Ferranti. Ha sei minuti, onorevole.

  DONATELLA FERRANTI, Relatrice. Grazie, Presidente. Sarò brevissima, soltanto Pag. 11credo che sia opportuno, alla luce dell'intervento – che dà un colpo al cerchio e uno alla botte – dell'onorevole Sannicandro, una mia precisazione, anche nella qualità di presidente. La Commissione non ha voluto né smentire il Governo, né stare qui a fare il notaio: le Camere non hanno il ruolo di notaio rispetto ai decreti-legge fatti dal Governo. La Commissione giustizia, in relazione ai poteri che le vengono dati anche dal punto vista regolamentare, ha definito la materia del decreto, ai fini del giudizio di ammissibilità degli emendamenti, individuandoli nel processo telematico. Il processo telematico rappresenta l'attuazione della digitalizzazione in tutto il processo: il processo civile, il processo amministrativo, il processo contabile e il processo penale.
  Quindi è una forma moderna di attuazione della semplificazione del procedimento che riguarda tutte le varie forme di processo; e nell'ambito di questo contesto, come risulta dall'iter dei lavori della Commissione, la materia è stata individuata nel processo telematico. Alla luce dell'individuazione di questa materia, ecco che è stato dichiarato ammissibile l'emendamento a firma dell'onorevole Rossomando, poi sottoscritto anche dall'onorevole Mattiello e riformulato dal Governo alla luce anche degli opportuni contatti con il MEF, proprio perché non esiste un procedimento telematico che non veda contemporaneamente anche un adeguato supporto del personale amministrativo.
  Sappiamo bene che l'informatica, tutta l'informatica, non regge da sola, ma regge purché vi sia anche un adeguato supporto del personale amministrativo preparato professionalmente. In questo senso, non si è voluto smentire nulla nei confronti dell'azione del Governo, che ovviamente sarà vigile rispetto all'attuazione. Ho detto, nella mia relazione, come passi concreti siano stati fatti recentemente anche con il decreto ministeriale di marzo, quindi attualmente c’è una regolamentazione in via di sperimentazione. È ovvio che – l'onorevole Sannicandro lo sa meglio di me, facendo di professione l'avvocato – per dare certezze ai rapporti giuridici, quindi garantire soprattutto il cittadino e il difensore, occorre che il processo telematico sia adeguatamente supportato non solo dal personale amministrativo, ma anche e soprattutto da norme processuali certe di riferimento.
  Quindi, la materia del decreto è stata delineata come processo telematico e l'emendamento è stato ammesso in quanto strettamente attinente alla materia. Fin qui ho riespresso quello che già avevo detto come presidente, mentre come relatrice dico pure che rimango senza parole, costernata, rispetto al fatto che, dopo vent'anni di assoluta trascuratezza nei confronti del personale amministrativo della giustizia e di fronte alla prima possibilità che ci possa essere un pubblico concorso, aperto quindi ai giovani, che superi l'immobilismo di un personale ormai invecchiato, ci sia qualcuno che provi, attraverso un atteggiamento bizantino e contraddittorio, a criticare l'operato del Parlamento. Credo, come relatrice, che si debba rivendicare con orgoglio l'operato del Parlamento, che si è fatto carico di veicolare, attraverso questo decreto-legge, una misura che non è opportuna, è assolutamente necessaria.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Presidente, sono d'accordo con quanto ha detto il presidente Ferranti e la ringrazio. Voglio prendere però spunto dall'aspetto, anche positivo, dell'onorevole Sannicandro, quando anche lui ha sottolineato l'importanza del personale e di questo intervento.
  Voglio ricordare quello che è stato già fatto e indicato anche nella relazione della presidente Ferranti, quando ha detto che il Ministro Orlando, proprio rispondendo in quest'Aula a un question time il 13 luglio, ha rimarcato che la politica di razionalizzazione dei costi e di recupero delle risorse avviata dal Ministero della giustizia ha consentito di raggiungere, a fine 2015, il considerevole risultato di destinare oltre 1 miliardo 600 milioni di Pag. 12risorse aggiuntive di interventi di carattere organizzativo di supporto agli uffici, distribuite in: digitalizzazione, spese di funzionamento degli uffici giudiziari, misure per il recupero del «debito Pinto» e misure per il personale amministrativo.
  Ora noi stiamo lavorando proprio per ridurre i tempi della giustizia, per recuperare anche quei soldi che destiniamo e paghiamo come risarcimento per la «legge Pinto» e investire queste risorse nella macchina della giustizia. Voglio risottolineare anch'io come per vent'anni non sia stato fatto niente in materia di personale, e noi, dopo vent'anni, affrontiamo questo tema del personale amministrativo e l'argomento delle piante organiche – sia quelle dei magistrati, come dicevo poc'anzi, ma anche quelle del personale amministrativo – in un momento in cui siamo consapevoli di non poterci permettere un tasso nazionale di scopertura pari al 21 per cento. Quindi diversi sono i provvedimenti che stiamo ponendo in essere e che abbiamo ricordato, e la politica del Ministero è quella non solo di guardare a nuove assunzioni, non solo di guardare a riempire i vuoti di organico, ma anche a valorizzare il personale amministrativo che fino ad oggi ci ha accompagnato, al quale dobbiamo dire «grazie» per quanto hanno fatto e quanto stanno facendo negli uffici giudiziari, lavorando in condizioni precarie ma con grande entusiasmo e grande professionalità.
  Il 10 luglio – l'ha ricordato il Ministro Orlando – si è dato avvio alle procedure di riqualificazione, previste dall'articolo 21-quater, per cancellieri e ufficiali giudiziari; entro agosto sarà pubblicato il bando per le prime 1.082 unità e importanti sono le risorse finanziarie che il Ministero ha destinato alle politiche del personale: 267 milioni di euro per il reclutamento di personale in mobilità provinciale; 25 milioni, a partire da quest'anno, per le procedure di riqualificazione; 90 milioni per la contrattazione FUA chiusasi lo scorso autunno. Quindi, stiamo lavorando per riqualificare, valorizzare e fare avanzare, dal punto di vista della carriera, il personale che fino ad oggi e tuttora sta lavorando con grande serietà e nello stesso tempo ci stiamo ponendo il problema di risolvere la questione della carenza di organico. Su questa strada continueremo a lavorare, consapevoli dell'importanza.
  Davvero, seppure accettiamo le critiche, quando sono costruttive, di fronte alle quali cerchiamo di dare delle risposte e di migliorare la nostra azione governativa, non si può non dare atto di questo sforzo, di questo impegno, e anche del fatto che questo Governo abbia voltato pagina e abbia dato delle risposte concrete a temi che erano rimasti lì e che nessuno aveva avuto la forza di affrontare in materia in modo coerente e determinato. Noi ci stiamo provando e i risultati stanno arrivando.

  PRESIDENTE. La ringrazio, sottosegretario. Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.

Discussione della mozione Grillo ed altri n. 1-01178 concernente iniziative relative al regime dei farmaci e dei relativi rimborsi da parte del Servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla questione dei cosiddetti farmaci innovativi (ore 13).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Grillo ed altri n. 1-01178 (Nuova formulazione) concernente iniziative relative al regime dei farmaci e dei relativi rimborsi da parte del Servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla questione dei cosiddetti farmaci innovativi (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che è stata presentata la mozione Nicchi ed altri n. 1-01322 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà Pag. 13svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  È iscritta a parlare la deputata Silvia Giordano, che illustrerà anche la mozione Grillo n. 1-01178 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria. Prego, onorevole Giordano, ne ha facoltà.

  SILVIA GIORDANO. Presidente, sono talmente tante le cose che non vanno nella gestione attuale dell'Agenzia italiana del farmaco che non sono sicura che il tempo a mia disposizione per renderle note oggi in Aula sia sufficiente.
  Parliamo di un ente che, tra i suoi compiti, ha quello di garantire la salute dei cittadini e ha l'onere e l'onore di gestire una spesa farmaceutica in continua ascesa e che nel 2015 ha sfiorato complessivamente i 30 miliardi di euro. Ma affinché non si dica che il MoVimento 5 Stelle sa dire solo «no», ho deciso di dividere il mio intervento in due parti, nella prima cercherò di spiegare i motivi che hanno spinto il MoVimento 5 Stelle a presentare la mozione che discutiamo qui, oggi, la seconda, invece, è dedicata alle nostre proposte che sono il frutto di più di due anni di osservazione della governance dei farmaci nel nostro Paese.
  Quindi, per quanto riguarda la prima parte, dopo più di due anni dalla mancata applicazione del decreto Balduzzi del 2012 in merito alla rinegoziazione del prontuario farmaceutico nazionale, il Governo, che come vedremo supplisce spesso alle mancanze dell'AIFA, fissa nel decreto legislativo n. 78 del 2015 la conclusione delle procedure di rinegoziazione con le aziende farmaceutiche, il tutto avverrà con una serie di incontri tra AIFA e aziende del settore, effettuati in circa quindici giorni, che non porteranno ai risparmi previsti da almeno due intese della Conferenza Stato-regioni. Inoltre, il sottosegretario De Filippo, che dispiace non vedere oggi in Aula, nel rispondere alla nostra interpellanza n. 2-01118, ha dichiarato che il risparmio stimato per il Servizio sanitario nazionale sarà di 707,1 milioni di euro, una cifra ben inferiore, quindi, ai 1.500 milioni di euro previsti con l'intesa Stato-regioni del 2 luglio 2015. Quindi, non so se avete capito bene, stiamo parlando di 800 milioni di euro, lo ripeto, 800 milioni, lasciati nelle ricche casse delle aziende farmaceutiche. Ma come è possibile che solo il nostro movimento si chiede come mai si è aspettato due anni quando bastavano quindici giorni ? Lo dico perché, ovviamente, ogni anno di mancata negoziazione equivale a mancati introiti per le casse dello Stato.
  Due parole sul tema della trasparenza, principio pressoché sconosciuto all'AIFA. Grazie sempre ad una nostra mozione e alle relative audizioni a tema la secretazione dei prezzi dei trattamenti nelle negoziazioni tra l'Agenzia e l'industria del farmaco, scopriamo che pressoché tutti gli addetti ai lavori sono diventati grillini. Ad esempio Silvio Garattini, noto sovversivo, ha spiegato in Commissione e cito: questa, ossia quella del segreto nella contrattazione dei prezzi, è una pratica preoccupante che tra l'altro non pare abbia precedenti nell'acquisto di beni e servizi da parte di strutture pubbliche. C’è da aggiungere altro ? Ve lo dico io, assolutamente, sì; infatti, questo comportamento ha portato ad una gestione completamente sballata negli acquisti dei medicinali per l'eradicazione dell'epatite C, Harvoni e Sovaldi, da parte delle regioni che, non avendo le adeguate informazioni, hanno mancato gli sconti più consistenti e la morale qual è ? È che, invece, di spendere 750 milioni per 50.000 trattamenti, abbiamo speso un miliardo per poco più di 35.000. A proposito di Sovaldi e Harvoni voglio qui riportare che solo grazie ad una nostra denuncia l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato è intervenuta per far modificare una determina AIFA in quanto, riporto il periodo, il mantenimento in vigore della determinazione... scusate devo bere un po’ d'acqua. Scusi Pag. 14Presidente, cito l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato: il mantenimento in vigore della determinazione n. 1427/2015 pare pertanto suscettibile di vincolare gli acquisti futuri di trattamenti anti epatite C da parte delle regioni con effetti di consolidamento e rafforzamento di posizioni commerciali che già vedono in Gilead il principale operatore nel mercato di riferimento. Anche tutto ciò che ho appena descritto è documentato da atti parlamentari. Voglio anche sottolineare che se per caso qualche collega della maggioranza vuol pavoneggiarsi citando la mozione approvata recentemente sul tema della trasparenza è bene che sappia che il contratto con la Gilead è scaduto e, ad oggi, non si conoscono i contorni del nuovo contratto. Questa è per voi trasparenza ? A proposito di somme che le aziende farmaceutiche devono versare alle regioni c’è l'annosa questione del pay back, per i non addetti ai lavori parliamo delle somme che le aziende farmaceutiche devono versare alle regioni in caso di superamento dei tetti di spesa fissati per legge. Anche in questo caso prendo a spunto il commento di noti grillini e cioè i relatori della relazione tecnica di accompagnamento del recente decreto-legge «enti locali» n. 113 del 2016.
  Ebbene, cito: i pay back attesi dalle aziende farmaceutiche per gli anni 2013, 2014 e 2015 ammontano complessivamente a 1.988 miliardi di euro; e tali somme non sono state versate alle regioni, se non in minima parte, in quanto il TAR Lazio, con successive sentenze, a partire dalla n. 4538 del 25 marzo 2015, ha annullato la determinazione Aifa del 30 ottobre 2014, relativa al ripiano dell'anno 2013.
  Inoltre, l'Aifa non ha proceduto ad adottare provvedimenti per il ripiano per l'anno 2014, nonché la determinazione dei budget per l'anno 2015 e i conseguenti provvedimenti per il ripiano sempre per l'anno 2015.
  C’è bisogno di aggiungere altro ? Anche in questo caso, sì; infatti, proprio oggi scade il termine entro il quale le aziende devono versare le somme per risolvere la vicenda pay back. Purtroppo, tutti gli addetti ai lavori hanno piena consapevolezza che per l'ennesima volta i calcoli dell'Aifa sono sbagliati e ancora una volta la morale qual è ? I mancati incassi per le casse dello Stato e il rischio default per le regioni che, infatti, hanno costretto il Governo a inserire nella legge di stabilità, ai commi 702 e 703, la possibilità di mettere a bilancio il 90 per cento del pay back per gli anni 2013 e 2014.
  Sul tema pay back avrei voluto aggiungere altro, ma già da queste mie indicazioni appare evidente che le vostre idee sono ben poche e ben confuse.
  Prima, ho accennato alla finanziaria e, dunque, non posso esimermi dal ricordare il comma 570, quello che predispone, annualmente, un programma strategico con lo scopo di consentire l'accesso ai trattamenti innovativi. Guardo tutti i mercoledì Chi l'ha visto, ma ancora non si hanno notizie. Rientrati dalle vacanze inizierà il solito mercato delle vacche riguardo la prossima legge di stabilità e non si avrà modo di fare alcuna discussione nel merito delle cose, come al solito.
  Di cose da dire ce ne sarebbero ancora molte: ad esempio, siamo tutti curiosi di sapere se il direttore generale ha versato nelle casse dell'Aifa quanto richiesto dal consiglio di vigilanza della stessa Agenzia. Si tratta di 700.000 euro, in pratica lo stipendio di una vita di un normale lavoratore, presupposto, quello del lavoro, non scontato per molti giovani italiani.
  Andiamo, adesso, alle proposte; anche in questo caso, visto il tempo a disposizione, prendo solo alcuni elementi indicanti della nostra mozione. Ad esempio, prima ho parlato del decreto-legge n. 78 del 2015; una delle nostre proposte consiste nell'ottenere almeno il 30 per cento dello sconto per la rinegoziazione dei farmaci biotecnologici, in assenza dell'avvio di una concomitante procedura di contrattazione del prezzo relativo a un medicinale biosimilare o terapeuticamente assimilabile.
  Se qualcuno pensa sia fantascienza, sappia che lo stesso Governo, nella prima stesura del decreto aveva indicato il 20 per Pag. 15cento, poi le solite mani sante hanno provveduto, con un emendamento al Senato, ad eliminare riferimenti certi con, ovviamente consistenti, ridimensionamenti degli introiti. Forse non tutti sanno che ogni anno gli italiani spendono in compartecipazioni circa un miliardo. Si tratta della differenza di prezzo che a parità di efficacia, dimostrata dalla stessa Aifa – per chi vuole farsi una cultura io consiglio la guida Medicinali Equivalenti – Qualità, sicurezza ed efficacia – occorre versare quando si scelgono farmaci di marca, rispetto a quelli che mette a disposizione il Servizio sanitario nazionale. Ebbene, perché non fare in modo che questa spesa possa scendere, a tutto beneficio dei cittadini ? Noi proponiamo di escludere dal rimborso, inserendoli in fascia C tutti quei farmaci il cui prezzo è uguale o maggiore del 10 per cento rispetto al prezzo a carico del Servizio sanitario nazionale.
  Nel decreto «concorrenza», in discussione da ormai quasi due anni, abbiamo chiesto che venga presa in considerazione una proposta dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Si tratta di rimuovere alcuni bizantinismi rispetto alle procedure di registrazione dei medicinali equivalenti alla scadenza del brevetto, quello che gli addetti ai lavori chiamano patent linkage, nonché di assicurare la liberalizzazione della vendita dei medicinali di fascia C presso le parafarmacie. Tutti sanno che sono scelte di buonsenso, ma le lobby, purtroppo, fino ad ora, hanno avuto la meglio.
  Prima abbiamo parlato del pay back. Ormai tutti, tranne noi, hanno dato per scontato che non si può ottenere il rimborso totale delle somme che le aziende devono versare alle regioni. Stiamo parlando di circa 300 milioni di euro. Se le norme vanno cambiate perché farraginose, noi non ci opponiamo, purché la discussione, però, avvenga in quella che, ci piace definire, è la casa degli italiani, il Parlamento, e non a porte chiuse tra addetti ai lavori come ha, di fatto, dichiarato il sottosegretario De Vincenti in un recente convegno di Farmindustria.
  Un ultimo punto vorrei dedicarlo ai farmaci innovativi; ben vengano, purché, però, lo siano davvero. In Italia, infatti, abbiamo messo in piedi un sistema di monitoraggio gestito dall'Aifa, ma, se i dati sui trattamenti non vengono restituiti alle regioni per le opportune valutazioni, non si riescono a trarre tutti i benefici di un lavoro oneroso, svolto quotidianamente da parte dei professionisti. Dopo tante lotte abbiamo ottenuto un piccolo risultato con l'approvazione di un nostro emendamento nel decreto n. 113 del 2016, ma non possiamo più permetterci di pagare trattamenti dalla discutibile, se non inutile, efficacia. Forse non tutti sanno qual è il prezzo di un trattamento farmacologico in un ambito oncologico: nel 1995 il costo medio di una terapia che riuscisse ad aggiungere un anno di vita ad un paziente era intorno a 50 mila dollari al valore attuale. Oggi questo life year costa circa 225 mila dollari. I prezzi crescono persino quando compaiono dei concorrenti, quando la dimensione del mercato si espande e, purtroppo, anche quando i farmaci funzionano meno di quanto si sperasse.
  Diciamolo: molti nuovi medicinali oncologici non riflettono il valore che hanno per medici e pazienti. E, allora, perché non individuare soluzioni che permettano un efficientamento della spesa ?
  Le conclusioni, dunque: come avete avuto modo di ascoltare, non c’è nulla di quanto indicato nella mozione che non si possa considerare di buonsenso. Dopo due anni di lavoro su questi argomenti, ci è sembrato giusto condividere gli aspetti che abbiamo rilevato con tutti i colleghi della Camera, perché riteniamo che cambiare si possa fare. Non pretendiamo di essere i portatori della verità, ma neanche considerati così sciocchi, però, da tacere dinanzi ad un perdurare di gravi mancanze da parte di chi dovrebbe vigilare su di un sistema così importante per la salute dei cittadini.
  Molte delle nostre proposte non sono così distanti da quanto approvato dalla Conferenza dei presidenti delle regioni, che, in proposito, hanno presentato una Pag. 16propria proposta di governance della farmaceutica. Molti colleghi tengono sempre bene a mente le proposte che giungono dai territori, vedi il caso dell'attuazione della legge Madia sulla scelta dei direttori generali. Oggi vi chiediamo, quindi, parità di trattamento e di approvare tutti insieme la nostra mozione.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marisa Nicchi, che illustrerà anche la sua mozione n.  1-01322.
  Avverto che è stata testé presentata la mozione Lenzi ed altri n. 1-01323, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Prego, onorevole Nicchi, ha facoltà di intervenire.

  MARISA NICCHI. Grazie, Presidente. Secondo il recente rapporto Osmed 2015, curato dall'Agenzia italiana per il farmaco, la spesa farmaceutica nazionale totale nel 2015 è stata pari a 28,9 miliardi di euro, più 8,6 per cento rispetto al 2014, e ha rappresentato l'1,9 per cento del PIL, di cui il 76,3 per cento è stato rimborsato dal Sistema sanitario nazionale. Cifre che ci danno la dimensione e l'importanza di questa filiera, innanzitutto filiera produttiva, di buon lavoro, di lavoro altamente qualificato, e anche una filiera che si occupa di una questione delicata come quella di assicurare il diritto alla salute dei cittadini. Con questa sottolineatura dell'importanza, la nostra mozione vuole affrontare le proposte in merito, per la necessità che questo settore ha di nuove politiche, partendo da un caso emblematico, quello che riguarda i farmaci contro l'epatite C.
  Perché siamo partiti da qui ? E, anzi, io considero questo punto il fuoco centrale della nostra mozione. Perché questa questione ci mette innanzi ad un paradosso drammatico, che la politica deve saper affrontare: il paradosso di un farmaco che c’è, è efficace, ma economicamente non è possibile darlo a tutti coloro che ne hanno bisogno, perché è un farmaco ad alti costi, che da solo, voglio ricordare, ha fatturato 1,7 miliardi, e che, quindi, ha inciso in modo significativo sull'incremento della componente della spesa farmaceutica ospedaliera, ben il 24,5 per cento in più.
  Spesa che è prevedibile aumenterà, anche perché ci sarà nel mercato l'immissione anche di altri nuovi farmaci, come, per esempio, i farmaci biologici in campo oncologico, altri farmaci che riguardano le malattie infettive, e per cui le aziende farmaceutiche tendono a fissare un prezzo molto elevato. Nell'ambito dei farmaci innovativi la legge di stabilità del 2015 ha istituito un fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di farmaci per l'epatite C, con una dotazione di 500 milioni l'anno per il biennio 2015-2016, e naturalmente sta per scadere, siamo alla fine di questo fondo. Con il fondo si prevedeva di trattare 50 mila pazienti in base a criteri di gravità definiti dall'Agenzia del farmaco, dall'Aifa, che lascia una grande domanda, a cui la politica deve saper rispondere: cosa avverrà una volta trattati i primi 50 mila pazienti ?
  Per curare tutti gli altri bisognerebbe, infatti, che i prezzi calassero, e di molto, perché i prezzi, sappiamo, sono proibitivi, molto di più di quelli dei ribassi che si intravedono. In Italia i malati di epatite C sono stimati in circa un milione, ma solo il 45 per cento è noto al sistema sanitario. Trattare tutti questi pazienti richiederebbe, ai prezzi attuali, la disponibilità di diversi miliardi. Dal dicembre del 2014 hanno ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio alcuni medicinali innovatori, in particolare, tra gli altri, voglio ricordare Sovaldi. A partire dal dicembre del 2014, l'Aifa ha avviato il disegno dei registri di monitoraggio dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta per l'epatite C, ed è del giugno l'ultima rilevazione dei casi trattati, che riporta come i trattamenti avviati per i nuovi farmaci siano arrivati in una cifra intorno ai 49 mila, cioè siamo arrivati ai famosi 50 mila.
  Attualmente, quindi, il costo finale dei farmaci antivirali diretti è ufficialmente sconosciuto: si sa che è elevatissimo, ma è Pag. 17sconosciuto, perché l'accordo tra Aifa e le aziende produttrici prevede una clausola di riservatezza. Questo è il primo punto critico, lo sottolineava bene la collega del MoVimento 5 Stelle che mi ha preceduto. Lo stesso presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha auspicato che questo tipo di accordi non si verifichi più e chiede al Governo di assumere iniziative affinché l'Aifa non sigli più accordi con le case farmaceutiche con la presenza di clausole di riservatezza e senza trasparenza. Lo stesso citato direttore dell'Istituto «Mario Negri», Silvio Garattini, ha ricordato come il segreto nella contrattazione dei prezzi senza regole prestabilite sia una pratica preoccupante e che non pare abbia precedenti nell'acquisto di beni e servizi.
  I nuovi farmaci contro l'epatite C hanno prezzi proibitivi per le finanze delle regioni. Le ditte produttrici, che, in alcuni casi, hanno già recuperato i costi degli stessi investimenti iniziali, cercano come obiettivo prioritario di massimizzare il profitto, perseguendolo anche con la finanziarizzazione, che esula totalmente dalle finalità di ricerca e di tutela della salute. Queste case farmaceutiche negoziano prezzi molto diversi a seconda dei Paesi, e quindi siamo di fronte ad un atteggiamento inaccettabile: se, da un lato, il brevetto garantisce incentivi per la ricerca e per lo sviluppo, dall'altro, crea situazioni di monopolio, che generano costi elevati per le cure e consentono alle imprese e alle aziende farmaceutiche di manovrare secondo la logica del profitto, secondo quella logica che nulla ha a che vedere con la ricerca e con il diritto alla salute.
  Ecco, l'Aifa ha indicato come possibile approccio alla risoluzione di questo problema la realizzazione di una gara nazionale. Noi, oggi, con questa nostra mozione, facendoci carico di una proposta che sta emergendo nella società, proponiamo un'altra soluzione, e vogliamo ribadirla perché è una soluzione di significato politico. Infatti, in caso di emergenza sanitaria e in base all'Organizzazione mondiale per il commercio, esiste la possibilità di derogare alla protezione del brevetto attraverso lo strumento della licenza obbligatoria, a cui ogni Stato che aderisce all'OMS può ricorrere per proteggere la salute pubblica. Ci sono evidenti indicatori che documentano che l'epatite C possa essere considerata a tutti gli affetti un'emergenza nazionale di sanità pubblica: 1 milione di malati di epatite C, il fatto che l'Italia abbia il primato europeo per numero di soggetti positivi e mortalità per tumore primitivo al fegato, che oltre 20 mila persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato e nel 65 per cento dei casi il virus dell'epatite C risulta la causa unica, o concausa, dei danni epatici.
  Per questo motivo noi avanziamo qui in Parlamento la proposta dell'epidemiologo Adriano Cattaneo, presentata attraverso lo strumento di una petizione e ipotizzabile per l'Italia: percorrere la strada dell'emergenza sanitaria, al fine di giungere ad una licenza obbligatoria per nuovi farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite. Attraverso la licenza obbligatoria è possibile infatti produrre i farmaci anti-epatite C a costo contenuto e garantirne l'accessibilità a tutti i pazienti che ne hanno bisogno: con una tale licenza, infatti, un Governo esercita un potere politico autonomo rispetto agli interessi del profitto per un interesse generale. Lo chiede la petizione popolare, lo ribadiamo noi in quest'Aula, e siamo partiti da questo tema dell'epatite C perché tale questione di straordinaria gravità dimostra come siano necessarie nuove scelte nel campo della politica dei farmaci: è un caso simbolico, emblematico, valido, da cui trarre alcune indicazioni che noi abbiamo presentato, attraverso un ragionamento e con proposte precise.
  La prima: attualmente le procedure di autorizzazione per l'immissione del commercio dei farmaci nei Paesi europei è gestita a livello centrale dall'EMA, mentre la contrattazione sul prezzo e sulle modalità di rimborso è gestita in Italia dall'AIFA. Ecco: il governo di entrambi questi aspetti, sia quello europeo sia quello italiano, è insoddisfacente. A livello europeo Pag. 18bisogna rivedere le modalità per l'approvazione di farmaci da parte dell'EMA, per una piena indipendenza dagli interessi delle industrie e per una piena trasparenza: innanzitutto a questo livello devono essere resi disponibili tutti i dati degli studi clinici che sono alla base dell'approvazione, e per i quali non devono essere invocati né il segreto industriale né la tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle sperimentazioni. È peraltro necessario rivedere la modalità per l'approvazione e il riferimento ai requisiti di qualità, efficacia e sicurezza: l'efficacia va misurata su indicatori di esito robusti, e quindi attraverso un confronto con un farmaco della stessa categoria di provata efficacia, se esiste, e su cui va dimostrato il valore aggiunto del nuovo farmaco in termini di efficacia, tollerabilità e in rapporto ai costi e benefici. Il disegno degli studi clinici necessari per la valutazione di efficacia deve essere di superiorità, e non, come si dice e come si afferma, di non inferiorità, come avviene oggi: lo ha affermato – lo ripeto – il direttore dell'Istituto Mario Negri Silvio Garattini nella sua memoria, che ha lasciato, e che credo debba essere un punto di partenza, di significativo contributo per introdurre scelte adeguate.
  Sempre il professor Garattini ha ricordato come la legislazione europea ammette per la registrazione dei nuovi farmaci solo dossier preparati dall'industria farmaceutica, e questo rappresenta un enorme conflitto di interessi. Sì, il conflitto di interesse è una gigantesca piovra che incombe e drena risorse dal Servizio sanitario nazionale; e il conflitto di interesse, quando si parla di politiche del farmaco, è molto, è la prima questione democratica per tutelare il diritto alla salute da affrontare.
  Sarebbe infatti necessario che fra i tre studi clinici richiesti a sostegno della richiesta di approvazione almeno uno studio clinico controllato di fase 3 venga condotto da un ente indipendente senza fini di lucro, privo di collegamenti con l'azienda titolare della richiesta di autorizzazione, la quale dovrebbe comunque sostenerne il costo. L'accoglimento di queste proposte porterebbe all'approvazione di una migliore selezione di nuovi farmaci, comportando minore spesa farmaceutica per farmaci innovativi. Voglio ricordare che ci sono indagini che dimostrano che negli ultimi anni più del 10 per cento di nuovi farmaci immessi nel mercato europeo offrono reali vantaggi rispetto a quelli esistenti: solo il 10 per cento !
  Ogni contrattazione sul prezzo a livello nazionale tra Aifa e aziende deve essere svolta in modo trasparente: le industrie devono fornire in modo analitico le voci che compongono il prezzo, cosa che oggi non avviene. Inoltre, al fine della determinazione dei prezzi va previsto lo strumento di aste pubbliche, quantomeno per i prodotti più costosi, e perseguita una decisione importante: che il prezzo dei farmaci equivalenti deve servire per rideterminare il prezzo dei farmaci di riferimento. Per noi è questa l'altra scelta: è comunque indispensabile perseguire un maggiore coinvolgimento pubblico, attraverso maggiori finanziamenti alla ricerca indipendente, alle università, agli istituti di ricerca attivi in campo farmaceutico.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MARISA NICCHI. In particolare, la ricerca indipendente sui farmaci finanziata con fondi pubblici deve essere considerata una priorità importante per il Servizio sanitario nazionale.
  Altro intervento deve riguardare la revisione sistematica del prontuario terapeutico nazionale, per una rigorosa valutazione dei dati aggiornati sulle evidenze di efficacia e gli effetti collaterali del farmaco. Poi – è infatti molto importante – riesaminare la collocazione nel prontuario dei farmaci ancora coperti da brevetto per cui esistono alternative nell'ambito degli equivalenti.
  La stessa Autorità garante ha dato un'indicazione precisa, che noi riprendiamo e che ribadiamo in questa discussione. Essa proponeva che si sopprimesse quel vincolo che lega le procedure di registrazione dei medicinali equivalenti Pag. 19alla scadenza del brevetto del farmaco di riferimento: questa richiesta si può praticare...

  PRESIDENTE. Ha concluso il suo tempo, onorevole Nicchi.

  MARISA NICCHI. Va affrontata, è una delle tante proposte che noi affronteremo. L'elenco degli impegni della nostra mozione è chiaro. Ci anima una grande preoccupazione: salvare il diritto alla salute in questo Paese, oggi messo fortemente in discussione dalle privatizzazioni, dai conflitti di interesse che il settore della farmaceutica rappresenta in modo diffuso.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maria Amato, che illustrerà anche la mozione Lenzi n. 1-01323, di cui è cofirmataria.

  MARIA AMATO. Presidente, se l'efficienza del Sistema sanitario nazionale è affidata a modelli organizzativi, farmaci efficaci, operatori competenti, procedure correttamente eseguite e tecnologie moderne, la sua sostenibilità è legata a doppio filo con la spesa farmaceutica e con l'appropriatezza prescrittiva. Abbiamo diverse necessità: poter curare in modo sostenibile e universale tutte le persone che ne hanno bisogno, e contemporaneamente dobbiamo fare in modo che i farmaci arrivino a tutti i pazienti.
  I dati pubblicati da Aifa sulla spesa farmaceutica, territoriale ed ospedaliera, relativa al 2015 rilevano uno sforamento di 1 miliardo 880 milioni di euro rispetto al tetto programmato di 18 miliardi, con una previsione di spesa che nel 2020 arriverà a 35 miliardi di euro anche a causa della produzione di nuovi e costosi farmaci. Su questo principio e sui dati relativi alla spesa farmaceutica 2015 da più parti arriva la sollecitazione ad una riforma del farmaco che ne garantisca una nuova governance: è questa sollecitazione il cuore della mozione.
  L'attuale sistema di governo della spesa farmaceutica sostanzialmente è regolato da quattro provvedimenti: la legge n. 405 del 2001, la legge n. 222 del 2007, la legge n. 135 del 2012 e la delibera CIPE n. 3 del 2001. Inoltre – la cito non per vanto ma perché è un fatto – in data 27 aprile 2016 è stata discussa ed approvata in Commissione affari sociali la risoluzione a prima firma Miotto, con il parere favorevole del Governo, che impegnava quest'ultimo ad avviare ogni utile iniziativa finalizzata a dare attuazione alla direttiva 89/105/CEE del Consiglio europeo, del 21 dicembre del 1988, con particolare riferimento alle attività di controllo relative all'immissione sul mercato di specialità medicinali, e a limitare il ricorso alle clausole di riservatezza.
  Le regioni, a maggio 2016, hanno elaborato un documento che affronta i punti di debolezza del sistema, proponendo azioni correttive in gran parte condivisibili. Molti dei contenuti di quel documento, infatti, si ritrovano negli obiettivi della mozione.
  Un nuovo sistema non può prescindere dalla definizione di nuovi tetti di spesa e dall'adozione di misure strutturali tali da liberare risorse per far fronte ai nuovi bisogni assistenziali in campo farmaceutico. I prezzi dei farmaci dovrebbero essere legati ai volumi di vendita, ai pazienti trattati e alle estensioni delle indicazioni delle terapie combinate e dell'aumento della durata della terapia. Ovviamente, la procedura prezzo/volume ha la finalità della riduzione del prezzo e dell'aumento degli sconti proprio in rapporto ai volumi. Nel primo impegno vi è la richiesta di introdurre nuove misure strutturali relative alla definizione prezzo/volume. Così come riteniamo necessario prevedere la sostituibilità per i biosimilari con gli originatori biotecnologici, in coerenza con il sistema previsto per i farmaci equivalenti, la riduzione automatica dei listini dei farmaci a brevetto scaduto e l'allineamento dei prezzi dei farmaci sovrapponibili. «Farmaco equivalente» – lo ricordo – è la definizione che, con la legge n. 149 del 26 luglio 2005, sostituisce quella di generico. I farmaci biosimilari, similmente, Pag. 20vengono definiti dall'EMA come molecole simili ad un farmaco biologico per il quale sia scaduta la copertura brevettuale.
  Un riferimento a parte meritano i farmaci innovativi per il peso nella previsione di spesa e per il carico di aspettative e di speranza dei pazienti. È necessaria una chiara distinzione tra «nuovo» e «innovativo». Su questo principio concordano ricercatori e regioni. Sul tema del costo dei farmaci uno spunto critico arriva dalla rivista JAMA Oncology: solo una piccola parte del prezzo delle terapie è giustificata dai miglioramenti di salute prodotti; il prezzo del costosissimo nuovo farmaco oncologico per terapie fino a un milione di dollari è quasi del tutto indipendente dal guadagno apportato in termini di sopravvivenza libera dalla progressione della malattia. Infatti, esaminando i farmaci e correlando il prezzo con il miglioramento dell'esito, si scopre che solo una minima porzione di questo, pari al 13-16 per cento, giustifica l'entità del miglioramento in termini di salute. Il problema è, come denunciato a febbraio dal New York Times, che non si riescono a controllare neppure i prezzi dei medicinali a brevetto scaduto, che, anzi, in alcuni casi, subiscono incrementi enormi. È un problema globale, quindi, quello del farmaco.
  L'essenza del problema, quindi, è che «nuovo» non è sinonimo di «innovativo». La spinta è a voler adottare la politica del «no, grazie» quando si deve pagare un prodotto nuovo ma sovrapponibile funzionalmente a uno già presente sul mercato, ma meno costoso. Su ogni farmaco innovativo bisogna definire qual è il contributo aggiuntivo che giustifichi e renda accettabile il maggiore prezzo. Non è semplice. La valutazione del costo/beneficio non è brutalmente economica, ma è etica. Prendiamo, per esempio, i farmaci oncologici: la valutazione dei benefici non può essere limitata a far vivere tre o sei mesi di più, ma dovrebbe considerare il principio della buona qualità di vita. Nella mozione, inoltre, impegniamo il Governo ad attivare al più presto la sperimentazione, al fine di introdurre uno o più validi generici per la cura dell'epatite C perché questa sia applicabile ed estensibile a tutti i pazienti indipendentemente dai livelli di gravità. Tutto questo impone la necessità di una nuova strategia di governance per assicurare accesso e sostenibilità economica, con un'azione proattiva che eviti l'ingestibilità del sistema, per la costruzione di un nuovo modello della gestione dei farmaci di grande rilevanza terapeutica e sociale che possano modificare la storia naturale della malattia.
  La spesa farmaceutica può essere l'elemento di stress del Sistema sanitario nazionale, ma, con scelte adeguate, per molti versi coraggiose, supportate dal pensiero scientifico, con la sinergia e il contributo di tutti gli attori (Ministero, regioni, AIFA, industria del farmaco), può rappresentare la base su cui poggiare per la tenuta futura del sistema sanitario, che vogliamo pubblico e universale.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo, a questo punto, la seduta, che riprenderà alle ore 14,15 per lo svolgimento delle ulteriori discussioni generali iscritte all'ordine del giorno.

  La seduta, sospesa alle 13,40 è ripresa alle 14,20.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Antimo Cesaro è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantuno, come risulta dall'elenco Pag. 21depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Giachetti ed altri: Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati (A.C. 3235).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 3235: Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 luglio 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3235)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Italiana - Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2 del Regolamento.
  Do ora la parola alla presidente della Commissione giustizia, deputata Donatella Ferranti, per riferire sui lavori svolti dalle Commissioni. Prego, Presidente.

  DONATELLA FERRANTI, Presidente della II Commissione. Grazie, Presidente. Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge in esame in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati è stata presentata da oltre 200 deputati appartenenti a diversi gruppi ed iscritta nel calendario dei lavori dell'Assemblea in quota opposizione su richiesta del gruppo Sinistra Italiana-SEL. Questa precisazione è estremamente importante in quanto la circostanza che si tratti di un provvedimento rientrante tra quelli che il Regolamento riserva ai gruppi di opposizione ha condizionato in maniera decisiva l'andamento dell'esame in sede referente presso le Commissioni riunite II e XII.
  L'esame è caratterizzato non solo da un ampio approfondimento istruttorio, incentrato sull'indagine conoscitiva che ha consentito alle Commissioni di acquisire elementi di informazione in merito alla delicata materia della legalizzazione della cannabis, ma anche dal mancato conferimento dell'incarico ai relatori di riferire in Assemblea in senso favorevole o contrario.
  Per tale ragione, anche a nome del Presidente della XII Commissione, onorevole Mario Marazziti, mi appresto a rappresentare l'esito dei lavori in Commissione, in assenza delle nomine dei relatori per l'esame in Assemblea.
  Le Commissioni II e XII, nella seduta di giovedì 21 luglio scorso, non hanno ritenuto di conferire il mandato ai relatori, l'onorevole Daniele Farina per la II seconda Commissione e l'onorevole Anna Margherita Miotto per la XII Commissione, avendo concordato con quest'ultima che non vi erano le condizioni per esaminare e votare i circa 1700 emendamenti ed articoli aggiuntivi presentati. Non è stato possibile chiedere il rinvio dell'esame da parte dell'Assemblea in quanto, per poter procedere in tal modo, sarebbe stato necessario il consenso del gruppo che ha chiesto l'inserimento del provvedimento nel calendario dei lavori in quota opposizione.
  Nel corso dell'esame in sede referente, l'onorevole Daniele Farina ha più volte ribadito, anche su sollecitazione della relatrice della XII Commissione, onorevole Miotto, nel corso dell'ultima seduta di Commissione, di essere contrario a ogni ipotesi di rinviare l'esame del provvedimento da parte dell'Assemblea, ritenendo di fondamentale importanza portare il testo della legalizzazione della cannabis per la prima volta all'esame d'Assemblea medesima, sottoponendolo così a un confronto Pag. 22che potesse uscire dall'ambito ristretto delle Commissioni e che coinvolgesse così l'intero Paese.
  Proprio per la rilevanza del tema trattato dalla proposta di legge, alcuni gruppi si sono dimostrati favorevoli alle richiesta presentata dall'onorevole Miotto di un rinvio. In particolare, nel corso della seduta di giovedì scorso, l'ultima della sede referente, l'onorevole Miotto ha evidenziato come la complessità del provvedimento – emersa chiaramente già nella fase delle doverose audizioni svolte ed attestata, altresì, dal numero particolarmente elevato di proposte emendative presentate, come dicevo prima, 1700 – non le avesse consentito di svolgere un esame approfondito delle medesime proposte, il cui termine di presentazione era scaduto solo due giorni prima, e proprio per esprimere poi il proprio parere e predisporre, in qualità di relatrice per la Commissione affari sociali, emendamenti di sintesi volti a recepire le istanze rappresentate.
  Come si è detto, l'altro relatore, onorevole Daniele Farina, parlando a nome del gruppo Sinistra Italiana ha dichiarato di essere contrario a un rinvio, pronto a dare pareri, ma nell'ipotesi alternativa di concludere l'esame in sede referente senza esaminare gli emendamenti, a fronte della posizione della correlatrice, e senza conferire il mandato ai relatori di riferire in Assemblea, rimandando tutto il dibattito all'Assemblea medesima.
  Il gruppo del Partito Democratico si è mostrato favorevole all'ipotesi di un rinvio che consentisse alle Commissioni di affrontare con maggiore approfondimento la fase emendativa in Commissione, ma a fronte della posizione del gruppo Sinistra Italiana, che appunto aveva richiesto questo provvedimento in quota opposizione, ha anche sottolineato che il tema oggetto del provvedimento – che, come emerso anche dalle audizioni, può essere affrontato con diverse angolature – fa emergere posizioni diverse anche all'interno dei gruppi parlamentari, che possono bene essere oggetto di dibattito direttamente in Assemblea, in assenza di una posizione assunta dalle Commissioni attraverso il conferimento del mandato.
  Seguendo la cronologia degli interventi nell'ultima seduta delle Commissioni riunite, il gruppo Area Popolare ha manifestato la propria contrarietà, oltre che sul merito del provvedimento, anche sul metodo che le Commissioni si stavano apprestando a seguire sulla base di disposizioni regolamentari non condivise. Alla luce della posizione del gruppo Sinistra Italiana e del Regolamento, comunque, il gruppo Area Popolare ha preso atto che non vi erano altre strade da seguire oltre quella di concludere l'esame senza il conferimento di mandato ai relatori e rimettere, poi, ai presidenti delle Commissioni il compito di riferire all'Assemblea sull'andamento dei lavori medesimi in fase referente.
  Medesima posizione è stata assunta dal gruppo della Lega.
  Il gruppo MoVimento 5 Stelle ha rappresentato tutto il suo disappunto per la mancata possibilità di esaminare gli emendamenti in Commissione, ma ha anche preso atto degli orientamenti dei gruppi e che non vi erano altre vie d'uscita regolamentari rispetto alla situazione nella quale le Commissioni si erano venute a trovare.
  L'esame in sede referente si è, quindi, chiuso con una presa d'atto da parte dei presidenti delle due Commissioni II e XII dell'assenza delle condizioni per proseguire nell'esame degli emendamenti e successivamente per conferire ai relatori il mandato a riferire all'Assemblea. Allo stesso tempo, le Commissioni sono state avvertite che, come avviene in casi simili, i presidenti avrebbero informato l'Assemblea, nel corso della discussione sulle linee generali, sull'esito dei lavori delle Commissioni medesime e, quindi, sulle ragioni per le quali non si è potuto procedere all'esame degli emendamenti e al conferimento del mandato ai relatori.
  Inoltre, è stato fatto presente che, per quanto attiene al seguito dell'esame del provvedimento da parte l'Assemblea, sarebbe stato rappresentato alla Presidenza Pag. 23della Camera l'orientamento condiviso da entrambe le Commissioni di proseguirlo nel mese di settembre, anziché da martedì 26 luglio prossimo, cioè domani, come invece previsto dal calendario dei lavori dell'Assemblea.
  Per quanto attiene all'esame in sede referente, questo è stato avviato su richiesta del gruppo Sinistra Italiana, come dicevo in apertura, dopo che la proposta di legge Giachetti A.C. 3235 era stata inserita nel programma dei lavori dell'Assemblea in quota opposizione su richiesta del medesimo gruppo.
  L'esame è stato avviato il 26 novembre 2015. Alla proposta A.C. 3235 sono state abbinate le proposte di legge vertenti sulla medesima materia di tale proposta ovvero su alcune parti, come le proposte di legge che si riferivano solo ad alcune delle questioni affrontate dalla prima e che erano state originariamente assegnate alla Commissione giustizia o alla Commissione affari sociali.
  Sono state quindi abbinate alla proposta A.C. 3235 le seguenti proposte di legge: A.C. 971 Gozi, A.C. 972 Gozi, A.C. 1203 Daniele Farina, A.C. 2015 Civati, A.C. 2022 Ermini, A.C. 2611 Ferraresi, A.C. 2982 Daniele Farina, A.C. 3048 Turco, A.C. 3229 Nicchi. A.C. 3328 Turco. A.C. 3447 Bruno Bossio e A.C. 3843 Civati.
  Anche a nome del presidente Marazziti, vorrei ringraziare gli onorevoli Daniele Farina e Margherita Miotto quali relatori del provvedimento. Questo lavoro è stato da tutti apprezzato anche per lo sforzo di sintesi che hanno fatto entrambi i relatori nell'ambito di un'indagine conoscitiva estremamente complessa.
  Nel corso dell'indagine si sono svolte varie audizioni, che hanno tenuto conto della richiesta dei gruppi. In particolare, l'indagine conoscitiva è stata avviata il 26 maggio, si è conclusa il 7 luglio scorso e sono stati sentiti in ordine cronologico: i rappresentanti dell'Associazione Antigone e della Coalizione italiana per i diritti e le libertà civili, del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, Carlo Alberto Zaina, avvocato, Ferdinando Ofrìa, professore di politica economica presso l'Università degli studi di Messina, i e rappresentanti dell'Associazione «La-pianTiamo», Elisabetta Bertol, professoressa di tossicologia forense presso l'Università di Firenze, i rappresentanti della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze, della Federazione italiana comunità terapeutiche, dell'Associazione italiana per la cura dipendenze patologiche, della Comunità Incontro Amelia, Carla Rossi, professoressa di statistica medica presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, i rappresentanti del Comitato ospedale senza dolore, azienda ospedaliera di Padova, Giocondo Santoni, maggiore generale chimico farmacista, i rappresentanti del gruppo Abele e della Società italiana di psicologia, Andrea Padalino, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino; Gian Paolo Grassi, primo ricercatore del consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria; Raffaele Giorgetti, professore di medicina legale presso l'Università Politecnica delle Marche, Felice Nava, direttore unità operativa sanità penitenziaria dell'azienda USL di Padova; Roberta Pacifici, direttore di reparto farmacodipendenza, tossicodipendenza e doping del dipartimento del farmaco dell'Istituto superiore di sanità; Sabrina Molinaro, responsabile della sezione di epidemiologia dell'Istituto IFC-CNR; i rappresentanti del Centro studi Rosario Livatino; Alessandro Aronica, vicedirettore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, responsabile Area monopoli; i rappresentanti dell'associazione «Luca Coscioni»; Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri» di Milano; Bruno Mazzocchi, responsabile Unità cure palliative ASL 9 di Grosseto; i rappresentanti dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM), della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) e dell'Associazione Forum droghe; Loredano Giorni, dirigente responsabile di settore politiche del farmaco, innovazione e appropriatezza della regione Toscana; i rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi; Massimo Canu, Pag. 24professore di psicologia generale presso l'Università degli Studi di Roma «Sapienza»; i rappresentanti del Centro italiano di solidarietà don Mario Picchi (CEIS). Sono state anche chieste osservazioni scritte al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e all'Associazione nazionale magistrati e all'Unione Camere penali italiane; sono pervenute le osservazioni scritte del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e dell'Associazione nazionale magistrati.
  Escluse le sedute nelle quali si è svolta l'indagine conoscitiva, le Commissioni si sono riunite il 26 novembre 2015, il 13 gennaio, il 13 luglio e il 21 luglio 2016. Per quanto attiene all'individuazione del testo base, faccio presente che non si è proceduto all'adozione del medesimo – scelta che avrebbe richiesto un voto da parte delle Commissioni –, ma si è proceduto al disabbinamento di tutte le proposte dalla proposta di legge atto Camera n. 3235 a prima firma Giachetti. In particolare, nella seduta del 13 luglio scorso, su richiesta dell'onorevole Farina a nome del gruppo Sinistra Italiana e nell'esercizio di una facoltà assicurata proprio ai gruppi di opposizione nel caso in cui non siano maturate le condizioni per procedere all'adozione concordata di un testo base, è stato revocato l'abbinamento alla proposta di legge atto Camera n. 3235 di una serie di proposte di legge, che prima ho menzionato, vertenti sulla medesima materia, affinché l'esame potesse proseguire solo in riferimento alla proposta di legge atto Camera n. 3235 in quota opposizione ed iscritta nel calendario dei lavori dell'Assemblea.
  Il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato al 19 luglio. Come già detto, sono stati presentati circa 1.700 emendamenti, che si sarebbero dovuti esaminare a partire dal 21 luglio, in tempi tali da concludere l'esame in sede referente entro il 25 luglio. Si è anche detto che gli emendamenti non sono stati esaminati e ho rappresentato anche le ragioni. In relazione all'iter legislativo, faccio presente che in data 21 luglio la Commissione Affari costituzionali ha espresso parere favorevole sul testo della proposta di legge atto Camera n. 3235 a prima firma Giachetti.
  Per quanto attiene al contenuto della proposta in esame, non spetta ai presidenti della II e XII Commissione illustrarne il contenuto, considerato il particolare ruolo che i presidenti stanno svolgendo in questa occasione, ruolo che si limita a dar conto dell'iter e quindi di quanto avvenuto in Commissione sotto il profilo regolamentare. Non ci rimane quindi che rinviare, per l'illustrazione della proposta, al dossier del Servizio studi, che analiticamente illustra tutti i contenuti della medesima proposta di legge.

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritta a parlare la deputata Miotto. Ne ha facoltà. Prego, onorevole.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Presidente, fin d'ora le chiedo l'autorizzazione a consegnare il testo, perché la relazione della presidente Ferranti mi esime dal leggere la prima parte (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
  Arriva in Aula oggi un testo che ha l'obiettivo principale di introdurre nell'ordinamento italiano la legalizzazione della coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati. La proposta, che raccoglie le suggestioni che provengono da alcune sperimentazioni che nel mondo sono state avviate da poco tempo, fatta eccezione per il «caso Olanda», per le quali non si possono misurare ancora gli effetti, propone alcune soluzioni che rischiano di apparire talvolta delle fughe in avanti, talaltra delle scorciatoie non condivisibili, perché non fanno i conti con la complessità del fenomeno, la complessità che incrocia valori, modelli culturali, scelte personali, ma anche doveri sociali. È un patchwork che contiene l'esperienza olandese della coltivazione per uso personale fino a 5 piantine; la coltivazione in associazione di cinquanta soci, prevista in Pag. 25Spagna; la vendita in esercizi commerciali dedicati, come in Colorado; l'introduzione del monopolio di Stato, recentemente prevista in Uruguay.
  L'impatto sull'ordinamento è imponente: rende libera la vendita a maggiorenni; affida ai Monopoli di Stato la coltivazione, lavorazione e vendita della sostanza; ridisegna il regime penale delle condotte correlate alle droghe leggere; modifica i limiti quantitativi e qualitativi della sostanza detenibile; consente la coltivazione per uso personale; prevede la possibilità di costituire associazioni fino a cinquanta soci per la coltivazione di 250 piante; rende non punibile la cessione gratuita; elimina le sanzioni amministrative di carattere interdittivo-incapacitativo per il consumo della cannabis.
  Affronto sei questioni. La prima: aumento del consumo e necessità di ridurlo. La proposta parte dalla constatazione che l'approccio proibizionista non ha fatto diminuire il consumo della cannabis, anzi, particolarmente in Italia, sarebbe progressivamente aumentato, dopo una flessione registrata con la parificazione delle droghe leggere alle pesanti effettuata dalla «legge Fini-Giovanardi», caduta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, recepita dal decreto-legge n. 36 del 2014. Il largo consumo di cannabis, che riguarda oltre 3 milioni di consumatori abituali, rappresenta certamente un serio problema di ordine sanitario e sociale, e sottolineo il fatto che ne sono consapevoli anche i proponenti, altrimenti, se avessero aderito alla tesi che la cannabis è solo una pianta, come taluno sostiene con una evidente forzatura, non avrebbero proposto la legalizzazione ma la liberalizzazione.
  Dicevo che l'ampio consumo di cannabis rappresenta un problema e, se ci poniamo l'obiettivo di ridurlo, è bene confrontarci sulle strategie sin qui messe in campo, evitando quella che io ritengo sia una semplificazione, allorché si attribuisce all'approccio proibizionista il mancato raggiungimento dell'obiettivo. Penso che fallisce ogni strategia solo repressiva se non è integrata da misure di prevenzione e di riduzione del danno. Dobbiamo riconoscere che nel nostro Paese da troppo tempo non si investe più sulla prevenzione, e purtroppo ne paghiamo ora le conseguenze.
  Se stanno così le cose, la legalizzazione potrebbe rappresentare una risposta tale da costituire un deterrente al consumo della cannabis ? Gli esponenti delle comunità terapeutiche intervenuti in audizione hanno parlato di resa dello Stato; a molti appare invece un incentivo, perché, liberati dallo stigma legato ad una problematica accettazione sociale, i consumatori di droga potrebbero ritenere di non doversi interrogare sulla riduzione del consumo. Ed ancora, la strategia universalmente condivisa per contrastare la diffusione delle droghe riguarda innanzitutto la riduzione della domanda. Poiché il consumo personale e la detenzione di sostanza per uso personale sono stati depenalizzati, come nella maggior parte degli Stati, la legalizzazione riguarderebbe il commercio e la produzione; allora, quali effetti avrebbe sui consumi ? Nessun disincentivo, anzi il rischio è opposto.
  Seconda questione: la diffusione delle droghe e i legami con la criminalità organizzata. È purtroppo noto che il diffuso consumo della cannabis alimenta e moltiplica le risorse finanziarie delle organizzazioni di tipo mafioso, che con quelle risorse condizionano ed inquinano l'economia legale. Numerosi magistrati impegnati in prima linea sul versante della lotta alla criminalità alle mafie hanno ripetutamente affermato, anche in queste settimane, che la legalizzazione per affamare le mafie, per essere efficace, dovrebbe essere estesa a tutto il mondo contemporaneamente. Sembra un paradosso, ma come non convenire con le preoccupazioni che manifestano allorché paventano il rischio che la legalizzazione in un Paese possa indurre la semplice migrazione delle organizzazioni illegali in aree ove il commercio e la produzione sono proibiti ? Oppure, come non prefigurare il rischio di un adattamento del mercato illegale in affiancamento a quello legale, potendo abbattere i costi della sostanza ? Se la Pag. 26cannabis in tabaccheria costa 10-12 euro al grammo, alle narco-mafie risulta agevole occupare il mercato a 6-8 euro. E abbiamo ancora le agende aperte sul gravissimo tema del gioco d'azzardo, perciò temiamo che si ripeta l'insuccesso di una legalizzazione pensata per combattere il gioco illegale e che invece deve fare i conti con le infiltrazioni malavitose nel gioco legale.
  Su questo punto ritengo opportuno fare un rapido cenno all'importantissimo contributo del procuratore Roberti della DNA, che con qualche semplificazione comunicativa è stato arruolato fra i sostenitori della proposta all'ordine del giorno. In verità, il Procuratore antimafia propone un rigido regime di monopolio, a partire dalla produzione; il divieto della coltivazione individuale, in via assoluta, il divieto della coltivazione associata, amplia le condotte punibili per tutelare il monopolio, ad esempio, reintroduce la punibilità dell'uso personale se acquistata fuori dal circuito del monopolio, propone l'inasprimento delle sanzioni penali, prevede l'arresto in flagranza anche per i casi meno gravi.
  Terza questione: prospettiva di nuove entrate per l'erario. La prospettata legalizzazione viene collegata alla possibilità di recuperare all'erario una quantità di risorse notevole per effetto dell'affidamento al monopolio legale della vendita della cannabis; con grande enfasi i proponenti destinano solo il 5 per cento dei proventi derivanti dalla legalizzazione per il contrasto alle dipendenze, mentre il 95 per cento è destinato a finalità diverse, creando una sorta di complicità con il Ministero del Tesoro. La stima è sull'ordine di qualche miliardo di euro. Innanzitutto è da approfondire la circostanza che, coesistendo il monopolio con la coltivazione personale ed associativa prevista con cinque piantine per persona, i consumatori che si recano in tabaccheria sarebbero residuali e, quindi, la stima del gettito andrebbe conseguentemente ridimensionata, ma rimane sullo sfondo l'interrogativo se sia eticamente accettabile imporre una nuova tassa sul vizio, come usualmente vengono definite le accise che, dal gioco ai tabacchi, alle bibite zuccherate fino alle merendine, sono state già sperimentate anche nel nostro Paese con esiti negativi per gli effetti di deterrenza sui consumi, mentre, invece, hanno assunto la veste di strumenti utili per fare cassa rapidamente.
  Quarta questione: l'affidamento al monopolio di Stato delle condotte legalizzate. L'ho ricordato poco fa, numerosi fra gli auditi hanno espresso una chiara preferenza per l'affidamento ai Monopoli di Stato della coltivazione e vendita della cannabis. Occorre ricordare che il ricorso al monopolio legale esiste se lo Stato è l'unica impresa che produce e cede un bene per il quale non esistono succedanei e, non avendo concorrenza, determina il prezzo e le altre condizioni di mercato. Le condizioni del mercato della cannabis non appaiono favorevoli per l'affermarsi di una gestione monopolistica avente a oggetto la cannabis per due ragioni. I monopoli in Italia sono di natura fiscale, per assicurare all'erario un gettito, e questa non è la finalità del monopolio sulla cannabis; inoltre, è prudente considerare che la linea di politica economica da tempo assunta nel Paese è rivolta al superamento di tutte le posizioni di monopolio per aprirsi a processi di liberalizzazioni e, quindi, sarebbe un'iniziativa in controtendenza. Infine, essendo prevista la coltivazione personale o associata, questa entrerebbe in concorrenza con il monopolio; alcune centinaia di migliaia di autoproduttori dovrebbero essere oggetto di controlli, assorbendo larga parte delle risorse risparmiate con la legalizzazione.
  Quinta questione: il rispetto dei vincoli internazionali. Ogni innovazione normativa in questo settore va collocata nel quadro degli obblighi internazionali che il nostro Paese è tenuto a rispettare, in forza di trattati sottoscritti. Cito la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti, recepita con la legge n. 328 del 1990, e la Convenzione unica sugli stupefacenti adottata a New York nel 1961, ratificata con la legge n. 412 del 1974, che definiscono reati la detenzione e l'acquisto di sostanze stupefacenti e psicotrope, Pag. 27nonché la coltivazione delle medesime; in alternativa alla condanna possono essere applicate misure di trattamento, educazione, riadattamento, reinserimento sociale. Anche la Corte, in conformità a tali norme, si è più volte pronunciata in occasione della presentazione dei referendum abrogativi sulla illiceità della coltivazione, sancendone la inammissibilità. In verità, maggiore autonomia agli Stati viene accordata da una normativa europea, con una decisione quadro del 2004. Questi riferimenti internazionali costituiscono un vincolo che, ad esempio, impedirebbe di affermare la totale liceità della produzione della cannabis per uso personale.
  Sesta questione, la più importante: i giovani. Abbiamo finora visto che le misure previste atte a contrastare il diffondersi delle droghe appaiano inefficaci; appare problematico anche il contrasto alla criminalità organizzata. Credo ci si debba interrogare anche su aspetti di natura sanitaria nel senso più ampio e corretto del concetto di salute, inteso come benessere della persona; se è vero che non sono noti casi di overdose e morti conseguenti al consumo di cannabis e che questa manifesta livelli di tossicità generalmente bassi, tuttavia la pericolosità è legata a specifici fattori di vulnerabilità individuale, alla via di somministrazione e alla durata del consumo. È invece elevata la pericolosità per i giovani consumatori di cannabis, per una diversa sensibilità individuale, anche genetica, a una maggiore predisposizione a sviluppare episodi psicotici.
  Le indagini condotte sui consumatori ci consegnano un dato allarmante: si ipotizza che solo il 25 per cento dei consumatori siano maggiorenni. La legge si occupa dei maggiorenni, sui quali, peraltro, gli effetti tossici della cannabis sono di minore impatto, nulla si dice dei minorenni che rappresentano la maggioranza dei consumatori e sono coloro che rischiano di più per le conseguenze sul sistema nervoso centrale che un ripetuto consumo di cannabis, magari con elevato THC, comporta. La legge, è vero, fissa dei divieti, ma sono gli stessi divieti che per gli adulti non hanno prodotto risultati; non è questa un'ulteriore contraddizione ?

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sarro. Ne ha facoltà.

  CARLO SARRO. Grazie, Presidente. Dunque, abbiamo ascoltato la relazione della presidente della Commissione giustizia che ha ricostruito il travagliato iter di questo provvedimento. Il tentativo che è stato, devo dire, anche, con molta serietà e con molto rigore, praticato di giungere all'elaborazione di un testo base che potesse fare sintesi rispetto alle molteplici proposte di legge presenti in Parlamento, sicuramente, dà atto anche dell'attività istruttoria, per così dire, dell'indagine conoscitiva che è stata compiuta, anch'essa molto ampia, molto articolata, proprio per consentire, tanto alla Commissione giustizia quanto alla Commissione affari sociali, di avere la latitudine più ampia in ordine alle testimonianze di quanti, per esperienza professionale, per diretta conoscenza della tematica, potevano offrire un contributo, appunto, di conoscenza, alle Commissioni, per il lavoro. Questo contributo obiettivamente c’è stato ed è stato estremamente utile, perché da esso noi possiamo ricavare molti elementi e abbiamo voluto, in particolar modo noi di Forza Italia, avere con questo tema un approccio che fosse il più «laico» possibile, il più aperto possibile e il più attento, naturalmente, alle tante ricadute che un tema come quello di cui trattiamo inevitabilmente comporta.
  Il provvedimento, sostanzialmente, poggia su tre filoni argomentativi che sono stati, poi, ripresi anche in altri disegni di legge e che riguardano quelle che sono le tre aree più importanti per le ricadute che questo tema comporta. Innanzitutto, vi è la questione del contrasto alla criminalità organizzata, all'uso che nel mercato delle droghe e degli stupefacenti la criminalità organizzata compie, con gli ingenti proventi che da tale attività ricava. Gran parte di quanti hanno favorevolmente valutato questa iniziativa, in particolar modo coloro Pag. 28in linea con il tradizionale pensiero cosiddetto antiproibizionista, hanno affermato che attraverso questo sistema, vale a dire la legalizzazione dell'uso delle cosiddette droghe leggere, verrebbe sottratta una quota importante del mercato alla criminalità organizzata, alle mafie, con, conseguentemente, una riduzione dei proventi che tali sodalizi ricavano da queste attività criminali ed una contestuale liberazione di risorse in particolar modo umane, finanziarie e economiche da destinare, invece, al contrasto delle altre attività, sempre criminali. Potremmo dire che la sintesi di questa posizione è contenuta nel documento che alle Commissioni ha fatto pervenire la Direzione nazionale antimafia che si è espressa, sia pure relativamente solo ad alcuni punti della proposta, in termini favorevoli e, appunto, sintetizza in sei risultati positivi le ragioni che militerebbero a favore di questa posizione. In primo luogo una rilevante liberazione di risorse umane e finanziaria in diversi comparti della pubblica amministrazione, una più importante liberazione di risorse nel settore della giustizia per le migliaia di procedimenti penali che richiedono appunto il coinvolgimento e l'impegno di magistrati, cancellieri, ufficiali giudiziari, un po’ tutto il personale che gravita intorno ad un processo, una perdita di risorse finanziarie per le mafie, una contestuale acquisizione, invece, di risorse finanziarie per lo Stato attraverso la gestione del monopolio e, soprattutto, poi, un rilancio dell'azione strategica di contrasto che potrebbe essere conseguenza, appunto, di questi fattori precedentemente ricordati. Ora, questo documento, nonostante l'autorevolezza della sua provenienza, non ha trovato, soprattutto nel campo di quanti quotidianamente e con esperienza si misurano nell'azione di contrasto, una condivisione. Vorrei citare la posizione del procuratore antimafia Gratteri, che ha radicalmente contestato queste risultanze, e lo ha fatto certamente non partendo da una posizione pregiudiziale o ideologica, ma citando una serie di dati, dati importanti, che smontano, sostanzialmente, questa ricostruzione che è stata fornita dalla Direzione nazionale antimafia, ma che, comunque, ha trovato e trova ingresso in molte delle posizioni antiproibizioniste.
  Innanzitutto, il concreto guadagno che verrebbe sottratto alle mafie sarebbe – cito testualmente – ridicolo. Questo perché, mentre un grammo di cocaina costa al mercato illecito 50 euro, un grammo di marijuana costa 4 euro, e, soprattutto, non considera un altro dato: mediamente, ogni cento tossicodipendenti, solo il 5 per cento usa droghe leggere e, di questa percentuale, il 75 per cento sono minorenni. Dunque, la lettura comparata di questi dati e una riflessione che è possibile condurre sugli stessi ci porta già ad escludere molte delle valutazioni di segno positivo che erano state citate nel documento della Direzione nazionale antimafia, perché non solo in termini assoluti il valore sottratto come guadagno alle mafie sarebbe limitato, ma vi sarebbero, poi, problemi molto significativi, perché, prevedendo lo stesso disegno di legge oggi in discussione una sostanziale esenzione di responsabilità per quanto riguarda i soggetti minorenni, vi sarebbe una platea molto vasta, invece, di fruitori e consumatori da parte proprio dei giovanissimi, e dunque una scarsa possibilità di incidere.
  Ma, soprattutto, se anche si dovesse andare nella direzione delineata nel disegno di legge, cioè quella di demandare al monopolio la produzione e il controllo, quindi la distribuzione, anche di questo tipo di sostanze, non si creerebbe un'alternativa, per così dire, attrattiva al mercato illecito, perché, citando un esperimento che è stato condotto nelle serre di Modena, un grammo di marijuana o, comunque, di droghe leggere prodotto in forma sperimentale in queste serre, naturalmente con l'osservanza di tutte le disposizioni di legge che qualsiasi tipo di produzione richiede, quindi l'inquadramento del personale, il pagamento degli oneri contributivi, l'osservanza delle misure sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, insomma, tutto quello che è necessario nel mondo della produzione porterebbe ad un Pag. 29valore di mercato di un grammo di sostanza pari a 12 euro, che è esattamente il triplo di quello che costa, viceversa, al mercato nero.
  Dunque, una comparazione che rende sicuramente più forte e più attrattiva la proposta del mercato illecito, del mercato di provenienza illecita, e dunque l'inefficacia, da questo punto di vista, dei vantaggi che, viceversa, vengono prospettati qualora la produzione e la distribuzione venisse direttamente controllata dallo Stato. Del resto, proprio il procuratore Gratteri ci dice che in Aspromonte le cosche controllano le coltivazioni con i pastori che, precedentemente, quando la ’ndrangheta si occupava anche di rapimenti, provvedevano a vigilare sui soggetti rapiti; adesso, invece, provvedono a vigilare sulle coltivazioni, e questa attività ha sostanzialmente, in ragione delle dimensioni del fenomeno, un costo prossimo allo zero, quindi assolutamente sostenibile, ma, soprattutto, che concorre, con la combinazione degli altri fattori, a rendere il prezzo della produzione illecita sicuramente largamente più vantaggioso di quella lecita.
  Ma non è, credo, questo poi – un elemento di riflessione ulteriore –, un tema così importante e delicato, risolvibile soltanto in termini di profili per quanto riguarda l'ordine pubblico, per quanto riguarda la sicurezza, per quanto riguarda il contrasto alle attività illecite e alla criminalità. Si pone un problema soprattutto di compatibilità di queste disposizioni con l'articolo 32 della Costituzione, cioè vale a dire il diritto alla salute, che è riconosciuto a tutti i cittadini e che la nostra Costituzione assegna come funzione prioritaria alla Repubblica. Ora, sappiamo bene, perché l'attività, l'indagine conoscitiva ci ha permesso di avere uno spettro di dati molto ampio, posizioni anche molto diversificate, che le valutazioni di ordine generale e particolare sono differenziate: ci sono posizioni assunte da taluni organismi scientifici e da taluni specialisti di un certo tipo, nel senso di ritenere sostanzialmente sostenibili quelli che sono i rischi dell'assunzione di queste sostanze, ma altre organizzazioni, e soprattutto quanti con l'esperienza quotidiana si misurano con questo fenomeno – mi riferisco, in particolar modo, alle comunità terapeutiche –, ci danno dati di segno diametralmente opposto.
  Certo, se ci atteniamo a quelle che sono le classificazioni di ordine generale, possiamo dire che la dose letale della cannabis, o meglio, del suo principio psicoattivo, non è stata mai determinata, e, soprattutto, essendo calcolata mille volte superiore a quella che è la dose che viene definita come di tipo ricreativo, non sarebbe assumibile da un essere umano contemporaneamente e contestualmente. Però, ed è questa la valutazione che viene condotta come dose letale per tutte le sostanze che generano dipendenza, quindi anche per l'alcol e per altre sostanze psicotrope, cosa diversa, invece, sono le indiscusse conseguenze negative del consumo di cannabis e la potenzialità di abuso o di dipendenza che dipendono da diversi elementi, fra cui, innanzitutto, la presenza di specifici fattori di vulnerabilità individuale, dalla età precoce della sua assunzione, dalle modalità di somministrazione e dalla durata del consumo.
  Del resto, proprio i maggiori organismi sanitari internazionali e nazionali – mi riferisco all'Organizzazione mondiale della sanità e all'Istituto superiore della sanità – in più occasioni e con prese di posizione ufficiali hanno evidenziato come l'uso di queste sostanze possa, soprattutto se assunte in età precoce, e quindi rispetto alla posizione dei giovanissimi, arrecare dei disturbi molto seri per quanto riguarda le funzioni cognitive, per quanto riguarda il collegamento con altro tipo di patologie, e qui, naturalmente, il rinvio è a tutti gli atti che sono stati acquisiti nel corso della indagine conoscitiva. Di fatto, noi abbiamo la posizione degli organismi internazionali deputati alla tutela della salute che hanno più volte ammonito, per così dire, come esistano dei rischi oggettivi, dei pericoli reali, che sono, naturalmente, confermati dalle evidenze scientifiche.
  L'altro elemento è quello, che si è detto anche precedentemente, a proposito delle Pag. 30esperienze che sono state compiute in altri Paesi sulla cosiddetta legalizzazione per alcuni settori, anche in Italia, pensiamo al gioco d'azzardo. Ebbene, l'esperienza della legalizzazione del gioco d'azzardo o, comunque, della sottoposizione ad una forma di controllo molto più diretta e molto più aperta, tra virgolette, dello Stato ha determinato, come valutazione e primo bilancio che può essere a distanza di anni compiuto, una sostanziale smentita rispetto a quelle che sono le affermazioni delle posizioni antiproibizioniste, perché, per esempio, in questo settore si è registrato non solo un incremento in termini assoluti del gioco d'azzardo, e quindi dell'insieme, del valore complessivo di questo settore, quindi le risorse che vengono ad esso assegnate e spese dagli utenti, ma anche una modifica della platea dei giocatori, per cui si è passati dai dati censiti nell'anno 2011 di una tipologia media del giocatore, di età intorno o superiore ai sessant'anni e soprattutto di estrazione sociale medio-alta, ai dati ultimi, le ultime rilevazioni di questo settore, che ci consegnano viceversa la tipologia del giocatore, che è di età sempre ovviamente più bassa, ma soprattutto appartenente a categorie sociali molto meno agiate e molto economicamente meno forti di quelle cui appartenevano inizialmente i giocatori. Fenomeno, questo, favorito anche dalla diffusione del gioco on line, quindi dall'agevolissima accessibilità ai meccanismi da parte anche dei giovani. Ma il dato che interessa è che da un lato si è avuto un ampliamento dell'attività del gioco, si è avuta una modifica ed un abbassamento pericoloso dell'età e della condizione economica dei giocatori; e soprattutto non c’è stato quell'effetto di contrasto all'azione della criminalità organizzata che viceversa non solo ha continuato a gestire il gioco illegale, ma ha più volte, come numerose indagini hanno poi potuto confermare, anche posto in essere azioni di infiltrazione nel settore del gioco legale: quindi entrando con proprie società o con propri operatori in questo ambito, e quindi estendendo l'inquinamento della sua azione e della sua attività.
  Sono dunque questi gli argomenti che hanno convinto tutti noi – abbiamo avuto anche all'interno del nostro gruppo una serie di incontri e di dibattiti – a sostenere in maniera ferma, in maniera laica, in maniera equilibrata le ragioni del «no» a questo provvedimento, la nostra posizione contraria; come con altrettanta convinzione è stata unanime la posizione del gruppo nel valutare invece con favore l'ampliamento e la semplificazione dell'uso, dal punto di vista medico e dal punto di vista del supporto terapeutico di queste sostanze, che, sebbene anche oggi già ammesse all'attività terapeutica, lo potrebbero essere in misura maggiore, e con maggiore facilità anche di accesso, se appunto la materia venisse regolamentata diversamente. E anche il meccanismo che è delineato nel provvedimento oggi all'esame dell'Aula, in particolar modo quello contenuto nell'articolo 6 del disegno di legge, potrebbe essere valutato positivamente rispetto a questo uso, a questo impiego, proprio perché si consente in maniera sufficientemente equilibrata e attenta, in particolar modo per quanto riguarda i controlli, la diffusione e la possibilità, anche da parte di altri soggetti produttori farmaceutici, della coltivazione e dell'impiego di queste sostanze.
  Dunque una posizione favorevole da subito all'uso più semplice di queste sostanze nel campo terapeutico. Vi è invece il nostro «no» per quanto riguarda l'uso cosiddetto ricreativo; tra l'altro proprio alcuni degli esperti auditi ci hanno avvertito che questa espressione è piuttosto impropria, perché più che di uso ricreativo bisognerebbe parlare di uso sperimentale, nel senso che molti provano queste sostanze, soprattutto tra i giovani, ed esse hanno poi una funzione-ponte, perché purtroppo spesso portano al consumo e all'assunzione di sostanze molto più pesanti e certo maggiormente nocive.
  In queste ragioni, e nelle riflessioni che hanno accompagnato queste argomentazioni, vi sono i tratti essenziali della posizione del nostro gruppo rispetto al provvedimento; e comunque la necessità, da noi avvertita, di muoversi in questo campo Pag. 31con grande prudenza, con grande attenzione, privilegiando quelle risultanze dal punto di vista scientifico che hanno trovato conferma nelle sedi ufficiali ed istituzionali, e soprattutto non lasciandoci troppo suggestionare da analisi di tipo sociologico o di tipo di politica criminale a buon mercato, che, invece, la valutazione attenta dei fatti porta a ritenere sostanzialmente infondate (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Paola Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, Governo, colleghi, le informazioni sulla droga sono di fondamentale importanza, soprattutto in un'epoca contraddistinta da un numero crescente di casi di tossicodipendenza e alcolismo, che vedono coinvolte persone di tutte le età, di entrambi i sessi e di qualunque categoria sociale. È tristemente nota non solo la mancanza di informazioni, ma soprattutto la distorsione delle informazioni sulla droga, legata spesso ad un approccio ideologico in cui si crea una forzata contraddizione tra libertà individuale e consapevolezza delle conseguenze che certe scelte hanno sulla propria vita e su quella altrui. La distorsione cognitiva che spesso si crea su temi così sensibili ha portato tantissime persone ad avvicinarsi all'uso di certe sostanze convinte di non correre alcun tipo di rischio. Senza le necessarie informazioni è praticamente impossibile riuscire ad aiutare una persona a prevenire possibili forme di dipendenza – in questo caso dobbiamo pensare ad un Paese come il nostro –, oppure a superare il disagio proprio della dipendenza che si crea ed uscire definitivamente dalla condizione di dipendenza, come ci è stato fatto notare da numerose associazioni che abbiamo ascoltato in audizione in queste settimane.
  Le droghe sono diventate parte della nostra cultura dalla metà dell'ultimo secolo: alla fine degli anni Sessanta queste sostanze diventarono la colonna sonora di molti movimenti giovanili, che intendevano liberarsi da condizionamenti, regole e da qualsiasi forma di autorità. Si era alla ricerca di emozioni forti che garantissero un senso alla propria vita, andando oltre l'esperienza dei propri limiti. Erano pubblicizzate dalla musica e dai mass media, dai leader del tempo e caratterizzavano i grandi raduni giovanili, i concerti, permeando ogni aspetto della nostra società.
  Tutti conosciamo qualcuno che è stato colpito dalla droga, direttamente o indirettamente: è stato stimato che a livello mondiale 208 milioni di persone fanno uso di droga. Negli Stati Uniti un sondaggio a livello nazionale condotto nel 2012 sulla salute e sul consumo di droga ha mostrato che 21,9 milioni, praticamente 22 milioni di americani, circa il 10 per cento della popolazione dai 12 anni in su, avevano fatto uso di droga durante il mese che precedeva il sondaggio, e la droga più comunemente usata è la marijuana.
  Secondo il Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sulla droga, nel 2010 circa il 4,6 per cento della popolazione mondiale di età compresa tra i 15 e i 64 anni abusano di marijuana. I giovani di oggi sono più esposti che mai alla droga, proprio per il contagio giovanile che si crea tra coetanei, e che facilita non solo il passaggio di sostanze, ma anche l'immagine di un'esperienza che sembra diventare indispensabile per essere considerati adulti, liberi e trasgressivamente autonomi.
  In base ad un sondaggio condotto dai centri per il controllo delle malattie nel 2010, il 47 per cento degli studenti di scuola superiore a livello nazionale aveva bevuto alcol e il 21,7 per cento aveva fumato erba nell'arco di quel mese: 1 ragazzo su 5, almeno 4 in una classe di 20 studenti, circa 200 in una scuola di 1000 alunni ! Una cifra veramente impressionante, se si pensa al mercato potenziale che ogni scuola rappresenta, e che è ben noto non solo ai pusher che girano nei cortili o nelle adiacenze delle scuole, ma agli stessi alunni che si trasformano in pusher potenziali per far fronte alla propria dipendenza.Pag. 32
  In Europa un recente studio tra i giovani di 15 e 16 anni ha fatto notare che l'uso di marijuana varia da meno del 10 a oltre il 40 per cento, con i tassi più alti riportati dagli adolescenti nella Repubblica Ceca (il 44 per cento), seguiti dall'Irlanda (39 per cento), dal Regno Unito (38 per cento) e dalla Francia (38 per cento). Con queste percentuali, non stupisce il successivo passaggio alle droghe più pesanti: in Spagna e nel Regno Unito l'uso di cocaina fra i 15 e i 16 anni è tra il 4 e il 6 per cento, ed è aumentato in Danimarca, Italia, Spagna, Regno Unito, Norvegia e Francia.
  Fin qui i numeri. Ma forse vale la pena ascoltare qualche testimonianza. «Il mio scopo nella vita non era vivere, era avere uno sballo. Nell'arco degli anni ho fatto uso di marijuana, cocaina e alcol, con la falsa convinzione che mi avrebbero aiutato a fuggire dai problemi: ho solo peggiorato le cose. Ripetevo a me stesso: smetterò definitivamente dopo quest'ultima volta; non è mai successo». Un altro ragazzo: «Ho iniziato con la marijuana, poi con le pillole, ecstasy e gli acidi, facendo miscugli con ogni tipo di droga, prendendone anche dosi esagerate per avere effetti più duraturi. Una sera ho avuto una brutta esperienza, un trip. Pregavo e piangevo affinché questa sensazione sparisse; sentivo voci nella mia testa avevo dei tremiti e per sei mesi non sono potuto uscire di casa. Pensavo che tutti mi stessero guardando. Non riuscivo a camminare nei luoghi pubblici, non riuscivo nemmeno a guidare. Mi sono ritrovato a non avere più una casa, a stare per strada, a vivere e dormire su un cartone, a fare l'elemosina e trovare modi per procurarmi da mangiare».
  Ma perché, allora, le persone assumono droga ? Le persone assumono droga perché vogliono cambiare qualcosa nella propria vita e spesso i giovani hanno fornito queste spiegazioni per giustificare l'uso di droga: per inserirmi nel gruppo dei coetanei, per evadere, per rilassarmi, per ammazzare la noia, per sembrare più grande, per ribellarmi, per sperimentare. Pensano che le droghe siano una soluzione, ma, alla fine, le droghe diventano il problema. Anche se è difficile affrontare i propri problemi, le conseguenze dell'uso di droga sono sempre peggiori del problema che si sta cercando di risolvere.
  La vera risposta dovrebbe essere quella di un'informazione scientificamente e psicologicamente fondata, senza far uso di droga in primo luogo. Molti di loro sperimentano le droghe senza neppure sapere come funzionano ed è questa la nostra vera responsabilità: non facilitare l'accesso alle droghe, ma spiegare loro come funzionano, far vedere gli effetti, anche, a volte, con linguaggi duri, con esempi forti, con qualcosa che non abbia nulla di accattivante e di seduttivo, con qualcosa che non faccia sembrare la vita e l'esperienza dello sballo come qualcosa che meriti di mettere a rischio la propria vita.
  Le droghe sono potenzialmente dannose e la quantità assunta ne determina l'effetto che si ottiene. Una piccola quantità, come è noto, agisce da stimolante, fa andare più veloci. Una quantità maggiore agisce come sedativo, deprime, ti rallenta. Una quantità ancora più grande intossica e può uccidere. Questo è vero per qualsiasi droga, cambia solo la quantità necessaria per ottenere l'effetto.
  Ma molte droghe hanno anche un altro rischio che, talora, rientra tra gli effetti desiderati: arrivano al cervello e possono distorcere le percezioni di quello che sta succedendo attorno all'individuo; come conseguenza, le azioni della persona possono essere strane, irrazionali, inappropriate e persino distruttive. La droga blocca, allora, tutte le sensazioni, quelle desiderabili così come quelle indesiderabili. Perciò, mentre forniscono un aiuto immediato per dare sollievo al dolore, le droghe spazzano via capacità e prontezza e annebbiano il pensiero.
  A volte sono necessarie, come l'uso della cannabis terapeutica, per la quale questo Parlamento si è già espresso positivamente in diverse occasioni. Ne cito una particolarmente importante, forse per me particolarmente cara, che è quella in cui abbiamo parlato del disegno di legge sulle cure palliative e sulla rete contro il dolore. In quella legge si parla molto, molto Pag. 33positivamente anche della cannabis per uso terapeutico, ma è evidente che quella cannabis è presa sotto lo stretto controllo medico, per il tempo necessario e fino ad ottenere gli effetti desiderati. Infatti, se non si usano i farmaci come dovrebbero essere usati, possono essere pericolosi, al pari delle droghe illegali.
  Normalmente, quando la persona ricorda qualcosa, la mente è veloce e le informazioni le arrivano velocemente. Ma le droghe possono offuscare la memoria, causando vuoti mentali. Quando la persona cerca di ottenere informazioni in mezzo al caos della sua mente non ci riesce. Le droghe fanno sentire lento, stupido e possono causare veri e propri fallimenti nella vita. Man mano che la persona ha dei fallimenti, la vita diventa più dura, si desidera più droga per aiutarsi a gestire le difficoltà. Voglio citare un esempio che è particolarmente frequente tra gli studenti: assumere droga per stare sveglio, per sentire che la propria mente funziona più velocemente; avere la sensazione di aver appreso quell'argomento, di conoscere bene quella materia, salvo poi scoprire, al momento dell'interrogazione, che c’è un vuoto mentale che ti impedisce di ricordare quelle cose che eri certo di aver studiato, certo di aver imparato, ma che in quel momento non sono disponibili per te. È proprio il circuito vizioso e – oserei dire – maledetto della droga nell'esperienza di molti ragazzi.
  Una comune bugia sulla droga, infatti, è che aiuta una persona a diventare più creativa. La verità è ben diversa. La droga può portare una persona ad una falsa allegria, ma quando l'effetto svanisce, la persona precipita ancora più giù di prima e lo sconforto emozionale aumenta ogni volta. Alla fine, la droga distruggerà completamente non solo la sua creatività, ma anche la sua emotività. «Per tutto il tempo in cui facevo uso di droga pensavo di avere il controllo della mia vita e di averlo sul serio. Invece, ho distrutto tutto ciò che avevo costruito e per cui avevo lottato nella mia vita. Ho tagliato i legami con i miei amici che non si drogavano e con la mia famiglia. Perciò, non avevo amici, ma compagni di droga. Ogni giornata girava intorno a una cosa: il mio piano per avere i soldi che mi servivano per la droga. Avrei fatto qualsiasi cosa per avere la mia anfetamina, era l'unica cosa della mia vita». «Quando ero ubriaca» – dice un'altra persona – «sentivo che ero più euforica. Poco dopo aver iniziato a bere, ho iniziato ad assumere marijuana. Vivevo con un mio amico ed insieme fumavamo marijuana. Qualche volta aspiravamo cocaina dalle bustine. Sniffare cocaina era diventata una routine. Rubavo denaro alla mia famiglia e ai miei nonni quotidianamente per sostenere le spese di alcol, cocaina, marijuana e LSD. Poi ho iniziato ad usare regolarmente l'Oxycontin. Sniffare Oxycontin era diventata una routine quotidiana. Ne sono diventata dipendente Avevo bisogno di qualcosa di più forte e sono passata all'eroina. Non mi sarei fermata davanti a niente pur di ottenere la mia dose. La mia tossicodipendenza stava vincendo. Ogni volta che provavo a liberarmene, il mio corpo ne richiedeva di più».
  Ma per entrare nel vivo della legge occorre comprendere meglio cosa implichi il termine «cannabis», perché di questo si tratta in questa legge, dal momento che si riferisce a diverse droghe che derivano dalla canapa indiana, marijuana e hashish compresi. Marijuana è il termine usato per indicare una sostanza ricavata dai fiori secchi, semi e foglie, della canapa indiana. L'hashish è una forma correlata della stessa droga, prodotta dalla resina della canapa indiana. È, in media, sei volte più forte della marijuana. Quando fumati, sia la marijuana che l'hashish rilasciano un caratteristico odore dolciastro, che è quello che si percepisce perfettamente in certi ambienti. Indipendentemente da come lo si chiami, si tratta di un effetto allucinogeno, cioè di una sostanza che altera il modo in cui la mente percepisce il mondo circostante. La sostanza chimica contenuta nella cannabis che crea questa distorsione è nota come THC. La quantità di THC che si trova in una certa partita di marijuana può variare notevolmente, ma, nel complesso, la percentuale di THC è Pag. 34aumentata negli ultimi anni, proprio perché è aumentata una dipendenza pressoché sociale da questo tipo di droga. La marijuana, infatti, è la droga più usata al mondo. È generalmente fumata in una sigaretta – il famoso spinello –, a volte gli utenti, però, aprono le sigarette e rimuovono il tabacco, mescolandolo con la marijuana, e, altre volte, i due prodotti sono mischiati con droghe più potenti, come ad esempio crack o PCP.
  Quando una persona fuma uno spinello ne sperimenta l'effetto nel giro di pochi secondi. La sensazione immediata, l'accelerazione del ritmo cardiaco, la diminuzione del coordinamento e dell'equilibrio o un sognante e reale stato d'animo raggiungono l'apice entro i primi 30 minuti. Questi effetti a breve termine di solito finiscono nel giro di due o tre ore, ma potrebbero durare più a lungo, a seconda della quantità assunta, della potenza del THC e della presenza di altre droghe aggiunte nel miscuglio. Dato che un tipico consumatore inala più fumo e lo trattiene più a lungo di quanto non farebbe con una sigaretta, uno spinello crea un grave impatto anche sui polmoni di una persona. A parte il disagio che accompagna mal di gola e raffreddore, si è scoperto che il consumatore si espone a sostanze chimiche cancerogene come se fumasse cinque sigarette. Le conseguenze mentali dell'uso della droga sono ugualmente gravi. I fumatori hanno memoria e attitudine mentale peggiori di chi non ne fa uso.
  La cannabis, con il 16 per cento, è al terzo posto tra le cinque principali sostanze che sono causa di ricovero in strutture per la disintossicazione negli Stati Uniti. Secondo un sondaggio nazionale sull'assunzione della droga, i ragazzi che usano frequentemente marijuana sono quasi quattro volte più inclini della norma ad agire con violenza, a causare danni materiali. Sono cinque volte più propensi a rubare rispetto a chi non fa uso della droga, non fosse altro che per procurarsi la droga. Oggi si tratta di una droga molto più potente che in passato, perché le tecniche di coltivazione e l'uso selezionato dei semi hanno prodotto una droga più forte. Di conseguenza, si è riscontrato anche un aumento nel numero di giovani fumatori che finiscono al pronto soccorso. Poiché si crea tolleranza, la marijuana può portare i consumatori a far uso di droghe più pesanti per ottenere lo stesso sballo. Quando l'effetto sparisce, il problema, la situazione o la condizione indesiderata ritornano più intense di prima. A questo punto il consumatore può iniziare a prendere droghe più forti dato che la marijuana non funziona più. Mancanza di coordinazione dei movimenti e distorsione del senso del tempo, battito cardiaco che accelera, rendimento scolastico ridotto, tutto questo comporta una serie di conseguenze, di cui questo Parlamento ha preso atto anche recentemente, approvando la legge sulla guida sicura e, quindi, interdicendo l'uso della guida alle persone che sono sotto l'effetto della droga. Abbiamo preso atto che la droga fa male e abbiamo preso delle misure concrete e coerenti perché questo non accadesse.
  La proposta di legge di cui stiamo parlando si compone di dieci articoli ed è volta a consentire a determinate condizioni la coltivazione della cannabis in forma individuale o associata, a prevedere la liceità della detenzione di cannabis entro determinate quantità, a introdurre un monopolio di Stato e a consentire la vendita al dettaglio della cannabis e dei prodotti derivati e, in relazione alla lieve entità delle condotte illecite inerenti agli stupefacenti, a prevedere una differenziazione di pena in relazione alla tipologia delle sostanze, distinguendo tra droghe pesanti e droghe leggere.
  Vorrei soffermarmi un attimo sull'articolo 1. L'articolo 1 è quello che inserisce la coltivazione in forma personale ed associata di cannabis tra le fattispecie lecite, non sottoposte ad alcun regime autorizzatorio. La disposizione consente a persone maggiorenni la coltivazione e la detenzione personale di piante di cannabis di sesso femminile – perché quelle di sesso maschile non hanno praticamente alcune effetto sotto il profilo della droga – nel limite di cinque e del prodotto da esse ottenuto, previo invio di una comunicazione Pag. 35con determinati requisiti all'ufficio regionale dei monopoli di Stato. Le piante di cannabis di sesso maschile producono una percentuale irrisoria di THC, inidonea a produrre effetti droganti, mentre le piante di sesso femminile costituiscono la categoria che produce tramite i fiori il citato principio attivo. Ma la legge prevede anche la coltivazione di cannabis in forma associata ad associazioni private di cinquanta persone, nei limiti quantitativi di cinque piante per associato, sempre previa comunicazione al competente ufficio dei monopoli di Stato. La proposta, quindi, consente la coltivazione associata di 250 piante selezionate, dalla quale sono ricavabili chili e chili di cannabis, andando ben oltre quello che è il limite previsto dalla legge.
  Immaginiamo poi un altro aspetto, che mi sembra particolarmente interessante ovvero la condizione in cui in un nucleo familiare, in cui sono presenti dei minori, si dia la possibilità al capo famiglia di coltivarsi il suo orticello di cinque piante di cannabis per uso personale – famoso orto in città, tra un po’ li avremo tutti così –: quale potrà essere l'esito di un tale esperimento ? Certamente il minore non riuscirà a capire che differenza c’è tra ciò che fa il genitore e ciò che potrebbe – o nel caso specifico non potrebbe – fare lui. Lo spirito di emulazione lo spingerebbe quantomeno a provare e consumare la sostanza che consuma suo padre e sicuramente a considerare la cannabis innocua e disponibile anche per lui. Il ragazzo potrebbe essere portato a vantarsi con gli amici, facendo provare anche a loro l'effetto della sostanza. Si può immaginare di adottare una soluzione ovvia, che potrebbe essere quella di tenere sotto chiave il luogo di coltivazione della cannabis, ma è facile prevedere che con la curiosità di cui sono dotati ragazzi questi verranno prima poi a scoprire l'attività di coltivazione e l'uso costante della sostanza da parte del genitore. Sottovalutare questi fondati pericoli è da sconsiderati e superficiali, significa fare della libertà un concetto totalmente distorto, perché alla libertà del padre non corrisponde affatto la libertà del figlio, anche perché devo dire che all'immaturità del padre corrisponde invece drammaticamente l'immaturità del figlio, prima che si renda conto del danno che si è procurato.
  Per queste ragioni la società civile, assieme alle famiglie e agli educatori di ogni ordine e grado, deve prevenire certi comportamenti devianti, evitando il lucro che sempre accompagna le sostanze stupefacenti e soprattutto facendo efficace e precoce informazione e prevenzione, partendo già dalle scuole elementari. Pare banale e ovvio dirlo, ma la prevenzione è sempre l'intervento più efficace e meno costoso da adottare.
  L'articolo 2 della legge consente ai maggiorenni la detenzione personale di cannabis e dei prodotti da essa derivati, in misura non superiore a 5 grammi lordi, aumentata a 15 grammi lordi per la detenzione in privato domicilio. Diventa sempre più difficile acquisire informazioni sugli spacciatori e dimostrare se si tratti di sostanze autoprodotte o acquistate sul mercato illegale, ça va sans dire che, se io ho più 5 grammi lordi, posso sempre dire di essermela coltivata, laddove invece l'ho semplicemente comprata al mercato e allo spaccio.
  L'articolo 3 prevede la non punibilità e questo mi sembra particolarmente grave. Prevede la non punibilità della cessione gratuita a terzi di piccoli quantitativi di cannabis e dei prodotti da essa derivati, destinati al consumo personale e, comunque, nel limite massimo di 5 grammi fuori casa e dei famosi 15 grammi in casa. Anche in questo caso si realizza una sorta di legalizzazione dello spaccio, perché in casa ogni persona avrà i suoi 15 grammi lordi. E possiamo facilmente immaginare il coca-party o comunque il droga-party che tipo di effetti potrebbe avere. Si rende impossibile procedere all'acquisizione di informazioni sugli spacciatori e si rendono più complesse le indagini necessarie a dimostrare che si tratti di sostanza prodotta oppure acquistata al mercato illegale. Ma su questo vorrei insistere ancora una volta. L'articolo 3 dice che la punibilità è comunque esclusa, qualora la cessione gratuita di cannabis avvenga tra Pag. 36persone minori. Signori, qui si tratta semplicemente di uno stimolo, di un incoraggiamento veramente delinquenziale, perché si tratta di stimolare i più piccoli a diffondere droga – perché non punibili – non solo tra i loro amici, ma tra gli amici dei fratelli più grandi o tra gli amici del papà o della mamma. E questo perché si crea ? Perché si crea una sorta di impunità per i pusher minorenni. Questo avrà delle conseguenze sulle fasce minori di bambini veramente devastanti e ci impone una responsabilità tale, che io credo ignorarla rappresenti davvero una colpa grave, una colpa grave per questo Parlamento, ma una colpa grave per una società che volesse davvero distruggere il futuro delle proprie generazioni future. Nel quadro di questa previsione, infatti, per superare lo scoglio della cessione gratuita, basterà scambiare il denaro tra altre persone e usare i minori per lo scambio della droga. La proposta non contiene sanzioni in merito alla presenza di minori in casa, soprattutto nelle case di coloro che comunque detengono la cannabis. Non contiene indicazioni relative ai rischi che possono generarsi quando la sostanza viene utilizzata per la preparazione di alimenti. Si tratta di rischi gravissimi di consumo inconsapevole e di sovradosaggio, che derivano sia dall'aspetto apparentemente innocuo degli alimenti contenenti cannabis sia dal fatto che, diversamente dal fumo che fa subito affetto, l'assorbimento tramite digestione è molto più lento e, quindi, si tende a consumarne più del limite.
  Pare opportuno quindi focalizzare l'attenzione su un punto della proposta di legge. Risulta problematico far collimare la possibilità di coltivare fino a 5 piante di cannabis e nello stesso tempo limitare la quantità detenuta di cannabis, che è indicato non poter essere superiore a 5 grammi o 15 grammi e più. Abbiamo detto che le famose piantine producono molto, molto più sostanza di quanto non sia quella, diciamo tra virgolette, che la legalizzazione del consumo di cannabis, previsto da questa proposta di legge, consentirebbe. Le piante di cannabis possono dare una produzione per singola pianta che va da un minimo di 10 grammi sino ad arrivare a più di 500 grammi. Complessivamente le cinque piante potranno anche fornire 2500 grammi e più di fiori. Come farà il coltivatore a gestire la sua produzione ? Dovrebbe raccoglierne progressivamente per non più di cinque grammi ? E il resto ? Dovrebbe andare distrutta, registrando la produzione complessiva ? Ora il decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 prevede che la produzione in eccesso venga smaltita attraverso l'incenerimento sotto il controllo dell'ASL o della Guardia di finanza. Si immagina migliaia di situazioni da controllare allo stesso modo ? Sarebbe ingestibile una sovrapproduzione del genere e causerebbe problematiche continue per la sua detenzione. La soluzione è che il testo della proposta di legge porterà ad un ovvio éscamotage, cioè tutti quelli che vorranno evitare contestazioni sulla quantità detenuta coltiveranno e avranno in casa almeno una pianta, perciò sul territorio italiano avremo milioni di siti produttivi di cannabis.
  L'articolo 5 istituisce il monopolio della cannabis analogamente a quanto accade per i tabacchi con conseguenze tutt'altro che irrilevanti. Se le dogane possono autorizzare, allora si consente discrezionalità all'amministrazione nella scelta di chi sarà autorizzato, il prezzo di vendita sarà prefissato e non libero, posto che si tratta di un monopolio di Stato, le modalità di confezionamento e lavorazione saranno rigidamente strutturate, la vendita però sarà effettuata anche nelle tabaccherie esistenti, esattamente come accade per il tabacco. Noi avremo una distribuzione non più soltanto di «gratta e vinci» e, quindi, di dipendenza dal gioco d'azzardo, come disgraziatamente subiamo giorno per giorno nella più totale indifferenza da parte del Governo, ma avremo anche un'ulteriore forma di pluri-dipendenza attraverso la somministrazione e attraverso la vendita di cannabis. La proposta, quindi, si pone in termini di un radicale sovvertimento e stravolgimento dell'impianto giuridico penale attuale, in particolare la sentenza della Corte di cassazione Pag. 37del 10 luglio 2008 ha precisato che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale. Ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze, spetta al giudice verificare in concreto l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. Non me se ne voglia, ma ancora una volta consegneremo ai magistrati la possibilità di decidere cosa si può fare e cosa non si può fare, quanto se ne può fare e come si può fare. La sentenza n. 360 del 1995 della Corte costituzionale ha sostenuto che la coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanza stupefacente integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività di una fattispecie criminosa. Ha anche affermato, ai fini della punibilità della coltivazione, l'irrilevanza della quantità di principio attivo ricavabile e la rilevanza invece della capacità della pianta di produrre la sostanza stupefacente. Duole dirlo, ma c'era molto più buonsenso in questa norma di quanto non ce ne sia nell'intero disegno di legge. La decisione del Consiglio europeo, Giustizia e affari interni, la norma del 2004, ha individuato la mera coltivazione tra le condotte per le quali la normativa europea consente ai singoli Stati membri dell'Unione europea l'applicazione di sanzioni penali; per lo meno non sentiremo più dire che l'Europa ce lo chiede, perché l'Europa, viceversa, autorizza la sanzione. La proposta di legge in esame contraddice in modo evidente la giurisprudenza della Suprema corte e quella della Consulta, prevedendo norme dirette alla legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati, in quanto diretta a depenalizzare alcune parti dell'impianto normativo vigente, che invece si basa sulla consolidata previsione del danno di natura penale che si può provocare. Oltretutto l'attuale proposta di legge contraddice in ogni caso i principi sanciti dall'articolo 32 della Costituzione, che recita: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. In sede di audizione nelle Commissioni riunite è emerso che l'uso della cannabis comporta effetti avversi su molteplici organi e tessuti e gravi conseguenze permanenti sul nostro organismo. A ciò vanno aggiunti gli effetti dell'uso della cannabis in tema di sicurezza stradale, cui ho accennato prima, con il rischio di incidenti stradali e la sottoposizione alle gravose sanzioni recentemente introdotte. Quelli che destano comunque più preoccupazione sono gli effetti neurobiologici a lungo termine, tra l'altro è stato rilevato come il fenomeno dell'utilizzo delle droghe su soggetti molto giovani determina negli stessi il passaggio dall'utilizzo della sola cannabis a un poliutilizzo, ovvero di cannabis più altre sostanze. Inoltre il progetto di legge contraddice anche l'articolo 2 della Costituzione, secondo cui la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La proposta legislativa non prevede programmi educativi di nessun tipo che recuperino le persone dipendenti dalla droga, come invece dovrebbe essere previsto, al fine di salvaguardare e tutelare soggetti tossicodipendenti che possono essere considerati soggetti deboli, così come non sono previsti interventi per il reinserimento sociale e lavorativo delle persone tossicodipendenti. Penso che uno Stato democratico non si possa permettere il lusso di liberalizzare ciò che provoca danni alla salute dei cittadini, lo ha detto il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, da trent'anni magistrato e in prima fila nella lotta alla ’ndrangheta calabrese, che non usa giri di parole per esprime la sua totale contrarietà all'ipotesi di una legalizzazione delle droghe leggere. La proposta di legge in discussione, che ha trovato invece il parere parzialmente favorevole del Procuratore nazionale antimafia Pag. 38Franco Roberti, non sembra convincere il magistrato calabrese. Uno Stato democratico si deve occupare della salute e della libertà dei suoi cittadini; noi sappiamo invece che qualsiasi forma di dipendenza genera malattie, in particolare psichiche, ma genera anche ricatto. Non possiamo liberalizzare ciò che fa male.
  In conclusione – veramente, concludo – nella legalizzazione della cannabis ci sono sostanzialmente obiettivi che si potrebbero voler perseguire ma che sono in flagrante contraddizione tra di loro, penso per esempio alla tassazione sul vizio, come è stata chiamata anche pochi minuti fa dalla collega Miotto, penso al risparmio sui costi di repressione, nel momento in cui con la legalizzazione decidiamo di lasciar correre, ma penso soprattutto al problema fondamentale che è quello della tutela delle persone. L'unico vero obiettivo della legge deve essere la tutela e la protezione dei consumatori prima che divengano tali, si può affrontare il tema della cannabis in rapporto agli effetti negativi che indubbiamente provoca per la salute ma credo che il tema della cannabis vada ricondotto nella più complessa dinamica del rapporto tra autonomia e dipendenza, tra libertà e responsabilità. La cannabis crea dipendenza e le moderne tecniche di estrazione e di lavorazione, aumentando la concentrazione del principio attivo, aumentano anche la dipendenza, riducono il livello di autonomia e di libertà del soggetto, lo sottopongono a una serie di comportamenti per i quali, riducendo il suo grado di autonomia, si riduce anche il livello di responsabilità. Voglio soltanto dire una cosa, un secondo...

  PRESIDENTE. Onorevole Binetti, ha superato già di un minuto i suoi trenta minuti. La prego di tener conto del fatto che ha parlato trenta minuti. Va bene, concluda.

  PAOLA BINETTI. Grazie, Presidente. Vorrei soltanto dire che le società di assicurazioni adesso richiederanno anche ai chirurghi, prima di entrare in sala operatoria, di fare il test per sapere se usano droghe o no, questo per dire come aumenta il livello di vigilanza sotto certi aspetti nella società, non possiamo essere noi a buttare al macero cultura e prudenza.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Daniele Farina. Ne ha facoltà.

  DANIELE FARINA. Signora Presidente, io sarò molto più breve, perché quello che portiamo in discussione generale in quest'Aula è un provvedimento ambizioso, ha la pretesa di regolare la presenza della cannabis nel Paese dalla coltivazione alla vendita. Per qualcuno questa complessità è un disvalore, per noi invece è un pregio, è la prima volta che si fa questo tentativo di vedere e di normare a 360 gradi. Il testo prova a sintetizzare infatti le numerose proposte di legge depositate in questa legislatura e anche qualcuna delle precedenti e il fatto che sia stato firmato da un così elevato numero di parlamentari ha delle solide ragioni. Siamo infatti di fronte ad un incontestabile fallimento: le politiche restrittive e repressive, validate a livello internazionale, le interpretazioni normative di queste sul piano interno non hanno conseguito i risultati che si proponevano, né dal punto di vista della riduzione della domanda né tantomeno dal lato della riduzione dell'offerta, anzi, dopo decenni di guerra alla droga – ma poi, insomma, colleghi, parliamo largamente di guerra alla cannabis – il quadro è desolante e preoccupante, non solo, in via di peggioramento. A partire dallo smisurato dilatarsi delle risorse disponibili per l'organizzazione del narcotraffico internazionale e oggi ci aggiungiamo anche di quelle terroristiche, un fiume di denaro in grado di pervadere ogni ambito e condizionare gli equilibri di intere regioni del mondo, però in molti interventi non sento traccia di questa evidenza. Invece è certamente questa – ciò che dicevo – una delle ragioni per cui numerosi Stati vanno avviando a convenzioni e accordi internazionali vigenti – sottolineo – una radicale revisione delle legislazioni interne, quello che prima era teoria oggi qua e là è anche Pag. 39pratica e ci fornisce dati e relazioni concrete che rendono possibile e avveduto questo nostro sforzo normativo. Questa discussione ha qualcosa di storico, tra la parentesi della piccola storia, per la prima volta approda in un'Aula parlamentare una proposta di legalizzazione meno restrittiva della legislazione vigente. Ho sentito usare il termine «liberalizzazione», ma nel testo non c’è nulla di tutto questo. La proposta prova a contemperare una riforma parziale del Testo unico sugli stupefacenti n. 309 del 1990, peraltro già ampiamente taglieggiato dalla Corte Costituzionale in supplenza della politica, con norme utili a garantire un reale accesso ai farmaci e ai preparati a base di cannabis per i cittadini, diritto oggi di fatto negato nonostante undici regioni abbiano legiferato in materia. Il tutto sotto regolazione dello Stato e del suo monopolio, seppure attenuato dalla liceità della coltivazione per uso personale, anche associata. Questo monopolio risulta più stringente di quello oggi in atto per i tabacchi lavorati.
  C’è un grande ritardo. Per anni siamo stati nutriti di falsificazioni politiche e scientifiche la cui eco è ancora ben presente – noto – nella nostra discussione. Lo stesso Parlamento ha per anni attinto le sue conoscenze da una relazione annuale prevista dalla legge del 2006, la «Fini-Giovanardi», densa di inesattezze, di falsi presupposti, se non di vere e proprie falsificazioni. Ed è naturale che un legislatore cieco difficilmente vari buone leggi. E nel mentre crescevano nel Paese e nel mondo le risorse disponibili e il potere di mafie di ogni sorta di colore e si alimentavano – dicevo – le filiere del terrorismo, col senno del poi la legislazione proibizionista ha rappresentato per questi fenomeni una sorta di concorso esterno, un vero e proprio favoreggiamento. E duole che ancora oggi in quest'Aula vi sia chi, alto gridando un «no» contro ogni modifica normativa, confermi questa complicità.
  È la miglior legge possibile ? Certamente no ! È sulla strada giusta (mi fermo qui). Esiste ormai un piano inclinato che sempre più orienterà le politiche globali, i trattati, le legislazioni nazionali. Il mondo, colleghi, va veloce; d'altro canto, i decenni passati hanno avuto costi sociali, umani ed economici spaventosi, senza peraltro conseguire – ribadisco – alcun risultato, anzi peggiorando la situazione ad ogni giro di vite. Dunque, bisogna cambiare. Di fronte a questa stringente necessità è stato posto un muro fatto di 1.700 fra emendamenti e articoli aggiuntivi; la metà di questi reca soltanto la parola «sopprimere», ovvero conservare il presente. Ma l'oggi è fatto di spaccio e criminalità in ogni nostro quartiere; è fatto di clandestinità e degrado; è fatto di insicurezza e di tante risorse repressivamente gettate in una guerra inefficace e senza speranze. Qui ci hanno portato gli alfieri del no. Occorre cambiare le regole di questa partita truccata.
  Risorse: proviamo a immaginare che quei 10 miliardi di euro l'anno, di cui oggi si appropria il crimine organizzato, possano essere utilizzati dallo Stato per il reddito, la scuola, la messa in sicurezza del territorio e, sulle droghe, per politiche di informazione e prevenzione, di riduzione del danno e del rischio, perché chi grida per salvare i nostri giovani sono anni che non finanzia neppure quel Fondo nazionale che pure egli stesso ha istituito con la legge del 2006. Ci sono gli irresponsabili alfieri del no e ci sono quelli del «ci sono cose più importanti». C'erano cose più importanti, colleghi, anni fa. Oggi i numeri ci dicono, la cronaca ci dice, che siamo nel campo forse non delle cose più importanti ma certamente dei provvedimenti urgenti. Per questo provvedimento oggi, in un articolo di Roberto Saviano, è stato usato l'aggettivo «rivoluzionario»; troppa grazia, direi. Siamo solo, io dico concludendo, nel campo del buonsenso. Questo iter riprenderà a settembre, però mi permetto di osservare, non per i nostri meriti ma per un orientamento globale, che indietro non si torna: una strada è tracciata e noi la perseguiremo fino in fondo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

Pag. 40

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuditta Pini. Ne ha facoltà.

  GIUDITTA PINI. Grazie, Presidente. Per prima cosa dobbiamo cercare, colleghi, di uscire dal dibattito provinciale e caricaturale che in questo Paese circonda da sempre il dibattito sulla legalizzazione della cannabis.
  La linea adottata dalla destra in questi anni – e non solo dalla destra ma anche dalla parte più conservatrice del nostro Paese – è quella che tutte le sostanze siano pericolose allo stesso modo e che il loro uso, quindi, vada punito allo stesso modo. Peccato che questa affermazione non solo sia falsa ma sia anche pericolosa. Il risultato che infatti si rischia di ottenere e che in alcuni casi si è ottenuto è quello di avvicinare i consumatori a sostanze potenzialmente più pericolose o addirittura letali a parità di sanzione. Molto banalmente il ragionamento che si fa è che se tutte le droghe fanno male in modo uguale e se io vengo punito allo stesso modo, perché dovrei preferire lo spinello a una dose di ketamina ?
  Il primo punto da cui partire, a mio parere, quindi è conoscere per prevenire. Le sostanze non sono tutte uguali e la loro pericolosità non è uguale. Parliamo di dati nazionali e internazionali pubblicati su riviste scientifiche. Il 42 per cento dei decessi per overdose in questo Paese è dovuto all'eroina; l'8,4 per cento di decessi alla cocaina e il 6 per cento dei decessi nel mondo, se consideriamo anche le guerre, le carestie, gli attentati internazionali, gli attentati terroristici, gli incidenti stradali, il 6 per cento di tutte le morti del pianeta, dicevo, è dovuto all'abuso di alcol. In Italia parliamo quindi circa di 30 mila morti all'anno per abuso di alcol, mentre sempre in Italia parliamo di 81 mila morti all'anno per anno causati dal fumo di tabacco. Non abbiamo ad oggi registrati invece i decessi dovuti all'uso di cannabis. Quindi no ! Le sostanze non sono tutte uguali.
  È ovvio, è certo che in questi ultimi anni ci sono state tipologie di cannabis sempre più pericolose, come ci ricordava prima l'onorevole Binetti, che sono state tagliate anche con altre sostanze. Ma di cosa ci stupiamo ? Crediamo forse nell'etica del lavoro della criminalità organizzata o della mafia ? Io non credo. Esiste però, come dicevamo, un monopolio di Stato sulle sostanze, anche su quelle pericolose e letali, come abbiamo visto. Esiste un monopolio di Stato sul tabacco, esiste un monopolio di Stato sull'alcol e certo esiste un monopolio di Stato anche per la somministrazione degli oppiacei e del metadone per la cura del dolore ed è sacrosanto che sia così, perché chi sta male e chi soffre ha diritto ad avere accesso alle cure e ai farmaci che possano lenire il suo dolore. Eppure, mentre è possibile in ogni parte del nostro Paese somministrare giustamente a chi soffre oppiacei o derivati dell'oppio o metadone, è molto complicato e a volte impossibile, somministrare i cannabinoidi o i derivati della cannabis, anche se probabilmente questi farmaci avrebbero non solo un'azione complementare e migliore ma anche creerebbero meno dipendenza.
  Quindi, la domanda che mi pongo è molto semplice: per quale motivo nel nostro Paese non riusciamo a parlare della legalizzazione della cannabis senza creare uno scontro di civiltà ? Ammetto che per quel che mi riguarda questa è una domanda che non ha una risposta, un mistero. Però, immagino che sia dovuto a un fattore culturale: alla visione della cannabis come una sostanza sovversiva, ai mitici anni Sessanta (non lo so). Ma quando undici regioni emanano una regolamentazione sull'uso della cannabis terapeutica e quando il 14,5 per cento dei cittadini tra i 15 e i 65 anni dichiara di aver fatto uso di cannabis nell'ultimo anno, possiamo ancora permetterci di ignorare questo fenomeno e di posticipare la discussione ? Io credo di no. Ma quel 14,5 per cento di cittadini come si è procurato quella sostanza ? Tramite il vasto e capillare mercato e monopolio delle mafie nel nostro Paese. Ci possiamo, quindi, concedere il lusso, come parlamentari e come legislatori, di ignorare ancora questo fenomeno e questi dati oppure di continuare a trattarlo Pag. 41in questo modo ? Io non credo; non lo credo io e non lo crede la Direzione nazionale antimafia e anche le Nazioni Unite non credono che sia più il caso di trattarlo solo in modo proibizionista.
  Ed è per questo che da anni, insieme ai giovani democratici ma non solo, ci battiamo per un dibattito serio e completo sulla legalizzazione della cannabis e per un monopolio di Stato che tuteli sia i consumatori che i produttori che la fiscalità in generale dello Stato.
  È comunque oggi un passaggio importantissimo per noi, per quello che stiamo facendo: è la prima volta che portiamo all'interno delle istituzioni un dibattito che è già patrimonio comune e che ha bisogno di risposte urgenti e complesse. Ho avuto modo anche oggi di vedere i telegiornali e chiariamo subito un punto: è ovvio che le droghe facciano male, è come dire che l'acqua bagna, però lasciare da solo il ragazzino con lo spacciatore non credo che sia la soluzione anche perché lo spacciatore, essendo un commerciante, tenderà a vendere a quel ragazzino una sostanza che lo porti a tornare da lui. Possiamo e dobbiamo quindi discutere dell'uso, della coltivazione e della vendita della cannabis, ma dobbiamo, oltre che discutere, prendere delle decisioni e assumerci la responsabilità di lasciare o meno questo monopolio in mano a chi ? È una perdita di tempo discutere di questi temi ? È una perdita di tempo quando stiamo parlando di questi numeri ? È una perdita di tempo quando stiamo parlando, anche all'interno di questo provvedimento, di persone che non riescono ad avere un accesso ai farmaci ? Io non credo che sia una perdita di tempo. Dobbiamo nel 2016 finalmente riuscire a superare un dibattito che troppo spesso è stato bigotto e soffocante e da cui le persone, la politica, noi stessi dobbiamo uscire in modo migliore di così e credo che noi ne siamo assolutamente in grado. Siamo stati in grado in questa legislatura di rompere alcuni tabù, lo stiamo ancora facendo e lo stiamo facendo anche oggi e credo che saremo in grado in questa legislatura di affrontare questo dibattito nel merito della legalizzazione della cannabis e credo che saremo tutti in grado – spero – di portare anche a queste domande delle risposte. Io queste domande ve le lascio e le risposte le lascio a voi e vi ringrazio (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ferraresi. Onorevole Ferraresi, ci sarebbe bisogno di una pausa tecnica, se non le dispiace. Sospendiamo la seduta per cinque minuti. La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 15,50, è ripresa alle 16.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ferraresi. Ne ha facoltà.

  VITTORIO FERRARESI. Grazie, Presidente. Questa proposta che arriva oggi, inaspettatamente direi, perché una proposta di legge innovativa, io direi rivoluzionaria rispetto al Medioevo che abbiamo passato in tutti questi anni, ha avuto un contributo propositivo da parte del MoVimento 5 Stelle. È una proposta che è partita da lontano, ancora prima che il MoVimento 5 Stelle nascesse, ed è stata discussa da alcuni cittadini, alcuni malati e alcune associazioni sul blog di Beppe Grillo. In quel momento ancora il MoVimento 5 Stelle doveva nascere, ma già i cittadini si riunivano e discutevano di proposte di legge o di proposte di cambiamento della situazione normativa del nostro Paese già appunto ancora prima che il MoVimento 5 Stelle si costituisse. Fu quella della coltivazione per uso personale di cannabis la proposta più votata, o comunque una delle proposte più votate, da parte degli iscritti al blog.
   Successivamente siamo entrati in Parlamento e abbiamo sottoposto al nostro portale lex, un portale dove i cittadini discutono le proposte di legge sottoposte dai portavoce nazionali anche questa proposta, che andava proprio nella direzione della coltivazione di piante di cannabis per uso personale, dei Cannabis social club, e che fu accolta sicuramente con una volontà da parte dei cittadini di contribuire Pag. 42e infatti fu una delle proposte più commentate sul nostro portale ed ebbe un apprezzamento quasi generale. E poi siamo arrivati appunto a questa proposta dell'Intergruppo per la legalizzazione; il MoVimento 5 Stelle, come sempre, se una proposta, se un argomento appunto è ritenuto valido, collabora, propone, dibatte e partecipa a questo dibattito senza nessun pregiudizio nei confronti delle bandiere politiche che lo animano ed è per questo che abbiamo partecipato, dando il nostro supporto e il nostro aiuto, a creare questa proposta di legge per la legalizzazione che oggi è in Aula e che vede in una gran parte del primo pilastro la costruzione del MoVimento 5 Stelle. Le ragioni le abbiamo già sentite in tutti questi anni, ma siamo arrivati con una maggiore consapevolezza quest'oggi, sia perché l'opinione pubblica è più informata, riceve più informazioni e quindi non si fa abbindolare solo da tutte le bugie e le mistificazioni che sono state fatte in questi anni, sia perché ovviamente queste informazioni arrivano da alcuni dibattiti che in altri Paesi sono già stati fatti. Le nazioni che depenalizzano, regolamentano o legalizzano la cannabis sono sempre di più sparse sull'intero globo e quindi da lì che ci arrivano le informazioni, non tanto dal nostro Paese dove l'argomento è un tabù, dove i dati si fanno fatica a recepire e gli stessi soggetti che sono contrari, senza se e senza ma, pregiudizialmente e ideologicamente a questo tema non hanno dei dati certi da poter mostrare all'opinione pubblica per contrastare o per supportare le loro tesi. Queste informazioni ci derivano dal primo punto di vista, subito, come contributo per la giustizia. Essendo un deputato della Commissione giustizia della Camera, posso subito affermare come la giustizia abbia un'estrema necessità di legalizzare la cannabis. Ha questa necessità perché – come vediamo – ogni giorno ci sono degli scandali legati alla mancanza di personale amministrativo, alla mancanza di giudici, alla mancanza di strutture adeguate dove svolgere i processi, alla mancanza di risorse (che addirittura ultimamente ha messo a collasso la giustizia italiana, per non parlare appunto dell'ultima notizia delle 12.000 sentenze ineseguite, solo riguardante Napoli nord), alla mancanza di sicurezza nei tribunali, alla mancanza di risorse delle forze dell'ordine che non riescono a reprimere crimini ben più gravi che coltivare qualche piantina di cannabis e che molte volte lo fanno senza un'adeguata formazione perché non ce la possono fare o perché non gli viene impartita. Ecco, noi allora dobbiamo pensare che con questa proposta innanzitutto il settore giustizia avrebbe degli influssi positivi; verrebbero sgravati un sacco di problemi dei tribunali andando avanti con i processi che per 130 mila procedimenti ricordiamo possono finire in prescrizione ogni anno. Potrebbe aiutare da questo punto di vista le forze dell'ordine che potrebbero perseguire reati ben più gravi. E, quindi, tutte queste risorse dedicate a una lotta alla cannabis ingiustificata e che ha fallito in tutti questi anni, come ci dimostrano appunto i documenti, il libro bianco sulle droghe e gli studi a livello internazionale, potrebbero essere usate per combattere i veri criminali: la criminalità finanziaria, i crimini di mafia e altri crimini che nel nostro Paese hanno bisogno di essere perseguiti, mentre si persegue invece magari qualche persona, qualche soggetto per qualche piantina con contraddizioni perché molto spesso a Milano si giudica in un modo e a Palermo in un altro, creando una destabilizzazione. Anche i cittadini non sanno più cos’è penalmente rilevante e cosa non lo è, e questo è pericolosissimo per il nostro ordinamento, ossia la mancanza di consapevolezza di ciò che è vietato, di ciò che è penalmente rilevante e di ciò che non lo è. E da questo punto di vista, quindi, noi dobbiamo dare, anche con questa proposta, un indirizzo chiaro per far capire, appunto, al cittadino che può andare fino a un certo limite e da lì non può superarlo perché dopo inizia l'illegalità. Ma con la legge attuale stiamo lasciando all'illegalità il mercato della cannabis; lo stiamo lasciando a criminali che senza alcuno scrupolo mischiano sostanze chimiche e tossiche con il prodotto di una pianta naturale che cresce sul nostro pianeta Pag. 43senza il bisogno anche dell'uomo. E lo stiamo lasciando a loro e siamo da questo punto di vista complici della criminalità organizzata, ma non solo della criminalità organizzata, anche della semplice criminalità in questo business. Questo business che, se eliminato, potrebbe dare ingenti quantità di risorse alle forze dell'ordine per lo sgravio ai tribunali, ai giudici e metterle nella macchina della giustizia per farla funzionare finalmente. Potrebbe essere un vero e proprio incentivo, una macchina di risorse, visto che si dice sempre che i soldi non ci sono.
  Oltre al conflitto di giurisprudenza, ovviamente noi dobbiamo anche guardare alle sanzioni e si è parlato tanto di sanzioni per la guida sicura. E dobbiamo darli questi dati perché in Italia dobbiamo sapere che non c’è un documento che certifichi che c’è stato un incidente per uso esclusivo di cannabis con principi di THC. Non c’è un documento che ci certifica che c’è stato un incidente per l'utilizzo di cannabis, esclusiva, attenzione, perché tutti i rilievi sono mischiati con droghe, con alcol e, quindi, non abbiamo questo dato. Lo abbiamo in altri Paesi dove addirittura si è dimostrato che i crimini e gli incidenti sono diminuiti. L'esperienza americana ce lo insegna. Se in Italia non abbiamo i dati per dire una cosa del genere e, quindi, sono bugiardi quelli che ci vengono a dire che provoca più incidenti d'auto, abbiamo i dati, invece, dell'America e del Colorado che ci dicono che i crimini e gli incidenti in auto sono addirittura diminuiti dopo la legalizzazione. Altro problema, ovviamente, è quello di quei cittadini che si mettono a guidare e rischiano sanzioni molto forti soprattutto se sono quegli stessi cittadini che hanno bisogno di medicinali a base di cannabis e si mettono alla guida e vengono trattati come criminali quando il principio attivo ne farebbe derivare senz'altro un beneficio rispetto a qualcosa di negativo per la circolazione stradale. Ovviamente, sarà il medico che dovrà prescrivere in questo senso la sostanza, ma devono essere differenziate le due condotte, di chi veramente guida sotto l'alterazione psicofisica e chi lo fa avendo assunto magari THC qualche settimana prima e non ha nessun, nessun e dico nessun effetto negativo sulla guida.
  Le entrate: si diceva che la mafia non gestisce tanto la cannabis. Sapete qual è il mercato che ogni anno la criminalità organizzata – forse questi dati si farebbe bene a passarli anche a qualcuno in quest'Aula o a qualche magistrato che si è espresso contro – fa con la cannabis ? Siamo a 60 miliardi di euro l'anno dovuti agli introiti di questo mercato; 60 miliardi di euro ! Certo, magari la cannabis non è maggioritaria nei business della criminalità organizzata che gestisce sanità, appalti, droghe pesanti, prostituzione, gioco d'azzardo, che comunque è legalizzato, e anche forse tabacchi. Ma possiamo veramente lasciare 60 miliardi di euro alla criminalità organizzata ? Per non parlare dei piccoli criminali che molto spesso aiutano la criminalità, ma lo fanno esternamente, senza essere ricondotti in questi dati. C’è da dire questo. Infatti, i piccoli spacciatori poi magari non vengono inglobati in queste ricerche. Mentre lo Stato rinuncia, in un momento di disoccupazione, in un momento in cui le imprese falliscono, chiudono o se ne vanno all'estero, in un momento in cui la nostra produttività è ai minimi storici, a un'entrata dai 2 ai 10 miliardi di euro l'anno per questa sostanza, che è sempre stata criminalizzata. E, allora, si potrebbe pensare alle migliaia di posti di lavoro in agricoltura, alle migliaia di posti di lavoro per aprire negozi, alle migliaia di dipendenti che potrebbero essere utilizzati dallo Stato per creare una forza lavoro. E a tutto questo non si pensa invece.
  La salute: sono tanti i dottori, i medici, gli esperti, non da ultimo Umberto Veronesi, che di certo non è un amico del MoVimento 5 Stelle e che però è sempre stato preso in considerazione come uno dei massimi esperti, che sostengono che i danni derivanti dall'uso della cannabis sono limitatissimi, se non inesistenti. E, allora, provo a pensare ai costi anche della sanità che non sono stati presi in considerazione. Che benefici potremmo avere, Pag. 44miliardi di euro anche in sanità, per utilizzare come terapia, invece che la morfina o altre sostanze, la cannabis ? In Italia sono pochissimi, sono un centinaio i cittadini che possono accedere alla cannabis per uso terapeutico gratuitamente. Le regioni che sono davanti in questo tipo di regolamentazione sono senz'altro la Puglia e la Toscana. Altre le hanno seguite, ma c’è tantissima disorganizzazione, difficoltà, costi elevati per i cittadini che vogliono assumere medicinali a base di cannabis e che non possono farlo se non a costi immensi perché dobbiamo importarla magari dall'Olanda. E, allora, ben venga la sperimentazione allo stabilimento farmaceutico militare di Firenze e ben venga che lo Stato si faccia carico di coltivare e garantire ai malati in Italia queste cure, tra l'altro molto più naturali di tante altre e a costi minori, rispetto appunto alla situazione che abbiamo attualmente, che è veramente deplorevole.
  Noi dobbiamo capire che i dati che ci arrivano molto spesso vanno letti in modo reale rispetto alla nostra società. È stato detto appunto che l'Italia è uno dei Paesi che consuma più cannabis nell'intera Europa. E questi dati vanno esposti all'opinione pubblica e ai cittadini senza bugie, senza quelle mistificazioni che fanno arrivare un'informazione sbagliata ai nostri cittadini. E, allora, i dati ci dicono che il consumo di cannabis aumenta dove è presente una legge, una normativa repressiva. Con la Fini-Giovanardi, una legge vergognosa, che parificava l'utilizzo di cocaina o eroina a quello di cannabis, con sanzioni medievali, noi abbiamo avuto il picco di consumo di cannabis, non solo tra le persone adulte, ma anche tra i giovani. E, quindi, con il discorso della lotta alla droga si è andata a fare un'operazione controproducente, che ha di fatto lasciato in modo criminale alla criminalità organizzata l'utilizzo e il mercato della cannabis. E quindi si è dato ai nostri giovani non solo un messaggio negativo, ma anche, quando arrivava, un prodotto assolutamente tossico per la loro salute, perché mischiato con altre sostanze. Mentre quando c’è una legge repressiva il consumo aumenta, quando c’è la legalizzazione – questi sono dati – il consumo, salvo un leggero aumento immediato per la novità, diminuisce drasticamente anche per la popolazione giovanile. Il numero di incidenti, come ho detto prima, il numero di crimini in Colorado sono diminuiti dopo la legalizzazione perché dobbiamo capire che tutti gli studi – questi sono studi certi – ci riportano un dato incontrovertibile ovvero che la cannabis non è letale. Come è stato ripetuto non c’è una morte accertata per l'utilizzo di cannabis ma siamo a circa 3,3 milioni di morti nel mondo all'anno per l'utilizzo di alcool, circa 40.000 solo in Italia. Sono invece 80.000 le morti in Italia per tabacco e 4 milioni nel mondo ogni anno. Ma a nessuno è venuto in mente di vietare l'utilizzo degli alcolici o del tabacco, come a nessuno è venuto in mente di andare a intervenire su altri fattori di dipendenza che ovviamente fanno sfociare anche la situazione familiare o del singolo in malattie gravi come il gioco d'azzardo o altre patologie di dipendenza che possono derivare anche dall'utilizzo dei social network o di mancata attenzione a scuola, al rendimento scolastico ma nessuno si sogna di togliere o di vietare il social network o il gioco d'azzardo, il tabacco, l'alcol. Dunque, perché voler negare la regolamentazione di una sostanza che non è letale, di una sostanza che è molto meno pericolosa di alcol e tabacco ? Mi aspetto che tutte quelle persone, in primis la Ministra Lorenzin, che sono contro questa proposta, il giorno dopo averla votata, depositeranno una proposta di legge per vietare l'alcol o il tabacco nel nostro Paese. Me lo aspetto per coerenza: infatti se diciamo che sono molto più pericolose, non si vede perché una sostanza, che è meno pericolosa rimanga vietata e crei ulteriori problemi al nostro Paese e una sostanza che, invece, è legale non viene vietata anche se è più pericolosa. Non è facile ovviamente spiegarlo, non è facile perché l'ideologia e il pregiudizio che in tutti questi anni c’è stato, unito alla mancanza di informazione che molto probabilmente adesso c’è in misura minore, si Pag. 45contrappone al buonsenso di leggere una proposta di merito e di considerare che il mercato della cannabis è già libero perché tutti nel nostro Paese, soprattutto in Italia dove il consumo è altissimo, possono accedere a questa sostanza indiscriminatamente. Lo possono fare senza controllo dello Stato, lo possono fare senza adeguata informazione e lo possono fare soprattutto perché in questo Paese non si è fatto nulla in termini di repressione e di contrasto nonché di informazione, di riduzione del danno. Dunque forse, se volevamo incentivare un contrasto alle dipendenze e alle droghe, si doveva intervenire già da anni, stanziando le giuste risorse per le politiche giovanili di informazione, di riduzione del danno nelle discoteche e per evitare che questo tabù si trasformasse in un reale pericolo per i nostri ragazzi, tenuto conto che gli spacciatori con la legge Fini-Giovanardi avevano la stessa sanzione sia che spacciassero cocaina ed eroina, sia che spacciassero cannabis e quindi, poiché la cocaina e l'eroina danno un guadagno ben maggiore, a loro conveniva spacciare quelle e in questo modo la pericolosità aumentava: lì sì, in quel caso aumentava tanto. Ma qui si continua ancora a parlare di droghe in generale senza distinguere le sostanze, senza fare una giusta informazione ed è questa la maniera più pericolosa che rendiamo al Paese per quanto riguarda la pericolosità, l'informazione sulle droghe e sulle sostanze. Noi stessi, anzi non noi ma qualcuno in quest'Aula e qualcuno al Governo sta facendo questa informazione ben più pericolosa per le nostre giovani generazioni e per tutti i cittadini: infatti, nascondendo, si vuole il male del nostro Paese come se si difendesse un business e come se si facessero gli interessi del crimine, come i criminali.
  Dunque c’è da dire che, se si vuole mischiare il tutto, ne uscirà sicuramente non solo un cattivo servizio alla cittadinanza ma un cattivo servizio al Parlamento perché questa è una proposta di legge di iniziativa parlamentare. Chiedo, dal momento che è presente il sottosegretario Ferri, che rimanga così ma soprattutto che il Governo, nelle sue diverse anime (so benissimo che il Ministero della giustizia sa che questa è una proposta sacrosanta e necessaria per il suo settore; so benissimo che tanti appartenenti alla Commissione affari sociali e salute o appartenenti alla Commissione finanze si sono sempre interessati del monopolio delle entrate dello Stato o membri della Commissione lavoro conoscono la necessaria utilità di questa norma), nonostante le spaccature interne, i pregiudizi o l'omertà, possa – lo chiedo formalmente – in un momento del genere in cui tante sono le problematiche, dalla legge elettorale alla riforma della Costituzione, lasciare al Parlamento il suo potere legislativo. Occorre lasciarglielo fare, forse una delle rare volte in questo Paese e lasciare che le maggioranze siano formate in Parlamento con la discussione degli emendamenti, con la votazione degli emendamenti, con la votazione della proposta che senz'altro non è perfetta, ma è un punto di partenza che non può essere demolito come certe forze politiche vorrebbero fare. Questa discussione sia lasciata ai parlamentari che possano discutere senza ordini dall'alto o paura che il Governo li possa punire per un loro comportamento discrezionale e consapevole all'interno di quest'Aula, che rimane sempre l'organo rappresentativo dei cittadini. Questa è una richiesta che noi facciamo come MoVimento 5 Stelle che ha dato un contributo ed ha aperto una porta a questa proposta e che vuole affrontarla assolutamente, senza pregiudizi o ideologie nel merito, con i dati davanti, con i contributi che ci sono arrivati e soprattutto con una situazione reale del Paese che non può più aspettare, non può più rimanere nel Medioevo ma deve cogliere i passi avanti che sono stati fatti a livello internazionale, i passi avanti che sono stati fatti da molte Nazioni perché non so se in questa legislatura riusciremo ad approvare la legalizzazione della cannabis. So per certo che prima o poi nel nostro Paese avverrà perché non ci si può nascondere per troppo tempo, non si può continuare a mentire non solo agli italiani ma anche a noi stessi, magari per recuperare qualche voto di qualche persona Pag. 46disinformata. Noi non siamo a favore della droga. Ho sentito una frase bruttissima che questa proposta di legge faciliterebbe: nessuno vuole facilitare. Abbiamo anche previsto di utilizzare risorse per informare i cittadini, per contrastare la dipendenza: si possono aumentare, se ne può discutere ma l'importante è spiegarla bene. Questa proposta non facilita nulla, questo proposta regolamenta, controlla e, quando lo Stato tiene al cittadino, soprattutto in materia di sostanze psicoattive si attiva per garantirgli la massima integrità del prodotto, si attiva per garantirgli una consapevolezza nell'uso del prodotto stesso e soprattutto si attiva per fornire un'informazione che possa rendere il cittadino consapevole. Nessuno è a favore della droga: noi rigettiamo quest'affermazione. Io stesso, Presidente, non ho mai fatto uso, mai neanche provato una droga o quanto meno anche una sigaretta ma da parlamentare, da rappresentante dei cittadini, da componente della Commissione giustizia ritengo, senza essere da una parte o dall'altra, che questa sia una proposta di civiltà, una proposta di giustizia che solo un cieco potrebbe rigettare con la situazione ed il Paese che abbiamo davanti e per questo è necessario che la discussione vada avanti. Alcune proposte possono modificarla e sono ben accette, ma che questo dibattito non si fermi a reprimere un'iniziativa che ormai il nostro Paese ha necessariamente bisogno di prendere per uscire dal medioevo e per garantire diritti ai malati, far ripartire l'economia e i posti di lavoro e soprattutto sgravare la giustizia, come ha già detto la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, con una nota che non lascia assolutamente dubbi: togliere la criminalità organizzata e sgravare la giustizia di un peso che non può più sopportare, incentivandola con risorse che le devono essere legittimamente date. È per questo che, Presidente, le nostre proposte emendative saranno poche e saranno di merito. Ci attendiamo serietà, informazione e onestà intellettuale da tutti i gruppi parlamentari che discuteranno questa proposta. Questo è il nostro appello, questa è la nostra sfida, perché diventi un dibattito serio, un dibattito in cui ogni interlocutore fa la sua parte, magari contrastando alcune parti e lasciandone altre, un dibattito che finalmente esca dal pregiudizio e dalle maldicenze, che sono state fatte e dette in tutti questi anni, e ci possa finalmente portare in un'epoca moderna, in un'epoca di avanguardia, e soprattutto garantire diritti ai cittadini. Infatti noi siamo qui per questo: garantire alla collettività il diritto a essere liberi, a curarsi liberamente, a incentivare l'economia del nostro Paese e a garantire giustizia, perché la legalizzazione della cannabis è una questione di giustizia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Amato. Ne ha facoltà.

  MARIA AMATO. Grazie, Presidente. Il cambiamento del costume e della società anticipa in genere i tempi della legge. Per la cannabis la spinta alla legalizzazione è una spinta forte, anche se non priva di resistenze e di richiami alla prudenza. In Commissione congiunta giustizia e affari sociali e sanità, le numerose audizioni hanno visto protagonisti pro e contro cannabis alternarsi con contrapposte ragioni. Ci hanno dato la misura delle aspettative profondamente diverse e di posizioni contrastanti e inconciliabili dei diversi mondi, facendoci toccare con mano tutta la complessità e la delicatezza dell'argomento, fornendoci uno spaccato su aspettative, ricadute in termini di salute, teorie scientifiche, filosofiche, di genetica della coltivazione e persino spirituali inerenti alla cannabis, qualcuna – va sottolineato – carente in riferimenti scientifici e di letteratura. Un richiamo alla prudenza nella coltivazione per uso personale, pur con un numero limitato di piante femmina, arriva dal direttore del centro di ricerca per l'agricoltura di Rovigo, per la difficoltà reale al controllo capillare delle piante e della loro tipologia genetica e ancora nelle ricadute in salute per piante esposte a possibili inquinanti e pertanto maggiormente dannose.Pag. 47
  Ma il tema più delicato sta nel fatto che i maggiori consumatori sono i giovani e, come per l'alcol, molto alto è il consumo tra i minori, con un impatto difficilmente quantizzabile sulla salute proprio per la limitata produzione scientifica e per la prudenza che impone il principio farmacologico di ricordare che il metabolismo di qualsiasi composto o farmaco è diverso in un soggetto in crescita e in un adulto. Va detto che la dose letale di THC è una dose elevata. Nel ratto – il dato, per tranquillità degli animalisti, ci viene dagli Stati Uniti – è di 42 milligrammi pro chilo per inalazione, ma sono ancora incompleti gli studi sul rischio oncogenico e sul reale peso della connessione con malattie psichiatriche e dei danni sulla memoria e per le psicosi. Il tema della salute riguarda la parte del testo, l'articolo 6, sull'uso terapeutico della cannabis e dei suoi derivati. Molte regioni hanno proprie leggi, ma alla domanda: «non bastano le leggi regionali ?», la risposta è: «no, non bastano». Sono, come di frequente accade in sanità, diverse tra loro, anche se con qualche aspetto in comune e tutte nel perimetro di quanto espresso nel decreto Lorenzin sull'uso terapeutico della cannabis di novembre 2015. Serve una normativa nazionale completa dal seme al farmaco, omogenea, che garantisca equità nell'accesso alle cure, uguale per tutti, perché i malati hanno gli stessi diritti. Molti autorevoli interventi in audizione hanno sottolineato la necessità di normare separatamente dall'uso ludico l'intero percorso della terapeutica: selezione del seme, coltivazione, preparazione del farmaco e accesso alle cure. Ed in molti hanno osservato che è complicato il percorso di una legge in cui si affronti l'uso ludico e quello terapeutico, aspetti profondamente diversi persino nelle caratteristiche stesse della pianta.
  Il Sativex, estratto della cannabis per uso terapeutico inalatorio, è un farmaco di importazione e il percorso per i pazienti necessita di una reale semplificazione. In Italia è in essere un progetto pilota sulla base di accordi rispettivamente tra il Ministero della salute e quello delle politiche agricole, alimentari e forestali, e tra i Ministeri della salute e della difesa, per il controllo genetico e qualitativo e la produzione dei semi e la produzione di talee nel Centro di ricerca per l'agricoltura di Rovigo e l'estrazione del principio attivo nell'Istituto farmaceutico militare di Firenze, ponendo le basi per il percorso completo, con ovvie riduzioni dei costi e positive opportunità economiche.
  La prima questione da affrontare è, quindi, la selezione delle piante e la coltivazione obbligatoriamente indoor, standardizzata e bio per evitare la contaminazione dei pollini, per avere una cannabis con livelli standard di THC e per proteggerla da contaminazioni con sostanze inquinanti, antiparassitari o concimi nocivi per la salute. Si devono cioè definire i passaggi che trasformano un'erba in un farmaco da inserire in un prontuario per la prescrizione: la selezione delle piante, chi le produce e secondo quale disciplinare, la trasformazione farmaceutica comprensiva dei galenici, le modalità di distribuzione, di prescrizione e di utilizzo. Va ben definito il ventaglio di malattie per cui sia possibile per il medico prescrivere la cannabis, anche e oltre quelle più conosciute, quali la sclerosi multipla, le sindromi dolorose da spasmo muscolare, il dolore nel cancro, il glaucoma resistente a terapie convenzionali, il dolore da arto fantasma. La cannabis aiuta negli stati di progressivo indebolimento e inappetenza nell'AIDS e nei trattamenti chemioterapici. Nella terapia del dolore viene alternata a trattamenti con oppiacei anche per allungare il tempo di assuefazione, nella malattia di Gilles de la Tourette riduce i movimenti scoordinati da contrazione muscolare del viso e del corpo. Ma in medicina si sa che l'esperienza, la casistica e il numero dei pazienti determinano le indicazioni e già si parla di buoni risultati nel morbo di Crohn.
  Tra le audizioni quella del professor Saia del comitato «Ospedale senza dolore» di Padova portava la voce dei terapeuti del dolore, un appello accorato a fare presto contro il dolore inutile, come molti medici definiscono quel tipo di dolore, che non serve a fare diagnosi, che è Pag. 48il sintomo che più riduce la qualità della vita di tante persone. Ha sottolineato la necessità che la cannabis fosse prescrivibile da tutti i medici, nel rispetto delle indicazioni possibili e motivando terapie in casi particolari. Anche lui ha chiesto per l'uso terapeutico un testo che viaggiasse su un binario diverso, più semplice, più veloce. Ha concluso il suo intervento con una frase che sintetizza le attese dei malati: il dolore non aspetta. Altri, sempre parlando dell'uso terapeutico, paventavano il rischio che si preferisse il trattamento con la cannabis a prescindere, mettendo il paziente a rischio dei danni per la mancata terapia convenzionale, dubbi che possono essere fugati attraverso campagne di informazione e percorsi formativi per il personale medico e sanitario.
  C’è bisogno di dare spazio e risorse alla ricerca anche per le applicazioni terapeutiche dell'altro principio attivo della cannabis, il cannabidiolo. L'Italia ha una buona legge sul dolore, la legge Turco sulla medicina palliativa, ma non basta. Ci sono ancora tante differenze tra regione e regione, in particolare nel trattamento del dolore cronico e nell'assistenza alla terminalità. La mancanza di equità in questo campo ferisce come l'ingiustizia.
  Quella sulla cannabis non sarà una discussione facile, sicuramente sarà lunga. Spero in ogni caso che su posizioni ideologiche prevalgano pensiero scientifico e buonsenso (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare deputata Faenzi. Ne ha facoltà.

  MONICA FAENZI. Grazie, signor Presidente. Per la prima volta giunge in Aula una proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis; un risultato significativo a prescindere dai tempi che poi saranno necessari alla sua approvazione, anche per il fatto che vi è stata un'ampia e trasversale adesione da parte di tutte le forze politiche presenti in Parlamento. Infatti 294, tra deputati e senatori, hanno aderito al gruppo che, appunto, favorisce la legalizzazione. Si tratta di una proposta di legge che ha quindi il merito – lasciatemelo dire – di superare concettualmente l'abrogata Fini-Giovanardi, che equiparò drammaticamente le droghe leggere alle pesanti, annullando di fatto la funzione general-preventiva del diritto penale ed ha anche il merito di superare la Jervolino-Vassalli perché, alla luce dei dati scientifici, la marijuana non ha mai determinato la morte del suo consumatore. Il testo Giachetti all'esame dell'Aula quindi ha predisposto in dieci articoli una regolamentazione che è finalmente chiara della materia, dalla coltivazione, permessa fino a 5 piante di sesso femminile, passando per la lavorazione, la vendita, fino alla consumazione e la detenzione. Anche dalle audizioni svolte nelle Commissioni riunite giustizia e affari sociali è emerso il totale fallimento del proibizionismo, che non ha contribuito a diminuire i problemi della diffusione della cannabis, così come peraltro confermato anche dalla relazione della Direzione nazionale antimafia del 2015, dove si esorta il legislatore a compiere una depenalizzazione dei reati afferenti il consumo della marijuana. I dati al riguardo infatti certificano che la quantità di marijuana sequestrata ogni anno proprio dalle attività repressive è dalle dieci alle venti volte inferiore a quella immessa sul mercato. Ulteriori vantaggi di una politica antiproibizionista sarebbero quello di liberare dalle carceri i tanti detenuti condannati per la coltivazione e il piccolo spaccio e sgravare così la magistratura di migliaia di processi inutili; ulteriormente, assicurare ai 6 milioni di italiani attualmente consumatori – beh, sì, perché sono sei milioni gli italiani che consumano marijuana – la qualità proprio della cannabis in circolazione; infine, garantire un ritorno economico stimato tra gli 8 e i 10 miliardi per le casse dello Stato. Non deve poi essere trascurata anche la funzione terapeutica, la cui coltivazione risulta totalmente insufficiente allo scopo nonostante la buona volontà di due regioni italiane, che l'hanno consentita. Infatti l'insufficiente quantitativo ha indotto i malati a procurarsela illegalmente ed è di attualità infatti il caso di un Pag. 49malato di SLA che è finito in carcere proprio per questa ragione. Aggiungo, inoltre, che dal punto di vista repressivo l'attività svolta dai Paesi produttori non ha affatto arginato l'influenza economica e politica delle organizzazioni criminali, le quali continuano a controllare la produzione delle materie prime. Nei Paesi consumatori inoltre non si riscontrano significative riduzioni dei profitti dei trasformatori e degli intermediari rappresentati in Italia, in primo luogo, dalla criminalità mafiosa. Da qui discende che rifiutare ideologicamente una politica antiproibizionista significa oggi lasciare in mano alla criminalità organizzata un potere economico vastissimo con conseguenti ripercussioni sulla salute e la sicurezza tout court dei cittadini italiani. L'approccio a temi come questo, sicuramente sensibili e legati anche alla sfera personale di ognuno di noi, non dovrebbe a mio parere essere di tipo ideologico ma schiettamente pragmatico, perché i vantaggi di una politica antiproibizionista sono sicuramente maggiori rispetto a quelli ottenuti fino ad ora con la repressione, che sono pari a zero. A mio parere però, lasciatemelo dire, il testo Giachetti ha anche un altro merito, quello di disciplinare la più efficace delle attività necessarie a risolvere il problema dell'uso di sostanze stupefacenti, perché è proprio questo quello che vogliamo fare appoggiando questo disegno di legge, quello di combattere proprio l'uso di sostanze stupefacenti ed è quello proprio della prevenzione. Oggi un minore ha la possibilità di procurarsi la marijuana senza tante difficoltà, mentre, se tale provvedimento venisse approvato, sarebbero attivati tanti più controlli e tali da rendere sicuramente più difficile l'accesso per i minori alla sostanza. Ricordo, inoltre, come il testo affronti anche il tema delle campagne di prevenzione, stabilendo al riguardo che il 5 per cento dei proventi derivanti dalla legalizzazione del mercato della cannabis siano destinati proprio al finanziamento dei progetti del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, mentre quelli derivanti dalle sanzioni saranno interamente devoluti ad opere di informazione, cura e riabilitazione di consumatori di droghe e tossicodipendenti. Per questo e per le ragioni che ho illustrato in precedenza, ritengo che rispolverare alcuni dei più vecchi e retrivi fondamentali del proibizionismo non abbia più senso e a tal fine occorre che il Parlamento e il Governo prendano posizione a favore di questa proposta, affinché diventi legge il prima possibile.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Romano. Ne ha facoltà.

  ANDREA ROMANO. Signora Presidente, dopo molti anni questo Parlamento torna a discutere di un provvedimento legislativo organico e di insieme relativo al consumo di stupefacenti e si tratta già per questo di un successo dei firmatari della proposta di legge di cui iniziamo oggi la discussione, firmatari, ricordiamolo ancora una volta, che appartengono ad un ampio numero di partiti di diverso schieramento. Rispetto a un tema inevitabilmente controverso e carico di valenze ideologiche contrapposte, lo sforzo del legislatore deve necessariamente essere guidato da un metodo pragmatico e lontano da ogni schematismo, l'abbiamo detto in tanti, uno schematismo che finirebbe per essere appunto ideologico e dunque sostanzialmente inutile, perché io credo che la domanda a cui dovremmo rispondere non è tanto relativa alla scelta di principio cannabis sì o cannabis no, ma è piuttosto un'altra e dunque: quale legge è più adatta a contenere e, se possibile, eliminare i danni sociali e collettivi che derivano dallo sfruttamento criminale della produzione e della commercializzazione della cannabis ? In questo caso il dato di partenza da cui muovono i firmatari di questa proposta è molto chiaro: l'adozione di un modello di repressione indifferenziata, ovvero il modello adottato finora in Italia, con l'obiettivo di punire in modo sostanzialmente identico tutti i consumatori di ogni sostanza stupefacente, questo metodo è fallito sotto ogni aspetto. È un modello che si è rivelato inefficiente perché non ha ridotto in alcun modo il Pag. 50consumo di cannabis, soprattutto nelle fasce giovanili e adolescenziali. È un modello che ha favorito invece di indebolirlo lo sfruttamento criminale della produzione e della commercializzazione di cannabis, dando vita di fatto ad un sistema di industrializzazione criminale delle sostanze psicotrope che ha garantito enormi incentivi economici al mercato illegale delle sostanze proibite ed è un modello infine che è stato segnato da una catastrofica eterogenesi dei fini. Infatti con il proibizionismo si intendeva perseguire l'obiettivo della cancellazione del consumo di cannabis e dei danni sociali prodotti dal suo abuso, ma si è giunti nella realtà concreta al suo esatto opposto, ovvero alla crescita del consumo insieme alla radicalizzazione delle conseguenze sociali e sanitarie e alla moltiplicazione dei profitti criminali che ne derivano. La proposta di una legalizzazione controllata della produzione e del consumo di cannabis muove esattamente da questo, non tanto da una convinzione ideologica ma dalla consapevolezza piena e fondata sul dato di fatto del fallimento concreto delle politiche proibizionistiche, un fallimento – aggiungo – che ha colpito soprattutto le fasce più deboli e fragili della popolazione. Si prenda nello specifico il caso degli adolescenti, ovvero coloro che proprio in virtù della loro specifica vulnerabilità fisiologica, neurologica e sociale al consumo di cannabis sono particolarmente colpiti dall'abuso di questa sostanza psicotropa. Relativamente agli adolescenti, il legislatore deve domandarsi se questa categoria particolarmente vulnerabile di potenziali consumatori può essere meglio tutelata dal monopolio di fatto che le organizzazioni criminali detengono sulla produzione e sulla commercializzazione di cannabis, oppure da un sistema rigorosamente regolato quale quello che si propone in questo testo, che sottrae alle organizzazioni criminali la produzione e la commercializzazione, ne vieta esplicitamente l'assunzione ai minorenni e si concentra sul controllo e sull'informazione. Su questo specifico aspetto, ovvero sulle conseguenze di una legalizzazione regolamentata sugli adolescenti, non ci muoviamo nel vuoto di dati e analisi, al contrario, proprio l'esperienza statunitense fornisce un quadro di dati molto corposo che dimostra come la legalizzazione controllata abbia portato conseguenze positive proprio sulla tutela delle fasce più fragili e deboli della popolazione. È utile ricordare, tra gli altri, uno studio molto ampio realizzato dalla scuola di medicina della Washington University di Saint Louis a cura del professor Grucza sull'impatto sugli adolescenti delle politiche di legalizzazione adottate da alcuni Stati americani. Uno studio che ha sottolineato la riduzione dei disordini psichiatrici legati al consumo di cannabis tra le adolescenti proprio – e cito – «in coincidenza con la cancellazione della repressione per l'uso di cannabis tra gli adulti in dieci Stati americani e l'adozione di politiche di legalizzazione della cannabis ad uso terapeutico in tredici Stati». Così come altrettanto utile è citare un ampio studio pubblicato dalla rivista Lancet Psychiatry che non ha rivelato alcuna crescita nel consumo di cannabis tra gli adolescenti in quegli Stati americani dove sono state adottate leggi di legalizzazione del consumo terapeutico di questo stupefacente. E questo, d'altra parte, è lo stesso metodo utilizzato per prevenire e combattere l'abuso di tabacco e alcol, ovvero le sostanze potenzialmente capaci di produrre danni sociali e collettivi analoghi a quelli della cannabis. Nessuno in quest'Aula e fuori da qui immaginerebbe di ricorrere a strumenti proibizionistici né tanto meno di consegnare il settore dell'alcol alle organizzazioni criminali per limitare, prevenire o possibilmente cancellare i danni sociali e sanitari provocati, per l'appunto, dall'abuso di alcol o tabacco. Nessuno lo immaginerebbe, proprio perché sappiamo tutti che in questi settori una scelta proibizionistica non solo non inciderebbe in alcun modo sulle conseguenze sociali dell'abuso ma finirebbe per regalare enormi risorse economiche alla malavita organizzata.
  A questa stessa convinzione legata alla consapevolezza del fallimento concreto delle politiche proibizionistiche si è arrivati Pag. 51in questi anni in alcuni Paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti ovvero nella patria del proibizionismo, nel Paese che per tanti anni ha svolto funzioni di sentinella mondiale sulle politiche di proibizione, nella nazione che per molto tempo ha dedicato proprio a questo enormi risorse economiche, politiche e persino militari e a questa stessa convinzione ci spingono alcune importanti prese di posizione di istituzioni italiane alle quali affidiamo normalmente la vigilanza su aspetti fondamentali del nostro Stato di diritto. Penso alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 che ha cancellato l'equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti; penso al fondamentale parere della Direzione nazionale antimafia che, nella relazione presentata a questo Parlamento nel febbraio 2015, ha scritto a chiare lettere – e cito – «di oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo e di opportunità di valutare una depenalizzazione della materia, della necessità di un prosciugamento di un mercato appannaggio di associazioni criminali agguerrite». Ma penso anche alle valutazioni di magistrati impegnati ogni giorno su questo fronte, come Teresa Principato.
  In conclusione, l'invito che dobbiamo rivolgere a noi stessi – e concludo – in quanto legislatori, mentre iniziamo la discussione su un provvedimento potenzialmente storico, è l'invito a riflettere sulla natura stessa del nostro compito, perché il nostro compito di legislatori non è o non dovrebbe essere quello di decidere per legge quali comportamenti privati o quali consumi siano più o meno appropriati per i cittadini ma solo e soltanto quello di decidere quali leggi siano più efficaci per tutelare i più deboli dallo sfruttamento di quei comportamenti o per contenere ed – se è possibile – eliminare i danni sociali e collettivi che derivino dall'organizzazione criminale di quei comportamenti (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Civati. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE CIVATI. Signora Presidente, mi consenta una licenza politica per esprimere a lei e attraverso di lei la solidarietà alla Presidente di questa Assemblea per le parole oscene che sono state pronunciate ieri sera da un leader della destra, se così si può definire (Applausi di deputati del gruppo Misto-Alternativa Libera-Possibile e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).
  Arrivo subito all'oggetto della nostra discussione di oggi per precisare alcuni aspetti che mi sembrano rilevanti avendo anche ascoltato, con grande attenzione e con apprezzamento ovviamente, le cose che sono state appena dette. La prima: in alcuni interventi sembra di sentire un'argomentazione nitida però priva di riferimenti storici, come se noi non avessimo la cannabis in Italia, come se la cannabis in Italia non ci fosse, come se la cannabis in Italia volesse portarla l'Intergruppo, Della Vedova ed alcuni deputati, e come se non ci fosse stato, rispetto alla cannabis, un fenomeno che si chiama proibizionismo che ha avuto grande fortuna purtroppo presso queste Aule, che ha avuto grande fortuna negli ultimi anni, che ha avuto fortuna fino a che non è intervenuta la Corte Costituzionale, come ricordava il collega Romano. È una discussione acronotopica, senza riferimenti allo spazio e al tempo, sembrerebbe di dire; qualcun altro dice che c’è ben altro di cui parlare. Io non so che cosa ci sia di ben altro, perché se si tratta del terrorismo la cannabis c'entra anche con il terrorismo; se si parla di traffico di armi, il traffico di stupefacenti – e quello della cannabis ne rappresentano una parte significativa – riguarda anche il rapporto morboso, potremmo dire, e vizioso, visto che è stato un aggettivo molto frequentato quest'oggi con le armi.
  Se si parla di questioni sociali noi sappiamo che questa norma avrebbe un impatto fortissimo dal punto di vista sociale e sanitario; se si parla di ben altre questioni economiche faccio notare, senza polemica, che questa norma avrebbe il significato di altre cose di cui abbiamo Pag. 52parlato con grande enfasi, dagli 80 euro all'abolizione dell'IMU. Si tratta di questioni di quella portata e di quel valore economico, se vogliamo parlarne seriamente.
  Da ultimo – ed è la terza precisazione che volevo fare – si sente discutere di questo argomento come se – e gli inglesi direbbero what if – noi ragionassimo in termini teorici: che cosa accadrebbe se ci fosse la legalizzazione, in modo astratto. Noi sappiamo che altri Paesi si stanno cimentando con processi analoghi e lo stanno facendo non senza difficoltà e criticità, ma lo stanno facendo imparando dagli errori, facendo congetture e trovando confutazioni, in alcuni casi, alle cose che sono state fatte, ma provandoci molto seriamente e i dati non sono allarmanti. Leggo di cose strane, ma in realtà quello che emerge, per esempio dal Colorado, è uno sviluppo molto razionale e rigoroso, che ha certamente dei problemi che possono però essere superati.
  Io penso che di questo stiamo parlando, di una proposta molto seria, molto razionale e, se si può usare questo aggettivo, molto laica, che prescinde, tra l'altro, fin dalle sottoscrizioni da una particolare scuola politica o culturale, e molto liberale. Io vorrei fare un appello a molti liberali che sono presenti in quest'Aula e che si definiscono tali: facciamone una discussione ispirata a un liberalismo politico e culturale e facciamo in modo che la liberalità dei singoli parlamentari possa emergere, che non sia banalmente un voto di coscienza, che sia un voto tutto politico in cui ci si possa confrontare senza pensare a chi è in maggioranza o a chi è all'opposizione, perché la natura di questo atto è diversa o è nata in modo diverso.
  Legalizzare non significa promuovere, fare pubblicità, sollecitare; significa regolamentare, distinguere e precisare, come è stato detto molto bene dall'onorevole Pini. Ci sono cose diverse, sostanze diverse, effetti e conseguenze molto lontane tra loro e bisogna farlo, secondo noi, con un consenso informato delle persone, aprendo un grande dibattito pubblico perché non rimanga confinata a quest'Aula una discussione che, secondo me, ha un valore – ripeto – sociale e politico molto forte. Io non vorrei che prevalessero atteggiamenti di comodo o posizioni anche un po’ datate, perché si sente usare ancora l'argomento del passaggio dalla cannabis a sostanze più pesanti e più forti; si sente parlare di una confusione tra un proibizionismo che c’è e una legalizzazione che potrebbe esserci, invertendo, però, i due fenomeni e le due questioni e quindi accusando chi vuole legalizzare di cose che già sono nella società purtroppo del proibizionismo. Io vorrei proporvi, per non essere polemico ma per essere però molto rigoroso nella scelta degli argomenti, un ragionamento al contrario: immaginiamo che cosa potrebbe significare rendere illegale l'alcol e il tabacco; provate a immaginare, per un secondo o per qualche minuto, che cosa significherebbe avere un regime proibizionistico su sostanze che sono droghe legali che fanno molto più male della cannabis secondo tutta una serie di studi e anche di ovvie considerazioni empiriche; tornerebbe il contrabbando, ci sarebbero sostanze meno controllate e probabilmente più potenti, un argomento che si è sentito riecheggiare anche in quest'Aula, e si avrebbe una situazione probabilmente come quella conosciuta in una stagione immediatamente precedente rispetto a quella del proibizionismo della cannabis, cioè il proibizionismo degli alcolici che nasce soltanto vent'anni prima nello stesso Paese, gli Stati Uniti, quello stesso Paese che oggi guida, sulla base di sollecitazioni che vengono dalla popolazione attraverso i referendum dei vari Stati, il processo di depenalizzazione, di legalizzazione prima della cannabis terapeutica e poi della cannabis per uso ricreativo.
  Io vorrei che ci concentrassimo su questo passaggio: dal divieto alla regolamentazione, dalla proibizione alla consapevolezza anche di quanto bisogna resistere agli abusi e di quanto le istituzioni pubbliche, la Repubblica, devono impegnarsi per evitare conseguenze nocive per le persone, per i singoli o per la società. Facciamolo in modo efficace e serio, facciamolo in un modo che sia comprensibile Pag. 53e usciamo – fatemi dire quest'ultima cosa – dall'ipocrisia però, perché – ripeto – i consumatori di cannabis sono numerosissimi. Ci sono degli argomenti familistici un po’ sorprendenti perché probabilmente tutti hanno un parente che consuma cannabis – lo dico con una battuta – perché è un fatto purtroppo quotidiano e io mi chiedo: è proprio necessario consegnare comportamenti quotidiani alla illegalità, alla criminalizzazione e anche alla criminalità ? Questa è la domanda a cui dobbiamo saper rispondere da qui al lavoro in Commissione, che spero sia celere e rigoroso come tutti ci auguriamo (Applausi di deputati dei gruppi Misto-Alternativa Libera-Possibile e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Burtone. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signora Presidente, arriva in Parlamento un provvedimento molto delicato, un provvedimento che ha visto divisioni: c’è stato un percorso accidentato, audizioni, confronti e si sono divisi anche i partiti. Io rispetto le posizioni degli altri colleghi del Partito Democratico; per quel che mi riguarda, insieme a tanti altri, ho una posizione contraria a questo disegno di legge. Esprimerò alcune valutazioni con la mia esperienza politica, ma se mi si permette anche con la mia esperienza di medico, che ho fatto come volontario all'inizio della mia esperienza professionale, all'interno dei SERT, quando vennero costituiti. È un dibattito, quello che è presente in Parlamento, che rispecchia anche quello che abbiamo nel Paese. A volte gli accenti sono manichei: da una parte, si dice «laici», dall'altra parte, per chi ha posizioni, «confessionali», i proibizionisti contro gli antiproibizionisti, chi vuole la legalità e chi vuole l'illegalità. Io credo che questo schema lo si debba superare e si debba superare cercando di guardare non soltanto all'oggetto droga, ma alla complessità delle problematiche perché, mentre il Paese si divide e mentre le forze politiche discutono, cambia anche il mondo della droga.
   Fortunatamente rispetto agli anni Ottanta sono diminuiti i consumatori di eroina, ma c’è stata un'impennata di una droga pesante, la cocaina. Si mantiene alta la diffusione e il consumo dei derivati della cannabis ed è un consumo che tocca soprattutto gli adolescenti. C’è uno studio molto interessante, di oltre 4.000 intervistati quasi l'80 per cento di questi ha iniziato a 14, 15 anni. Il mondo della droga vede anche un consumo straordinario delle droghe sintetiche e tanti consumano droghe diverse. Rispetto a questa complessità, io non mi sento di dire «sì» a questo provvedimento, ma non dire «sì» non significa voler andare di nuovo alla penalizzazione di chi consuma. Noi abbiamo adottato alcuni provvedimenti relativi al decreto-legge n. 36 del 2014, che ha di fatto spazzato via gli errori commessi dalla legge «Fini-Giovanardi», che noi avevamo avversato. E io credo che sarebbe stato più logico andare avanti lungo questo percorso e circoscrivere la sfera dei consumatori, non andare alla penalizzazione di chi consuma, ma andare avanti verso la repressione. Ma proprio per questo io ora entro nel merito della materia, partendo da questo aggettivo, droga «leggera». Basta leggere un libro di farmacologia per comprendere che questo aggettivo viene utilizzato proprio perché a questo tipo di droga non viene fatto assumere l'effetto peggiore che si ha con l'utilizzazione di droga, la sindrome della astinenza, quell'astinenza dolorosa; quindi chi consuma derivati della cannabis non ha una dipendenza fisica. Ma dire questo significa che non fa danni ? Io non voglio andare ad una esasperata criminalizzazione o terrorismo psicologico, dico soltanto che ci sono dati scientifici che dicono che la tossicità di questa sostanza rimane nel corpo per mesi.
  Aggiungo che c’è una dipendenza psicologica e gli effetti sono effetti chiari: una diversa percezione delle cose, una dilatazione nel tempo e nello spazio, un cambio d'umore. Questi sintomi variano a seconda della modalità dell'assunzione: per chi ne fa un uso saltuario o episodico probabilmente non si presentano in forme patologiche, Pag. 54ma quando si ha un utilizzo abituale, quando si ha un utilizzo cronico, o peggio quando si ha un abuso, ebbene questi effetti sono effetti presenti. Ci sono casi in cui si arriva alla dissociazione, a fenomeni anche chiari di allucinazioni. Quindi, io credo che sia giusto ribadire questo. È stato detto dal collega che mi ha preceduto: chi utilizza droga leggera passa alla droga pesante ? No, assolutamente, si può rimanere alla droga leggera; va detto però che studi e esperienze sociologiche ci dicono che si arriva alla droga pesante partendo dalla droga leggera. Ma passiamo all'altro dato, il dato sociale; si dice giustamente che a fare commercio di droga, a fare sporchi affari è la mafia ed è vero. E si dice anche che le Forze dell'ordine e la magistratura spingono verso una forma di legalizzazione, ma su questo dobbiamo allora essere tutti corretti e dire che non tutti sono d'accordo. Io non voglio piegare alla mia posizione importanti magistrati, però – visto che lo ha dichiarato Gratteri – questi, per esempio, dice che sarebbe assolutamente sbagliato pensare che si può abbattere il business della mafia sulla droga, legalizzandola o seguendo questa linea. E lo dice portando dei dati concreti; dice: lo Stato potrebbe dare questo prodotto con prezzi molto più alti, triplicati rispetto a quello a cui li fornirebbe, ancora una volta, la criminalità organizzata. Mi va da pensare a Borsellino, il quale quando parlava di questa ipotesi assunta da alcuni di legalizzare la droga, diceva, volendo combattere la mafia: siamo davanti ai dilettanti della criminologia. Perché diceva questo ? Perché la mafia è un mostro con tante teste e una regia straordinaria saprebbe adattare a questa condizione strategie di mercato e quindi mi pare chiaro che questa è una strada, una scorciatoia non facile da seguire.
  Vado verso la conclusione. La conclusione è questa: chi dovrebbe fare la regolamentazione ? Lo Stato ? Uno Stato che dovrebbe regolare e poi diffondere ? Io ripenso ad alcuni dibattiti – e mi dispiace che i colleghi Cinquestelle siano andati via – penso alla loro posizione di conflittualità verso lo Stato sulla diffusione dei videogiochi, sulla ludopatia che si collega alla dipendenza psicologia. Dicono in quel caso i colleghi Cinquestelle: siamo davanti ad uno Stato colpevole, uno Stato complice. Ma in questo caso, nella dipendenza psicologica di queste droghe, siamo di fronte ad uno Stato benefattore ? Non mi pare. Allora, io concludo dicendo che, nel momento in cui si legalizza, non ci sono ragioni per uscire; ce ne sarebbero forse alcune per entrare nel mondo della droga. Quando un tempo utilizzare queste sostanze significava essere anticonformista, oggi si dice che si è conformisti. Non c’è dubbio – e concludo, Presidente – che siamo a volte davanti a un disagio. Il disagio va affrontato e lo Stato credo debba doverosamente, attraverso le proprie agenzie educative, innanzitutto la scuola, affrontare le difficoltà che hanno i giovani.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuliani. Ne ha facoltà.

  FABRIZIA GIULIANI. Grazie, Presidente. Ho chiesto di poter intervenire in questa discussione perché ritengo sia importante, nel momento in cui si sceglie di portare in Aula un confronto su un tema così sentito – l'abbiamo visto anche oggi dalla stampa – introdurre degli elementi di chiarezza, oltre che su alcuni contenuti del testo, che sono stati anche già richiamati da molti dei colleghi che mi hanno preceduto, su alcune delle motivazioni tecniche e politiche che a mio avviso – qui c’è un dibattito aperto all'interno del nostro partito che va anche oltre di esso e investe trasversalmente le forze parlamentari – rendono necessario adottare una legge relativa alla legalizzazione della cannabis. Sono state queste le motivazioni che mi hanno spinto anche ad aderire in maniera convinta all'intergruppo parlamentare che si è costituito e a sostenere la proposta Giachetti, dove si prevede, appunto, la liceità della detenzione di cannabis entro determinate quantità e si consente la vendita al dettaglio dei prodotti derivati introducendo un monopolio di Stato. Si interviene anche su alcuni aspetti che Pag. 55ritengo di grande rilievo e che andrebbero forse anche considerati isolatamente – poi questo dipenderà anche da come andrà il dibattito –, ossia l'eventualità dell'uso terapeutico e la possibilità di fare analisi e ricerca in materia, vietando naturalmente la possibilità di fumare i prodotti derivati dalla cannabis negli spazi pubblici o aperti al pubblico e nei luoghi di lavoro.
  Vorrei provare a partire appunto da alcune delle ragioni tecniche che rendono l'approvazione della proposta in esame importante. In primis, il pronunciamento, che è stato anche richiamato, della Corte costituzionale che dichiarò illegittima quella parte della Fini-Giovanardi che aveva soppresso la distinzione presente nel testo unico tra droghe pesanti e leggere e, dunque, il conseguente trattamento sanzionatorio. A seguito della sentenza, è intervenuto un provvedimento che ha confermato la distinzione a fini sanzionatori tra droghe pesanti e leggere prevista dalla Jervolino-Vassalli, ma, come sappiamo, il provvedimento d'urgenza è intervenuto innanzitutto per colmare la lacuna normativa che si è verificata a seguito della sentenza, che aveva dichiarato illegittime le modifiche apportate al testo unico e di conseguenza lo stravolgimento delle tabelle relative, senza affrontare la questione sanzionatoria. Voglio poi ricordare il fatto che il nostro sguardo deve essere largo e che anche dall'Europa, nel rapporto del 2016 promosso dall'Agenzia europea delle droghe, si invitava la politica comunitaria a far sì che l'agenda della politica europea in materia di droghe contemplasse un insieme di indicazioni politiche di più ampio raggio e più articolate rispetto al passato. I testi che oggi discutiamo qui alla Camera cercano di fare ordine in questo percorso individuando, appunto, un'articolazione delle pene diversa. E, soprattutto, la parte che mi sembra più rilevante è quella relativa all'uso terapeutico.
  Voglio concludere sottolineando un dato che è stato anche richiamato, ma che a mio avviso deve anche vedere poi i singoli pronunciamenti, che è quello più squisitamente politico, ossia il giudizio relativo al fallimento delle politiche abolizioniste. L'esperienza di questi decenni ci ha dimostrato in maniera abbastanza chiara come l'attività di repressione nei Paesi produttori non abbia arginato l'influenza economica e politica delle organizzazioni criminali che controllano la produzione delle materie prime, mentre nei Paesi consumatori non ha ridotto i profitti dei trasformatori e degli intermediari rappresentati nel nostro Paese principalmente dalle organizzazioni mafiose, né ha arginato la diffusione delle droghe proibite. Insomma, la tolleranza zero verso i consumatori non è riuscita a scardinare il business in nessuna parte del mondo. Io credo che su questo occorra parlarci chiaro e a proposito di questo sia anche importante far venir giù un velo di ipocrisia e aprire un confronto reale. Non si sono salvate più vite, non si sono aiutate persone e famiglie in difficoltà. È un dato assodato che la legalizzazione della cannabis andrebbe invece a colpire in maniera diretta ed efficace gli affari delle grandi organizzazioni criminali. Già è stato ricordato il pronunciamento della Direzione nazionale antimafia e quindi su questo non vado. Io credo invece che riuscire appunto a fare chiarezza andando in questa direzione ci potrebbe aiutare. Vado a concludere solo su queste considerazioni. Io credo che ci deve guidare un principio di umanità quando si va a legiferare su materie tanto delicate e questo principio non può ispirarsi a categorie consumate e logore già nel secolo scorso come proibizione e liberalizzazione, che è cosa molto diversa naturalmente dalla depenalizzazione, né ispirarsi a pregiudizi. Se si perde la capacità di distinguere, ecco per ispirarsi a filosofi che hanno avuto una certa influenza sul pensiero politico, si cade nella notte in cui tutto è nero. Non è la forbice tra liberalizzazioni e proibizioni a segnare la strada, ma la capacità di discernere, riconoscere il bisogno, le domande e prevenire il disagio.
  Non è nemmeno la grammatica dei diritti, come ogni tanto si è ascoltato nel corso di questa discussione, ma a volte capita anche di leggere questa riduzione a Pag. 56una dimensione di grammatica del diritto anche quando si leggono i commenti delle nostre discussioni. Non sono i diritti oggi forse la categoria più utile per parlare di libertà, di rispetto e di coesione sociale, perché questa grammatica non aiuta a vedere i bisogni che attraversano le nostre società, le diseguaglianze che sono fatte di cose materiali, ma anche immateriali; diseguaglianze che producono esclusione e isolamento. Non basta per parlare di libertà oggi e per parlare soprattutto della diffusione degli stupefacenti. Io non credo che ci sia da rivendicare, ma da comprendere e lavorare nel rispetto della volontà di ciascuno e soprattutto tenendo d'occhio la tenuta e la coesione sociale. La via giusta è quella dell'accoglienza sociale per le persone e le famiglie che attraversano questo dramma, decriminalizzando le pratiche legate al consumo e concentrando il lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura verso i veri criminali e la scia di sangue e violenza che questo traffico porta con sé e, dunque, criminalizzare i trafficanti e gli spacciatori. Io credo che se arriveremo ad una sintesi, dovremo prendere di vista questi principi perché in essi a mio avviso c’è molto di più di ciò che ci unisce rispetto a ciò che ci divide (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paglia. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI PAGLIA. Grazie Presidente. Sono felice di poter partecipare oggi a questo dibattito perché l'aspettativa o la speranza, per meglio dire, è che sia un momento che apre una storia diversa in questo Paese, diversa dal proibizionismo a cui siamo abituati da molti anni e che molti danni ha fatto, almeno dal mio punto di vista. Ho sentito in questi giorni, in queste settimane, in queste ore, a mano a mano che ci si avvicinava alla discussione di oggi, il fronte proibizionista, cioè il fronte di chi in questo Paese non vuole cambiare nulla, il fronte che sembra soddisfatto di quella che è la situazione attuale, utilizzare argomentazioni sempre contro. Sono argomentazioni che mettono in discussione cosa succederebbe se questa legge dovesse essere approvata. Improvvisamente le droghe diventerebbero più pericolose; improvvisamente ci sarebbero più pericoli per la salute; improvvisamente aumenterebbero i consumi. Nessuno, però, almeno da quella parte, che si sia preoccupato di spiegarci quanto e se abbia funzionato la storia che abbiamo alle spalle. Infatti, se una riforma ha senso, ha senso nel momento in cui si dà una valutazione negativa del presente com’è.
  Allora, io vorrei dire alcune cose e vorrei porre alcune domande. Io vorrei chiedere a quest'Aula e anche al Paese se non sia vero che chiunque in Italia sia adolescente o poco più che adolescente o sia adulto non sappia dove trovare una qualsiasi tipo di droga oggi, a partire dalla cannabis. Chiunque di noi io credo sa o può sapere, con il semplice gioco di una telefonata o due telefonate, cioè il gioco dei contatti, dove si possono trovare sostanze stupefacenti in Italia. È vero o non è vero che il 70 per cento degli italiani dichiara – quelli che dichiarano – di aver provato almeno una volta nella vita la cannabis ? Nella speranza, dico io, che quell'unica volta che si è provato non coincida con la volta in cui dei cani fanno dei controlli nelle scuole per esempio o in cui per caso si viene trovati a fumare o a passare, peggio, una canna. Infatti, con la legislazione che abbiamo conosciuto in Italia in tutti questi anni, quell'unica volta poteva rovinare una vita; quell'unica volta, non la sostanza. Infatti, non è piacevole, quando magari si ha 18 anni – stiamo sui maggiorenni –, dover andare a casa, essere accompagnati a casa dalle forze di polizia e dover raccontare alla famiglia che si è dei tossici, perché così si viene diciamo bollati anche da quel pezzo appunto d'Italia che ancora oggi insiste con il proibizionismo. Ed è vero o no che in Italia ci sono, dicono, sei milioni di consumatori abituali ? Abituali non significa che consumino tutti i giorni, ma significa che è una cosa che fa parte del loro stile. Sei milioni di persone sono il 10 per cento della popolazione residente in Italia, una Pag. 57cosa non da poco. Parliamo di un mercato importante, parliamo di un'abitudine di massa. Lo Stato non dovrebbe preoccuparsi di reprimere quella che è un'abitudine di massa di fatto perché, se lo facesse, farebbe esattamente quella cosa che fecero gli Stati Uniti quando misero fuorilegge l'alcol cioè quella cosa che oggi ci fa ridere, quella cosa che ha accompagnato almeno la mia infanzia e adolescenza: trent'anni fa ancora giravano ancora film sugli anni Venti in cui ci si chiedeva come fosse possibile che un Paese apparentemente evoluto come gli Stati Uniti ad un certo punto avesse deciso che per bere una birra o un bicchiere di vino ci si dovesse rintanare dentro cantine clandestine puntualmente gestite dalla malavita organizzata. Ed è vero o no che in Italia oggi abbiamo – ce lo dice il Ministero dell'interno e quindi probabilmente sono stime al ribasso – un mercato di almeno 11 miliardi di euro che riguarda la cannabis illegale e che è nelle mani delle mafie ? Sono o non sono un problema per l'Italia le mafie di questo Paese ? Sono o non sono il problema le mafie intese come capacità di accumulare risorse grazie al traffico di stupefacenti, le mafie intese come capacità di utilizzare quelle risorse per accrescere il loro potere, le mafie intese come capacità di immettere quelle risorse all'interno del circuito economico legale attraverso il riciclaggio e quindi di condizionare anche quello ? Non sono pochi 11 miliardi di euro: fanno in parte il PIL di un Paese 11 miliardi di euro. Sono l'1 per cento circa del nostro prodotto interno lordo 11 miliardi di euro. Non a caso, ipocrisia per ipocrisia, un paio d'anni fa in parte il bilancio di questo Paese è stato salvato quando Eurostat ha deciso che proprio i proventi da droghe, oltre che da altre attività criminali, potessero essere conteggiate all'interno del PIL per ricalcolare su questo anche il rapporto con il debito. Ipocritamente questo Paese ha già consolidato la propria posizione finanziaria nazionale e internazionale riconoscendo che quei traffici esistono ma vuole che quei traffici rimangano in mano alla criminalità organizzata. È di questo che dovremmo discutere. Noi chiediamo molto semplicemente che – siano 5 miliardi, 11 o forse 20 – quel mercato che oggi è illegale diventi un mercato legale e lo diventi nel modo più semplice e strutturato possibile, diventi addirittura un monopolio dello Stato soggetto a fiscalità esattamente come succede con il tabacco. Io non sono nemmeno interessato, come è evidente, a quei 6-8 miliardi di euro che sempre il Ministero dell'interno stima come possibili entrate qualora quel quantitativo di cannabis attualmente consumato dovrà essere ricondotto all'interno della legalità, eppure credo che in un Paese che dedica alla lotta contro la povertà 600 milioni di euro e con questo pensa di aver fatto il suo dovere, forse sarebbe bene avere 6-8 miliardi di euro di entrate supplementari dovendo semplicemente reprimere l'illegalità cioè facendo il lavoro che un Paese civile fa quotidianamente: reprimere l'illegalità. Facendolo, potremmo avere risorse aggiuntive.
   C’è poi il fatto dell'autocoltivazione perché sento molti oggi dire: sì, il monopolio potrebbe essere una strada, il monopolio molto controllato, il monopolio che incasella tutto ma l'autocoltivazione no perché improvvisamente appunto, come dicevo all'inizio, succede che spuntano fuori semi dalle proprietà straordinarie con quantità di THC mai vista all'interno della storia scientifica e delle conoscenze individuali di ciascuno di noi, che verrebbero messi a disposizione di tutti gli autocoltivatori, come se peraltro la situazione di adesso non fosse diversa. Anzi potremmo dire nell'illegalità e nell'assoluta mancanza di trasparenza, se esistessero semi pericolosi, questi già potrebbero pullulare. Non credo che sia così, io credo che anche in questo caso si tratta di assecondare quella che è una tendenza che in questo Paese già esiste: non c’è giorno in cui voi non possiate aprire i giornali alle cronache locali, andare a pagina 2, a pagina 3, a pagina 4 e trovare: sequestro di quattro piante nel giardino, ragazzino preso con tre piante all'interno dell'armadio, studente universitario con cinque piante sul balcone, piccola serra Pag. 58lungo l'argine del fiume con sette piante. Di questo stiamo parlando. Voi lo leggete nella cronaca locale perché lo sapete sulla base del fatto che la Guardia di finanza, i carabinieri, le forze di polizia impegnano tempo e risorse a cacciare questi. Quando diciamo che il 50 per cento delle risorse impegnate, delle segnalazioni e delle ricerche fatte dalle nostre forze di polizia sul contrasto di stupefacenti sono impegnati sulla cannabis, parliamo anche in buona parte di questo. Parliamo della ricerca delle piante nei cortili e nei balconi.
  Parliamo, come dicevo prima, dei cani che vengono mandati a scuola in questo Paese ad annusare zainetti di ragazzi, non si capisce esattamente a cercare cosa: infatti anche in questo caso qualcuno mi deve dire se le tre piante sul balcone sono un problema e mi deve dire se tutte le volte che si trova forse un grammo, forse il respiro di un grammo questo debba essere causa sufficiente a rovinare la vita di una persona, di un ragazzo, maggiorenne e minorenne che sia, e questo – sia chiaro – non per giustificare il consumo. Questo esattamente per avvalorare il fatto che, se noi non vogliamo giustificare il consumo, il modo migliore di non giustificarlo è quello di scindere nettamente ciò che è legale da ciò che è illegale e dire una volta per tutte o che, sopra i diciotto anni, quella sostanza è legale esattamente come capita per l'alcol e per il tabacco e, sotto i diciotto anni, no. Su questo vi seguiamo. I più antiproibizionisti all'interno di quest'Aula a cui mi onoro di ascrivermi, vi seguiranno sul fatto che i minorenni non devono assolutamente consumare sostanze, che meno ne consumano i maggiorenni e meglio è, che debba essere vietata la pubblicità, che si debba investire in promozione a contrario esattamente come si dovrebbe fare per esempio sul gioco d'azzardo e non si fa. Siamo d'accordo su tutto. Ciò su cui non siamo d'accordo è che si continui a lasciare un business miliardario in mano alle mafie, che si continui con l'ipocrisia di Stato e che si continui a criminalizzare quello che è un comportamento e non un reato (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Impegno. Ne ha facoltà.

  LEONARDO IMPEGNO. Grazie, signora Presidente. Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana discutiamo di regolamentazione legale della produzione, consumo e commercio della cannabis. Siamo finalmente riusciti a infrangere almeno il tabù della discussione in quest'Aula. Evitiamo quindi che il necessario confronto sul merito della proposta di legge si trasformi nello scontro superficiale e ideologico tra forze politiche. Tra l'altro per la verità questo è accaduto sui giornali e non oggi in quest'Aula anche tra opinioni diverse all'interno degli stessi partiti e questo è un buon segno. Ma evitiamo però di distinguere tra chi è favorevole alle famiglie e ai giovani e chi è per lo spinello libero. Questa è una rappresentazione macchiettistica del fenomeno e non rappresenta il lavoro, il sudore e la fatica di coloro i quali hanno finalmente sottoposto all'attenzione della Camera una proposta di legge che affronta il fenomeno per quello che è. Guardiamo in faccia la realtà e proviamo ad offrire delle soluzioni. La domanda, diceva bene il collega Romano, è la seguente: quale legge riesce meglio a contrastare i fenomeni criminali e a limitare – sottolineo: limitare – l'uso degli stupefacenti nel nostro Paese e anche delle droghe leggere ? La realtà qual è ? È che il consumo di cannabis riguarda circa 6 milioni di persone e il suo mercato è totalmente e solidamente nelle mani della criminalità organizzata ed è a rischio la salute dei nostri giovani. Numerosi studi hanno dimostrato di recente che per produrre derivati della canapa si utilizzano agenti chimici estremamente pericolosi per la salute. È recente la scoperta che a Napoli, ad esempio, veniva tagliata la marijuana e l'hashish attraverso il metadone, che comportava una miscela esplosiva per i giovani ragazzi. Il Parlamento non può Pag. 59chiudere gli occhi di fronte a questo e deve guardare in faccia la realtà. Io sono per un Paese sicuro dove il consumo di droga si riduce drasticamente e dove si investe in prevenzione e in recupero dei giovani e dei meno giovani ma per fare questo bisogna smascherare molte falsità che sono girate in questi giorni. Legalizzare non significa incentivare, promuovere ma regolamentare, controllare e addirittura proteggere. È stato dimostrato che la legalizzazione non aumenta il consumo di droga da parte dei minori. Ci sono molti studi negli Stati Uniti d'America e molti esempi come il Colorado, il Portogallo ed altri e qualche volta dovremmo imparare a concentrarci meno sulle sostanze e più sui consumatori, imparare a capire che esistono, sì, le droghe leggere e le droghe pesanti ma esistono anche i drogati pesanti e i drogati leggeri e questo un legislatore deve tenerlo bene a mente. Chi fuma due pacchetti di sigarette al giorno è a rischio totale di tumore ai polmoni, chi beve quotidianamente in maniera esagerata è a rischio e questo vale anche per la cannabis, perché la cannabis fa male. Ma, al di là delle riflessioni etiche, pur legittime, gli obiettivi prioritari della proposta di legge quali sono ? A mio giudizio sono due. Il primo è proteggere la salute dei nostri cittadini e in particolare dei giovani e il secondo contrastare e colpire al cuore le organizzazioni criminali.
  Signor Presidente, sono un deputato della Repubblica italiana, ma sono anche un deputato di Napoli e questa proposta di legge parla alla mia città, alla mia terra. Parla a una delle città che ha uno spaccio di droga e le piazze di droga più importanti d'Europa. E parla ai minori, che non solo ne fanno uso, ma stanno nel ciclo produttivo della criminalità organizzata. Molto si è fatto e si continua a fare nel contrasto repressivo e investigativo nei confronti dei fenomeni criminali legati allo spaccio, ma dobbiamo dirci con estrema chiarezza che i risultati sono completamente fallimentari. Basta andare in qualche città, in qualche paese, in centro e in periferia, in una piazza e in una strada, per verificare l'impotenza delle leggi nostre attuali e delle misure adottate in questi anni. In questo ci viene in aiuto il parere della Direzione distrettuale antimafia. Negli ultimi anni in Italia sotto il profilo macroeconomico il narcotraffico è stato il più rilevante ed efficace moltiplicatore di ricchezza, creando in pochi anni enormi accumulazioni patrimoniali, che nessun'attività economica è stata mai in grado di produrre e negli ultimi 20-25 anni il patrimonio ripulito immesso nel mercato – sto per concludere, signora Presidente – equivale a 400 milioni di euro. Insomma, purtroppo il mercato c’è, è florido, incontrollato e pericoloso, e la legalizzazione delle droghe leggere, ormai sostanzialmente liberalizzata nel nostro Paese, tutelerebbe veramente la salute dei nostri cittadini. Questo è un primo passo. Facciamone un altro e facciamolo per il bene dei nostri cittadini (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bruno Bossio. Ne ha facoltà.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, credo che questa proposta di legge di iniziativa parlamentare ha un primo firmatario, ma siamo tutti quelli che l'abbiamo firmata primi firmatari, senza differenza in questo momento anche di appartenenza politica. È un primo passo. Lo sappiamo, non sarà una passeggiata, ma è un evento storico. Possiamo finalmente discutere senza i tabù di chi non entra nel merito e anzi spesso non distingue, forse volutamente, liberalizzazione, legalizzazione e depenalizzazione. Un tabù, questo della mancata discussione, che ha impedito a migliaia di malati in Italia di curarsi con la cannabis terapeutica e a decine di agricoltori di produrre canapa sativa, un tabù che attraversa la vita di tante famiglie italiane, che devono affrontare il rischio per i propri figli, non solo per l'uso o l'abuso di una sostanza che fa male, che procura danni come l'alcol e le sigarette, ma anche per i rischi del mercato illegale. D'altra parte – lo sappiamo, l'hanno detto in tanti qui oggi – la repressione non ha Pag. 60prodotto grandi risultati. Dovunque le politiche proibizioniste, di cui la Fini-Giovanardi è stata l'applicazione italiana, sono fallite, il consumo di sostanze non è diminuito, il traffico è cresciuto e a finire in galera sono stati perlopiù i micro-spacciatori e i consumatori, mentre i grandi organizzatori di traffico internazionale hanno continuato ad arricchirsi ancora di più. Negli ultimi anni grazie a questa politica proibizionista il numero in Italia di chi consuma cannabis con frequenza è addirittura aumentato e, guarda caso, soprattutto riguardo ai giovanissimi, quelli che si dice che si vuole tutelare non approvando questa proposta di legge.
  Secondo i dati dell'osservatorio europeo, che coincidono con i dati del rapporto della Direzione investigativa antimafia, la denuncia e il sequestro di cannabis è efficace solo sul 5 per cento del mercato illegale. E ancora in Italia – dichiara la professoressa Rossi – si registra un uso più alto della cannabis rispetto al Portogallo, in cui la normativa è più tenera, o alla Polonia, in cui ad esempio l'azione penale per chi viene trovato in possesso non è obbligatoria. Mentre in Francia, dove la legge è ancora più dura, la cannabis ha una diffusione maggiore: quasi 8 milioni di consumatori.
  Guardiamo il Portogallo, che nel 2000 aveva seri problemi di criminalità; poi via via con la depenalizzazione, la legalizzazione e anche sotto stretto controllo medico, è diminuito l'uso, per così dire, di droghe. Dunque crediamo che queste politiche siano state all'origine anche dell'aumento dei consumatori di cannabis. Il tema qui oggi è: ma la cannabis fa male ? Io non mi pongo questo problema, però leggo quello che dice il professor Veronesi, anche lui d'accordo che i proibizionismi non funzionano. Il 70 per cento, però, delle persone ha usato forse in Italia la cannabis. Certo, lui come me non consiglia ai figli di fumare marijuana, così come non gli consiglia di bere alcol o fumare tabacco. Quindi non è un trattamento innocuo, ma ha un limite basso di pericolosità. Ma la pericolosità vera diventa il mercato illegale. E la ’ndrangheta si combatte legalizzando la cannabis ? Bene, guardiamo alla ’ndrangheta calabrese, che è la mafia più ricca perché controlla il mercato della droga. E non si dica che controlla solo il mercato della droga pesante, non solo perché si dimostra che sta controllando anche quello della droga leggera e in questo modo il passaggio è ancora più facile. Io credo che da qui nasca anche la posizione del Procuratore Roberti favorevole a far produrre la marijuana, così come si fa attualmente con il tabacco, per liberare risorse da indirizzare nella lotta alle droghe pesanti, sollevare i tribunali dai procedimenti che spesso restano anche sulla carta, togliere ricchezza alle mafie, far guadagnare lo Stato con nuove entrate e prosciugare – questo è un altro tema, quello dell'antiterrorismo – il canale di autofinanziamento dei talebani afgani.
  Un'ultima cosa. È importante distinguere legalizzazione e liberalizzazione. La resa dello Stato è oggi, che rende libero il mercato illegale, soprattutto verso i minorenni. Mentre noi oggi vogliamo un mercato controllato e legale, vogliamo togliere migliaia di ragazzi, del sud soprattutto – quello di cui parlava il collego Impegno – da questo ricatto. Guardate questo bellissimo film di Luigi Scaglione sul mercato mafioso della cannabis. Quindi mercato libero e criminale o, invece, mercato controllato e legale. D'altra parte, sono d'accordo – e concludo – con le parole d'ordine dell'articolo di oggi di Saviano: non voglio drogarmi, odio il consumo e per questo legalizzo (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare deputata Gregori. Ne ha facoltà.

  MONICA GREGORI. Grazie, signora Presidente. Da decenni il mondo è impegnato nella guerra alla droga con risultati piuttosto fallimentari, sia da un punto di vista normativo sia da un punto di vista economico. In Italia la lotta decennale contro le droghe leggere ha comportato alti costi sociali, economici e sanitari. A dimostrare il fallimento di questa lotta Pag. 61pluridecennale sono alcuni semplici dati. I ragazzi tra i 15 e i 19 anni che hanno fumato cannabis almeno una volta sono 690 mila; le persone tra i 15 e i 64 anni che lo hanno fatto sono 2,3 milioni. La Direzione nazionale antimafia parla di un mercato che vende approssimativamente tra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi all'anno di cannabis, per un consumo di circa 25-50 grammi pro capite, pari a circa 100-200 dosi.
  Come sempre i numeri permettono di fare chiarezza; tuttavia con i numeri si rischia di ignorare tutto ciò che non è misurabile, come le ricadute che si possono avere a livello psicologico per una notte passata dietro le sbarre di una cella del carcere o per il tempo che si dovrà discutere con genitori, professori o datori di lavoro per convincerli di non essere dei tossicodipendenti. Ma la domanda che ci dovremmo porre è: quanta colpa si deve provare se si pensa che in fondo con la normativa vigente si stanno dando soldi alle mafie, mentre se la cannabis fosse legalizzata i guadagni per lo Stato oscillerebbero tra i 5,5 miliardi e gli 8,5 miliardi di euro ? Bisognerebbe considerare che, per esempio, tre grammi di hashish trovati nelle tasche di un giovane italiano sono probabilmente di origine marocchina, visto che l'80 per cento dell'hashish consumato in Europa viene dal Marocco, primo produttore mondiale di cannabis con 47.500 ettari di terre coltivate. Bisognerebbe rendersi conto che lo slogan della sessione speciale dell'ONU nel 1998, «un pianeta senza droghe, possiamo farcela», si è dimostrato un buco nell'acqua, perché in Europa le persone che fumano hashish o erba sono 22 milioni e spendono circa 9 miliardi di euro, contribuendo a fare della cannabis la droga più diffusa nel continente, circa il 38 per cento dell'intero mercato illegale. Bisognerebbe anche tenere a mente che, mentre un ragazzo italiano finisce in carcere e una volta uscito non ha nient'altro da raccontare se non una storia di sbarre e processi, un suo coetaneo portoghese per esempio potrebbe parlare di quello che per molti è stato un successo; infatti nel 2000, come già è stato ricordato da molti colleghi, il Portogallo aveva seri problemi di criminalità legati alla droga e il più alto tasso di HIV tra i consumatori di eroina nell'Unione europea. Lo stesso anno il Governo depenalizzava tutte le droghe cominciando a trattarle come un problema medico e non più come uno penale. Quindici anni dopo in Portogallo sono diminuiti il consumo di droga, l'epidemia di AIDS e i reati, come ha riconosciuto anche l'ONU. Per quel che riguarda la cannabis, bisogna spingersi oltre la semplice depenalizzazione, che potrebbe essere anche pericolosa, e percorrere la via della legalizzazione e quindi la via della regolamentazione del consumo, della produzione, della lavorazione e della vendita così come prevede la proposta di legge in discussione oggi. Finché la distribuzione delle droghe rimarrà vietata, il suo commercia resterà un monopolio della criminalità organizzata. E allora, ha senso per lo Stato spendere milioni d'euro nella lotta al crimine ignorando che altrettanti soldi sono spesi dai cittadini per soddisfare un'abitudine accertata e diffusa ? Per la precisione secondo l'Istat ogni anno spendiamo 2 miliardi e mezzo in prodotti derivati dalla cannabis; l'Ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e prevenzione del crimine ci dice che paghiamo 11,32 euro per un grammo di marijuana e 13,8 per uno di hashish, facendo così del nostro Paese il secondo mercato europeo per guadagno da cannabis dopo la Spagna. Ovviamente in Campania, Sicilia e Calabria le famiglie mafiose festeggiano questi numeri, a volte sparano per difenderli. In una situazione di crisi delle organizzazioni, la droga leggera è diventata una delle fonti primarie di guadagno, tanto che in alcuni casi si prova la via della coltivazione diretta. La Direzione nazionale antimafia parla di un quantitativo sequestrato che è di almeno 10-20 volte inferiore a quello consumato e di un mercato che vende approssimativamente fra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi all'anno di cannabis. Alla luce di questa situazione è estremamente importante e necessaria una legge che disciplini l'autocoltivazione, il Pag. 62possesso, la vendita e l'utilizzo anche terapeutico della cannabis, perché è evidente che la questione non sia liberalizzare la droga, perché di fatto in ogni angolo della strada è possibile trovare qualsiasi sostanza, bensì è importante arginare il traffico illecito e intraprendere un percorso di prevenzione che passi per l'informazione dei giovani circa i rischi proprio per ridurre i danni della dipendenza. Per questo la legge che oggi discutiamo e discutiamo con l'introduzione del monopolio di Stato sulla vendita al dettaglio della cannabis e dei prodotti derivati prevede la destinazione del 5 per cento del totale annuo dei proventi derivati dalla legalizzazione del mercato al finanziamento dei progetti del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga. Inoltre i proventi delle sanzioni amministrative relative alla violazione dei limiti e modalità previste per la coltivazione e detenzione di cannabis saranno interamente destinati a interventi informativi, educativi, preventivi, curativi e riabilitativi realizzati dalle istituzioni scolastiche e sanitarie e rivolti a consumatori di droghe e tossicodipendenti.
  L'introduzione del monopolio di Stato inoltre garantisce la tracciabilità del processo produttivo, il divieto di importazione ed esportazione di piante di cannabis e prodotti derivati, l'autorizzazione per la vendita al dettaglio solo in esercizi dedicati esclusivamente a tale attività, ma soprattutto garantisce la vigilanza del Ministero della salute sulle tipologie e caratteristiche dei prodotti ammessi in commercio e sulle modalità di confezionamento. Rispetto a questo aspetto, l'articolo 6 di questa legge estende la possibilità per il Ministero della salute di autorizzare la coltivazione di cannabis anche ad enti e persone giuridiche private per scopi terapeutici o commerciali finalizzati alla produzione di farmaci. È opportuno sottolineare che da molto tempo è provata scientificamente l'efficacia terapeutica dei cannabinoidi nel trattamento di numerose patologie, nonché la loro capacità di consentire la riduzione dei dosaggi degli analgesici oppiacei, quali la morfina, necessari a diminuire il dolore ai malati oncologici sottoposti a trattamenti cronici, evitando così i pesanti effetti collaterali legati all'assunzione prolungata dei suddetti oppiacei. In Italia l'uso terapeutico dei cannabinoidi è lecito ma mal regolamentato perché la procedura per accedere ai farmaci cannabinoidi è alquanto farraginosa, complessa e lenta, il che si traduce in un'estrema difficoltà per i pazienti di potervi accedere. Sono dodici le regioni che hanno deciso di intervenire per consentire il rimborso dei farmaci a carico del servizio sanitario regionale e per regolarne la prescrizione. Il problema, anche per queste regioni, è determinato dal fatto che la normativa nazionale attuale vieta la coltivazione della cannabis ad eccezione della canapa coltivata per usi industriali. Il divieto di coltivare la cannabis per fini terapeutici comporta che i farmaci devono essere importati dall'estero e i medici che decidono di sottoporre i propri pazienti a una terapia farmacologica con derivati della cannabis possono richiederne l'importazione all'Ufficio centrale stupefacenti del Ministero della salute oppure possono utilizzare le preparazioni magistrali fatte dalle farmacie. Tuttavia l'articolo 5 del decreto del Ministero della salute dell'11 febbraio 1997 stabilisce che, relativamente all'acquisto di questi farmaci, l'onere della spesa non deve essere imputato ai fondi pubblici, tranne il caso in cui l'acquisto medesimo venga richiesto da una struttura ospedaliera per l'impiego in ambito ospedaliero, per cui in assenza di una specifica normativa statale i costi spesso molto elevati dei farmaci che vengono importati dall'estero finiscono per ricadere sulle regioni, comprese quelle che hanno legiferato sull'utilizzo della cannabis a scopo terapeutico, prevedendone i relativi oneri a carico del sistema sanitario regionale. Le regioni, proprio per gli alti costi dei farmaci importati, hanno difficoltà a garantire la gratuità di questi farmaci. A fronte di queste considerazioni, mi pare che questa legge sia la sintesi di una necessaria evoluzione culturale che si dimostra efficiente sul piano fiscale, producendo effetti – concludo – positivi sul piano sociale e sanitario, garantendo il controllo della Pag. 63qualità delle sostanze vendute e contrastando in modo incisivo il lavoro illecito delle organizzazioni criminali (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stumpo. Ne ha facoltà.

  NICOLA STUMPO. Signora Presidente, volevo innanzitutto attraverso di lei esprimere solidarietà alla Presidente Boldrini per quanto è successo in queste ore. Per tornare invece al dibattito di questi giorni e di queste ore presente anche nel Paese e non soltanto nelle nostre Aule parlamentari, si tratta di un dibattito che io penso abbiamo fatto bene poi a spostare a settembre, per dare anche più spazio e più possibilità di discuterne in modo appropriato e non in un modo frettoloso e con i tempi diciamo estivi, come si vede anche nella giornata di oggi. Parto dicendo che questa proposta di legge ha dei meriti oggettivi; il primo tra i tanti è quello di aver portato in discussione in Parlamento una questione che dovrebbe essere già di per sé scontata, quella sull'uso terapeutico delle sostanze derivanti dalla cannabis. Questo perché in molti, in questa fase, provando a scindere la questione dentro alla legge, dicono che c’è una parte che va bene e un'altra di cui bisogna discutere. Ecco, il primo punto di merito è proprio questo: fino a oggi non se ne poteva parlare, non se ne era discusso, avevano fatto le regioni, c'era stato bisogno di atti per rendere merito alle regioni e oggi, portando avanti questa proposta di legge, si può portare avanti un atto di civiltà di cui, si è detto già adesso, ne ha bisogno il Paese e ne hanno bisogno i cittadini.
  Poi dico che non c’è bisogno di numeri. Io non userò numeri per convincere nessuno sul merito di questo provvedimento, anche perché i numeri si possono in qualche modo aggiustare. Penso che, un po’ come le buone intenzioni, se ne potrebbe lastricare la via dell'inferno con i numeri per giustificare qualcosa. Dunque, voglio restare all'altro merito, secondo me, di questo provvedimento, che è quello di una distinzione culturale di cui se ne sente il bisogno tra le politiche proibizioniste e quelle antiproibizioniste. Noi possiamo provare a discutere per mesi, per anni. Fin qui noi siamo stati dentro una logica di politiche proibizioniste e se qualcuno vuole dirmi che la lotta all'utilizzo delle droghe va bene io sono felice e ci fermiamo qui. Ma siccome tutti dicono che c’è un problema, probabilmente bisogna iniziare ad affrontare il problema dalla radice e allora bisogna distinguere tra politiche proibizioniste o antiproibizioniste, bisogna evitare anche di mettere insieme cose che nessuno vuole mettere insieme, perché in questa proposta di legge, quando si parla di legalizzazione, non si parla di liberalizzazione e quando si parla di legalizzazione, si parla di legalizzazione dei derivati della cannabis e non di altre sostanze. Questi ragionamenti sono stati fatti in virtù di alcune questioni che io reputo importanti. La prima, proprio per difendere i giovani da quelli che poi sono i rischi oggettivi di questa vicenda, è la differenziazione dei mercati. Si diceva, in alcuni interventi prima del mio, che la cosa più oggettiva e vera in cui ci si imbatte in questa nostra vicenda è trovare, nello stesso luogo e nella stessa persona, sostanze diverse. Differenziare i mercati significa evitare che possano succedere le cose di cui si è parlato.
  È vero ! Nessuno ha mai iniziato a correre senza camminare e, quindi, è probabile che nessuno abbia iniziato a fare uso di sostanze stupefacenti – chiamiamole pesanti – senza aver usato quelle leggere, ma se non le si incontra nello stesso posto forse si può continuare a camminare senza dover correre per forza (mettiamola così). E poi l'altra cosa (e mi avvio a concludere): io lo dico con rispetto per tutti, però a me non convince questo fatto etico del «fa male» messo così, perché sembra un po’ una paternale troppo forte. Fanno male molte cose e io non voglio proibire nulla; fanno male molte cose: si è detto l'alcol, si è detto il tabacco. Fanno male anche cose circa le quali a nessuno verrebbe mai in mente di dire che vanno proibite e sono tante le Pag. 64cose che fanno male: io immagino che se a un bambino gli si inizia a dare dei prodotti molto calorici da quando è bambino, morirà presto per occlusione delle carotidi e quant'altro (e mi avvio a concludere davvero, Presidente).
  Per questo io dico: evitiamo di scendere in queste vicende così; discutiamo nel merito a settembre e discutiamo in questo provvedimento: si è proposto il monopolio, i luoghi di consumo. Si può cambiare tutto, ma una cosa è certa: di questo provvedimento serve salvaguardare un aspetto: o si imbocca la strada dell'antiproibizionismo o si resta in quella del proibizionismo, però su questa strada non si tutelano né i giovani né le fasce più deboli (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rondini. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Grazie, Presidente. Per noi è difficile non dare ragione a chi sostiene che questo sia l'ennesimo passo lungo la strada di quella rivoluzione antropologica che consegnerebbe la nostra società ad un futuro senza regole: devono saltare tutti gli argini, tutte le regole e le leggi che sino ad oggi hanno garantito pace e coesione sociale, definiti e liquidati da quella sorta di fronte trasversale che ha promosso anche questa iniziativa come un fardello da cui ci si deve liberare velocemente.
  Ed ecco che negli ultimi tre anni maggioranze trasversali, trovando la proprio sponda nel Governo e nella Presidenza della Camera o, meglio, nella Presidente, Laura Boldrini, hanno lavorato per minare quelle consuetudini rette da quelle che erano le leggi del nostro Paese, di un Paese più o meno normale, su cui poggiava una certa idea di comunità. E così una serie di provvedimenti hanno fatto venir meno uno dei cardini dello Stato di diritto, ad esempio la certezza della pena, e a colpi di depenalizzazioni si sono andati a tutelare i criminali a discapito delle vittime. Ma, d'altro canto, questo partito trasversale risponde alla logica politicamente corretta, «boldrinianamente» corretta...

  PRESIDENTE. Onorevole Rondini, la richiamo all'ordine sul linguaggio che lei sta usando, tanto per cominciare.

  MARCO RONDINI. Ma credo di non offendere la Presidenza.

  PRESIDENTE. Lei guardi...

  MARCO RONDINI. Va bene.

  PRESIDENTE. Ecco, ha capito.

  MARCO RONDINI. ...secondo la quale bisogna comprendere anche le ragioni di chi è vittima del sistema e, quindi, quasi si giustifica il fatto che possa trasformarsi in carnefice.
  Nello stesso solco si muove quel provvedimento che dietro la foglia di fico di una norma che doveva andare a garantire le unioni civili di fatto ha aperto le porte all'aberrante pratica dell'utero in affitto, fingendo poi un'unanime condanna che in Aula è stata affrontata utilizzando un termine controllato che deve rassicurare l'opinione pubblica: quel «maternità surrogata», che non richiama a quella pratica invece detestabile e deprecabile che andava e andrebbe assolutamente condannata. Ma purtroppo bisogna garantire anche la voglia di genitorialità di personaggi come il signor Vendola.
  Ebbene, la mistificazione della realtà ad uso e consumo di un'opinione pubblica che deve essere pilotata ad arte è la cifra del vostro modo subdolo di porvi e di governare. Nello stesso solco si pone anche quel provvedimento attraverso il quale avete cancellato il reato di immigrazione clandestina e avete spalancato le porte a centinaia di migliaia di persone, agevolando un'invasione di popolamento da parte di chi è portatore di valori inconciliabili con quelli su cui si fonda la nostra idea di società e comunità. Anche in questo caso ha operato quel fronte trasversale che rifiuta a priori ciò che siamo, in particolare ciò che siamo stati. Ogni occasione viene creata per porre sul banco degli imputati la nostra storia, la nostra cultura, la religione, le nostre norme e le Pag. 65nostre leggi, in una parola tutto ciò che costituisce l'identità di una comunità che questo fronte rifiuta.
  E arriviamo alla proposta che approda oggi in Aula che, come dicevo, rientra a pieno titolo nel novero di quell'articolato programma che mira al compimento di quella rivoluzione antropologica che agisce per disarticolare i nessi e i legami dell'idea di comunità che ha caratterizzato sino ad ora la nostra esperienza storica: un'esperienza storica e un'idea di comunità rifiutate da quel partito trasversale che promuove questa iniziativa, come le altre iniziative legislative a cui facevo riferimento, presentate sempre come i passi che si devono percorrere per giungere ad un futuro idilliaco. Già solo questa breve premessa riassume la nostra posizione verso questa inaccettabile proposta.
  Vengono addotte, per agevolare l'adozione di questa proposta, giustificazioni di carattere economico e altre, invece, che attengono al contrasto alla criminalità organizzata. E così, con stime stravaganti contestate anche in sede di audizione, per fare accettare all'opinione pubblica questa deriva libertaria folle ci si inventa una dimostrabile efficienza sul piano economico, per poi proseguire tacendo i danni alla salute che l'uso e la dipendenza causano e si arriva ad immaginare fantasiosi effetti positivi sul piano sociale e sanitario. Ed ancora vale la pena di sottolineare l'assoluta inopportunità, tra l'altro evidenziata anche questa in corso di audizione, di inserire nella stessa proposta di legge norme che riguardano la cannabis per uso ricreativo e la cannabis per uso terapeutico. Ma forse la proposta voleva tenere insieme, o meglio i promotori di questa proposta volevano tenere insieme le due questioni perché una diventasse l'alibi per approvare l'altra. Non si può negare la realtà, quella che ci dice come sia noto che moltissime persone hanno esperienza di uso unicamente di cannabis in un certo periodo della loro vita, ma è altrettanto vero che quasi tutte le persone che hanno sviluppato dipendenza da droghe, come l'eroina, hanno iniziato con l'uso di cannabis. Esiste un’escalation provata, registrata dalle comunità terapeutiche, che vede la cannabis come prima sostanza verso i 15 anni, cui segue in genere il consumo di droghe sintetiche, poi variabilmente cocaina e eroina o più spesso entrambe. Alcuni vedono nella contiguità di mercato clandestino la causa principale di questa escalation; in realtà, ci sono evidenze neurobiologiche che l'uso di cannabis sensibilizza determinati circuiti cerebrali che diventerebbero così più suscettibili alla dipendenza da sostanze chimiche in generale. Non si possono poi tacere gli evidenti danni alla salute che causa la cannabis, in particolare sugli under 15: è provato un aumento dei rischi di sviluppare una patologia psichiatrica, danni cognitivi non solo nel periodo di utilizzo ma anche a distanza di anni dall'interruzione dell'uso. È ampiamente nota una riduzione delle funzioni esecutive, del controllo degli impulsi, delle attenzioni e delle funzioni psicomotorie. Per noi sono sufficienti poi i giudizi delle comunità terapeutiche che si occupano da anni del recupero dei giovani dalle dipendenze per definire questa proposta una proposta oscena e irresponsabile.
   Concludo, allora, con alcune parole significative che ci sono state lasciate nella sua memoria da una delle comunità terapeutiche che abbiamo ascoltato nel corso dei lavori nelle Commissioni. Ovviamente – ci diceva nella propria memoria la comunità Exodus che abbiamo audito – nella presentazione di questa proposta di legge non si fa alcuna ipotesi sull'incremento dei consumi di cannabis, che si potrebbero registrare in seguito all'approvazione della nuova normativa, nessuna considerazione sugli aspetti non utilitaristici di un simile intervento normativo, al di là dell'ipotizzato maggior gettito fiscale e dell'ipotizzato colpo agli interessi della criminalità mafiosa, visto che la droga fa male e questo è un dato oggettivo che include la cannabis. Quanto male farà lo Stato ai suoi giovani, offrendo loro lo sballo legale ?

Pag. 66

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3235)

  PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il Governo rinunziano alle repliche.

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 3235)

  PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Binetti e Calabrò n. 1 e la questione pregiudiziale di merito Binetti e Calabrò n. 1, che saranno esaminate e poste in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento (Vedi l'allegato A – A.C. 3235).
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare: Lupi ed altri; Costantino ed altri: Istituzione di una Commissione di inchiesta monocamerale sullo stato della sicurezza e del degrado delle città italiane e delle loro periferie (Doc. XXII, nn. 65-69-A) (ore 18).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare: Lupi ed altri; Costantino ed altri: Istituzione di una Commissione di inchiesta monocamerale sullo stato della sicurezza e del degrado delle città italiane e delle loro periferie (Doc. XXII, nn. 65-69-A).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 luglio 2016.

(Discussione sulle linee generali – Doc. XXII, nn. 65-69-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Dore Misuraca.

  DORE MISURACA, Relatore. Grazie, Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento sottoposto oggi all'esame dell'Assemblea è il testo unificato, come risultante dall'esame in sede referente, delle proposte di inchiesta parlamentare n. 65, di iniziativa del deputato Lupi ed altri, e del Doc. XXII, n. 69, d'iniziativa della deputata Costantino ed altri, che propone l'istituzione di una Commissione di inchiesta monocamerale sullo stato della sicurezza e del degrado delle città italiane e delle loro periferie.
  La I Commissione (Affari costituzionali) ha avviato nella seduta del 3 maggio 2016 l'esame in sede referente della proposta d'inchiesta parlamentare n. 65, di iniziativa appunto del deputato Lupi ed altri, recante l'istituzione di una Commissione permanente d'inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie.
   Nella seduta del 21 giugno 2016, la presidenza della I Commissione ha disposto l'abbinamento, ai sensi dell'articolo 77, comma 1, del Regolamento della Camera, in quanto vertente sulla stessa materia, della proposta di inchiesta parlamentare n. 69, di iniziativa della deputata Costantino ed altri. Nella seduta successiva del 7 luglio 2016, il relatore ha presentato una prima proposta di testo unificato e, nella seduta del 12 luglio, una nuova proposta di testo unificato che la Commissione ha deliberato di adottare come testo base per il prosieguo dell'esame. Nella seduta del 19 luglio 2016 la Commissione ha esaminato gli emendamenti presentati al testo base e ha approvato l'emendamento 1.50 del relatore e gli emendamenti Costantino 1.2, Pag. 67Centemero 1.3, 1.4, 1.6, 1.7, 1.8 e 1.9, Invernizzi 1.11, Centemero 1.12 e 1.13, Mannino 1.15, Quaranta 1.16 e Mannino 5.1 (Nuova formulazione).
  Sul testo, come risultante dagli emendamenti approvati, sono stati acquisiti nella seduta del 21 luglio 2016 i pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva e della Commissione parlamentare per le questioni regionali. In particolare le Commissioni II, V e VIII hanno espresso parere favorevole, la VII Commissione ha espresso parere favorevole con tre condizioni, la XI Commissione ha espresso parere favorevole con due osservazioni, la XII Commissione ha espresso parere favorevole con una condizione e un'osservazione e la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso parere favorevole con una condizione e un'osservazione.
   Nella medesima seduta del 21 luglio 2016 la Commissione ha approvato gli emendamenti 1.100, 1.101, 1.102, 1.105, 1.103, 1.104 e 5.100 del relatore che recepiscono gran parte delle condizioni ed osservazioni poste dalle Commissioni competenti in sede consultiva e della Commissione parlamentare per le questioni regionali ed ha quindi conferito al sottoscritto, in qualità di relatore, il mandato a riferire in senso favorevole sul testo unificato dei Doc. XXII, n. 65 e Doc. 22, n. 69, come risultante dall'esame in sede referente.
   Passo quindi all'esame del contenuto del provvedimento. Il testo unificato è costituito da cinque articoli. L'articolo unico 1 concerne l'istituzione e la funzione della Commissione, in particolare, il comma 1 ne dispone l'istituzione, mentre il comma 2, modificato in sede referente, ne individua i compiti. In particolare, la lettera a), modificata in sede referente, prevede che la Commissione debba accertare lo stato del degrado e del disagio sociale della città e delle loro periferie, a partire dalle aree metropolitane, con particolare attenzione all'evoluzione della situazione socioeconomica, insieme alle implicazioni sociali e della sicurezza in relazione ai seguenti aspetti: la diversa struttura urbanistica e la densità spaziale delle periferie, nonché le diverse tipologie abitative e produttive dei servizi, la composizione sociale delle periferie, le realtà produttive presenti nei territori delle periferie, nonché i tassi di occupazione e di disoccupazione, di lavoro sommerso e di lavoro precario, con particolare riferimento, in recepimento di un'osservazione posta dalla XI Commissione, ai temi legati alla disoccupazione giovanile e femminile ed al fenomeno dei giovani che non hanno lavorato e non sono iscritti a percorsi di istruzione, di formazione o di aggiornamento professionale; le forme di marginalità e di esclusione sociale, considerando anche, sempre in recepimento di un'osservazione posta dalla XI Commissione, l'incidenza della povertà in termini assoluti e relativi; l'offerta formativa, le reti tra scuole e tra queste ed il territorio, i livelli di istruzione, di integrazione e di abbandono scolastico e il fenomeno dell'analfabetismo di ritorno – aspetto quest'ultimo risultante dall'approvazione di un emendamento in sede referente –; la distribuzione delle risorse infrastrutturali nel territorio delle aree metropolitane; la situazione della mobilità; la distribuzione dei servizi collettivi, con particolare riguardo alle strutture pubbliche, private ed associative, scolastiche e formative, sanitarie, religiose, culturali e sportive; la presenza di migranti, con particolare attenzione, come precisato in sede referente, per i minori e per le donne delle loro etnie e delle diverse realtà culturali e religiose; le strutture e le politiche messe in atto dalle realtà locali nei confronti degli stranieri, nonché la presenza di associazioni di migranti e di organizzazioni di volontariato volte alla mediazione culturale e all'inclusione dei migranti. Rilevo che la I Commissione, in recepimento di una condizione posta dalla VII Commissione e di un'osservazione posta dalla XII Commissione, ha espunto dal testo la lettera a) riguardante il legame con la presenza di organizzazioni criminali e con la presenza sempre maggiore di stranieri residenti. Sempre in recepimento di una condizione posta dalla VII Commissione, la I Commissione ha soppresso il riferimento, tra Pag. 68gli aspetti da considerare dalla Commissione al fine della propria analisi, alla presenza di forme di criminalità spontanee organizzate minorili, nonché alla presenza di strutture e modalità di impiego delle forze di polizia per il controllo del territorio e per la garanzia di sicurezza.
  La lettera b) affida alla Commissione il compito di accertare il ruolo delle istituzioni territoriali – precisazione apportata con la sostituzione del precedente riferimento agli enti locali in recepimento di un'osservazione posta dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali –, le modalità previste e messe in opera per favorire la partecipazione delle cittadine e dei cittadini alla gestione delle politiche rivolte alle periferie, nonché la presenza di organismi di base e di cittadinanza attiva che promuovono tale partecipazione. Sottolineo che in sede referente, con l'approvazione di più emendamenti, la Commissione ha modificato in questa e in altre parti del testo l'originario riferimento generico ai cittadini, inserendo quello più specifico di genere a cittadini e cittadine.
  La lettera c) prevede che la Commissione debba acquisire le proposte operative che provengono da istituti ed istituzioni territoriali – anche in questo caso il testo è stato modificato in recepimento di un'osservazione posta dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali – e da altri soggetti quali associazioni locali, parrocchie – riferimento questo inserito in sede referente –, sindacati, organizzazioni rappresentative degli utenti e dei consumatori, nonché organizzazioni delle diverse etnie presenti al fine di favorire la rinascita sociale delle periferie a partire dall'occupazione, dall'istruzione, dalla formazione professionale, dai servizi, dalla mobilità, dall'integrazione dei migranti, dalla cultura e dallo sport.
  La lettera d) stabilisce che la Commissione abbia tra i suoi compiti quello di acquisire gli elementi oggettivi e le proposte operative che provengono dalle città italiane ed anche, come aggiunto in sede referente, europee nelle quali si è raggiunto un buon livello di integrazione e dove il disagio sociale e la povertà sono state affrontate con efficaci interventi pubblici e privati.
  La lettera e), infine, modificata in sede referente, dispone che la Commissione riferisca alla Camera dei deputati, promuovendo interventi, anche di carattere normativo, al fine di rimuovere la situazione di degrado delle città e delle loro periferie, nonché, come precisato in sede referente, ove emergessero tali situazioni di degrado, di attuare politiche per l'effettivo diritto al culto di tutte le religioni, per l'inclusione e per la sicurezza, che possano prevenire fenomeni di reclutamento di terroristi e di radicalizzazione. Evidenzio che il riferimento a politiche finalizzate a favorire l'effettivo diritto al culto di tutte le religioni nell'inclusione è stato inserito in sede referente. Desidero rilevare che la Commissione, recependo una condizione posta, sia dalla VII, che dalla XII Commissione, ha soppresso dal comma 2 una lettera che inseriva tra i compiti della Commissione quello di rilevare le condizioni di rischio e le connessioni che possono emergere tra il disagio delle aree urbane e il fenomeno della radicalizzazione e la relativa adesione al terrorismo di matrice religiosa fondamentalista islamica da parte dei figli degli immigrati di prima generazione divenuti cittadini europei.
  L'articolo 2 concerne la composizione e la durata della Commissione. Il primo comma prevede che la Commissione sia composta da venti deputati nominati dal Presidente della Camera in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante di ciascun gruppo esistente. Il comma 2 stabilisce che il criterio della proporzionalità è previsto anche in caso di eventuali sostituzioni o a causa di dimissioni o in caso di cessazione del mandato parlamentare. Il comma 3 sancisce che nella prima seduta la Commissione elegga, con le medesime modalità previste dal Regolamento della Camera per le Commissioni permanenti, l'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari. Ai Pag. 69sensi del comma 5, la durata della Commissione è fissata in dodici mesi dalla sua costituzione ed entro i successivi sessanta giorni la medesima Commissione presenta la relazione finale alla Camera dei deputati sulle indagini svolte. L'articolo 3 concerne i poteri e i limiti della Commissione nell'espletamento delle sue attività. In particolare, il comma 1 richiama quanto già previsto dall'articolo 82, secondo comma, della Costituzione in merito alla possibilità per la Commissione di procedere alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria, disponendo, altresì, che la medesima Commissione non possa adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale. Il comma 2 dispone che la Commissione può acquisire copia di atti e documenti relativi a procedimenti e a inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o di altri organi inquirenti, nonché copia di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari anche se coperte da segreto. Il comma 3 stabilisce che sulle richieste a essa rivolte l'autorità giudiziaria provvede ai sensi dell'articolo 117 del codice di procedura penale e che possa trasmettere copia di atti e di documenti anche di propria iniziativa. Ai sensi del quarto comma, la Commissione garantisce il mantenimento del segreto funzionale di tali atti fino al momento in cui sono coperti dal segreto. Inoltre, sempre in tema di segreto, il comma 5 prevede che si applicano le disposizioni vigenti relative al segreto di Stato, al segreto d'ufficio professionale e bancario.
  Per quanto concerne le audizioni a testimonianza rese davanti alla Commissione, il comma 6 richiama l'applicabilità del complesso degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale e stabilisce che non dovranno essere divulgate. Il comma 7 stabilisce, infine, che in ogni caso devono rimanere riservati i documenti relativi a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari fino al termine delle medesime. L'articolo 4 prevede l'obbligo del segreto per i componenti della Commissione, per il personale addetto alla stessa, per i collaboratori e per tutti i soggetti che per ragioni di ufficio o di servizio vengono a conoscenza degli atti e dei documenti soggetti al regime di segretezza. Per le sanzioni delle violazioni all'obbligo del segreto, anche parziale, il comma 2 fa riferimento alle leggi vigenti. L'articolo 5 riguarda l'organizzazione dei lavori della Commissione. Il comma 1 prevede che la Commissione addotti, prima dell'inizio dei suoi lavori, un regolamento interno a maggioranza assoluta dei componenti. Al comma 2 viene affermato il principio della pubblicità delle sedute. Il comma 3 dispone che la Commissione, per lo svolgimento dei suoi compiti, si avvale della collaborazione delle regioni, degli enti locali, dell'Istituto nazionale di statistica, delle università, delle rappresentanze sociali, delle associazioni culturali e di quartiere e delle associazioni anche locali che promuovono il dialogo interculturale e l'inclusione sociale e degli istituti pubblici e privati che si occupano di immigrazione e povertà. Si può altresì avvalere dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie dei soggetti interni ed esterni dell'amministrazione dello Stato, ove occorra e con il consenso degli organi a ciò deputati e dei Ministeri competenti. Il comma 4, che è il penultimo, stabilisce che la Commissione, per l'espletamento delle sue funzioni, fruisce di personale, locali e strumenti messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati. Con un periodo inserito nel corso dell'esame in sede referente, si prevede che la Commissione può stabilire con il regolamento interno le modalità di pubblicazione delle spese dalla stessa sostenute, fatte salve quelle connesse ad atti e documenti soggetti al regime di segretezza. Il comma 5 ultimo...

  PRESIDENTE. Potrebbe consegnare anche il testo scritto.

Pag. 70

  DORE MISURACA, Relatore. ...determina le spese di funzionamento – abbiamo concluso – della Commissione nella misura di 50 mila euro e le pone a carico del bilancio interno della Camera suddividendole in 20 mila euro per l'anno 2016 e in 30 mila euro per l'anno 2017.

  PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo intende intervenire ? Mi sembra di no.
  È iscritta a parlare la deputata Agostini. Ne ha facoltà.

  ROBERTA AGOSTINI. Grazie, Presidente. Il relatore illustrava giustamente il percorso che ha condotto all'approvazione di un testo anche molto diverso da quelli che erano stati presentati originariamente. Quindi c’è stato un lavoro molto attento sia della Commissione I ma anche di tutte le Commissioni che hanno esaminato il testo. Penso che stiamo per discutere un provvedimento utile, un provvedimento importante. Secondo una convenzione il 2007 è un anno spartiacque perché per la prima volta nel mondo la popolazione delle città ha superato quella delle campagne e si calcola che, nel 2050, il 70 per cento della popolazione mondiale abiterà nelle grandi aree urbane del pianeta. E un po’ tutta la letteratura, la sociologia, l'urbanistica, la filosofia, ma poi ci sono libri, romanzi, eccetera sul tema delle città, si sono esercitati in maniera massiccia e c’è chi si spinge a descrivere le grandi aree urbane come i veri attori della competizione globale in termini di ricchezza, in termini di innovazione, in termini di opportunità. Intorno a Londra, Tokyo, New York, Pechino, Parigi si concentrano persone, attività produttive, rendite, scambi e quel potere che invece diminuisce a livello degli Stati nazionali. Secondo alcuni calcoli, negli Stati Uniti il 90 per cento del PIL e l'86 per cento dei posti di lavoro sono generati nelle città più importanti. La proposta di legge che stiamo discutendo istituisce una Commissione di inchiesta sulle periferie delle nostre città e la forma con la quale le nostre città, le città italiane, le città europee sono cresciute è una struttura molto diversa, ad esempio, da quella di molti altri posti nel mondo, dagli Stati Uniti alle metropoli asiatiche a quelle sudamericane nelle quali ancora di più che da noi si fa fatica a capire e a definire che cosa si intende con il termine periferia. Ma anche da noi la parola «periferia» sembra più un termine generico, un'etichetta per connotare luoghi degradati o luoghi marginali più che un termine usato per identificare esattamente un luogo dal punto di vista geografico e le periferie sono anche molto diverse tra loro e si trovano non solo ai margini della città. Quando poi la città diventa metropoli, quindi quando supera una certa soglia, una certa dimensione, i centri e le periferie si moltiplicano anche all'interno della stessa città. Io parlo di Roma dove, ad esempio, Corviale, Tor Bella Monaca, Laurentino 38 sono quartieri nati a seguito di una pianificazione pubblica, di una progettazione urbana che poggiava su alcuni presupposti probabilmente sbagliati, dove poi non si sono realizzati i servizi che erano stati previsti ma ci sono anche le periferie abusive, quelle spontanee, quelle illegali senza alcuno standard pubblico e con opere di urbanizzazione realizzate anche spesso solo parzialmente in seguito. Quindi ci sono periferie molto diverse. C’è un recente saggio pubblicato su Limes, che ha dedicato proprio un numero specifico alle indagini sulle periferie: è un saggio di Daniel Modigliani.
  In questo saggio questi racconta in pochi passaggi come l'edilizia residenziale pubblica, quella privata legale e quella abusiva in realtà sono cresciute e sono attecchite a Roma nella mancanza di infrastrutture, a partire da quelle della viabilità che continua a rimanere uno dei problemi principali e insoluti e nell'assenza di una mano pubblica che, per tutta una lunga fase storica del dopoguerra e oltre il dopoguerra, si è girata dall'altra parte, nella migliore delle ipotesi, rispetto all'espansione a macchia d'olio della città cosicché l'urbanizzazione è stata guidata dalle dinamiche della rendita urbana e della bolla edilizia che hanno intrecciato disuguaglianze sociali con quelle spaziali. Pag. 71C’è un'altra ricerca su Roma interessante del CRS dove si osserva che, poiché a Roma vivere al centro costa troppo, ad essere costretti fuori dal raccordo anulare sono soprattutto le famiglie numerose. Il raccordo divide una terra dei giovani, caratterizzata da un basso accesso alle reti di trasporto pubblico e di funzioni urbane, rispetto alla città consolidata con un'elevata quota di popolazione anziana. Allo stesso modo la distanza dal centro, sempre a Roma, connota la distribuzione dei titoli di studio: più alta mano a mano che ci si avvicina ai quartieri centrali. Tuttavia la frattura vera tra luoghi centrali e periferie è quella per tassi di occupazione e disoccupazione, anche se frastagliata e con casi particolari: si va dalla media dei 28.000 euro pro capite ai Parioli fino ai 13.000 di Borghesiana. Insomma quello che voglio dire è che nelle città si concentra il massimo delle opportunità ma anche il massimo delle disuguaglianze per chi subisce la crisi e la precarietà e, invece, per i ceti emergenti; tra chi ha la possibilità di godere dei beni comuni, le piazze, gli impianti sportivi, le biblioteche e chi invece questa possibilità non ce l'ha e gli è negata. Anche il tema dell'immigrazione e dell'integrazione degli stranieri che aveva caratterizzato il testo per una prima fase, in realtà nel nostro Paese assume forme, dimensioni e caratteristiche molto diverse da quelle di altri Paesi europei: non ci sono periferie abitate solo da immigrati, a differenza di Paesi come la Francia e la Gran Bretagna dove l'immigrazione arriva negli anni Sessanta anche a seguito di una storia coloniale di quei Paesi. Sempre questo numero di Limes, fornendo dei dati, afferma che la provincia di Milano conta 120.000 musulmani – a proposito di Islam – il 4 per cento della popolazione immigrata; la provincia di Roma 90.000 ossia il 2,1 per cento; quella di Torino il 2,3 per cento contro Londra che ne conta 1 milione e rotti ossia il 12 per cento della popolazione; nell’Île de France arriviamo al 10-15 per cento; a Marsiglia addirittura sono 250.000, quindi circa il 40 per cento della popolazione. Anche il tasso di disoccupazione nei quartieri italiani è più basso rispetto ad alcune aree europee: si tratta tra l'altro di un'immigrazione quasi tutta ancora di prima generazione e non ci sono, per sollevare un tema che abbiamo letto in questi giorni anche sulle pagine dei giornali, i figli delusi dai padri in bilico difficile tra identità diverse. Dunque questa situazione è il terreno, penso, più favorevole anche per noi per sperimentare politiche di integrazione diverse sia dall'assimilazionismo francese sia dal multiculturalismo anglosassone. Nelle periferie ci sono problemi ma anche le sfide della politica per il futuro, le sfide dell'integrazione e della cultura: in primo luogo per rendere le scuole, ad esempio, protagoniste anche dal punto di vista del territorio, le istituzioni culturali, dalle biblioteche ai teatri, che possono rappresentare i centri di vita delle comunità locali e luoghi anche di formazione delle identità locali. C’è la sfida dell'innovazione del lavoro, della qualità urbana: ad esempio della riconversione, della riqualificazione delle ex aree industriali dismesse anche a fini produttivi e dell'attivazione di economie locali. C’è il grande tema dell'economia della cura, del rilancio dei servizi pubblici, dell'assistenza alla persona, della riconversione ecologica. Insomma se la rendita ha fallito, se la strada della rendita e del consumo del territorio come produzione di ricchezza, peraltro per pochi nelle nostre città, è una strada chiusa bisogna inventare altre strade e investire in queste strade nuove. E c’è la sfida della partecipazione democratica del Governo di prossimità, della riforma della macchina amministrativa: le nostre metropoli, le nostre aree urbane sono troppo grandi per essere governate dal comune capoluogo che è troppo piccolo rispetto alla sfida del Governo di aree complesse e c’è la sfida di una politica piantata sul territorio nel rapporto con le persone, con i cittadini, con le associazioni, con il volontariato. Insomma, la sfida delle periferie è la sfida delle città ed è la sfida dove noi possiamo esercitare quella capacità progettuale di indirizzo della cosa pubblica, che in tante nostre città, purtroppo, è mancata.Pag. 72
  Concludo, Presidente, citando una breve intervista a Renzo Piano, nostro senatore, famoso architetto e intellettuale. Lui dice una cosa che è molto bella e me la sono appuntata: le periferie sono sempre associate ad aggettivi negativi. Sono considerate desolanti, alienanti, degradate, brutte. Proviamo invece a guardarle con occhio positivo, a cercare quel che c’è di sano. Le periferie sono ricchissime di una bellezza umana e spesso anche di una bellezza fisica che è nascosta, che emerge qua e là. Come scrive Italo Calvino nella postfazione di Le città invisibili, anche le più drammatiche e le più infelici tra le città hanno sempre qualcosa di buono.
  Credo che tocchi alla politica, a noi in questo caso, andare anche con la Commissione di inchiesta a trovare quello che non va e quello che manca nelle nostre periferie, che è tanto – e lo sappiamo –, ma anche e soprattutto quello che c’è di buono, per valorizzarlo e per farne il volano anche di un futuro diverso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Mannino. Ne ha facoltà.

  CLAUDIA MANNINO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il provvedimento che andiamo ad analizzare è la perfetta fusione di due diversi approcci. La proposta a prima firma Lupi ha un'evidente vocazione punitiva, secondo la quale la periferia è un luogo borderline senza né tetto né leggi, dunque ricettacolo delle peggiori infezioni sociali e da qui nasce l'esigenza di potenziare le misure di monitoraggio e di sicurezza in quei luoghi. L'altra, a prima firma Costantino, ha un impianto condivisibile, non poliziesco, che guarda le periferie come luoghi geografici, tutti da ripensare e recuperare attraverso misure di recupero che passino per un'analisi urbanistica e antropologica dei luoghi.
  Nel testo unificato il nostro contributo, limitatamente ai nostri provvedimenti approvati, ha disinnescato a nostro avviso la logica punitiva, che bizzarramente traeva le conseguenze prima ancora di aver investigato l'argomento secondo un rapporto di causalità tra le periferie e la delinquenza. Mentre con un nostro secondo emendamento abbiamo innovato la prassi, tutta parlamentare, ove consentito certo dalla Commissione, di poter rendicontare le spese direttamente in Commissione e, quindi, renderle pubbliche attraverso i suoi resoconti. Dalla conclusione dei lavori fissato in dodici mesi potrebbe emergere uno scenario di particolare interesse politico. Parlare di periferie è dovere civile. L'abbandono del territorio ha privato i cittadini del diritto alla città. Tengo a ripetere per l'ennesima volta in queste Aule parlamentari che, quando parlo di abbandono del territorio, parlo di una voluta, a mio avviso, non gestione dei territori a tutti i livelli, a partire dagli ormai rari piani regolatori comunali per continuare con i piani di coordinamento provinciali e, per finire, con gli ormai quasi totalmente assenti piani paesaggistici regionali.
  È noto oggi che la metà della popolazione mondiale vive in città. Possiamo quindi sostenere di essere entrati a pieno titolo nell'età urbana. La domanda è però: a che prezzo ? La crescita economica si associa quasi sempre a forti processi di urbanizzazione, ma l'urbanizzazione non è di per sé la condizione perché vi sia la crescita economica, anzi talvolta è l'esatto contrario. Il direttore dell'ultima biennale di architettura di Venezia e premio Pritzker, Alejandro Aravena, ha detto che l'errore peggiore che puoi fare è rispondere bene alla domanda sbagliata, ovvero ci spiega che sono i governi che devono progettare la città del futuro e, quindi, le periferie. L'illustre collega, inventore del «do tank», un serbatoio del fare, e specializzato in interventi urbani di edilizia sociale e pubblica spesso anche di grandissima scala, tenta di spiegarci che è solo attraverso l'intervento forte dell'attore pubblico che si può rigenerare il sistema, con una visione chiara d'insieme e non con invece puntuali, sporadici e frammentari interventi. La storia, tra l'altro, insegna anche parecchio su questo tema. Pag. 73Tanto per non girare intorno al problema posso riportare un esempio non tanto lontano. Anche il nostro Paese, in linea con quel che resta dell'Unione europea, cerca di rispondere alle sfide dell'integrazione e della gestione dei flussi migratori.
  Nel 1954, in piena crisi d'Algeria, il Governo francese decise di inviare una donna, l'etnologa Germaine Tillion, nella periferia coloniale. Il risultato di tale sopralluogo fu una lezione di sociologia politica impostata sul buonsenso. Quelle periferie erano e sono tuttora inquiete perché lo Stato non c’è, manca la coesione e manca la solidarietà. Quelle erano e restano periferie sociali, cioè luoghi che racchiudono situazioni di fortissima disuguaglianza e degrado. Ciò che dobbiamo domandarci in compagnia con l'etnologa francese è quindi che fare. La sua proposta dirompente, ma inascoltata, fu quella di portare lo Stato e non la polizia per costruire centri sociali in quei luoghi disagiati. Sappiamo come è finita poi la battaglia di Algeri. Ma per tornare a casa nostra è chiaro che dobbiamo sbirciare tra le pieghe periferiche della società per capire se sussistono aree di vulnerabilità nelle quali il radicalismo politico, ideologico e religioso possano attecchire. Questo è il ruolo che lo Stato ha assegnato alla nostra intelligence.
  Come scrive David Forgacs nel suo libro «Margini d'Italia», ogni società moderna identifica certi luoghi e gruppi di persone come marginali, secondari, rispetto a luoghi e a gruppi che godono di una posizione di centralità. Tra i marginali ci sono sicuramente gli immigrati. Da sempre e dovunque hanno un ruolo particolare e l'Italia, quindi, non fa eccezione. Io che sono palermitana posso parlare con certezza direi mediterranea del fenomeno. Nel meridione del Meridione esiste un quartiere, con acronimo «Zen», che ha poco a che spartire con la spiritualità evocata dal nome stesso: 16 mila abitanti dimenticati, che cercano di vivere o di sopravvivere degnamente in un paesaggio impossibile, un luogo in cui la crisi sociale si salda con la crisi ambientale. In altre parole la richiesta collettiva, la precondizione per una vita dignitosa nelle periferie – non solo palermitane ovviamente – è l'accesso a quelli che mi piace chiamare livelli essenziali delle politiche pubbliche, basate sull'acqua, sui trasporti, sulla sicurezza, sui rifiuti, sull'energia pulita e magari anche su alloggi green. Laddove questi livelli essenziali sono scarsi o assenti, si innescano fenomeni di degrado, che vanno dalla dispersione scolastica al voto di scambio se non anche all'autocontrollo di quei territori. Ciò che serve, non solo a Palermo, è uno straordinario atto di resistenza contro il degrado. Il governo delle città, dunque delle periferie, è un'arte difficile, ma proprio in questo si gioca il futuro del Paese, che non ha politiche urbane da decenni e dove ogni città è lasciata a sé stessa.
  Volutamente porto in questa discussione sulle linee generali i due interventi sbandierati dal Governo nelle ultime due leggi di stabilità in materia di degrado e di recupero delle periferie: con la legge di stabilità del 2015 sono stati previsti 194 milioni di euro per il triennio successivo, così come anche nella legge di stabilità del 2016 è stato previsto un fondo di ben 500 milioni di euro per un programma straordinario per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia.
  Sono certa – e mi avvio a conclusione – che dai lavori di questa Commissione salteranno fuori metodi ed indicazioni innovative anche su come meglio orientare investimenti pubblici come quelli citati, forse un progetto di un nuovo modello insediativo, magari supportato da un quadro di regole che consentano l'integrazione del sistema economico e sociale delle città. È dagli anni Sessanta che il nostro territorio subisce assalti. In mezzo secolo siamo stati capaci di sfigurare cinque millenni di civiltà insediativa. Penso che questa indagine possa diventare uno dei modi per dire basta a tutto questo.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Pag. 74

(Repliche del relatore e del Governo – Doc. XXII, nn. 65-69-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, se ritiene, anche se aveva finito il tempo, comunque prendo atto che non intende replicare.
  Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Vorrei ringraziare il relatore e la Commissione anche per la discussione di questo pomeriggio, in quanto si tratta di un tema certamente importante. Quando si parla di aree periferiche, come è emerso nella discussione, non si parla solo di sicurezza, ma ci sono tutti gli aspetti sociologici, culturali e urbanistici. Quindi, penso che sia importante verificare tutto questo e che si debba ripartire da tutto ciò che riguarda anche le aree urbane, dalle periferie, per verificare poi concretamente quella integrazione che può rendere sempre più sicura, da una parte, ma anche più forte culturalmente, come istruzione e come educazione, la popolazione che ci vive.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 26 luglio 2016, alle 10:

  1. – Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

  (ore 15)

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico (C. 3954-A).
  — Relatrice: Ferranti.

  3. – Seguito della discussione delle mozioni Grillo ed altri n. 1-01178, Nicchi ed altri n. 1-01322 e Lenzi ed altri n. 1-01323 concernenti iniziative relative al regime dei farmaci e dei relativi rimborsi da parte del Servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla questione dei cosiddetti farmaci innovativi.

  4. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare:
   LUPI ed altri; COSTANTINO ed altri: Istituzione di una Commissione di inchiesta monocamerale sullo stato della sicurezza e del degrado delle città italiane e delle loro periferie (Doc. XXII, nn. 65-69-A).
  — Relatore: Misuraca.

  5. – Discussione dei disegni di legge:
   Ratifica ed esecuzione del Memorandum d'Intesa sulla lotta alla criminalità tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Stato del Qatar, fatto a Roma il 16 aprile 2012 (C. 2710-A).
  — Relatore: Monaco.
   Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Ministero dell'interno della Repubblica italiana e il Ministero degli affari interni della Repubblica di Azerbaijan, firmato a Roma il 5 novembre 2012 (C. 3260-A).
  — Relatore: Rabino.
   S. 2028 – Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Accordo tra la Repubblica italiana e Bioversity International relativo alla sede centrale dell'organizzazione, fatto a Roma il 5 maggio 2015; b) Accordo tra la Repubblica italiana e l'Agenzia Pag. 75spaziale europea sulle strutture dell'Agenzia spaziale europea in Italia, con Allegati, fatto a Roma il 12 luglio 2012, e Scambio di Note fatto a Parigi il 13 e il 27 aprile 2015; c) Emendamento all'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e le Nazioni Unite sullo status dello Staff College del Sistema delle Nazioni Unite in Italia del 16 settembre 2003, emendato il 28 settembre 2006, fatto a Torino il 20 marzo 2015; d) Protocollo di emendamento del Memorandum d'intesa fra il Governo della Repubblica italiana e le Nazioni Unite relativo all'uso da parte delle Nazioni Unite di locali di installazioni militari in Italia per il sostegno delle operazioni di mantenimento della pace, umanitarie e quelle ad esse relative del 23 novembre 1994, con Allegato, fatto a New York il 28 aprile 2015 (Approvato dal Senato) (C. 3764).
  — Relatore: Distaso.

  La seduta termina alle 18,40.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA DONATELLA FERRANTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE (A.C. 3954-A)

  DONATELLA FERRANTI, Relatrice. Il disegno di legge in esame è diretto a convertire in legge il decreto-legge n. 117 del 2016, che interviene sulla disciplina del processo amministrativo telematico e posticipa di sei mesi il termine a decorrere dal quale tutti gli atti del processo amministrativo dovranno essere sottoscritti con firma digitale. Nel corso dell'esame in sede referente, la Commissione vi ha inserito disposizioni sull'assunzione di personale amministrativo da parte del Ministero della giustizia, che avranno effetti positivi anche sul processo di digitalizzazione della giustizia.
  Nella relazione mi soffermerò prima sulla parte relativa alla proroga del processo digitale amministrativo, per poi affrontare la parte sul personale, sottolineando sin da ora che si tratta di disposizioni di estremo rilievo per il buon andamento dell'amministrazione della giustizia.
  Per quanto riguarda la proroga del processo digitale amministrativo, si ricorda che il Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010), all'articolo 136, detta disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi informatici prevedendo che «tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, dei personale degli uffici giudiziari e delle parti possono essere sottoscritti con firma digitale» (comma 2-bis). La facoltà di utilizzare le modalità telematiche nel processo amministrativo è diventata un obbligo.
  Per accelerare anche dinanzi ai TAR e al Consiglio di Stato la digitalizzazione, ormai ampiamente avviata sul fronte del processo civile, l'articolo 38, comma 1-bis, del decreto-legge n. 90 del 2014 (come più volte modificato nel corso degli ultimi due anni) ha modificato il predetto comma 2-bis, prevedendo che «Tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».
  Questa disposizione, però, non è mai stata efficace, in quanto lo stesso articolo 38 del decreto-legge n. 90 del 2014 ha fissato un termine a partire dal quale il processo amministrativo telematico avrebbe dovuto affermarsi: originariamente la data era quella del gennaio 2015, poi spostata al lo luglio 2015 (decreto-legge n. 192 del 2014), poi ulteriormente prorogata al lo gennaio 2016 (decreto-legge n. 83 del 2015) e poi ancora spostata al 1o luglio 2016 dal decreto-legge n. 210 del 2015. La posticipazione del termine previsto per la piena operatività del processo amministrativo telematico è dovuta a ritardi nella predisposizione delle regole tecnico-operative necessarie ad applicare il principio dell'Obbligatorietà della sottoscrizione digitale degli atti. L'articolo 13 Pag. 76delle disposizioni di attuazione del Codice del processo amministrativo (allegato n. 2 al decreto-legislativo n. 104 del 2010), infatti, demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e l'Agenzia per l'Italia digitale, l'introduzione di regole tecnico-operative per la sperimentazione, la graduale applicazione, l'aggiornamento del processo amministrativo telematico, tenendo conto delle esigenze di flessibilità e di continuo adeguamento delle regole informatiche alle peculiarità del processo amministrativo, della sua organizzazione e alla tipologia di provvedimenti giurisdizionali. Solo recentemente (Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 2016), in attuazione di questa disposizione è stato emanato il DPCM. 16 febbraio 2016, n. 40 (regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico).
  Osserva che, peraltro, come previsto dall'articolo 13 delle disp. att. del codice del processo amministrativo, in attuazione del criterio di graduale introduzione del processo telematico, dalla data di entrata in vigore del regolamento (21 marzo 2016) e fino al 30 giugno 2016 si procede alla sperimentazione delle nuove disposizioni presso i TAR e il Consiglio di Stato, con modalità individuate dagli organi della giustizia amministrativa. Il regolamento dunque precisa che nella fase della sperimentazione continuano a essere applicate le previgenti disposizioni in materia di perfezionamento degli adempimenti processuali e dunque la facoltatività della sottoscrizione digitale degli atti.
  Su questo quadro normativo, si è inserito il decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, che ha posticipato il termine del lo luglio 2016 al lo gennaio 2017. Conseguentemente, durante i prossimi sei mesi il processo amministrativo telematico avrà carattere sperimentale e facoltativo. Solo al termine della sperimentazione, il 1o gennaio 2017, appunto, il deposito di tutti gli atti di parte e del giudice dovrà obbligatoriamente essere realizzato con modalità telematiche.
  Più analiticamente, faccio presente che l'articolo 1, comma 1, modifica l'articolo 38, comma 1-bis, del decreto-legge n. 90 del 2014, per prevedere che la modifica all'articolo 136 del Codice del processo amministrativo acquisti efficacia il lo gennaio 2017 anziché il 1o luglio 2016. Il comma 2 modifica invece l'articolo 13, comma 1-bis, delle disposizioni di attuazione del codice del processo amministrativo per consentire la sperimentazione delle regole tecnico operative introdotte dal DPCM n. 40 del 2016 fino al 31 dicembre 2016, in luogo del 30 giugno 2016.
  L'articolo 2 del decreto-legge precisa poi che al processo amministrativo telematico di cui al DPCM 16 febbraio 2016, n. 40, sia dato avvio a partire dal 1o gennaio 2017.
  La Commissione Giustizia ha aggiunto il comma 1-bis, per consentire, fino al 31 marzo 2017, l'applicazione delle disposizioni oggi vigenti, che prevedono la facoltà della firma digitale degli atti. In sostanza, «al fine di consentire l'avvio ordinato del processo amministrativo telematico», per i primi tre mesi sarà possibile sottoscrivere gli atti sia in modo tradizionale che digitalmente. Non sarà vigente, dunque, la nuova formulazione dell'articolo 136, comma 2-bis, del Codice del processo amministrativo. L'effetto di questa disposizione è dunque analogo a quello di una proroga di ulteriori 3 mesi dell'applicabilità del processo amministrativo telematico, posto che già attualmente esso opera in fase di sperimentazione, senza obbligatorietà per parti e giudici; e tale carattere sperimentale è destinato a durare, in base al comma 2 (v. sopra), fino al 31 dicembre 2016.
  Personale amministrativo: nel corso dell'esame in sede referente la Commissione Giustizia ha inserito nell'articolo 1 del decreto-legge sedici ulteriori commi, con i quali il Ministero della giustizia è autorizzato a procedere ad assunzioni straordinarie.
  L'importanza strategica per l'intero comparto della giustizia è stata evidenziata Pag. 77dal Ministro Orlando in occasione di una seduta di question time svoltasi lo scorso 13 luglio.
  Il Ministro Orlando, rispondendo ad una interrogazione sugli stage formativi presso le cancellerie degli uffici giudiziari, che vedono attualmente impegnati lavoratori in mobilità che hanno superato un percorso selettivo, ha rilevato che la migliore risposta a questi tirocinanti va quindi cercata non in soluzioni transitorie, ma definitive, come quelle previste proprio dall'emendamento approvato dalla Commissione giustizia, che opera in questa prospettiva, prevedendo nuove assunzioni nel Ministero attraverso una procedura in cui i tirocinanti potranno spendere il titolo e, soprattutto, le competenze che hanno acquisito.
  Per quanto attiene al contenuto dell'emendamento approvato, questo, introducendo all'articolo 1 i commi 2-bis e 2-ter, autorizza il Ministero della giustizia, per il triennio 2016-2018, ad assumere a tempo indeterminato fino a 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale; il personale sarà inquadrato nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria e potrà essere selezionato sia bandendo nuovi concorsi che attingendo a graduatorie ancora valide.
  L'aumento del personale è destinato a supportare i processi di digitalizzazione degli uffici e a completare il processo di trasferimento allo Stato – avviato il 1o settembre 2015 – dell'obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari precedentemente a carico dei Comuni. Alle assunzioni si potrà procedere trascorsi 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge (e dunque a partire dal 29 agosto, che presumibilmente sarà anche la data di entrata in vigore della legge di conversione). Spetterà ad un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la PA, definire le graduatorie dalle quali attingere, nonché i concorsi da bandire, dopo aver valutato i fabbisogni di professionalità del ministero.
  Il comma 2-quater consente al Ministero della giustizia di assumere a tempo indeterminato ulteriore personale amministrativo non dirigenziale, attraverso procedure concorsuali disciplinate dal decreto ministeriale previsto dal comma 2-bis, attingendo alle risorse che residuano dall'espletamento delle procedure di mobilità del personale proveniente dalle province.
  In sostanza, ipotizzando che i posti individuati dalle leggi di stabilità 2015 e 2016 non vengano integralmente coperti attraverso la mobilità, il provvedimento autorizza comunque il Ministero ad assumere personale fino a coprire quel contingente, attingendo alle risorse residue. Si potrà procedere alle assunzioni trascorsi 30 giorni dalla comunicazione della conclusione delle suddette procedure di mobilità (all'esito della quale sarà chiarito quanti posti sono rimasti scoperti e dunque quante risorse residuino).
  Le risorse da considerare per realizzare queste procedure straordinarie di assunzione sono individuate dal comma 2-sexies che rinvia a due disposizioni delle leggi di stabilità 2015 e 2016.
  Il carattere straordinario del reclutamento è confermato dal comma 2-septies, che specifica come allo stesso si proceda in deroga alla normativa vigente; le procedure straordinarie avranno inoltre priorità su ogni altra procedura di trasferimento all'interno del Ministero della giustizia.
  Il comma 2-quinquies specifica che, per quanto riguarda le ordinarie procedure di assunzione (diverse dalle procedure straordinarie dei commi precedenti), l'amministrazione non potrà procedere se prima non sarà stato ricollocato in ambito regionale il personale proveniente dalle province (cfr. articolo 1, comma 234, della legge di stabilità 2016).
  Per quanto riguarda l'inquadramento del personale, il comma 2-novies consente, limitatamente alle procedure già in atto, di riqualificazione del personale del Ministero (articolo 21-quater del d.l. n. 83 del 2015) e di mobilità, l'inquadramento in soprannumero nei singoli profili, ma nel rispetto della dotazione organica complessiva, fino al completo riassorbimento e alla revisione della pianta organica. Tale revisione è infatti prevista dal precedente comma 2-octies ai sensi del quale con DM Pag. 78giustizia, prima di procedere con le assunzioni straordinarie, si provvede alla rimodulazione dei profili professionali del ruolo dell'amministrazione giudiziaria e alla revisione della relativa pianta organica, sempre nel rispetto del limite della dotazione organica complessiva attuale e del conseguente limite di spesa.
  Il comma 2-decies sopprime la disposizione (ultimo periodo del comma 771 della legge di stabilità 2016) che consente, se non sono possibili le procedure di mobilità, l'acquisizione del personale proveniente dagli enti di area vasta mediante mobilità volontaria, prescindendo dall'assenso dell'amministrazione di appartenenza. Tale modalità è da ritenersi superflua alla luce dalla disposizione che consente ora al Ministero di indire procedure concorsuali per la copertura dei posti.
  Il comma 2-undecies stanzia 350.000 euro per il 2016 per lo svolgimento delle procedure concorsuali.
  Il comma 2-duodecies riduce il contingente di personale che può transitare verso il Ministero della giustizia in mobilità in base al comma 425, settimo periodo, della legge di stabilità 2015, portandolo da 1.943 a 1.268 unità.
  Analogamente dispone il comma 21-terdecies, intervenendo non sul comma 425 della legge di stabilità ma su una disposizione successiva, che tale norma aveva già modificato (articolo 21, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2015).
  In relazione alla riduzione del contingente assumibile ai sensi del comma 425 della legge di stabilità 2015, i commi 2-quaterdecies e 2-quindecies provvedono a rimodulare in parallelo alla riduzione la copertura finanziaria.
  Le risorse in tal modo rese disponibili sono destinate dal comma 2-sexiesdecies all'attuazione del comma 2-bis del testo in esame, e dunque all'assunzione di 1.000 unità di personale amministrativo mediante graduatorie aperte o concorsi da bandire presso il Ministero della giustizia. Infine, il comma 2-septiesdecies autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DELLA DEPUTATA ANNA MARGHERITA MIOTTO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE (A.C. 3235)

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Arriva in Aula oggi un testo che ha l'obiettivo principale di introdurre nell'ordinamento italiano la legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati Innanzitutto desidero dar conto del lavoro svolto nelle commissioni congiunte Giustizia ed Affari Sociali. Abbiamo condotto una attività conoscitiva sufficientemente ampia nonostante la ristrettezza dei tempi concessi, che ha evidenziato una radicale e non componibile diversità di giudizio sulla scelta della legalizzazione, inoltre ha fatto emergere fra i favorevoli alla legalizzazione una consistente adesione alla ipotesi dell'affidamento al Monopolio legale di ogni fase – dalla produzione alla vendita della cannabis – esclusa la coltivazione personale ed associata; ed infine, per citare le criticità maggiormente evocate, è stato chiesto da tutti coloro che hanno ritenuto di entrare nel merito dell'uso terapeutico della cannabis, previsto all'articolo 6 della proposta di legge, come sia opportuno separare nettamente la normativa su tale uso da quella riguardante il cosiddetto «uso ricreazionale», ragion per cui ho ritenuto di proporre la divisione del testo affidando ad un percorso separato una disciplina adeguata per l'utilizzo della cannabis con finalità terapeutiche sull'intero territorio nazionale, raccogliendo i positivi risultati del progetto sperimentale in corso e introducendo criteri di omogeneità nella normativa approvata da numerose regioni italiane.
  Questa proposta non è stata condivisa dal relatore della Commissione Giustizia e trattandosi di una proposta iscritta all'ordine del giorno ai sensi dell'articolo 24, co. 3 del regolamento nell'ambito della quota riservata alle opposizioni, si è proceduto previo disabbinamento delle altre 12 proposte di legge, con l'esame del testo Pag. 79n. 3235 sul quale però sono giunti quasi 1700 emendamenti il cui esame avrebbe comportato la necessità di un rinvio della odierna seduta.
  È evidente che su un tema tanto complesso, che divide, è necessario condurre i necessari approfondimenti nel lavoro di commissione, è indispensabile mettersi in ascolto di quanti quotidianamente contrastano le narcomafie e con quanti curano le psicosi riconducibili al consumo di cannabis in età adolescenziale e pertanto diventa essenziale riportare il testo nella sede propria delle commissioni.
  Tuttavia è opportuno cogliere l'opportunità della discussione in aula per aprire un confronto su alcuni nodi problematici che necessitano, a mio modo di vedere, di un supplemento di elaborazione rispetto al punto di sintesi al quale è giunto l'intergruppo che ha prodotto il 3235, noto come testo Giachetti, primo firmatario.
  Questa proposta raccoglie le suggestioni che provengono da alcune sperimentazioni che nel mondo sono state avviate da poco tempo – fatta eccezione per il caso Olanda – e per le quali non si possono misurare ancora gli effetti. È una proposta che propone alcune soluzioni che rischiano di apparire talvolta delle fughe in avanti, talaltra delle scorciatoie non condivisibili, perché non fanno i conti con la complessità del fenomeno, complessità che incrocia valori, modelli culturali, scelte personali ma anche doveri sociali. È un patchwork che contiene la esperienza olandese della coltivazione per uso personale fino a 5 piantine, la coltivazione in Associazione di 50 soci prevista in Spagna, la vendita in esercizi commerciali dedicati come in Colorado e la introduzione del Monopolio di Stato recentemente prevista in Uruguay. L'impatto sull'ordinamento è imponente: rende libera la vendita ai maggiorenni, affida ai Monopoli di Stato la coltivazione, lavorazione e vendita della sostanza, ridisegna il regime penale delle condotte correlate alle droghe leggere, modifica i limiti quantitativi e qualitativi della sostanza detenibile, consente la coltivazione per uso personale e prevede la possibilità di costituire associazioni fino a 50 soci per la coltivazione di 250 piante, rende non punibile la cessione gratuita, elimina le sanzioni amministrative di carattere interdittivo-incapacitativo per il consumo di cannabis.
  Prima questione: aumento del consumo e necessità di ridurlo.
  La proposta parte dalla constatazione che l'approccio proibizionista non ha fatto diminuire il consumo della cannabis, anzi particolarmente in Italia sarebbe progressivamente aumentato dopo una flessione registrata con la parificazione delle droghe leggere alle pesanti, effettuata dalla legge Fini-Giovanardi, caduta a seguito della sentenza della Corte 32/2014, recepita dal dl 36/2014.
  Il largo consumo di cannabis che riguarda oltre 3.000.000 di consumatori abituali, rappresenta certamente un serio problema di ordine sanitario e sociale e sottolineo il fatto che ne sono consapevoli anche i proponenti altrimenti se avessero aderito alla tesi che la cannabis è solo una pianta come taluno sostiene con una evidente forzatura, non avrebbero proposto la legalizzazione ma la liberalizzazione. Dicevo che l'ampio consumo di cannabis rappresenta un problema e se ci poniamo l'obiettivo di ridurlo è bene confrontarci sulle strategie sin qui messe in campo evitando quella che io ritengo sia una semplificazione allorché si attribuisce all'approccio proibizionista il mancato raggiungimento dell'obiettivo. Io penso che fallisce ogni strategia solo repressiva se non è integrata da misure di prevenzione e di riduzione del danno. Dobbiamo riconoscere che nel nostro paese da troppo tempo non si investe più sulla prevenzione e purtroppo ne paghiamo ora le conseguenze.
  Se stanno così le cose, la legalizzazione potrebbe rappresentare una risposta tale da costituire un deterrente al consumo della cannabis ? Gli esponenti delle Comunità terapeutiche intervenuti in audizione hanno parlato di ’resa’ dello Stato ! A molti appare invece un incentivo, perché liberati dallo stigma legato ad una problematica accettazione sociale, i consumatori Pag. 80di droga potrebbero ritenere di non doversi interrogare sulla riduzione del consumo.
  Ed ancora, la strategia universalmente condivisa per contrastare la diffusione delle droghe riguarda innanzitutto la riduzione della domanda. Poiché il consumo personale e la detenzione di sostanza per uso personale sono stati depenalizzati, come nella maggior parte degli stati, la legalizzazione riguarderebbe il commercio e la produzione ed allora quali effetti avrebbe sui consumi ? Nessun disincentivo, anzi il rischio è opposto.
  Seconda questione: diffusione delle droghe e legami con la criminalità organizzata.
  È purtroppo noto che il diffuso consumo della cannabis alimenta e moltiplica le risorse finanziarie delle organizzazioni di tipo mafioso che con quelle risorse condizionano ed inquinano l'economia legale.
  Numerosi magistrati impegnati in prima linea sul versante della lotta alla criminalità ed alle mafie hanno ripetutamente affermato, anche in queste settimane, che la legalizzazione per affamare le mafie per essere efficace dovrebbe essere estesa a tutto il mondo contemporaneamente ! Sembra un paradosso, ma come non convenire con le preoccupazioni che manifestano allorché paventano il rischio che la legalizzazione in un paese possa indurre la semplice migrazione delle organizzazioni illegali in aree ove il commercio e la produzione sono proibiti, oppure, come non prefigurare il rischio di un adattamento del mercato illegale in affiancamento a quello legale potendo abbattere i costi della sostanza ? Se la cannabis in tabaccheria costa 10/12 euro al grammo alle narco-mafie risulta agevole occupare il mercato a 6/8 euro ! Abbiamo ancora le agende aperte sul gravissimo tema del gioco d'azzardo perciò temiamo che si ripeta l'insuccesso di una legalizzazione pensata per combattere il gioco illegale e che invece deve fare i conti con le infiltrazioni malavitose nel gioco legale.
  Su questo punto ritengo opportuno fare rapido cenno all'importantissimo contributo del proc. Roberti della Direzione Nazionale Antimafia che con qualche semplificazione comunicativa è stato arruolato fra i sostenitori della proposta all'ordine del giorno. In verità il procuratore antimafia propone un rigido regime di monopolio a partire dalla produzione, il divieto della coltivazione individuale ed in via assoluta il divieto della coltivazione associata, amplia le condotte punibili per tutelare il monopolio – ad esempio reintroduce la punibilità dell'uso personale se acquistata fuori dal circuito del monopolio –, propone l'inasprimento delle sanzioni penali e prevede l'arresto in flagranza anche per i casi meno gravi.
  Terza questione: prospettiva di nuove entrate per l'erario.
  La prospettata legalizzazione viene collegata alla possibilità di recuperare all'Erario una quantità di risorse notevole per effetto dell'affidamento al Monopolio legale della vendita della cannabis e con grande enfasi i proponenti destinano solo il 5 per cento dei proventi derivanti dalla legalizzazione per il contrasto delle dipendenze mentre il 95 per cento è destinato a finalità diverse creando una sorta di complicità con il Ministero del Tesoro. La stima è sull'ordine di qualche miliardo di euro. Innanzitutto è da approfondire la circostanza che coesistendo il Monopolio con la coltivazione personale ed associativa prevista con 5 piantine per persona, i consumatori che si recano in tabaccheria sarebbero residuali e quindi la stima del gettito andrebbe conseguentemente ridimensionata, ma rimane sullo sfondo l'interrogativo se sia eticamente accettabile imporre una nuova tassa sul vizio, come usualmente vengono definite le accise che dal gioco ai tabacchi alle bibite zuccherate fino alle merendine sono state già sperimentate anche nel nostro paese con esiti negativi per gli effetti di deterrenza sui consumi, mentre, invece, hanno assunto la veste di strumenti utili per fare cassa rapidamente.
  Quarta questione: affidamento al Monopolio di Stato delle condotte legalizzate.
  L'ho ricordato poco fa: numerosi fra gli auditi hanno espresso una chiara preferenza Pag. 81dell'affidamento ai Monopoli di stato la coltivazione e vendita della cannabis. Occorre ricordare che il ricorso al Monopolio legale esiste se lo Stato è l'unica impresa che produce e cede un bene per il quale non esistono succedanei e, non avendo concorrenza, determina il prezzo e le altre condizioni di mercato. Le condizioni del mercato della cannabis non appaiono favorevoli per l'affermarsi di una gestione monopolistica avente oggetto la cannabis per due ragioni; i monopoli in Italia sono di natura fiscale per assicurare all'erario un gettito e questa non è la finalità del monopolio sulla cannabis; inoltre è prudente considerare che la linea di politica economica da tempo assunta nel paese è rivolta al superamento di tutte le posizioni di monopolio per aprirsi a processi di liberalizzazioni e quindi sarebbe una iniziativa in controtendenza ! infine essendo prevista la coltivazione per uso personale o associata, queste entrerebbero in concorrenza con il Monopolio. Alcune centinaia di migliaia di autoproduttori dovrebbero essere oggetto di controlli assorbendo larga parte delle risorse risparmiate con la legalizzazione.
  Quinta questione: rispetto dei vincoli internazionali.
  Ogni innovazione normativa in questo settore va collocata nel quadro degli obblighi internazionali che il nostro paese è tenuto a rispettare in forza dei trattati sottoscritti. Cito la convenzione delle NU adottata a Vienna il 20/12/88 contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 328/90 e la Convenzione unica sugli stupefacenti adottata a New York il 30/3/61 ratificata in Italia con legge 412/74, che definiscono reati la detenzione, l'acquisto di sostanze stupefacenti e psicotrope, nonché la coltivazione delle medesime. In alternativa alla condanna possono essere applicate misure di trattamento, educazione, riadattamento o reinserimento sociale. Anche la Corte Costituzionale in conformità a tali norme si è più volte pronunciata in occasione della presentazione di referendum abrogativi sulla illiceità della coltivazione, sancendone la inammissibilità. In verità maggiore autonomia agli stati viene accordata dalla normativa europea con la decisione quadro del 25/10/2004. Questi riferimenti internazionali costituiscono un vincolo che ad esempio impedirebbe di affermare la totale liceità della produzione della cannabis per uso personale.
  Sesta questione, la più importante: i giovani.
  Abbiamo finora visto che le misure previste atte a contrastare il diffondersi delle droghe appaiono inefficaci e appare problematico anche il contrasto alla criminalità organizzata. Credo ci si debba interrogare anche su aspetti di natura sanitaria nel senso più ampio e corretto del concetto di salute, inteso come benessere della persona. Se è vero che non sono noti casi di overdose o morti conseguenti al consumo di cannabis che manifesta livelli di tossicità generalmente bassi, tuttavia la pericolosità è legata a specifici fattori di vulnerabilità individuale, alla via di somministrazione ed alla durata del consumo. È invece elevata la pericolosità per i giovani consumatori di cannabis per una diversa sensibilità individuale, anche genetica e una maggiore predisposizione a sviluppare episodi psicotici. Le indagini condotte sui consumatori ci consegnano un dato allarmante: si ipotizza che solo il 25 per cento dei consumatori siano maggiorenni. La legge si occupa dei maggiorenni sui quali peraltro gli effetti tossici della cannabis sono di minor impatto. Nulla si dice dei minorenni che rappresentano la maggioranza dei consumatori e sono coloro che rischiano di più per le conseguenze sul sistema nervoso centrale che un ripetuto consumo di cannabis, magari con elevato THC comporta. La legge è vero fissa dei divieti, ma sono gli stessi divieti che per gli adulti non hanno prodotto risultati... non è questa una ulteriore contraddizione ?