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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 636 di lunedì 13 giugno 2016

Pag. 1

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 11,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 10 giugno 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Battelli, Bellanova, Berlinghieri, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castelli, Castiglione, Causin, Censore, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gelli, Giacomelli, Gozi, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Tancredi, Tidei, Valeria Valente, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 11,35).

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, con lettera in data 10 giugno 2016, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze):
   S. 2362 – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione» (approvato dal Senato) (3892) – Parere delle Commissioni I, V, X, XI e XIV.

  Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal Pag. 2comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Grassi ed altri; Argentin ed altri; Miotto ed altri; Vargiu ed altri; Binetti ed altri; Rondini ed altri: Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (A.C. 698-1352-2205-2456-2578-2682-B) (ore 11,36).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge, già approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato, nn. 698-1352-2205-2456-2578-2682-B: Grassi ed altri; Argentin ed altri; Miotto ed altri; Vargiu ed altri; Binetti ed altri; Rondini ed altri: Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 10 giugno 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 698-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Elena Carnevali.

  ELENA CARNEVALI, Relatrice. Grazie, signora Presidente, sottosegretario e onorevoli colleghi, lascerò poi la relazione finale, della quale chiedo sia autorizzata la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
  Voglio sottolineare, in particolare, alcuni punti di questa proposta di legge. Sono passati due anni da quando abbiamo iniziato l'esame delle proposte di legge, tutte di iniziativa parlamentare; abbiamo affrontato un lungo iter, approfondito e migliorato il testo base con i lavori delle Commissioni e di Aula alla Camera e poi al Senato; abbiamo ascoltato e incontrato moltissimi rappresentanti di molte parti del Paese, persone con disabilità, famiglie, associazioni, operatori, rappresentanti del Terzo settore, istituzioni pubbliche. Possiamo dire oggi di essere alla vigilia dell'approvazione di questa proposta di legge. Come tutto, si può migliorare, ma è ora che dalla proposta si passi alla concretezza: corrispondere all'attesa di quasi vent'anni, per dare vita o continuità a molti dei progetti che stanno nascendo sui territori, progetti che sono nati soprattutto con il contributo delle fondazioni, degli elenchi degli enti locali lungimiranti, del Terzo settore.
  Io voglio ricordare in particolare che, se siamo arrivati qui, è sicuramente merito di un'attenzione molto diffusa, in particolare del mondo dell'associazionismo, ma voglio anche ricordare l'attenzione del Presidente Sergio Mattarella, che il 30 marzo, nella Giornata della disabilità intellettiva, ha toccato anche questo tema che noi per sintesi chiamiamo «dopo di noi», ma ci occupiamo anche della vita delle persone con disabilità durante la propria esistenza, perché non c’è nessun «dopo» se non si costruisce «durante» la vita delle persone con disabilità.
  Anche Clara Sereni, in quell'incontro, ha ricordato come questa angoscia pesa a volte più della fatica e delle rinunce a cui ci si sottopone per amore.
  Ma è merito anche dell'attenzione del Premier Renzi, della Ministra Boschi, della sottosegretaria Biondelli e anche di tutta l'Aula della Camera, se oggi possiamo dire Pag. 3di essere arrivati ad un testo che corrisponde alle attese che da tanto tempo sono ancora incompiute.
  Si può definire, quindi, una terziarizzazione del Welfare ? No, secondo me no, si tratta di una corresponsabilità, di sostenere questa mutualità e solidarietà; è una responsabilità pubblica che ci assumiamo, per la prima volta anche con finanziamenti da parte del pubblico, su una materia di competenza sociale, che in particolare è riportata in capo alle regioni, alle politiche e ai comuni.
  Vorrei ricordare che ho avuto la fortuna di partecipare, sabato, all'Assemblea nazionale dell'ANFFAS, dove ricordavano le parole di Eleanor Roosevelt: «Dove iniziano i diritti umani universali ? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità.»
  Bene, questo destino, dalla parte in particolare dei cittadini, ce lo prendiamo tutto e vogliamo che soprattutto si parta dai territori, dai luoghi in cui le persone hanno costruito i loro legami, hanno trovato spazio di partecipazione pubblica nella dimensione lavorativa e occupazionale. È lì che dobbiamo contrastare quella resistenza e ancora quella diffidenza culturale a considerare le persone con disabilità come soggetto attivo da coinvolgere nelle scelte. Ma questa rivoluzione copernicana, che è basata sugli impegni e sul riconoscimento diritti che ci siamo assunti con la sottoscrizione della Convenzione Onu, all'articolo 19, che abbiamo ratificato nel 2009 in Italia, è ancora molto lontana per alcuni perché possa realizzarsi.
  Questo testo unificato, che per semplificazione abbiamo chiamato «dopo di noi» si rivolge alle persone, si preoccupa di assicurare un futuro durante l'esistenza dei genitori, riconoscendo, come rafforzato al Senato, il diritto all'autodeterminazione, già presente nel testo approvato alla Camera. Assumiamo, come Stato, una responsabilità pubblica nelle pratiche sociali, una responsabilità in capo principalmente alle regioni e agli enti locali, in attesa di quella modifica del Titolo V contenuta nella riforma costituzionale, che riporta a rango dell'interesse nazionale le politiche sociali. E qui un pensiero lo rivolgo a Livia Turco, e a quella legge che per noi è ancora un punto di riferimento, la legge n. 328 del 2000, perché è stata, direi che possiamo considerarla la madrina del provvedimento che oggi in questa sede si realizza e che, purtroppo, ha visto in passato l'impossibilità do essere portato a compimento per ragioni di natura economica. E quindi abbiamo l'esigenza di superare questi ostacoli: dopo quindici anni da quella legge non abbiamo ancora i livelli essenziali di assistenza in sette anni di recessione, eppure riusciamo a superare questo ostacolo.
  Qualcuno – veramente pochi, devo dire – sostiene che di questo provvedimento non ce ne sia bisogno, perché l'esigibilità del diritto, se non ce la danno gli enti locali, ce la dà il giudice. Ma chi ha provato ad amministrare, chi ha amministrato, debbo dirvi, non vuole arrivare ad attendere la questione della indifferibilità di una prestazione, perché sappiamo cosa accade: che troviamo una risposta, ma non è la risposta congrua a quel progetto di vita che le persone costruiscono con affanno, con fatica, con successo, a volte anche con soddisfazione. Noi abbiamo il dovere, quindi, di attrezzare il nostro Paese a un'accoglienza diffusa, a una politica per la residenzialità adulta, che non può trovare risposte solo nell'istituzionalizzazione, quando c’è, come capita oggi.Pag. 4
  Noi ci muoviamo nel solco del rispetto della Convenzione dell'ONU, che dice che dobbiamo garantire, con lo stesso principio di uguaglianza, pari agli altri, il diritto di scegliere come e con chi vivere, non costretti, non vogliamo più ledere le libertà, nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, dei loro genitori o di chi ne tutela l'interesse, come è stato rafforzato al Senato. Irrinunciabile per noi è il riferimento all'articolo 5 che abbiamo difeso, abbiamo voluto con forza insieme alle associazioni, perché non si progetta un dopo se non è coerente a quel piano individuale. Alla Camera lo avevamo chiamato anche progetto di vita che è una dimensione dinamica, che è un'evoluzione, attraverso una presa in carico durante l'esistenza della vita dei genitori, come ribadito anche nel testo della Camera. È talmente forte questo richiamo, contenuto nell'articolo 1, sia nel comma 2 modificato al Senato che nel comma 3 del testo Camera, dove le politiche pubbliche per la disabilità grave sono integrate in aggiunta agli obblighi della legislazione in essere e garanzia per garanzia dei livelli essenziali di assistenza. Non lascia alcuno spazio a dubbi il carattere integrativo di queste misure che sono contenute in questo provvedimento con i progetti e con le prestazioni di carattere socio sanitario, come è stato aggiunto al Senato nell'articolo 2. L'impianto della Camera è di fatto rimasto inalterato: l'abbiamo votato qui, con la contrarietà solo del MoVimento 5 Stelle. Le integrazioni o le modifiche che hanno fatto al Senato riguardano in particolare: il richiamo alla condizione di disabile grave, all'articolo 3, in tutte le misure che sono riportate nel testo, la riaffermazione che ogni prestazione debba avvenire tenendo conto del superiore interesse delle persone con disabilità grave, la concessione delle esenzioni, delle agevolazioni fiscali e di altri negozi giuridici, oltre al trust, in particolare, ai vincoli di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile, concernente la trascrizione degli atti per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferiti alla persona con disabilità, alle pubbliche amministrazioni, ad altri enti o a persone fisiche, nonché a Fondi speciali costituiti in contratti di affidamento fiduciario assoggettato a vincoli di destinazione, anche in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
  Vorrei però, ricordare un aspetto, in particolare voglio porre un'enfasi sull'articolo 3, l'articolo 4 e l'articolo 5 che sono, di fatto, rimasti praticamente integri nel passaggio al Senato. Sottolineo l'articolo 2, al quale è stato aggiunto il concetto di integrazione e di collaborazione con i comuni, di cui avevo già fatto riferimento prima, e la modifiche, invece, al comma b) dell'articolo 4, per gli interventi di permanenza temporanea, dove giustamente si è voluto sottolineare il carattere residuale rispetto alla volontà delle persone. L'asse portante di questo provvedimento, vorrei richiamarlo, è, appunto, l'articolo 2: nelle more del procedimento di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni – articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011 previa intesa in Conferenza unificata è emanato un decreto per la definizione degli obiettivi di servizio entro i 6 mesi ed è prevista la realizzazione di un fondo (90 milioni per il 2016). Inoltre sottolineo l'impatto delle misure di cui all'articolo 5 e 6; ancora, il decreto per garantire l'accesso, i criteri e il riparto del fondo. Gli obiettivi di questo fondo sono: evitare l'istituzionalizzazione – lo si dice con chiarezza all'articolo 1 – e favorire la deistituzionalizzazione, questo è il primo punto dell'articolo 4; supportare la domiciliarità in abitazioni o gruppi-appartamenti che riproducano le condizioni abitative e relazionali delle case familiari. Guardate, noi siamo passati, da un approccio custodialistico, che era quello degli anni Sessanta e degli anni Settanta, al superamento delle politiche categoriali, almeno dal punto di vista culturale, purtroppo non sempre nella pratica. Anche in queso caso c’è un'altra piccola rivoluzione, nel provvedimento in esame perché noi diciamo che ci riferiamo, in particolare, alle persone con disabilità grave, non determinate dall'invecchiamento naturale delle persone.
  Quello che purtroppo succede ancora, e che non dovrebbe accadere, è che le Pag. 5persone che si trovano in luoghi scelti, adeguati, che compiutamente rispondono alle esigenze ed ai bisogni delle persone con disabilità, quando scatta l'orologio anagrafico del compimento del sessantacinquesimo anno, sono spesso costrette, purtroppo, a doversi rivolgere o ad essere, purtroppo, collocate – perché si usa anche questa parola – in residenze sanitarie per anziani. Noi vogliamo che questo non si realizzi più, che ci sia continuità per i progetti di vita delle persone, che lo scelgano liberamente e che sia riconosciuto il diritto dell'autodeterminazione. Quindi, siamo passati dalle politiche categoriali, abbiamo ormai fatto nostro il concetto di presa in carico e il concetto di diritti, ma ci sono ancora troppi vincoli, troppe disuguaglianze territoriali, ce lo ricordava anche il Presidente Mattarella, sempre il 3 marzo; e c’è ancora un altro punto che voglio sottolineare, qui, in questa Camera, perché molto poi dipenderà dall'attuazione dei decreti attuativi e dal ruolo che avranno le regioni, in particolare. Guardate, ci sono territori che sono molto attrezzati, che hanno anche delle strutture particolarmente adeguate, ma, purtroppo, ancora troppi vincoli sono dati dagli standard strutturali, dagli standard gestionali dei servizi accreditati che regolano loro la vita delle persone che vivono in questi luoghi, e noi dobbiamo superare questa condizione, dobbiamo garantire il controllo pubblico, perché non avvengano più quelle esperienze drammatiche di segregazione e di maltrattamento. Dobbiamo rendere i luoghi permeabili, dobbiamo consentire, soprattutto, che le persone vivano esperienze relazionali, vivano soprattutto nei luoghi, con quella garanzia del riconoscimento della dignità delle persone. Si tratta di un approccio di programmazione che deve essere centrato sulla persona, sulla qualità della vita all'interno dei servizi, la comunità come contesto per la qualità di vita e il sostegno individuale, per promuovere quegli otto domini, una ricerca di ANFFAS lo sottolinea con particolare attenzione: sviluppo personale, autodeterminazione, relazioni interpersonali, inclusione sociale, diritti, benessere fisico, benessere emozionale, e benessere materiale. Vogliamo che la residenzialità adulta sia basata sulla libertà di scelta, vogliamo luoghi dove si riproducano le condizione abitative, una società è più povera quando non compie e quando, soprattutto, comprime la libertà altrui, ci ricordava sempre il Presidente Mattarella. Desideriamo, come chiesto dalle associazioni, curare una comunità per curare le persone, facendo crescere i diritti e gli spazi di partecipazione, ma questa legge, vi dicevo prima, noi per sintesi l'abbiamo definita «Dopo di noi»; si occupa soprattutto, alla lettera d) dell'articolo 4, di sostenere il finanziamento dei programmi e l'accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze; senza questo, nessun «dopo» è compiuto in modo autentico e nel rispetto delle persone.
  Io, signora Presidente, credo che siamo arrivati ad un certo punto anche con le integrazioni che in particolare sono state compiute al Senato, in riferimento all'articolo 6, dove oltre agli istituti del trust sono stati, introdotti anche gli istituti dei vincoli di destinazione e fondi speciali composti di beni sottoposti a vincoli di destinazione in riferimento all'articolo 2645-ter. Qualcuno dice: ma noi stiamo – come dire – espungendo il welfare, terzializzando il welfare, abbiamo puntato tutto sulle assicurazioni, abbiamo puntato tutto, in particolare, sul cercare, anche, di tutelare le risorse patrimoniali, mobiliari delle persone o dei familiari delle persone con disabilità; noi lo sappiamo, per garantire una tutela, per garantire la cura, tanti o pochi che siano vengono utilizzati e vengono accantonati. Vi vorrei porre questa domanda: non sarebbe stata, invece, una discriminazione continuare ad agire nei confronti di queste possibilità, senza tenere conto che queste sono fatte proprio in favore delle persone con disabilità ? E allora è giusto, ed è stato giusto introdurre delle agevolazioni, queste non sono una sostituzione del welfare pubblico, che c’è ed è scritto con chiarezza nel fondo: pubbliche; possono essere sussidiarie e molto conta anche l'intermediazione delle associazioni. Pag. 6Lo diciamo con chiarezza, sempre nel comma 2 dell'articolo 4, le regioni e gli enti locali possono, insieme alle associazioni – il terzo settore, le associazioni familiari – promuovere questi progetti. Noi vogliamo riproporre quella mutualità che si è andata anche inaridendo. Noi vogliamo che queste risorse pubbliche diventino – e sono – una compartecipazione, perché solo recuperando quella situazione e quella condizione solidaristica riusciamo soprattutto a riproporre quella dimensione culturale che solo grazie – devo dire solo grazie – all'associazionismo e agli enti locali si è tenuta in vita.
  Io ho avuto la fortuna di poter fare il relatore e, ricoprendo questo ruolo, sono quasi venti mesi che giro l'Italia davvero in lungo e in largo. Credo di avere incontrato moltissime associazioni familiari, e tutti ci dicono questa cosa: dovete andare avanti ! Noi dobbiamo fare questa rivoluzione copernicana. È cresciuta una cultura, ma ci hanno anche ricordato che da tanto tempo c’è un po’ di disattenzione. Questo provvedimento lo dobbiamo mettere insieme a quello che abbiamo già fatto in questi anni; voglio ricordare, per esempio, la legge sull'autismo, i provvedimenti e le scelte che abbiamo fatto anche nelle leggi finanziarie; forse risorse che sono anni, anni e anni che abbiamo dimenticato nelle politiche pubbliche.
  Credo che questo corrisponda ancora maggiormente a un'esigenza particolarmente sentita: il welfare attento alle persone con disabilità non deve abbandonare i familiari nell'incubo del «dopo di noi», perché la presa in carico della persona è un percorso graduale, che garantisce forme di assistenza diverse durante tutto il percorso della vita; garantisce cittadinanza, dunque inclusione nella società, a partire dalla scuola e a partire dal lavoro. Quindi una cultura, una conoscenza diffusa e il senso di umanità sono il valore che si attribuisce alla solidarietà e alla differenza. Un Paese è più ricco, cara Presidente – e concludo –, se percepisce le diversità come un fattore di ricchezza: queste sono le parole a noi care del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, sottosegretaria Biondelli.

  FRANCA BIONDELLI, Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Presidente, gentili deputate e deputati, il provvedimento che oggi ci apprestiamo a votare è frutto di un lungo lavoro, in Senato si è cercato poi di migliorare ancora di più questa legge già così importante, condivisa da tanti gruppi e alla quale anche il Governo ha dato naturalmente il proprio fattivo apporto. Ciò nella consapevolezza della necessità di prevedere disposizioni a tutela della persona con disabilità grave anche nel momento in cui venga meno il sostegno familiare, in un percorso ideale la cui tappa finale è il benessere, la piena inclusione sociale, l'autonomia della persona. Le disposizioni recate da questo disegno di legge – vorrei ribadirlo – hanno come finalità quella di garantire il superiore interesse delle persone con disabilità grave, come recita appunto l'articolo 1. Allo stesso tempo si fornisce una risposta da tanto attesa a quelle famiglie che vivono oggi l'inquietudine, l'angoscia, la preoccupazione nell'immaginare la vita dei loro cari in un futuro senza la loro presenza. È questa la vera essenza del «dopo di noi». In Senato, le modifiche migliorative delle norme hanno rafforzato sia la soggettività delle persone con disabilità grave sia il ruolo di sostegno dei genitori. Le condizioni di disabilità non riguardano solo le persone che ne sono colpite e le loro famiglie, ma anche le comunità e le istituzioni, che devono operare in stretta collaborazione, in rete, nei livelli di responsabilità.
  Vorrei spendere qualche parola sul Fondo del «dopo di noi», per il quale si prevede, in tre anni, uno stanziamento di oltre 150 milioni, pensando proprio ad una programmazione strutturata; ed è questo l'importante passaggio: «strutturata» del provvedimento. Con questa legge Pag. 7diamo alle famiglie e alle persone con disabilità la possibilità di avere un futuro migliore e più sereno. Abbiamo messo a disposizione risorse – forse ce ne vorranno di più, me ne rendo conto, ma abbiamo fatto quello che potevamo – e strumenti, che non vogliono imporre comunque un percorso standard ma diversi percorsi. Le finalità del Fondo (l'articolo 4) consistono nel favorire e potenziare la deistituzionalizzazione, che non è una belligeranza con le RSA o con altri istituti, ma crediamo tuttavia che, con intenti sicuramente più innovativi quali ad esempio le case famiglia o le esperienze di gruppo o di appartamento, si possa dare una risposta per le progettazioni sperimentali che si realizzano esclusivamente durante la vita in famiglia delle persone con disabilità.
  Le modifiche, poi, che sono state proposte all'articolo 6 – lo diceva prima la relatrice – hanno ampliato maggiormente gli strumenti previsti in favore dei disabili gravi; oltre al trust e alle polizze assicurative è stato previsto un ampio ventaglio di ipotesi, tale da poter essere più confacenti alle diverse esigenze delle famiglie. Oggi, con l'approvazione definitiva di questa legge, stiamo facendo qualcosa di estremamente importante: per la prima volta si danno risposte concrete a quelle famiglie, in particolar modo a quei genitori, spesso anche anziani, che si sono presi cura del proprio figlio o figlia gravemente disabile e che quotidianamente vivono con l'angoscia e il tormento ponendosi l'interrogativo di chi si occuperà dei loro familiari quando non ci saranno più o quando non saranno più in grado di assisterli.
  Credo che oggi sia una giornata importante, positiva per tutti. Voglio davvero ringraziare la relatrice, onorevole Carnevali, il presidente della Commissione e tutti voi parlamentari. Oggi forse, con questo provvedimento, i genitori e i familiari si sentiranno più sereni e più garantiti, e io sono una di quei familiari che si sente più garantita e per questo vi ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ileana Argentin. Ne ha facoltà.

  ILEANA ARGENTIN. Presidente, Governo, colleghi, partirei con il ringraziare la relatrice ed il mio gruppo di appartenenza. Difficilmente parlo del PD, ma credo che questa volta vada riconosciuta a questo partito un'attenzione e una voglia di cambiare le cose, di dare risposta alle persone più fragili, che si è vista in tutti i partiti ma non con la stessa sensibilità ed attenzione.
  In particolare, credo che da anni, da sempre continuiamo a ribadire che l'importanza è ricordare chi ha meno forza per gridare, per dare voce ai propri bisogni. Ieri, Papa Francesco, nel Giubileo del disabile, ha detto una gran cosa, secondo me, delle parole meravigliose, cioè che in un'epoca in cui il corpo e la perfezione del corpo è quello che conta, chi non è così viene messo da parte (Applausi delle deputate Miotto e Cinzia Maria Fontana). Noi non l'abbiamo fatto. Noi del PD e l'intera Commissione affari sociali abbiamo creduto ancora una volta che le cose possono cambiare. Noi non abbiamo dimenticato i gravissimi, non abbiamo dimenticato soprattutto i genitori, perché questa legge, per chiunque non l'abbia capito, secondo me – lo dico con umiltà ma con piena convinzione –, è una legge rivolta al supporto delle famiglie, il disabile ne è una conseguenza. Cioè, noi cerchiamo di dare una risposta vera e concreta al disabile grave ma puntando anche sulla necessità di dare serenità e continuità a tutti gli sforzi che i genitori negli anni hanno fatto per supportare delle vite bellissime ma complesse, faticose e pesanti.
  Quando si immagina un disabile, ci si immagina sempre uno in carrozzina biondo con gli occhi azzurri che magari ha avuto un incidente. Per carità di Dio, è tutta un'altra storia ! Ben venga il disabile – e non vorrei certo aprire qui una guerra fra i vari tipi di disabile –, ma il disabile vero è quello che non si autodetermina, è quello che non ha la forza fisica per alzarsi la mattina dal letto, per fare pipì; e tutto questo a noi fa un po’ paura; Pag. 8abbiamo paura delle proiezioni di come si può diventare o non diventare... Tranquilli, nessuno diventerà disabile, però rispondiamo ai bisogni dei disabili, non dimentichiamoli. Perché, per una protesta politica, qualcuno dice «no» alla disabilità e «no» al «dopo di noi» ? Ciò perché comunque protestare ha un senso ? È chiaro che non c’è un consenso generalizzato, perché da sempre ogni persona è diversa dall'altra e ognuno immagina un «dopo di noi» diverso dall'altro.
  Ma noi abbiamo fatto un grandissimo sforzo – e io ne sono grata alla relatrice – per cercare di mettere insieme le visioni diverse e i percorsi per raggiungere il dopo di noi che ci accomunano. Perché non vogliono riconoscere uno sforzo economico ? Togliere ad alcuni per dare ad altri è comunque una scelta politica importante, e io (tutti sanno che non sono una «renziana») voglio ringraziare Matteo Renzi, perché ha fatto una cosa speciale: non perché ha garantito i nostri diritti, ma perché ha fatto una cosa che nessun altro Premier aveva fatto, cioè ha deciso di fare un capitolo di bilancio, e 180 milioni di euro non sono bazzecole. E perché ha scelto i disabili e non i rom ? E perché ha scelto i disabili e non i poveri ? Per una sua attenzione, per una sua voglia di cambiare una cultura becera come quella che alcuni politici in quest'Aula hanno mostrato soltanto per il gusto di dire «no». Nella vita bisogna dire anche dei «sì» ! Il «sì» è una cosa importante quando si risponde a bisogni di chi – ripeto – non ha forza per gridare.
  Io sono in quest'Aula, e oggi vedete, ho anche la carrozzina e mi sono sollevata, perché sono molto felice, perché questa legislatura per me, ma credo per molte persone di questo Paese, potrebbe finire domani, quando si darà il voto finale. Elena ha fatto un lavoro gigantesco, la nostra relatrice, ma voglio dire anche la nostra sottosegretaria; ma quello che ci tengo a dire in modo più forte e più vero, è che Papa Francesco ieri, dopo aver detto quelle parole, ne ha dette altre molto belle, e cioè: la diversità è un patrimonio, cancellare le diversità vuol dire cancellare la possibilità di essere.
  Io sono Ileana Argentin, il deputato, quello handicappato: va benissimo, mi riconoscono, ha un senso, anche questo ha un senso; ma ci tengo a dire che sono Ileana Argentin, quella del PD, del Partito Democratico: quella disabile, ma quella del Partito Democratico, perché non è un caso che abbia scelto questo partito rispetto ad altri. Quando si dice che la disabilità è trasversale si dice una gran bugia, perché c’è chi monetizza e c’è chi dà risposte serie. Niente di più facile che istituire un voucher sul «dopo di noi», dare ad un genitore 10 mila euro e dire: pensa te e fai quel che credi; ma non è così, lo Stato non se ne è lavato le mani, e Renzi non l'ha fatto. Così come non l'ha fatto la Ministra Boschi e tutto il Governo, in particolare la Biondelli e tutti i sottosegretari attenti a questo percorso.
  Non dico che siamo i migliori, siamo pieni di difetti, abbiamo fatto un sacco di «casini»; e mi scuso per questo termine, ma secondo me li facciamo costantemente e ogni giorno complichiamo la vita ad alcuni. Ma questa volta non l'abbiamo fatto, fatecelo dire una volta che non sbagliamo ! Abbiamo fatto un bel lavoro, e lo dico come disabile; ma vedete perché lo dico come disabile, perché ho una madre, un padre ed una sorella, e so che ancora oggi mia madre... Vi premetto che ho due lauree, che faccio il deputato, che ho delle risposte di vita, un compagno; mia madre dice: spero tanto a mamma che tu chiudi gli occhi un giorno prima che li chiude mamma. Ma perché è normale, perché ha paura di quello che sarà la mia vita dopo ! Eppure io sono una donna arrivata, concretizzata, ho un mio compagno, la mia vita; ma lei mi dice ancora: spero tanto, non per egoismo, ma perché non so che succederà. E lo dice anche mio padre in modo diverso, ma mi ha blindato economicamente: un conto corrente, una storia, devi stare attenta, il dopo, chi ti sta accanto... Queste famiglie sono piene di problemi, perché per tutta la vita... Voi immaginate che cosa vuol dire generare un Pag. 9figlio disabile ! Tutti i genitori vorrebbero un figlio sano, forte e bello; quando ti arriva «sfigato», te lo tieni, però per tutta la vita vuoi colmare quei limiti, vuoi cercare di rendere pari opportunità.
  E poi le nostre sorelle, i nostri fratelli: il senso del peso di non essere disabile rispetto a chi lo è, ma guardate che non è una roba normale ! A me fa molta tenerezza mia sorella, perché io penso che per tutta la vita ha dovuto tranquillizzare mia madre e mio padre su quello che sarà dopo di loro. Voi rendetevi conto, lei non ha avuto che una colpa, quella di nascere nella stessa famiglia. È una ragazza forte, sana, bella, sposata, con due figli: perché ha dovuto per tutta la vita tranquillizzare mia madre e mio padre ?
  Perché non c'era uno Stato, uno Stato attento, pronto. Ora c’è ! Ora c’è, e lo dobbiamo dire: c’è perché c’è Renzi; ragazzi, quando bisogna dirlo, bisogna dirlo. Non c’è stato con Prodi, lo dico perché anche bisogna dirlo; non c’è stato con Berlusconi, che tagliava e spaccava e rompeva quel che ha potuto.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ILEANA ARGENTIN. Un minuto, perfetto. E non ci sarà neanche domani, se noi non lo ricordiamo a tutti.
  La non autosufficienza non è stata toccata, è un capitolo di bilancio che è rimasto integro, ed è nato un nuovo capitolo di bilancio, che si occupa di quelli brutti, un po’ storti, ma sicuramente gran «fighi»: siamo noi. Grazie Renzi, grazie a questo Governo, e soprattutto pari opportunità per tutti: questa legge ci insegna come si fa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e della deputata Binetti).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimo Enrico Baroni, ma non è presente in Aula: si intende che vi abbia rinunziato.
  È iscritta a parlare la deputata Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, Governo, colleghi, mi è sembrata veramente una felice coincidenza ieri, quando il Santo Padre ha celebrato in piazza San Pietro il Giubileo per i disabili; e mi è sembrata una di quelle coincidenze belle, che arrivassero delle risposte da quella sensibilità che parlava al mondo intero, e questo nostro lavoro di oggi, che viene dopo... Ma io penso perlomeno due anni, tre anni di lavoro serio su questo disegno di legge ! Ci abbiamo lavorato con grande attenzione alla Camera, e se teniamo conto di quella che è la tempistica di queste cose, veramente qualche data può essere interessante: noi avevamo licenziato il nostro disegno di legge il 4 febbraio 2016 per mandarlo al Senato, ci è tornato il 26 maggio, e oggi è il 12 giugno e con un pizzico di fortuna il 13 giugno riusciremo ad approvare questo provvedimento.
  Questo vuol dire che c’è stata un'attenzione davvero forte; e questa attenzione alla disabilità... Ricordo davvero alcune delle parole che diceva ieri Papa Francesco, quando diceva: si ritiene che una persona malata o disabile non possa essere felice perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento. Ma questo anche perché noi misuriamo il livello delle aspettative, delle illusioni e dei desideri delle persone disabili con la scala che è quella dei nostri bisogni; ma è anche vero che questo accade perché viviamo in un'epoca in cui una certa cura del corpo è diventata mito di massa, e dunque affare economico, per cui ciò che è imperfetto deve essere oscurato perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante. Meglio – ha denunciato Papa Francesco – tenere queste persone separate, in qualche recinto, magari dorato, o nelle riserve del pietismo e dell'assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere.
  Queste le parole del Papa ieri, e questa una delle linee direttive più importanti di questo provvedimento. Questo testo unificato ha avuto sempre presente nel dibattito che è stato svolto (perlomeno nella nostra Commissione) il rischio che si volesse affrontare il tema del «dopo di noi» (poi tornerò su questa dizione) creando Pag. 10nuove, diverse, magari più dorate forme di marginalizzazione. Viceversa abbiamo sempre avuto presente come l'obiettivo dominante fosse quello di sottolineare la volontà della persona; e ho visto con piacere come nelle modifiche che sono state apportate al Senato è stato ulteriormente sottolineato questo concetto, quello che sintetizzano a volte le associazioni, quando si dice: tutto con noi, tutto per noi ma niente senza di noi. Il provvedimento, così come ci ritorna dal Senato, su questo punto esprime una sottolineatura molto forte, su quella che è la volontà del disabile, su quella che è la necessità di garantire il rispetto massimo per i suoi desideri; il che – insisto – passa attraverso anche uno stigma preciso, che noi vogliamo porre al rischio che questo si traduca in una nuova, magari più elegante, forma di marginalizzazione.
  Il tema vero è per i genitori la possibilità di garantire al proprio figlio le condizioni migliori per poter continuare a vivere la propria esistenza, realizzando ciò che rientra nell'esperienza dei propri talenti, delle proprie capacità e delle proprie possibilità. È esattamente la stessa cosa che desiderano per ogni figlio, perché ognuno di noi deve fare i conti, nella sua quotidianità, con il senso del limite, ognuno di noi deve fare i conti, nella nostra quotidianità, con quella capacità di dare senso alle situazioni in cui siamo immersi, anche le situazioni più difficili. Non a caso, sempre il discorso di ieri di Papa Francesco sottolineava come il rischio di una disabilità transitoria sia nella vita di tutti quanti noi, ed è forse proprio quell'esperienza di disabilità, sia pure nella transitorietà, che ci rende più idonei a capire i bisogni degli altri, più idonei a metterci dalla loro parte.
  Questo è un aspetto che, anche nel passaggio al Senato, io ritengo abbia contribuito a migliorare in parte la proposta di legge. Ha contribuito perché, proprio nella sigla, che credo sarà difficile togliere a questa proposta di legge, del «dopo di noi», più volte era stato stressato dalle associazioni dei genitori il concetto che non esiste un «dopo di noi» se non esiste un immediato «tra noi», se non si comincia da subito, e nella nuova formulazione la proposta di legge ha delle belle e interessanti sottolineature proprio nel supporto alla genitorialità che va fornito quando i genitori ci sono ancora, quando questi genitori sono in condizioni e in grado di prendersi cura dei propri figli. Ma sono loro stessi che debbono rinunciare a un atteggiamento educativo che potrebbe essere in un certo senso borderline, con un atteggiamento un po’ di pietas, e comunque di un protezionismo che non permette di sviluppare i talenti all'interno della specificità di ognuno, il massimo possibile dei talenti di autonomia.
  Quindi, il sostegno ai genitori è un sostegno all'educazione di questi genitori, perché, a loro volta, sappiano educare i propri figli mettendoli in condizioni il più possibile, ognuno nella sua realtà concreta, di far da sé. Questa seconda operazione rafforza notevolmente il vincolo familiare, cioè la relazione forte che c’è tra la persona disabile, i suoi genitori, i suoi fratelli e anche il cerchio della famiglia, anche a volte una famiglia più allargata, con gli zii, con i nonni, eccetera. Questo mi permette di dire che questa proposta di legge è anche una chiamata molto forte alle politiche per la famiglia, perché mai come in questa proposta di legge è fatta esplicita la necessità di consolidare i legami familiari; mai come in questa proposta di legge si sottolinea tanto che questa persona, nel momento in cui, per ipotesi, dovesse recidere il legame con la propria famiglia, semplicemente perché vengono meno i genitori, se non è stata costruita la dimensione di continuità, se non c’è la possibilità che quel genitore continui ad essere accanto a questi figli con i modi, con i tempi e con le soluzioni che sarà stato possibile mettere in piedi grazie a formule economiche, grazie a formule tecnologiche, grazie a modelli sociali, ebbene questa persona non potrebbe trovare questa capacità di riconciliarsi con una storia che indubbiamente mette sulle sue spalle un carico di difficoltà maggiore di quanto non faccia con altre persone.Pag. 11
  Quindi, questa proposta di legge è importante anche nella lettura del ruolo della famiglia, famiglie a legami labili, famiglie a legami liquidi, famiglie in cui il vincolo affettivo non si sostanzia nel senso di responsabilità reciproca, nel senso di un'etica della cura e di una presa in carico profonda, che quindi soddisfa non soltanto ciò che mi piacerebbe, ma ciò che piacerebbe a te, ciò di cui tu hai bisogno, ciò che io posso fare per te. Questo ci aiuta a capire anche, più e meglio, che cosa sia la famiglia: alla fin fine, la famiglia è questo, famiglia è solidarietà profonda, e, come sempre si dice, la solidarietà la si vede e la si tocca con mano proprio nel momento del bisogno.
  E mi è sembrato molto positivo che il Senato avesse voluto sottolineare questo: in un dibattito in cui la tematica che riguarda la famiglia è una tematica che, a volte, va per altre linee, ricordare che la famiglia è sostanzialmente un'etica della responsabilità reciproca, vissuta, evidentemente, con amore e non con un senso astratto di senso del dovere, ma vissuta come quella capacità di riconoscersi carne della mia carne, parte stessa di me, questo mi è sembrato un punto molto bello e molto buono della nuova formulazione della proposta di legge, così come ci è stata rimandata dal Senato.
  Un altro aspetto che, devo dire, mi ha fatto molto piacere – ma forse questo è un po’ autoreferenziale – è il fatto che, quando la proposta di legge era stata alla Camera, più di una volta io avevo insistito, anche con una serie di emendamenti presentati e opportunamente o inopportunamente bocciati, sul fatto che non ci fosse solo la formula del trust come formula di sostegno e di supporto a questi ragazzi, ma che ci potessero essere anche altre modalità giuridiche, che davvero si potessero creare, attraverso le fondazioni che non hanno scopo di lucro, possibilità concrete di partecipare a queste iniziative che sostengono il diritto alla vita serena, alla vita felice di queste persone.
  E mi sembra che, anche da questo punto di vista, il Senato abbia recepito come la pluralità dei modelli di riferimento che ci sono in Italia permetta di mettere a disposizione di queste persone una complessità di formule che poi starà adesso a tutti noi, anche alle associazioni in modo particolare, studiare e capire come possano essere messe a disposizione per implementare quella che è una risorsa concreta che il Governo ha voluto mettere, un fondo concreto.
  Questa non è una legge a isorisorse, questa è una legge che ha un suo finanziamento; un finanziamento che non è indifferente, un finanziamento, quindi, che il Governo ha voluto mettere in primo piano per esprimere anche una dimensione di solidarietà stessa del Governo e della legislatura nei confronti delle persone che presentano problematiche di vario tipo, in questo caso problematiche legate alla diversa abilità, quantomeno, e quindi, però, non è nemmeno una legge finanziata esclusivamente con fondi dello Stato.
  È una legge che, dal punto di vista della convergenza dei modelli di solidarietà, riesce a mettere in piedi un privato sociale, riesce a mettere in piedi uno Stato che si fa servizio, e lo si fa non in virtù di regole standard, univoche per tutti, ma lo fa intercettando e interpretando quelli che saranno progetti fortemente personalizzati che queste persone, queste famiglie, vorranno fare per i propri cari. Quindi, anche da questo punto di vista, non ci si è rifugiati in una semplificazione riduttiva; si è assunto il senso della complessità e, nel senso della complessità, si è anche assunto il senso di una solidarietà a 360 gradi.
  Quindi, ben vengano le risorse che le famiglie mettono a disposizione, ben vengano i fondi che lo Stato ha reso disponibili, ma ben vengano anche tutte quelle altre molteplicità di iniziative solidali che vengono incontro a questi ragazzi.
  Questo ci dà l'idea di una complessità in cui la nostra società si riprende la responsabilità di considerare la fragilità come qualcosa che ci riguarda tutti. Non è qualcosa che riguarda solo quella persona, che riguarda solo quella famiglia, che riguarda solo quella situazione: è una Pag. 12cosa che ci fa sentire tutti quanti coinvolti, ed è questo che, in fondo, dà l'idea, anche sul piano culturale, della pregnanza di questa proposta di legge, perché, se all'inizio, anche, come ho citato, nelle parole del Santo Padre, sembra quasi che la nostra sia una società in cerca del benessere, una società che fa dei modelli economici, oltre che dei modelli del perfezionismo corporeo, i suoi ancoraggi di riferimento, questa legge ci dice: fermi tutti, tutti possiamo renderci più utili, tutti possiamo metterci a disposizione, tutti possiamo fare qualcosa.
  E anche questo è un buon modo di far sentire le famiglie meno sole. Non ci sono solo io a dovermi fare carico di mio figlio, non c’è nemmeno solo lo Stato, che, in qualche modo, assume una responsabilità coerente con il famoso articolo 32 della Costituzione, ma c’è una società, ed è la garanzia di questo consenso diffuso e distribuito sul territorio che ci aiuta a renderci tutti più umani e, in qualche modo, più capaci di rendere migliore il mondo in cui viviamo.
  Un altro aspetto che, a mio avviso, al Senato è stato sottolineato, ed è stato sottolineato positivamente, rappresenta una di quelle direttive di riflessione su cui sono anni che noi ci battiamo. Mi riferisco, concretamente, all'integrazione tra la dimensione sanitaria e la dimensione sociale. Tutti siamo nell'aspettativa, anzi, forse questa è una delle cose che ci saremmo aspettati che la riforma della Costituzione avrebbe assunto con maggiore senso di responsabilità e con maggiore forse creatività, ovvero restituire a una sorta di centralità del Governo non soltanto le politiche di tipo sanitario, ma anche le direttive generali delle politiche di tipo sociale.
  Però, devo dire che questa legge segna un punto importante: nel momento in cui accanto ai LEA dà spazio ai LEP, e quindi a queste prestazioni che non sono solo sanitarie, sono anche prestazioni sociali, ci dice come sia impossibile spaccare con l'accetta i bisogni sanitari dai bisogni sociali.
  Moltissimi dei bisogni che queste persone esprimono sono bisogni di natura sociale, sono bisogni che, se disattesi sul piano sociale, hanno una ricaduta drammatica sul piano sanitario. L'aver recuperato, all'interno delle politiche sociosanitarie, anche una visione unitaria del soggetto, ci aiuta a immaginare la persona come una persona portatrice di problemi che possono forse, come ente di ragione, essere distinti, ma che non possono essere distinti nell'esperienza e nella vita quotidiana. Questo passaggio della legge mi è sembrato un passaggio non solo importante, non solo efficace, non solo necessario, ma mi è sembrato uno di quei passaggi che, dal punto di vista metodologico, potrebbe segnare il cambiamento di paradigma rispetto a quello che attualmente succede. Per cui, da un lato, abbiamo i livelli essenziali di assistenza, con alcune prestazioni, con il riferimento che si fa al Ministero della salute e, dall'altro abbiamo le misure, chiamiamole così, di un sociale che fa riferimento a politiche più locali e che quindi è subordinato a ragioni di bilancio, a ragioni di cultura, a ragioni di scelte. In questo caso, con questa legge, davanti a questa platea, noi abbiamo davvero ricostituito una saldatura importante e spero che questo funzioni da falsariga anche per altre situazioni.
  Altro aspetto interessante di questa legge – noi ne avevamo già parlato molto nel dibattito in Commissione, però forse non eravamo riusciti a renderlo così chiaro – è il fatto che questa legge fa salve tutte le altre leggi che, in qualche modo, finora, si sono espresse a favore dei diritti di queste persone. Quindi, questo è ribadito nella legge al Senato, è ribadito come una responsabilità che viene sottolineata, è un fatto dovuto. Questa legge non sostituisce le altre leggi, in qualche modo ne dà una lettura unitaria, ne dà una lettura integrata, aggiunge risorse, è un valore aggiunto, ma non toglie a ciò che era già un diritto acquisito da parte di queste persone e delle loro famiglie.
  Vi è un altro aspetto, secondo me, interessante, che mi sembra sia frutto di Pag. 13un'audizione fatta al Senato. Noi c'eravamo chiesti molte volte, la relatrice lo ricorda sicuramente: ma quanti sono questi disabili gravi ? Anche in termini di bilancio, di quante persone dobbiamo parlare ? La formula che viene data è una formula con una forbice molto ampia, perché oscilla tra 100 mila e 150 mila; 150 mila non sono moltissimi però se io penso a 100 mila vuol dire che quasi un terzo di questo potrebbe esserci in più o in meno. Però è interessante l'idea del modello che è stato utilizzato per calcolare questo. È stato un modello suggerito dall'INPS: sono coloro che sono in determinate condizioni, che godono di un determinato tipo di risorsa che viene incontro alle loro necessità; questa è la platea definita per venire incontro ai bisogni delle persone. Mi sembra una buona risposta. Dico questo perché in fondo 100 mila persone sono tante, perché per ogni famiglia anche una sola persona è sufficiente a richiedere al modello familiare di riorganizzare totalmente il contesto complessivo. Però, in un Paese come il nostro, 100 mila persone sono persone di cui ci si può far carico onestamente, intelligentemente e anche generosamente. Questa è la risposta che dobbiamo dare. Mai più vorremmo immaginare che tra i famosi 11 milioni di italiani che rinunciano a curarsi per motivi di crisi economica, rilavati solo pochi giorni fa dalla relazione del Censis, ci fossero alcune di queste persone gravemente disabili a cui vengono meno delle risorse e per cui sono esposte poi a una fragilità aggiunta.
  Questo ci dice che è possibile prendersi cura di una cifra così, in un panorama che in qualche modo è meno labile, meno liquido di quello che forse avevamo pensato; questo è importante. Esattamente come è importante, e qui ritorno alla forbice fra 100 mila e 150 mila, che quando si pensa a queste persone la rappresentazione mentale non sia solo quella del disabile gravissimo, ma che si sia acquisita l'idea che anche la gravità (l'articolo 1 definisce la gravità in base a una norma di legge precedente), possa essere, come dire, inclusiva di forme forse non così al 100 per cento, ma non per questo esposte a un minor grado di disagio, a un minor grado di sofferenza. Quindi, ci sarà anche l'intelligenza di legislatore, l'intelligenza dell'amministratore, l'intelligenza che a livello regionale, a livello locale, cercherà di dare un'interpretazione operativa alla legge che permetterà di venire incontro ai bisogni di queste persone.
  Credo che questa legge sia davvero una buona legge e che meriti di essere approvata presto, al di là di qualunque strumentalizzazione. Noi non facciamo e non approviamo questa altra legge sul cosiddetto «dopo di noi», perché in questo momento, come qualcuno ha voluto dire, risponde a una logica, chiamiamola così, elettorale. Non è questo, qui si risponde invece a una logica sostanziale per cui uno Stato, un Governo, si interroga a partire dai bisogni delle persone che sono maggiormente in difficoltà. È una legge che intercetta il senso della giustizia sociale e nel senso della giustizia sociale io credo che si esprima più e meglio la dignità stessa di una forma di Governo. Quindi, ben venga questa legge, ci auguriamo davvero che possa essere approvata quanto prima. Siamo contenti del passaggio avvenuto al Senato, che è stato un passaggio di buona pratica, e ci auguriamo davvero che poi, nel momento in cui sarà pubblicata, trovi tutta l'applicazione che desideriamo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Occhiuto. Ne ha facoltà.

  ROBERTO OCCHIUTO. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, io oggi rappresento in Aula un gruppo di opposizione e però non ho difficoltà ad annunciare già fin da ora, nella fase appunto di discussione generale del testo in esame, che il mio gruppo voterà a favore di questo testo e lo farà in maniera convinta perché, al di là dei ruoli e delle responsabilità assegnatici in quest'Aula, io credo che questa materia debba essere in qualche modo una materia afferente a quel territorio della politica che è zona franca rispetto alle appartenenze. Pag. 14
  Faceva bene anche la relatrice a ricordare che questo è l'auspicio che ha rivolto alla politica anche il Presidente della Repubblica, il Presidente Mattarella. L'impegno ad approvare questo testo è un impegno meritorio, che è giusto che in qualche modo sia condiviso, sia dalla maggioranza, sia dall'opposizione, perché è un impegno volto a occuparsi, e prendo in prestito delle parole che ho molto apprezzato della deputata Argentin, di vite bellissime, ma di vite faticose e di famiglie che in qualche modo si occupano di conservare la bellezza di queste vite in un contesto però di estrema fatica.
  Per questa ragione noi, fin da oggi, annunciamo che voteremo a favore di questo provvedimento che per la seconda volta, dopo l'approvazione del Senato, oggi esaminiamo in quest'Aula.
  È un provvedimento che è frutto non solo del lavoro parlamentare. Io non faccio parte della Commissione che se n’è occupata in sede referente, ma anch'io ho registrato la passione, l'impegno della relatrice nel sostegno a questo provvedimento e credo che questo impegno e questa passione gli vadano riconosciuti anche dall'altra parte dell'emiciclo parlamentare.
  Quindi, è un provvedimento che è, sì, di iniziativa parlamentare, ma che è frutto anche del prezioso lavoro e dell'esperienza portata avanti da associazioni di famiglie, da case famiglie, da fondazioni, da enti locali, che costituiscono da sempre il vero welfare per le famiglie e che si confrontano ogni giorno con situazioni di disabilità.
  Oserei dire che questo provvedimento è un provvedimento che realizza davvero la sussidiarietà, che spesso richiamiamo ma che non riusciamo a realizzare nei provvedimenti che discutiamo; la realizza, per così dire, sia nella fase ascendente, quella che è stata allegata alla stesura del testo, sia nella fase discendente, perché prevede il coinvolgimento di organizzazioni private, che in qualche modo aggiungono il loro impegno e le loro risorse a quelle dello Stato. Quindi, un buon provvedimento anche nella direzione di realizzare compiutamente i principi di sussidiarietà, senza i quali materie del genere non possono essere compiutamente affrontate.
  È risaputo che l'ultimo rapporto del Censis fotografa una situazione difficile; dice che le persone con disabilità in Italia sono più di 4 milioni, pari al 6,7 per cento della popolazione; e il Censis prevede anche un trend in crescita: nel 2020 i disabili in Italia saliranno a 4,8 milioni, quindi quasi l'8 per cento della popolazione, e raggiungeranno i 6,7 milioni nel 2040, quindi quasi l'11 per cento della popolazione. I dati resi noti dall'ISTAT, quelli riferiti agli anni 2012-2013, evidenziano che in Italia ci sono circa 3,2 milioni di persone affette da disabilità, tra queste 540 mila persone fino a 64 anni sono portatrici di gravi disabilità.
  C’è una platea assai numerosa. L'onorevole Binetti prima ricordava che la platea interessata a questa legge potrebbe essere di circa 100 mila disabili, ed è evidente – lo abbiamo detto anche quando abbiamo affrontato per la prima volta in Aula questo provvedimento – che finché i genitori di figli con disabilità riescono, direttamente o con l'ausilio delle istituzioni, a far fronte ai problemi dei propri congiunti, una delle loro preoccupazioni riguarda comunque lo scenario che si apre dopo la loro morte.
  Il presente provvedimento riguarda, in modo particolarmente positivo, il trasferimento delle eventuali proprietà e lasciti ai figli, nonché la gestione del cosiddetto «dopo di noi», riferito appunto alla sopravvivenza dei figli disabili dopo la morte dei genitori.
  Questo provvedimento presenta certamente aspetti molto positivi e ha l'obiettivo di pensare per tempo al futuro dei disabili che restano senza sostegno familiare, aumentando la rete di protezione attraverso regimi fiscali agevolati per l'assistenza ai disabili, attivando percorsi per l'indipendenza degli individui con disabilità gravi, nonché creando case-famiglia, comunità, coabitazioni di disabili in appartamenti a ciò dedicati, anche per evitare il ripetersi di casi di segregazione spesso segnalati anche dalle cronache. Il provvedimento, Pag. 15inoltre, ha l'obiettivo di istituire il Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, nonché di elevare il limite delle detrazioni Iepef e di prevedere agevolazioni tributarie per i trust.
  Questi sono gli aspetti positivi del presente provvedimento. Esistono però evidentemente anche delle criticità che è necessario sottolineare, che non appartengono chiaramente al testo ma appartengono al modo e ai tempi in cui questa materia viene affrontata, anzi il testo rappresenta un utile passo in avanti verso questa direzione. Una criticità riguarda proprio il ritardo e poi anche la penuria di risorse. Io credo sia una cosa positiva che siano stati appostati 90 milioni di euro per il 2016 e poi 90 milioni per il 2017, 90 milioni per il 2018, considerando le somme stanziate, anche quelle che servono a coprire le minori entrate per l'erario.
  È positivo anche il fatto che questo finanziamento, lo diceva bene il Governo, sia in qualche modo strutturale, ma non possiamo nascondere il fatto che quello che lo Stato spende complessivamente per questa materia – al di là di quanto è stabilito in questa legge, perché è vero, la copertura non è semplicemente simbolica, ma è una copertura importante – quello che complessivamente lo Stato spende per il welfare e per i servizi sociali va via via riducendosi in ogni legge di stabilità, perché nelle ultime leggi di stabilità sono stati notevolmente ridotti i trasferimenti finanziari a livello locale, e quindi a livello dei comuni, per il settore sociale. Se quindi, da un lato, è positiva l'istituzione di un fondo di 90 milioni, purtroppo bisogna evidenziare che i comuni, che sono i primi destinatari, in questi anni hanno avuto una riduzione dei trasferimenti, ed è una cosa che ci preoccupa.
  Le audizioni in Senato – lo leggevo prima nel dossier – credo che abbiano evidenziato questa preoccupazione come una preoccupazione condivisa anche dall'ANCI. C’è da aggiungere la circostanza che il Patto di stabilità, poi, rende ai comuni ancora più difficile mettere in atto alcune misure per il sociale che vorrebbero attuare, e, come dicevo, proprio l'ANCI, nell'audizione al Senato, ha messo in evidenza che in Italia la spesa per la protezione sociale destinata alle persone con disabilità è, purtroppo, molto contenuta: nel 2013 ha assorbito il 5,5 per cento della spesa per prestazioni sociali, mentre l'impegno economico per questa funzione in Europa è fissato al 7,7 per cento. Ci sono, inoltre, fortissimi divari territoriali – è sempre l'ANCI ad averlo evidenziato – sia in termini di posti letto e strutture, sia in termini di finanziamento; infatti le risorse si concentrano soprattutto nelle regioni del nord e subiscono consistenti riduzioni nelle altre aree del Paese. Ed invece, proprio nelle regioni del Mezzogiorno, l'offerta è inferiore alla media nazionale, mentre la prevalenza di persone con disabilità è superiore a quella rilevata a livello nazionale. Quindi, l'auspicio è che questa ritrovata sensibilità attorno a questo tema sia utile anche a stimolare il Governo, la maggioranza, affinché si possano stabilire livelli di finanziamento della spesa per prestazioni sociali anche nel nostro Paese in qualche modo simili alla media europea.
  Credo sia stato opportuno anche il lavoro che al Senato è stato svolto. Come diceva bene la relatrice, il Senato non ha stravolto il testo; io credo si possa dire che il Senato lo ha, questa volta, addirittura migliorato, rispetto ad un testo che noi già avevamo condiviso alla Camera, perché le principali modifiche apportate al Senato riguardano proprio gli articoli 1 e 6, laddove si parla dell'istituto giuridico del trust, che garantisce una protezione legale tramite un rapporto fiduciario tra chi dispone di un bene e lo affida ad un soggetto che deve amministrarlo in suo nome. Il testo è stato modificato così da affiancare al trust altri negozi giuridici, come i contratti fiduciari, e includendo anche le associazioni e le fondazioni benefiche. E questo credo vada ulteriormente nella direzione di realizzare, attraverso questo testo, maggiori livelli di sussidiarietà.
  Noi riteniamo che questa sia stata una modifica opportuna, così come anche la Pag. 16modifica apportata, che riguarda il riconoscimento del carattere integrato socio-sanitario delle prestazioni indirizzate ai disabili gravi dal provvedimento in esame, e il riconoscimento del loro carattere aggiuntivo rispetto alle prestazioni già previste a legislazione vigente.
  Mi riferisco di nuovo all'audizione dell'ANCI, quando, proprio al Senato, dice che la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, i cosiddetti LEP, e degli obiettivi di servizio, che il provvedimento disciplina con riferimento alle misure di assistenza, cura e protezione in favore delle persone con disabilità grave, è importante che sia coordinata con gli attuali LEA, con i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie. Io credo che la capacità che questo testo avrà di intervenire più in profondità, dipenderà, anche, come peraltro ha già evidenziato la relatrice, dalla capacità che si avrà, attraverso i decreti di attuazione, di renderlo un testo davvero capace di intervenire in profondità, intervenendo affinché questa integrazione tra livelli essenziali delle prestazioni, fra LEP e LEA, possa davvero compiersi. È auspicabile che i tempi per l'applicazione e l'emanazione dei livelli essenziali delle prestazioni, previsti dal comma 2 dell'articolo 2 del testo in esame, siano rapidi e che il mancato coordinamento con i LEA in ambito socio-sanitario sia risolto con sollecitudine, perché altrimenti ci potrebbero essere dei ritardi nella realizzazione del «dopo di noi» che è un provvedimento che, come è stato ricordato anche al Senato, ha già avuto un percorso lungo e travagliato, rispetto al quale è necessario dare, invece, una tempestiva attuazione.
  Per concludere, credo che il Parlamento, oggi, domani, quando approverà in via definitiva questo provvedimento, potrà dire di aver fatto una cosa onorevole e ancor di più potrà dirlo se questo provvedimento potrà essere, alla fine, condiviso da tutti i gruppi parlamentari, dimostrando che su questi temi non c’è alcuna necessità di dividersi in ragione di ruoli, di responsabilità a noi assegnate, perché sono temi che riguardano la vita, soprattutto la vita di chi è costretto a vivere e a far vivere le proprie famiglie in maniera più faticosa.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marisa Nicchi. Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Presidente, il provvedimento che stiamo per votare si pone l'obiettivo di fornire una risposta alle famiglie dove sono presenti soggetti, figli disabili; famiglie che vivono con l'ansia lancinante per il momento, più o meno lontano nel tempo, in cui non potranno più garantire loro un indispensabile aiuto. Infatti, ricordiamo che in Italia, ancora, per i soggetti disabili il sostegno familiare rappresenta la principale e più completa risposta ai bisogni assistenziali e sociali e il provvedimento, la legge che vareremo tenta di dare, seppure in modo parziale, una risposta a questa realtà di sofferenza e di apprensione di cui abbiamo avuto, anche in quest'Aula, stamattina, significative testimonianze e che dovremmo, sì, affrontare anche con il principio dell'immedesimazione, perché quello ravvicina tutti alla sofferenza e alla condizione su cui la legge, poi, vuole intervenire. Questo è il motivo principale per cui, in prima lettura, noi abbiamo espresso un parere favorevole al testo, consapevoli già da allora, e in tutta la discussione che ha preparato quel testo, della necessità di migliorarlo e, anche, della possibilità che il Senato avesse di apportare delle modifiche che avrebbero sicuramente aiutato a superare delle criticità che, anche nel nostro giudizio favorevole, ritenevamo essere presenti nel testo.
  Intanto, partiamo dal primo punto, da un punto di partenza: quanto è previsto in questa proposta di legge è o, comunque, dovrebbe essere già garantito dalla normativa vigente, a partire dal pieno rispetto dell'attuazione dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni sociali. Questo, invece, è uno degli anelli mancanti, è una promessa mancata; anche gli stessi interventi sul «dopo di noi», quella fretta, quella particolare ansia, apprensione, sofferenza, tormento, dovrebbero essere finanziati Pag. 17dai fondi che sono preposti per intervenire sulla disabilità: il Fondo nazionale per le politiche sociali, il Fondo per la non-autosufficienza; risparmio qui la storia del disimpegno, del disinvestimento progressivo negli anni su questi fondi. Però, il quadro dovrebbe essere questo; questo è il riferimento, qui si dovrebbero integrare le risorse, ma così non è stato.
  Quindi, noi interveniamo su un provvedimento finalizzato che mette a fuoco un pezzo, un pezzo importante, un pezzo verso cui ci mettiamo in una posizione costruttiva; la stella polare di questo intervento riguarda l'attuazione dei principi stabiliti dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Questo è il quadro generale e, infatti, il testo che abbiamo approvato in Aula, alla Camera, aveva migliorato il testo iniziale; io riconosco il lavoro fatto dalla Commissione, dalla presidente e dalla sottosegretaria, che, sicuramente, ha contribuito, accogliendo anche una serie di nostri emendamenti, ad arricchire di questo riferimento, di immettere in questo contesto internazionale, il provvedimento. Il testo è stato, infatti, ancorato ai principi stabiliti dall'articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
  L'articolo 19 è stato preso come un riferimento preciso, quindi, alla necessità di favorire e sostenere la vita indipendente, a impedire la segregazione, a impedire quei recinti di cui ha parlato ieri anche Papa Francesco, promuovendo, in tutti i modi e in tutti gli ambiti, l'autonomia, il supporto, facendo specifico riferimento, proprio, a ciò che dice la lettera a), comma 1, di questo articolo fondamentale, l'articolo 19 della Convenzione, che è proprio finalizzato a favorire il benessere, l'inclusione, l'autonomia delle persone con disabilità. Sotto questo aspetto, però, pur cogliendo la positività di questo contesto, il testo poteva e doveva essere ancora migliorato. Va detto che è soprattutto su questo decisivo punto e sulla sua concreta applicazione che verrà verificata la validità della legge; questo è il punto di verifica per dire, sì o no, se questa legge è positiva.
  Riteniamo, infatti, che il testo dovesse essere più incisivo, andava escluso in maniera più netta qualunque intervento che porti all'istituzionalizzazione, cioè un cambiamento netto di paradigma è stato fatto, ma poteva essere ancora più mirato. L'obiettivo prioritario del «dopo di noi» dovrebbe essere quello di impedire che le persone con gravi disabilità siano oggetto di segregazione, in particolare, evitando la residenza impropria o presso strutture che, per numero di ospiti e caratteristiche, non consentano la piena inclusione e non riproducano le condizioni della casa familiare.
  Negli ultimi anni l'organizzazione dei servizi alla persona è passata da un approccio basato quasi esclusivamente sugli aspetti clinici ad un approccio che sempre più tende a privilegiare una presa in carico globale e solo se questa linea, se questa impostazione si affermerà, allora si potrà dire, davvero, che è valsa la pena di provare ad approvare questa legge. Purtroppo, ancora, quest'approccio di presa in carico globale fatica e si afferma troppo lentamente; ancora non ci sono, in tutto il territorio nazionale, delle politiche che tendano a realizzare il passaggio dall'istituzione totale, l'ospedale, il manicomio, l'istituto di cura, alle cure a domicilio, al territorio, all'ampliamento dell’équipe professionale a specialisti non medici (infermieri, educatori, psicologi, assistenti sociali e altre figure), nel coinvolgimento attivo degli utenti, dei volontari, delle famiglie.
  Ecco, questo pieno approccio ancora non è garantito uniformemente in tutto il nostro Paese, quindi era molto importante che questa linea, che pure c’è, fosse definita con nettezza, senza dare possibilità di fuoriuscite laterali.
  Ricordiamo che, in questi anni, l'esperienza delle numerose associazioni, comunità e fondazioni che si occupano del «dopo di noi» è nata proprio dal bisogno di dare una risposta alle persone con disabilità grave e prive del sostegno familiare. Pag. 18Nelle esperienze sociali, qui è nata una prima risposta. C’è stata una delega all'iniziativa spontanea delle associazioni e delle famiglie, che quindi necessitava – questo noi lo riteniamo importante – di una normativa nazionale che superasse anche l'estrema disomogeneità territoriale e anche di condizione.
  Noi sappiamo che il numero delle famiglie che necessitano di questo tipo di intervento è in continua crescita, anche in conseguenza dei progressi scientifici, che hanno consentito di aumentare l'aspettativa di vita delle persone disabili, e che rappresenta ormai un fenomeno molto diffuso, sebbene poco visibile. Attualmente i programmi di aiuto alla persona con disabilità sono sostanzialmente gestiti e organizzati dagli enti territoriali (comuni, rete degli enti locali), con un indispensabile supporto di associazioni di volontariato e di altri organismi senza scopo di lucro. È giusto in questo contesto ricordare – lo ha fatto la relatrice – l'importanza della «legge Turco», quella che vuole realizzare le prestazioni ponendo il tema della piena integrazione delle persone disabili attraverso il perseguimento di diverse tipologie di interventi: cure di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale; servizi alla persona a cui provvede il comune in una forma diretta o anche accreditata, con particolare riferimento al recupero e all'integrazione sociale; quelle misure economiche necessarie per il superamento delle condizione di povertà, perché sappiamo che poi la disabilità acuisce una condizione di esclusione e di povertà, di emarginazione.
  A partire da queste premesse, nelle diverse realtà regionali si sono diffusi modelli gestionali alternativi, innovativi, importanti, ma non è sempre così: questa battaglia per i diritti e per perseguire le politiche, anche che facevano riferimento all'articolo 14 della legge n. 328, è tutta aperta; è una battaglia ancora da fare in modo molto più diretto. Lo strumento che è stato individuato da queste esperienze sociali, che hanno supplito, hanno coperto un disimpegno pubblico, un impegno disomogeneo da parte del pubblico, hanno utilizzato lo strumento della fondazione partecipata. Quindi, era molto giusta la finalità di ricondurre questa pratica sociale, quest'utilizzo di quello strumento, entro una normativa più complessiva.
  Possiamo dire, però, che la maggioranza al Senato, se pure ha introdotto alcuni miglioramenti che sono stati qui apprezzati e che io non riporto, non ha apportato quelle modifiche migliorative più importanti che erano auspicabili: le principali debolezze non sono state affrontate, debolezze che già erano contenute nel testo che avevamo approvato alla Camera e che restano nel testo in tutta la loro problematicità. Quali sono ? Le indico, perché su queste noi abbiamo presentato una serie di emendamenti che – ci auguriamo – potrebbero migliorare ulteriormente il testo, se appunto fossero approvati.
  Andavano individuate con chiarezza e forza le modalità per il monitoraggio e la verifica dell'efficacia e dell'adeguatezza delle prestazioni domiciliari, a cui nel testo si dà giustamente priorità, quelle residenziali e semiresidenziali; questo monitoraggio non è esplicitato con forza.
  Era importante prevedere – lo abbiamo chiesto con un nostro emendamento – una progressiva deistituzionalizzazione delle tante persone disabili gravi, che a tutt'oggi vivono in strutture residenziali segreganti, anche in modo graduale. Non si sono definite meglio, con più precisione – era una nostra richiesta anche durante la discussione che ha preparato il primo testo –, quelle che debbono essere le caratteristiche dei servizi e delle strutture per i disabili gravi, a cominciare, per esempio, dal limite massimo dei posti letto che dovrebbe avere tutte le residenze che dovranno ospitare disabili gravi. Noi avevamo chiesto con un emendamento di prevedere un tetto massimo di otto persone, di otto posti letto; questo anche serve, non è una cosa in più, perché oggi è ancora aperta la possibilità di scelta di strutture segreganti, lontane anche semplicemente dall'auspicio della legge, dalle finalità che la legge prevede.Pag. 19
  Altro punto critico: non si è delimitata bene – e questo è un punto molto delicato, lo citava la relatrice – l'utilizzo della possibilità di ricorrere nell'emergenza ad eventuali soluzioni abitative extra familiari; soluzioni che devono essere per l'emergenza solo temporanee e solo se viene rispettata la volontà delle persone con disabilità grave e dei loro genitori o di chi ne tuteli gli interessi. Nel testo c’è scritto, si è specificato che – cosa importante – gli interventi per la permanenza temporanea in una soluzione abitativa extra familiare in situazioni di emergenza debbano essere solo soluzioni residuali ed essere fatti ove necessari; non ci sfugge questo, ma anche questa cautela rischia di essere superata, perché c’è la possibilità concreta che questa diventi una soluzione molto diffusa e praticata più di quello che si pensi, laddove cioè regioni ed enti locali, anche alla luce delle pochissime risorse a disposizione, non siano in grado di garantire – come molto probabile – adeguati servizi territoriali alla persona e un reale e costante supporto alle famiglie presso il loro domicilio.
  Infatti, qui una collega ha voluto ringraziare Renzi, ma noi non lo ringraziamo, perché sappiamo come le politiche del Governo abbiano ridotto le finanze, le risorse degli enti locali, verso cui si sono scaricati tagli inaccettabili e verso cui, invece, rimane ancora aperta grandissima richiesta di risoluzione dei problemi e di affermazione dei diritti; quindi, diventa più che concreta, con questa possibilità di utilizzo dell'emergenza, la possibilità che molte di queste famiglie, soprattutto quelle meno abbienti, si vedano costrette e messe nella condizione di dover far ricoverare il figlio disabile grave in una struttura esterna, extra familiare. È una sorta di istituzionalizzazione forzata per inadempienza del pubblico, perché gli enti locali hanno le risorse falcidiate. Quindi, questo punto è per noi dolente, molto preoccupante.
  E poi si arriva a un altro punto, che è quello che già avevamo manifestato fortemente nella discussione, nella preparazione e nel lavoro di discussione che ha portato al primo testo, cioè il tema della detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave, su cui noi ribadiamo la nostra preoccupazione.
  Intendiamoci: noi apprezziamo l'intento di dare aiuti concreti alle famiglie con disabili, lungi da noi chiuderci rispetto a questa possibilità, però per noi rimane la contrarietà ad ogni politica, ad ogni scelta che punti a sviluppare il secondo pilastro del welfare, su cui invece sta spingendo la politica del Governo: un pilastro non integrativo, ma sostitutivo dei livelli essenziali di assistenza. Secondo questa impostazione, si punta ad una sostituzione diversa dalla integrazione, una sostituzione dell'offerta pubblica con strumenti assicurativi, polizze a costi accessibili, per poter godere in futuro di servizi di assistenza e di cura, con oneri a carico dello Stato a vantaggio delle assicurazioni private. Questo è un punto, che noi avevamo già sottolineato, critico per noi, che rimane, permane, e che si aggiunge alle molteplici criticità che intravediamo.
  E poi la scarsità delle risorse finanziarie stanziate, anche perché una parte di queste vanno a coprire gli oneri connessi alle polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità gravi, e si riduce così quella quota di risorse pubbliche che dovrebbe andare per gli interventi strutturali e organizzativi che gli enti locali dovrebbero attivare per l'attuazione di questa legge. Insomma, la scarsità delle risorse rimane comunque un problema !
  L'ultima questione è il fatto che al Senato si è introdotta la specificazione di disabilità grave, come definito dall'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, che a questo punto, dopo il passaggio del Senato, viene riferita a tutto il testo per i destinatari degli interventi previsti, escludendo così la possibilità di estendere le norme della legge ad una più ampia platea di potenziali destinatari, a prescindere dalla gravità contingente o a prescindere dal fatto che la condizione di disabilità, anche non grave, di persone prive di sostegno familiare può rappresentare un Pag. 20forte elemento di marginalità, di confinamento, di esclusione. Questa restrizione della platea noi non la consideriamo un passo in avanti !
  Ecco, insomma, noi pensiamo che questo provvedimento abbia sicuramente delle finalità positive. Ne condividiamo le finalità, ma vediamo oggi la possibilità che questo provvedimento si chiuda con alcune criticità che possono mettere in discussione proprio la realizzazione delle finalità che noi condividiamo.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giulia Grillo. Ne ha facoltà. Non è presente in Aula: si intende che vi abbia rinunziato.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche della relatrice e del Governo – A.C. 698-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice e la rappresentante del Governo non intendono replicare.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di inchiesta parlamentare: Coppola ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni statali e locali e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Doc. XXII, n. 42-A) (ore 13,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di inchiesta parlamentare: Coppola ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni statali e locali e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Doc. XXII, n. 42-A).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto inoltre che alla componente politica del gruppo Misto-Movimento PPA-Moderati, costituitasi dopo la pubblicazione del contingentamento, sarà attribuito per lo svolgimento della discussione sulle linee generali un tempo pari a due minuti.

(Discussione sulle linee generali – Doc. XXII, n. 42-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Coppola.

  PAOLO COPPOLA, Relatore. Signora Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte oggi ad una grande responsabilità: il DESI (Digital Economy and Society Index), l'indicatore aggregato scelto dalla Commissione europea per misurare lo stato di digitalizzazione dei vari Paesi membri, anche nel 2016 posiziona il nostro Paese al venticinquesimo posto, davanti solamente alla Romania, Bulgaria e Grecia.
  E sebbene il tasso di crescita sia superiore alla media europea, e di conseguenza la Commissione ci classifichi nel gruppo dei Paesi in recupero, il ritardo accumulato negli ultimi trent'anni di miopia politica va recuperato con maggiore determinazione.
  Una situazione simile è evidenziata anche dal rapporto OCSE Government at a Glance, pubblicato a luglio 2015: in rari casi riusciamo ad essere competitivi, se confrontati con gli altri Stati, e siamo spesso in fondo alle graduatorie, soprattutto in termini di servizi e-gov, o per Pag. 21essere più precisi, della loro usabilità e del loro utilizzo. Se prendessimo in considerazione, infatti, solamente l'indicatore che valuta i servizi pubblici digitali dal DESI 2016, il risultato ci vede posizionati a metà classifica, appena sotto la media degli altri Paesi. Nel dettaglio risultiamo essere addirittura sopra la media, considerando l'indicatore che definisce l’online service compliance; a riportarci abbondantemente sul fondo della classifica invece è il grado di utilizzo di tali strumenti da parte dell'utenza.
  Lo stesso dato è evidenziato anche dall'OCSE nel suo rapporto: nel 2014 solo il 20 per cento dei nostri connazionali ha usato il web per chiedere informazioni, e solo l'11 per cento di essi per inviare moduli alla pubblica amministrazione; dietro a noi c’è solo il Cile. A mancare non è tanto o soltanto la tecnologia, le risorse o gli strumenti digitali in quanto tali, quanto invece ciò che permette un loro pieno utilizzo, ovvero la cultura: che va declinata in termini di cultura digitale, sia in riferimento alle competenze dei cittadini utenti, sia in relazione al lavoro svolto dall'apparato amministrativo, che non sempre si è dimostrato capace di fornire un servizio che abbia come caratteristica fondante l'attenzione ai bisogni del cittadino.
  È per questo che il Governo Renzi, e in particolare la Ministra per l'agenda digitale Maria Anna Madia ha deciso di porre come progetto prioritario, nell'ambito della digitalizzazione della pubblica amministrazione, proprio il ridisegno complessivo dei servizi, rendendoli uniformi nella procedura di autenticazione dei pagamenti e dei dati grazie al sistema pubblico di identità digitale, al sistema «PagoPA» e all'Anagrafe nazionale della popolazione residente, e rendendoli semplici nell'interazione grazie alle linee guida dell'Agenzia per l'Italia digitale e al progetto Italia Login.
  Le risorse, come il grado di digitalizzazione dell'intero sistema, seppur non all'altezza degli investimenti in termini di spesa complessiva nel confronto con gli altri Paesi, non sono da sottovalutare: l'Italia dal 2007 al 2013 ha speso poco meno di 40 miliardi in spese legate alle nuove tecnologie, e nonostante gli oltre 5 miliardi di spesa complessiva annua tra pubblica amministrazione centrale e locale, lo stato dell'innovazione e del digitale rimane quello finora descritto. La spesa è senz'altro rilevante, ma dal rapporto curato da NetConsulting e Netix emerge che all'interno del dato aggregato la quota dell'investimento è in progressiva riduzione, andando a rappresentare una parte marginale della spesa complessiva, che in gran parte viene assorbita dalla gestione corrente per il mantenimento di infrastrutture hardware e software sempre più datate e al limite dell'obsolescenza. Confrontando poi il dato con gli altri Paesi, risulta che il nostro, assieme alla Spagna, è quello che fra le grandi economie europee spende meno in proporzione al PIL, con il 0,3 per cento della spesa nel 2014, di fronte allo 0,5 per cento di Francia e Germania e allo 0,9 del Regno Unito. Facendo riferimento solo alla pubblica amministrazione locale, considerando i dati SIOPE, il sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, l'ISTAT afferma che nel 2011 la spesa ICT è stata di 1.726 milioni, pari a circa lo 0,69 per cento delle spese totali; e considerando la spesa ICT per abitante si calcola una media nazionale pari a 28 euro, con notevoli differenze territoriali, che vanno dai 242 euro per abitante della Valle d'Aosta ai 10 della Campania.
  In questo contesto, per definire i prossimi passaggi e la direzione più corretta verso cui indirizzarci, è necessario sia chiedersi come siano state finora utilizzate le risorse messe a disposizione, sia quantificare quanto effettivamente realizzato ed individuare gli eventuali sprechi ed investimenti errati. Spendiamo troppo o troppo poco ? Spendiamo forse male ? Secondo quali criteri sono stati effettuati gli investimenti di questi anni nelle amministrazioni pubbliche ? Dove possiamo permetterci margini di miglioramento, e dove invece è doveroso, prima ancora che necessario, operare dei tagli ? L'impegno del Governo in questi anni è stato notevole Pag. 22per cercare di colmare il digital divide che ci separa dal resto d'Europa, operando, è bene ricordare, in un equilibrio non sempre facile tra la necessità di recupero del terreno perso e il perseguimento di una necessaria revisione della spesa. Il Parlamento in questo ha contribuito in maniera significativa, grazie al lavoro puntuale e trasversale dell'Intergruppo innovazione. È doveroso ricordare il lavoro fatto per la legge di stabilità 2016. La nuova formulazione dell'ex articolo 29 ha previsto di legare la spesa ICT a un piano triennale e a un programma coerente e sostenibile di riduzione della spesa, e ha stabilito che i risparmi derivanti dall'attuazione del piano vengano utilizzati dalle medesime amministrazioni per investimenti in materia di innovazione tecnologica.
  Sono certo che il lavoro della Commissione di inchiesta sarà di prezioso aiuto alla revisione del piano triennale, come pure sono certo che i lavori della Commissione di inchiesta che ci accingiamo a istituire serviranno anche per l'attuazione della modifica della Costituzione votata in quest'Aula all'unanimità e che andremo a confermare con il referendum di ottobre, che, alla lettera r), secondo comma, dell'articolo 117, aggiunge alle materie di competenza esclusiva dello Stato, oltre al coordinamento informatico dei dati, anche quello dei processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche. Una rivoluzione che va finalmente a sanare quanto denunciato anche dal già citato rapporto Assinform, ovvero lo scarso grado di interoperabilità tra i sistemi degli enti della pubblica amministrazione locale.
  La responsabilità di quest'Aula, dunque, onorevoli colleghi, è determinata dalla necessità di fare un punto sulla situazione approfondito, scientifico, perché la strada è tracciata e va nella direzione corretta, ma il Paese non può più permettersi di fallire, di rimanere indietro, di non attuare, o farlo solo parzialmente, quanto in questi anni progettato e previsto. E, per fare ciò, è necessaria un'analisi profonda di come le risorse sono impiegate, del livello di informatizzazione dei singoli uffici e del livello di competenze digitali da parte di chi, poi, concretamente, porta avanti ogni giorno la macchina amministrativa. La proposta è composta di cinque articoli.
  L'articolo 1 prevede l'istituzione della Commissione di inchiesta per la durata di un anno, reso non prorogabile in seguito all'approvazione di un emendamento in sede referente. Il comma 2 del medesimo articolo, integrato parzialmente in sede referente, individua i compiti della Commissione d'inchiesta: verificare e analizzare le risorse finanziarie stanziate e il loro utilizzo, nonché gli investimenti effettuati dalle pubbliche amministrazioni nel settore dell'ICT, anche al fine di individuare eventuali diseconomie; comparare la spesa pubblica nel settore ICT nei maggiori Paesi europei e in Italia; analizzare, anche mediante la verifica dei titoli di studio e del livello di competenza dei responsabili del settore dell'ICT, lo stato di informatizzazione e il livello di dotazione tecnologica delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al livello di reingegnerizzazione e automazione dei processi e dei procedimenti amministrativi, all'utilizzo di software open source, all'apertura dei dati e al loro utilizzo, all'interoperabilità e all'interconnessione delle banche dati, a livello di sicurezza e allo stato di attuazione del disaster recovery e a livello di accettazione dei pagamenti elettronici; monitorare il livello di digitalizzazione e di investimento nelle regioni; verificare la possibilità di razionalizzare la spesa nel settore dell'ICT.
  L'articolo 2 definisce la composizione della Commissione, formata da venti deputati nominati dal Presidente della Camera in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, assicurando, comunque, la presenza di almeno un rappresentante di ciascun gruppo. L'articolo 3 richiama quanto già previsto dall'articolo 82 della Costituzione in merito alla possibilità della Commissione di procedere all'indagine e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria, con un'ulteriore limitazione, analogamente a quanto previsto da altri provvedimenti di istituzione di Commissioni Pag. 23di inchiesta, precisando che la Commissione non può adottare provvedimenti con riguardo alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e delle altre forme di comunicazione, né limitazioni della libertà personale, ad eccezione dell'accompagnamento coattivo dei testimoni.
  L'articolo 4 prevede l'obbligo del segreto e l'articolo 5 determina le spese per il funzionamento della Commissione, poste in carico al bilancio interno della Camera. In sede referente, la cifra è stata suddivisa in 25 mila euro per l'anno 2016 e in 25 mila euro per l'anno 2017. La I Commissione ha avviato l'esame in sede referente della proposta nella seduta del 21 aprile 2016 e nella seduta del 12 maggio sono stati approvati gli emendamenti Cozzolino 1.1, 1.3 e 1.4, nonché gli emendamenti 2.1 e 2.2 del relatore. Per riprendere le parole utilizzate da un rapporto CNEL del 1981, l'informatica non è uno strumento aggiuntivo della pubblica amministrazione, ma uno strumento di riforma.
  Non esiste una pubblica amministrazione da una parte e una pubblica amministrazione digitale dall'altra. Nel 2016 la pubblica amministrazione deve essere digitale, perché maggiore è il livello di digitalizzazione, fatta nel modo corretto, maggiore è la trasparenza e l'efficienza; perché esiste una correlazione inversa tra il livello di digitalizzazione e il livello di corruzione, ed è proprio questo fattore quello che ha frenato e frena maggiormente la trasformazione digitale della pubblica amministrazione. Una corruzione che ha depotenziato l'impatto degli investimenti negli ultimi anni e che noi abbiamo il dovere di scoprire, denunciare e contrastare con tutta la nostra determinazione e con tutte le nostre forze, ed è per questo che auspico una celere approvazione di questa norma.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire.
  È iscritto a parlare il deputato Boccadutri. Ne ha facoltà.

  SERGIO BOCCADUTRI. Grazie, Presidente, care colleghe e cari colleghi, proprio oggi sui quotidiani è stato pubblicato un rapporto di un istituto di ricerca che si chiama BEM Research, che dice, sostanzialmente, che noi potremmo risparmiare, aumentando i servizi della pubblica amministrazione, naturalmente i servizi erogati attraverso piattaforme telematiche, lo 0,5 per cento del nostro PIL, cioè otto miliardi di euro. E non soltanto questo aumenterebbe l'efficienza dei servizi erogati, ma, soprattutto, questo rapporto ci dice che non sarebbe intaccata per nulla la qualità dei servizi, e anzi lo stesso rapporto dice che vi sarebbe un aumento proprio della fruizione, da parte dei cittadini, dei servizi. Questo perché soltanto il 24 per cento degli italiani hanno interagito lo scorso anno telematicamente con la pubblica amministrazione.
  Naturalmente, spesso i rapporti si fermano alle componenti statiche di costo, ci dicono quanto si risparmierebbe, ci dicono quello che si potrebbe ridurre a livello proprio di soldi pubblici investiti nella pubblica amministrazione senza nulla togliere ai servizi ai cittadini, ma spesso, perché è più arduo, non ci dicono, invece, la componente dinamica di ciò a cui darebbe luogo una digitalizzazione della pubblica amministrazione; cosa significherebbe un miglioramento della fiducia dei cittadini e delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione; cosa significherebbe, proprio in termini di rapporto tra PA e cittadini, in termini proprio anche di PIL, di rapporto tra imprese e pubblica amministrazione, anche rispetto a riduzioni di loro oneri, oneri delle imprese, magari da reinvestire nella produzione; cosa significherebbe, in termini di miglioramento di quella componente dinamica di cui parlavo, la trasparenza di tutto il processo della pubblica amministrazione, di tutti i processi digitali, e quindi da quando viene richiesto un atto, come si forma questo atto, come poi viene dato al cittadino, oppure anche l'accesso, la possibilità di poter accedere da qualunque luogo della Terra.Pag. 24
  Sostanzialmente, una nostra impresa italiana potrebbe accedere ai servizi della pubblica amministrazione. Cosa significa ? Cosa significa integrare i dati che la pubblica amministrazione ha già e renderli interoperabili tra le pubbliche amministrazioni ? Ecco, anche qui, significherebbe probabilmente dare a cittadini e imprese un significato a cosa serve tutto quello che non funziona, perché tutto questo ambaradan, a cosa serve e a cosa mi serve, e, probabilmente, riconnetterebbe maggiormente i cittadini anche a un principio finale: io pago le tasse per avere dei servizi. Se pago le tasse e i servizi non ci sono, c’è qualche problema. Tutto questo lo potremmo fare proprio nel solco del principio costituzionale dell'articolo 5, che ci dice che l'amministrazione lo Stato la amministra in modo decentrato, e proprio questo decentramento – e su questo vorrò fare anche degli esempi – potrebbe essere fatto benissimo con le tecnologie dell'informazione.
  Ma voglio qui soffermarmi su alcune cose che ha detto il relatore. Il primo CAD è del 2005, sono passati sostanzialmente undici anni, e non vi è soltanto l'esigenza di fare un bilancio di ciò che ha funzionato e quello che non ha funzionato, ma serve proprio capire, come ha detto il relatore, come sono state utilizzate le risorse, anche in relazione agli obiettivi raggiunti. Non è espresso quello che facciamo. Prendiamo delle scelte, assumiamo delle decisioni, e poi non capiamo se quegli obiettivi che ci eravamo prefissati sono stati raggiunti. Siccome qui si tratta di risorse pubbliche, che sono state sottratte ovviamente anche da altri interventi, da questo punto vista, capire quali siano stati degli investimenti errati è utile per innovare la pubblica amministrazione. Innovare non significa semplicemente digitalizzare, significa individuare il problema e studiare la soluzione. Se non siamo in grado, e lo potremmo fare invece con questa Commissione, di capire cosa non ha funzionato e dove sono stati fatti investimenti errati, ovviamente non faremo un buon servizio. E questo proprio nel solco, come è stato detto dal mio collega Paolo Coppola, anche dell'iniziativa di questo Governo; ha detto una cosa che condivido molto giusta: vi è stata una miopia enorme negli ultimi trent'anni. Questo Paese è stato molto fermo e oggi ci troviamo in una situazione anche di dover rincorrere gli altri Paesi. Da questo punto di vista non si scappa, o lo facciamo o saremo superati. Anche le ricchezze che avremo, anche la ricchezza manifatturiera che questo Paese sta tentando di conservare sarà naturalmente superata se non saremo in grado di offrire a chi vuole investire in questo Paese dei servizi adeguati. Pensiamo a tutta la logistica, pensiamo ai trasporti, alla gestione delle merci e dei servizi. Quindi, da questo punto di vista, è importante questa Commissione di inchiesta, anche per capire in che modo innovare le tecniche delle normative ovvero quello che facciamo qui dentro, come facciamo leggi. Noi dobbiamo considerare che nella pubblica amministrazione ci sono due principi fondamentali, sono principi democratici che riguardano più il patto sociale: il principio della legalità e dell'imparzialità della pubblica amministrazione; non ne possiamo fare a meno. Ma questo non ci impedisce di poter pensare una normazione a livello primario più leggera e a regole tecniche fatte da apposite agenzie sotto il controllo del Governo, e poi tramite anche il Parlamento con i suoi istituti di controllo previsti dell'attività del Governo, che rendano più semplice anche l'adozione di iniziative pratiche dovute semplicemente all'innovazione tecnologica. Spesso, molte delle cose che si potrebbero fare, non si possono fare perché invece abbiamo proprio dei colli di bottiglia a monte. Alcuni esempi: lo sportello doganale unico. Io non so quanti di voi sanno che per effettuare un'operazione di import-export un'impresa deve presentare, oltre alla dichiarazione doganale, fino a sessantotto istanze ad altre diciotto amministrazioni, trasmettendo a ciascuna informazioni e dati spesso identici o simili nella sostanza, per ottenere autorizzazioni, permessi, licenze e nulla osta, ovviamente tutto su carta. Nel 2011, l'Agenzia le dogane ha avviato una Pag. 25sperimentazione, ormai terminata, di uno sportello unico doganale, per cui le diciotto amministrazioni devono integrare i processi di loro competenza, di cui rimangono titolari (come vedete a nessuna viene tolta la titolarità della competenza), in un'interfaccia unitaria che consente sostanzialmente di fare la richiesta, il controllo, lo scarico delle certificazioni e dei nulla osta e le autorizzazioni, per via telematica e addirittura di rendere totalmente digitale il processo di sdoganamento e, quindi, incidere anche nella logistica. Pensate agli effetti sull'attrazione degli investimenti esteri di produzione in questo Paese, di quelli che vogliono produrre qui per poi esportare beni all'estero, a che cosa significa ridurre i tempi e i costi delle operazioni da parte delle imprese, e migliorare i controlli, perché naturalmente su questi poi si possono costruire degli algoritmi che fanno dei controlli per capire dove c’è un problema. Tutto ciò ridurrebbe i costi anche per la pubblica amministrazione perché i controlli sono mirati laddove si vedono appunto delle anomalie. Naturalmente per costruire questo si deve collaborare per semplificare. È stato necessario che diciotto amministrazioni differenti si mettessero d'accordo affinché si arrivasse a questo risultato.
  Oppure pensate al 730 semplificato, alla possibilità per il cittadino di non dover conservare, via via che andremo avanti, tutte le ricevute che riceve in farmacia, piuttosto che quelle del medico, che poi magari spesso vengono smarrite e quindi non entrano neanche in dichiarazione per ottenere le detrazioni.
  Ovviamente il tutto salvaguardando i principi costituzionali, ormai regolati anche a livello europeo, della tutela del dato. Però da questo punto di vista, io penso che sono due esempi molto importanti. Non esiste, ha detto il relatore, la PA e la PA digitale e infatti vi faccio una domanda: voi pensereste a un'automobile senza le cinture di sicurezza, senza i sistemi elettronici di controllo dei freni o senza lo specchietto retrovisore ? Eppure le auto all'inizio non avevano, quando si sono iniziate a produrre industrialmente, alla fine del diciannovesimo secolo, nessuno di questi strumenti. Lo sapete che nel 1911 un pilota, Ray Harroun, vinse la 500 miglia di Indianapolis proprio perché invece di caricare sulla sua auto un meccanico che posto proprio dietro di lui controllasse quello che accadeva, dietro installò uno specchietto retrovisore ? La macchina era molto più bella e veloce, era molto più leggera e poteva correre. Ecco esattamente questo è; questo specchietto retrovisore è il digitale che consente alla pubblica amministrazione di essere più efficiente e più veloce. Insomma, oggi non ne possiamo fare a meno come appunto non faremmo a meno di uno specchietto retrovisore nella nostra auto (Applausi).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – Doc. XXII, n. 42-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo non ritengono di replicare.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 2192 – Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione (Approvato dal Senato) (A.C. 3773) (ore 13,30).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 3773: Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 10 giugno 2016.

Pag. 26

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3773)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della I Commissione (Affari costituzionali), Andrea Mazziotti Di Celso.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO, Relatore. Grazie Presidente. Signori rappresentanti del Governo e onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame, già approvato dal Senato, intende regolare i rapporti tra lo Stato italiano e l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione sulla base di un'intesa che è stata firmata il 27 giugno del 2015. L'articolo 8, terzo comma, prevede infatti che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze ed esistono già numerose altre intese con altri istituti religiosi. La storia di questa intesa è molto lunga, il testo è stato elaborato dalla Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, dopo che l'Istituto Soka Gakkai ha ottenuto la personalità giuridica nel 2000 e già nel 2001 aveva avviato la discussione sull'intesa. Sono state richieste dal Governo italiano delle modifiche statutarie che sono state poi apportate nel 2009 e successivamente sono stati riavviati nuovamente i lavori nel 2014 ed è stata predisposta una bozza di intesa che è stata poi sottoscritta, come detto, nel giugno del 2015 e il 13 gennaio del 2016 il Governo ha presentato l'intesa, la proposta di legge, al Senato. Il Senato, a sua volta, ha chiuso i lavori approvando il provvedimento il 20 aprile di quest'anno.
  L'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, riunisce coloro che in Italia aderiscono e praticano l'insegnamento fondato dal Buddha Nichiren Daishonin e che si riconoscono nei principi della Soka Gakkai che è un istituto fondato a Tokyo nel 1930. La prima associazione italiana che fa riferimento a questa scuola in Italia è del 1987 e diventa ente morale dell'Associazione italiana Nichiren Shoshu, e, in seguito alla separazione dal clero, l'associazione, nel 1990, ha cambiato il nome nell'Istituto religioso Soka Gakkai, appunto, che è nato nel 1998 e aderisce alla Soka Gakkai internazionale. Lo statuto dell'Istituto promuove in Italia i valori della pace, della cultura e dell'educazione, coessenziali alla concezione buddista, e per realizzare tale scopo si impegna nel dialogo interreligioso e organizza momenti di riflessione e approfondimento nella società. La sede nazionale è a Firenze.
  Il provvedimento approvato al Senato consta di 26 articoli. I più importanti sono: l'articolo 1, che stabilisce che l'intesa regola i rapporti tra lo Stato e l'Istituto, sulla base dell'intesa allegata del 27 giugno; l'articolo 2, che riconosce l'autonomia dell'Istituto liberamente organizzato secondo i propri ordinamenti e disciplinato dal proprio istituto; l'articolo 3, che riconosce la piena libertà religiosa all'Istituto e a coloro che ne fanno parte; e l'articolo 4, che specifica che i ministri di culto godano del libero esercizio del loro ministero e che l'Istituto rilascia un'apposita certificazione della qualifica di appartenenza.
  Ci sono poi delle norme che riguardano i rapporti con le strutture statali. Viene riconosciuto il diritto all'assistenza spirituale dei ricoverati nelle strutture sanitarie e, quindi, viene prevista la trasmissione di un elenco di ministri del culto da parte dell'Istituto, il tutto con oneri finanziari a carico dell'Istituto stesso. Si prevede il diritto degli alunni di non avvalersi degli insegnamenti religiosi e all'Istituto di rispondere ad eventuali richieste relative al fenomeno religioso, che possano venire dagli studenti. È previsto il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine Pag. 27e grado. È prevista una tutela degli edifici aperti al culto pubblico, che non possono essere requisiti, espropriati o demoliti se non per gravi motivi e previo avviso e accordo col ministro di culto responsabile, così come è prevista la possibilità di affissioni e distribuzione di pubblicazioni e di stampati all'interno degli edifici di culto. È prevista, poi, la possibilità di disporre delle salme delle persone decedute, in conformità alle tradizioni dell'Istituto, purché nel rispetto della legge, e poi ci sono una serie di norme, che non vado a ricordare, che riguardano l'organizzazione interna degli istituti.
  Per quel che riguarda, invece, gli effetti finanziari, l'articolo 17 della legge consente la deduzione a fini IRPEF delle erogazioni liberali e l'articolo 18 consente all'Istituto di concorrere alla ripartizione dell'8 per mille. L'eventuale revisione di queste norme è affidata a una Commissione paritetica.
  L'articolo 20 dispone, poi, che l'Istituto invii al Ministero dell'interno dei rendiconti sull'utilizzo delle somme e l'articolo 21 prevede un impegno reciproco dello Stato italiano e dell'Istituto a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti il patrimonio culturale dell'Istituto e dei soggetti di cui all'articolo 11, istituendo anche a questo fine una commissione mista per tale valorizzazione.
  Sono poi previste due festività religiose – il 16 febbraio e il 12 ottobre – in cui è riconosciuta la possibilità di celebrare il culto da parte degli iscritti, sempre nel quadro della flessibilità di organizzazione del lavoro prevista dalla legge e fatte salve le imprescindibili esigenze dei servizi essenziali.
  Si prevedono, poi, delle norme, diciamo così, di regolamentazione finale, che stabiliscono che delle esigenze attuative emerse nell'esecuzione dell'intesa e fatte presenti all'Istituto verranno tenute in considerazione dalle autorità competenti. Si prevede, ovviamente, che, al momento dell'entrata in vigore dell'intesa, non si applicherà più, all'Istituto e agli enti che vi fanno capo, la legge n. 1159 del 1929 sui culti ammessi nello Stato, il cui relativo regolamento di attuazione si applica, appunto, in mancanza dell'intesa.
  Si prevede, all'articolo 25, che vengano promosse opportune intese tra le parti in caso di modifica dell'intesa del giugno 2015, per riflettere tali modifiche nella legge. E, infine, l'articolo 26 prevede la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla legge.
  La I Commissione ha avviato l'esame il 5 maggio, non sono state presentate proposte emendative, le Commissioni II, IV, V, VI, VII, VIII e XII hanno espresso parere favorevole e la I Commissione, appunto, ha chiuso i suoi lavori con il mandato al relatore lo scorso 8 giugno.

  PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  È iscritta a parlare la deputata Stella Bianchi. Ne ha facoltà.

  STELLA BIANCHI. Grazie, Presidente. È ora al nostro esame, come ricordava il presidente della I Commissione, il disegno di legge che regola l'intesa tra lo Stato italiano e l'Istituto buddista italiano Soka Gakkai, siglata il 27 giugno dello scorso anno a Firenze dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e dal Presidente dell'Istituto italiano, Tamotsu Nakajima.
  Lo facciamo in attuazione dell'articolo 8 della Costituzione, in particolare del terzo comma, secondo il quale i rapporti delle diverse confessioni religiose con lo Stato «sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».
  Non ripercorro ora l'articolato, come ha già fatto invece con grande dovizia di particolari e precisione il presidente della I Commissione, e richiamo soltanto l'articolo 3, al primo comma: «La Repubblica riconosce all'Istituto buddista italiano Soka Gakkai la piena libertà di svolgere la sua missione religiosa, spirituale, educativa, culturale e umanitaria.»
  Presidente, non sfugge a nessuno di noi l'importanza, in questo momento, in questo periodo così tragico, di riconoscere la libertà religiosa, tanto più quanto, purtroppo, Pag. 28immagini di atrocità commesse in ogni angolo del pianeta da terroristi che non hanno nulla a che vedere con nessun messaggio di nessuna religione, ci addolorano davvero, purtroppo, ogni giorno. E, quindi, diventa ancora più importante riconoscere ora l'importanza della libertà religiosa, come facciamo oggi con l'avvio dell'esame del provvedimento in Aula.
  Tanto più importante diventa il messaggio di pace dell'Istituto buddista italiano Soka Gakkai, che ricordiamo fondato nel 1930 nel Giappone militarista da un educatore e pedagogista, Tsunesaburo Makiguchi, che riprende gli scritti di un monaco del 1200, Nichiren Daishonin. L'Istituto, poi guidato da Josei Toda, finito in carcere per la sua opposizione al regime militarista del Giappone durante la Seconda guerra mondiale, ora è guidato da Daisaku Ikeda ed è diffuso in 192 Paesi, a partire dalla costituzione della Soka Gakkai internazionale nell'isola di Guam nel 1976. Solo in Italia sono 80 mila i praticanti di questa religione e sono milioni in tutto il mondo.
  Il messaggio fondamentale è che tutto parte dal singolo individuo, dal suo potenziale illimitato, dall'assunzione di responsabilità e dalla capacità di trasformare se stessi e l'ambiente circostante. È il riconoscimento fondamentale della dignità di ogni essere umano e l'inviolabile diritto di ognuno a vivere e ad essere felice che possiamo mettere al centro anche dei messaggi di pace che ogni anno, da 35 anni a questa parte, il Presidente dell'istituto buddista, Ikeda, Presidente della Soka Gakkai internazionale, invia alle Nazioni Unite.
  Se leggiamo il messaggio di pace del 2016, molte cose ci colpiscono. Comincerei da una: l'importanza centrale del non lasciare indietro nessuno e la tutela della dignità di ogni essere umano e dei diritti umani fondamentali degli sfollati, dei rifugiati, dei migranti internazionali, con il riconoscimento della solidarietà, o meglio dell'empatia, del riuscire a mettersi nei panni dell'altro, del sentire come propria la sofferenza dell'altro, che risuona nelle parole che Ikeda riporta di un nostro concittadino. Un giapponese, Ikeda, riporta le parole di un italiano, un abitante di una cittadina costiera italiana, il quale scrive: sono persone in carne e ossa come noi, non possiamo rimanere a guardarle annegare. E, ancora una volta, Presidente, tutta la nostra riconoscenza a tutti i soccorritori, alla Marina, a tutti i pescatori e all'isola di Lampedusa come simbolo di questa straordinaria operazione di soccorso e di umanità che i nostri compiono, anche qui, purtroppo, ogni giorno, ogni ora, ogni notte.
  La determinazione a dare valore ad ogni singola persona e la fede nella dignità intrinseca di tutte le persone e del potenziale illimitato di ognuno è alla base di ogni azione positiva, con il coraggio di mettere in pratica – ancora nel messaggio di pace di quest'anno – con il proprio alzarsi anche da solo, a difesa di una causa giusta o contro un'ingiustizia. Ed è questo alzarsi anche da solo che fa partire una reazione a catena di trasformazione positiva.
  Non è solo non commettere il male, ma è anche necessario compiere il bene e contribuire nei fatti concretamente alla società, alla propria comunità, alla pace, contribuire con le proprie azioni e con il dialogo, riconoscendo la rete di interrelazioni che ci unisce tutti.
  Quindi, il dialogo come legame tra noi e gli altri, il dialogo come legame tra noi e il mondo, come fonte di energia creativa per trasformare l'epoca nella quale viviamo, il dialogo, conoscendo direttamente l'altro, la sua umanità, la sua dignità fondamentale. Per esempio, pensiamo ad un rifugiato, consideriamo se riusciamo a vedere non i numeri, ma ogni singola storia, ogni singola persona; a quel punto, sarà più facile per ognuno di noi mettersi nei suoi panni e cercare di aiutarla concretamente.
  Ciò che costruisce muri è la nostra intenzione di restare nell'ignoranza degli altri, per questo è cruciale essere i primi ad iniziare un dialogo, tutto inizia dal nostro primo impegno personale, dalla nostra volontà di riuscire a conoscere l'altro. Sono importanti le relazioni diplomatiche, Pag. 29ma ancora di più lo sono, appunto, il dialogo e lo scambio tra le singole persone, l'abbraccio concreto della realtà, della ricchezza dell'esistente in un'altra persona, il riconoscimento della nostra comune umanità.
  Richiamo, Presidente, brevemente, tre sfide cruciali che troviamo in questa proposta di pace del 2016, la prima, come già dicevo in precedenza, è quella dei rifugiati, il riconoscimento dei diritti umani, l'educazione ai diritti umani e, quindi, anche l'importanza di promuovere lo sviluppo dell'individuo, di ognuno di noi, come cittadino responsabile di una società libera, pacifica, pluralista e inclusiva.
  Poi, Presidente, ricordo l'integrità ecologica, la riduzione del rischio di catastrofi naturali dovuti all'accrescersi dell'impatto dei cambiamenti climatici; l'accordo straordinario, siglato a Parigi, la COP21 del dicembre scorso, in cui tutti i Paesi, 195 Paesi, si sono impegnati a contenere il riscaldamento globale; ancora prima, nel settembre di quest'anno, l'adozione alle Nazioni Unite dell'agenda per lo sviluppo sostenibile con gli obiettivi di sviluppo sostenibile concordati, anche questi, da tutti i Paesi. Ecco, quindi, l'importanza di un'unica comunità ambientale, l'impegno di tutti i Paesi e l'impegno di ognuno di noi nella diffusione di buone pratiche, con un protagonismo che va accentuato nelle città, soprattutto, perché sono in questo momento responsabili dei maggiori impatti nella produzione delle emissioni più forti di gas serra; e, quindi, è nelle città che si può riuscire a costruire un cambiamento efficace in questo tipo di pratica che sta distruggendo il nostro pianeta o meglio le nostre possibilità di vita sul pianeta, con la solidarietà globale al centro, con l'obiettivo di creare città sostenibili, economie sostenibili e di ridurre il rischio di catastrofi naturali legate ai cambiamenti climatici, con l'impegno attivo e costante delle persone nelle comunità locali.
  Qui, Presidente, non possiamo non ricordare lo straordinario esempio di Wangari Maathai, una donna del Kenya, premio Nobel per la pace, che grazie proprio al suo saper coinvolgere le popolazioni locali nel piantare alberi – donne in aree rurali che piantano alberi – è riuscita a costruire uno straordinario movimento per la difesa del proprio Paese, per la costruzione di concrete possibilità di vita, di benessere economico e di pace in quelle terre.
  Ancora, Presidente, il terzo punto nel messaggio di pace del 2016 è quello del disarmo e della proibizione delle armi nucleari. Il proliferare delle armi convenzionali aumenta il rischio di violenza ed è ancora nel cuore di tutti noi il dolore per la tragedia che si è consumata ad Orlando, in Florida, e per tutte le tragedie che, purtroppo, si producono per odio, per non voler far essere felici gli altri e per la disponibilità eccessiva di armi convenzionali, ma le armi nucleari hanno un tratto di disumanità maggiore, perché producono devastazioni di ampiezza maggiore, perché hanno effetti che si protraggono nel tempo, di generazione in generazione, come gli Hibakusha, i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki di seconda o terza generazione, testimoniano, purtroppo, molto tragicamente.
  Allora, l'impegno continuo per la messa al bando delle armi nucleari, come è già successo per le armi chimiche e per le armi biologiche, è una delle azioni che più contraddistingue l'impegno dell'Istituto Buddista Soka Gakkai, anche con la realizzazione di mostre, come «Senzatomica», ed è certamente stata di grandissima importanza la storica visita che il Presidente in carica degli Stati Uniti, Obama, per primo, ha fatto ad Hiroshima lo scorso mese.
  Ciò che conta, in conclusione, Presidente, è l'impegno di ognuno, il coraggio di mettere in pratica e di contribuire alla propria comunità, di fare un passo avanti anche da soli, di assumere su di sé la sfida del cambiamento personale, innanzitutto, e di rafforzare, poi, con il dialogo, la rete di amicizia e di solidarietà tra tutte le persone, con il riconoscimento della dignità di ognuno, del potenziale illimitato di ognuno; è un lavoro instancabile per la pace e, per usare l'espressione del premio Pag. 30Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, di pace, non solo come assenza di conflitto ma di pace come dinamica permanente tra gli individui e i popoli, non solo un lavoro dei Governi nazionali, ma un lavoro che spetta ad ognuno di noi, con la nostra consapevolezza e partecipazione, con una pratica continua di libertà e di rispetto per la dignità di ognuno.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 3773)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendiamo a questo punto la seduta che riprenderà alle ore 14,15 per lo svolgimento delle ulteriori discussioni sulle linee generali previste all'ordine del giorno.

  La seduta, sospesa alle 13,50, è ripresa alle 14,20.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Garofani, La Russa e Rosato sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della proposta di legge: S. 998 – D'iniziativa dei senatori: Taverna ed altri: Disposizioni in materia di accertamenti diagnostici neonatali obbligatori per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie (Approvata dalla 12a Commissione permanente del Senato) (A.C. 3504-A); e dell'abbinata proposta di legge: Binetti (A.C. 94).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dalla 12a Commissione permanente del Senato, n. 3504-A: D'iniziativa dei senatori: Taverna ed altri: Disposizioni in materia di accertamenti diagnostici neonatali obbligatori per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie; e dell'abbinata proposta di legge n. 94: Binetti.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 10 giugno 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3504-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Giulia Grillo.

  GIULIA GRILLO, Relatrice. Presidente, innanzitutto vorrei spiegare qual è stato l'iter che ha portato a questo provvedimento oggi in Aula: è un provvedimento che è stato proposto dalla senatrice Paola Taverna del MoVimento 5 Stelle, e che è stato appoggiato da tutte le forze politiche presenti in Commissione sanità al Senato.
  Lo screening neonatale cos’è ? È un test eseguito sui neonati nella seconda o terza Pag. 31giornata di vita, e che permette di diagnosticare almeno 40 malattie metaboliche ereditarie. Le malattie metaboliche ereditarie, e altre malattie congenite di origine genetica, si manifestano prevalentemente nei bambini nei primi anni di vita, ma possono esordire anche in età giovanile o adulta; sono gravi e progressivamente invalidanti, e se non riconosciute in tempo utile, poiché tali neonati alla nascita si presentano apparentemente del tutto sani, provocano spesso gravi handicap fisici e mentali permanenti o morte precoce. In molti neonati apparentemente sani insorgono con l'età anche malattie gravi e invalidanti, che, come detto, possono condurre a gravi deficit fisici e mentali. Tali danni e morti possono essere evitati proprio attraverso questa diffusa pratica di screening neonatale, un esame assolutamente non invasivo, effettuabile subito dopo la nascita e che permette di identificare un ampio gruppo di malattie, prima che le stesse si manifestino clinicamente. Con tale strumento si può salvare la vita di centinaia, almeno 300-350 bambini l'anno; e qualora esse fossero diagnosticate, si potrebbero evitare anche dei costi importanti da sostenere da parte del Servizio sanitario nazionale, poiché spesso le terapie sono estremamente costose, qualora la diagnosi non venga effettuata.
  Quel che ha spinto il MoVimento 5 Stelle a presentare questa proposta di legge, era innanzitutto la necessità che venissero abbattute una serie di discriminazioni che avvenivano – e avvengono ancora oggi, fino a quando non entrerà a regime questa legge – tra neonati nati, residenti in alcune regioni rispetto ad altre. Questo perché già in diverse regioni italiane, come ad esempio la Toscana, già dal 2004 tali screening neonatali estesi (così si dice perché in realtà per legge sono già obbligatori gli screening solo su tre patologie, che sono l'ipotiroidismo congenito, la fenilchetonuria e la fibrosi cistica) vengono effettuati su tutti i bambini, con una quantità di diagnosi che più o meno, su 400 mila neonati, in questi anni ammonta a circa 300. Questo rappresentava quindi per noi un punto nevralgico, che ha spinto il MoVimento 5 Stelle a presentare una legge che in realtà probabilmente è strano pensare non sia stata approvata prima; anche perché si tratta di un costo che, se vogliamo dire, rispetto naturalmente al totale del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, è estremamente contenuto, a fronte invece dei benefici sia in termini di salute, sia in termini anche di risparmio, come abbiamo già detto.
  La Commissione europea già nel 2004 raccomandava agli Stati membri di istituire in via prioritaria uno screening neonatale e generalizzato, o esteso come diciamo in Italia, per le malattie rare gravi, per le quali esistesse una cura: questo è un altro aspetto fondamentale, perché naturalmente è importante effettuare diagnosi proprio di quelle patologie di cui esiste, come oggi sappiamo, una terapia efficace, come da medicina basata sull'evidenza.
  La problematica è stata portata all'attenzione dell'opinione pubblica grazie in particolare all'AISMME, che è l'Associazione italiana sostegno malattie metaboliche ereditarie, che nel 2006 ha avviato un'intensa campagna di sensibilizzazione su questo tema.
  Il disegno di legge è quindi volto a disciplinare in modo permanente gli screening neonatali e lo screening neonatale esteso, in quanto eviterebbe a migliaia di famiglie di vivere un lungo periodo di incertezza della diagnosi, con elevati costi umani e anche sanitari in termini di visite, indagini diagnostiche, ricoveri e trattamenti inadeguati. Essi offrono inoltre il vantaggio alle famiglie, che abbiano già avuto un caso di malattia metabolica, di poter avere un consiglio genetico e di poter effettuare diagnosi prenatale, e permetterebbero di disporre di tali dati epidemiologici su un numero maggiore di patologie per la programmazione e la realizzazione di interventi di sanità pubblica, oltre a consentire un contenimento dei costi per il Servizio sanitario nazionale a lungo termine; oltre che, naturalmente, rappresentare un tassello fondamentale della prevenzione che ancora in questo Paese a nostro avviso ha bisogno di un Pag. 32serio intervento attuativo, a fronte di un intervento normativo sicuramente importante ma poco realizzato.
  Andando direttamente al testo in esame, esso si compone di sei articoli. L'articolo 1 illustra la finalità del provvedimento, che appunto è quella di garantire la prevenzione delle malattie metaboliche ereditarie mediante una misura obbligatoria da inserire nei livelli essenziali di assistenza relativa ad accertamenti diagnostici da effettuare su tutti i neonati per consentire la diagnosi precoce e il tempestivo trattamento delle patologie eventualmente diagnosticate. I soggetti a cui è rivolta questa misura possono essere nati da parti effettuati in strutture ospedaliere, ma anche nati a domicilio.
  L'ambito invece di applicazione è definito all'articolo 2 della proposta in esame, che si riferisce proprio agli accertamenti diagnostici nell'ambito degli screening neonatali obbligatori per le malattie metaboliche ereditarie, nella definizione già contenuta all'articolo 1, comma 229, della legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013).
  L'articolo 3 prevede un Centro di coordinamento sugli screening neonatali, volto a favorire la massima uniformità nell'applicazione sul territorio nazionale della diagnosi precoce neonatale, istituito presso l'Istituto superiore di sanità. Nel comma 2 prevede poi la composizione di questo Centro di coordinamento.
  L'articolo 4, invece, definisce le norme per un protocollo operativo per la gestione degli screening neonatali, con il quale definire le modalità di presa in carico dei pazienti risultati positivi all'accertamento e all'accesso della terapia. La seconda fase è altrettanto importante evidentemente quanto la prima, poiché la tempestività di intervento terapeutico a volte è dirimente per il successo anche nelle 24-48 ore dalla diagnosi: quindi la diagnosi e il trattamento devono andare di pari passo e devono essere assolutamente gestiti e coordinati secondo il protocollo operativo.
  L'articolo 5 detta una disposizione transitoria, al fine di prevedere l'attuazione delle presenti norme da parte delle regioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle stesse, conformemente a quanto già previsto dall'articolo 6 della legge n. 104 del 1992.
  Nell'articolo 6, invece, oltre a quanto detto, si dà l'attuazione e la copertura finanziaria, prevedendo che, con la procedura di cui al comma 2, da completare entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge, si provvede ad inserire nei LEA gli accertamenti diagnostici neonatali, con l'applicazione dei metodi aggiornati alle evidenze scientifiche disponibili per la diagnosi precoce di patologie metaboliche ereditarie. Il comma 2 dispone la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione delle predette norme, valutati in 25.715.000 euro annui, come segue: quanto a 15.715.000 euro, mediante le procedure previste dall'articolo 1, comma 54, della legge n. 208 del 2015, quindi l'ultima legge di stabilità, rispetto agli equilibri programmati di finanza pubblica; quanto invece a 10 milioni di euro, utilizzando le dotazioni finanziarie di cui all'articolo 1, comma 229, della legge n. 147 del 2013 (la legge di stabilità 2014), come incrementate dall'articolo 1, comma 167, della legge n. 190 del 2014 (quindi la successiva legge di stabilità 2015). Il comma 3, infine, stabilisce che dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che aggiorna i LEA, speriamo di imminente, prossima pubblicazione, mediante la procedura di cui all'articolo 1, comma 554, della legge n. 208 del 2015, nel rispetto delle indicazioni di cui al comma 1, cessa la sperimentazione di cui all'articolo 1, comma 229 (sperimentazione che peraltro ancora non è iniziata), della legge di stabilità per il 2014, ed è soppressa conseguentemente la relativa autorizzazione di spesa.
  Quindi, questo comma è importante, perché in qualche modo disciplina il passaggio normativo tra quella che era appunto la disposizione normativa che prevedeva un decreto del Ministero della salute per avviare, in via sperimentale, l'uso degli screening neonatali estesi in alcune regioni – peraltro già presente in Pag. 33alcune regioni – e transitare invece poi alla norma definitiva che, quando entrerà in vigore, prevedrà l'inserimento nei livelli essenziali di assistenza di tutte le regioni, con la copertura finanziaria indicata qualche minuto fa. Quindi, in un certo modo, dovrebbe appunto essere assorbito all'interno di queste previsioni normative.
  Si tratta, secondo noi, di un provvedimento importante, che per fortuna ha trovato la collaborazione di tutte le altre forze politiche e che è alla seconda lettura qui alla Camera, perché ha subìto piccole modifiche, per cui verosimilmente al Senato potrebbe concludersi l'iter prima della fine dell'estate, come ci auguriamo che avvenga. Quindi, crediamo che un punto di svolta, anche con un piccolo impegno economico, sia ormai alle porte, per tutti i neonati italiani di tutte le regioni.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Prego, sottosegretario.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Presidente, onorevoli presenti, colgo l'occasione per segnalare che il disegno di legge oggi all'esame di quest'Aula, a seguito dei lavori, che sono stati già riassunti efficacemente e chiaramente dall'onorevole Grillo, della Commissione affari sociali e ancor prima dalla Commissione igiene e sanità del Senato, ci consente di avviare un confronto, ancora aperto e sicuramente proficuo di ulteriori arricchimenti nel corso del dibattito in quest'Aula, su un testo che però appare già evidentemente strutturato in modo sufficientemente sistemico e anche organico. Per questa ragione ringrazio come sempre, a nome del Governo, tutti gli onorevoli componenti della XII Commissione, a partire dalla relatrice, l'onorevole Grillo, e l'apprezzamento particolare, non rituale, va sempre agli uffici dalla stessa Commissione, che ci hanno consentito e garantito lo svolgimento dell'iter parlamentare sempre con lo stesso indiscusso livello di professionalità.
  Qualche brevissima riflessione. È stato segnalato che ci sono stati già interventi normativi che avevano tentato di avviare una sperimentazione, nel corso della quale il lavoro fatto con le regioni non si è ancora concluso ma ha posto il problema molto importante nel nostro sistema sanitario italiano. È noto che lo screening neonatale ha come obiettivo primario la diagnosi precoce, già prima dell'insorgenza dei sintomi di patologie per cui la tempestiva presa in carico ed avvio di un adeguato trattamento, che può essere di tipo farmacologico o di dietoterapia, può evitare l'insorgere dei sintomi, spesso apparsi nella casistica che abbiamo a disposizione, gravemente invalidanti. Lo screening è effettuato tramite la semplice tecnica della raccolta di una goccia di sangue dal tallone del neonato nei primissimi giorni di vita ed il tempestivo esame in laboratorio. Ciò ci permette di porre sospetto di diagnosi in tempi brevi e di istituire la terapia opportuna in tempo anche utile.
  A normativa vigente – è stato già segnalato –, le patologie che già sono sottoposte obbligatoriamente a screening neonatale, ai sensi di una legge del 1992 e della legge n. 548 del 1993, sono la fenilchetonuria, la fibrosi cistica e l'ipotiroidismo. A questo punto va detto che ormai, da alcuni anni, la tecnologia della spettrometria che è stata ampiamente utilizzata ha reso possibile lo screening neonatale allargato, che viene indicato generalmente come lo screening neonatale esteso, che risulterebbe ad oggi dimostrato valido per oltre 40 differenti malattie metaboliche – in questo senso c’è un dibattito scientifico molto interessante e, come in questi casi, sicuramente ancora aperto – utilizzando gli stessi cartoncini già in uso per lo screening neonatale tradizionale.
  Siamo tutti consapevoli che la mancata diagnosi in epoca neonatale ed il ritardo dell'inizio del trattamento può comportare per il paziente l'insorgenza di gravi sintomi invalidanti e, nei casi più severi, addirittura la morte. Inoltre, la peculiare caratteristica delle patologie metaboliche e lo stretto rapporto esistente tra precocità e successo dell'intervento clinico-terapeutico richiedono esattamente un modello Pag. 34organizzativo coerente, uniforme e nazionale, che questo provvedimento intende implementare nel nostro Paese.
  Proprio partendo da questi presupposti, sono evidenti le motivazioni per le quali il disegno di legge in esame sia da considerarsi – secondo il Ministero della salute, che, come è noto, anche al lavoro della XII Commissione del Senato e alla relatrice di quella Commissione è intervenuto con un affiancamento, con un'attività di collaborazione anche nella strutturazione dei testi – una misura sanitaria di notevole portata. Una volta approvata, la legge disporrà che, sull'intero territorio nazionale, in modo sistematico ed organico, vengano effettuati gli screening neonatali, iniziativa che fino ad oggi, come è stato ricordato, è eseguita soltanto da alcune regioni. Nel contempo, è previsto, con la conclusiva definizione dei nuovi meccanismi che sovrintendono all'aggiornamento dei LEA, lo stesso inserimento permanente nei livelli essenziali di assistenza.
  In sintesi, il disegno di legge, secondo anche un lavoro svolto dalla XII Commissione della Camera sulle malattie rare, costituisce sicuramente un efficace strumento per la prevenzione secondaria delle malattie rare che si riferiscono a malattie ereditarie del metabolismo. Questo approccio permette infatti l'individuazione precoce di un'ampia gamma di patologie del metabolismo intermedio, buona parte delle quali ad alto rischio di scompenso metabolico ma suscettibili di un rilevante miglioramento della prognosi, se precocemente trattate. Un capitolo a parte meriterebbero – ma io li sintetizzo in pochi minuti – la prevenzione e la sostenibilità. Siamo tutti consapevoli che effettuare lo screening neonatale esteso non rappresenti – come è dimostrabile facilmente – un costo, bensì un investimento per la salute, sostituendo il principio del rapporto classico che viene utilizzato di costi-benefici addirittura con un nuovo rapporto, con un nuovo binomio, che è quello proprio di costo-opportunità. Il beneficio dello screening non è infatti limitato al paziente e alla sua famiglia, ma rappresenta oggettivamente una razionalizzazione dell'impiego delle risorse del sistema sanitario, nel senso che avviare un percorso di cura prima dell'insorgenza dei sintomi è senza dubbio meno oneroso della gestione di un paziente con un alto rischio di invalidità conseguente esattamente proprio al ritardo diagnostico.
  Partendo quindi dalla consapevolezza della rilevanza che riveste in termini di sanità pubblica lo screening neonatale, emerge con ogni evidenza la portata innovativa e il significativo e oggettivo interesse del disegno di legge in esame; pertanto ribadisco che, affinché un programma di screening sia efficace non solo dal punto di vista clinico ma anche di sanità pubblica, prevenzione collettiva, costi-benefici – come dicevo prima – ed equità d'accesso, è necessario garantire il raggiungimento e l'esecuzione del test al 100 per cento della popolazione, che è stata anche ampiamente calcolata con una proxy molto reale e che definisce anche la base del costo che questo intervento di sanità pubblica dovrebbe determinare, che, come veniva indicato dall'onorevole Grillo, supera di poco i 25 milioni di euro, in proporzione ai nati nel nostro Paese, che superano i 500 mila bambini all'anno. Quindi il test dovrebbe raggiungere il 100 per cento della popolazione di riferimento, nel rispetto della tempistica, che deve fornire precisi e definitivi percorsi clinici, con protocolli operativi ottimizzati all'impiego delle risorse da parte dei vari centri coinvolti nel processo che sono indicati dalla norma: i consultori familiari, i centri nascita, i centri screening, i centri di riferimento clinico, il pediatra del territorio.
  Questo risultato – è evidente sull'esperienza anche precedente – si può sicuramente raggiungere e conseguire solo mediante una norma che renda uniforme il sistema sull'intero territorio nazionale e superi ogni diseguaglianza di accesso ai servizi sanitari delle diverse regioni. Per questa ragione, il convinto contributo e sostegno del Governo e del Ministero della salute, sin dai lavori del Senato per concludersi a quelli dell'Aula di questa Camera, sono stati assolutamente sicuri e Pag. 35certi, proprio per una ragione di merito che abbiamo profondamente condiviso.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Occhiuto. Ne ha facoltà.

  ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, Presidente. Come ricordava la relatrice, questa proposta di legge nasce per iniziativa di una parlamentare del MoVimento 5 Stelle, ma è una proposta di legge che è stata approvata in sede deliberante dalla competente Commissione del Senato, qualche mese fa, con il consenso unanime di tutti i gruppi. Ed effettivamente questo è un testo che non presenta elementi particolarmente divisivi, anzi, è un testo che ha l'ambizione di recuperare il terreno perduto in questo Paese dal 1992 ad oggi. Nel 1992, una legge dello Stato, la legge n. 104, si occupò di prevedere che si rendesse obbligatorio lo screening neonatale per soltanto tre patologie, però, lo ricordava bene la relatrice qualche minuto fa.
  Oggi, però, le tecniche analitiche consentono lo screening neonatale per almeno 40 patologie, 40 altre patologie, e ciò consentirebbe, allora, di avere una diagnosi precoce, necessaria a erogare le cure più appropriate ai neonati attraverso interventi farmacologici, ma anche attraverso interventi di dietoterapia, e consentirebbe anche un significativo risparmio per il sistema sanitario. Lo diceva il Governo poco fa: investire sulla diagnosi precoce, in molti casi, significa investire sulla razionalizzazione del sistema della diagnosi e della terapia di molte patologie. Prima si è capaci di diagnosticare una patologia, meglio questa patologia viene trattata, evitando, magari, duplicazioni in termini di costi di diagnosi e anche evitando che alcune patologie poi diventino croniche e abbiano un costo maggiore per il sistema.
  Questa legge, peraltro, in qualche modo recepisce anche una raccomandazione della Commissione europea già di qualche anno fa. Qualche anno fa, la Commissione europea raccomandò ai Paesi membri di estendere il più possibile lo screening neonatale, e questa legge, prevedendo di adeguare i livelli essenziali di assistenza nella direzione di estendere lo screening neonatale, raccoglie questa raccomandazione e consente anche ai cittadini italiani di avere gli stessi diritti a prescindere dalla regione in cui nascono e vivono, perché inserire l'estensione dello screening neonatale all'interno dei LEA significa dare a tutte le regioni la possibilità di assicurare gli stessi livelli di assistenza ai propri assistiti.
  Ecco, è una buona legge, quindi, perché è una legge che va nella direzione di adeguare i livelli essenziali di assistenza; è una legge che ha anche un finanziamento, una sua copertura. Quindi, ha le caratteristiche per non essere una «legge manifesto». Che non diventi una «legge manifesto», però, dipende anche dalla possibilità che avremo di vederla realmente applicata.
  Mi riferisco, per esempio, al fatto che già nella legge di stabilità del 2015 era previsto uno stanziamento per queste finalità di 5 milioni di euro, che, peraltro, andava ad aggiungersi ad un precedente stanziamento disposto dalla legge di stabilità del 2014. Si prevedeva, allora, che il decreto ministeriale che dovesse rendere attuativa questa finalità fosse licenziato entro tre mesi: siamo al 2016 e ancora questo decreto ministeriale non è stato licenziato. Ora, siccome la possibilità di questa legge di non essere una «legge manifesto» ma una legge che effettivamente riverbera i suoi effetti nelle diverse regioni, dipende da quanto disposto all'articolo 5, cioè dalla possibilità che si avrà di far recepire il contenuto di queste leggi alle regioni entro sei mesi, l'auspicio è che il Governo voglia procedere nella maniera più decisa e convinta possibile affinché ciò avvenga, e avvenga in tempi ragionevolmente brevi, non nei tempi, per esempio, che non sono stati rispettati, quelli della norma contenuta nella legge di stabilità che il Parlamento licenziò a dicembre del 2013.
  Ecco, con questo auspicio noi preannunziamo un voto favorevole su questo testo. Ci riserviamo di presentare qualche emendamento – e concludo, Presidente, perché avevo dieci minuti, poi li ho ridotti Pag. 36a cinque, ma trenta secondi soltanto –, forse qualche emendamento semplicemente all'articolo che riguarda il centro di coordinamento, perché la norma della legge di stabilità del 2014 già prevedeva che quelle finalità fossero svolte da una commissione interna all'Agenas. La nostra preoccupazione è che, in qualche modo, il lavoro svolto da questa Commissione possa non essere valorizzato da questo centro di coordinamento o, comunque, che questo centro di coordinamento possa essere una sorta di duplicazione rispetto a quella Commissione. Allora, forse, nell'attività emendativa vedremo di assicurarci che questo rischio non si realizzi. Per il resto, concludo davvero, Presidente, scusandomi di avere abusato del tempo che avevo chiesto fosse ridotto, che poi, giustamente, mi ha invitato a rispettare, e dicendo, in sostanza, che l'orientamento del gruppo che rappresento qui, in discussione sulle linee generali, anche nella fase della votazione sul testo che viene proposto, è un orientamento sicuramente favorevole, ma incalzeremo il Governo perché nella fase attuativa questo testo possa davvero essere un testo che va nella direzione di recuperare il ritardo che il nostro Paese ha accumulato su questo tema (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Colonnese. Ne ha facoltà.

  VEGA COLONNESE. Grazie, Presidente. Da oggi i bambini del nostro Paese potranno avere una speranza in più: dopo l'approvazione all'unanimità dal Senato, finalmente la proposta di legge sullo screening neonatale approda in quest'Aula. È un provvedimento valido, un provvedimento risolutivo di una diseguaglianza sociale in un territorio che, se vuol dirsi unito, lo deve ottenere anche attraverso un eguale trattamento sanitario su tutto il territorio nazionale. Uno dei principi del MoVimento 5 Stelle è «nessuno deve rimanere indietro», e questo è un provvedimento che va a riguardare le persone più svantaggiate della nostra società, coloro che hanno più difficoltà a vedere riconosciuti i propri diritti. Questa è stata la spinta in più per portare avanti con tenacia l'intero iter di questo provvedimento. È stata una battaglia lunga, che ci ha messo tutti davanti alla consapevolezza che spesso, per vedere garantiti i diritti di questo Paese, bisogna avere una buona disponibilità economica.
  A volte c’è bisogno di una presa di coscienza e di individuare quelle che sono veramente le cose importanti sulle quali le risorse economiche vanno investite a prescindere, e, se non si hanno risorse, soprattutto per la salute, le si devono trovare. La salute è quel diritto che ci consente di godere di tutti gli altri. In Italia, nel 2014, sono nati circa 500 mila bambini, secondo quanto dice l'ISTAT. Di questi neonati, solo il 43 per cento è stato sottoposto al test di screening per le malattie rare metaboliche: si tratta di un semplice prelievo di sangue, effettuato a poche ore di vita del neonato, in grado di individuare la presenza di una malattia rara, quasi sempre gravemente disabilitante, se non diagnosticata immediatamente e opportunamente curata.
  I bambini che non hanno potuto effettuare questo test sono circa 290 mila, più della metà. In Italia, lo screening neonatale è attualmente obbligatorio su tutto il territorio nazionale solo per tre malattie. La più rilevante innovazione dello screening neonatale negli ultimi vent'anni è stata senza alcun dubbio l'introduzione della spettrometria di massa tandem, una tecnica che consente con una singola analisi l'identificazione precoce, in epoca neonatale, di più di 40 patologie metaboliche ereditarie. L'introduzione dello screening neonatale esteso ha segnato un punto di svolta epocale impensabile fino agli anni Novanta. Si è passati, quindi, dallo screening di base per tre patologie, allo screening per più di 40 patologie. Questo profondo cambiamento ha segnato parallelamente un punto di svolta anche nella storia clinica delle patologie coinvolte che finalmente hanno trovato nella diagnosi precoce uno strumento di cura efficace. Le patologie oggetto dello screening neonatale, Pag. 37se non riconosciute precocemente, possono causare danni spesso irreversibili, soprattutto a carico del sistema nervoso centrale, con conseguenti gravi disabilità. L'identificazione di tale patologia nei primi giorni di vita è essenziale per intervenire in tempo e per evitare le conseguenze gravi sulla salute del neonato. Infatti, la diagnosi precoce di queste malattie permette un intervento terapeutico farmacologico e/o dietetico, finalizzato alla prevenzione dei possibili danni all'organismo del neonato. Il programma di screening neonatale prevede che tutti i neonati – quindi tutti ! – vengano sottoposti gratuitamente a semplici test effettuati su poche gocce di sangue prelevate dal tallone del neonato nei primi giorni di vita dopo la nascita. Lo screening neonatale permette di identificare numerose malattie prima che queste si manifestino e quindi di evitare i danni irreversibili; lo ripetiamo proprio per sottolineare l'importanza dello screening neonatale.
  In Italia purtroppo solo alcune regioni effettuano screening neonatale esteso ed obbligatorio per legge e in poche altre sono attivi dei progetti pilota, quindi soltanto una parte esigua della popolazione in Italia è sottoposta a questo screening. A seguito della consapevolezza della necessità di estendere la prevenzione a tutto il territorio nazionale, affinché tutti possano beneficiare dello screening esteso, eliminando le disparità tra regione e regione, il MoVimento 5 Stelle ha presentato il disegno di legge in discussione. È sconcertante che questo prezioso strumento non sia operativo in tutto il territorio della nazione, ma solo in alcune ragioni; ci sono alcuni bambini nati in alcune regioni d'Italia che possono rimanere disabili a vita solo perché in quel posto non viene effettuato l'esame. Ora, se l'articolo 32 della Costituzione stabilisce che la salute è un diritto fondamentale dell'individuo e un interesse della collettività, non si può continuare a consentire una così ingiusta condizione di diseguaglianza. Fra le altre cose, è un esame che costa soltanto un euro a patologia e dunque con un carico irrisorio per il Sistema sanitario nazionale che, in più, si troverà sgravato dei costi, quelli sì onerosi, delle cure che in mancanza della diagnosi tempestiva si dovrebbero effettuare sui pazienti affetti da queste malattie gravemente invalidanti.
  La Commissione europea già nel 2004 raccomandava agli Stati membri di istituire in via prioritaria uno screening neonatale generalizzato per le malattie rare, ma gravi, per le quali esiste una cura. Sono passati undici anni e in Italia continua a permanere questa gravissima disparità di trattamento tra regione e regione; oggi abbiamo questa opportunità. Questo disegno di legge è volto a disciplinare in modo permanente lo screening neonatale in quanto eviterebbe a migliaia di famiglie di vivere un lungo periodo di incertezza, l'incertezza nella diagnosi, con elevati costi umani e anche sanitari in termini di visite, indagini diagnostiche, ricoveri e trattamenti inadeguati. L'importanza della prevenzione è fondamentale, sia per migliorare la vita delle persone e intervenire in tempo per stabilire la cura per una patologia, sia perché consentirebbe un risparmio per il Servizio sanitario nazionale nel lungo periodo. Ci sono realtà sperimentali che confermano che il beneficio non è solo per i pazienti, ma è beneficio per l'intero sistema. Intervenire in maniera precoce su patologie curabili è doveroso nei confronti dei pazienti ed è doveroso nei confronti di un contesto socioeconomico dove gli sprechi hanno contribuito sostanzialmente alla situazione di crisi che stiamo vivendo.
  Noi sosteniamo da sempre che bisogna ridurre gli sprechi, che bisogna risparmiare, allora risparmiamo su malattie che potrebbero essere evitate e su cure che potrebbero essere non più necessariamente propinate. C’è sembrato incomprensibile che in tanti anni un simile provvedimento non si fosse già attuato, ma fortunatamente in Senato, con un voto all'unanimità su questa proposta di legge, si è riusciti a superare questa cosa. Siamo il Paese che ha inventato il codice civile, ma dopo 2000 anni abbiamo bisogno ancora di una legge per vedere garantiti i diritti inalienabili, mentre sarebbe stato Pag. 38tanto più semplice prendere esempio dalla realtà toscana ed estenderla su tutto il territorio nazionale.
  È stata una battaglia lunga, ci sono voluti due passaggi parlamentari, nonostante tutte le forze politiche fossero concordi nel ritenere questo provvedimento valido e risolutivo delle diseguaglianze. Abbiamo superato tutti gli ostacoli, anche la delusione di scoprire che, nella legge di stabilità del 2015 mancavano, probabilmente per un refuso, i 10 milioni di euro stanziati e, come è noto, nella legge di stabilità non si stabiliscono interventi strutturali. Occorreva, invece, che lo screening neonatale diventasse obbligatorio per sempre e che quindi venisse inserito nei LEA. Abbiamo combattuto con tenacia fino a quando abbiamo ottenuto questa vittoria. Il finanziamento quindi c’è e il mondo scientifico è concorde, bisogna dare a questo Paese il beneficio di vedere garantito il diritto della salute per i propri figli in maniera egualitaria su tutto il territorio nazionale. Noi auspichiamo che questo passaggio alla Camera sia formale, anche con dei miglioramenti che verranno proposti, ma che sia in realtà la fine per vedere l'inizio dello screening neonatale su tutto il territorio nazionale. Dunque, questa proposta noi la vorremmo vedere finalmente inserita nei LEA, renderla obbligatoria sull'intero Paese e quindi sull'intero Sistema nazionale e auspichiamo che la legge garantisca effettivamente il diritto alla salute dei bimbi appena nati. Aiutiamo le loro famiglie e al contempo le casse dello Stato; puntando sulla prevenzione piuttosto che sulla cura, il Servizio sanitario nazionale risparmia e offre un servizio migliore. Il Senato ha trasformato una speranza in legge, dimostrando che, quando si vuole, è possibile arrivare insieme a risultati importanti; ora la Camera faccia l'ultimo passo e trasformi questa speranza in realtà.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, illustri membri del Governo, colleghi, la proposta di legge in realtà ci sta a cuore e non è vero che il Parlamento non avesse mai fatto riferimento a tematiche così delicate perché c’è una mozione presentata nella precedente legislatura e approvata all'unanimità e un'altra mozione sullo stesso tema delle malattie rare, e quindi in qualche modo collegata anche alle malattie metaboliche ereditarie, che fa riferimento a questo tema. È un po’ il complesso meccanismo diciamo del gioco delle Camere che non ci ha permesso, in qualche modo, di calendarizzate qui per prima una proposta di legge su questo tema, ma siamo ben felici che oggi sia arrivata. Siamo ben felici e speriamo soprattutto di poterla concludere in un tempo ragionevolmente breve. Il titolo della proposta di legge «accertamenti diagnostici neonatali obbligatori per le malattie metaboliche ereditarie», fa sì che ognuna di queste parole suoni un poco come una pietra e cercherò di glossarle un attimo prima di entrare nel vivo della relazione.
  Il primo punto è «accertamenti». Il tema vero è che, davanti alla diagnosi come dire genetica di una malattia metabolica ereditaria, non è indifferente che si tratti davvero di accertare che la malattia che stiamo diagnosticando è positivamente presente in questo soggetto. Falsi positivi e falsi negativi – lo vedremo dopo – sono due rischi che si corrono lungo il processo e questo deve obbligare a seguire protocolli veramente sperimentati, certi e sicuri. Le altre parole chiave qui sono «accertamenti diagnostici». In realtà se noi ci limitassimo a considerare il problema solo sotto un profilo diagnostico, faremmo un cattivo servizio anche dal punto di vista etico, oltre che dal punto di vista clinico. Noi siamo obbligati a procedere verso l'accertamento diagnostico quando siamo certi di avere a disposizione strumenti che possono permetterci o di attuare una politica di prevenzione o comunque di attivare poi una politica positiva di cura e di presa in carico del bambino. «Neonatali», perché ci servono questi accertamenti fatti praticamente alla nascita del bambino, perché, se è una diagnosi di una patologia metabolica, bisogna intervenire quanto Pag. 39prima sul controllo di quell'enzima carente o comunque di quel meccanismo turbato e quindi, anche in questo caso, la tempestività è fondamentale. Ma, allora, se l'accertamento diagnostico metabolico neonatale è così importante, è necessario che la nostra attenzione si concentri non soltanto su quelli che poi sono di fatto gli oggetti della proposta di legge, ovvero i centri di screening che molto spesso sono centri di screening a carattere prevalentemente regionale, in alcuni casi interregionale, ma anche soprattutto laddove ci sono i punti nascita, perché è, dall'inizio del processo che, in qualche modo, occorre prendersi cura del bambino. Poi, ricordo il fatto che non tutte le malattie ereditarie e, quindi, non tutte le malattie rare richiedono interventi così precoci, perché non per tutte ci sono strumenti, modalità e possibilità di intervento altrettanto precoci, però, quelle metaboliche, per la stessa natura del meccanismo patogenetico, richiedono un intervento di questo tipo. Quindi, devo dire che, già dal titolo, questa legge è una specie di piccolo trattatello di tutte le cose importanti di cui dobbiamo tenere conto nel momento in cui ci rivolgiamo a questo tipo di patologie. Quali sono i dati di partenza di cui noi disponiamo ? Attualmente ci sono circa 54 patologie che sono state identificate in base a gravità, disponibilità di testi accurati e di trattamento – per la semplice ragione, che dicevo prima, che una cosa non può procedere senza l'altra, un obiettivo non può andare se non accompagnato dall'altro – che sono state riconosciute dalle società internazionali che, però, anche loro richiedono di essere riviste ogni tre anni, secondo quelle modalità che auspicheremmo che fossero veramente operative, come quelle dell'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza. Di queste 54 patologie sono soltanto 26, forse, più due, le malattie che rispondono a tutti questi criteri; 19 vi rispondono soltanto in parte e 7 soltanto in modo occasionale. Ma ciò che colpisce è che allo stato attuale, nel nostro Paese, sono obbligatori i test solo per tre, sottolineo tre con tanto di punti esclamativi, patologie, laddove in Spagna questi test vengono effettuati abitualmente su 40 patologie, il che, è stato calcolato, significa che ogni anno circa 300 bambini sfuggono a questa nostra indagine, e questi bambini che sfuggono rappresentano sicuramente un progetto di vita molto complesso, molto complicato, in cui dovranno fare i conti con una disabilità acquisita che francamente avrebbero potuto evitarsi, ma soprattutto rappresentano anche, per tutto il sistema, un lievitare dei costi che avrebbero potuto essere positivamente investiti in altro modo. Forse, potrebbe essere interessante per tutti noi, per quelli che, in qualche modo, non si sono mai misurati con una diagnosi, con che cos’è una malattia metabolica ereditaria, provare semplicemente a ricordare che queste sono causate dall'assenza o dalla carenza di uno degli enzimi intracellulari deputati alla produzione di energia nell'organismo. Questo meccanismo viene alterato, risulta alterato perché c’è un gene alterato che causa l'assenza dell'enzima, con una conseguente riduzione della produzione di energia. Per alcune malattie metaboliche il danno è dovuto principalmente alla carenza di un prodotto importante che non viene più sintetizzato, mentre, invece, per altre è dovuto all'accumulo di metaboliti che risultano tossici, oppure, certe volte, qualche aspetto non è prodotto e qualche aspetto viene prodotto in eccesso, come dire che il meccanismo del difetto e il meccanismo dell'eccesso si intrecciano profondamente. Il fatto è, ed è questo il punto chiave, per quanto riguarda la prevenzione della comparsa di handicap (qui stiamo parlando di un meccanismo di prevenzione di secondo livello), che noi non possiamo prevenire la malattia metabolica, però possiamo intervenire precocemente per prevenire gli effetti secondari di questa malattia metabolica, ed è questo quello che rende fortemente cogente, per tutti noi, l'intervento su queste patologie, perché questa possibilità è strettamente legata alla tempestività della diagnosi, alla rapidità dell'inizio della terapia. Il mancato riconoscimento della patologia o il suo trattamento in centri medici non qualificati per queste patologie si traduce in Pag. 40un peggioramento della prognosi e della qualità di vita dei pazienti, oltre che in un alto costo sociale per i gravi danni neurologici che ne derivano. Ora, penso che tutti i colleghi, qui, sappiano che, da tempo, mi occupo di malattie rare e che, quindi, sono anche in contatto con molte associazioni di questo tipo, e noi sappiamo che la prima difficoltà che denunciano queste famiglie è il ritardo nella diagnosi. Il ritardo nella diagnosi è la causa principale del danno che si provoca in questi soggetti. Sappiamo anche che in questo senso – probabilmente, prossimamente anche il Governo ci dirà in che modo si è mosso – si stanno organizzando questi centri a livello europeo che sono centri di ricerca sulle malattie rare, ma sono anche centri di intervento positivo, per cercare di capire quali sono i protocolli diagnostici, ma anche quali sono i protocolli terapeutici, in stretta collaborazione, poi, con tutta la produzione di farmaci; mi riferisco ai famosi farmaci «orfani», perché poi, molto spesso, per queste patologie ci troviamo anche in carenza di farmaci specifici.
  Un buon punto di riferimento per noi, per essere incoraggiati a prendere nella massima attenzione questa legge, è il riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, concretamente all'articolo 24, che recita così: le autorità sanitarie hanno la responsabilità di offrire lo screening neonatale a tutti i loro cittadini. È fondamentale che la legge europea inserisca questo punto nella Carta dei diritti, perché ancora una volta questo ci aiuta a pensare che non è un gesto di maturità scientifica da parte del nostro Paese, non è un gesto di clinici illuminati che vogliono procedere in un determinato modo, ma è un diritto fondamentale della persona, cioè non è che fare o non fare lo screening è qualcosa di opzionale; è qualcosa che compete al diritto di una persona, alla tutela profonda e prioritaria della sua salute e della sua qualità di vita.
  Il 7 maggio del 2008, il Consiglio d'Europa ha adottato il protocollo addizionale della Convenzione sui diritti umani dove ha sollecitato tutti a intervenire con l'implementazione degli screening, dopo, certamente, averne valutato l'accettabilità, anche sotto un profilo etico, e la piena congruenza con questi obiettivi che mi permetto di sintetizzare velocemente: la rilevanza per la salute della popolazione interessata (non è possibile fare screening su popolazione non interessata, perché questo contraddirebbe un principio etico: il test che faccio lo faccio pensando al bene, al vantaggio, al diritto concreto di quella persona, non studio su alcune persone, in qualche modo sottoponendole ad esami che sono per loro non necessari, per il bene di altre); ovviamente, la validità scientifica e l'efficacia del programma che sto attuando; la disponibilità – lo accennavo prima – di misure preventive e di trattamenti appropriati. Non è un sapere per il sapere che ci muove a fare degli screening, ma è un sapere per un intervento mirato, è un sapere che si cala davvero nella realtà individuale del soggetto.
  Dopodiché, diventa fondamentale che ci sia un accesso equo al programma e che, quindi, tutti possano avere diritto ai test che gli screening rendono disponibili, attraverso un processo di informazione e attraverso un processo di partecipazione volontaria.
  Dice la legge europea, a proposito di queste caratteristiche, che sono l'informazione e la partecipazione, e che suonano perfettamente a tutti noi anche con un'altra formula che è quella che si definisce il consenso informato, che, perché i cittadini possano avere un'informazione adeguata non solo scientificamente, ma anche caratterizzata da quelli che sono gli indicatori di attendibilità dei terzi, attraverso anche una valutazione dei famosi falsi positivi e dei falsi negativi, è necessario e altamente conveniente che questi progetti collaborativi abbiano un carattere internazionale.
  Perché insisto sul carattere internazionale ? Perché questo ci permette di ottimizzare i benefìci e di ridurre i danni; tra i benefici penso alle strategie finalizzate al miglioramento della salute attraverso, appunto, la prevenzione e la diagnosi precoce, Pag. 41ma tra i danni potenziali – e qui voglio fermarmi un momento – mi riferisco a quei falsi positivi e a quei falsi negativi. Perché i falsi positivi sono un danno ? Perché il falso positivo spinge a fare ulteriori accertamenti, creando un livello di ansia, un livello di sofferenza e di disagio per le famiglie senza che questo poi sia realmente necessario per la salute del soggetto.
  Peggio ancora con il falso negativo in cui io escludo che ci sia un quadro di patologia che invece è presente, ritardando per questa persona la diagnosi.
  Questa dialettica del falso positivo e del falso negativo è una di quelle più importanti nel momento in cui si avvia un processo di screening. Possiamo dire che la cosa che interessa a noi maggiormente è che cosa fare, però, dopo che noi avremo approvato questa legge; dopo che lo screening neonatale sulle malattie metaboliche ereditarie sarà stato reso obbligatorio e, soprattutto, avrà contribuito a realizzare tra le diverse regioni quelle comuni opportunità di qualità di vita, che non discrimineranno più un bambino nato in Valle d'Aosta da un bambino nato in Calabria, tanto per citare un esempio, quando io dispongo di questi dati, che cosa ne faccio di questi dati, chi sono gli interlocutori interessati alla conoscenza di questi risultati ? Su questo, perlomeno in Commissione, abbiamo discusso molto e mi risulta che anche al Senato abbiano discusso molto, perché da un lato devi salvaguardare il concetto di privacy, dall'altro devi salvaguardare il concetto di salute come bene individuale, ma anche come bene della comunità e quindi sono interessati alla comunicazione di questi risultati ovviamente i genitori del bambino. Ma è chiaro che al genitore del bambino non puoi mandare per posta il risultato dello screening o non ti puoi limitare a dire: questo bambino ha questa cosa o questo bambino, come dicevamo prima con i falsi negativi, non corre alcun rischio di avere questa patologia. Hai bisogno che il counseling genetico si inserisca in una qualità di relazioni tra il medico, il genetista medico, il pediatra: va assolutamente definito chi è l'interlocutore che manterrà con la famiglia una comunicazione che già di per sé è densa di risultati positivi sotto il profilo della tutela della salute ma certamente il dato non può rimanere soltanto nella famiglia. È un dato che andrà trasmesso ai registri (registro regionale e registro nazionale) e poi, attraverso i registri, deve giungere a quel punto di vertice che è costituito dalla sintesi dei dati che è rappresentata in questo momento dall'Agenas. Quindi, cosa possiamo fare noi ? Possiamo, da un lato, auspicare davvero che questa proposta di legge raggiunga presto il suo obiettivo che sarà verificato sul campo, sarà verificato dalla contestuale formazione che noi metteremo in piedi perché nei confronti di tutta la filiera delle persone interessate perfino dalle indagini durante la gravidanza, se necessario, ma comunque dal momento della nascita, dal momento del prelievo, quando si spiega ai genitori perché si fa questo prelievo, per quali motivi, fino al momento in cui arrivano i primi risultati, lungo il processo di trattamento, è necessaria un'azione di counseling e di supporto alla famiglia che, insisto, è parte integrante della qualità del trattamento che si fa.
  La proposta di legge che abbiamo firmato e che mi auguro possa essere approvata quanto prima ovviamente insiste molto anche sul modello di organizzazione che deve avere il centro di screening regionale. Non si possono moltiplicare inutilmente i luoghi anche perché uno dei criteri di accreditamento della moratoria è che in quel laboratorio si facciano perlomeno 3000 indagini l'anno su questo tipo di analisi. Questo perché soltanto una pratica continuata, una verifica continuata del sistema di qualità, una verifica dei risultati permette di dare senso a quella prima parola che definisce la proposta di legge, «accertamento»; cioè accertati, sii sicura che quello che fai è fatto bene, sii sicura che questo soggetto presenta davvero questa patologia, sii sicuro davvero che il tuo intervento è un intervento mirato.Pag. 42
  Quindi, abbiamo bisogno di avere un progetto che prenda atto di quali sono davvero i laboratori qualificati a poterlo fare, abbiamo bisogno di un progetto di formazione su tutti i professionisti che coinvolga, insisto, anche il pediatra di base che poi manterrà le relazione continuativa con la famiglia che, pur non essendo un genetista medico, su questo tema deve acquisire chiarezza nelle competenze e lucidità negli interventi da mettere in piedi.
  Credo che sia una proposta di legge – ne vedevamo un'altra stamattina – che si colloca al termine della vita dei genitori. Il provvedimento sul «dopo di noi» fa leva proprio sul momento in cui i genitori non ci saranno più. La proposta di legge in esame, invece, fa leva sul momento iniziale della vita. Mi sembra abbastanza singolare che nello stesso pomeriggio, nello stesso momento, si discuta di vita e di morte. Ma ritengo che questo sia il bello della medicina, credo che questo è il bello della nostra professione, perlomeno di tutti noi che stiamo in Commissione affari sociali e che ci occupiamo di questi problemi, di questi diritti dei cittadini perché, insisto, non stiamo parlando di beneficenza: stiamo parlando di diritto e abbiamo il dovere corrispondente di rispondere positivamente a questo diritto.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gregori. Ne ha facoltà.

  MONICA GREGORI. Grazie, Presidente. Lo screening neonatale è oggi considerato una responsabilità essenziale del sistema di salute pubblica ed è ritenuto di importanza critica per migliorare la salute dei bambini affetti. La politica di sviluppo dello screening neonatale viene oggi considerata primariamente diretta all'interesse dei neonati affetti ma è anche successivamente diretta agli interessi dei neonati sani, delle famiglie, degli operatori sanitari e del pubblico. La proposta di legge in discussione oggi ha il pregio di fornire, dopo anni di stallo, una cornice legislativa per organizzare e regolare l'uso dello screening neonatale esteso ed evitare eccessive differenziazioni applicative tra le varie regioni.
  Se è vero che alcune regioni cosiddette virtuose applicano lo screening neonatale esteso come tecnica diffusa, è anche vero che, nella maggior parte del territorio italiano, questa pratica risulta ancora troppo carente. Alcune regioni virtuose come la Toscana in primis, poi l'Umbria, la Liguria, l'Emilia Romagna, il Veneto, la Sardegna e parte del Lazio e alcune province della Sicilia hanno attivato, mediante delibera regionale, lo screening neonatale allargato, portando la percentuale di bambini screenati in Italia al 29 per cento, circa 150.000 bambini su 519.000. Questa disparità tra regioni e regioni fa sì che un bambino che nasce a pochi chilometri dalla zona screening non venga sottoposto al test. Questo significa che in una regione con una natalità di 50.000 bambini all'anno come il Lazio nasceranno una trentina di bambini affetti da patologia metabolica. Sono bambini che rischiano di essere persi in mancanza di una diagnosi precoce. Al contrario, lo screening neonatale per la diagnosi precoce di patologie metaboliche ereditarie permette di realizzare indagini sistematiche sulla popolazione neonatale, rendendo possibile l'identificazione di una malattia prima della comparsa di segni e sintomi clinici.
  Inoltre, l'effettuazione dello screening neonatale allargato permetterebbe di disporre di dati epidemiologici su un numero maggiore di patologie per la programmazione e realizzazione di interventi di sanità pubblica oltre a consentire un contenimento dei costi per il Servizio sanitario nazionale a lungo termine.
  La legge n. 104 del 1992 ha introdotto nel panorama legislativo italiano lo screening neonatale per sole tre malattie: l'ipotiroidismo congenito, la fibrosi cistica e la fenilchetonuria. Sappiamo che questo non basta sia per l'evoluzione delle malattie rare sia per la necessità di ampliare lo spettro protettivo a tutela dei nostri bambini. L'articolo 1 indica la finalità del provvedimento: garantire la prevenzione delle malattie metaboliche ereditarie mediante l'inserimento nei livelli essenziali di Pag. 43assistenza degli screening neonatali obbligatori da effettuare su tutti i neonati per consentire un tempestivo trattamento delle patologie.
  I soggetti a cui è rivolta questa misura possono essere nati sia in strutture ospedaliere oppure mediante i parti domiciliari. Di particolare importanza, in questo senso, risulta l'articolo 3 del provvedimento in esame che istituisce un centro di coordinamento sugli screening neonatali, volto a favorire la massima uniformità nell'applicazione sul territorio nazionale della diagnosi precoce neonatale, istituito presso l'Istituto superiore di sanità. L'obiettivo di questo futuro organismo dovrà essere quello di far coincidere ad una massima rappresentatività di tutti gli attori coinvolti anche i compiti che tutte le regioni dovranno mettere in campo. È altrettanto rilevante l'articolo 4 che definisce le norme per un protocollo operativo per la gestione degli screening neonatali con il quale definire le modalità di gestione del consenso e del dissenso informato dei familiari, della presa in carico dei pazienti risultati positivi agli accertamenti e dell'accesso alle terapie. A predisporre tale protocollo è chiamato il Ministro della salute, dopo aver acquisito il parere dell'Istituto superiore di sanità e della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome e delle società scientifiche di riferimento.
  In conclusione, onorevoli colleghi, con questa proposta di legge si punta a superare quella generale arretratezza e incompletezza che caratterizzava il Sistema sanitario nazionale in ordine a questo aspetto fondamentale per comprendere, analizzare e intervenire su tutto il panorama delle patologie ereditarie. Tale operazione è tanto importante quanto lo è risalire la china dell'inversione demografica che il nostro Paese ha purtroppo imboccato da una serie di anni. Insomma per tornare a fare figli è sicuramente fondamentale fornire la cornice sanitaria più adeguata e avanzata possibile.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Amato. Ne ha facoltà.

  MARIA AMATO. Grazie, Presidente. Questa proposta di legge è un passo avanti significativo, anche se è giusto ricordare che, se siamo a questo punto è perché il Governo, recependo gli impegni già espressi in Parlamento, come ha testé ricordato la collega Binetti, ha individuato le risorse aggiuntive.
  È iniziata una nuova era per lo screening neonatale metabolico. Tutti gli attori che hanno come scopo la salute del bambino, in primo luogo i pediatri, sia ospedalieri che di libera scelta, devono conoscere questa grande rivoluzione. Essa è già in atto in alcune regioni e rapidamente coinvolgerà tutto il Paese, dato il recente inserimento dello screening neonatale metabolico allargato nei LEA; è questo l’incipit di una pubblicazione scientifica del 2015, a cura dell’équipe del professor Alberto Burlina, direttore e coordinatore del Centro screening di Padova, in cui – lo ricordiamo – è stato realizzato il programma, fra i primi in Italia, per lo screening allargato delle malattie metaboliche con Tandem Mass spettrometria, perché è di screening che parliamo, non solo di procedure diagnostiche; per questo abbiamo voluto sottolineare la parola «screening» nel testo di legge: non è una parola inglese, è un metodo; lo screening abbraccia le procedure diagnostiche, ma è molto altro: si basa su criteri uniformi e codificati a livello internazionale (identificazione della popolazione, malattie suscettibili di un qualche tipo di trattamento, strumenti diagnostici soddisfacenti, anche se raramente attendibili al 100 per cento). La malattia da identificare deve rappresentare un problema significativo.
  Eseguire lo screening neonatale significa, dunque, molto più che eseguire un test: si tratta di una procedura coordinata ed inserita in un sistema che deve prevedere formazione, follow-up, diagnosi, trattamento e gestione dei dati, oltre alla valutazione dei risultati. Lo screening, cioè, non risponde solo al bisogno di salute del singolo, ma all'impatto sociale della malattia. Pag. 44La rivoluzione vera è nel principio che le spese per la prevenzione non sono un costo, ma un investimento.
  C’è un altro obiettivo, in questa legge, che risponde ad un diritto sacrosanto: quello dell'equità. Il numero di malattie screenate è uguale in tutto il territorio nazionale e le finalità sono chiaramente descritte nell'articolo 1: obbligatori, da effettuare su tutti i nati da parti in strutture sanitarie o a domicilio. A tutt'oggi, infatti, emerge un quadro di marcata disomogeneità nel territorio italiano per quel che riguarda le patologie oggetto di screening, le metodiche di laboratorio utilizzate, nonché la gestione del successivo iter diagnostico terapeutico.
  Bisogna screenare tutto ciò che si può misurare o soltanto ciò che si conosce bene e si può efficacemente curare ? Certo è che non si può lasciare alla casa produttrice di nuova tecnologia la definizione dell'elenco delle malattie metaboliche da screenare: l'articolo 4, infatti, correttamente affida all'Agenas, attraverso una valutazione di Health Technology Assessment, la scelta delle patologie da inserire. Il senso dell'approccio con Health Technology Assessment è multidisciplinare per l'analisi delle conseguenze medico-cliniche, sociali, organizzative, economiche ed etiche di una tecnologia. Non la tecnologia in quanto tale, ma per la sua rispondenza a bisogni di salute, in una parola: appropriatezza.
  Anche l'estrema variabilità delle malattie metaboliche ereditarie non aiuta in queste valutazioni. A parità di difetto enzimatico, alcuni bambini hanno un decorso gravissimo mentre altri molto più lieve. Alcuni rispondono bene ad una terapia dietetica o farmacologica, altri molto meno. Se per le malattie note la diagnosi precoce cambia tutto l'iter successivo di malattia, l'acquisizione di dati per la medicina basata sull'evidenza e per ciò che riguarda le malattie rare può rappresentare anche essa stessa un grande risultato.
  La revisione critica del testo, anche dopo le modifiche apportate in Commissione, ci spinge a tornare su un principio: è controproducente, per gli obiettivi della legge, inserire il riferimento agli standard così come è avvenuto nel testo all'articolo 3, comma 4, punto f), in cui si fa riferimento al limite delle 24 ore per la consegna del campione di sangue presso il centro di riferimento di screening regionale.
  Riteniamo più corretto un approccio che rimandi queste indicazioni alle linee guida di riferimento, sia per il rispetto della visione scientifica sia per snellezza di procedura di fronte ad eventuali risultati di ricerca, che più facilmente trovano spazio nella revisione di una linea guida piuttosto che nell'iter di una legge.
  Va ricordato però che lo screening da solo non basta; per questo è necessario il coinvolgimento della rete dei pediatri già all'atto del prelievo del campione ed ancor di più alla restituzione del risultato. Lo screening infatti non prepara i genitori ad un eventuale dubbio diagnostico, né ad una cattiva notizia. Fornire informazioni chiare consente una migliore gestione dell'impatto di una diagnosi, delle paure non sempre giustificate e sulle azioni da mettere in campo nel percorso terapeutico, perché è necessario considerare che esistono circa 400 malattie metaboliche ereditarie e lo screening permette al momento la diagnosi di circa il 10 per cento di queste. Per quanto precisa, qualsiasi strumentazione è suscettibile di errore analitico.
  È bene ricordare che alcune patologie ad espressione particolarmente grave possono presentarsi nei primissimi giorni di vita, quando ancora l'esito dello screening non è disponibile. Alcune malattie del metabolismo intermedio non possono attualmente essere facilmente rilevate allo screening per la mancanza di metaboliti di riferimento. Un passo avanti notevole, dunque, ma non la panacea di tutti i mali.
  Nelle malattie metaboliche l'alimentazione – lo voglio ricordare – rappresenta piccola o grande parte della terapia, come per esempio nell'aciduria malonica, in cui va evitata prontamente la proteina animale.
  Cosa fondamentale, in questi tempi di limitate disponibilità finanziarie, è quella Pag. 45della sostenibilità organizzativa ed economica: per favorire un adeguato risparmio in termini di utilizzo di strumentazioni, materiali di laboratorio, impegno di risorse umane, oltre che per garantire un'adeguata expertise da parte del personale impiegato nelle varie fasi dello screening, si istituisce un centro di coordinamento sugli screening neonatali, in cui, oltre ai rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, Ministero della salute, Conferenza Stato-regioni, siano presenti associazioni rappresentative dei soggetti affetti.
  Auspichiamo come sempre, come abbiamo già detto a proposito delle malattie rare, che le associazioni che siedono ai tavoli organizzativi e di verifica delle procedure vogliano implementare gli sforzi per dotarsi di comitati scientifici.
  Infine, con un emendamento all'articolo 6 dell'onorevole Miotto, si riportano al comma 554 della legge di stabilità e quindi ai LEA, le disposizioni di attuazione e copertura finanziaria.
  Accanto alle problematiche organizzative e di ricerca di copertura finanziaria, non vanno sottovalutate quindi le problematiche etiche. Nessuna questione può essere sollevata parlando di fenilchetonuria o di fibrosi cistica o di omocistinuria, delle tirosinemie o della citrullinemia per le conoscenze più diffuse nel mondo medico e ormai anche nei forum delle mamme. Ci domandiamo – e se lo domanda anche il mondo scientifico – se sia etico diagnosticare una malattia, senza sapere se effettivamente quell'individuo presenterà sintomi clinici. Un esempio di malattia per la quale si sta verificando questo tipo di problema è il deficit di beta metilmalonil aciduria: molti soggetti portatori del difetto sono asintomatici, poiché il rischio di una possibile acidosi metabolica è legato non solo alla malattia di per sé, ma anche a fattori intercorrenti e non prevedibili. Si intuisce quindi la necessità di adeguati percorsi formativi del personale sanitario, oltre che di un esauriente comunicazione ed informazione, che dovrebbe essere fornita ai genitori prima del test, già in epoca prenatale. I pediatri sono l'elemento cardine, quello che sa come parlare con le famiglie in caso di positività e come evitare che un falso positivo allo screening diventi elemento di fragilità nella crescita del bambino e di eccessiva apprensione per la famiglia. Si fa un passo in avanti, si portano in un testo di legge gli indirizzi scaturiti da progetti scientifici sull'utilizzo di nuove tecnologie, si pongono le tecnologie a servizio della salute, ma è il bambino, con aspettative di salute uguali su tutto il territorio nazionale, che fa di questo testo una risposta ad un diritto, per un modello sostenibile pubblico e universale della sanità, in cui la prevenzione e la cultura sanitaria di base fanno la parte del leone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche della relatrice e del Governo – A.C. 3504-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice Giulia Grillo. Prego, onorevole.

  GIULIA GRILLO, Relatrice. Grazie, Presidente. Intervengo brevemente su alcuni degli aspetti che sono stati sollevati dai colleghi che sono intervenuti, in particolare rispetto a quello che ho sentito dal collega Occhiuto, che è andato via. Comunque, se non ricordo male, il collega, parlando del centro di coordinamento sugli screening neonatali, si preoccupava di interessare l'AgeNaS relativamente a questo aspetto, secondo me, sovrapponendo forse due aspetti che sono completamente differenti. Infatti, questo centro non ha il compito di indicare quali sono le attività e gli screening che devono essere fatti, perché questo, invece, viene indicato nell'articolo 4, comma 2, dove si prevede che all'Agenas viene affidato il compito dell'Health Assessment Technology sui tipi di screening neonatale da effettuare, sulla migliore tecnologia, sul costo e sull'efficacia degli screening da utilizzare. Pertanto, poi vedremo quali saranno gli emendamenti.Pag. 46
  Rispetto al punto che è stato sottolineato anche dalla collega Binetti e successivamente dalla collega Amato, ricordo ovviamente che, all'articolo 2, noi chiediamo – lo scriviamo chiaramente – che vengano fatti accertamenti diagnostici per quelle malattie metaboliche ereditarie per la cui terapia farmacologica o dietetica esistano evidenze scientifiche di efficacia terapeutica o per le quali vi siano evidenze scientifiche che una diagnosi precoce, in età neonatale, comporti un vantaggio in termini di accesso a terapie in avanzato stato di sperimentazione, anche di tipo dietetico. Quindi, siamo stati assolutamente aderenti al concetto di terapia efficace. Non credo che per la terapia questo concetto sia in alcun modo interpretabile o aggirabile. Quindi, ci tenevo a sottolineare questo punto. In questo caso specifico non si pone neanche il problema etico di fare una diagnosi per una patologia che non preveda una cura. Rappresenta un tema di discussione sicuramente importante, però su questo aspetto non credo che il nostro testo di legge possa avere delle interpretazioni diverse.
  Poi, rispetto al tema delle 24, 48 ore del prelievo dei campioni di sangue da mandare al centro di raccolta, noi ovviamente capiamo le osservazioni fatte, specie in riferimento ai giorni di sabato e domenica. La nostra preoccupazione è quella di stabilire, comunque, un termine. Pertanto, vediamo di trovare una quadra su questo aspetto.
  Poi, concludendo, sull'aspetto dello spettrometro di massa, come sapete, penso molto bene. Il MoVimento 5 Stelle è molto attento a questi aspetti, rispetto ai quali, in un certo senso, non è la tecnologia a servire la medicina, ma è la medicina che serve alla tecnologia e a chi quella tecnologia la produce. Quindi, noi siamo assolutamente attenti ed è per questo che, quando discutemmo sulla responsabilità professionale, contestammo, per esempio, la possibilità di far redigere le linee-guida dalle associazioni, sebbene controllate dall'Istituto superiore di sanità, proprio perché sul tema delle associazioni, in Italia, esiste ed è ancora aperto oggi un problema di trasparenza e, quindi, relativamente a quella che, a volte, può essere anche la mano più corta di quella associazione, che poi è il vero finanziatore, che, quindi, in qualche modo potrebbe intervenire in processi decisionali. Questo non è un problema italiano, è un problema mondiale. In America hanno il Sunshine Act, che è una legge sulla trasparenza di tutte le associazioni che prendono finanziamenti, per evitare assolutamente questi conflitti di interesse che, nell'ambito della medicina, sono importantissimi e sicuramente non sottovalutabili.
  Come ultima cosa, certamente noi ringraziamo il Governo, però io voglio anche sottolineare che questa è comunque una legge di iniziativa parlamentare e che il Parlamento ha svolto il suo ruolo, che è quello legislativo, e che sicuramente, in questo senso, il Governo ci è venuto incontro, come le altre forze politiche, che hanno appoggiato il testo di legge. Quello che certamente ci auguriamo è che, dopo queste piccole modifiche al testo, peraltro non ostacolate dal MoVimento 5 Stelle, tornando al Senato, visto che, secondo noi, il testo è stato veramente limato e lo sarà negli ultimi dettagli in quest'ultimo passaggio, si potrà poi andare all'approvazione definitiva e che, quindi, entro sei mesi dalla pubblicazione si riesca ad essere effettivamente operativi. Quindi, ci auguriamo che questa fase emendativa in Aula sia proficua e sia, però, anche definitiva.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo non intende replicare. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Realacci ed altri; Bratti ed altri; De Rosa ed altri: Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (A.C. 68-110-1945-B) (ore 15,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle Pag. 47proposte di legge, approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato, nn. 68-110-1945-B: Realacci ed altri; Bratti ed altri; De Rosa ed altri: Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 10 giugno 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 68-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Filiberto Zaratti. Prego, onorevole.

  FILIBERTO ZARATTI, Relatore. Grazie, Presidente. Dopo circa due anni dall'approvazione in prima lettura di questa legge da parte della Camera, finalmente possiamo tornare a discuterne per arrivare all'approvazione definitiva. Infatti, pochi giorni fa, il Senato ha dato il suo parere e io credo che questo sia un elemento molto importante. Vorrei ricordare che la Camera e il Senato, il Parlamento ha approvato recentemente la legge sugli ecoreati ed è stato uno dei momenti forse più importanti di questa legislatura. Il provvedimento che noi siamo chiamati a discutere e ad approvare, eventualmente, in questi giorni è l'altro aspetto importante per quanto riguarda le politiche ambientali. Gli ecoreati finalmente sono entrati nel nostro ordinamento, dopo tanti e tanti anni, facendoci recuperare un gap rispetto a tutti gli altri Paesi europei. La riforma della legge che riguarda le agenzie ambientali e l'ISPRA è l'altro elemento fondamentale e importante, perché darà la possibilità di mettere in campo quei controlli ambientali che sono fondamentali anche per una corretta ed efficace applicazione della legge sugli ecoreati.
  Mi permetta, Presidente, di sottolineare il metodo che c’è stato tra la nostra Commissione e anche nella prima lettura alla Camera su questo provvedimento: un metodo che ha visto partecipi tutte le forze, quelle di maggioranza e quelle di opposizione. Non a caso io, che pure sono esponente di una delle forze politiche all'opposizione, sono relatore di questo provvedimento, proprio perché si è cercato di mettere in campo tutte le esperienze e le capacità, i consigli dei diversi gruppi parlamentari e dei deputati, senza alcuna distinzione tra maggioranza e opposizione, per arrivare a un provvedimento importante ed efficace, che il Paese e gli operatori, in modo particolare, aspettavano da tanti anni.
  Credo che la prima proposta di legge sia stata presentata già nel 2008, quindi quasi dieci anni fa, e le diverse diciamo legislature che si sono articolate in questi anni non avevano mai avuto il modo, la possibilità, forse la capacità o la volontà di approvare la riforma delle agenzie ambientali. Lo facciamo, finalmente, in questa legislatura e io credo che, mettendo in parallelo questa esperienza e questo provvedimento con quello sugli ecoreati, effettivamente faremo un passo in avanti significativo.
  Mi riferisco agli onorevoli colleghi: dicevo che la Camera è chiamata nuovamente ad esaminare la proposta di legge approvata, con modificazioni dal Senato, che disciplina l'istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, di cui fanno parte l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, l'ISPRA, e le agenzie regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per la protezione dell'ambiente. Vorrei sottolineare che le modificazioni del Senato sono state assolutamente lievi e non di portata Pag. 48significativa, tanto che la Commissione ha deciso di licenziare senza alcuna modifica il testo che è arrivato alla Camera, accettando le modifiche del Senato.
  In sintesi, il provvedimento prevede una connotazione a rete del sistema nazionale delle agenzie ambientali, costituito dall'ISPRA e delle agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad assicurare omogeneità ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell'ambiente a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica. Sto cercando di fare una rapida sintesi del nostro provvedimento, anche se i colleghi ovviamente sono informati di questo provvedimento che, come dicevo appunto, è in seconda lettura. Quindi, c’è stata già una discussione molto approfondita quando la Camera ha approvato per la prima volta questo provvedimento.
  Il sistema nazionale concorre, inoltre, al perseguimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile, della riduzione del consumo del suolo, della salvaguardia e della promozione della qualità dell'ambiente e della tutela delle risorse naturali nonché alla piena realizzazione del principio, di derivazione europea, «chi inquina paga». Il sistema nazionale ha la funzione di attuare i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, i LEPTA, che rappresentano i livelli qualitativi e quantitativi di attività garantite in modo omogeneo a livello nazionale dal sistema nazionale medesimo. Questo è un punto fondamentale, quello, cioè, che serve ad omogeneizzare l'intervento sui controlli ambientali nel nostro Paese. Fino ad oggi, infatti, non era così: avevamo punte di eccellenza in una regione su una certa materia e altre punte di eccellenza in un'altra regione. L'introduzione dei LEPTA rappresenta un punto fondamentale della nuova legge sulle agenzie ambientali.
  Quanto all'ISPRA, dotato di autonomia e sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si prevede che esso svolga funzioni tecniche e scientifiche per una più efficace pianificazione e attuazione delle politiche di sostenibilità delle pressioni sull'ambiente. L'ISPRA svolge inoltre funzioni di indirizzo e coordinamento al fine di rendere omogenee, sotto il profilo tecnico, le attività del sistema nazionale, tra le quali si prevede, tra l'altro, l'elaborazione di criteri di standard uniformi per lo svolgimento dell'attività conoscitiva nell'ambito della difesa del suolo e della pianificazione di bacino, il rilevamento, l'aggiornamento e la pubblicazione della carta geologica nazionale, attività di ricerca e di controllo nella prevenzione dei rischi geologici con particolare attenzione al dissesto idrogeologico.
  Come si vede da questa breve sintesi, le competenze sono fondamentali e importanti e, appunto, la riforma delle agenzie ambientali dell'ISPRA si incrocia con molte delle leggi e delle iniziative legislative che sono in discussione nella nostra Camera, nel Parlamento sulla difesa del suolo, sulle questioni che riguardano il dissesto idrogeologico e la prevenzione dei rischi geologici. Quindi, si tratta di questioni fondamentali, che riguardano, appunto, l'ambiente nel nostro Paese, la messa in sicurezza del nostro territorio, la ripresa, anche economica, per un intervento in questi settori.
  Con riferimento alle agenzie ambientali, il provvedimento stabilisce che le leggi regionali e le province autonome di Trento e Bolzano disciplinano la struttura, il funzionamento, il finanziamento e la pianificazione delle attività delle agenzie nel rispetto dei LEPTA e del programma triennale delle attività del sistema nazionale, come predisposto dall'ISPRA, e adeguano le leggi regionali istitutive delle agenzie alle previsioni di legge entro 180 giorni dalla sua entrata in vigore. Le agenzie svolgono le attività istituzionali obbligatorie necessarie a garantire il raggiungimento dei LEPTA nei rispettivi territori di competenza. Inoltre, possono svolgere ulteriori attività, a condizione che non interferiscano con il pieno raggiungimento dei LEPTA.
  Nel caso di attività svolte in favore di soggetti pubblici o privati, sulla base di Pag. 49specifiche previsioni normative o di accordi o convenzioni e applicando le tariffe definite con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, viene altresì previsto che tali attività devono in ogni caso essere compatibili con l'esigenza di imparzialità nell'esercizio dell'attività istituzionale di vigilanza e di controllo. Questo è un altro degli elementi che sono stati al centro della nostra discussione, come quello di garantire l'imparzialità dell'esercizio dell'attività istituzionale. Io vorrei ricordare che uno dei principali problemi che noi abbiamo sul territorio è che spesso le cittadine e i cittadini, le associazioni imprenditoriali, le associazioni ambientaliste e i comitati che si formano spontaneamente sul territorio non riconoscono la validità dei controlli effettuati dalle agenzie e, quindi, non ritengono le agenzie un organismo autorevole, terzo, che possa garantire effettivamente le analisi e i controlli ambientali relativi a una certa emergenza. Questo è un punto sul quale noi dobbiamo lavorare; ci stiamo lavorando con la riforma e dobbiamo fare qualche cosa di più, perché il fatto che il sistema delle agenzie abbia credibilità nei confronti dei cittadini è un elemento essenziale, io credo, per affrontare le molte emergenze che purtroppo ci sono nel nostro territorio.
  Faccio presente che, salvo per l'introduzione al Senato della clausola d'invarianza finanziaria in merito all'attuazione del provvedimento in esame, cioè un nuovo articolo 17, e per una modifica formale dell'articolo 5, al fine di sostituire il riferimento normativo relativo al regolamento di organizzazione del Ministero dell'ambiente, il provvedimento è rimasto identico al testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa parlamentare nn. 68, 110 e 1945, come approvate il 17 aprile 2014 in prima lettura alla Camera dei deputati. Così come dicevamo precedentemente, questo provvedimento è stato approvato – e mi sembra di ricordare all'unanimità peraltro – dalla nostra Camera e appunto le modifiche apportate dal Senato sono state assolutamente limitate.
  Più specificatamente, l'articolo 5 prevede il trasferimento all'ISPRA delle funzioni degli organismi collegiali già operanti presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di cui all'articolo 12, comma 20, del decreto-legge n. 95 del 2012, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. È previsto altresì che l'ISPRA assicuri l'adempimento di tali funzioni nell'ambito dei compiti e delle attività di cui all'articolo 2, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 2009, n. 140, in materia di riorganizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Considerato che il succitato decreto del Presidente della Repubblica n. 140 è stato abrogato, a decorrere dal 21 ottobre 2014, dall'articolo 26, comma 1, lettera a), del nuovo regolamento di organizzazione, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 142 del 2014, il Senato ha provveduto a sostituire il riferimento normativo alla norma abrogata con l'articolo 2, comma 6. Il nuovo articolo 17 è finalizzato a recepire la condizione posta dalla Commissione bilancio del Senato, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, e introduce una clausola d'invarianza finanziaria in base alla quale le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all'attuazione dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
  In merito a questo nuovo articolo 17, relativo a questa clausola d'invarianza di bilancio, devo dire sinceramente che forse questo è un punto debole del lavoro che abbiamo fatto in questi anni per la riforma del sistema delle agenzie e dell'ISPRA, perché è del tutto evidente che di fronte a grandi emergenze ambientali, come quelle che ci sono state nel nostro Paese, dalla Terra dei fuochi alla vicenda dell'Ilva di Taranto e molte altre ancora naturalmente, è evidente che è necessario uno sforzo finanziario per permettere alle agenzie di funzionare, perché naturalmente ciò non è possibile senza ispettori Pag. 50che siano in grado, per numero e qualità, di esercitare i controlli necessari (non è possibile senza le necessarie strumentazioni tecniche e senza il personale qualificato). Voglio ricordare che in questi anni nelle agenzie si sono persi tantissimi posti di lavoro e una parte consistente del lavoro delle agenzie viene svolto da personale precario, ancora precario. Quindi è necessario appunto uno sforzo finanziario per permettere alle agenzie di funzionare.
  Ora noi approviamo questo strumento legislativo, che naturalmente è un notevolissimo passo in avanti; non risolve la questione, né la potrebbe in questo momento forse risolvere, però questo punto della copertura finanziaria che deve essere assicurata in parte dallo Stato centrale, ma naturalmente anche dalle regioni è uno degli elementi strategici e fondamentali. Come rimane, diciamo così, uno degli aspetti importanti ancora che si potrebbe migliorare quello della terzietà ovviamente del personale di direzione delle agenzie appunto, che sempre più deve garantire un livello di indipendenza, tanto che questa terzietà e questa indipendenza possano garantire una maggiore efficacia, una maggiore trasparenza e una maggior affidabilità dei controlli ambientali.
   Quindi, abbiamo naturalmente molto da migliorare e su cui lavorare, però io penso ci sia stato un grandissimo lavoro collettivo di tutti i gruppi – lo dicevo all'inizio e lo ripeto –, della Camera e del Senato per cercare finalmente di approvare questa legge che ci permette di dotarci di uno strumento essenziale e fondamentale per garantire ai cittadini controlli ambientali in una situazione così difficile perché è del tutto evidente che maggiori sono le aperture e la velocizzazione dei procedimenti autorizzatori, che pure si stanno facendo in molti settori, e maggiori devono essere le capacità di controllo sull'ambiente da parte delle strutture pubbliche. Quindi, un passo in avanti notevole e io spero che ci sia da parte di questa di questa Camera, ancora una volta, un voto convinto a sostegno dell'approvazione della legge (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo.
  È iscritto a parlare il deputato Realacci. Ne ha facoltà.

  ERMETE REALACCI. Grazie, Presidente. Come ricordava il relatore, il collega Zaratti, su questa legge c’è stato un ampio lavoro in Parlamento e un confronto con l'esterno, con il Ministero, con l'ISPRA, con le agenzie regionali, con gli interessi che ruotano intorno al tema della tutela dell'ambiente e, nel primo passaggio, questa legge fu approvata all'unanimità alla Camera. Devo dire, primo elemento di rammarico, ci arriva dopo due anni con modifiche marginali; poteva accadere magari anche l'inverso, ma è chiaro che il bicameralismo perfetto a volte ostacola l'approvazione di leggi che sono molto attese nel Paese. Questa legge – lo diceva di nuovo il collega Zaratti – è l'altra gamba di un processo di riforma del sistema, dell'interdizione delle illegalità e di garanzia dal punto di vista ambientale, che ha segnato un primo passo importante con l'approvazione della legge sugli ecoreati. Anche questo è un testo unificato, una legge a prima firma mia, una legge a prima firma del collega Bratti, una legge a prima firma del collega De Rosa, che ha visto – ripeto – un lavoro comune. Siamo a tempo e forse è giunto il tempo anche di fare un primo bilancio della legge sugli ecoreati, perché condivido di nuovo quello che diceva il collega Zaratti: anche questa legge è un primo passo e bisognerà lavorare sui finanziamenti per le agenzie, soprattutto per le agenzie regionali, però possiamo intanto capire cos’è successo con la legge sugli ecoreati perché anche lì ci fu un dibattito. Ebbene, a un anno dall'approvazione, quella legge che ha introdotto dei cambiamenti molto importanti nel sistema penale italiano – ricordo che prima di quella legge l'inquinamento ambientale veniva spesso perseguito come un reato che si chiamava «getto pericoloso di cose», Pag. 51mentre il disastro ambientale era perseguito come reato che si chiamava «disastro innominato» – a distanza di un anno, quella legge è stata applicata più di mille volte. Un bravo funzionario, Gianni De Podestà, un ispettore della Forestale ha detto: prima scrivevamo le nostre informative di reato con la matita, magari spuntata; ora con la nuova legge, le facciamo con la penna stilografica, cioè c’è stato un aumento della capacità di contrastare l'illegalità, con anche le aggravanti specifiche per l'illegalità collegata alla malavita organizzata, che rende oggi più difficili – e in questo senso svolge anche un'azione preventiva – casi drammatici che ci sono stati nel nostro Paese, nella Terra dei fuochi, a Bussi, a Casale Monferrato; sono sicuro che la collega Cominelli ricorderà anche la Caffaro di Brescia, e vorrei ricordare che fra pochi giorni saranno quarant'anni dal disastro di Seveso, che colpì l'Europa, tant’è vero che la direttiva che è stata emanata dopo è stata chiamata «direttiva Seveso» appunto perché quel disastro fece capire che c'era qualcosa che andava cambiato.
  Questa legge è l'altra gamba. La legge sugli ecoreati è una legge che interviene sulla repressione e quindi anche sulla prevenzione dei reati in campo ambientale, questa legge interviene sui controlli e punta a un rafforzamento, a un coordinamento e a una maggiore trasparenza del sistema delle agenzie, crea un sistema delle agenzie. Noi abbiamo visto in questi anni un problema molto serio; spesso iniziative magari importanti, ma sicuramente molto forti, si sono confrontate con strutture dello Stato deboli: penso alla vicenda dell'Ilva, penso alla vicenda dell'ENI, penso alla vicenda della Total, penso a tanti casi in cui le agenzie regionali, peraltro molto disomogenee sul territorio nazionale non erano in grado di confrontarsi con interessi forti e quindi perdevano di credibilità e quindi diventava difficile fare le scelte, perché se poi le istituzioni e i cittadini non possono fidarsi delle strutture pubbliche diventa più difficile fare le stelle. La struttura di questa legge, che punta a creare questo sistema, a introdurre degli standard che valgono per tutti i cittadini, per tutte le imprese e per tutto il territorio nazionale, come appunto i livelli essenziali delle prestazioni tecniche e ambientali, a creare un sistema informativo nazionale ambientale che serve per tante politiche – aggiungo a quelle che ha detto già il collega Zaratti, per esempio, anche il consumo di suolo, perché spesso noi non abbiamo dei dati omogenei sul territorio nazionale – alla creazione di una rete di laboratori che sfruttino al meglio le competenze presenti in tutt'Italia e che consentano anche di monitorare l'apertura di nuovi fronti problematici (penso, ad esempio, al dibattito che c’è adesso sull'utilizzo del glifosato, che oggi è monitorato solo da alcune agenzie regionali e non da altre), insomma in questa maniera noi tendiamo a dare omogeneità a questo sistema.
   Vorrei dire anche una cosa molto importante: di recente, più volte, il Presidente Mattarella e anche molti altri hanno ricordato l'importanza della semplificazione; siamo assolutamente d'accordo – diceva Tacito: «moltissime sono le leggi in una repubblica molto corrotta» – semplificare è importante in tutti i settori e lo è anche in campo ambientale, ma una premessa alla semplificazione è la certezza della pena, la certezza dei controlli, la trasparenza dei controlli, perché se c’è una semplificazione senza questo pezzo, diventa deregulation, che è un'altra partita, quella che non serve all'Italia, non serve all'economia pulita, non serve in qualche maniera a sfidare il futuro, perché noi non potremmo fare le scelte che servono al futuro, che favoriscono un'economia più avanzata, più a misura d'uomo, che favoriscono la green economy e un'economia più competitiva, se la gente non si fida delle istituzioni dello Stato.
   Questa legge serve in ultima analisi a ricreare questo sistema di fiducia, a ridare forza ai controlli, a ridare anche dignità a questi controlli, perché è proprio dalla dignità e dalla forza di questi controlli che può venire un processo di semplificazione, che può venire un'azione che è volta a produrre un'Italia che sfida il futuro.Pag. 52
   C’è un articolo per me molto importante e spesso sottovalutato della nostra Costituzione, l'articolo 54, che invita, anzi obbliga ad adempiere alle funzioni pubbliche con disciplina e onore. Se c’è un campo in cui questo articolo è importante, tra gli altri, è proprio questo. Questa legge serve appunto a dare forza, ma anche a dare onore al sistema dei controlli e ai tecnici che in questo sistema lavorano, perché questa è una premessa per un futuro migliore. Non è soltanto un'azione difensiva, non è soltanto per salvaguardare l'ambiente o la salute, ma è un'azione per costruire un'Italia migliore. Io formulo l'auspicio, d'accordo anche con il relatore, immagino con i colleghi della Commissione, che, pur sapendo che bisognerà fare altro in futuro per dare corpo a questa legge, si riproduca alla Camera quel voto unanime che ha accompagnato l'approvazione della legge al primo passaggio. Del resto, la legge è rimasta sostanzialmente invariata, anzi diciamo la verità: poteva anche rimanere così com'era e l'avremmo già approvata da abbastanza tempo, ma l'approvazione unanime chiaramente darebbe il segno di una legislatura che in questo settore, con la legge sugli ecoreati, con questa legge sulle Agenzie e io spero anche con delle misure più innovative e forti nel campo di una nuova economia, dà all'ambiente la centralità che merita.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zolezzi. Ne ha facoltà.

  ALBERTO ZOLEZZI. Signora Presidente, la proposta di legge per l'istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, che mira appunto a disciplinare l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e le Agenzie regionali e delle province autonome, è una proposta che mira appunto, nelle intenzioni, allo sviluppo sostenibile, alla riduzione del consumo di suolo e alla salvaguardia e alla promozione della qualità dell'ambiente e alla tutela delle risorse naturali. Si dovranno realizzare i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, i LEPTA. Questa determinazione però è demandata a un DPCM da adottare entro un anno, quindi questo è uno dei punti deboli della proposta. I compiti poi si allargano anche al monitoraggio dello stato dell'ambiente, all'evoluzione, all'importantissima informazione ambientale, all'esercizio di funzioni amministrative in materia di autorizzazioni e anche all'irrogazione di sanzioni. In caso di rilascio di pareri sulle domande di autorizzazione ambientale, le spese sono poste a carico dei gestori stessi – qui andiamo su uno degli altri punti deboli – e alcune spese legate all'attività di indagine saranno delegate al Ministero della giustizia. Questa vigilanza del Ministero dell'ambiente è un punto a nostro parere controverso. Tutte le attività comunque mirano alla protezione di quello che è più urgente in Italia: alla difesa contro il dissesto idrogeologico e alla pianificazione per esempio. Questa proposta è stata appunto approvata alla Camera il 17 aprile 2014, si è perso davvero tempo. Quando ci sono attenzioni patologiche si rischia davvero di non arrivare in tempo, ci sono in Italia regioni che hanno sistemi di controllo ambientale molto variegati, in particolare regioni apparentemente più ricche, come Lombardia e Veneto, e poi regioni dove il controllo è decisamente minoritario. Ci sono poi settori totalmente patologici, il settore ambientale in generale è un settore molto ricco che riguarda la nostra qualità di vita e il nostro futuro, ma dove purtroppo il controllo finora è stato davvero carente. Questo temporeggiare della maggioranza è stato dovuto a una volontà politica, non servono riforme per accelerare il procedimento legislativo che ha portato già a più di 215 leggi approvate in questa legislatura. Si perde tempo e si scopre un po’ di più dove vuole andare forse a parare l'attuale Governo. Questa proposta appunto, che ha comunque dei punti positivi, arriva però davvero in ritardo ed ha molte debolezze. L'ambiente è la nostra vita, ricordo la gestione dell'acqua e la gestione dei rifiuti. Noi stiamo tentando di migliorare questa gestione nei comuni che amministriamo e in quelli che speriamo di amministrare presto e proponiamo che Pag. 53quando un gestore pubblico non mantiene le prestazioni che ha promesso, dovranno essere i dirigenti a pagare queste compensazioni, anche in termini di manodopera, e non i cittadini in bolletta. Questa è una cosa che abbiamo proposto anche su Roma. Il sistema pubblico nella gestione ambientale può costare molto meno, perché non ha i vincoli del mercato, non ha dividendi azionari, è meno soggetto a cointeressenze. Ci vuole molta trasparenza e le deroghe economiche non devono esistere, tanto più se poi sono vere e proprie truffe per i cittadini. In Italia abbiamo un fatturato della gestione dei rifiuti che è particolare, abbiamo circa 34 miliardi di euro fra rifiuti solidi urbani (10 miliardi di euro) e rifiuti speciali (24 miliardi di euro), per gestire circa 150 milioni di tonnellate di rifiuti. In Germania i rifiuti sono 320 milioni di tonnellate e il fatturato è circa 40 miliardi. In sostanza noi spendiamo circa il doppio a tonnellata di rifiuto gestito, nonostante il fatto che i prezzi in Germania, per esempio per la manodopera, siano molto maggiori. Una spiegazione è proprio questa capacità di fare funzionare il sistema pubblico: in alcuni Länder tedeschi si spendono solo 50 euro a persona, mentre in Italia spendiamo in media oltre 170 euro.
  In Italia abbiamo un turismo dei rifiuti solidi urbani inaccettabile, abbiamo rifiuti umidi che dalla Campania e dal Lazio vanno in Veneto e Lombardia e a volte anche all'estero, con maggior rischio di cambio dei codici CER, di favorire le ecomafie e di trasformazione banalmente chimica della composizione dei rifiuti, di maggiori rischi di disastri ambientali e di azioni ex post delle Agenzie ambientali stesse, che vengono oberate di lavoro a causa dell'azione troppo debole di quel Ministero dell'ambiente che deve esercitare poi la vigilanza sulle Agenzie stesse, come previsto appunto in questa proposta, un Ministero che poi vuole realizzare dieci nuovi inceneritori. In Germania ne hanno parecchi ma non hanno per esempio nessun incentivo economico, mentre in Italia abbiamo dato oltre 585 milioni nel 2015. Quindi approvare questa proposta sì, ma bisognerà muoversi velocemente per affidare appunto la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria agli ispettori delle ARPA; il distacco dalla politica dovrà essere molto maggiore rispetto a quanto avviene finora. In questo provvedimento è stata appunto inserita l'invarianza economica in questo lunghissimo passaggio al Senato, chissà se si capisce che lo Stato spende già tanto per l'ambiente e in realtà ci guadagna anche molto, perché si devono tutelare le matrici che garantiscono futuro, garantiscono acqua, aria, suolo decenti. Ogni anno in Italia circa 300 miliardi di euro di attività che ricevono autorizzazioni o rinnovi subiscono un passaggio di controllo ambientale, per cui l'ISPRA dovrebbe occuparsi maggiormente di compatibilità ambientale, perché, occupandosi di questa contabilità, poi potrà anche capire come risparmiare soldi e quali sono appunto gli effetti di filiera ambientale in termini di inquinamento, di esternalità sanitarie e di effetti a livello di sovranità energetica e quant'altro. Chiedere un'invarianza finanziaria vuol dire tarpare le ali a questa rete di Agenzie, quindi su questo si auspica che poi ci si possa ritornare sopra perché è proprio con un finanziamento che si potranno ottenere dei risparmi in futuro. Già nel 2007 c'erano state proposte legislative di bilancio ambientale che poi sono state soffocate. L'ISPRA ha un suo bilancio, sono noti circa 79 milioni di euro per l'anno 2015, un'Agenzia regionale come l'ARPA Lombardia ha avuto trasferimenti impiegati per 77 milioni e le cifre finanziare però appunto sono minime rispetto alle emergenze ambientali. Solamente per l'emergenza delle sostanze perfluoroalchiliche nelle acque del Veneto si prevede di spendere almeno 1 miliardo di euro, se si fosse agito in un'ottica di prevenzione, anche guardando bene le direttive europee, si sarebbe evitato di dover spendere adesso tutti questi soldi. Quindi il ruolo del controllo ambientale è un ruolo che può far risparmiare tantissimi soldi; abbiamo una devastazione delle falde acquifere in tutta Italia, abbiamo delle procedure opinabili che il Parlamento non è Pag. 54ancora riuscito a eliminare, come quella di trasformare i fanghi di depurazione in gessi, facendoli uscire dal conteggio della direttiva nitrati e poi lo stato chimico delle acque superficiali sta rischiando di mandarci in infrazione. Per i rifiuti sappiamo che abbiamo pagato più di 150 milioni per le discariche abusive, quindi un danno ambientale diretto e un danno economico legato alle procedure di infrazione europee. In merito all'informazione, l'ISPRA dovrà migliorare la governance dell'informazione ambientale. In Italia non è possibile che esista un'informazione ambientale fatta dai gestori privati dei rifiuti; abbiamo una scuola a Sesto Fiorentino dove sono andati a parlare di inceneritori i dirigenti di una multiutility, cioè in pratica si dice ai bambini, che dovrebbero essere tenuti lontani dalle diossine, che incenerire i rifiuti solidi urbani va bene. È come se questa informazione fosse stata fatta da extraterrestri, anzi forse da «HERA-terrestri», visto che sono stati i dirigenti di quella multiutility a tenere alcuni indegni seminari. Nelle riforme costituzionali si parla espressamente di ruolo centrale e d'indirizzo per le autorizzazioni ambientali, in linea con lo «sblocca Italia»: si vuole insomma destituire i territori da una corretta gestione ambientale che deve essere tarata sullo stato ambientale persistente. Si stanno seguendo indicazioni sui piani infrastrutturali dettate da attori come ANAS e RFI; non è quindi il Ministero delle infrastrutture a pianificare le priorità e ci si trova di fronte a progetti speculativi inutili come il TAV in Val di Susa e fra Brescia e Padova, che rischiano di diventare solo discariche diffuse. Per cui, attenzione a questa tendenza contenuta appunto in queste cosiddette – le chiamo con difficoltà – riforme costituzionali. Il referendum ha anche questo significato di ricerca di sostenibilità contro attacchi biechi e lontani dalle nozioni ambientali dell'uomo comune, nel senso che il Governo sembra operare molto al di sotto di quegli standard e vedremo cosa emergerà anche da questi livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, i LEPTA, su cui veglieremo con attenzione per evitare lo sfacelo totale del nostro ambiente e della nostra economia per la perdita di sovranità idrica e alimentare e per le sanzioni dell'Unione europea. Sono state comunque recepite alcune indicazioni proposte dal MoVimento 5 Stelle – la proposta era a prima firma De Rosa – quali l'introduzione di vincoli per cui le figure come i direttori generali e i presidenti debbano essere necessariamente figure di rilievo per competenza tecnico-scientifica, prive di conflitti di interesse con altre cariche; l'inserimento di indirizzi per far tendere il sistema delle agenzie ai massimi standard tecnico-scientifici internazionali e la creazione di un database di dati ambientali accessibile in modo che i dati siano trasparenti e fruibili a chiunque cosicché questa rete di agenzie diventi anche una rete tra cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cominelli. Ne ha facoltà.

  MIRIAM COMINELLI. Grazie, Presidente. Presidente, colleghi e rappresentanti del Governo, alcuni recenti sondaggi ci hanno raccontato in numeri quello che in realtà da diversi anni sta accadendo nel nostro Paese ovvero che l'85 per cento della popolazione italiana considera il tema ambientale come un tema prioritario. Ci hanno detto in cifre quello che poi è sotto gli occhi di tutti: l'attenzione verso la tutela ambientale, del paesaggio e della salute sono diventati una specie di nuovo motore di civismo, di voglia di dire la propria, di avere risposte chiare da parte dei decisori politici. Sono diventati, da un lato, temi prioritari nella valutazione di un'amministrazione sia essa statale, regionale o locale e, dall'altro, l'occasione per interessarsi alla cosa pubblica, per partecipare ed essere protagonisti. La Coop 21 di Parigi ha riportato al centro del dibattito internazionale la preoccupazione crescente riguardo ai temi dell'ambiente, della salute e dei cambiamenti climatici. L'enciclica papale ha acceso la discussione anche in luoghi più ampi e, passatemi il termine, forse poco battuti da queste tematiche. Pag. 55In questo quadro le istituzioni democratiche non possono e non devono stare con le mani in mano. A loro si richiede una risposta fondata sulla conoscenza, sulla trasparenza, sulla professionalità e sull'etica degli organi tecnici. Solo in questo modo declinando in maniera ambientale le azioni concrete di una democrazia decidente, esse possono anche su questo versante dimostrare di essere utili, incisive, contemporanee e lungimiranti allo stesso tempo. Solo in questo modo si può colmare quello iato, quella distanza che rischia di diventare rottura tra cittadini e istituzioni e in questa legislatura si stanno dando queste risposte importanti che si legano insieme per essere efficaci. Quindi, da un lato, l'aspetto della valorizzazione dell'ambiente come risorsa anche economica, è stata declinata nel provvedimento divenuto legge pochi mesi fa, il collegato ambientale, uno strumento per inverare e rendere ancora più virtuoso, anche attraverso le norme, quel collegamento indissolubile tra ambiente, economia e società che ormai è sotto gli occhi di tutti. Dall'altro lato l'aspetto, dolorosamente necessario, della punizione, che ha comunque come fine il ripristino dei luoghi inquinati, attraverso la tanto attesa legge n. 68 del 2015, i cosiddetti ecoreati, un provvedimento necessario in un Paese come il nostro che spesso non solo si dimentica di avere cura dei propri tesori ma a volte ne fa scempio; un provvedimento necessario quindi per applicare il concetto chiave «chi inquina paga», per avere giustizia verso chi usa illecitamente le risorse ambientali per trarne profitto e, soprattutto, ed è sempre bene ricordarlo, per tutelare maggiormente chi porta avanti nella legalità e nel rispetto dell'ambiente la propria attività d'impresa. Mancava un tassello – lo abbiamo ripetuto più volte – soprattutto in occasione della discussione in quest'Aula e in altre sedi parlamentari rispetto a casi critici del nostro Paese: dall'ILVA di Taranto al sito di Bussi all'isochimica di Avellino e al caso Caffaro della mia Brescia, anticipato prima anche dal presidente Realacci, alla Val D'Agri in Basilicata alle realtà della Sicilia. Mancava una parte fondamentale che desse più gambe e più fiato al nostro sistema di agenzie ambientali. Dal 1994, anno dalla loro costituzione, le Agenzie hanno rappresentato un punto di riferimento per imprese e cittadini anche se con una risposta non omogenea su tutto il territorio nazionale. Non è un caso, infatti, se l'elenco di criticità fatto poc'anzi si colloca maggiormente a sud del Paese. Il provvedimento in esame dichiara da subito di voler porre rimedio soprattutto a questa ingiusta situazione di diseguaglianza: definisce infatti un unico sistema nazionale superando squilibri regionali e sovrapposizioni normative indicando nell'ISPRA il polo nazionale e nelle ARPA i poli regionali territoriali in grado di lavorare in rete in modo più efficace ed omogeneo attraverso l'attuazione dei cosiddetti livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, i LEPTA.
  Questo sistema vuole essere il luogo in cui far convergere e condividere competenze, esperienze dati e informazioni attraverso i quali soggetti pubblici e privati possono trovare un supporto per qualificare sotto il profilo ambientale il proprio intervento. Il tutto senza scadere nel mero centralismo ma applicando un modello che valorizza le autonomie. I principi ispiratori del provvedimento sono stati, oltre la terzietà e l'autonomia scientifica, la multireferenza nei confronti dei soggetti che operano in questi ambiti ed un nuovo sistema di finanziamento. Proprio per ciò che dicevo in apertura si è reso necessario che cittadini e imprese possano contare su un sistema certificato e terzo rispetto alle istituzioni di produzione di dati e analisi sulle matrici ambientali e di relativa informazione ambientale e sanitaria in tutto il territorio nazionale. Non dobbiamo dimenticare poi che queste organizzazioni, seppure con un carattere tecnico-strumentale, esprimono pareri vincolanti per le autorità. Per tale motivo con questo provvedimento si cerca di dare più autonomia alle agenzie e all'ISPRA definendo in maniera chiara il rapporto tra controllore e controllato, chiedendo più coordinamento ai lavori in rete e più professionalità a chi Pag. 56dovrà dirigerle. Come dicevo prima, rimane la completa autonomia dei livelli regionali e si realizzano sinergie tra gli enti, anticipate con la nascita dell'associazione delle ARPA nel 2001 che in nuce ritroviamo nel decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2002 in cui si istituiva il consiglio federale delle agenzie ambientali ma, di fatto, solo nominalmente e che trova maggior concretizzazione invece nel 2008 con la nascita di ISPRA. Questo istituto in questo disegno assume un ruolo di rilievo nel coordinamento del sistema nazionale e, di conseguenza, dell'attività di ricerca con le sue 1306 unità di personale attualmente operanti sull'attuazione del piano triennale, l'espletamento dei servizi ordinari e le altre attività in convenzione. Da oggi verranno integrate le specializzazioni tecniche cresciute nelle diverse agenzie e messi in rete i laboratori provinciali in modo da avere i livelli di protezione ambientali uguali in tutto il Paese, precondizione necessaria anche per la piena e corretta applicazione della legge sugli ecoreati, come sovente ci viene ricordato dai magistrati impegnati sul campo, anche grazie alla figura degli ufficiali di polizia giudiziaria per i dipendenti ARPA già utilizzata in alcune delle nostre realtà regionali.
  Il tema delle risorse, infine, non è una questione secondaria, com’è ricordato bene dal relatore Zaratti, ma grazie anche all'ordine del giorno approvato in Senato siamo certi che il Ministero e il Governo tutto sapranno corrispondere correttamente in modo congruo a questa esigenza.
  Concludendo, Presidente, possiamo dire che con questo provvedimento facciamo un passo in avanti in molte direzioni: nella valorizzazione delle nostre eccellenze territoriali, nell'aiuto alle imprese sane che non sfruttano in maniera illecita l'ambiente, nella tutela dell'ambiente e della salute, nel dare una risposta chiara ed efficace ai cittadini che chiedono impegno, serietà e lungimiranza alle istituzioni democratiche in cui sediamo da decisori politici in loro rappresentanza. Sbaglieremmo però a considerare slegati tra loro questi importanti obiettivi che, invece, insieme concorrono a fare del nostro un Paese più attento alle sue risorse, più deciso nel percorrere la strada di uno sviluppo sostenibile vero senza lasciare indietro nessuna delle sue parti, un Paese quindi più democratico e giusto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 68 ed abbinate)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Iori ed altri; Binetti ed altri: Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e di pedagogista (A.C. 2656-3247-A) (ore 16,20).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 2656-3247-A: Iori ed altri; Binetti ed altri: Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e di pedagogista.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 10 giugno 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2656-3247-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico Pag. 57ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Milena Santerini. Prego onorevole Santerini.

  MILENA SANTERINI, Relatrice. Presidente, colleghi, il testo della proposta di legge n. 2656 Iori ed abbinate, che noi oggi discutiamo, rappresenta un esempio di lavoro che nasce dalla collaborazione di tutti i gruppi parlamentari e che intende affrontare in modo concreto una forte domanda che viene dal mondo delle professioni sociali.
  La proposta di legge disciplina l'esercizio delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e di pedagogista, valorizzandole e garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità in campo professionale. Sono centinaia di migliaia gli educatori e le educatrici che attualmente sono impiegati negli ambiti dei servizi alla persona e che svolgono un vero «mestiere dell'umano» che non sempre è adeguatamente riconosciuto ed anche se vengono da una formazione spesso disorganica, la loro funzione è indispensabile per accompagnare minori ed adolescenti nel loro percorso di crescita, sostenere le persone anziane, aiutare nell'integrazione sociale e lavorativa i detenuti, promuovere i diritti degli immigrati e dei rifugiati.
  L'iter del testo, tutto sommato breve per i tempi parlamentari, era iniziato nel luglio 2015 e l'adozione di un testo unificato come testo base è avvenuto nella seduta del 9 febbraio 2016.
  Ci collochiamo, vorrei dirlo in premessa, nel quadro degli indirizzi forniti dall'Unione europea in materia di educazione formale, non formale ed informale ed in particolare nel quadro della strategia di Lisbona, che intende sviluppare la formazione per tutto l'arco della vita ed in tutti i campi. Al di là del ruolo della scuola e dell'università, cioè i sistemi che curano l'educazione formale, esiste l'immensa area dell'educazione informale, nel sociale, nel territorio, nei servizi, a favore di bambini, anziani, persone fragili, per garantire la loro socializzazione, favorire la prevenzione del disagio, curare il rapporto tra persone di culture diverse. Questo è il campo in cui agiscono le figure professionali dell'educatore socio-pedagogico, socio-sanitario e del pedagogista, che abbiamo contribuito a normare con questa legge. Infatti, secondo gli indirizzi appunto dell'Unione europea, non solo occorre valorizzare l'ambito informale, ma soprattutto garantire servizi ed interventi educativi di qualità, in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale.
  Per realizzare questa qualità, la legge stabilisce che l'esercizio di queste attività sarà consentito solo a chi è in possesso delle relative qualifiche, attribuite all'esito del percorso di studi universitari, in particolare della classe l-19 Scienze dell'educazione e della formazione, e da qui l'attribuzione della qualifica «professionale» agli educatori di cui la legge si occupa. Inoltre la qualifica di pedagogista è attribuita solo a chi conseguirà un diploma di laurea nelle classi di laurea magistrale (LM-50, LM-57, LM-85) oltre che ai docenti di ruolo di Scienze della formazione, ai ricercatori ed ai dottori di ricerca.
  Nella società della conoscenza, è infatti indispensabile che i compiti educativi che comportano la cura allo sviluppo della persona, alla sua crescita – anche quando si tratti di adulti – o alla sua integrazione sociale, siano svolti con la competenza che viene dal possesso di una specifica cultura professionale, quella appunto educativa e pedagogica. Lo stesso principio è affermato ad esempio nella legge n. 107 del 2015, «la buona scuola», che nella delega al MIUR, al Ministero dell'istruzione, prevede, nell'ambito del sistema integrato per l'infanzia da zero a sei anni, la qualificazione universitaria del personale dei servizi educativi, in gran parte costituita proprio da educatrici.
  Per questo viene affermato all'articolo 2 che le due professioni siano caratterizzate da autonomia scientifica e responsabilità Pag. 58deontologica e operano nel campo dell'educazione formale e non formale, svolgendo interventi in vari contesti educativi e formativi, su individui gruppi (di ogni età), nonché attività didattica, di ricerca e di sperimentazione. Infatti, l'educatore o educatrice o il/la pedagogista non si limitano ad agire, ma soprattutto costruiscono pratiche innovative e di trasformazione, a partire dall'esperienza con persone e gruppi, nei servizi come nelle comunità di accoglienza, nei nidi o nella strada o in ambito sportivo, ma sempre di tipo riflessivo, cioè attraverso l'approfondimento e la ricerca. Ed il pedagogista, nello specifico, è una professione di livello apicale, che svolge funzioni di coordinamento e progettazione nei servizi socio-educativi.
  Per valorizzare questo livello ulteriore, raggiunto a seguito di una laurea magistrale, la legge prevede uno specifico titolo abilitante che contribuisce a meglio definire la formazione di questo professionista, accanto alle altre figure presenti nei servizi, come l'assistente sociale o lo psicologo.
  La legge mira, pertanto, a dare e istituire dignità agli educatori ed alle educatrici, ambedue professionali, che d'ora in poi chiameremo «socio-pedagogici», «socio-sanitari» e ai pedagogisti. La legge chiarisce che l'educatore professionale socio-pedagogico rientra nel livello di conoscenze, competenze e abilità e opera nelle aree di professionalità del sesto livello del quadro europeo delle qualifiche, mentre il pedagogista a livello del settimo.
  Si è voluto quindi agganciare questo vasto mondo di professionalità ed esperienza sociale – che attiene all'educazione lungo il corso della vita – alla filosofia formativa dell'Unione europea sul long life learning, sull'importanza dell'educazione informale, sulla connessione fra il sociale e l'educativo.
  Sempre in linea con gli orientamenti europei, si dispone che le professioni di educatore e di pedagogista rientrano tra le professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla legge n. 4 del 2013. Ricordo che questa legge si propone, in sostanza, di dare un inquadramento all'attività di quei professionisti, sempre più numerosi, che non sono inseriti in ordini o collegi e che svolgono attività spesso molto rilevanti nelle prestazioni di servizi o di opere a favore di terzi, esercitate abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale o comunque col concorso di questo. Inoltre, garantisce e ribadisce il ruolo importante delle associazioni per garantire la qualità dell'operato degli associati.
  Il testo dispone anche che le stesse professioni siano inserite negli elenchi e nelle banche dati dei soggetti deputati alla classificazione e alla declaratoria delle professioni, nonché nel repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e quindi sono attivati specifici codici professionali ed è unificata la classificazione delle professioni dell'ISFOL e dell'ISTAT, dei Ministeri, delle regioni e degli altri organismi autorizzati. A questa classificazione devono attenersi anche gli organismi di accreditamento e certificazione della qualità, le associazioni professionali e i singoli professionisti.
  D'altronde, l'esigenza di qualificare gli educatori si collega a quella di potenziare e valorizzare il terzo settore, come è avvenuto con l'approvazione da parte della Camera della delega al Governo per la riforma del terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale, solo pochi giorni fa. Si potrebbe dire che la legge sul terzo settore è completata dalla norma che stiamo approvando, perché quest'ultima qualifica una buona parte degli operatori che agiscono in tale ambito, così importante per il nostro Paese.
  Qualificazione e valorizzazione hanno richiesto dunque un cambiamento non solo nella formazione, ma anche nell'intitolazione e nella delimitazione dell'ambito d'intervento. In questo senso la legge stabilisce che coloro che finora erano definiti «educatori» – lo sottolineo ancora una volta, senza una specifica formazione adeguata – siano chiamati «educatori professionali socio-pedagogici» e coloro che Pag. 59erano definiti genericamente «educatori professionali» diventino «educatori professionali socio-sanitari».
  La doppia specializzazione della figura dell'educatore è un altro punto cruciale della legge che stiamo approvando. Già a seguito del decreto ministeriale n. 520 del 1998 del Ministro della salute, la qualifica di «educatore professionale» veniva data ai laureati della classe sanitaria 2, mentre i laureati della classe L-19 (prima si chiamava 18) Scienze dell'educazione e della formazione erano definiti genericamente «educatori».
  La legge è volta ad introdurre il principio per cui nell'ambito della professione educativa esisteranno due tipi di educatore: quello professionale socio-pedagogico e quello professionale socio-sanitario.
  L'attività di quest'ultimo resta disciplinata dal decreto del Ministro della sanità n. 520, di cui ho parlato, come professione sanitaria dell'area della riabilitazione (classe di laurea L/SNT 2). In base al medesimo decreto ministeriale, la formazione dell'educatore professionale avviene presso le strutture sanitarie del Sistema Sanitario Nazionale e le strutture di assistenza socio-sanitaria degli enti pubblici, individuate con protocolli di intesa tra regioni e università. Le università provvedono alla formazione attraverso le facoltà, i dipartimenti di medicina e chirurgia, in collegamento con quelli di psicologia, sociologia e scienze dell'educazione.
  Si stabilisce invece, come ho detto, che l'educatore professionale socio-pedagogico dovrà conseguire il diploma di laurea nella classe L-19 (scienze della formazione e dell'educazione).
  Si profilano così, come in passato, due diversi percorsi di studio, l'uno a medicina, l'altro a scienze della formazione, ma si chiariscono i diversi ambiti di intervento, stabilendo che l'educatore professionale socio-pedagogico agisca nei servizi e presidi socioeducativi e socioassistenziali, nonché nei servizi e presidi sociosanitari, però, in questi ultimi limitatamente agli aspetti educativi, mentre quello sociosanitario nei presidi e nei servizi sanitari e sociosanitari. La delimitazione degli ambiti viene dal tipo di formazione delle due categorie, simile per certi aspetti, cioè nell'impostazione che ha per obiettivo l'educazione della persona, e anche simili per lo svolgimento, ambedue, di un tirocinio, ma diversi, ovviamente perché l'educatore professionale formato da una classe 2 di medicina consegue una laurea già ad oggi abilitante, ricevendo una formazione con un ampio numero di crediti di tipo sanitario; quello socio-pedagogico, invece, approfondisce maggiormente il campo sociale, acquisendo le competenze relative, in coerenza con livello del quadro europeo, delle qualifiche o dei requisiti richiesti dall'ANVUR. La distinzione, che nulla esclude si possa in futuro superare – tendo a sottolinearlo –, trova fondamento, quindi, nella differente struttura dei corsi di laurea e nelle diverse funzioni che i due gruppi di educatori sono chiamati a svolgere.
  La limitazione agli aspetti educativi per l'intervento dell'educatore professionale socio-pedagogico nell'ambito sociosanitario trova ragione nel fatto che non avrebbe le competenze necessarie per svolgere compiti di tipo riabilitativo o, tanto meno, terapeutico nel campo della salute. Viceversa, proprio la formazione ricevuta dall'educatore professionale sociosanitario nei dipartimenti di medicina lo rende adatto ad operare in campo sanitario e sociosanitario, anziché prettamente pedagogico o socioculturale.
  Naturalmente si sottolinea che va favorita, in via prioritaria, l'attivazione di corsi di laurea interdipartimentali e interfacoltà tra strutture afferenti all'area medica e all'area di scienze dell'educazione: la differenza e la distanza non sono insormontabili. Allo stesso tempo, le università dovranno favorire il riconoscimento del maggior numero di crediti allo studente e alla studentessa che, in possesso di uno dei due titoli, voglia conseguire anche l'altro, proprio perché si è voluta sottolineare la necessità di collegamento e di interconnessione tra i due tipi di formazione.
  Tra gli ambiti in cui agisce l'educatore socio-pedagogico la legge cita, senza alcuna Pag. 60pretesa di esaustività, quello scolastico, sociale, del welfare, della famiglia, ambientale, culturale, motorio, del lavoro, giudiziario, dell'intercultura e della cooperazione internazionale. La varietà e l'ampiezza di questi ambiti di intervento potrebbero far temere un rischio di onnicomprensività, ma è la stessa vocazione educativa a richiedere una multidimensionalità, perché vari sono i bisogni a cui si risponde. Sarà, poi, compito del Ministero dell'istruzione, con i propri decreti, apportare le necessarie modificazioni alla determinazione delle classi di laurea e sarà compito dei dipartimenti interessati sviluppare una formazione ampia, ma non generica o superficiale in campi diversi, in cui, però, la prospettiva educativa resta l'elemento unificante.
  Per questo non mi soffermo sulle diverse tipologie di servizi o sulle diverse istituzioni e organizzazioni in cui sono chiamati ad operare questi professionisti: dai servizi per l'infanzia, quelli per la famiglia – li ho appena elencati – a quelli del sistema penitenziario, a quelli artistico-espressivi, sportivi e così via. Non ultimo, vi è il settore formativo nel campo degli adulti per la formazione e per la ricerca. Infatti, come si è detto, il pedagogista si occupa, oltre che di azioni pedagogiche rivolte a singoli soggetti, di progettare, programmare, organizzare e coordinare i servizi pubblici e privati di educazione e formazione, nonché di monitorarli e valutarli. All'educatore spetta, invece, di sviluppare quelli che chiamiamo PEI o PAI, cioè i piani educativi individuali, e progettare le azioni educative rivolte soprattutto a singoli e a gruppi.
  Concludo dicendo che la Commissione cultura ha dedicato particolare attenzione anche al regime transitorio, perché, in assenza di una disciplina specifica in molti degli ambiti descritti, si sono stratificati, nel corso degli anni, professionalità, esperienze, bisogni, che l'introduzione del requisito professionale universitario potrebbe ipoteticamente mettere a repentaglio. Proprio per scongiurare ogni, sia pur ridotto, rischio di impatto occupazionale negativo nell'articolo 13 sono state stabilite una serie di possibilità sananti, volte a consentire a chi non abbia la laurea di continuare a svolgere il proprio lavoro.
  Oltre a prevedere l'equipollenza di alcuni titoli, si istituisce un corso intensivo di 60 crediti per chi voglia conseguire il titolo di educatore professionale, mentre si tutela chi, anche se privo di una formazione universitaria, voglia continuare a svolgere il suo lavoro, forte anche dell'esperienza acquisita, che rappresenta una competenza da riconoscere.
  Il dibattito presso la Commissione cultura, infine, ha visto il contributo delle diverse istanze culturali e professionali portate dai soggetti ascoltati nel corso delle audizioni, in primis le associazioni degli educatori, dei pedagogisti, che hanno seguito da vicino il lavoro, docenti universitari, le loro società di riferimento, gli esperti. Sono state molto utili le opinioni dei parlamentari che hanno partecipato alle discussioni e sono stati importanti i contributi delle altre Commissioni in sede consultiva, che ci hanno permesso di entrare nel merito delle competenze, del ruolo e soprattutto dell'impiego professionale degli educatori e dei pedagogisti, chiarendo meglio anche molti aspetti organizzativi. Per questo motivo, invito l'Assemblea ad approvare convintamente il provvedimento, che fa emergere dall'invisibilità e dal disordine un gruppo professionale indispensabile alla crescita della nostra società, impegnato generosamente nel servizio, ma finora poco riconosciuto socialmente.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo. È iscritta a parlare la deputata Vanna Iori. Ne ha facoltà.

  VANNA IORI. Grazie, Presidente. L'obiettivo principale di questo provvedimento è la valorizzazione delle competenze scientifiche e professionali di educatori e pedagogisti, per fare uscire dall'ombra il lavoro prezioso, spesso non riconosciuto o non sufficientemente valorizzato o apprezzato, da essi svolto. Educatori non ci si improvvisa. È un obiettivo Pag. 61importante, perché la scarsa preparazione produce, a volte, comportamenti inadeguati e persino deleteri in tutti gli ambiti, educativi, sociali e sanitari, dove, invece, è sempre più necessario un alto profilo professionale.
  Finalmente diventa possibile mettere ordine nella profonda incertezza identitaria delle figure professionali degli educatori e dei pedagogisti. Stiamo parlando di una galassia variegata e professionalmente fragile di circa 200 mila persone, alcune con titolo, altre senza, di una giungla di titoli e ambiti lavorativi che comprende, al suo interno, anche ingiustizie e disparità, di una normativa in materia complessa e, a volte, contraddittoria, che attende da oltre vent'anni di essere rivista e che risulta anche inadeguata, oggi, ai tempi e alle modifiche necessarie alla riorganizzazione dei servizi. Oggi, nelle professioni educative, ci sono laureati che provengono da due diverse facoltà (scienze dell'educazione e della formazione o medicina). Ci sono non laureati o senza titolo che lavorano da decenni perché non era richiesto un titolo specifico al momento del loro ingresso lavorativo. Molti di loro hanno certamente acquisito esperienza e competenza, spesso attraverso una formazione in servizio di buon livello, e hanno contribuito in tutti questi anni allo sviluppo dei servizi territoriali.
  Per questa eterogeneità, le professioni educative sono, quindi, ancora indefinite nella loro fisionomia, sono incerte e sfuggono a una configurazione precisa, perché non sono chiaramente definiti né i titoli di studio né gli sbocchi occupazionali. Le ragioni di questa confusione vengono da lontano e trovano origine in un'attività educativa multiforme e complessa, che si estende su più livelli, intersecandosi con lo sviluppo del pensiero pedagogico.
  La storia del sapere educativo si è sviluppata in modo tortuoso, conoscendo ambivalenze nei percorsi di studio, differenze semantiche, incertezze epistemologiche, poiché le pratiche educative contengono sempre una dimensione di riflessione teorica, così come la teoria pedagogica non ha mai una pura finalità speculativa astratta, ma è sempre volta alla prassi. Ecco perché queste figure sono tra loro intrinsecamente collegate.
  A ciò si aggiungano i cambiamenti che caratterizzano l'era della cosiddetta «post-modernità», che rendono sempre più complessa l'azione educativa, perché alla rapida evoluzione dei bisogni e delle domande dovranno corrispondere risposte efficaci, che richiedono intelligenza emotiva, capacità empatica, forte motivazione, capacità di mantenersi aperti all'imprevisto, sempre presente nei rapporti interpersonali. Stiamo, infatti, parlando di professioni in prima linea nel trovare risposte idonee ai macro-scenari dei mutamenti sociali in atto e politiche di welfare educativo adeguate. Nel groviglio normativo che dopo tanti anni di vuoto legislativo attende un riordino improcrastinabile è giunto il momento di fissare, dunque, alcuni requisiti basilari, prendendo come riferimento gli standard europei, il livello delle conoscenze richieste dal QEQ, quadro europeo delle qualificazioni professionali, e indicando i percorsi di studio, le competenze, i titoli e gli ambiti occupazionali. Tutto questo è contenuto nel testo finale ora in esame.
  Tengo a sottolineare, come già la relatrice Santerini, che il testo è il risultato di progressive modifiche e che si è arricchito del contributo di associazioni di educatori e pedagogisti, ma anche dell'esperienza di molti soggetti che a vario titolo – pubblici e privati impegnati nei vari settori – hanno conferito alla figura dell'educatore e del pedagogista, per arrivare a configurare un quadro di ordine ed equità nel riconoscimento di queste figure professionali che operano negli ambiti dell'infanzia ma anche in tutto l'arco della vita, nella prospettiva del lifelong learning e nei settori dell'educazione formale, informale e non formale nei luoghi molteplici della famiglia, della disabilità, dell'immigrazione, del carcere, della tossicodipendenza, delle case famiglia, delle comunità territoriali, della formazione aziendale, dell'inclusione e della tutela dei soggetti fragili e svantaggiati, della promozione del benessere.Pag. 62
  Quali sono, dunque, i cambiamenti proposti ? Nel breve tempo disponibile mi limito ad elencare solo i principali. Innanzitutto, dopo l'approvazione della legge entrerà in vigore l'obbligatorietà della laurea triennale per accedere alle professioni educative e il titolo di laurea avrà valore europeo; si definiranno, inoltre, tre figure professionali di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e di pedagogista, con le rispettive competenze e i rispettivi ambiti. Ovviamente, sono previste anche norme transitorie per il passaggio dalla situazione attuale a quella che sarà a regime con l'obbligo del titolo, prevedendo, ad esempio, un tempo e un percorso formativo privilegiato per non penalizzare chi già lavora senza laurea e riconoscendo il lavoro svolto come competenza formativa. Si invitano, infine, le università a favorire le istituzioni di corsi interfacoltà o interdipartimentali tra medicina e scienze della formazione, per avvicinare i due profili professionali e, in prospettiva, auspicabilmente giungere ad un profilo unico.
  Ma ciò che conta è, in conclusione, il senso profondo di questo provvedimento: si fa un passo in avanti importante per valorizzare il lavoro educativo e pedagogico, che è indispensabile veicolo di civiltà per lo sviluppo del nostro Paese; si creano le condizioni per produrre un decisivo miglioramento nella qualità dei servizi; si potenzia un'affermazione dei diritti dell'infanzia e una diffusione della qualità della cura educativa per tutte le persone in situazioni di fragilità e per coloro che sono in cammino nei sentieri educativi. Dunque, riconoscere un profilo professionale alle figure di educatore e di pedagogista significa conferire un valore fondamentale alle relazioni educative come patrimonio che un Paese civile deve sapere e volere preservare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Brescia. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE BRESCIA. Grazie, Presidente. La proposta di legge in discussione intende disciplinare l'esercizio delle professioni di educatore e di pedagogista al fine di garantire, con omogeneità in tutto il territorio nazionale, servizi e interventi educativi di qualità, al fine anche di valorizzare le due professioni garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità nel quadro degli indirizzi forniti dall'Unione europea in materia di educazione formale, non formale e informale.
  La platea a cui si rivolge questa proposta è composta da più di 150 mila persone che ogni giorno lavorano nelle situazioni più disparate, sempre a contatto con i più bisognosi. Si va dai servizi educativi di accompagnamento alla crescita di individui e gruppi ai servizi di consulenza, in particolare in ambito familiare; ci sono i servizi educativi per la prima infanzia, i servizi educativi per la prevenzione del disagio e la promozione del benessere per gli adolescenti, l'inclusione sociale in contesti socio-territoriali svantaggiati, i servizi per gli anziani, servizi di promozione del benessere della salute, servizi di educazione formale e non formale per adulti e, ancora, servizi educativi, ludici, artistico-espressivi e del tempo libero per soggetti di ogni età, servizi di educazione ambientale e sui beni culturali, servizi per le tecnologie informative, comunicative e multimediali, servizi educativi nei contesti lavorativi e servizi per la rieducazione e risocializzazione dei soggetti detenuti fino ai servizi educativi per le pari opportunità.
  Stiamo parlando, dunque, di lavoratori che hanno a che fare ogni giorno con soggetti sensibili, i più sensibili e i più deboli in assoluto: i bambini, gli adolescenti, i disabili, gli anziani, i detenuti, eccetera. Quindi, il loro è un lavoro delicatissimo, che può essere affrontato nel migliore dei modi solo ed esclusivamente con un'adeguata formazione e senza che nulla sia lasciato all'improvvisazione. Il provvedimento, infatti, oltre a definire e riconoscere le due professioni, cerca di porre fine al caos che dura da sempre in questo settore, stabilendo che l'esercizio della professione è consentito solo a chi Pag. 63possiede le qualifiche di educatore e di pedagogista attribuite all'esito del percorso di studio universitario specificamente indicato e non anche a chiunque manifesti un po’ di buona volontà e pazienza, come accade purtroppo tuttora.
  Con l'entrata in vigore di questa legge il possesso delle qualifiche di educatore e di pedagogista costituirà requisito obbligatorio per l'esercizio, in qualunque forma e ambito, rispettivamente del lavoro educativo e pedagogico e questo è senz'altro un risultato importantissimo che si raggiungerà con questo provvedimento per il quale in molti saranno grati al Parlamento: saranno grati tutti coloro che questo percorso universitario lo hanno già fatto e chi lo sta sostenendo, perché in questo modo non si sentiranno più professionisti di serie B. Ma, cosa più importante di tutte, per questa legge ci ringrazieranno le tantissime persone che dei servizi forniti da educatori e da pedagogisti usufruiscono e le rispettive famiglie, alle quali sarà garantito un supporto di qualità.
  Tuttavia, come in tutte le cose, c’è un «ma». Attualmente nell'ordinamento esiste un educatore riconosciuto e si chiama «educatore professionale». Chi ascolta da casa dirà: «Ma in che senso ? Si è appena detto che questo provvedimento è fatto appositamente per riconoscere questa professione e ora si dice che è già riconosciuta ?». E allora bisogna spiegare l'equivoco. Il Ministero della sanità, attraverso il decreto ministeriale 8 ottobre 1998, n. 520, nell'individuare le figure professionali e i relativi profili, relativamente alle aree del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, stabilì che l'educatore professionale è l'operatore sociale sanitario che, in possesso di diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi nell'ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’équipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della persona, con obiettivi educativo-relazionali e in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; inoltre, cura il positivo inserimento e reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà ed opera all'interno di strutture socio-sanitarie riabilitative e socio-educative.
  Con questo decreto il Ministero della sanità nel 1998 creò il problema, cioè la dicotomia tra gli educatori che si laureano in scienze della formazione, a cui questo provvedimento cerca di dare giustamente dignità, e gli educatori professionali che si laureano in medicina, che sono già riconosciuti. Ma evidentemente da allora, dal 1998, hanno assunto un'impropria denominazione per la propria qualifica, denominazione che andava a creare confusione e sicuramente a danneggiare coloro che seguivano e tuttora seguono i corsi di laurea presso scienze della formazione. Questo problema, quello della confusione tra educatore professionale ed educatore, è reale e richiede di essere affrontato, perché produce effetti dannosi sia nella qualità dell'offerta educativa, sia nei giovani che intraprendono la professione, sia nelle istituzioni, sia nell'utenza. Ma è questo il nodo annoso che invece questa proposta di legge non scioglie; è quello relativo appunto a questo dannoso equivoco venutosi a creare al momento della denominazione della qualifica per il personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione. In Comitato ristretto si è lavorato molto approfonditamente per cercare di migliorare la qualità della proposta iniziale e sicuramente in parte ci si è riusciti. Un risultato su tutti che rivendichiamo con gioia, raggiunto proprio grazie alla volontà di rendere questi percorsi quanto più qualificanti possibile, è stato quello di prevedere il carattere abilitante per coloro che conseguiranno la qualifica di pedagogista, una proposta del MoVimento 5 Stelle accolta all'unanimità dal Comitato, un risultato di cui siamo felicissimi. Ma purtroppo sulle altre questioni sollevate e sulle soluzioni proposte, tese proprio al superamento di questo problema e anche e soprattutto alla previsione di una prospettiva formativa nuova, più completa e adeguata per gli educatori, non si è riusciti ad addivenire a conclusioni condivise.Pag. 64
  Come abbiamo detto sin dall'inizio del percorso di questa proposta, siccome ne condividiamo profondamente l'intento generale, non faremo nulla e nulla abbiamo fatto per ostacolarne o anche solo rallentarne l’iter, ma di certo si poteva fare qualche sforzo in più per affrontare e risolvere questa immotivata dicotomia tra educatori ed educatori professionali che questa legge non supererà, ma trasformerà in una nuova immotivata dicotomia tra educatori professionali sanitari e educatori professionali socio pedagogici. Sia in Comitato ristretto, che qui in Aula con i nostri emendamenti noi proponiamo il superamento di questa divisione, prevedendo innanzitutto un percorso di formazione unico e abilitante, con un'unica qualifica di educatore professionale.
   Questa soluzione, che al tempo stesso è semplice e rivoluzionaria, avrebbe sicuramente sollevato un polverone inizialmente, generato magari mal di pancia, dico io soprattutto presso qualche università, che avrebbe dovuto sopprimere alcuni corsi e far saltare delle cattedre e quindi avrebbe creato malumore anche in qualche docente, ma sicuramente a lungo andare avrebbe fatto il bene delle decine e decine di migliaia di studenti e futuri lavoratori del settore.
   Tutto questo alla Camera si è ritenuto di non poterlo fare per non mettere a rischio il raggiungimento dell'obiettivo minimo che – lo ribadisco – noi condividiamo in pieno e speriamo vivamente che si possa provare a farlo al Senato in seconda lettura, perché fortunatamente c’è ancora un Senato e una seconda lettura, dove proveremo con lo stesso atteggiamento di apertura e dialogo avuto sino ad ora a proporre le nostre idee.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Questo disegno di legge è stato per me un disegno di legge molto complesso da analizzare e devo dire onestamente in molti momenti, in molte situazioni e in molte circostanze ho avuto la sensazione di essere l'unica dall'altra parte, per così dire, di una sorta di barricata culturale, cioè l'unica realmente interessata a scandire, non solo e non tanto le differenze, ma le specificità di diversi corsi di laurea, come d'altra parte si compete a una Commissione sostanzialmente formata da educatori e nello stesso tempo da docenti di pedagogia e di educazione, essendo io l'unica a provenienza dalla Facoltà di Medicina.
   Cercherò di sottolineare prima di tutto gli elementi positivi di questa legge, così come si conviene comunque a un disegno di legge che nonostante le sue ombre merita di fare il passo avanti, merita di essere approvato, di arrivare al Senato e, me lo auguro con tutto il cuore, di essere modificato al Senato e, nello stesso tempo, però vorrei sottolineare accanto agli aspetti positivi tutta una serie di contraddizioni che sono nel disegno di legge e, che devo dire francamente, mi sarebbe piaciuto poter registrare in automatico mentre venivano fuori tra le relazioni dei colleghi.
   Esordisco dicendo – come peraltro ha detto la collega Iori – che l'educazione è cosa seria, cosa che non si improvvisa, che richiede studio e competenza, dedizione e responsabilità; è la chiave di volta di un Paese che voglia puntare su ricerca e sviluppo e voglia quindi contrastare pacificamente difetti ed errori personali e sociali.
  Si può affrontare in termini educativi – e peraltro è uno degli obiettivi che abbiamo perseguito quest'anno attraverso molti disegni di legge che non ci riguardano, penso a tutti quelli che riguardano le carceri –: l'ottica assunta in profondità dall'interno non è mai stata, per così dire, quella punitiva, ma è sempre stata prevalentemente quella rieducativa, quella del reinserimento, quindi puntando davvero anche in quel momento su come ricostruire strutture interne che permettano alle persone di avere uno sviluppo armonico della loro personalità, che però va declinato anche in termini di qualità di vita sociale, quindi anche di servizio prestato agli altri, di integrazione e di collaborazione.Pag. 65
   Ma proprio perché l'educazione è una cosa seria, che non si improvvisa, che richiede studio, competenza, dedizione e responsabilità serve un curriculum formativo di tutto rispetto, una laurea triennale magistrale per raggiungere la formazione necessaria ad offrire un servizio qualificato a partire dai bambini, fino – potremmo dire – agli anziani, se vogliamo utilizzare come criterio classificativo quello dell'età, a partire dai sani fino ai malati, se vogliamo utilizzare come criterio classificativo quello del livello di salute, e così via dicendo.
   L'educazione non è certamente solo questione di bambini; è questione di adolescenti, di adulti, di anziani, di sani, di malati, di persone abili, disabili, diversamente abili, di italiani, di stranieri, di cittadini responsabili, di cittadini che hanno trasgredito le nostre leggi, l'educazione ci riguarda tutti, anche nei cambiamenti che toccano la nostra vita personale, professionale e sociale. Non solo riguarda tutti, ma riguarda anche tutto, tutto è di fatto oggetto di formazione e, in quanto tale, è oggetto di apprendimento e di insegnamento: si può insegnare tutto con i modi opportuni e si può imparare tutto. Questa è la forza straordinaria dell'educazione, che richiede come controparte che la persona voglia apprendere e che l'altra persona sappia insegnare. Tutto infatti si può insegnare, se lo si sa insegnare e se lo si vuole imparare: mai come in questo caso c’è bisogno di consenso informato, che rifugga dalla superficialità, dalla sciatteria, dall'incompetenza, dall'improvvisazione di chi insegna, ma che rifugga anche dalla pigrizia e dalla resistenza all'apprendimento di chi non vuole per l'appunto apprendere o non può apprendere perché gli mancano i fondamenti specifici.
   Si è parlato – lo hanno detto anche i colleghi pochi minuti fa – di come valorizzare la formazione informale; da un lato, sembra un ossimoro, dall'altro, sembra una contraddizione in termini: formare, attraverso informalità, ci pone e ci rimanda al termine e al concetto di «forma». Che cosa posso formare in modo informale, se non ho chiarezza delle strategie, dei metodi, degli obiettivi, degli interlocutori da formare, degli interlocutori formanti ? Corre il rischio di essere una espressione ideologica che potrebbe facilmente scivolare in una presa di posizione demagogica. Quali sono stati gli obiettivi iniziali della legge ? Faccio presente che la legge, la «legge Iori» è il collegato a cui ha fatto riferimento la collega Santerini, che è la «legge Binetti», quindi sono particolarmente interessata a questa legge, che è una legge Iori-Binetti e sono anche molto orgogliosa e onorata di essere nella «legge Iori-Binetti». Quali sono gli obiettivi iniziali della legge ? Il primo era quello di difendere il valore dell'educazione come chiave di volta del sistema democratico del Paese e del suo sviluppo, dicendo un «no» convinto a sottoprodotti dell'educazione, forniti da surrogati più o meno istituzionali, come erano i corsi, i corsetti a durata lampo per insegnare a fare qualcosa e immettere subito la persona in un contesto lavorativo ad hoc, che però si risolveva e si esauriva nel momento stesso in cui l'obiettivo veniva affrontato. Quindi dare dignità all'educazione è – come è stato detto molto bene – riconoscere la dignità dell'educatore, anche a prescindere dalla sua scarsa remunerazione, perché non dimentichiamo che uno degli elementi di fragilità in questa valorizzazione è anche la scarsa remunerazione dell'educatore fino a quando, chissà, forse il Governo un giorno deciderà di mettervi mano, anche riconoscendo valore proprio nella costruzione della struttura democratica di un Paese, che vale quanto la dignità dei suoi educatori e dei suoi insegnanti, ma anche di tutte le persone che affrontano nicchie di educazione complessa che sfuggono forse alla struttura scolastica, ma che, non per questo, non rappresentano in modo molto alto e complesso gli obiettivi di una nazione. Si tratta infatti di sottolineare il valore sociale di questi professionisti posti nei gangli vitali della società e nelle interfacce più critiche e spesso potenzialmente conflittuali. Penso a quegli educatori a cui è riservato il lavoro non solo nelle carceri, penso a quegli immigrati, Pag. 66penso a tutti questi campi come sono rappresentati in un certo senso dalla strada e quindi penso al recupero di una dispersione scolastica, che non si fa soltanto attraverso la scuola, ma che si fa attraverso processi altamente personalizzati, che tengono conto delle ferite che queste persone portano sulla propria pelle, di ciò che li ha fatti soffrire, in grandissima parte senza nessuna colpa da parte loro, e quindi penso a questa dimensione, come dire, della salute dell'anima, intesa proprio come capacità di restituire senso a vite ferite, vite spezzate si diceva una volta. Di qui la proposta della laurea come conditio sine qua non per esercitare la professione di educatore, un modo di difenderli dall'abusivismo della professione e garantire un prodotto di qualità. Fin qui gli aspetti positivi, gli aspetti condivisi e gli aspetti che conservano una grande forza e anche una grande capacità di trascinare probabilmente un cambiamento positivo dei modi con cui la nostra società affronta i nodi più critici delle classi emergenti, del dissolvimento delle classi sociali, di un'immigrazione che non è l'immigrazione di primo livello, ma quell'immigrazione molto più difficile che è l'immigrazione di secondo livello, di persone che in qualche modo sono state già inserite ma non sono state inserite con quella profondità di appartenenza a un sistema che le rende poi responsabili nel momento di difenderle.
  Ma quali sono state le difficoltà subentrate nel corso del dibattito ? Anch'io voglio partire da questa dicotomia. Il collega Brescia ha fatto quasi apparire la facoltà di medicina come la facoltà che – con un'espressione che io ho utilizzato e che non è piaciuta sicuramente alla collega Iori, ma che comunque ribadisco in questo momento e in questo caso – ha fatto mano rampante in campo altrui. In realtà non è così, non è così perché la declaratoria della figura dell'educatore professionale iniziale, oggi definito da questa legge «educatore socio-sanitario», è quella che – dice il corso di laurea triennale in educazione professionale – prepara l'educatore ad operare nell'ambito delle strutture socio-sanitarie per la realizzazione di progetti educativi e riabilitativi volti a uno sviluppo equilibrato della personalità e – questa è la parte che tu non hai letto, ma nell'insidia della non lettura si nascondono nelle pieghe comunque delle cose e si nasconde poi la comprensione dei processi – al recupero e al reinserimento dei soggetti in difficoltà; in particolare l'educatore svolge una funzione preventiva e rieducativa nei settori dell'handicap, della disabilità, delle tossicodipendenze e dell'integrazione interculturale in modo coordinato, all'interno di équipe multidisciplinari. Per noi parlare di handicap, di disabilità, di tossicodipendenze dice molto su quella che è in fondo quella retro-competenza o quella competenza di base che rimanda a una conoscenza approfondita, per esempio cito una parola per tutte che è stata tolta, che è sparita dal disegno di legge, che sono le competenze psicologiche. Positivamente abbiamo utilizzato la parola «antropologico», che rimanda a una competenza di tipo filosofico, compresa anche la filosofia dell'educazione, ma certamente la competenza psicologica è stata tolta ed è pure una competenza fondamentale. Ma penso per esempio alle tossicodipendenze, penso al disegno di legge che teoricamente potrebbe arrivare qui nell'ambito di qualche settimana, quello sulla legalizzazione delle droghe, e penso a chi ci manderemo lì, se ci mandiamo un educatore così o se ci mandiamo l'educatore socio-professionale. Esiste poi la figura dell'educatore che questa legge chiama «socio-pedagogico», che ha come facoltà di riferimento quella di scienze dell'educazione.
  L'apparente duplicazione di due professioni di confine – sempre di più andremo avanti, dovendo imparare a maneggiare la logica profonda delle professioni di confine, per cui il mandato non è così nettamente distinguibile in un senso o nell'altro, la formazione professionale però deve tenere conto dello sbocco di professionalità a cui possono accedere queste professioni – comunque ci obbliga ad operare una distinzione nei nomi che va però ai processi di formazione, agli Pag. 67sbocchi professionali, alle potenziali conflittualità, alle ambiguità. Devo dire che – non è stato detto, ma voglio dirlo – ci troviamo davanti a studenti che non sono le decine di migliaia che accedono alla Facoltà di formazione: sono 35 studenti per 16 corsi di laurea attuati in Italia, una cifra complessiva di circa 500 laureati, quindi un profilo professionale che supera una selezione iniziale che, come stiamo vedendo in questi giorni, è una selezione abbastanza difficile, come lo è per tutte le selezioni in Facoltà di medicina, ma questi studenti hanno un curriculum che risponde profondamente alle categorie dell'handicap, che prevede per esempio tutto quello che fa parte di una conoscenza non solo di neurofisiologia, non solo di neuroscienze, non solo di neuroriabilitazione, ma che prevede la complessità delle dinamiche e dei meccanismi, compresi i meccanismi di difesa rispetto all'ansia, compresi i meccanismi di rielaborazione del lutto. Mica male, basterebbe prenderli in mano questi corsi di studio, che hanno l'obbligo di frequenza, un obbligo che va certificato, e hanno 1500 ore di tirocinio specifico nei settori in cui sono chiamati ad operare. La formazione di queste persone è abilitante perché certificata passo per passo, esattamente come avviene con molti processi di certificazione della qualità: c’è una stesura di protocolli e i protocolli vengono verificati passo per passo. Siamo davanti a un'aula di 300 persone in cui certamente i più motivati, i più capaci, i più competenti sapranno spremere dai loro docenti il massimo dell'insegnamento che possa essere dato e sapranno chiedere, sollecitare, proporsi ai loro tutori per tirocini di alta qualità, ma sarà ben difficile trovare – peraltro poi voglio tornare su questo – e fare tutti quei tirocini, a 360 gradi, a cui rimanda la disponibilità della legge. Per questo parliamo di abilitazione, non è che parliamo di abilitazione come di un francobollo che viene posto sopra, parliamo di un processo che nasce in un certo modo, si sviluppa in modo coerente e arriva a un suo sbocco professionale. Quindi una riflessione seria e critica sull'espansione degli ambiti di lavoro per i laureati in Facoltà di scienze dell'educazione a mio avviso avrebbe dovuto richiedere una contestuale riflessione critica su quello che riguarda il curriculum di studi e la contestuale riflessione critica sul curriculum di studi a mio avviso non c’è stata. Peraltro invece sembra che sia stata soltanto io a sollevare alcune perplessità ma poi abbiamo ricevuto tutti segnalazioni, per esempio da laureati in scienze motorie, preoccupati delle possibilità di impiego di queste figure in questo campo; dai laureati in scienze ambientali, preoccupati che tra le competenze che vengono assegnate a loro ci sono anche la formazione in termini ambientali; sono preoccupati gli psicologi del lavoro del fatto che questi laureati siano in qualche modo abilitati a fare per esempio bilanci di competenze per un orientamento professionale che resta una delle attività di maggiore complessità nella formazione. Vorrei capire quando, dove e come impareranno a farlo. Di quanti sono gli uni e gli altri ho già detto e devo dire che alla fine tutto il mio lavoro per cercare di superare l'antica dialettica tra specialisti e tuttologi, i limiti di questa vexata quaestio sono noti a tutti, perché più si allarga l'aria delle competenze possibili, più si riduce la specificità della formazione che si assegna. In Italia comunque ha un suo fondamento e finché esisterà questo fondamento nel valore legale dei titoli di studio, in cui si garantisce chi fa cosa, perlomeno in gran parte. Peraltro la salute, come tutti sappiamo, è ben tutelata dalla Costituzione e quindi richiede da chi si muove in questo contesto una competenza documentata. Certamente questo mi ha spinta in molti momenti a cercare di sottolineare che per lo meno il limite dell'intervento di queste persone in questo campo fosse marcato dal profilo educativo. Non voglio dire nulla perché le persone che sono presenti su questo tavolo conoscono perfettamente il mistero di quella parola «limite» che doveva apparire ed è scomparsa, doveva riapparire ed è riscomparsa proprio, secondo me, in base ad una logica che molto sa di psicopatologia della vita quotidiana finché, alla fine, la parola Pag. 68«limitatamente» c’è. Non ha un grande valore. Ha un valore simbolico ma è un valore che marca un dibattito che c’è stato ed è un dibattito che – mi dispiace dirlo in presenza del sottosegretario alla salute, anche questo è un mistero: il provvedimento non ha visto l'impegno del Ministero della salute – ha sempre visto l'impegno marcato, sistematico, continuativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca come se, in fondo in fondo, il Ministero della salute non recepisse fino in fondo l'importanza del problema. Però, devo dire, che proprio in merito all'aggettivo o all'avverbio, se volete, che definisce il confine tra le cose, questa parola «limitatamente» è l'unica cosa che è rimasta dello spazio di un dibattito con il Ministero della salute e con il MIUR. Spero che valga a perenne memoria perlomeno degli addetti ai lavori. Poi se un giorno scriveremo qualcosa su questo, cercheremo di soffermarci sul concetto di «limite». Certo è che il concetto di limite ci aiuta a comprendere anche la complessa relazione che c’è tra educare e curare: fino a che punto l'educazione è relazione di cura, cioè relazione di cura dell'educatore nei confronti del soggetto che sta educando ? Sicuramente è una relazione di cura, ma di che tipo di cura stiamo parlando ? E nello stesso tempo ogni relazione di cura è anche contestualmente una relazione di educazione. Ben lo sanno tutti coloro che in qualche modo hanno dovuto fare conto su la cura, anche per citare l'esempio più semplice di tutti, per una frattura, per un qualunque tipo di malattia, sanno che la cura che hanno ricevuto ha insegnato loro a fare determinate cose. L'esempio più banale è: se hai un braccio che ha sofferto qualche accidente, la regola semplice è che ti infili la giacca prima nel braccio malato poi nel braccio sano, ma ti togli la giacca prima dal braccio sano e poi dal braccio malato. Questa è una sorta non so se di riabilitazione, non so se di rieducazione ma sicuramente è un'educazione. Ti vesti in questo modo perché questo ti aiuta a gestire meglio il tuo corpo e quindi ti aiuta anche a fare fronte meglio alle tue difficoltà, questo è in gran parte ogni lavoro di educazione. Insegnare ad una persona come gestire sé stessa, come mettere mano ai propri talenti e alle proprie capacità, come valorizzarle e, nello stesso tempo, come riuscire a contenere le proprie difficoltà. Ma se è difficile identificare il limite anche sotto il profilo epistemologico tra educazione e cura, non è nemmeno facile comprendere bene i confini tra una scienza che, da una parte, è formazione e, dall'altra parte, è abilitazione e lo stesso tra abilitazione e riabilitazione. Penso, ad esempio, a tutte le problematiche che riguardano la presa in carico dei soggetti autistici. Molto difficile insistere se quello è un processo di abilitazione o di riabilitazione. Generalmente i genitori, le famiglie, gli educatori preferiscono parlare di abilitazione perché presuppongono che non c’è una facoltà che si è persa e che quindi bisogna riabilitare. Pensano piuttosto che occorra apprendere dei modelli e degli schemi di comportamento per riuscire a far fronte alla propria autonomia. Comunque il tema «formazione e abilitazione», che sembra che sia stato anche una delle zone collusive tra l'una e l'altra, meriterà un approfondimento. Lo stesso problema presenta l'altra difficile terra di mezzo tra il sociale e il sanitario. È vero che tutto ciò che è sanitario è contestualmente anche sociale ma non tutto ciò che è sociale è contestualmente anche sanitario. Tutto è sociale perché in tutto riguarda la mia vita di relazione con gli altri e la complessità di queste dinamiche relazionali, quindi anche la mia salute ha una sua interfaccia sociale, ma non sempre tutto ciò che è sanitario rimanda a quella che potremmo chiamare una sorta di patologia. Questa mattina, quando discutevamo in discussione sulle linee generali il provvedimento che tutti quanti auspichiamo possa vedere l'approvazione quanto prima, il «dopo di noi», dicevamo che uno dei punti forti e qualificanti di esso è aver ricostruito e ristrutturato l'intima relazione tra il sociale e il sanitario e stavamo parlando di soggetti con gravissima disabilità.Pag. 69
  Questo per dire come il sociale e il sanitario presentano interfacce che rimandano costantemente l'uno all'altro, ma ciò non può portare a schiacciare tutto il sanitario sul sociale perché il sanitario rappresenta, in qualche modo, una parte di specificità rispetto a una visione, a un insieme di maggiori opportunità come è l'ambito del sociale.
  Restano, quindi, ancora nodi sul concetto che abbiamo detto di abilitazione: in questo momento mi riferisco al concetto di abilitazione professionale. Il provvedimento presenta anche dei suoi squilibri di parti per cui all'educatore socio-professionale dell'ambito socio-sanitario si rimanda nella dizione iniziale dopodiché, quando si parla di laurea magistrale, si fa riferimento soltanto alla laurea magistrale dell'educatore socio-pedagogico che diventa pedagogista, mentre invece non si cita nemmeno che anche il laureato socio-sanitario può avere la sua laurea magistrale: anche lui ha la sua magistrale, anche a lui la sua laurea magistrale apre spazi di coordinamento e apre spazi di preparazione alla ricerca e tutto quello che ne consegue. Questi sono un po’ alcuni dei nodi. Tuttavia, affinché sia chiaro lo spirito con cui queste disposizioni sono scritte, è fondamentale che i colleghi prendano in mano tutto l'ambito del dibattito. Veramente qualcuno le ha lette prima, ma non si potrebbe capire la complessità dei problemi sollevati se uno non ha proprio sottomano quel discorso sugli ambiti educativo, scolastico, socio-sanitario della salute – e si dice «limitatamente»: quello che prima dicevo essere l'unica parte residuale di un dibattito molto forte e molto profondo – e la genitorialità, la famiglia, il culturale, il giudiziario, l'ambientale. Per questo dicevo prima che i laureati in scienze ambientali hanno reagito male come lo sportivo: non vi dico niente, voi state discutendo nella vostra Commissione le prerogative dei laureati in scienze motorie e vi garantisco che i laureati in scienze motorie su questo punto storcono, a mio avviso correttamente, il naso perché hanno competenze specifiche che in qualche modo qui potrebbero essere considerate «scippate» o comunque diluite e annacquate in un contesto che non è quello per cui gli altri si stanno formando come professione di confine. E, quindi, penso anche all'integrazione e alla cooperazione internazionale e penso a tutti i laureati in giurisprudenza che poi fanno i corsi. Ad esempio, a Pisa ci sono corsi di eccellenza su questo. Quindi, voglio dire, nodi ce ne sono e sono da sciogliere, sono nodi che attengono davvero con maggiore riguardo proprio a quello che è il valore strutturale del testo unificato: la dignità dell'educazione, e la dignità dell'educatore che presuppongono che l'educatore recuperi il senso profondo della sua dignità, della sua competenza specifica oltre che dell'atteggiamento di servizio. Certamente un educatore è costantemente in atteggiamento di servizio nei confronti di coloro che sta educando, ma il primo servizio che rivolge verso di loro, oltre a tutte le virtù umane che prima la collega Iori ha elencato (l'empatia, la capacità di entrare in risonanza con lui, la capacità di coglierne i bisogni, quell'intelligenza emotiva che ti fa percepire il tono, l'umore, lo stato d'animo dello studente oppure dell'interlocutore che hai davanti) è il dovere morale dell'educatore e la sua competenza specifica. Ti insegno ciò che sono. Non bleffo su ciò che non so o ciò che non sono. Quindi, mi auguro che su questo ci siano sottolineature precise che, in parte, vengano dalla revisione del curricolo, in parte vengono da una limatura che sarebbe un atto dovuto rispetto a quello che è scritto. Quindi, io mi sono detta davanti a questi, tra virgolette, «paradossi» – perché poi alla fine il paradosso finale entra in parte in contraddizione con l'obiettivo iniziale – l'obiettivo iniziale era dignità dell'educazione, dignità dell'educatore, il paradosso finale è il seguente: ma sapranno questi educatori rispondere a tutti questi obiettivi dell'educazione ? Ma avranno tutti questi educatori le competenze previste da questo profilo ? Non sarà che noi smentiamo nei fatti ciò che abbiamo affermato nei principi ? E allora la risposta che io mi do: supplirà la passione dell'educatore, che è quello che molte volte di fatto accade ? Pag. 70Supplirà il valore dell'esperienza, che è quello che anche altre volte accade ? Impariamo sul campo tutti a fare cose che forse non avevamo nemmeno minimamente frequentato, nemmeno impostato negli studi universitari e per questo dopo vediamo se si riuscirà a creare percorsi integrati laddove i percorsi integrati, ormai sono quelli della formazione post-universitaria, saranno quelli dei dottorati, saranno quelli dei master, saranno quelli di quelle aree di confine, a cui oggi sempre di più guarda alla complessità e a cui oggi sempre di più si deve ispirare profondamente la professionalità, una professionalità che supera gli steccati disciplinari, che va oltre, ma non ignora quella che è la portata di ognuno di loro e si propone di dare risposte di più alto spessore e di più alta qualità, per il bene dei professionisti, per il bene delle persone a cui si rivolge per farlo, ma anche per il bene della nostra società.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Ottavio. Ne ha facoltà.

  UMBERTO D'OTTAVIO. Grazie signora Presidente. La professione dell'educatore, che è oggetto di questo provvedimento, insieme a quella del pedagogista, è nata e si è evoluta dentro le funzioni e le attività che, nel corso del tempo, sono state date ai servizi sociali e sanitari. Questa figura, insieme alle altre, ha dato un senso a parole come riabilitazione ed educazione, personalizzando gli interventi. L'educatore è quella figura che si fa carico dei problemi della persona; ovviamente non è l'unico, però è quella figura che si fa carico dei problemi della persona ed è con lui o e con lei se piange, se non ce la fa, se riesce e se ha bisogno di un abbraccio o di un sorriso. Gestire, organizzare e coordinare un intervento è il suo compito e ha bisogno di una solida preparazione, una cornice teorica di riferimento che orienta l'agire, dando il giusto peso alla parte emotiva di un lavoro che ha a che fare con le persone.
  L'educatore è diventato, nel corso del tempo, la figura alla quale è affidata alla lotta al disagio e i processi di disgregazione sociale, da un lato, e, dall'altro, la garanzia dell'esigibilità di alcuni diritti. Educare, riabilitare, sostenere è l'esatto contrario di condannare, reprimere, isolare. È per questo che per raggiungere i risultati che il nostro Paese si è posto, anche nell'ambito dell'Unione europea, abbiamo bisogno di un professionista adeguatamente formato. Oggi è già così in molte parti del nostro Paese, ma assistiamo ancora a situazioni che lasciano perlomeno perplessi. La legge chiarisce ulteriormente che per quel tipo di attività è necessaria la laurea triennale.
  Devo dire che questa legge ha un assoluto bisogno ed avrà un assoluto bisogno di essere seguita non solo nella fase di approvazione, ma soprattutto per l'attuazione; è necessario chiudere quei corsi che giocano con la parola educazione, ma che soprattutto giocano con le persone, che hanno bisogno di specialisti adeguatamente formati e non di «corsetti» così, per dare magari sotto l'egida del – come dire ? – mercato del lavoro, la speranza di professionalità a chi non la potrà ottenere in quattro o cinque mesi.
  La legge chiede alle università di favorire l'attivazione di corsi di laurea interdipartimentali o interfacoltà, come già avviene per esempio a Torino. Io voglio citare questo esempio perché, per quanto mi riguarda, è un bell'esempio positivo e lo avete sentito anche nel corso del dibattito; qualcuno avrebbe voluto la creazione di un profilo professionale unico, ma nella discussione e nel rispetto di tutte le opinioni, dall'approvazione di questa legge io credo che possiamo affermare, rovesciando un po’ l'impostazione che fin qui è stata data, che la professione di educatore professionale d'ora in avanti – quindi l'educatore professionale – si concretizza in due figure: da un lato, l'educatore professionale socio-pedagogico e, dall'altro, l'educatore professionale socio-sanitario, ma educatori professionali entrambi.
  Il tema che abbiamo voluto affrontare, partecipando anche a numerosi incontri, dibattiti e discussioni, è quello di parlare ai giovani che vogliono intraprendere questa Pag. 71professione e noi, secondo me, con questa legge diamo a questa professione, e ai giovani che vorranno intraprenderla, chiarezza nella propria impostazione ed anche chiarezza abbiamo fatto, secondo me, per quanto riguarda chi è già in servizio, perché non sono state poche le preoccupazioni.
  Abbiamo scritto, per esempio, che a chi abbia 10 anni di servizio o a chi abbia cinquant'anni di età, la qualifica viene attribuita direttamente.
  È stato già lungo il dibattito intorno a questa discussione. Io vorrei concludere questo breve intervento dicendo che credo debba essere apprezzata la chiara volontà politica, che mi sembra tra l'altro ampiamente condivisa, di portare, con questo provvedimento la forte volontà di rilanciare i servizi sociali e sanitari, anche qui, da questa discussione, mandando un messaggio, ai nostri amministratori locali e del terzo settore, di tornare ad investire nei servizi e di considerare la dotazione nei servizi di adeguate figure professionali, per esempio come quella dell'educatore professionale, la migliore garanzia di risultati utili a migliorare la qualità della vita dei nostri concittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e della deputata Santerini).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche della relatrice e del Governo – A.C. 2656-3247-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice ed il rappresentante del Governo non intendono replicare. Il seguito del dibattito è rinviato ad un'altra seduta.

Discussione delle mozioni Mazziotti Di Celso ed altri n. 1-01234, Simone Valente ed altri n. 1-01267, Pannarale ed altri n. 1-01282 e Palese e Pisicchio n. 1-01300 concernenti l'affidamento di servizi nel settore dei beni culturali, con particolare riferimento allo svolgimento di procedure di gara (ore 17,25).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Mazziotti Di Celso ed altri n. 1-01234, Simone Valente ed altri n. 1-01267, Pannarale ed altri n. 1-01282 e Palese e Pisicchio n. 1-01300 concernenti l'affidamento di servizi nel settore dei beni culturali, con particolare riferimento allo svolgimento di procedure di gara (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che è stata presentata la mozione Borghesi ed altri n. 1-01302 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente; il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare l'onorevole Mazziotti Di Celso, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01234. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie Presidente. Signor sottosegretario ed onorevoli colleghi, questa mozione ha ad oggetto le procedure di affidamento dei servizi museali ed in particolare dei servizi aggiuntivi.
  La «legge Ronchey», che rivoluzionò il settore a metà degli anni Novanta, fu una legge particolare in quanto approvata all'unanimità, e portò ad una vera rivoluzione, perché per la prima volta introdusse la nozione dei cosiddetti «servizi aggiuntivi» e la possibilità che questi venissero affidati ai privati. Questa fu una grande innovazione, che consentì ad un sistema museale, abbastanza statico e del tutto carente sotto il profilo dei servizi, dell'attenzione Pag. 72ai visitatori ed agli utenti, lo sviluppo di quella che si tende a chiamare «valorizzazione» – questo termine ha suscitato molte polemiche, ma significa semplicemente un'adeguata disponibilità e fruizione dei beni culturali da parte di chi li vuole visitare – e non solo il miglioramento dei servizi e spesso l'inserimento di servizi che presso i nostri musei non c'erano proprio, attraverso l'affidamento, in molti casi, a soggetti privati, in alcuni casi sulla base di bandi molto precisi, in altri casi anche sulla base di proposte, in situazioni magari di minore dimensione. Quindi, un sistema di per sé virtuoso.
  Il problema è stato che, dopo gli iniziali affidamenti e l'avvio di questo sistema, si è creata una situazione di sostanziale stallo: molte delle convenzioni iniziali furono rinnovate senza la benché minima procedura di gara ed alla scadenza del loro rinnovo furono prorogate per legge; in molti casi ci furono proroghe ripetute, in altri appunto si applicò una norma del «mille proroghe» che ne determinava la proroga automatica ed alla scadenza, non potendosi più né rinnovare né prorogare per chiara violazione soprattutto delle norme europee ma in generale dei principi in materia di appalti, si sono attuate delle proroghe di fatto. Il Governo, nell'anno 2010, cercò di fare delle gare che furono impugnate; i bandi furono prontamente ritirati; non si arrivò neanche alle sentenze. Da allora, in moltissimi siti italiani, anche nei più importanti, non si sono più fatte gare e si è avuta sostanzialmente una proroga di fatto che, in senso tecnico-giuridico, vuol dire che non c’è un contratto, perché una proroga di fatto non è ammissibile in questo settore. Quali sono state le conseguenze ? Dopo essere partiti – ripeto – con un allargamento dei servizi, un miglioramento, un ampliamento dell'offerta e un grande aumento di visitatori, lo Stato ha tratto molto meno da questo percorso, sia in termini di qualità dei servizi che in termini economici, di quanto avrebbe potuto. C’è stata, infatti, ovviamente poca concorrenza tra i privati. Il numero di operatori sul settore è rimasto molto limitato, con alcuni che hanno magari gestito letteralmente decine di istituti museali. Gli introiti sono stati molto più bassi di quelli di altri Paesi. Una ricerca, un'inchiesta di quest'anno riportava che, sui 420 istituti italiani, gli incassi del 2014 sono stati pari a 111 milioni di euro – mi pare – e il solo Louvre ne ha incassati 216. I servizi aggiuntivi hanno portato una quota spesso irrisoria degli introiti allo Stato: nel 2014 si parla di 7 milioni di euro su 49.
  Quindi, quella che era partita come una vera e propria rivoluzione del settore si è arrestata. Io stesso ho presentato una serie di interrogazioni riguardanti, ad esempio, il complesso del Colosseo, dove dal 2001 in avanti lo Stato ha incassato circa il 12 per cento (l'11,9) degli introiti dei servizi aggiuntivi, quando i contratti prevedevano il 30 per cento. C’è una disputa sull'interpretazione della convenzione, su cui ho presentato un'interrogazione al Ministro, che attende ancora risposte. In cinque anni, meno di 9 milioni di euro, invece dei 22 a cui, a leggere il contratto, lo Stato sembrerebbe aver avuto diritto.
  A questo si aggiunge che anche sui biglietti – ad esempio, sempre per prendere a riferimento il complesso del Colosseo – il prezzo medio pagato dai visitatori è inferiore al prezzo ridotto per una grandissima quantità di persone che entrano senza pagare.
  Quindi, esiste un settore che va riformato. È stata anche molto diffusa la pratica del cosiddetto «conto terzi», che doveva essere un utilizzo eccezionale da parte dei concessionari dei dipendenti delle soprintendenze, per gestire mostre e eventi straordinari e che è diventato routinario; in alcuni casi si è denunciato, anche in sede sindacale, addirittura un secondo stipendio, con polemiche, favoritismi e cose di questo tipo. Si tratta di una spesa che il Ministro ha indicato in circa 2 milioni di euro l'anno, ma solo metà delle amministrazioni hanno risposto per spiegare in quante utilizzano questo meccanismo. Quindi, non si sa se i costi siano in realtà questi. Ci si domanda perché questi soldi, anziché essere usati per pagare gli straordinari esistenti ai dipendenti Pag. 73con i soldi dei privati, non vengano usati magari per assumere dei giovani, fargli fare esperienza presso i privati per gestire queste mostre e migliorare anche la situazione dal punto di vista occupazionale.
  Il Governo e il Ministro Franceschini hanno annunciato un cambio drastico di tendenza. Ci ha detto che ha concluso degli accordi con Consip, che ha già affidato delle gare, ad esempio, per i servizi di pulizia e manutenzione, attraverso la Consip, e che intende procedere con le nuove gare. È una notizia importante, perché da sei anni siamo in attesa di queste gare e, quindi, siamo particolarmente lieti di questa decisione del Governo. Però, è importante che queste gare si svolgano secondo dei principi che consentano di cambiare alcune delle caratteristiche negative e di incidere su alcuni dei problemi che si sono verificati in questi anni, in primo luogo suddividendo i servizi. Oggi anche nei siti più importanti la biglietteria e i servizi aggiuntivi sono gestiti dallo stesso soggetto e, in realtà, i servizi aggiuntivi producono, a loro volta, dei redditi. Non esiste necessità di tenere insieme tutti i servizi. È evidente che si riduce la concorrenza, quanti più servizi si mettono insieme.
  Per questo la mozione che abbiamo presentato prevede, ove possibile e dove i servizi siano economicamente sostenibili, di separare i diversi servizi per avere la migliore qualità e le migliori condizioni. In particolare per quel che riguarda i servizi di biglietteria, il Ministro Franceschini ha annunciato un sistema di biglietteria unica; in questo modo speriamo che finisca la situazione attuale, nella quale i servizi di prevendita vengono interamente incassati da chi gestisce il servizio aggiuntivo e, quindi, sostanzialmente dalle prevendite on line e al Ministero non entra nulla.
  Voglio parlare anche della limitazione degli affidamenti in house. Il Ministro Franceschini ha annunciato un'altra svolta, quella di voler rafforzare l'ALES e di introdurre la possibilità di affidamenti diretti, come società strumentale, ad ALES. Noi pensiamo, nell'impostazione che Scelta Civica avuto sempre di favorire quanto più possibile la concorrenza, che un affidamento diretto ad ALES si debba fare soltanto quando sia l'unica soluzione fattibile e conveniente per l'amministrazione, non come soluzione in concorrenza con i privati. Infatti, vorrei sottolineare che qualcuno, nel vedere le nostre interrogazioni, nel vedere le nostre iniziative, ha detto: «Ma voi ce l'avete con i privati. State attaccando i concessionari». No, non è così. Quando il sistema funziona, come ha funzionato quello dei beni culturali in questi anni, il problema non sono i privati; il problema è il pubblico, che non ha fatto le gare; il problema è chi doveva controllare gli incassi, che non lo ha fatto; il problema è chi doveva pretendere investimenti e non lo ha fatto. Infatti, i privati sono rimasti nella gestione dei beni culturali più importanti di questo Paese in proroga per l'inattività del settore pubblico.
  Pertanto, non si può pensare oggi di trarre la conseguenza, da questo sistema e da quello che si è verificato in questi anni, che il settore privato non funziona. Il settore privato funziona benissimo, ma ha bisogno di controlli. La legge Ronchey prevedeva un sistema virtuoso, con gare, concorrenza e riconoscimento allo Stato di un adeguato ritorno sugli introiti che i privati generavano, a loro volta, dai servizi aggiuntivi. Il problema è che questi principi non sono stati attuati. Allora, non si può adesso trasformare l'andamento, talvolta difficoltoso, della gestione dei servizi museali da parte dei privati in una scusa per una gestione totalmente pubblicistica. Questo lo diciamo perché il Ministro ha rassicurato di voler utilizzare ALES solo dove i privati effettivamente non trovano conveniente intervenire o dove non ci sono possibilità di un servizio efficiente da parte dei privati. In questi casi siamo d'accordo che possa intervenire il settore pubblico. Non vorremmo che si cogliesse questa occasione, magari, per ritornare a carrozzoni pubblici di antica memoria in questo settore. Infatti, ricordo che se c’è stato bisogno della legge Ronchey e se la legge Ronchey ha migliorato questo settore, è stato a fronte di un servizio pubblico Pag. 74che aveva portato a introiti nulli e servizi pessimi, perché questa era la situazione quando è stata approvata la legge Ronchey.
  Pertanto, per noi è fondamentale che si chiariscano i ruoli, che si mantenga il sistema della legge Ronchey, che si mantengano le gare, che si mettano a gara i servizi in maniera efficiente, economica, qualitativa, dando ai musei la possibilità di indicare il progetto museale, di indicare l'impostazione artistica e culturale, ma consentendo una vera concorrenza e valutando i diversi servizi, anche richiedendo manifestazioni di interesse e proposte su come impostare la gestione dei servizi. Inoltre, per noi è fondamentale che l'intervento di ALES o di qualsiasi altro ente pubblico sia limitato a quelle situazioni dove il privato non può, per ragioni di economicità, di qualità, di efficienza, assicurare un servizio analogo. Altrimenti, quella che è una soluzione positiva annunciata dal Ministro Franceschini si trasformerebbe in un dannoso ritorno indietro.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Simone Valente, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01267. Ne ha facoltà.

  SIMONE VALENTE. Grazie Presidente. Oggi affrontiamo un tema che come MoVimento 5 Stelle abbiamo già sollevato diverse volte in questi tre anni, sia in Commissione ma anche in quest'Aula, e devo dire che per la prima volta chiediamo un impegno concreto al Governo prendendo una direzione che va forse in maniera opposta a quella presente nelle altre mozioni.
  Ebbene, parliamo di servizi aggiuntivi. I servizi aggiuntivi rivestono un ruolo fondamentale per la valorizzazione del patrimonio e per la promozione della conoscenza culturale ed includono, come sappiamo, un'ampia gamma di servizi di assistenza e di ospitalità culturale. Come è noto, la Corte costituzionale ha avuto modo di sottolineare, nella sentenza del 2004, che la funzione di valorizzazione sia diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale. Allora, se intendiamo la valorizzazione del patrimonio storico-artistico come sviluppo e condivisione della conoscenza e del suo valore culturale e sociale nonché occasione per il pieno sviluppo della personalità di ciascuno, ne consegue che tra i servizi aggiuntivi istituiti dalla «legge Ronchey» – come ricordato il primo passo verso la privatizzazione del patrimonio artistico – non possono rientrare quelli necessari a svolgere un'effettiva azione di valorizzazione. Tra questi vi sono i servizi educativi o didattici prima di tutti, perché fondamentali, a tali fini, della costruzione e condivisione del sapere con i cittadini, ma anche l'editoria e la produzione di mostre, perché pensiamo che questi siano strumenti di traduzione e diffusione della conoscenza prodotta sul e dal patrimonio culturale.
  È necessario, pertanto, ricondurre all'interno della missione pubblica, e quindi dell'organizzazione e dell'organico dei musei in generale e dei luoghi della cultura, tutte quelle azioni che sotto forma di servizi ormai da vent'anni sono oggetto di concessione a privati, che le svolgono a scopo di lucro senza alcuna possibilità per il soggetto pubblico di verifica della qualità né di intervento migliorativo o concorrenziale. L'educazione al patrimonio, dalla semplice visita guidata al progetto complesso e la produzione scientifica di cataloghi e mostre non si possono ritenere in alcun modo aggiuntivi, perché consustanziali all'utilizzo pubblico, culturale e sociale del patrimonio. Vanno, quindi, reinternalizzati e affidati a specifiche professionalità inquadrate nell'organico stabile degli istituti di cultura. Pertanto, secondo l'attuale disciplina, contenuta nel codice dei beni culturali, i servizi da ricondurre alla fondamentale funzione di valorizzazione risulterebbero: i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione e di guida, ivi compreso il servizio di audioguida e assistenza didattica, i centri d'incontro per l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali nonché di iniziative promozionali.Pag. 75
  Insomma, individuati tutti i servizi aggiuntivi e, in realtà, quelli più improntati ai servizi di educazione, noi con questa mozione chiediamo degli impegni specifici, ovvero di assumere iniziative per procedere all'internalizzazione di tutti i servizi museali aggiuntivi riconducibili alla fondamentale funzione di valorizzazione; il secondo impegno è quello di individuare un modello organizzativo gestionale efficiente ed efficace, che racchiuda in sé un adeguato sistema di promozione e comunicazione e che renda fruibili al meglio i luoghi della cultura. Insomma, questa mozione racchiude un po’ tutte le informazioni che, appunto, abbiamo già sollevato in Commissione e in quest'Aula. Ancora una volta, quindi, ribadiamo la nostra posizione, che è quella di internalizzare questi servizi e di creare un nuovo progetto culturale basato anche sull'educazione del cittadino.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 17,43).

  SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  SIMONE BALDELLI. La ringrazio, Presidente Sereni. Da qualche tempo ormai è stato nominato il Ministro Calenda allo sviluppo economico componente di questo Governo. Ricordo in questa Assemblea che l'anno scorso, più o meno a novembre, questo ramo del Parlamento ha approvato, all'unanimità, una mozione in cui il Governo, con parere favorevole, si è impegnato per chiedere ed ottenere dalle aziende che si occupano di elettricità, in particolare di distribuzione, una moratoria per i maxi conguagli e le maxi bollette che hanno colpito, negli ultimi tempi, moltissime famiglie italiane. Questa mozione approvata è rimasta lettera morta. Il Governo, occupato probabilmente più ad ascoltare gli interessi delle società petrolifere che non quelli dei cittadini utenti e consumatori, si è occupato d'altro. Tuttavia, si è cambiato il Ministro e, dunque, ora c’è un Ministro. Abbiamo presentato un'interrogazione a risposta orale, affinché il Governo ci risponda su quando intenda dar corso agli impegni di questa mozione. Ricordo che al Senato pende il «disegno di legge concorrenza», sul quale sono stati proposti emendamenti relativi non alla moratoria ma alla rateizzazione di questi maxi conguagli (e ci mancherebbe altro che non si potessero rateizzare e spesso già questo accade).
  Allora, vogliamo chiedere fin quando il Governo continuerà a fare orecchie da mercante su un tema così importante e quando, finalmente, si degnerà di rispondere alla nostra interrogazione, visto che, come aggravante su tutta questa circostanza, c’è stata anche la geniale idea di assegnare a questi signori, che si permettono di mandare i maxi conguagli pluriennali e maxi bollette nelle case dei cittadini, degli utenti e delle famiglie italiane, anche l'esazione del canone RAI che, guarda caso, arriverà dopo le elezioni amministrative a luglio, con una maxi rata di 70 euro per ogni utenza residenziale.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Baldelli. Concluda.

  SIMONE BALDELLI. Allora, in questo senso faccio appello alla Presidenza affinché i buoni uffici della Presidenza sollecitino il Governo ad una risposta, nel più breve possibile, su un tema come questo perché, mentre il Governo latita, le famiglie italiane continuano a pagare.

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Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 14 giugno 2016, alle 10:

  1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

  (ore 12)

  2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   GRASSI ed altri; ARGENTIN ed altri; MIOTTO ed altri; VARGIU ed altri; BINETTI ed altri; RONDINI ed altri: Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (C. 698-1352-2205-2456-2578-2682-B).
  – Relatrice: Carnevali.

  3. - Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:
   COPPOLA ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni statali e locali e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Doc. XXII, n. 42-A).
  – Relatore: Coppola.

  4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 2192 – Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione (Approvato dal Senato) (C. 3773).
  – Relatore: Mazziotti Di Celso.

  5. - Seguito della discussione della proposta di legge:
   S. 998 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: TAVERNA ed altri: Disposizioni in materia di accertamenti diagnostici neonatali obbligatori per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie (Approvata dalla 12a Commissione permanente del Senato) (C. 3504-A).
   e dell'abbinata proposta di legge: BINETTI (C. 94).
  – Relatrice: Grillo.

  6. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   REALACCI ed altri; BRATTI ed altri; DE ROSA ed altri: Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (C. 68-110-1945-B).
  – Relatore:
Zaratti.

  7. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   IORI ed altri; BINETTI ed altri: Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista (C. 2656-3247-A).
  – Relatrice: Santerini.

  8. - Seguito della discussione delle mozioni Mazziotti Di Celso ed altri n. 1-01234, Simone Valente ed altri n. 1-01267, Pannarale ed altri n. 1-01282, Palese e Pisicchio n. 1-01300 e Borghesi ed altri n. 1-01302 concernenti l'affidamento di servizi nel settore dei beni culturali, con particolare riferimento allo svolgimento di procedure di gara.

  9. - Seguito della discussione della relazione sulla contraffazione nel settore della mozzarella di bufala campana, approvata dalla Commissione parlamentare Pag. 77di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 5).

  10. - Seguito della discussione delle mozioni Pisicchio e Palese n. 1-01192, Vacca ed altri n. 1-01268, Centemero e Occhiuto n. 1-01283, Borghesi ed altri n. 1-01289, Brignone ed altri n. 1-01293, Ghizzoni ed altri n. 1-01294, Marzano ed altri n. 1-01295, Pannarale ed altri n. 1-01298, Buttiglione ed altri n. 1-01299 e Rampelli ed altri n. 1-01301 concernenti iniziative volte a favorire l'accesso agli studi universitari, con particolare riferimento ad un'equa ripartizione delle risorse sul territorio nazionale.

  La seduta termina alle 17,50.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA ELENA CARNEVALI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE (A.C. 698-B ED ABB.)

  ELENA CARNEVALI, Relatrice. L'Assemblea della Camera si appresta ad avviare l'esame del testo unificato delle proposte di legge A.C. 698 e abbinate, recante «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare o che potrebbero essere in futuro prive di tale sostegno», approvato, in prima lettura, dalla Camera il 6 febbraio 2016, e quindi approvato, con modifiche, dal Senato lo scorso 26 maggio.
  La Commissione Affari sociali della Camera lo ha esaminato, in seconda lettura, senza apportarvi ulteriori modifiche.
  Vorrei evidenziare preliminarmente l’iter lungo e approfondito del provvedimento in oggetto, ricordando peraltro che proposte di legge analoghe erano state esaminate già nella legislatura precedente senza che tuttavia si sia addivenuti all'approvazione, fondamentalmente a causa di problemi di natura finanziaria. L'esame delle proposte di legge all'ordine del giorno dell'Assemblea, tutte di iniziativa parlamentare, è iniziato, in prima lettura, presso la XII Commissione della Camera ben due anni fa. Ricordo altresì che si è addivenuti alla predisposizione di un testo unificato solo al termine di un ciclo di audizioni ampio e articolato, nell'ambito del quale sono state sentite numerose associazioni rappresentative di persone con disabilità e delle loro famiglie. Anche l'esame delle proposte emendative presentate al testo unificato adottato dalla Commissione come testo base si è svolto senza alcuna compressione dei tempi, essendo iniziato nel mese di aprile 2015 per concludersi il 29 luglio 2016, quando il testo risultante dagli emendamenti approvati è stato inviato alle Commissioni competenti per i pareri.
  Nel corso dell'esame presso l'XI Commissione del Senato, si sono ulteriormente svolte audizioni ed è stata acquisita un'ampia documentazione.
  Sia nella fase dell'esame in Commissione sia in Assemblea, al Senato sono stati approvati emendamenti che hanno modificato il testo approvato dalla Camera, mantenendone comunque inalterato l'impianto.
  Per quanto riguarda le principali novità introdotte dal Senato al testo approvato dalla Camera, richiamo le seguenti: una più specifica individuazione della platea dei destinatari degli interventi, costituita dalle persone con disabilità grave, così come definita dall'articolo 3 della legge n. 104 del 1992, ovvero non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità; il riconoscimento che ogni prestazione debba avvenire tenendo presenti il superiore interesse delle persone con disabilità grave e nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi ne tutela gli interessi; la previsione per cui le misure di assistenza vengono erogate attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l'esistenza in vita dei genitori e soprattutto nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, dei loro genitori o di chi Pag. 78ne tutela gli interessi; il riconoscimento del carattere integrato socio-sanitario delle prestazioni indirizzate ai disabili gravi dal provvedimento in esame e il riconoscimento del loro carattere aggiuntivo rispetto alle prestazioni già previste a legislazione vigente; la concessione delle esenzioni ed agevolazioni tributarie ad altri negozi giuridici, oltre il trust, in favore di disabili gravi.
  In particolare, l'articolo 2 è stato modificato al Senato nel senso di meglio specificare che le misure stabilite dal provvedimento in esame sono aggiuntive rispetto a quelle già previste a legislazione vigente, sia a livello nazionale che regionale, per i disabili gravi. In sostanza, a premessa dell'articolo 2, si collega il provvedimento in esame con il quadro normativo già esistente.
  Non ha, invece, subito modifiche l'articolo 3, che istituisce il Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, con una dotazione di 90 milioni di euro, di 38,3 milioni di euro per il 2017 e di 56,1 milioni di euro per il 2018. Vorrei sottolineare la rilevanza dell'istituzione di un Fondo specifico nazionale che diventa, come richiamato dall'articolo 4 del provvedimento, un «contenitore» che è possibile alimentare con la compartecipazione delle regioni, degli enti locali, degli enti del terzo settore, di famiglie che si associano, di soggetti di diritto privato con comprovata esperienza nel settore e che, per le attività di programmazione, prevede il coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza delle persone con disabilità.
  Sottolineo l'importanza dell'articolo 4, che fornisce indirizzi in tema di destinazione del Fondo nazionale, avendo sempre fermo l'obiettivo di tendere alla deistituzionalizzazione, come stabilito nelle finalità della legge, e andando a finanziare esperienze innovative di residenzialità, come soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing. Sono contemplati interventi per la permanenza temporanea in una soluzione abitativa extrafamiliare solo per far fronte ad eventuali situazioni di emergenza e comunque, come precisato a seguito delle modifiche introdotte al Senato, «nel superiore interesse delle persone con disabilità grave» e nel rispetto della volontà di queste ultime, ove possibile, dei genitori o di chi ne tutela gli interessi.
  L'articolo 5, che non è stato modificato dal Senato, prevede agevolazioni per quelle famiglie che scelgono di tutelare le persone con disabilità grave mediante lo strumento della polizza assicurativa.
  La disposizione maggiormente modificata nel corso dell'iter al Senato è quella di cui all'articolo 6. Ricordo che il testo approvato dalla Camera prevedeva la possibilità, per le famiglie con persone con disabilità, di poter utilizzare il solo trust come strumento di tutela del patrimonio dopo la morte dei genitori. La norma oggi è stata integrata, offrendo alle famiglie la possibilità di utilizzare anche istituti già previsti dal nostro sistema normativo, in particolare dal codice civile. Per questa ragione è stata introdotta la possibilità di tutelare il patrimonio a favore delle persone con disabilità utilizzando l'articolo 2645-ter del codice civile, concernente la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche, con conseguente limitazione dell'impiego dei beni conferiti e dei loro frutti per il solo scopo sottostante il vincolo, nonché i fondi costituiti per mezzo di contratti di affidamento fiduciario assoggettati a vincolo di destinazione anche a favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale che operano nel settore della beneficenza. Per quest'ultima possibilità offerta dalla norma si valorizzano le esperienze già esistenti di solidarietà e sussidiarietà da parte di organizzazioni filantropiche.
  Naturalmente, a seguito di queste modifiche, l'esenzione dall'imposta di successione e donazione vale per tutti gli istituti previsti a tutela della persona con disabilità, evitando così che il pagamento dei tributi possa ridurre in modo considerevole le risorse da destinare allo scopo che Pag. 79si prefigge il provvedimento. Vengono estese anche agli altri istituti giuridici anche tutte le condizioni di tutela e di garanzia che già il testo della Camera prevedeva per il trust: che l'atto sia pubblico, che ci siano obblighi del trustee, che vi siano una serie di condizioni che rassicurano i particolar modo i genitori.
  I commi 4 e 5 dell'articolo 6 rappresentano, invece, una novità rispetto al testo della Camera. Il comma 4 prevede l'esenzione dall'imposta sulle successioni e sulle donazioni, nonché l'applicazione in misura fissa delle imposte di registro, quando, a seguito della premorienza della persona con disabilità rispetto ai soggetti che hanno istituito il trust o stipulato fondi speciali e tutti gli altri istituti previsti, i beni e i diritti vengano trasferiti a favore di questi ultimi. Si intende tutelare in questo modo i familiari della persona con disabilità in caso di premorienza del disabile, evitando che la retrocessione dei beni possa subire un prelievo fiscale che contrasterebbe palesemente con le finalità della norma.
  Ai sensi del comma 5, resta ferma l'imposta sulle successioni e donazioni per i trasferimenti – alla morte del beneficiario – dei beni e di diritti reali in favore di altri soggetti, diversi da quelli che abbiano stipulato il negozio giuridico (comma 5, anch'esso inserito dal Senato); in tal caso, l'imposta è applicata facendo riferimento all'eventuale rapporto di parentela o di coniugio intercorrente tra disponente, fiduciante e destinatari del patrimonio residuo. Questa precisazione si è resa necessaria per evitare che, al momento di scioglimento del trust o della cessazione del contratto di affidamento fiduciario, possano essere realizzate successioni in esenzione di imposta, ogni qual volta tra i soggetti beneficiari sia presente un soggetto disabile. In sostanza, una volta venuto meno il bisogno di assistenza della persona con disabilità, sarà possibile trasferire a terzi il patrimonio, assoggettandolo a tassazione secondo i criteri ordinari.
  Molto importanti sono gli articoli 7 e 8 del provvedimento, non modificati dal Senato, in cui si stabiliscono, rispettivamente, campagne informative per far conoscere le norme e le modalità del monitoraggio che il Parlamento dovrà effettuare sullo stato di attuazione della legge.
  Infine, al Senato è stata introdotta una specifica all'articolo 9, recante le disposizioni finanziarie, ai sensi della quale le eventuali risorse che derivino da un'inferiore esigenza di copertura delle minori entrate, di cui agli articoli 5 e 6 del provvedimento, possano confluire nel Fondo di cui all'articolo 3. Ricordo che tale esigenza era emersa già nel corso del dibattito alla Camera, per cui trovo senz'altro positivo il fatto che sia stata recepita nel testo del provvedimento.

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