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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 625 di lunedì 16 maggio 2016

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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 15,05.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 9 maggio 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Abrignani, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Camani, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Centemero, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione delle mozioni Carlo Galli ed altri n. 1-01193 e D'Uva ed altri n. 1-01265 concernenti interventi per il rilancio del comparto della ricerca italiana (ore 15,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Carlo Galli ed altri n. 1-01193 (Nuova formulazione) e D'Uva ed altri n. 1-01265 concernenti interventi per il rilancio del comparto della ricerca italiana (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.Pag. 2
  È iscritto a parlare il deputato Carlo Galli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01193 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  CARLO GALLI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, signori membri del Governo, ricerca e università presentano non tanto singoli problemi da risolvere con interventi spot, quanto vere e proprie questioni complesse e interconnesse. La prima è la questione del sottofinanziamento: l'Unione europea ha elaborato dal 2001 la Strategia di Lisbona, poi rinnovata con la Strategia 2020, che mira ad accrescere il livello scientifico e tecnologico e a rendere l'Unione una delle aree più avanzate del pianeta, e pone come obiettivo quantitativo minimo la quota del 3 per cento del prodotto interno lordo di ciascuno Stato membro per la ricerca e lo sviluppo. Gli ultimi Governi italiani, disattendendo il dettato costituzionale (l'articolo 9 della Costituzione recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»), e in contraddizione con gli impegni di Lisbona, hanno progressivamente ridotto a università ed enti di ricerca il supporto finanziario. L'analisi del bilancio dello Stato su dati della Ragioneria generale testimonia che, mentre cresce la spesa pubblica corrente, sulla ricerca si sono addensati tagli superiori a qualsiasi altro settore pubblico, con un calo totale del 20 per cento. Ora, a fronte di un costante declino dei fondi ordinari (FFO e FOE), si può osservare anche l'esiguità dei finanziamenti ai ricercatori su base competitiva: i cosiddetti PRIN sono rimasti inattivi al 2012, e i progetti FIRB sono cessati dal 2013; tali riduzioni di spesa hanno portato l'Italia a retrocedere rapidamente per risorse investite, numero di laureati, dottori di ricerca, professori e ricercatori in senso lato agli ultimi posti tra i Paesi OCSE.
  Il persistente trend di flessione del finanziamento pubblico alla ricerca distingue in negativo a livello internazionale il nostro Paese, il quale nel 2014 registra un totale di finanziamenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo pari all'1,28 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di una media OCSE del 2,37 per cento. Il mondo della ricerca italiana conosce da tempo fermenti di critica a questo orientamento, manifestatisi già nella gestazione della legge n. 240 del 2010, che hanno assunto forme diverse in relazione a singole emergenze: protesta contro i tagli degli scatti stipendiali del 2011-2015, protesta contro le modalità di valutazione della qualità della ricerca VQR, sciopero alla rovescia promosso dal Coordinamento nazionale ricercatori e ricercatrici non strutturati per il riconoscimento della ricerca come attività lavorativa, richiesta di estensione dell'indennità di disoccupazione «Dis-coll» e delle tutele previdenziali e sanitarie anche agli assegnisti, ai dottorandi e ai titolari delle borse di studio. Per tali ragioni, insieme ad altre iniziative, è anche in atto una campagna di sensibilizzazione promossa dal mondo scientifico e accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca pubblica italiana, che sopravvive e mantiene una elevata produttività internazionale nonostante la scarsità di risorse e la completa assenza di programmazione: vi è un appello, che conta oltre 45 mila adesioni, degli scienziati italiani all'Unione europea perché faccia pressione sul Governo italiano in questa direzione.
  Inoltre, una riduttiva lettura della globalizzazione dell'economia legata esclusivamente all'accelerazione tecnologica ha determinato nel nostro Paese la diffusa idea che l'obiettivo dell'aumentare la competitività dei settori produttivi potesse essere raggiunto a costo zero, trasformando la ricerca di base in ricerca applicata, concentrando le risorse in pochi centri e università di eccellenza e lasciando alle altre il ruolo di teaching university; e infine prosciugando la cultura umanistica, ritenuta un onere superfluo rispetto allo sviluppo economico delle imprese private. Mentre la Strategia «Europa 2020» mira ad accrescere la competitività del Vecchio Continente investendo nel cosiddetto triangolo della conoscenza – istruzione, ricerca e innovazione – attraverso il programma Horizon 2020, grazie al quale vengono finanziati dal 1o gennaio 2014 al Pag. 331 dicembre 2020 i progetti di ricerca e innovazione, la politica italiana si è prodotta in modo schizofrenico da un lato incentivando la ricerca e l'investimento in ricerca attraverso il riconoscimento di un credito d'imposta per investimenti in ricerca e innovazione, dall'altro con accresciuti controlli burocratici ministeriali, che esautorano le autonomie della ricerca dell'università. Insomma, un mix di concause che determinano il paradosso italiano, in virtù del quale si continua a contribuire ai fondi europei in misura nettamente maggiore rispetto all'entità dei finanziamenti, in conseguenza della carenza d'attenzione e dell'incertezza delle opportunità: si depaupera così il capitale umano e si finanziano i nostri concorrenti, trasferendo ad essi i ricercatori italiani (la cosiddetta fuga dei cervelli) formati a nostre spese, che negli altri Paesi trovano condizioni migliori per esprimere i propri indubbi talenti. Tutto ciò determina anche una scarsa attrattività dell'Italia, che ha portato all'estero 15 mila ricercatori, creando così un vero e proprio buco generazionale, mentre i ricercatori entrati sono pochissimi: le uscite sono pari a 16,2 per cento e gli ingressi sono fermi al 3 per cento.
  Un'ulteriore questione è la discrezionalità e la privatizzazione dei finanziamenti alla ricerca. La dispersione delle scarse risorse per la ricerca imporrebbe un maggior coordinamento, mentre in senso opposto procede la creazione, a fianco del CNR e delle università, dell'Istituto italiano di tecnologia, ovvero una fondazione privata finanziata direttamente del Ministero dell'economia e delle finanze, che nel 2008 ha ricevuto in dotazione il patrimonio finanziario della Fondazione IRI, pari a circa 130 milioni di euro: un trattamento di favore che dovrebbe sollevare l'indignazione della comunità scientifica, a prescindere dal valore della ricerca effettuata dall'IIT; un'indignazione contro una linea emergenziale che con una mano toglie fondi e risorse alla ricerca e all'alta formazione pubblica, e con l'altra affida a poteri discrezionali, in assenza di qualsiasi controllo di merito e di verifiche, fondi e risorse. All'Istituto italiano di tecnologia il Presidente del Consiglio dei ministri ha ufficialmente affidato la concessione del progetto definitivo dello Human Technopole, in associazione ai tre atenei milanesi e a diversi istituti di ricerca di area confindustriale, progetto per il quale verranno stanziati un miliardo e mezzo di euro in dieci anni: una scelta paradossale, se confrontata coi tagli mascherati al settore pubblico dell'università e della ricerca nella legge di stabilità 2016, che portano il definanziamento del sistema universitario a 1,1 miliardi di euro; una scelta tanto più paradossale, perché l'Istituto italiano di tecnologia, svolgendo anche attività di ricerca in proprio, non ha l'indipendenza necessaria per erogare finanziamenti ad altri: infatti, non può essere contemporaneamente un laboratorio e un'agenzia, non può essere giocatore e arbitro.
  Ulteriore questione è quella dei recenti finanziamenti che il Presidente Renzi ha annunciato nei mesi scorsi, pari a 2,5 miliardi di euro, pur sapendo che non si tratta di risorse aggiuntive, ma della quota di cofinanziamento spettante al nostro Paese per la sua appartenenza e partecipazione al programma europeo Horizon 2020. Nello stesso contesto il Premier ha confermato il varo di un programma nazionale per la ricerca 2015-2020 da 2 miliardi e mezzo di euro, importo che non sarebbe però costituito da risorse fresche, ma che corrisponderebbe a fondi contabilizzati da oggi al 2017 tra stanziamenti già presenti nel bilancio MIUR, per un importo pari a 1,9 miliardi di euro, e una quota relativa alla programmazione nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020, per un importo di 500 milioni di euro. In sostanza, si tratterebbe della programmazione attuativa di risorse già disponibili, non nuove. Si deve tuttavia ammettere che non era scontato che il Fondo per lo sviluppo e la coesione fosse utilizzato prevalentemente per la ricerca e ciò va riconosciuto. Il suddetto piano del Governo per rilanciare ricerca e innovazione manca all'appello dal 30 gennaio 2014 quando il Consiglio dei ministri ha esaminato in via preliminare il testo elaborato Pag. 4dall'allora Ministra Carrozza e mai varato. Nonostante il tentato e continuo depistaggio cognitivo da parte del Premier, resta che il Governo, in perfetta continuità con quelli precedenti, prosegue una rotta dannosa per il Paese e ha stanziato per i prossimi due anni solo 100 milioni di euro con i quali poter assumere solo 861 ricercatori all'anno, mentre, invece, ne servirebbero almeno 2.400 all'anno per i prossimi otto anni.
  Un'ulteriore questione è quella del reclutamento della docenza universitaria e dei ricercatori. È prioritario, infatti, affrontare l'attuale condizione di gravissima carenza di personale se si vuole evitare che il sistema universitario pubblico si avviti in una spirale di declino irreversibile. Il sottodimensionamento del corpo docente universitario italiano emerge evidente dal confronto europeo e peggiora ogni anno. La consistenza numerica attuale è in Italia inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. Per l'effetto combinato della riduzione dei finanziamenti, dei blocchi del turnover e dei concorsi e dell'abbassamento dell'età di pensionamento negli ultimi sette anni si è verificato un crollo verticale del numero di docenti in servizio pari a meno 30 per cento per gli ordinari e meno 17 per cento per gli associati, superiore alla contemporanea modesta riduzione del numero degli studenti. In assenza di interventi normativi che sblocchino l'attuale limite al turnover previsto dall'attuale regime per le assunzioni di università statali si assisterà ad una ulteriore e pesante contrazione del corpo docente che comporterà nel 2018 il dimezzamento del numero dei professori ordinari in servizio rispetto a quello del 2008. Effetti analoghi si avranno sui professori associati che verranno ridotti circa del 27 per cento. L'attuale normativa, infatti, prevede che nel 2016 risulti spendibile per il reclutamento il 60 per cento del turnover per poi passare all'80 per cento nel 2017 e soltanto a partire dal 2018 stabilizzarsi sul 100 per cento. Sul medesimo fronte del reclutamento universitario la legge n. 240 del 2010 ha individuato un percorso per ruolo per accedere alla docenza che ha reso meno attraente per i giovani la carriera. Infatti, la legge ha previsto che il percorso duri almeno sei anni e sia destinato ad allungarsi ulteriormente cosicché l'età media di ingresso alla docenza è oggi intorno ai 37 anni. La figura del ricercatore a tempo determinato prevista dalla suddetta legge si articola nelle due distinte fattispecie, la fattispecie A e la fattispecie B, molto simili tra loro dal punto di vista qualitativo e dei compiti istituzionali e, tuttavia, profondamente diverse dal punto di vista dell'accesso alla docenza. Infatti, la stessa legge non contempla tra i soggetti ammessi alle procedure pubbliche di selezione i titolari di assegno di ricerca valutando come titoli utili ai fini della partecipazione al concorso per ricercatore solo quegli assegni che sono stati conseguiti mentre vigeva l'articolo 51 della legge n. 449 del 1997 e non anche quelli conseguiti in forza della normativa attuale.
  E così tale esclusione degli abilitati dal novero dei possibili candidati ha già prodotto, fino ad oggi, effetti paradossali e ha costretto gli atenei a reclutare quali ricercatori di tipo B soggetti che non hanno ottenuto l'abilitazione nazionale, a scapito di altri che, invece, l'hanno ottenuta.
  Attualmente, la gran parte dei ricercatori italiani usufruisce di assegni di ricerca, cioè di una forma di contratto di lavoro parasubordinato, che però non dà luogo a tutele degne di questo nome, nemmeno nel caso di periodi, purtroppo sempre più frequenti, di disoccupazione. Insomma, non si vedono riconosciuta la cosiddetta DIS-COLL. Per di più, negli ultimi dieci anni i precari sono stati espulsi dagli atenei italiani per il 93 per cento.
  Ulteriore questione è poi quella che possiamo definire la nuova questione meridionale. Non vi è infatti dubbio che una serie di fenomeni preoccupanti si stia concentrando maggiormente al sud. La crisi del sistema universitario meridionale è ben fotografata dall'ultimo rapporto Svimez, da cui emerge lo strettissimo rapporto tra la drammatica condizione giovanile Pag. 5nel sud e il declino degli atenei meridionali e dei sistemi regionali di diritto allo studio. Se le risorse diminuiscono, anche le opportunità formative calano. Del resto, le misure del Governo continuano a favorire una biforcazione su base territoriale del sistema universitario italiano, favorendo gli atenei del nord.
  Stando all'ultimo rapporto ANVUR, inoltre, negli ultimi dieci anni le università meridionali hanno perduto 45 mila immatricolazioni. Non lo stesso può dirsi per quelle collocate al centro-nord, che, dopo un'iniziale perdita, hanno ormai superato la crisi.
  Lo stesso rapporto evidenzia che in Italia sette diplomati su dieci proseguono gli studi immatricolandosi all'università secondo un flusso migratorio di studenti dal sud al centro-nord pari al 25 per cento. In totale, le università del sud riescono a trattenere poco più del 60 per cento dei diplomati meridionali, mentre pochissimi studenti del centro-nord si immatricolano nelle università del sud.
  Il suddetto fenomeno nasce da un'iniqua distribuzione delle già scarse risorse finanziarie destinate al diritto allo studio universitario; ripartizione che, essendo legata allo stato dei bilanci di queste ultime, tiene solo parzialmente conto dei potenziali beneficiari, rappresentati da quegli studenti capaci e privi di mezzi ai quali la Costituzione attribuisce il diritto a raggiungere i più alti gradi degli studi e che sono maggiormente presenti al sud.
  Il suddetto progressivo abbandono delle università meridionali è il risultato anche dell'adozione, in sede di valutazione della didattica e della ricerca da parte dell'ANVUR, di meccanismi premiali distorti che, dietro alla presunta oggettività dei numeri, sta portando al collasso gli atenei meridionali ritenuti meno meritevoli di altri e sta dirottando la maggior parte delle poche risorse verso il nord.
  Inoltre, anche i criteri di ripartizione della quota premiale del Fondo di finanziamento ordinario sembrano diretti contro gli atenei meridionali, perché questi, tenendo conto del rapporto fra entrate da tasse, entrate da Fondo di finanziamento ordinario e spese, risentono della minore capacità reddituale delle famiglie meridionali di pagare tasse alte e penalizzano quegli atenei che si trovano in territori più poveri. Tale situazione è generata anche dall'onere finanziario che grava sugli studenti.
  In dimensione comparativa il nostro Paese, non solo destina poche risorse pubbliche al sistema universitario, ma ha anche la tassazione studentesca tra le più alte d'Europa. Dopo le nefaste riforme dei ministri Moratti e, successivamente, Gelmini e Profumo, che hanno imposto agli atenei italiani di comportarsi in termini aziendalistici, costringendoli a ridurre l'offerta formativa e le proprie strutture nei territori e ad affidarsi, per sopravvivere, a finanziatori privati, i provvedimenti dell'attuale Governo, in piena continuità con i precedenti, confermano, accentuandola, la politica di smantellamento del sistema pubblico.
  Al fine di accrescere l'attrattività a livello internazionale del sistema universitario italiano, la legge di stabilità 2013 ha istituito in via sperimentale il Fondo per le cattedre universitarie del merito «Giulio Natta», finalizzato al reclutamento straordinario in deroga alle procedure concorsuali di 500 professori ordinari e associati per chiamata diretta per elevato merito scientifico, secondo procedure nazionali ancora da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsione che introduce, di fatto, nel sistema un secondo canale di reclutamento dei docenti di natura extra concorsuale. Si tratta di una misura certamente non risolutoria dei problemi strutturali dell'università italiana, che, tra l'altro, potrebbe produrre effetti distorsivi, fra i quali un'ulteriore delegittimazione del sistema universitario.
  Infine, è da sottolineare la scarsa considerazione nella quale si è tenuta la ricerca umanistica, che, nell'attuale situazione di dominanza del pensiero unico, modellato su posizioni neoliberiste, non pare adeguatamente finanziata dalla mano pubblica.
  Tutto ciò premesso, la mozione di cui sono il primo firmatario impegna il Governo: Pag. 6a rilanciare, con la massima urgenza, il settore della ricerca e della cultura italiana, abbandonando la logica emergenziale e discrezionale e impostando una programmazione con cadenza almeno triennale; a varare con urgenza l'annunciato programma nazionale per la ricerca 2015-2020; ad assumere iniziative per elevare, in prospettiva, l'attuale spesa per investimenti, ricerca e sviluppo a un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo; ad assumere iniziative per sospendere, dal 2017, il meccanismo di contingentamento delle assunzioni, eliminando ogni limitazione del turnover; ad affrontare il problema del cofinanziamento dei fondi europei con strumenti innovativi e di sostegno che agevolino, sul piano finanziario e amministrativo, la partecipazione della ricerca italiana ai bandi comunitari; ad assumere iniziative per rivedere il sistema di valutazione della ricerca e dell'istruzione universitaria basata su fondi pubblici, affidando la valutazione ex post – ho concluso – della ricerca ad un'autorità indipendente dal MIUR, affidandole come obiettivi il miglioramento della ricerca, della didattica, dei servizi; a creare un fondo premiale per l'università, separato dal Fondo di finanziamento ordinario, da distribuire periodicamente in ragione dei progressi realizzati da ciascun ateneo; ad assumere iniziative per fare del dottorato di ricerca un titolo preferenziale di accesso alla pubblica amministrazione; ad assumere iniziative per definire un chiaro percorso post dottorato, non superiore a quattro anni, che recepisca quanto stabilito dalla Carta europea dei ricercatori per un contratto unico per ruolo, con retribuzione, tutele e diritti di rappresentanza conformi a quelli dei lavoratori a tempo determinato; a individuare strategie per l'assunzione in ruolo di ricercatori a tempo determinato, sia di tipo A sia di tipo B, in possesso di abilitazione scientifica nazionale.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luigi Gallo, che illustrerà anche la mozione n. 1-01265, di cui è cofirmatario.

  LUIGI GALLO. Grazie, Presidente. L'Italia rimane tra gli ultimi Paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo di istruzione superiore al diploma ed accumula un ritardo considerevole. Da una parte c’è la strategia europea 2020, che punta a sviluppare un'economia maggiormente basata sulla conoscenza e sulla ricerca, e dall'altra c’è Filippo Taddei, il responsabile economico del Partito Democratico, che dichiara come l'obiettivo governativo sia la modifica della mentalità lavorativa degli italiani, perché – andate a leggere le sue dichiarazioni su l'Espresso e troverete queste parole – «dobbiamo abituare la gente che l'istruzione sarà molto più lunga e costosa, le assunzioni a tempo indeterminato molto meno, i tempi di lavoro più lunghi, i pensionamenti verranno posticipati; le riforme non hanno solo un fine economico, ma anche e soprattutto sociale». È esattamente l'opposto di quello che chiede il MoVimento 5 Stelle.
  C’è un problema enorme di disuguaglianza territoriale, che questo Governo fa finta di non vedere, anche se i dati parlano chiaro. C’è una sostanziale stabilità di studenti iscritti in corsi di studio del nord Italia (circa 685 mila negli ultimi anni), una lieve flessione degli iscritti nel centro e un netto calo degli iscritti nel Mezzogiorno.
  L'immobilismo del Governo è assordante, visto che sono numeri che si conoscono da tempo e che continuano a peggiorare. Lo stesso meccanismo di distribuzione delle risorse è disuguale e le misure messe in campo da questo Governo utilizzano il sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR) come clava per schiacciare le università e gli enti di ricerca.
  Si parla di sistema premiale per le università e gli enti di ricerca, ma un premio, da che mondo è mondo, è qualcosa di aggiuntivo, che ti viene offerto rispetto ad un patrimonio che già possiedi. Invece, il Governo sottrae soldi a tutte le università (il 20 per cento dei fondi) e poi stila una classifica dei buoni e dei cattivi e ai cattivi non restituisce più i soldi. È evidente che si chiama «premialità» ciò Pag. 7che, in realtà, è un sistema punitivo, che punta a chiudere le facoltà, senza una vera programmazione che uno Stato sano dovrebbe fare. Premiare le eccellenze non può essere fatto a discapito di una qualità standard che va mantenuta in tutto il sistema universitario, soprattutto in tutto il territorio italiano. Farlo, poi, su una valutazione non del tutto oggettiva ha condotto ad uno svilimento della funzione formativa universitaria. L'università, così come la scuola, non è un sistema produttivo qualsiasi, è una macchina complessa, che voi volete leggere in modo semplicistico, solo per giustificare le dismissioni che state facendo, tanto nell'università pubblica quanto nella scuola pubblica.
  Il MoVimento 5 Stelle, con questa mozione, chiede di riformare il sistema di valutazione della qualità della ricerca e applicare la premialità solo se ci sono risorse nuove ed aggiuntive rispetto alle risorse destinate al funzionamento ordinario. Non posso tagliare una gamba ad una persona e poi dargli come premio una mezza gamba: è cinico ed è una truffa. Nel solo anno 2015, il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) ha subito una decurtazione pari a 87,4 milioni di euro rispetto allo stesso stanziamento disposto per l'anno 2014 e con differenze ancora maggiori, se raffrontato ai finanziamenti previsti negli ultimi dieci anni. La frazione di PIL del nostro Paese dedicata al sistema universitario risulta meno della metà di quella garantita da Francia e Germania: un motivo in più per non avere credibilità in Europa; un motivo in più per non essere uno Stato che non è rispettato dai Presidenti che contano. Infatti, queste politiche limitano fortemente la competitività del sistema italiano a livello comunitario.
  Inseguiamo le ricerche scientifiche di altri Stati, le innovazioni di altri Paesi perché ormai il sistema universitario italiano deve preoccuparsi di sopravvivere e gli enti di ricerca non hanno una prospettiva migliore se il Governo continua a drenare risorse. Per gli enti e per le istituzioni di ricerca, nell'anno 2015, le assegnazioni ordinarie, il FOE, tranne che per il CNR, registrano riduzioni tra l'1,6 e il 7,9 per cento rispetto al 2014. Anche in questo caso il finanziamento premiale, che noi del MoVimento 5 Stelle continueremo a chiamare «punitivo», risulta ripartito per il 70 per cento sulla base dei risultati della VQR (valutazione della qualità della ricerca) relativa, però, al periodo 2004-2010, prendendo in considerazioni indicatori di qualità che ormai sono antichi: siamo nel 2016 !
  Come se non bastasse, non esiste più la figura del ricercatore a tempo indeterminato nelle università italiane, eliminata dalla Gelmini del centrodestra e che il centrosinistra si guarda bene dal reintrodurre. D'altronde ricordate Taddei ? Il responsabile economico del PD dice che dobbiamo abituare la gente ad avere molte meno assunzioni a tempo indeterminato. In questo caso si è andati oltre: nell'università non si assume più un ricercatore a tempo indeterminato, perché non esiste più la figura del ricercatore a tempo indeterminato. Come fa una ricerca così precarizzata a sostenere stabilmente lo sviluppo e l'innovazione in un Paese come l'Italia ? Non può farlo e per questo il Governo Renzi trasforma l'Italia in una succursale di Paesi più potenti.
  A tutto questo si aggiunge una nuova beffa per il Sud: l'equivalente di quasi 700 ricercatori, prelevati dagli organici delle università del centro-sud, sono stati trasferiti d'ufficio negli atenei del nord Italia nel corso di soli quattro anni. È un prodotto dei perversi meccanismi dei punti organico. Qualcuno dirà che siamo in crisi e bisogna utilizzare le ricette di Taddei e del PD: tagliare i salari e privatizzare. Niente di nuovo sotto il sole, cose trite e ritrite, che i partiti spacciano come ricette innovative da vent'anni a questa parte; gli stessi partiti che ci hanno portato in recessione e in crisi economica. È esattamente quello che sta facendo il Governo di Matteo Renzi: privatizzazioni, Jobs Act per aumentare la flessibilità dei contratti, riduzione e tagli a tutti i settori pubblici, nessuno escluso, incentivi a liberarsi delle municipalizzate e a trasformarle in Spa, a prescindere dall'efficienza – lo ripeto –, a Pag. 8prescindere dall'efficienza e dai debiti che provocano i privati. Si tratta di ricette che non tengono conto del fatto che nessun Paese è mai cresciuto senza massicci investimenti in aree fondamentali come l'istruzione, la ricerca e la formazione del capitale umano. Il blocco del turnover all'università ha tolto speranza ai giovani, ha fermato il Paese. La Germania, uno dei Paesi vincenti in Europa, con una spesa elevata per lo sviluppo, recentemente ha indirizzato i propri sforzi in questo ambito, sulla sfida della crescita verde, e nel corso dei decenni ha supportato crescita e innovazione. È questo il motivo per cui l'Italia resta indietro. Ma non c’è solo una scarsità di fondi ma anche un dirottamento dei fondi verso progetti che dovrebbero risultare almeno subordinati alla realizzazione dei fondamentali obiettivi sin qui richiamati. Il MoVimento 5 Stelle si riferisce ad esempio all'Istituto italiano di tecnologia, l'IIT, con un primo contributo dell'importo di 80 milioni di euro per l'anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico di ricerca, pur in assenza di un progetto specifico e che l'istituto beneficiario sarà tenuto ad elaborare solo successivamente a tale stanziamento. Quindi diamo finanziamenti a un istituto privato che non ha ancora un progetto di sviluppo, però abbiamo già definito quanti soldi daremo, 80 milioni. Questa è programmazione, efficienza e lungimiranza ? O il solito modo dei partiti di finanziare fondazioni di tipo privato ? Quando si tratta di finanziare i privati, scompaiono i parametri, la valutazione e il merito e ancora una volta scompare il Mezzogiorno e gli istituti che, non potendo contare su un tessuto economico e culturale adeguato, non potranno comunque diventare realmente competitivi in campo internazionale. Anche i fondi PRIN che, come è noto, sono specifici progetti di ricerca finanziati annualmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e prevedono la collaborazione di più studiosi e di più organismi di ricerca, non hanno più raggiunto la soglia di finanziamento massimo del 2004. Nonostante gli annunci che spacciano i soliti fondi come nuovo gettito per la ricerca, gli ultimi dati per il nostro Paese parlano chiaro: l'Italia spende l'1,31 per cento del PIL in ricerca e innovazione, abbondantemente sotto la media UE del 2,01 per cento. Ci vogliono 2 miliardi di euro in più rispetto ai fondi annunciati da Renzi, che altro non sono che quelli del Governo Letta, in ritardo di due anni. Smettiamola con gli annunci e decidiamo impegni seri e vincolanti; il mondo scientifico non si sostiene né con la propaganda, né con le chiacchiere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Dallai. Ne ha facoltà.

  LUIGI DALLAI. Signora Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, il sapere e la scienza sono fondamentali per il progresso sociale dell'intero pianeta; dunque all'università e agli enti di ricerca e in generale a tutti coloro che svolgono un ruolo deputato alla produzione e istituzionalizzazione di conoscenza tecnico-scientifica occorre riconoscere un ruolo vitale per lo sviluppo economico e l'affermazione degli Stati. In particolare al mondo della ricerca e dell'innovazione tecnologica, cioè quel mondo che vive di strumentazioni e laboratori e su cui raramente si accendono i riflettori, se non in presenza di scoperte eclatanti, occorre riconoscere il ruolo fondamentale svolto per costruire la credibilità internazionale del nostro Paese. I dati provenienti da più organizzazioni internazionali evidenziano un'altissima qualità della ricerca portata avanti da cittadini italiani in Italia e all'estero, tuttavia, come spesso ricordato, la qualità della ricerca in Italia associata all'alto tasso di disoccupazione complessiva e all'altissimo tasso di disoccupazione giovanile indica con chiarezza che il lavoro svolto nell'innovazione culturale non si traduce con immediatezza nella capacità di creare lavoro. Come conseguenza, abbiamo pochi laureati, le competenze derivanti dagli studi non si traducono in benefici economici aggiuntivi, né, come spiegano anche i dati OCSE, in migliori Pag. 9opportunità occupazionali. Ciò pone a noi la necessità di intervenire nel rapporto tra ricerca e società per uscire da un binario che condanna i nostri cervelli alla fuga e il Paese ad una progressiva perdita di innovazione strutturale e, in ultima istanza, ad un impoverimento complessivo. La recente Relazione per l'Italia 2015, comprensiva di riesame approfondito sulla prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici, della Commissione europea sottolinea come l'intensità di ricerca e sviluppo e l'innovazione sono scarsi in Italia, le collaborazioni pubblico-private rimangono modeste, l'intensità di ricerca e sviluppo del settore pubblico è ad un livello notevolmente inferiore rispetto alla media dell'UE, 0,54 contro 0,72 nel 2013 ad esempio. Una delle cause è che l'Italia ha ridotto il bilancio pubblico a favore di ricerca e sviluppo in misura più sostenuta rispetto al bilancio pubblico complessivo, al contempo i mediocri risultati in materia di innovazione non contribuiscono certo al rinnovo del tessuto economico, in particolare quello derivante dalla rapida crescita di imprese innovative e dall'occupazione in attività ad alto coefficiente di conoscenza.
  Il modello che si è affermato dal dopoguerra in poi, infatti, e che vede la ricerca di base approdare alla ricerca applicata e quindi all'innovazione dei processi e dei prodotti, è mutato profondamente in molti Paesi europei, verso una nuova forma di gestione dei finanziamenti alla ricerca. Questo trova forma in programmi legati a obiettivi e performance e finanziamenti come incentivi. È cambiato il percorso di finanziamento della ricerca pubblica, sia nelle università che negli enti di ricerca, spostando l'allocazione diretta dello Stato verso progetti di rilevanza socioeconomica e verso tecnologie emergenti. È mutato così il rapporto tra l'uso e la comprensione degli obiettivi della ricerca, ovvero tra le categorie di ricerca applicata e ricerca di base, che discendono da questi obiettivi verso un approccio che concilia la ricerca di base con i benefici quanto più diretti per la società. La necessità di questo cambiamento di approccio richiede una riforma profonda dell'allocazione delle risorse, assieme al ripensamento del ruolo degli atenei e degli enti di ricerca. Dunque occorre incoraggiare significativamente i comportamenti virtuosi, attraverso modalità di finanziamento pubblico competitivo, anche premiale, i cui esiti risultano essenzialmente prerogativa del MIUR, non soggetta ad intervento parlamentare. Al contempo occorre sviluppare la cosiddetta terza missione, intesa come università e scuole di istruzione superiore attivamente impegnate nel trasferimento e nella valorizzazione delle conoscenze per promuovere l'innovazione. Occorre legare le università a funzioni educative e scientifiche dei territori e promuovere gli atenei come infrastrutture di attrattività e rinascita del tessuto cittadino e di riqualificazione. Per queste finalità possiamo e forse dobbiamo ragionare sulle modalità di ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario, che ammonta a circa 6,9 miliardi di euro, esercitando una più larga condivisione, anche parlamentare, in virtù delle capacità di indirizzo che questa ripartizione può determinare. Al tempo stesso occorre una profonda revisione del concetto dello strumento del costo standard, forse differenziando su basi oggettive e numerosità massime per i singoli corsi, o altrimenti individuando un tetto entro il quale far oscillare gli aumenti e le diminuzioni massime dell'FFO per ciascun ateneo. Il progresso e lo sviluppo economico del nostro Paese dipenderanno dalla capacità del Governo di incoraggiare l'attività dei ricercatori indipendentemente dall'ente o dall'istituzione nella quale essi operino, attraverso strumenti regolativi, con l'aumento delle risorse destinate alla ricerca e la revisione del sistema delle allocazioni di queste. A questo proposito può essere utile approfondire quali possibili vantaggi e quali difficoltà operative si possono ravvisare in un'agenzia per il finanziamento delle ricerca, intesa come agenzia indipendente. Più volte è stata messa in evidenza la necessità di mutare l'attuale metodo a rubinetto per l'erogazione dei finanziamenti ai progetti di ricerca con un metodo Pag. 10a sportello, che potendo disporre di risorse sufficienti, consenta un'effettiva premialità competitiva lungo un arco temporale più ampio. Su questo, se si operi mediante una nuova agenzia o attraverso gli strumenti presenti, sarà materia di approfondimenti senza preconcetti. Risulta di sicuro interesse un'ipotesi tesa a sviluppare sinergie tra società pubbliche o partecipate con gli atenei, al fine di attivare nuove forme di finanziamento alla ricerca. Il nostro Paese deve attivare il contributo delle imprese e del settore privato in questo settore. Guardando ai dati europei, appare evidente come i Paesi con elevati coefficienti di spese in ricerca da parte delle imprese – ad esempio Finlandia, Svezia, Danimarca, Austria e Germania – abbiano un alto livello di spesa complessiva in ricerca. In Italia la componente di spesa in ricerca da parte delle imprese è di circa il 44 per cento, contro un 66 per cento della Germania. Anche questo fattore contribuisce profondamente ad allontanarci dai livelli di investimento dei Paesi del nord Europa. Il Governo può qui utilizzare ulteriori forme di incentivazione, sulla scorta di quanto fatto con il credito d'imposta. L'idea che la spesa pubblica in ricerca è una forma di investimento per lo sviluppo, che produce risultati nel medio periodo, è alla base del Piano nazionale della ricerca, recentemente presentato. Il PNR per il periodo 2015-2020, approvato il 2 maggio 2016 dal CIPE, è dunque un importante passo in questa direzione. Tale programma prevede circa 2,4 miliardi di euro di investimenti complessivi nel triennio 2015-2017, di cui poco meno, circa, 1,9 a carico del bilancio del MIUR e del PON, Programma operativo nazionale di ricerca, e 500 milioni di euro a carico del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020. Il PNR si struttura su sei pilastri: internazionalizzazione, capitale umano, programma nazionale infrastrutture, cooperazione pubblico-privata e ricerca industriale, efficacia e qualità della spesa, programma per il Mezzogiorno. Esso affronta alcune delle emergenze del sistema universitario per ciò che riguarda il capitale umano, cui è destinato un budget complessivo di 1 miliardo e 200 milioni di euro per formare, potenziare e incrementare il numero di ricercatori e favorire il trasferimento di conoscenza alla società nel suo complesso. Il piano punta anche sul valore della formazione quale strumento di affermazione professionale per le giovani generazioni, la sola strada per stimolare ed incentivare lo studio post diploma, cui deve essere accompagnata un'offerta formativa capace di ridurre il gap tra lo studio e il lavoro. Del PNR mi piace sottolineare l'investimento di 391 milioni di euro nei cosiddetti dottorati innovativi, le misure per favorire il trasferimento di conoscenza attraverso il collocamento dei ricercatori nel mondo economico e gli incentivi alla creazione di nuove imprese ad alto contenuto tecnologico, le risorse destinate al cofinanziamento di programmi transazionali ed internazionali, con particolare riferimento ai vincitori di progetti banditi dallo European Research Council: 246 milioni di euro nel triennio 2015-2017, 340 milioni di euro destinati alle infrastrutture della ricerca, 487 milioni di euro, stanziati per la collaborazione pubblico-privato, in particolare su cluster tecnologici nazionali, che rappresentano nodi di scambio tra università, enti pubblici di ricerca e imprese tra centro e territori, 436 milioni di euro, infine, per il Programma «Speciale Mezzogiorno», che si realizza prevalentemente attraverso i fondi strutturali nazionali e regionali per stimolare lo sviluppo dei territori, investendo sulla mobilità dei ricercatori (45,3 milioni di euro), sull'attrazione (46,6 milioni di euro), sull'investimento nelle infrastrutture di ricerca aperte (155,5 milioni di euro). Insieme all'aumento delle risorse stesse, è necessario ripensare al sistema di regole che governano la comunità della ricerca, cominciando dai ricercatori, figura centrale per il progresso e lo sviluppo economico di un Paese. Occorre dunque confrontarsi con scenari lavorativi nuovi, al fine di definire normative utili ad investire sul capitale umano.
   Il nostro obiettivo è valorizzare i ricercatori presenti nelle istituzioni di ricerca Pag. 11pubbliche, anche con norme fondamentali che ne regolino lo status giuridico, e prevedere incentivi e maggiori risorse per quanto riguarda il trattamento economico. L'obiettivo che dobbiamo porci è quello di allargare la comunità scientifica, sia attraverso la formazione e il reclutamento dei giovani, sia mediante strumenti che consentano il rientro dei cervelli in fuga ed il trasferimento in Italia di ricercatori stranieri. Questo non sarà possibile se non attraverso la semplificazione delle norme esistenti e prevedendo una maggiore omogeneità tra i ricercatori dell'Università e degli enti di ricerca, che consenta la mobilità e la possibilità di interscambio durante la propria carriera. Sappiamo che questo non è quasi mai avvenuto nel panorama accademico del nostro Paese e, anzi, a fasi alterne, abbiamo assistito ai rispettivi tentativi di egemonizzare una parte o l'altra del mondo della ricerca. Questo non è più accettabile perché ha prodotto costi, duplicazioni e frustrazioni che il Paese non si può più permettere. Esiste inoltre l'obiettivo di incoraggiare forme di reclutamento che attraverso norme di garanzia dello status di ricercatori consentano una maggiore dinamicità della ricerca del nostro Paese, sull'esempio di quanto possiamo osservare in Paesi vicini. Investire sull'istruzione e sulla ricerca è fondamentale in un Paese moderno, soprattutto per tornare alla crescita. Il sistema universitario degli enti di ricerca è il punto centrale di queste politiche ed è necessario puntare sulla valutazione e sulla premialità dei virtuosi, reclutando i migliori e legando sempre di più l'erogazione dei finanziamenti all'esito della valutazione. Investire sull'istruzione e sulla ricerca è quanto possiamo aspettarci da un Paese moderno, forse e soprattutto in un prolungato periodo di crisi. Come si può intuire, Governo e sistema della ricerca devono fare ognuno la propria parte, provando a parlare un linguaggio comune. Adesso è il momento per provare a ripartire e ci aspettano mesi fondamentali, perché l'inerzia delle riforme è cambiata e abbiamo la possibilità di recuperare ciò che è stato perso in questi anni, quando in troppi hanno creduto a chi diceva che con la cultura non si mangia. Non solo non era e non è nemmeno adesso un'affermazione vera, ma è stata una linea politica molto, molto dannosa, attuata proprio in un momento in cui il nostro Paese aveva più bisogno di immaginare il proprio futuro.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
  Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 580 – D'iniziativa dei senatori: Falanga ed altri: Disposizioni in materia di criteri di priorità per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi (Approvata dal Senato) (A.C. 1994-A) (ore 15,52).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1994-A: D'iniziativa dei senatori: Falanga ed altri: Disposizioni in materia di criteri di priorità per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 13 maggio 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1994-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.Pag. 12
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Carlo Sarro.

  CARLO SARRO, Relatore. Grazie, Presidente. Il testo che oggi giunge in Aula è stato approvato dalla Commissione giustizia all'esito dell'esame della proposta di legge n. 1994, approvata quasi all'unanimità dal Senato il 22 gennaio 2014. Quella proposta è stata, diciamo, inserita nel calendario dell'Assemblea in quota opposizione su richiesta del gruppo di Forza Italia ed è stata anche oggetto di esame e di approfondimento da parte della Commissione, che ha in più punti rivisitato il testo, fino poi sostanzialmente a renderne una nuova e diversa formulazione.
   La proposta di legge conferma per la fase dell'esecuzione delle demolizioni l'attuale sistema binario, che vede la competenza, da un lato, dell'autorità giudiziaria in presenza della condanna definitiva del giudice penale per i reati di abusivismo edilizio, ove la demolizione non sia stata ancora eseguita, e delle autorità amministrative (comuni, regioni e prefetture) che procedono con le forme del procedimento amministrativo. Nell'ambito dell'indagine che ha preceduto la valutazione del testo degli emendamenti da parte della Commissione, sono stati auditi i rappresentanti degli uffici del pubblico ministero di quelle aree geografiche che sono maggiormente interessate al fenomeno, e poi rappresentanti di associazioni, dell'Istituto nazionale urbanistica e dell'ANCI (Associazione nazionale dei comuni italiani). Il testo sostanzialmente si caratterizza per le modifiche che sono apportate all'articolo 1 del decreto legislativo n. 106 del 2006, relativo alla riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero, per attribuire al procuratore della Repubblica il compito di determinare i criteri di priorità per l'esecuzione. Si tratta di una modifica, rispetto al testo del Senato, che serve ad evitare rigide previsioni legislative, almeno questo secondo l'intendimento dei presentatori dell'emendamento, in fase di esecuzione in merito all'ordine di priorità e quindi restituendo la questione a quella che è la vera e propria funzione organizzativa degli uffici giudiziari. Per questo, al procuratore della Repubblica territorialmente competente viene attribuito il compito di determinare i criteri di priorità per l'esecuzione, tanto degli ordini di demolizione delle opere abusive, in presenza della condanna definitiva del giudice penale per i reati di abusivismo edilizio, quando – come si ricordava in precedenza – la demolizione non è stata ancora eseguita, quanto degli ordini di rimessione in pristino dello stato dei luoghi in presenza di condanna definitiva del giudice penale per l'esecuzione di opere su beni paesaggistici in assenza o in difformità dall'autorizzazione.
   Nella determinazione dei criteri di priorità delle demolizioni da eseguire, l'ufficio dovrà riservare adeguata considerazione agli immobili di rilevante impatto ambientale costruiti su area demaniale o su area soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico, sismico, idrologico, archeologico o storico-artistico, a quegli immobili che per qualunque motivo rappresentano un pericolo per la pubblica o privata incolumità nell'ambito del necessario coordinamento con le autorità amministrative preposte e agli immobili nella disponibilità di soggetti condannati per reati di associazione mafiosa o di soggetti colpiti da misure di prevenzione.
   Nell'ambito di ciascuna delle tipologie di immobili, determinate con provvedimento del procuratore della Repubblica, tenendo conto dei criteri di cui alla lettera d) e delle specificità del territorio di competenza, la priorità dovrà essere attribuita di regola agli immobili in corso di costruzione, o comunque non ancora ultimati alla data della sentenza di condanna, criteri di priorità delle procure della Repubblica di primo grado, e agli immobili non stabilmente abitati. Ed è questo il tratto più significativo ovviamente del provvedimento, che contiene anche disposizioni per quanto riguarda il potenziamento dell'attività di contrasto all'abusivismo, attraverso il finanziamento, con 50 milioni di Pag. 13euro, del fondo di rotazione per integrare le risorse necessarie per le opere di demolizione dei comuni ed infine con l'articolo 4, istituendo presso il Ministero delle infrastrutture la banca dati nazionale sull'abusivismo edilizio, di cui si avvalgono gli uffici distrettuali competenti e le amministrazioni comunali e regionali. Questo, per tratti salienti, è il contenuto del provvedimento, che naturalmente tenta di porre ordine, per così dire – o almeno ha l'intendimento –, in un campo nel quale, attraverso quello che poi nei fatti è accaduto nel corso di questi ultimi anni, si è registrato, ossia la necessità comunque di fissare dei criteri.
  Da più parti si è indicato come il fenomeno dell'abusivismo, delle costruzioni abusive in Italia, abbia raggiunto dimensioni davvero preoccupanti e come un simile quantitativo – le stime oscillano per quanto riguarda la determinazione quantitativa complessiva degli immobili abusivi nel nostro Paese, ma comunque parliamo di centinaia di migliaia di vani abusivi – non è certamente un fenomeno sorto all'improvviso o un fenomeno che non ha avuto un arco temporale piuttosto significativo per potersi determinare. Nel corso di questi anni, quando cioè ampiamente settori e intere aree del nostro territorio sono state investite da questo fenomeno, ci sono stati diversi livelli di responsabilità: certamente di quegli enti che avevano la titolarità della potestà pianificatoria e del controllo del territorio, che avrebbero dovuto innanzitutto promuovere gli strumenti di pianificazione territoriale per consentire un ordinato sviluppo dell'attività edilizia e questo non hanno fatto; poi i livelli di controllo, che avrebbero dovuto prevenire e reprimere gli abusi edilizi e questi livelli di controllo non hanno riguardato ovviamente soltanto gli enti locali, ma hanno interessato anche le prefetture, hanno interessato le stesse forze dell'ordine e la stessa magistratura, che solo negli ultimi anni ha cominciato ad intervenire in maniera organica e sistematica in questo settore.
  Di fronte a questa massa enorme di costruzioni che nella sola regione Campania viene stimata in 67 mila costruzioni abusive in attesa di essere demolite, mentre altre 200 mila sono comunque riferite a procedimenti ancora in essere e ancora non conclusi, vi è – ripeto – la necessità di ordinare, attraverso dei criteri, la selezione degli immobili effettivamente da demolire o, comunque, da demolire prioritariamente. Questo è testimoniato dalla circostanza che le stesse procure molto spesso hanno definito, attraverso atti di autorganizzazione, propri criteri per determinare, appunto, la selezione ed individuare anche i tempi relativi alle priorità.
  Si pone, però, l'esigenza di uniformare questi criteri, queste regole e questi principi a livello nazionale e questo, poi, è l'obiettivo della disposizione, anche perché in assenza di criteri e in assenza di regole possono rilevarsi anche delle criticità abbastanza preoccupanti e significative. Per esempio, in Campania si deve pensare che per alcune delle demolizioni le stesse procure, la procura generale presso la corte d'appello, nel corso di alcuni procedimenti – di uno, in particolare – ha impiegato una ditta per eseguire la demolizione addirittura priva della certificazione antimafia. Pensiamo, inoltre, a un provvedimento dell'autorità giurisdizionale che, con riferimento ad una demolizione eseguita in un comune della provincia di Napoli, ha ritenuto di assolvere il soggetto che era stato indagato in considerazione del fatto proprio che la demolizione avveniva senza che vi fosse un rispetto di fatto dell'ordine cronologico o, comunque, dell'ordine contenuto nell'elenco trasmesso dalla stessa procura generale – e parliamo del caso del comune di Bacoli – e di una demolizione che ha investito un nucleo familiare che, tra l'altro, aveva al proprio interno anche un minore – minore all'epoca – colpito da una gravissima disabilità.
  Che esista la necessità di tutelare anche posizioni estreme di disagio e di bisogno non è più una considerazione che appartiene esclusivamente al dibattito politico, ma è una considerazione che trova oggi un fondamento giuridico importante e lo trova nella recentissima pronuncia della Pag. 14Corte europea dei diritti dell'uomo del 21 aprile 2016, nel caso Ivanova contro Bulgaria.
  Con questa pronuncia la Corte ha statuito che, in applicazione dell'articolo 8 della Convenzione, vi è la necessità di tutelare e di stabilire regole precise soprattutto quando a dover essere eseguita è la demolizione di abitazioni, di case, che ricevono una destinazione come unica disponibilità alloggiativa per nuclei familiari che siano anche sprovvisti di redditi significativi o, comunque, di soluzioni abitative alternative. Un principio importante che sancisce una declinazione anche nuova del diritto all'abitazione e, in un certo senso, il provvedimento oggi all'esame dell'Aula, soprattutto determinando il criterio che le costruzioni abitate siano quelle di regola non immediatamente soggette a demolizione, di fatto si muove in linea con questo principio enunciato dalla Corte europea.
  Naturalmente il problema per la sua complessità, per la sua vastità e per le tante sfaccettature che assume, in relazione anche alle singole realtà territoriali, merita un approfondimento e sicuramente una riflessione più ampia su quella che è la politica edilizia e la politica urbanistica nel nostro Paese e la necessità, da un lato, di contrastare in maniera ferma e risoluta ogni intervento abusivo e, quindi, ogni violazione di norme; ma, dall'altro, vi è anche l'esigenza di assicurare, attraverso una compiuta definizione del quadro normativo di riferimento, regole certe, che permettano al cittadino di conoscere esattamente quando sia possibile edificare e soprattutto in che misura, quando non è possibile edificare, sia garantito il diritto all'abitazione.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  È iscritta a parlare la deputata Michela Rostan. Ne ha facoltà.

  MICHELA ROSTAN. Grazie, Presidente. Si avvia oggi la discussione sulle linee generali sull'atto Camera n. 1994-A, contenente norme in materia di criteri di priorità per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi. Un testo strategico per il Paese ed ancor più per le regioni meridionali e per la regione Campania, dove il fenomeno dell'abusivismo raggiunge dimensioni estremamente preoccupanti e le esigenze di salvaguardia dei paesaggi sono molto più stringenti. Un testo il cui esame è stato approfondito in Commissione giustizia e che ha subito non poche modifiche, su iniziativa del Partito Democratico, di forme e di contenuto dallo scorso 18 febbraio ad oggi. Il risultato del dibattito in Commissione è stato un giusto equilibrio nei contenuti, allo stesso tempo efficace quanto al raggiungimento delle finalità prescelte dal legislatore. Un equilibrio che non era semplice da trovare. Infatti, molti e diversi erano gli interessi in gioco: da un lato, vi era e vi è tutt'oggi la necessità di comprendere in che modo disciplinare e razionalizzare le procedure sottese agli abbattimenti dei manufatti abusivi, impegno che lo Stato nelle sue diverse articolazioni non sempre – per non dire di rado – riesce ad ottemperare per mancanza di risorse, per eccessiva contraddittorietà della normativa, per scarsità di uomini e mezzi. Siamo indietro nel difficile compito di ripristinare lo stato dei luoghi in tutti quei casi in cui si è verificato un abuso edilizio. Dall'altro lato, vi è la stringente necessità di sbloccare questo stato di cose, andando a colpire quelle situazioni di abuso più gravi, più drammatiche e più sfrontate, che presentano un grado di allarme sociale maggiore e più significativo di altre.
  È evidente come la risposta dello Stato, non potendo essere identica in ogni contesto, per quelle mancanze e carenze di cui parlavo poc'anzi, non possa che essere commisurata al tipo di abuso posto in essere. Un complesso residenziale realizzato a pochi passi dal mare o in aree paesaggistiche protette con finalità speculative costituisce probabilmente un abuso meritevole di un atteggiamento repressivo più forte di quello perpetrato dalla famiglia che in periferia, seppure abusivamente Pag. 15e seppur illegalmente, realizza una veranda fuori ad un balcone per ricavare un lavatoio di servizio.
  Attenzione: l'abuso c’è in entrambi i casi e va sanzionato in entrambi i casi. Tuttavia, con questo provvedimento, ed in special modo nel testo che è stato licenziato in Commissione giustizia rispetto al testo base, si cerca esclusivamente di prevedere meccanismi che puntino ad un unico obiettivo: quello di evitare che la repressione e il contrasto ai piccoli abusi diventino il più grande alibi ed il più grande ostacolo alla persecuzione dei grandi abusi speculativi, o comunque degli illeciti più risalenti, e per questo il lavoro è stato lungo ed articolato. I contributi positivi forniti nelle audizioni dagli esponenti di molte procure, in special modo campane, e da Legambiente, hanno portato ad introdurre significativi emendamenti e modifiche al testo licenziato dal Senato, che vanno in un'unica direzione: combattere più efficacemente l'abusivismo e fornire strumenti più incisivi al lavoro degli uffici giudiziari e degli enti locali.
  Sia ben chiaro un aspetto: con questa proposta di legge non intendiamo discutere di condoni mascherati o di sanatorie camuffate da cavilli procedurali. Lo spirito è ben altro, ed è quello di snellire un sistema, nel mentre che si porta avanti un progetto di revisione complessiva delle procedure sottese agli abbattimenti, e che si reperiscano risorse realmente in grado di alleggerire il carico di procure ed enti locali. Sul punto abbiamo tutti impresso nella mente il «caso Licata», un precedente emblematico di quello che è il fenomeno dell'abusivismo nel nostro Paese e in particolar modo, nel Mezzogiorno. Non è evidentemente normale che un sindaco, tutore dell'ordine nella propria città, debba essere attaccato e poi scortato dalla polizia per aver deciso semplicemente di fare il suo dovere, ovvero applicare la legge, procedere con gli abbattimenti, perseguire gli abusi. Voglio portare tutta la mia e la nostra solidarietà ad Angelo Cambiano, nel mirino di numerosi suoi compaesani. Questo sindaco non vuole sentirsi un eroe, e non lo sarebbe in un Paese «normale», in un Paese dove le leggi devono essere chiare ed inequivocabili, in particolare su questi argomenti, e dove dovrebbe essere normale che ci si adoperi per farle rispettare. Ecco, partendo da questo esempio ed avendo impresso nella coscienza collettiva un unico obiettivo, ovvero quello della legalità, occorre che lo Stato combatta per un sano e serio contemperamento, attraverso la legge, di tre esigenze di rilevanza sociale: il rispetto delle norme urbanistiche, l'efficientamento dei meccanismi di abbattimento in condizione di scarsità di risorse, la gestione oculata degli abusi minori e di necessità.
  E vengo al testo dell'atto oggi all'esame dell'Aula. Viene confermata, per la fase dell'esecuzione delle demolizioni, l'attuale sistema a doppio binario, che vede la competenza, da un lato dell'autorità giudiziaria, e dall'altro, delle autorità amministrative che curano il processo amministrativo propedeutico all'abbattimento. Quanto al primo profilo, quello giudiziario, il testo all'esame dell'Assemblea modifica all'articolo 1 il decreto legislativo n. 106 del 2006, che disciplina la riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero per attribuire al procuratore della Repubblica il compito di determinare i criteri di priorità per l'esecuzione degli ordini di demolizione delle opere abusive e degli ordini di rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Si è trattato in altre parole di normare, e quindi individuare alcuni criteri di priorità che costituiscono già di per sé prassi operativa e consolidata di alcune procure della Repubblica: il PM dovrà dare adeguata considerazione agli immobili di rilevante impatto ambientale, agli immobili che per qualunque motivo rappresentano un pericolo per la pubblica o privata incolumità, agli immobili nella disponibilità di soggetti condannati per reati di associazione mafiosa. Tra questi immobili, il cui abbattimento dovrà essere considerato prioritario, il PM dovrà inoltre dare priorità agli immobili in corso di costruzione, o comunque non ancora ultimati alla data della sentenza di condanna: annualmente entro dicembre i responsabili Pag. 16degli uffici comunali dovranno trasmettere al prefetto, ma anche alle altre amministrazioni statali e regionali preposte alla tutela, l'elenco delle opere non sanabili.
  Viene inoltre rafforzata la normativa vigente per quanto riguarda gli adempimenti prefettizi e le modalità della demolizione: la norma estende la possibilità prevista per il prefetto di avvalersi di imprese private o di strutture operative del Ministero della difesa per eseguire la demolizione, anche nei casi in cui sia il comune a procedere. E siccome ogni norma ha maggiore efficacia nell'ordinamento se la sua applicazione viene supportata anche da risorse materiali, è stata prevista l'istituzione, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un fondo di rotazione dotato di 50 milioni di euro, per integrare le risorse necessarie per le opere di demolizione dei comuni: i comuni che ne avranno necessità potranno attingere a tale fondo, impegnandosi a restituire il finanziamento entro dieci anni dall'erogazione delle somme. Viene istituita, infine, la Banca dati nazionale dell'abusivismo edilizio: gli uffici comunali competenti dovranno condividere e trasmettere le informazioni sugli illeciti alla banca dati.
  In Commissione giustizia, per meglio articolare il testo di legge, abbiamo audito autorevoli esponenti e funzionari dello Stato: un'indagine conoscitiva che – è bene precisarlo – ha portato i commissari a modificare il testo originario approdato in Commissione per disinnescarne i profili più criticabili ed ambigui, ed evitare che attraverso una legge dello Stato, destinata a modificare e snellire le procedure degli abbattimenti, si mascherasse un condono in bianco. Da tale indagine è emerso uno stato di avanzamento delle demolizioni estremamente critico; un quadro dello stato di avanzamento delle procedure di demolizione assolutamente preoccupante; uno stato di criticità tale da giustificare, e anzi rendere indispensabile, una razionalizzazione dei criteri di priorità per l'individuazione delle demolizioni a farsi, posto che non vi sono allo stato le condizioni per demolire tutto e subito, e l'individuazione di capitoli di spesa e di risorse pubbliche statali, regionali e comunali per garantire un rafforzamento ed una velocizzazione delle attività demolitiche, senza i quali difficilmente il provvedimento in esame potrà sortire effetti concreti e realmente deflattivi e di deterrenza dell'abusivismo edilizio. Agevolare, snellire e dunque efficientare il sistema delle demolizioni, che con ogni probabilità costituisce il più forte strumento di deterrenza contro il fenomeno dell'abusivismo, è a nostro avviso un segnale forte che questo Parlamento deve voler dare al Paese, nell'ottica di una più accorta ed accurata gestione del territorio, e nella direzione di una più netta scelta di legalità e di rigore urbanistico ed edilizio.
  Il mio auspicio è pertanto quello di poter arrivare in tempi rapidi all'approvazione del testo di legge ed alla sua immediata entrata in vigore, che – ne sono convinta – comporterà un'accelerazione delle procedure di demolizione a tutela dei nostri territori e delle comunità, in special modo quelle meridionali e campane. Il potere legislativo deve essere adoperato nell'interesse comune, ed il primo interesse dei cittadini è la salvaguardia dei principi di giustizia e di equità, perché libertà e diritti non possono essere invocati a discapito di altri contro le nostre basilari esigenze di civile convivenza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Donatella Agostinelli. Ne ha facoltà.

  DONATELLA AGOSTINELLI. Presidente, l'atto in esame reca nella sua intestazione il presente titolo: «Disposizioni in materia di criteri di priorità per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi». Stando al solo titolo, quindi, sembrerebbe che si voglia semplicemente dettare dei criteri uniformi per risolvere finalmente uno dei problemi più spinosi del nostro Paese, l'abusivismo edilizio; ma come specificherò, l’iter e la definizione di questa legge sono stati tutt'altro che chiari e semplici.Pag. 17
  L'abusivismo comporta non solo un deturpamento del territorio, ma anche seri rischi idrogeologici: la demolizione e la conseguente riduzione in pristino dei luoghi sono l'unico rimedio per il grave e tuttora trascurato fenomeno – spiace dirlo – marcatamente italiano dell'abusivismo edilizio. La minaccia della demolizione, realizzata poi in concreto come sanzione amministrativa e penale, costituisce l'unico reale deterrente per le condotte abusive. L'ultimo rapporto ISTAT del 2015 riporta dati preoccupanti: le stime del 2015 confermano infatti quelle del 2014 sulla tendenza all'abusivismo. Nel 2014, in un contesto complessivamente recessivo per il comparto dell'edilizia residenziale, tuttavia il numero delle nuove costruzioni abusive si è rilevato sempre in crescita rispetto all'anno precedente. Questo aumento si deve al diverso impatto della crisi economica sulla componente legale e su quella illegale della produzione edilizia: a partire dal 2008 entrambe le categorie sono state costantemente in calo, ma il flusso annuo della produzione legale si è ridotto di oltre il 60 per cento, mentre quello della produzione illegale in misura minore, del 30 per cento. Secondo questa indagine ISTAT, un simile fenomeno è qualificabile – e questo dobbiamo ribadirlo per evitare la falsa idea che si voglia con provvedimenti simili strappare le case a chi non avrà così più un tetto sopra la testa – più come forma di evasione fiscale che come reale necessità abitativa.
  La crisi dunque incoraggia l'illegalità attraverso l'abusivismo, che è una minaccia per l'ambiente, per il paesaggio e per la società civile. Nel 2015, riferisce l'ISTAT, la preoccupazione per il deterioramento del paesaggio è considerata fra i cinque principali problemi ambientali del Paese; e a tal proposito vorremmo ricordarvi che la preoccupazione per la salvaguardia dei paesaggi e per la qualità di vita delle popolazioni è uno dei punti cardine della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta dall'Italia nel 2000. Tale documento è posto a fondamento delle politiche europee. Ciò detto, è da considerare che, accanto al riconoscimento della mancata decrescita del fenomeno dell'abusivismo, vi è un palese quanto pericoloso ritardo di tutte le regioni nell'approvazione dei piani paesaggistici e questo contribuisce di sicuro all'incertezza di un'efficace azione dello Stato nella tutela del paesaggio. Si tratta di una situazione cresciuta mostruosamente, permessa da anni e anni di connivenza della politica, che ha strizzato l'occhio a scopo elettorale ai cittadini lasciando intendere che prima o poi un condono sarebbe arrivato. È un grande problema di legalità quello discusso oggi qui in Aula. Dove erano le autorità preposte al controllo che avrebbero dovuto evitare il realizzarsi di tante situazioni ? È stato permesso un circuito di connivenze che deve essere interrotto. Si può certo parlare di condono spicciolo di chi ha chiuso gli occhi permettendo la disastrosa situazione attuale. Pertanto, auspichiamo in questa sede che le responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, non solo del singolo proprietario, ma anche delle istituzioni tutte e della politica soprattutto, siano accertate. Dovendo e volendo contrastare e reprimere il fenomeno dell'abusivismo e andare nel senso del ripristino della legalità, dobbiamo sottolineare che le criticità che si sono riscontrate nel provvedimento in esame ci hanno lasciato molto perplessi. La proposta in quota opposizione che andiamo a discutere è stata approvata al Senato con larghissimo consenso. Hanno votato a favore, su 258 presenti, ben 189 parlamentari di diversi partiti; contrari i senatori del MoVimento 5 Stelle. Il testo, così come licenziato dal Senato, costituiva una totale resa nella lotta all'abusivismo. Nel corso del dibattito in Commissione giustizia al Senato è maturata, infatti, una modifica al testo unico edilizio che, prendendo le mosse dalle prassi adottate da talune procure della Repubblica dei distretti di Napoli e di Salerno, in particolare della procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, proponeva, attraverso l'inserimento di un nuovo articolo, il 44-bis, nel citato testo unico, l'istituzione di criteri di priorità per l'esecuzione delle procedure di demolizione cui si sarebbe dovuto Pag. 18attenere il pubblico ministero competente qualora avesse constatato l'esistenza nello stesso circondario di una pluralità di procedure da attivare. Il testo, nell'intento dei proponenti, stabiliva quindi che le opere abusive dovessero essere classificate in base a diversi livelli di gravità sotto profili differenti, non solo in base al valore economico e al carattere speculativo ovvero di necessità e della disponibilità di un'altra soluzione abitativa, ma anche sulla base di altri criteri non sempre connotati da un profilo di oggettività. I criteri che venivano recepiti nella proposta erano quegli stessi elaborati dalle procure dei territori che maggiormente vivono il problema dell'abusivismo e che, dovendolo fronteggiare, quei criteri hanno dovuto necessariamente darseli. Apparentemente, quindi, nulla di strano. Tuttavia, alla Camera si è aperto un nuovo ciclo di audizioni e sono intervenuti quegli stessi magistrati che i criteri li hanno elaborati ed essi, per primi, non hanno fatto altro che confermare i dubbi sulla bontà di questa proposta di legge. Franco Ionta, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Alberto Liguori, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Luigi Riello, procuratore generale presso la corte d'appello di Napoli, Ugo Ricciardi, sostituto procuratore presso la corte d'appello di Napoli, Leonida Primicerio, procuratore generale presso la corte d'appello di Salerno, sono solo alcuni degli auditi che vi hanno fatto notare tutte le criticità che il provvedimento conteneva. Non c’è stato nessuno – e sottolineo nessuno – che in audizione abbia detto che questo provvedimento era di qualche utilità. Per contro, si è evidenziato che, dietro all'inserimento dell'ordine di priorità di demolizione, si nascondeva, stante la rigidità dei criteri indicati, il rischio che, a fronte di un'operazione di demolizione, il soggetto interessato e condannato in via definitiva potesse sollevare l'obiezione davanti all'autorità giudiziaria fondata sul fatto che prima del proprio immobile vi fossero magari uno, cento, mille immobili da abbattere perché appartenenti alle categorie precedenti alla sua. Questo avrebbe potuto comportare, quindi, una valanga di incidenti di esecuzione. Il rischio sarebbe stato quello di impedire di fatto quelle poche demolizioni che si riescono a portare a compimento dando la possibilità a chi se lo può permettere e a chi è economicamente più forte di promuovere azioni giudiziarie per bloccare le seppur poche iniziative demolitorie sugli immobili abusivi.
  Dopo ben due cicli di audizioni, tutte dello stesso tenore, non si poteva continuare a credere che il tutto fosse dettato da buona fede o da ignoranza. Il provvedimento sembra studiato invece ad hoc, per dare una risposta ad un certo tipo di elettore, potenziale destinatario del provvedimento. È evidente che abbiamo a che fare con una sorta di marchetta elettorale, una beffa ai danni dei cittadini onesti del nostro territorio e dei magistrati che hanno speso anni di lavoro per arginare gli abusi edilizi.
  In Commissione giustizia alla Camera per fortuna – ne prendiamo atto – il provvedimento ha subito delle modifiche. Prendiamo atto che anche il PD si è reso conto che il provvedimento, così come era uscito dal Senato, era impresentabile. In base alla nuova formulazione dell'articolo 1, non più articolo unico, si è disposta, in primis, una nuova collocazione normativa dei criteri di priorità per l'esecuzione delle procedure di demolizione che deve osservare il pubblico ministero in caso di pluralità delle stesse. I criteri, peraltro modificati e ridotti nel numero, sono stati inseriti nel decreto legislativo n. 106 del 2006 in tema di separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, di cui alla «legge Castelli» e non più nel testo unico sull'edilizia. Se pure la nuova formulazione dell'articolo 1 appaia da preferire a quella precedente, in quanto considera prioritario nell'elenco l'abbattimento degli immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale o paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico, e vengano anche considerati gli ordini di rimessione in pristino dello stato dei luoghi Pag. 19prima non previsti, tuttavia la stessa collocazione sistematica della nuova norma non è da considerarsi del tutto congrua e soddisfacente. Essa si va ad inserire dopo la previsione di poteri meramente organizzativi e strutturali affidati al procuratore capo, tra cui i criteri di organizzazione dell'ufficio e i criteri di assegnazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti. La disposizione, come quella de quo vertente sui criteri da osservare per i magistrati nelle demolizioni, sembra quantomeno irrituale rispetto agli ordinari compiti della magistratura.
  Entrando nel merito, si sottolinea, poi, che non risulta aver trovato una soluzione l'annosa questione del se la demolizione di un manufatto abusivo sia posta obbligatoriamente in capo alla figura del pubblico ministero, oppure no. Nella prassi, infatti, si verifica che il pubblico ministero si limita a notificare al comune l'ordine di demolizione scaturente dalla sentenza di condanna e che non ne curi la successiva demolizione. Tale considerazione è strettamente connessa alla problematica sottesa agli ingenti costi necessari per procedere alla demolizione quando sia eseguita dalla procura (articolo 61 del Testo unico delle disposizioni legislative regolamentari in materia di spese di giustizia, decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115). Purtroppo, non possiamo ritenerci del tutto soddisfatti delle modifiche che sono state apportate al testo durante i lavori in Commissione giustizia alla Camera, nonostante l'accoglimento di alcune nostre importanti proposte emendative e, cioè, l'istituzione di un apposito fondo per le demolizioni degli abusi edilizi, nonché la costituzione di una banca dati nazionale sull'abusivismo edilizio. L'attuale testo appare, infatti, insoddisfacente rispetto alla complessità del fenomeno. La normativa, come emerge anche dai pareri delle Commissioni, non sembra dare certezza assoluta sul fatto che possa costituire motivo di pretese di terzi rispetto all'ordine temporale delle demolizioni o che possa essere interpretata come fonte attributiva al proprietario di un tipo di immobile a pretendere l'esaurimento delle procedure di demolizione di altre categorie. Inoltre, permangono numerose perplessità soprattutto in capo all'articolo 1, lettera b), che fa riferimento agli immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati, in quanto sarà probabilmente poco agevole verificare l'effettiva vigenza delle condizioni richiamate.
  Auspichiamo in ogni caso che le proposte emendative presentate dal MoVimento 5 Stelle, che sono volte esclusivamente a migliorarne il testo, in Aula vengano accolte. La ringrazio, Presidente.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1994-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 17 maggio 2016, alle 10:

  1. – Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

  (ore 12)

  2. – Seguito della discussione delle mozioni Lorefice ed altri n. 1-00698, D'Incecco ed altri n. 1-01229, Binetti ed altri n. 1-01235, Rondini ed altri n. 1-01237, Palese ed altri n. 1-01238, Nicchi ed altri n. 1-01239, Vargiu ed altri n. 1-01240 e Milanato ed altri n. 1-01243 concernenti Pag. 20iniziative finalizzate al riconoscimento dell'endometriosi come malattia invalidante e al potenziamento delle prestazioni sanitarie e delle misure di sostegno economico e sociale per le donne affette da tale patologia.

  3. – Seguito della discussione delle mozioni Baradello ed altri n. 1-01188, Polverini e Occhiuto n. 1-01236, Tripiedi ed altri n. 1-01241, Simonetti ed altri n. 1-01242, Pizzolante e Bosco n. 1-01244, Miccoli ed altri n. 1-01245, Baldassarre ed altri n. 1-01246, Rizzetto ed altri n. 1-01247 e Palladino ed altri n. 1-01251 concernenti iniziative per valorizzare i cosiddetti lavoratori maturi nel quadro del prolungamento della vita lavorativa.

  4. – Seguito della discussione dei disegni di legge:
   Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Regno hascemita di Giordania in materia di lotta alla criminalità, fatto ad Amman il 27 giugno 2011 (C. 3285-A).
  — Relatore: Porta.

   S. 1750 – Ratifica ed esecuzione dell'accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Mongolia, dall'altra, fatto a Ulan-Bator il 30 aprile 2013 (Approvato dal Senato) (C. 3301).
  — Relatore: Censore.

   Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Armenia sulla cooperazione e sulla mutua assistenza in materia doganale, fatto a Yerevan il 6 marzo 2009 (C. 3511-A).
  — Relatore: Censore.

   Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Panama per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma e a Città di Panama il 30 dicembre 2010 (C. 3530-A).
  — Relatore: Porta.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Saltamartini ed altri n. 1-01111, Vezzali ed altri n. 1-01250, Binetti ed altri n. 1-01254, Spadoni ed altri n. 1-01260, Palese ed altri n. 1-01261 e Iori, Nicchi, Fitzgerald Nissoli, Locatelli, Gebhard, Mucci ed altri n. 1-01264 concernenti iniziative, anche in ambito internazionale, finalizzate al contrasto dei fenomeni di violenza contro le donne, alla luce delle aggressioni occorse a Colonia e in altre città europee nella notte del 31 dicembre 2015.

  6. – Seguito della discussione delle mozioni De Girolamo ed altri n. 1-01205, Vezzali e Monchiero n. 1-01252, Binetti ed altri n. 1-01255, Costantino ed altri n. 1-01256, Rondini ed altri n. 1-01257, Bechis ed altri n. 1-01258, Palese ed altri n. 1-01259 e Santerini ed altri n. 1-01263 concernenti iniziative per prevenire e contrastare il fenomeno del bullismo.

  7. – Seguito della discussione delle mozioni Carlo Galli ed altri n. 1-01193, D'Uva ed altri n. 1-01265 e Buttiglione e Bosco n. 1-01269 concernenti interventi per il rilancio del comparto della ricerca italiana.

  8. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   S. 580 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: FALANGA ed altri: Disposizioni in materia di criteri di priorità per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi (Approvata dal Senato) (C. 1994-A).
  — Relatore: Sarro.

  La seduta termina alle 16,30.